+ All Categories
Home > Documents > Museo Querini Stampalia Venezia · 2012. 11. 15. · 11 Il Conte Giovanni (1799-1869), ultimo...

Museo Querini Stampalia Venezia · 2012. 11. 15. · 11 Il Conte Giovanni (1799-1869), ultimo...

Date post: 27-Jan-2021
Category:
Upload: others
View: 1 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
104
Museo Querini Stampalia Venezia a cura di Babet Trevisan Fondazione Querini Stampalia Onlus
Transcript
  • Museo Querini StampaliaVenezia

    a cura diBabet Trevisan

    Fondazione Querini StampaliaOnlus

  • Consiglio di Presidenza

    PresidenteMarino Cortese

    Vice presidenteAntonio Foscari

    ConsiglieriGiovanni CastellaniDavide CroffIrene Favaretto

    Revisori dei contiRoberto ParroGiancarlo Tomasin

    Ente tutoreIstituto Veneto di ScienzeLettere ed ArtiLeopoldo Mazzarolli, Presidente

    Circolo QuerinianoComune di Venezia Consorzio Venezia Nuova Fondazione ENI Enrico Mattei Fondazione di Venezia FURLA S.p.a. Insula S.p.a.Ministero per i Beni e le Attività CulturaliProvincia di Venezia Regione del Veneto Rubelli S.p.a. SIPCAM S.p.a.

    DirettoreEnrico Zola

    Marigusta Lazzari

    Federico AcerboniAndrea BellemoGabriella BerardiTiziana BottecchiaLucia Marina BroccatoMarcellino BusatoCristina CelegonBarbara ColliElisabetta Dal CarloDora De Diana Massimo DonaggioAntonio FancelloNeda FurlanAngelo MiniAngela MunariBarbara PoliBarbara RossiMarta SavarisBabet TrevisanAnna Francesca Valcanover

    Chiara BertolaMonica BertelloSara BossiAlessandra BredaAnna FantelliElisa GhisuAlessandro MarinelloAlvise Rabitti Giovanni RosaGeraldine TestaOnorato Zustovi

    Silvia De MarchLaura PertotSilvia Zanrosso

    a cura diBabet Trevisan

    testi diEnrico ZolaBabet Trevisan

    schede diTiziana Bottecchia (TB)Elisabetta Dal Carlo (EDC)Dora De Diana (DDD)Babet Trevisan (BT)

    bibliografia essenzialeBarbara Colli

    indice dei nomiCristina Celegon

    coordinamento editorialeMarigusta Lazzari

    Iniziativa realizzata con il contributo della Regione del Veneto, ai sensi della L.R. n. 50/1984, art. 44

    referenze fotograficheJoerg P. Anders. ©2005. Foto Scala, Firenze/BPKAndrea AvezzùCameraphoto ArteFrancesco CastagnaAttilio MaranzanoORCH_Chemollo

    fototecaGabriella BerardiMarcellino Busato

    progetto graficoStudio Camuffo

    impaginazioneKarin Pulejo, Studio CamuffoGrafiche VianelloISBN: 978-88-7200-321-3

    Copyright © 2010 Vianello Libri, Ponzano (Tv)Copyright © 2010 Fondazione Scientifica Querini Stampalia onlus, Venezia

    la Fondazione è a disposizione per eventuali crediti fotografici non indicati

    Le attività della Fondazione Querini Stampalia sono sostenute da:

    Museo Querini StampaliaVenezia

    in copertina:Giovanni Bellini, La Presentazione di Gesù al Tempio, particolare

    Fondazione Querini StampaliaOnlus

  • Gentili visitatori,ho il piacere di presentare la guida breve al nostro Museo, pensata per accompagnarvi nella visita, ma anche come ricordo dei percorsi museali. Da molti anni sentivamo il bisogno di uno strumento come questo; il cata-logo del Museo fu pubblicato nell’ormai lontano 1979 ed è di difficile repe-rimento. Inoltre, nel corso degli anni, varie scoperte d’archivio o ricerche iconografiche hanno condotto al cambiamento di attribuzione e datazione dei dipinti della collezione di famiglia e di questo, come anche dei molti altri cambiamenti architettonici della Fondazione e dei nuovi servizi al pubblico, volevamo dare notizia in un’unica pubblicazione. Il volume non sostituisce il catalogo scientifico, ma è una guida completa, se pur breve e divulgativa, a quello che riteniamo maggiormente interessante del no-stro patrimonio. Ci è caro dedicare questa nuova opera alla memoria del nostro Fondatore, Giovanni Querini Stampalia, scomparso 140 anni or sono, il 25 maggio 1869.Potrete così girare per le sale del Palazzo virtualmente accompagnati dai nostri conservatori, autori dei vari testi, che hanno cercato di rendere pia-cevole la descrizione degli ambienti e che hanno voluto, inoltre, offrirvi al-cune curiosità non solo sulle opere esposte, ma anche sulla vita della Sere-nissima. Le piantine vi aiuteranno nel percorso allestitivo, che vi porterà in un viaggio nel tempo: dalla casa settecentesca dei Querini Stampalia, con la sua biblioteca al primo piano, e la dimora storica al secondo piano, all’ar-chitettura contemporanea di Carlo Scarpa, Valeriano Pastor e Mario Botta. Vi auguro una buona visita.

    Marino CortesePresidente della Fondazione Querini Stampalia

    Venezia, 25 maggio 2009

  • Il senso del sostegno offerto alla Fondazione Querini Stampalia per pub-blicare la guida alle collezioni della sua celebre Pinacoteca va al di là del ruolo istituzionale ricoperto dalla Regione nel promuovere il sistema dei nostri musei, privati o pubblici che siano, attraverso quanto dispone la legge regionale 5 settembre 1984 n. 50 “Norme in materia di musei, biblio-teche e archivi di enti locali o di interesse locale”. Il fatto è che il momento della pubblicazione di un volume che illustri il complesso di un’istituzione culturale, sia dal punto di vista storico sin dalla sua fondazione sia per i beni in essa conservati, rappresenta un impegno importante nei con-fronti del pubblico e, soprattutto, un segno di grande attenzione nei suoi confronti al fine di rendergli amichevolmente accessibile l’incontro con il museo. Come viene concepito questo strumento di comunicazione (e di una comunicazione che deve essere qualcosa di più rispetto ad un catalogo scientifico, la cui redazione è prevalentemente orientata alla consultazione da parte di studiosi) costituisce, per questo motivo, un elemento di valu-tazione del raggiungimento di standard di qualità gestionali. Non a caso, infatti, all’interno del noto documento di indirizzo emanato nel 2001 dal Ministero per i Beni e le Attività culturali per indicare i criteri tecnico-scientifici e gli standard di sviluppo e di funzionamento dei musei, l’ambito VII, dedicato ai “Rapporti del museo con il pubblico e relativi servizi”, invita a predisporre una serie di strumenti per favorire la lettura critica delle opere presentate e, tra questi, le guide brevi e il catalogo scientifico. Ci ha onorato il fatto che la Fondazione abbia chiesto alla Regione di es-sere partner istituzionale nella realizzazione di quest’opera. Lo abbiamo colto come un segnale di attenzione rispetto alla nostra missione, tesa ad avvicinare, attraverso iniziative differenziate, il pubblico, sia locale sia turi-stico, alla conoscenza del ricco patrimonio culturale conservato negli oltre trecento musei del Veneto. La qualità della pubblicazione si coglie ampia-mente non solo nel rigore scientifico dei testi e del progetto culturale ad essa sottesi, ma anche nella ricchezza delle immagini che avranno il compito di restituire la memoria delle emozioni che ogni visitatore proverà nell’entra-re nella casa del conte Giovanni, ultimo discendente della famiglia patrizia dei Querini Stampalia, ritrovando il sapiente equilibrio tra una dimensio-ne spaziale e percettiva rimasta domestica e una godibilità pensata secondo i più moderni parametri della fruizione museale di qualità.

    Angelo TabaroSegretario Regionale CulturaRegione del Veneto

  • 11 La Fondazione Querini Stampalia Enrico Zola 33 Restauri e allestimenti storici del Museo Babet Trevisan

    I L M U S E O 43 I. Portego 53 II. Sala Giovanni Bellini 59 III. Sala delle tavole 69 IV. Sala della Maniera 79 V. Sala della musica 87 VI. Sala dei ritratti 95 VII. Salotto Giuseppe Jappelli 105 VIII. Sala Ottocento 113 IX. Scene di vita veneziana 123 X. Studiolo 129 XI. Camera da letto 135 XII. Boudoir 141 XIII. Salotto rosso 149 XIV. Salotto verde 157 XV. Sala degli stucchi 163 XVI. Sala da pranzo 171 XVII. Sala mitologica

    183 A R E A C A R L O S C A R P A

    197 Restauri e benefattori dal 1980 199 Indice dei nomi203 Bibliografia essenziale

    Sommario

  • 11

    Il Conte Giovanni (1799-1869), ultimo discendente dei Querini del ramo Stampalia, lasciò in eredità nel 1868 alla sua Venezia tutti i suoi averi: lo storico palazzo di famiglia, terre, case, libri, quadri, mobili, oggetti d’arte, monete, stampe. Con l’estinzione dei Querini e il conseguente passaggio a Fondazione di tutto il patrimonio, si è realizzato un raro esempio di conservazione dei beni di una famiglia di antichissime e nobili origini. La famiglia Querini, annoverata tra le dodici casate apostoliche, le più insigni fondatrici della città lagunare, faceva parte dei governanti, del patriziato, cioè di coloro che occuparono ereditariamente l’area del potere. La partecipazione nel 1310 di Marco Querini alla drammatica congiura ordita da Bajamonte Tiepolo contro il doge Pietro Gradenigo segnò la loro storia, macchiando il nome della casata, che venne esclusa per sempre dal dogado.Nel XIV secolo Zuanne Querini riuscì ad acquistare l’isola di Astipalea nell’Egeo e da questo feudo deriva il titolo di Stampalia, titolo che solo nel 1808 venne usato da Alvise Querini alla corte napoleonica di Milano per distinguersi da un suo omonimo, l’am-basciatore del Regno di Sardegna. Da allora il doppio cognome è rimasto ad indicare prima la famiglia, oggi la Fondazione.Nel secondo Settecento, il patriziato veneziano appariva suddivi-so – di fatto se non di diritto – in tre fasce “sociali”: i “grandi”, con il massimo delle disponibilità economiche e quindi con le maggio-ri disponibilità di gestione del governo; i “quarantiotti” mediani di facoltà economiche e mediani di potere; i “barnaboti”, decisa-mente più poveri di sostanze e decisamente poveri di potere pur se appartenenti anch’essi al corpo sovrano e sedenti in Maggior Consiglio.

    La Fondazione Querini Stampalia

    Pittore venetoGiovanni Querini Stampalia

  • 13

    I Querini di Santa Maria Formosa facevano parte dei “grandi” e con la generazione che si era dipartita da Zuanne Carlo (fratello del celebre cardinale Angelo Maria) entrarono nel gruppo di co-loro che di fatto guidavano il Governo della Serenissima. Erano di Santa Maria Formosa perché nel Cinquecento i Querini co-struirono in quel luogo, dove già possedevano nel Trecento alcune case, un palazzo ispirato all’architettura di Mauro Coducci, archi-tetto che a Venezia aveva già progettato diverse opere come Ca’ Vendramin Calergi, la chiesa di San Zaccaria, la chiesa di San Giovanni Evangelista (Scuola Grande), la chiesa di Santa Maria della Visitazione (Pietà), la chiesa di Santa Maria Formosa.Come indicato nel testamento del fondatore questo Palazzo è tut-tora la sede della Fondazione omonima che vi ha allestito la Bi-blioteca al primo piano, già appartamento del Conte Giovanni, il Museo al secondo piano, che era stato sede patriarcale nella prima metà dell’Ottocento, e un’area per esposizioni al terzo.

    I L P A L A Z Z O

    Un documento del 1514 ci attesta l’inizio dei lavori per la realizza-zione del nuovo Palazzo commissionato da Nicolò Querini (1442 circa - post 1514). I lavori intrapresi da Nicolò proseguirono con il nipote Francesco (1503 circa - 1554) che per circa un trentennio registrò nella sua contabilità numerose “spese fatte per la chaxa dove si abita”. Gli interventi riguardarono sia la sistemazione degli interni, come nella “chamera granda”, sia quella del prospetto sul campiello, probabilmente conclusasi nel 1524 con la messa in opera di due balconate ai “pergoli”.Tra il 1515 e 1528 sono indicati infatti nei registri di spesa lavori di ampliamento, riparazione e abbellimento del Palazzo, da cui

    L A F O N D A Z I O N E Q U E R I N I S T A M P A L I A

    si evince che Palma il Vecchio, e dopo la sua morte la sua bot-tega, e segnatamente Bonifacio de’ Pitati intrattennero conti-nuamente rapporti professionali con la famiglia.Il crescente prestigio dei Querini nei primi decenni del Cinque-cento, spinse la famiglia a realizzare nella dimora una nuova se-rie di migliorie, tuttavia le scelte operate negli anni dai diversi committenti manifestano la mancanza di un progetto unitario di trasformazione, abbellimento e aggiornamento della dimora e sottolineano un modo di procedere per aggregazioni, attraverso una successione di interventi parziali decisi secondo una logica di “diligente economia”.Il Palazzo di residenza crebbe, si sviluppò, si riarticolò e si abbellì nel tempo con annessioni di proprietà contigue e sopraelevazio-ni, venne diviso in appartamenti e a volte venne parzialmente affittato. I documenti d’archivio non riportano novità di rilievo fino al 1614 quando Zuanfrancesco (1554-1621) decise di acquistare da un suo lontano parente una casa da stazio identificabile con l’edificio preesistente all’odierna ala orientale del Palazzo, cioè quella di-rettamente prospiciente il campo di Santa Maria Formosa.Venne effettuato un ulteriore acquisto a confine nel 1654 (edificio tutt’ora esistente dirimpetto al Palazzo, sull’altra riva del rio) e tra il 1660 e il 1710 è probabile che siano avvenute delle risistemazioni e l’unificazione delle due antiche case da stazio cinquecentesche. Mediante un ponte aereo a cavallo del rio, il Palazzo venne col-legato alla casa antistante sul campo, e questa direttamente alla chiesa parrocchiale, alla quale dunque nel Settecento la famiglia accedeva direttamente da casa senza uscire in campo.Un vero rinnovamento radicale del Palazzo si svolse tuttavia solo nella seconda metà del Settecento, in occasione del matrimonio tra Alvise (1758-1834), uno dei figli di Zuanne, e Maria Tere-sa Lippomano. Vennero modificati gli spazi interni, ridotte le

  • dimensioni delle sale, commissionati nuovi cicli pittorici, ma non venne alterata la cinquecentesca facciata esterna. In un momen-to di declino della città aggiornamenti e novità infatti potevano coinvolgere i luoghi del privato uso quotidiano ma non l’immagi-ne esterna di una dimora patrizia.Nel 1788 Andrea Querini (1710-1795) e suo figlio Zuanne (1733-1793) stipularono un contratto con il proto Antonio Solari per l’ingrandimento e il restauro di Palazzo Querini Stampalia. Il cantiere venne affidato prima ad Antonio Solari e poi a Giro-lamo Vianello mentre per la realizzazione dei nuovi decori ven-nero chiamati Jacopo e Vincenzo Guarana, Davide Rossi, l’ornatista Giuseppe Bernardino Bison, il doratore Domeni-co Sartori e i fratelli stuccatori Giuseppe e Pietro Castelli.Dal 20 maggio 1835 al 1° giugno 1850 il secondo piano dell’edifi-cio venne affittato al patriarca Jacopo Monico. Il 3 agosto 1849 il Palazzo fu saccheggiato da parte dei patrio-ti del Circolo Italiano. L’assalto avvenne perché si era diffusa la voce, priva di fondamento, che il patriarca Jacopo Monico avesse sottoscritto una petizione per la resa agli austriaci. Mobili, libri, monete, medaglie e altri oggetti preziosi vennero gettati in canale con un un danno per Giovanni di 100.000 lire austriache di allora.Nel 1869 il Palazzo di famiglia divenne la sede della Fondazione istituita allo scopo di conservare e valorizzare le sue raccolte arti-stiche e bibliografiche, insieme con tutti i suoi averi e di promuo-vere “il culto dei buoni studj, e delle utili discipline”.Tra il 1959 e il 1963 l’architetto Carlo Scarpa eseguì al piano terra, per volontà di Giuseppe Mazzariol (Venezia, 1922-1989), allora direttore della Fondazione, e Gino Luzzatto (Padova, 1878 - Venezia, 1964) allora presidente, un celebre restauro: la realizza-zione di una sala, utilizzata per mostre e conferenze e un piccolo giardino interno, chiuso tra mura, con una vera da pozzo, un

    leone gotico e due fontane che portano il murmure dell’acqua in questo silenzioso angolo veneziano.Una ulteriore riqualificazione della sede nasce alla fine del 1993, quando Giorgio Busetto ed Egle Trincanato, al tempo rispettiva-mente direttore e presidente della Fondazione, affidano l’incarico all’architetto ticinese Mario Botta di procedere ad un articolato progetto di restauro. Botta, molto legato alla Fondazione, decide di donare il suo progetto: come molti studenti passava intere gior-nate in Biblioteca e i relatori della sua tesi furono Carlo Scarpa e Giuseppe Mazzariol.L’intervento di Botta definisce un rinnovamento profondo della sede, spostando l’entrata al Palazzo da campiello Querini a cam-po Santa Maria Formosa. Mentre con il restauro del sottotetto e del terzo piano sono stati ricavati degli uffici e un’area per mostre e seminari, al piano terra sono stati creati spazi per un insieme di funzioni a servizio del pubblico: bookshop, caffetteria, guar-daroba, sale da bagno, un’area per ospitare i bambini e infine un auditorium che si configura come prosecuzione dell’ingresso alla Fondazione.Le differenti funzioni della Fondazione trovano un elemento uni-ficatore nella corte dedicata a Giuseppe Mazzariol, che si apre inattesa e riscatta gli spazi compressi dei locali attigui, ridotti in altezza per portare il pavimento a una quota di sicurezza rispet-to all’escursione media di marea. La continuità spaziale è resa grazie all’impiego degli stessi materiali usati nel bookshop, nella caffetteria e nelle altre sale collocate al piano terra. Confinante con la corte l’auditorium con 132 posti a sedere su poltroncine in pelle nera, dotato delle tecnologie più avanzate, di cabine di regia e traduzione simultanea. Alcuni importanti interventi a Palazzo sono stati eseguiti anche dal 1982 al 1997 dall’architetto Valeriano Pastor. Il segno più visibi-le è la scala, che costituisce oggi la principale uscita di emergenza

    L A F O N D A Z I O N E Q U E R I N I S T A M P A L I A

    pagina seguente: Carlo ScarpaGiardino

  • 17

  • 19

    del Palazzo. Costruita ex novo, al posto di una scala di servizio ottocentesca, con gradini in pietra artificiale prefabbricati, com-prende anche piccoli ambienti per bagni e depositi, e si conclude all’ultimo piano con l’accesso a un’altana. Il rivestimento, che si affaccia su una piccola corte, è in legno e le finestre sono degli oblò. Al pianoterra, nella corte adiacente al giardino, Pastor ha disegnato un varco di uscita sul muro perimetrale. Il portone di legno e metallo, con il monogramma QS (Querini Stampalia) in-serito nell’arco di pietra, dialoga con il cancello scarpiano posto sull’altro lato della calle. Problemi di raccordo e di fruizione di fondamentale importanza vengono risolti da Pastor con un ponte aereo di collegamento tra il Palazzo sede e la palazzina posta al di là del giardino e con la trave parete in Museo, realizzata insieme all’ingegnere Walter Gobbetto, in seguito anche progettista del nuovo deposito librario.Dal 1997 la facciata cinquecentesca del Palazzo è stata arric-chita da un’installazione di neon. Si tratta dell’opera La Materia dell’Ornamento di Joseph Kosuth eseguita per il progetto “Sara-jevo 2000” e costituita da dodici frasi tratte dal libro Le pietre di Venezia di John Ruskin.

    I L M U S E O

    Le nozze tra Francesco Querini (1503 circa - 1554) e Paola Priu-li, celebrate nell’aprile del 1528, sono considerate l’evento che ha dato inizio alle vicende di committenza artistica della casata. A questa data il pittore della famiglia è Jacopo Palma il Vecchio e a lui verranno commissionati i ritratti degli sposi, oggi esposti in Museo. Importante fonte di notizie su commissioni ed esecuzioni è il Libro di spese di Francesco, dove sono registrati i costi per lavori di ampliamento, riparazione e abbellimento del Palazzo.

    L A F O N D A Z I O N E Q U E R I N I S T A M P A L I A

    Mario BottaScala c

    Carlo ScarpaLa “Fondamenta”

    Mario BottaAuditorium G. Piamonte

    Valeriano PastorPortone di sicurezza

  • 21

    Tra le commissioni compaiono le pitture di Palma nella “camera d’oro”. Il 30 luglio 1528 Palma muore e nell’inventario steso alla sua morte, dove si legge la descrizione sommaria dei dipinti allora presenti nello studio, sono elencati cinque quadri a lui commissio-nati da Francesco. Da qui nasce la quadreria queriniana.Difficile, allo stato attuale degli studi e dei documenti reperiti, dare informazioni altrettanto certe sulla storia successiva della raccolta per oltre un secolo e mezzo, anche se la presenza di ri-tratti rimanda con sicurezza a Marco Vecellio, chiamato nel tardo Cinquecento a effigiare in una serie di ritratti ideali il ca-sato, e a Sebastiano Bombelli, che celebra, un secolo dopo, Gerolamo in vesti da procuratore e il fratello Polo. Nel Seicento infatti la famiglia raggiunge un elevato grado di ricchezza e potenza, assume una maggiore visibilità e si fanno più frequenti gli episodi celebrativi. Gerolamo (1648-1709) e Polo (1654-1728) acquistano le procuratorie straordinarie di San Mar-co, rispettivamente de citra il primo e de ultra il secondo. L’udinese Bombelli, pittore di crescente successo che sarà chiamato anche a Palazzo Ducale, viene incaricato di eseguire due grandi ritratti a figura intera di Gerolamo e di Polo, e altri quattro ritratti degli stessi di dimensioni più piccole.A maggior gloria della casata, l’avvento al soglio ducale del doge Silvestro Valier e della moglie Elisabetta Querini (1630 circa - 1709) viene immortalato in due ritratti da Nicolò Cassana nel 1694. Gli anni a cavallo tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento vedono alcuni episodi significativi riferiti a interessanti gruppi di opere. Tra questi, per arredare il “cameron della galleria”, desti-nato a funzioni di rappresentanza, sette busti marmorei tradizio-nalmente attribuiti a Orazio Marinali e noti come Bravi, oggi ri-tenuti sculture di Michele Fabris detto l’Ongaro e raffiguranti filosofi, un giovane allievo e una coppia di santi.Tra le opere riconoscibili del “cameron della galleria” vi è il

    L A F O N D A Z I O N E Q U E R I N I S T A M P A L I A

  • 23

    soffitto di Sebastiano Ricci con l’Allegoria del giorno, probabil-mente commissionato per celebrare il matrimonio di Zuanne Carlo (1681-1763) con Chiara Tron nel 1702. Il Settecento si pone come un periodo particolarmente felice per i Querini: annoverati tra i più ricchi esponenti della società ve-neziana e diventati tra i maggiori proprietari fondiari dello sta-to, parteciparono attivamente alle vicende della vita pubblica. In questo secolo tre Querini diventano procuratori di San Marco, Polo e i suoi due figli Zuan Francesco e Zuanne Carlo; ma chi assurgerà a più alti onori sarà il secondogenito di Polo, Gerolamo, prelato di gran rango dell’ordine benedettino, col nome di Angelo Maria (1680-1755), il personaggio più ragguardevole nella storia della famiglia. Uomo di grande ingegno e vivace figura di intel-lettuale, arcivescovo di Corfù e poi vescovo di Brescia, prefetto della Vaticana e fondatore della grande Biblioteca Queriniana a Brescia, ebbe anche statura internazionale per i suoi rapporti con uomini come Voltaire, Newton e Montesquieu, capace come fu di inserirsi nel più vasto dibattito dell’illuminismo europeo. Lette-rato, traduttore, collezionista ed editore, oltre che teologo, era un vanto di Venezia, tanto da venir annoverato tra i “sommi tre geni patrizi”, unitamente al doge Marco Foscarini e all’abate filosofo Antonio Conti. Altro illustre membro della casata è Andrea (1710-1795). Influente senatore della Dominante, mecenate protettore di Carlo Goldoni e Pietro Longhi, a lui si deve la committenza di due dei nuclei più significativi della collezione. Longhi intorno al 1750 dipinse per Andrea la scena d’interno con la Lezione di geografia, tra il 1755 e il 1757 la serie dei Sette Sacramenti, destinati ad arredare la camera da letto, nel 1761 la Frateria di Vene-zia e nel 1762 il Casotto del leone, opere che fanno parte delle quindi-ci tele dell’artista che appartengono all’asse ereditario. Sempre per Andrea lavora nel 1782 nella casa dominicale ai Santi Quaranta

    L A F O N D A Z I O N E Q U E R I N I S T A M P A L I A

    a Treviso, Gabriel Bella, un pittore minore. Il Museo conserva sessantasette tele di quest’artista che fa rivivere feste popolari, bal-li, teatri, cerimonie ufficiali della Repubblica, in parte provenien-ti dalla casa dominicale, in parte dalla famiglia Giustinian. Figura chiave in seno alla casata è stata quella di Alvise, nipo-te prediletto di Andrea e padre del conte Giovanni. Dal 1795 al 1797 visse a Parigi come ultimo ambasciatore della Serenissima Repubblica in Francia. A lui si deve l’acquisto del prezioso servi-zio in porcellana di Sèvres che arreda la sala da pranzo. La storia della Dominante, della famiglia e del patrimonio conti-nuano a procedere insieme.Dalla metà del Settecento la morsa dei debiti attanaglia il patri-monio queriniano divenendo pesantissima a fine secolo. Nel pri-mo Ottocento ne consegue un’ampia manovra di disinvestimenti tale da spingere Alvise e i suoi tre fratelli a decidere di rendere disponibile per la vendita persino la biblioteca e la galleria, che la tradizione familiare voleva custodite integre e, per quanto pos-sibile, regolarmente accresciute. A causa del collasso economico e sociale della nobiltà veneziana alla caduta della Repubblica, il mercato risultava invaso da libri e opere d’arte e non interessa-to alla gran parte dei beni Querini. Diversamente, anche queste raccolte, oggi di pubblico uso, sarebbero state disperse come tante altre biblioteche e collezioni d’arte di cui era ricchissima la città. Dal terzo decennio dell’Ottocento si affaccia sulla scena Giovan-ni, “padre” della Fondazione intitolata al nome della famiglia Querini Stampalia. Uomo di difficile carattere, ma ottimo am-ministratore e collezionista attento, ebbe in sorte alcune sottra-zioni durante il saccheggio del suo Palazzo nel 1849, compensate dalle eredità Lippomano, Garzoni e Polcastro, che contribuirono all’incremento delle raccolte d’arte.Oggi il Museo si propone al pubblico come una dimora storica che conserva l’atmosfera di un tempo, aprendo tuttavia le porte

    pagina precedente: Palazzo Querini Stampalia, installazione di Joseph KosuthLa Materia dell’Ornamento

  • 25

    ad iniziative, concerti ed esposizioni sia di arte antica che di arte contemporanea.Dal 1996 si organizzano ogni fine settimana, in collaborazione con la Scuola di Musica antica di Venezia, e di recente anche con la Fondazione Ugo e Olga Levi di Venezia, quattro concerti di musica antica.Dal 2004, con il sostegno della Regione del Veneto, si realizza il progetto “Conservare il futuro”. Questa iniziativa vuole essere una sfida coraggiosa che implica il confronto con un passato da tutelare e un futuro da progettare. Gli artisti, con la loro sensibi-lità, vengono invitati a dialogare con le opere del passato. Hanno già esposto in Museo: Elisabetta Di Maggio, Remo Salvadori, Giuseppe Caccavale, Georges Adéagbo, Stefano Arienti, Maria Morganti, Mariateresa Sartori.Una nuova iniziativa è “Ospiti illustri. Capolavori dai maggiori musei del mondo alla Querini Stampalia” che prevede di esporre nelle sale del Museo un capolavoro proveniente da altre Istituzio-ni o collezioni private. Sono già stati esposti: Il riposo durante la fuga in Egitto di Jacopo Bassano di proprietà della Biblioteca Ambro-siana di Milano e la Medusa di Gian Lorenzo Bernini dei Musei Capitolini di Roma.

    L A B I B L I O T E C A

    La Biblioteca trae origine anch’essa dalla donazione dell’inte-ro patrimonio culturale dell’antica famiglia Querini alla città e “all’uso pubblico”, e nei suoi oltre centotrenta anni di vita essa è divenuta la “biblioteca dei veneziani”, frequentata da un pubblico eterogeneo di lettori, studenti, studiosi, sia italiani che stranieri, e comuni cittadini, che utilizzano le diverse sezioni delle raccolte bibliografiche.

    L A F O N D A Z I O N E Q U E R I N I S T A M P A L I A

    Remo SalvadoriNel momento

    Biblioteca

    Giuseppe CaccavaleCorallo

  • 27

    Collocata al primo piano del Palazzo sede, nelle stesse stanze abi-tate dagli ultimi membri della famiglia e dallo stesso fondatore, le sale della Biblioteca mettono a disposizione dei lettori oltre 32.000 volumi collocati a scaffale aperto e circa 400 periodici correnti, affiancando agli arredi in legno scolpito, voluti dal bibliotecario Arnaldo Segarizzi nei primi anni del Novecento, tavoli e scaffali di design moderno.L’intero patrimonio bibliografico, costituito da oltre 340.000 vo-lumi, si articola nei fondi storici della biblioteca di famiglia e nelle raccolte moderne andatesi organizzando dal 1869, anno della co-stituzione della Fondazione Querini Stampalia. Non vi è un dato cronologico sicuro sul primo formarsi della bi-blioteca di famiglia, anche se certamente esso va ricercato nella raccolta di memorie domestiche, e precisamente nei manoscritti dove ricorre il nome del casato; a questo nucleo più antico si ag-giungono nel corso di sette secoli altri manoscritti e documenti relativi alle attività e agli interessi dei membri della famiglia.Fa parte sempre del fondo storico la considerevole collezione di libri a stampa dalla fine del Quattrocento all’Ottocento, compo-sta di circa 42.000 esemplari, 3.000 incisioni e oltre 350 carte geografiche e antichi mappali. I documenti più antichi sono carte e manoscritti membranacei quali l’importantissimo Capitulare nauticum (XIII-XVI secolo), la Promissio contra maleficia (XIV secolo), le Favole esopiane (XIV seco-lo), il codicetto con i Privilegi dei veneziani in Siria (XIII-XIV secolo), il Libro del Sarto (XVI secolo) e varie Commissioni ducali.Tra i più appassionati raccoglitori di libri della famiglia sono da ri-cordare: il cardinale Angelo Maria Querini (1680-1755) ami-co e corrispondente degli uomini più in vista del suo tempo, tra i quali Federico II di Prussia e Voltaire; Andrea Querini (1710-1795), “ragguardevole amatore e protettor delle lettere”, come ebbe a chiamarlo il Cesarotti e infine Alvise Querini (1758-1834),

    L A F O N D A Z I O N E Q U E R I N I S T A M P A L I A

    Biblioteca

  • 29

    padre del fondatore, la cui passione per la musica si tradusse nell’odierno fondo di opere musicali a stampa, tra cui 450 libretti d’opera, di balli e cantate, della fine del Settecento e inizi dell’Ot-tocento.Non va dimenticato che le collezioni della famiglia, così come l’archivio, si arricchirono anche dei testi confluiti nella biblioteca familiare attraverso i legami matrimoniali o ereditari con altre nobili famiglie veneziane, quali, fra altri, i Tron, i Mocenigo, i Dolfin, i Contarini e i Lippomano.Notevole rilevanza per lo studio del patriziato veneziano, nella sua conduzione della politica e degli affari, detiene l’archivio della famiglia. L’Archivio privato si compone di 120 buste contenenti documenti, lettere e disegni dal XVI secolo al 1869, esso è com-pletamente riordinato e descritto nell’Inventario edito nel 1987.La fase moderna della storia della Biblioteca prende avvio con il conte Giovanni (1799-1869). Giurista ed economista, con spic-cata vocazione per le scienze fisiche, matematiche e naturali, in-ventore e imprenditore spregiudicato rispetto al periodo storico e alla struttura della società a lui contemporanea, lascia, di questa sua inclinazione, larga traccia nelle collezioni librarie che cura e riordina continuando i cataloghi iniziati dai predecessori e col-mando, ove possibile, le lacune.Alla sua morte egli lascia in dono a Venezia il suo patrimonio per istituire una Fondazione “... atta a promuovere il culto dei buoni studj, e delle utili discipline” indicandone così la vocazione, che nel tempo si è mantenuta, di biblioteca di carattere generale pur con alcune peculiarità e specializzazioni. Nel suo testamento stabilisce fra l’altro che la Biblioteca dovrà ri-manere aperta “... in tutti quei giorni, ed ore in cui le Biblioteche pubbliche sono chiuse, e la sera specialmente per comodo degli studiosi”. Questo dettato testamentario ancora vigente garantisce un’apertura giornaliera di ben quattordici ore e la possibilità di

    L A F O N D A Z I O N E Q U E R I N I S T A M P A L I A

    usufruire delle sale di lettura e delle raccolte anche la domenica e nelle festività, nel dettato del principio di sussidiarietà che dovreb-be contraddistinguere l’offerta culturale di una città.Il fondo moderno a stampa, costituitosi quindi a partire dal 1869, anno dell’apertura al pubblico della Biblioteca, comprende oggi oltre 250.000 volumi e viene incrementato annualmente secondo una politica delle acquisizioni che tiene conto della complessità ereditata dal testamento del fondatore e cerca di rispondere alle esigenze che la sua tradizione, la sua storia e la sua mission attuale le richiedono.Gli stessi bibliotecari chiamati a dirigerla hanno cercato di man-tenersi il più possibile fedeli al dettato testamentario e alla tradi-zione della famiglia Querini. Il primo fu Gustavo Adolfo Ungher “... mio vecchio maestro e distinto filologo”, dal Conte Giovanni indicato nel testamento come bibliotecario della nascitura Fondazione.Leonardo Perosa (bibliotecario dal 1880 al 1904), diede ordine al ricco settore dei manoscritti. Il suo Catalogo dei codici manoscritti della Biblioteca Querini Stampalia (luglio 1883), integrato dal Reperto-rio delle persone, dei luoghi e delle cose più notevoli contenute nei codici mss. della Biblioteca Querini Stampalia (1884), è tuttora in uso.Arnaldo Segarizzi (bibliotecario dal 1905 al 1924) applicò le più recenti acquisizioni della scienza biblioteconomica dan-do inizio ad un nuovo catalogo per il quale utilizzò schede di formato internazionale; realizzò poi uno tra i primi esempi in Italia di catalogo per soggetti che alla f ine fuse, in un’unica serie alfabetica, con le schede per autore dando forma al cata-logo dizionario, tuttora in uso, che rispecchiava l’idea di una biblioteca attenta alle esigenze di tutti i propri utenti, e non solo dei più dotti.Manlio Dazzi (direttore dal 1926 al 1957) curò appassiona-tamente lo sviluppo delle varie discipline bibliografiche, con

  • 31

    particolare riguardo (era uomo di lettere e fine poeta) a quelle umanistiche, e rese la Fondazione un centro vivacissimo di cultu-ra letteraria, artistica e civile. Giuseppe Mazzariol (direttore dal 1957 al 1974) ha dato all’Istituto la sua vitalità odierna “... ritenendo che una biblioteca per essere viva debba assolvere prima di tutto ad una funzione di promozione culturale e civica”.Giorgio Busetto (direttore dal 1984 al 2004) nei venti anni di direzione ha impresso il volto odierno della Biblioteca: la ristrut-turazione dello scaffale aperto nel 1987; l’adesione, alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, al Servizio Bibliotecario Naziona-le e al suo catalogo nazionale; la messa a disposizione del pubblico di tecnologie informatiche; la riapertura dell’Emeroteca con oltre 350 periodici correnti direttamente utilizzati dall’utenza; le sale di lettura e gli orari di apertura aumentati; i nuovi depositi librari interni ed esterni. Linee di intervento che, con rinnovata attenzione alla salvaguar-dia e alla riproposta del ruolo che la Fondazione ha avuto sin dal primo Novecento in Venezia e nel mondo e in ossequio alla vocazione espressa dalle volontà del Fondatore, si legano senza soluzione di continuità con l’opera dei predecessori.Negli ultimi decenni del secolo scorso ha trovato sistematicità e struttura la molteplice rete di relazioni intessute dalla Fondazione con altre istituzioni culturali di ambito locale e nazionale.Dal 1982 infatti una convenzione con il Comune di Venezia rico-nosce formalmente alla Querini Stampalia quel ruolo di Bibliote-ca civica che ricopre nei fatti fin dall’inizio del Novecento, quan-do il Consiglio di Presidenza deliberò di trasformare il Gabinetto di Lettura in una Biblioteca aperta ad una più ampia cerchia di lettori e in particolare agli studenti. Sempre dalla fine degli anni Ottanta la Biblioteca entra nel Polo veneziano di SBN, Servizio Bibliotecario Nazionale, e rende

    disponibili nel catalogo collettivo nazionale, consultabile attraver-so Internet, le informazioni relative alle proprie acquisizioni.Decennale anche la collaborazione con le amministrazioni regio-nale e provinciale: nel 1998 la Regione del Veneto istituisce pres-so la Fondazione la Biblioteca regionale specializzata in materia di archivi e biblioteche, che la Biblioteca seguita a implementare con l’acquisto di repertori, periodici e monografie. La Biblioteca inoltre aderisce al Sistema Bibliotecario Museale della Provincia di Venezia.

    Enrico ZolaDirettore della Fondazione Querini Stampalia

    L A F O N D A Z I O N E Q U E R I N I S T A M P A L I A

  • 33

    Dopo la morte di Giovanni, avvenuta il 5 maggio 1868, la collezio-ne di famiglia venne immediatamente ripensata in termini museali. Nel 1872 i tre curatori della Fondazione: Roberto Boldù (che aveva da poco sostituito il senatore Agostino Sagredo), Giacinto Namias e Giambattista Lucietti decisero di trasferire parte del patrimonio artistico al secondo piano del Palazzo e di aprire al pubblico per la prima volta la Galleria rendendola accessibile gratuitamente un giorno alla settimana. Lo spazio espositivo comprendeva venti sale di media grandezza e un ampio salone nel quale venne esposta su un mobile la Pian-ta di Venezia di Jacopo de’ Barbari insieme al busto del cardi-nale Angelo Maria Querini di Giacomo Cassetti, ai sette busti dell’Ongaro e ai quattro globi. Una sala fu destinata esclusivamente a quadri acquistati dopo la nascita della Fondazione – Giovanni Barbarigo libera Maria, re-gina d’Ungheria di Raffaele Giannetti, Interno della chiesa di San Zaccaria di Federico Moia, Sacco del palazzo Querini nel 1849 di Luigi Rossi, Ultimo addio a Jacopo Foscari di Giulio Carlini, Ago-stino Sagredo di Luigi Viviani, La villa Querini Polcastro a Loreggia di Marianna Marin –, una dedicata alle “memorie Querini”, mentre le altre furono allestite prevalentemente in modo tematico (ritratti, ritratti di famiglia, opere mitologiche, opere a carattere religioso, paesaggi) o con i dipinti di un singolo artista (Pietro Longhi, Gabriel Bella, Palma il Giovane).Tutti gli ambienti esponevano un numero cospicuo di opere: qua-dri, sculture, incisioni, miniature, arazzi e diverse tipologie di og-getti di famiglia: porcellane di Sèvres, album con intarsiature in madreperla, una bussola, antichi calamai in bronzo, sigilli, una

    Restauri e allestimenti storici del Museo

    Facciata di Palazzo Querini Stampalia, primi Novecento

  • 35

    tabacchiera con mosaico di Roma, modellini di cannone, un bas-sorilievo in marmo raffigurante un filosofo, un dito in marmo di una statua greca, scodellini turchi, un antico vaso in vetro, due piatti giapponesi, un turcasso veneto con frecce, antichi bottoni veneziani, strumenti musicali, una camicia a rete di filo di rame, chicchere in legno e un taccuino turco. Negli anni successivi il Museo fu interessato da numerosi inter-venti di restauro e continui allestimenti condizionati in buona parte dagli eventi bellici del periodo, che ne determinarono anche la chiusura e lo smantellamento quasi completo.Durante la prima guerra mondiale infatti la Galleria venne chiu-sa al pubblico e, per una maggiore sicurezza, buona parte dei di-pinti fu portata al piano terra in casse di ferro zincato e una parte trasferita fuori città.Subito dopo il conflitto bellico, il Museo si trovava in uno “stato miserando” talmente preoccupante che Angelo Scrinzi, uno dei più stimati cultori veneziani dell’arte, aveva più volte proposto di trasferire la collezione al Museo Correr di Venezia. A queste affermazioni aveva risposto pubblicamente anche Giu-lio Lorenzetti sostenendo che trasferire la collezione in altra sede avrebbe significato dimenticare la storia e privare le opere di quella particolare atmosfera che lega gli oggetti al palazzo che li custodisce e alla famiglia che li ha posseduti: “annullare questi piccoli centri d’arte, queste piccole oasi di bellezza, che ancora sopravvivono nel gran naufragio di cose e di memorie del passato, è un gran male: tanto più quando, come nel caso della Querini Stampalia si ha la fortuna di possedere vecchi mobili deliziosi, arazzi, suppellettili originali, alcuni dei quali sono dei veri gioielli…”.Fortunatamente, nonostante la Fondazione si trovasse ancora in ristrettezze economiche, nel 1925 la Galleria venne riaperta al pubblico e per l’occasione fu studiato e realizzato un nuovo alle-stimento a cura di Giovanni Bordiga e Angelo Alessandri.I curatori, per ricreare l’atmosfera della casa di famiglia, decisero

    Portego, allestimento 1934 R E S T A U R I E A L L E S T I M E N T I S T O R I C I D E L M U S E O

    Sala dei ritratti, allestimento 1967

  • 37

    di non esporre i mobili e le tele moderne ovvero tutto ciò che era giunto in Fondazione o che era stato acquistato dopo la morte del conte Giovanni.Bordiga così racconta il loro lavoro: “Siamo stati qui, noi due vecchi amici, lunghe mattine d’inverno, a far aprire nuove finestre, abbattere pare-ti, schiudere passaggi, togliere e collocare cornici, ritogliere e ricollocare, ornare e disornare; l’elenco non conta. Soli non eravamo; se una galleria rimane per lungo tempo chiusa al pubblico e soltanto qualche devoto ricercatore vi passi, allora sembra che le figure create dai pittori non stiano più fisse dentro le pro-prie cornici, come quando i visitatori si affollano loro d’intorno e i guardiani vegliano da presso; ma esse scendono, si muovono, rompono il silenzio del luogo, si dicono cose, si raccontano vicende che non dicono a tutti e riempiono di vita strana la apparente solitudine. Così la nostra dimora quasi quotidiana nelle sale abbandonate e fredde, dove noi eravamo le sole persone reali, aveva fatto nostra confidente e collaboratrice tutta quell’altra gente trasformata dall’arte in realtà ideale… […]. Allontanato dalle sale ogni soverchio di pompa, tolto quel troppo di artificio che spesso hanno le cose ufficialmente numerate, regolarmente catalo-gate, rigorosamente conservate; dato alla casa, fin dove era possibile, l’aspetto che essa aveva quando vi abitava il nobile signore e che Egli desiderava conservato dopo la sua morte, noi, colla nostra modesta e materiale fatica, abbiamo voluto soltanto fedelmente servire e fedelmente ricordare la semplicità della vita di Lui”.La lunga citazione vale a dar conto tanto della personalità di Bordiga, allora presidente della Fondazione, insigne matematico ma nel contempo anima di tutte le iniziative dell’arte in Venezia, dalla Biennale all’Istituto superiore di Architettura, quanto dei criteri seguiti nell’allestimento, dove il rapporto ancora romantico con le opere giustifica una certa disinvoltura nel murare e nello smurare dentro al Palazzo rinascimentale.L’allestimento del 1925 venne qualche anno più tardi rivisto dal nuovo direttore della Fondazione Manlio Dazzi.Nel 1934 Dazzi iniziò il lavoro in Museo con la volontà di risiste-mare solo alcune sale affinché queste potessero risultare più adatte

    alle “riunioni culturali” che la Fondazione stava organizzando, ma presto il suo coinvolgimento fu totale ed egli ripensò completa-mente l’allestimento della Galleria.Dazzi, prima di iniziare l’impresa, si consultò con Moschini che gli consigliò di diradare l’esposizione e riordinare radicalmente la quadreria. Con questo intervento numerose opere vennero spostate da una sala all’altra, centonovantadue furono collocate nelle sale di let-tura della biblioteca e circa quarantacinque vennero riposte nei depositi. Vennero valorizzati gli arredi, quasi completamente as-senti nell’allestimento precedente.Furono esposti anche modelli di artiglieria, armi e, all’interno di vetrine, furono collocati il servizio da tavola di Sèvres, alcuni og-getti personali, piccole sculture, miniature, bronzi, pezzi di arche-ologia, ceramica, servizi orientali e biscuit.Dazzi desiderò arricchire l’esposizione con il raffinato salotto pompeiano dello Jappelli che si trovava in soffitta e acquistò sul mercato antiquario la splendida tappezzeria di lampasso per il riallestimento del salotto rosso. Tutti i lavori si svolsero in un periodo brevissimo: gli interventi mura-ri iniziarono a fine febbraio, il riallestimento cominciò il 18 aprile e il 12 maggio 1934 il Museo era pronto per essere riaperto al pubblico.Durante la sua direzione Manlio Dazzi intervenne costantemente nell’allestimento, ma il nuovo pericolo bellico lo obbligò a richiu-dere la Galleria, a mettere al riparo le opere più significative e a smantellare numerose sale.Finalmente, l’8 giugno 1946 la Fondazione riaprì il Museo con un allestimento diverso che aveva richiesto numerosi ed impegnativi interventi di restauro sia dell’edificio che delle opere d’arte, degli arredi e delle suppellettili di pregio.Solo negli anni Novanta il Museo venne dotato di impianto elet-trico e di impianto di climatizzazione.

    R E S T A U R I E A L L E S T I M E N T I S T O R I C I D E L M U S E O

    pagine seguenti:Camera da letto, allestimento 1941Sala da pranzo, allestimento 1941

  • 39

  • 41

    Nell’esecuzione dei numerosi interventi tecnici la Fondazione dovette tener conto delle nuove norme sulla sicurezza dei luoghi aperti al pubblico che contribuirono a sminuire la qualità estetica dell’esposizione museale.Nel 1998, grazie alla generosità del Comitato Francese per la Sal-vaguardia di Venezia, sì è potuto avviare in Museo un progetto di restauro degli affreschi e degli stucchi (portego e camera da letto) per continuare poi, nel 2000 con risorse della Soprintendenza (sala da pranzo e sala mitologica), e nel 2005 con l’aiuto della Presiden-za del Consiglio dei Ministri con fondi dell’otto per mille dell’IR-PEF (le sale lungo il canale, la sala Ottocento, la sala con le scene di vita veneziana e lo studiolo con i paesaggi di Marco Ricci).Questi ultimi interventi di restauro hanno costituito l’occasione per ripensare l’allestimento ricreando l’atmosfera dell’antica di-mora veneziana del Settecento senza rinunciare alla veridicità storica.Il progetto di restauro diretto da Mario Gemin e quello di rial-lestimento curato da Chiara Bertola hanno cercato di conciliare le esigenze storico-artistiche con quelle museografiche e di tutela per garantire, da un lato, l’esposizione e la conservazione delle opere più significative della collezione, e dall’altro, la migliore fruizione possibile senza tuttavia rinunciare a quella suggestiva atmosfera tanto cara a Giovanni Querini.

    Babet TrevisanResponsabile del Museo

    R E S T A U R I E A L L E S T I M E N T I S T O R I C I D E L M U S E O

  • 43

    I. Portego

    Il portego, ingresso originale alla dimora storica, è una delle sale più caratteristiche del palazzo veneziano.La concezione del monumentale ambiente risale all’impianto com-positivo della casa-fondaco medievale: residenza e azienda insie-me. Il portego era luogo di rappresentanza, di feste e ricevimenti, ma anche spazio dove mostrare ai clienti i campioni delle merci. Il salone che, al piano terreno, collegava l’ingresso dall’acqua con quello da terra, si ripeteva uguale ai piani superiori con funzioni di disobbligo e raccordo per le stanze che vi si affacciavano, ed era leggibile sulla facciata principale in corrispondenza della fi-nestratura polifora.Nel Settecento si assiste a Venezia alla revisione e modifica delle strutture interne dei palazzi nonché al moltiplicarsi di imprese decorative secondo il nuovo gusto neoclassico.Nel 1790, in occasione del matrimonio celebrato tra Alvise e Ma-ria Teresa Lippomano, genitori di Giovanni, anche Palazzo Que-rini Stampalia fu ristrutturato in senso “moderno”.Il cantiere venne affidato al proto Antonio Solari e successiva-mente a Girolamo Vianello mentre, per la realizzazione dei nuovi decori, vennero chiamati Jacopo Guarana, l’ornatista Giuseppe Bernardino Bison, il doratore Domenico Sartori e i fratelli stuc-catori Giuseppe e Pietro Castelli.Le numerose sale affrescate da Jacopo Guarana (Venezia, 1720-1808) al secondo piano del Palazzo costituiscono uno tra i più vasti cicli d’affreschi dell’artista. Il Guarana raffigura nel plafond centrale del soffitto l’Allegoria dell’Aurora affiancata da finti mono-cromi raffiguranti putti allusivi alle Arti (Architettura, Scultura, Musica e Pittura), altre Allegorie e due lunette con Leda e Danae.

  • 45

    Il Guarana, con sorprendente disinvoltura, abbandona i suoi modi abituali, legati alla cultura tardo-barocca, per accordarsi alle raffinate ambientazioni classicheggianti e per adottare un nuovo risalto disegnativo nelle figure, che rimpiccioliscono, pur inserite, ancora, nel filone culturale tardo tiepolesco.Nell’ottagono centrale Aurora, coronata di rose e posta alla guida del carro del Sole, è accompagnata dalla Stella del mattino, figu-ra femminile dalle cui lacrime ha origine la rugiada.Questo soggetto, ricorrente nelle camere da letto e nelle sale a carattere più intimo, richiama l’idea dello scorrere del tempo e rimanda alla meditazione sul significato della vita e sul suo evol-versi. L’apparato decorativo va interpretato come un messaggio di buon auspicio per gli sposi novelli e per tutta la famiglia.Alle pareti le raffinate soluzioni degli ornati a stucco su sfondo verde dei fratelli Giuseppe (1755-1822) e Pietro Castelli al-ternano eleganti candelabre parietali a medaglioni sopra porta con testine virili di profilo, diverse tra loro, e nastri svolazzanti. Scandiscono invece gli spazi affrescati del soffitto gli stucchi raffi-guranti fiori e ripetute immagini di soli e stelle, quasi a voler sot-tolineare nuovamente, come nell’affresco, lo scandire del tempo.Disposti su mensole lungo le pareti sono collocati i busti in mar-mo di alcuni Filosofi, di san Giovanni Evangelista, di san Giovanni Battista e di un Giovane allievo, opere di Michele Fabris detto l’Ongaro (Bratislava, 1644 circa - Venezia, 1684) insieme al busto del cardinale Angelo Maria Querini di Giacomo Cassetti (notizie 1682-1757).I sette busti erano tradizionalmente noti come Bravi, con riferi-mento alle famigerate guardie di Francesco Querini e venivano attribuiti ad Orazio Marinali. Solo di recente le sculture sono state restituite all’Ongaro, uno dei maggiori protagonisti della scultura veneta della seconda metà del Seicento.I Filosofi costituiscono una sorta di “ritratti immaginari”.

    Giacomo CassettiAngelo Maria Querini

    Jacopo GuaranaAllegoria dell’Aurora, particolare

    Michele Fabris detto l’Ongaro Filosofo

    I . P O R T E G Opagina precedente:Lampadario “Rezzonico”

  • 47

    San Giovanni Evangelista ha il volto angelico di un adolescente e lunghi capelli a boccoli sulle spalle, mentre san Giovanni Battista è raffigurato come eremita coperto da una pelle d’animale, dal cui risvolto fuoriesce il vello, il viso incorniciato da lunghi capelli dritti, da baffi e da una barba rada.I dati relativi alla committenza delle sculture non ci sono noti ma pare difficile non collegarli a Gerolamo e Polo Querini e a quell’Accademia dei Paragonisti, aperta nella seconda metà del Seicento nel loro Palazzo, sotto la protezione dei due futuri procu-ratori, dove venivano discusse “le più nobili questioni erudite”.Nel lato verso il giardino sono visibili il Globo celeste e il Globo terre-stre di Willem Blaeu (Alkmaar, 1571 - Amsterdam, 1638) fonda-tore di uno dei più grandi laboratori cartografici olandesi.Il globo celeste serviva a rappresentare la superficie concava del cielo con le sue costellazioni, mentre quello terrestre la superficie della terra, con i mari, le isole, i fiumi, i laghi e le città. Il sontuoso lampadario “Rezzonico” in vetro di Murano dalla ricca festosità policroma e fiorita è composto da una struttura me-tallica rivestita di vetro soffiato e da un ricco apparato decorativo di fiori e foglie in vetro incolore e colorato. Questa tipologia di lampadario chiamato “ciocca” (mazzo di fio-ri), è documentata sin dal quarto decennio del Settecento come opera del vetraio muranese Giuseppe Briati (Venezia, 1685-1772) ed era stato ideato come la risposta veneziana ai lampadari boemi. (BT)

    Willem BlaeuGlobo celeste

    I . P O R T E G O

  • 49

    Il terrazzo alla veneziana è frutto della genialità dei popoli latini, capaci di sfruttare i poveri elemen-ti a loro disposizione per creare un prodotto di pregevole valore artisti-co. Questo tipo di pavimentazione, di origine molto antica, trovò la sua compiutezza formale a Vene-zia, dove nel 1586 sorse “l’Arte dè Terrazzeri” e la prima regolamen-tazione scritta delle regole costrut-tive. Originariamente in calce, ora anche in cemento, il terrazzo alla veneziana ha subito numerose e continue evoluzioni nel corso dei secoli, adattandosi ai gusti di ogni epoca.

    I . P O R T E G O

    Portego

  • 51

  • 53

    II. Sala Giovanni Bellini

    La tavola, di cui non si conosce la provenienza e l’esatta data d’ingresso nella collezione di famiglia, è indicata come opera di Andrea Mantegna da una iscrizione in caratteri corsivi, probabil-mente settecenteschi, collocata sul retro del dipinto.L’opera ha conosciuto negli anni una vicenda critica piuttosto complessa fino a quando nel 1916 Berenson l’attribuì definitiva-mente a Giovanni Bellini (Venezia, 1438/1440 circa - 1516), confermato da quasi tutta la critica successiva.La Presentazione di Gesù al Tempio, collocata su un cavalletto in legno disegnato da Carlo Scarpa (Venezia, 1906 - Sendai, 1978), raf-figura il momento saliente dell’episodio evangelico in cui si narra che Giuseppe e Maria, compiuti i quaranta giorni dal parto, se-condo la legge ebraica presentano il loro primogenito al Tempio di Gerusalemme per consacrarlo a Dio. Nel Tempio li accoglie il vecchio e giusto Simeone, che rappresenta simbolicamente il passaggio dal Vecchio al Nuovo Testamento.La scena si svolge all’interno di un grande Tempio, che il Bellini si limita ad accennare con il ripiano marmoreo in primo piano. I personaggi sono ritratti a mezzobusto su uno sfondo scuro, come in alcune lastre tombali romane, e si appoggiano alla finta cor-nice di marmo che rappresenta l’altare dove sacro e terreno si incontrano. Il davanzale dietro il quale si svolge il cerimoniale liturgico, assai umanizzato, può anche essere letto come prefigu-razione del sepolcro cui è destinato Cristo.Al centro dell’immagine c’è Maria, che ha tra le braccia il Bam-bino e lo porge a Simeone. Il vecchio profeta, con una lunga e folta barba bianca, ha lo sguardo leggermente inclinato in segno di rispetto e adorazione.

  • 55

    La Madre, con un lungo velo bianco sulla fronte che scende fino a nasconderle i capelli, è assorta in un pensiero intimo e stringe tra le braccia il Figlio che non vuole lasciare al Suo destino di Passione e di Morte.Al centro della scena, in secondo piano, Giuseppe assiste muto all’evento e rappresenta l’uomo davanti al mistero; nella sua fi-gura è stato riconosciuto da taluni critici Jacopo Bellini, il padre di Giovanni. Assistono all’episodio evangelico altri personaggi: ai lati, in secondo piano, sono stati identificati Nicolosia Bellini ed Andrea Mantegna, la sorella e il cognato di Giovanni, che si erano sposati qualche anno prima (1453). Sul lato sinistro, in primo piano, il pittore ha raffigurato un’altra giovane donna, forse Ginevra, sua moglie, o Anna, sua madre; e sul lato destro Giovanni esegue quello che sembra essere il suo autoritratto. Il giovane guarda verso lo spettatore, quasi ad invi-tarlo all’interno della scena, dove sembra che divino e umano non abbiano confine: le figure sporgono dalla cornice verso chi le os-serva, e questi entra nel dipinto attraversando il finto parapetto. La tavolozza ricca di sfumature di rosso, l’uso di brillanti ed inten-si colori dai forti contrasti, il ricorso a una luce che arriva contem-poraneamente dal basso e dall’alto manifestano la straordinaria esperienza vissuta dal pittore nella sua città natale, Venezia. Una somiglianza piuttosto stretta pone questa tavola in relazione con l’analogo soggetto dipinto dal cognato Andrea Mantegna nel 1454-1455.La Presentazione di Gesù al Tempio del Mantegna, oggi conservata alla Gemäldegalerie di Berlino, ha infatti il medesimo impianto e in parte gli stessi attori dell’opera del Bellini. Nel 1880 circa la tavola di Giovanni Bellini fu affidata per un restauro a Placido Fabris, pittore, restauratore e copista bellunese dell’Ottocento.Fabris, pur essendo un buon conoscitore delle tecniche pittoriche

    Andrea MantegnaPresentazione di Gesù al TempioBerlino, Gemäldegalerie

    Giovanni BelliniPresentazione di Gesù al Tempio, retro

    pagine precedenti: Giovanni BelliniPresentazione di Gesù al Tempio

    I I . S A L A G I O V A N N I B E L L I N I

  • 57

    antiche, nei suoi interventi di restauro preferì sempre utilizzare un metodo di lavoro largamente empirico e approssimativo, poco rispettoso dell’originale.Anche nel dipinto queriniano l’artista intervenne nelle forme e nei colori con veri e propri rifacimenti, tanto da rendere impossibile il riconoscimento di qualsiasi precedente pennellata.Dopo il suo intervento Maria appariva con una veste dalle mani-che viola e un mantello blu con rovescio verde. Talune teste ave-vano perduto in parte i caratteri originali, specialmente la Ma-donna, il Gran Sacerdote e le figure dietro di lui; certi panneggi invece, come quello di san Giuseppe, erano stati adeguati al gusto del suo tempo.Nel 1949 la tavola fu affidata a Mauro Pelliccioli per un nuovo intervento di restauro che permise di riportare finalmente alla luce il capolavoro del Bellini sottolineandone definitivamente la paternità. (BT)

    Giovanni BelliniPresentazione di Gesù al Tempio, particolari

    Giovanni BelliniPresentazione di Gesù al Tempio,fasi del restauro eseguito nel 1949

    I I . S A L A G I O V A N N I B E L L I N I

    In passato tutti i neonati venivano avvolti nelle fasce come pic-cole mummie, con qualche rara eccezione, come il caso dei bimbi spartani, che si narra non venissero né fasciati, né cullati. In generale in tutto il mondo antico le fasce, insieme al latte, erano il simbolo dei neonati.La fasciatura era ritenuta utile a modellare il corpo del bam-bino, per riportare alla normalità le parti del corpo che si fos-sero deformate durante il parto o per risistemare un membro dislocato; inoltre la si credeva efficace a prevenire una cattiva posizione, proteggendo le ossa fragili dei neonati e dei lattanti da una crescita disordinata.

  • 59

    L’affresco Coppia di amorini con corone d’alloro, una cornice in mar-morino e riquadri policromi con decorazioni in stucco bianco di manifattura veneziana della seconda metà del XVIII secolo, de-corano il soffitto della stanza, che ospita antiche tavole e interes-santi pitture di ambito giorgionesco. Attribuita all’ultimo grande esponente del Gotico Internazionale a Venezia Michele Giambono (Venezia, notizie 1420-1462) è la tempera su tavola, di proprietà dell’IRE (Istituzioni di Ricovero e di Educazione) di Venezia e in deposito nel Museo della Fonda-zione, Crocifissione, degli anni 1420-30, dove allo sfarzo dei colori e degli ori si accompagna una dolorosa espressività. La tipologia del Cristo, incoronato di spine e dal volto reclinato di tre quarti, rimane uno dei temi prediletti del pittore, il quale, seppur attento ai problemi formali del Rinascimento, non abbandonò mai il fa-sto decorativo, coloristico e lineare del tardo gotico. Al centro della parete è esposta la tavola più antica della collezio-ne, Incoronazione della Vergine, di Donato (notizie 1344-1382/88) e Catarino (notizie 1362-1382), firmata e datata 1382. L’opera ri-entra nella tradizione neobizantina inaugurata da Paolo Venezia-no. L’accentuazione bizantina è portata all’estremo, tanto che le vesti della Madonna, del Cristo e degli angeli, sembrano lavorate in sottili smalti cloisonnés, per le fitte lumeggiature dorate. Donato e Catarino hanno lavorato insieme anche per la Croce, oggi perdu-ta, nella chiesa di Sant’Agnese a Venezia. Pittore legato alla famiglia Querini era il bergamasco Jacopo Negretti detto Palma il Vecchio (Serina, 1480 circa - Vene-zia, 1528), che si stabilì a Venezia nel 1510. Qui aderì alla nuo-va maniera inaugurata da Giorgione, considerato alla metà del

    III. Sala delle tavole

  • 61

    Cinquecento il creatore dello stile moderno in pittura. Per “mes-sere Francesco Querini” Palma dipinse cinque opere, commissio-nate a breve distanza di tempo, che si trovavano ancora nella bot-tega dell’artista alla sua morte, avvenuta il 30 luglio 1528. Le due sacre conversazioni qui esposte provengono da tale nucleo di ope-re. Madonna con due sante, san Francesco e san Pietro presenta il caratte-ristico schema compositivo serrato e quasi in rilievo del maestro, mentre l’eccessiva particolareggiatura e la pesantezza del drap-peggio conducono alla sua bottega. Riferita sempre all’ambito della bottega è Madonna con santa Caterina, san Francesco, san Gio-vanni Battista e san Nicola. Palma aveva avviato infatti una delle più affermate botteghe veneziane, portata avanti poi da Bonifacio de’ Pitati. Entrambi gli artisti avevano trovato nelle sacre conversa-zioni uno dei temi a loro più congeniali, come in questo quadro dove la Vergine con il Bambino emerge con sorprendente forza in un atteggiamento pieno di tenerezza e solennità. La larga campi-tura dei colori accesi e l’intonazione reale della luce ricordano la mano di Palma, mentre si può intravedere il segno di Bonifacio nella pennellata più sciolta e nella figura di santa Caterina, moti-vo ricorrente nei dipinti di questo pittore.Partecipano alla medesima poetica delle opere palmesche altri dipinti coevi, o di pochi anni posteriori, della collezione come la Giuditta di Vincenzo Catena e la Sacra Conversazione di Polidoro da Lanciano. Giuditta di Vincenzo Catena (Venezia, 1470/80-1531), del 1517 circa, è un esempio di bella pittura neoclassica del primo Cin-quecento veneziano, dallo stile composto e classicamente tornito. Ritenuta di Giorgione o della sua scuola negli inventari ottocen-teschi del Museo, l’opera venne attribuita a Palma il Vecchio e infine a Catena. Quest’ultimo è considerato il vero pittore ritrat-tista della generazione giorgionesca. La modella riprodotta in Giuditta impersona, con minime variazioni, il tipo femminile di

    Jacopo Negretti detto Palma il VecchioMadonna con due sante, san Francesco e san Pietro

    pagina precedente: Donato e CatarinoIncoronazione della Vergine, particolare

    Michele GiambonoCrocifissione

    I I I . S A L A D E L L E T A V O L E

    Donato e CatarinoIncoronazione della Vergine

  • 63

    I I I . S A L A D E L L E T A V O L E

  • 65

    molte effigi di sante. Se il dipinto è in qualche misura autobiogra-fico, si può identificare la donna con Rosa da Scardona, la nuova “màmola”, la concubina del pittore destinata ad essere modella ideale. Il capo di Oloferne è quello di un uomo rimasto vittima del dolce ma temibile inganno amoroso e si può avanzare l’ipotesi che si tratti di un autoritratto del Catena. Un dipinto semiprivato, forse una “poesia” in cui il pittore canta la donna amata. Dell’artista abruzzese Polidoro di Mastro Renzo da Lancia-no (Lanciano, 1510/15 - Venezia, 1565), attivo a Venezia nell’am-bito tizianesco verso la metà del Cinquecento, è la Sacra Conver-sazione del 1540 circa. Ancor giovane, Polidoro partì nel 1536 da Lanciano per andare a cercare fortuna nella città lagunare, dove lavoravano artisti come Tiziano, Veronese e Tintoretto. In questa tela, che rivela l’eleganza e le forme del manierismo tosco-romano con la vivace cromia tutta veneziana, il pittore si distacca in parte dal cono d’ombra proiettato da Tiziano, rivelan-dosi compagno di strada di Schiavone, di Bassano o del giovane Tintoretto. Tra le finestre Madonna col Bambino di Bernardo Strozzi (Ge-nova, 1581/82 - Venezia, 1644). La tela, attribuita negli antichi inventari a Rubens, fa parte della cospicua produzione di opere di committenza privata realizzate dal pittore negli ultimi anni di attività veneziana. Nonostante il soggetto devozionale, Strozzi propone in questo dipinto, con un’interpretazione personalissima del colore veneziano, una figura femminile tipicamente barocca dalla folta chioma sciolta sulle spalle, le labbra colorite e la veste rossa. Maria sorregge in braccio il Bambino e il suo sguardo vela-to di malinconia, che prefigura il sacrificio divino, sembra essere l’unica connotazione di Madonna. Sopra le porte i ritratti di Nicolò Querini e di Francesco Querini di Marco Vecellio (Pieve di Cadore, 1545 - Venezia, 1611). Le due tele fanno parte di una serie di dodici ritratti in memoriam a mezza

    Jacopo Negretti detto Palma il Vecchio e bottegaMadonna con santa Caterina, san Francesco, san Giovanni Battista e san Nicola

    Bernardo StrozziMadonna col Bambino

    pagina precedente:Polidoro di Mastro Renzo da LancianoSacra Conversazione

    I I I . S A L A D E L L E T A V O L E

  • 67

    figura di esponenti illustri del casato dei Querini Stampalia, effi-giati su sfondi destinati ad accogliere le scritte e le piatte architet-ture allusive. Oggi se ne conservano solo sei. Di carattere celebra-tivo, i ritratti sono stati tagliati ai margini per figurare da elemento decorativo sopra le porte di alcune sale del Palazzo. (EDC)

    La spada è l’emblema delle virtù cristiane tradizionalmente at-tribuite a Giuditta. L’arma catalizza in modo magnetico l’in-tera composizione, creando un sapiente contrasto materico con la morbidezza dell’incarnato della donna. Nelle decorazioni dei pomi delle spade si nascondono precisi messaggi. La spada della nostra Giuditta presenta delle connotazioni araldiche nel profilo a tre barre verticali, ripetuto al centro dell’elso e dell’impugna-tura. Il motivo richiama le tre catene pendenti nell’originario stemma dei Catena e rappresenta un indice di nobiltà.

    I I I . S A L A D E L L E T A V O L EVincenzo CatenaGiuditta

  • 69

    Sono qui esposte La conversione di san Paolo di Andrea Medulich detto lo Schiavone (Zara 1510/15 - Venezia 1563) e le tele, tut-te provenienti dal lascito familiare, dipinte da Jacopo Negretti detto Palma il Giovane (Venezia, 1548-1628), uno dei maggiori e più prolifici protagonisti del Manierismo veneziano. L’opera dello Schiavone, una delle figure più significative dell’arte veneta del Cinquecento, è considerata un capolavoro del manieri-smo veneziano per il suo straordinario dinamismo compositivo. Il dipinto si ispira al cartone di Raffaello per uno degli arazzi della Sistina La conversione di San Paolo, cartone presente nella città lagunare a Palazzo Grimani nel 1521. Nell’impennarsi dei cavalli si leggono echi del Pordenone, che rappresentava, nel mondo pittorico veneziano di quegli anni, una brillante moda culturale. Un Pordenone, però, sempre filtrato dallo studio del Parmigianino, le cui raffinate eleganze ritorna-no anche in quest’opera dalla pennellata f luida e cromaticamente esuberante. Alle altre pareti le tele di Palma il Giovane, costituiscono un cor-pus completo della produzione di piccole dimensioni dell’artista. L’Autoritratto, di cui si conserva un disegno a penna alla Pierpont Morgan Library di New York, fu eseguito dall’artista intorno al 1606-1608. Palma si rappresenta leggermente di tre quarti su uno sfondo nero dove la luce proviene sia dal bel volto di uomo maturo che dal collo della camicia chiara. In questo dipinto, così come nei suoi rari esempi di ritrattistica, vi è una spontaneità e una semplicità narrativa non comuni; anche in questo caso l’umanità dello sguardo è resa con insolita bravura.La tela San Nicola di Bari dota le tre fanciulle, una delle migliori opere

    IV. Sala della Maniera

  • 71

    datata al 1624 e quindi ascrivibile all’ultima produzione dell’ar-tista, narra di un miracolo di san Nicola ad un vecchio che, per mancanza di denaro, stava per avviare alla prostituzione le tre figlie. Palma rappresenta l’episodio con grande attenzione alla psi-cologia dei personaggi: stravolge gli schemi dell’iconografia tradi-zionale che voleva le tre sorelle coricate nello stesso letto, mentre la mezzana fugge spaventata dal santo. La scena vede in primo piano le tre giovani intente a discutere tra loro in modo concitato; il pa-dre invece è in secondo piano, seduto al tavolo e illuminato da una fioca candela. Sullo sfondo nero appare il santo, attraverso una finestrella con una grolla d’oro tra le mani; la tavolozza cromatica fa intuire l’intimità e la discrezione della composizione pittorica.Molto più di maniera e legato alle influenze tizianesche è l’Ecce Homo tanto che per molto tempo non è stato considerato autografo del pittore. La composizione sembra riprendere uno schema caro al Palma in numerose altre tele a destinazione privata, impernia-te su un forte contrasto chiaroscurale, ove la figura centrale del Cristo sofferente con la corona di spine, le mani legate e la verga del f lagello, è illuminata in modo particolare e sembra emergere dall’ombra opaca dello sfondo dove si intravedono i volti di due personaggi barbuti.Tra le finestre è collocata l’Assunzione della Vergine, un modelletto che l’artista eseguì per il soffitto della Sala dell’Albergo della Scuo-la di Santa Maria della Giustizia e di San Gerolamo a Venezia (ora Ateneo Veneto). Quella tela purtroppo nel 1825 andò quasi completamente distrutta, e se ne conservano solo due frammenti: gli Apostoli intorno al sepolcro di Maria, ora all’Hermitage di San Pie-troburgo, e Adamo ed Eva, in una collezione privata milanese. Ico-nograficamente l’opera ricorda l’Assunzione della Vergine, secondo lo schema tizianesco e il Paradiso, tema ripreso dal Tintoretto.Jacopo Palma il Giovane, chiamato così per distinguersi dal pro-zio Jacopo Palma il Vecchio, artista anch’esso presente nel Museo,

    Jacopo Negretti detto Palma il GiovaneAutoritratto

    Andrea Medulich detto lo Schiavone La conversione di san Paolo

    Jacopo Negretti detto Palma il GiovaneAssunzione della Vergine

    I V . S A L A D E L L A M A N I E R Apagina precedente: Jacopo Negretti detto Palma il GiovaneAssunzione della Vergine, particolare

  • 73

    è uno dei personaggi più controversi della storia dell’arte. Arti-sta dalla produzione feconda, dopo un breve periodo giovanile a Roma, dove si affranca dalla pittura dei tre grandi cinquecente-schi, Tiziano, Tintoretto e Veronese, spenderà tutta la sua attività nella città lagunare, ove conquisterà fama e onori, e verrà consi-derato protagonista assoluto nel panorama pittorico veneziano. Lavoratore instancabile, svolge un’intensa produzione per chiese, ordini monastici e confraternite, e ottiene importanti commissio-ni pubbliche come quelle per Palazzo Ducale. Il soffitto della sala si compone di riquadri angolari in marmori-no policromo ornati a grottesca tra cui spiccano due decorazioni, color ocra, che rappresentano dei cuori trafitti. Al centro l’ovale, affrescato da Jacopo Guarana (Venezia, 1720-1808) nella secon-da metà del Settecento, presenta Diana adagiata su di una nube, avvolta da un drappo bianco, armata di arco e frecce con la fronte cinta da una mezzaluna e accompagnata da un putto alato. Sul tavolo è posta una sfera armillare in legno, cartone e carta stam-pata, all’interno della quale sono visibili il sole e la luna in ferro, mentre i cerchi in cartone riportano il ciclo dei mesi e le grandi costellazioni. L’arredo si completa con una coppia di mensole e una console in noce databili al XVIII secolo. La console è sormonta-ta da un piano in scagliola Carpi, della fine del Seicento. Il piano del tavolo è decorato in bianco su fondo nero e nel rosone centrale è rappresentata una scena bucolica. Una fascia a girali con me-daglioni che raffigurano paesaggi, putti, delfini, uccelli e satiri completa la decorazione. (DDD)

    Console con piano in scagliola Sfera armillare

    I V . S A L A D E L L A M A N I E R A

    Il termine sfera armillare prende il nome dal latino armilla che signifi-ca anello: questo strumento, usato fin dall’antichità in astronomia, è com-posto da diversi cerchi che rappre-sentano l’equatore celeste, l’eclittica, il coluro dei solstizi e degli equinozi della sfera celeste.

  • 75

    L’arte della scagliola si diffonde in Italia alla fine del Cinquecento e si afferma poi con lo stile Barocco durante l’intero arco del Seicento e del Settecento. La scagliola, un im-pasto di gesso a cui viene aggiunta della colla da falegname e pigmenti per le varie colorazioni, viene uti-lizzata come sostituta di materiali quali il marmo e le pietre dure. In seguito, grazie all’abilità creativa di ingegnosi artigiani, la scagliola diviene un nuovo tipo di decorazio-ne pregiata. Alla fine del Cinque-cento i migliori artigiani proveni-vano dagli Appennini emiliani (in particolare dalla zona di Carpi) e dalla Germania.

    I V . S A L A D E L L A M A N I E R A

    Sala della Maniera

    pagina seguente: Pietro LonghiCaccia allo smergo, particolare

  • 77

  • 79

    Uno dei nuclei più significativi della collezione è costituito da trenta piccole tele dell’artista veneziano Pietro Longhi (Vene-zia, 1701-1786).Quindici opere erano di proprietà della famiglia, commissionate per lo più da Andrea Querini, mentre le altre quindici sono di provenienza Donà delle Rose. Le quindici tele Donà delle Rose furono acquistate da un consorzio, che le salvò da una sicura di-spersione, cui parteciparono la Fondazione Querini Stampalia, l’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, la Cassa di Risparmio di Venezia e il Banco San Marco e furono collocate in deposito permanente nel Museo della Fondazione.In questa sala è presente la serie della Caccia in valle insieme a numerose scene di vita veneziana dove gli aspetti più curiosi sono sempre raffigurati con straordinaria grazia: chiacchiere di salot-to, intimità di famiglia, divertimenti e danze, maschere e genti-luomini, dame e cavalieri, contadini e isolane, giochi e mestieri, scherzi d’amore, giocolieri e ciarlatani, indovini e cantastorie, acrobati e astrologi.La Caccia in valle, concepita originariamente per palazzo Barbari-go a Santa Maria Zobenigo a Venezia, dove restano visibili sulle pareti le cornici a stucco che custodivano i dipinti, costituisce uno dei cicli più celebri dell’artista.Verso il 1765-70 Longhi eseguì per la famiglia Barbarigo que-ste sette piccole tele con la raffigurazione dell’Arrivo del signore, la Preparazione dei fucili, la Preparazione delle munizioni, il Sorteggio dei cacciatori, la Partenza per la caccia, la Posta in botte e il Conteggio della cacciagione.Il carattere estremamente realistico delle rappresentazioni, i

    V. Sala della musica

  • 81

    numerosi disegni preparatori conservati, l’aderenza al vero, l’at-tenzione scrupolosa ai dettagli e alle tecniche utilizzate, lasciano supporre la partecipazione di Longhi alle battute di caccia insie-me al suo committente.Uno dei momenti più alti del ciclo è l’Arrivo del signore: Gregorio Barbarigo quasi cinquantenne con sguardo distaccato, portamen-to da sovrano e abbigliamento da città giunge nella valle. Subito i contadini si inginocchiano dinanzi a lui e baciano un lembo della veste patrizia quasi a voler rimarcare la distanza tra le due classi sociali. La scena è ambientata al tramonto in una fredda sera d’autunno e il paesaggio è solo accennato con il “casone” nella sinistra e con straordinari effetti di luce e colori all’orizzonte che caratterizzano il panorama lagunare.Non meno significativa la Posta in botte con la cacciagione in primo piano, lo scorcio dell’uomo accovacciato, forse intento a nascon-dere sotto la giacca una preda approfittando della disattenzione del cacciatore, e più lontano il saettare degli uccelli e l’annuncio del nuovo giorno che indica la fine dell’avventura.Il tiratore entra nella botte, una sorta di tino a tronco di cono con intorno delle zolle erbose che la rendono simile ad un’isoletta e aspetta le prede che nel frattempo vengono richiamate dalle anatre, in legno dipinto ad olio, che sono state posizionate dal cacciatore intorno al promontorio “tombolo”. La Caccia allo smergo è uno dei più celebri dipinti di Longhi sia per la particolarità del tema, sia per la felice resa del paesaggio lagu-nare veneto. Questa caccia, piuttosto singolare, era molto amata dalla gioventù patrizia e ancora in uso nel Settecento come prova di abilità. Il nobile, in elegante tenuta da caccia con giubba rossa si disponeva a prua della “ballottina” e con arco e “balotta” in mano, ossia una pallina di terracotta, si apprestava a colpire lo smergo, tra tutti gli uccelli quello più difficile da cacciare, resisten-tissimo e, anche se ferito, capace di nuotare a lungo sott’acqua.

    pagina precedente: Pietro LonghiLezione di geografia

    Pietro LonghiArrivo del signore

    Preparazione dei fucili

    Posta in botte

    Conteggio della cacciagione

    V . S A L A D E L L A M U S I C A

  • 83

    Nelle altre scene di genere presenti nella sala il pittore non tra-lascia di analizzare nessun aspetto della società; entra nelle case popolari, nei salotti delle residenze patrizie (Lezione di geografia, Fa-miglia Sagredo, Famiglia Michiel), nelle osterie (Contadini all’osteria), nelle case da gioco (Ridotto) ed esce nei campi, nelle piazze e nelle calli di Venezia (Mondo novo, Casotto del leone) e persino in campa-gna (Filatrice, Filatrici, Contadina addormentata, Furlana) riuscendo a cogliere l’atmosfera dei luoghi, le abitudini, i costumi e lo stato d’animo della gente, immortalando il tutto con un’estrema raffi-natezza d’influenza quasi francese.In ogni scena, con un’apparente semplicità, Longhi riduce i pa-esaggi e gli ambienti a qualche accenno quasi simbolico mentre evidenzia e valorizza i gesti, le espressioni, gli atteggiamenti, i movimenti e il carattere dei suoi personaggi con l’utilizzo di una tavolozza dai colori densi, caldi ed eleganti.È la stessa lunghezza d’onda delle rappresentazioni teatrali di Carlo Goldoni, suo caro amico che incontra e frequenta nel Pa-lazzo queriniano: luogo che grazie ad Andrea Querini, favorisce la loro colta amicizia, lo studio e il divertimento.Sono esposti anche Le tentazioni di sant’Antonio e la Frateria di Vene-zia che, illustrando i ventidue ordini religiosi che avevano sede a Venezia nel 1761, costituisce un vero e proprio manifesto politico del tempo dove i personaggi sono ritratti con una satira partico-larmente pungente.Nella sala sono presenti numerosi strumenti musicali della fami-glia, alcuni a corda altri a fiato.Tra i più interessanti vanno ricordati i due violini attribuiti al pri-mo grande costruttore di strumenti operante nella città lagunare Martinus Kaiser (Füssen, 1642 circa - ?, 1695 circa) ritenuto il caposcuola della liuteria veneziana e i due archetti per violino attribuiti a Carlo Tononi (Bologna, 1675 - Venezia, 1730). Il To-noni usava siglare le sue opere con un marchio a fuoco in negativo

    Pietro LonghiCaccia allo smergo

    Pietro LonghiMondo novo

    Pietro LonghiCasotto del leone

    V . S A L A D E L L A M U S I C A

  • (il nome appare chiaro e tutto intorno bruciato) in due diversi punti: sulle fasce, vicino al bottone, e sul fondo, sotto la nocetta così come evidenziato sui due archi di questa collezione. Del To-noni esistono solamente tre archi; il terzo si trova nella collezione inglese Albert Cooper. Di notevole interesse anche la ribalta con alzata collocata tra le fine-stre, in legno e radica di noce, della prima metà del XVIII secolo.Si tratta di un raffinato mobile composto di due corpi separati da elementi dorati e torniti a forma di cipolla, impiallacciato in bel-lissima radica di noce e impreziosito da graziose rifiniture dorate, che accendono la patina del bureau-trumeau. Durante i ricevimenti questo tipo di mobile veniva lasciato aperto per svelare le collezioni di statuine inserite negli appositi scom-parti, un teatrino tutto veneziano. (BT)

    Il 26 agosto 1740 Cecilia, sorella del senatore Andrea, scrive al padre procuratore Giovanni: “...Raccomando a V.E. la mia spinetina, se mai potese farmela agiustare; e mi farebbe un gran favore poi a mandarmela, con il libro delli minuetti, acciò non mi dimentichi quello che ho imparato...”.

    V . S A L A D E L L A M U S I C A

    Martinus KaiserViolini

  • 87

    La ritrattistica familiare è un ambito di primaria importanza nel-la storia della collezione. Era infatti uso comune per le famiglie nobili veneziane commissionare ritratti: alcuni avevano una fun-zione domestica ed erano di piccole dimensioni, altri venivano richiesti con l’intento di celebrare un momento importante per la vita dell’effigiato e della comunità familiare.Sebastiano Bombelli (Udine, 1635 - Venezia, 1719), uno dei più famosi ritrattisti della nobiltà lagunare, eseguì per i Querini alcuni ritratti di famiglia. Il ritratto di Gerolamo Querini, realizzato con probabilità prima che il Querini fosse nominato procuratore e quindi prima dell’aprile 1669, raffigura il giovane a mezzo busto con una lunga parrucca nera che gli copre le spalle. La figura si staglia su un fondo scuro e viene rischiarata soltanto dal candore del viso e dall’elegante jabot di pizzo bianco della camicia. Gerolamo viene ritratto dal Bombelli anche più tardi, intorno al 1684, quando l’artista lo dipinge come un uomo maturo, a mezzo busto e di tre quarti, vestito con una giacca da casa damascata con inserti in velluto. Dello stesso periodo sono anche i ritratti di Polo Querini, fratello più giovane di Gerolamo. Il ritratto di Polo Querini a mezzo busto, databile tra il 1675 e il 1680 lo rappresenta in una dimensione domestica, iscritto in un ovale con una elegante veste da camera che cela una fine camicia di seta bianca. In questo dipinto il pittore rivela la sua grande capacità nel rendere le caratteristiche psicologiche dell’effigiato. Più di maniera, dai colori smaglianti, appare il ritratto di Polo Querini di grandi dimensioni, databile dopo il 1680, periodo in

    VI. Sala dei ritratti

  • cui Polo Querini acquista la carica straordinaria di procuratore de ultra. L’uso di toni accesi e di una pennellata densa per gli abiti fa propendere gli studi più recenti a ritenere che quest’opera sia stata realizzata dal Bombelli con il contributo di uno dei suoi al-lievi migliori, Vittore Ghislandi, più conosciuto con il nome d’arte di Fra’ Galgario. Un altro allievo del Bombelli è Nicolò Cassana (Venezia, 1659 - Londra, 1714), anch’esso presente in sala con due tele, realizzate intorno al 1694 per celebrare la salita al soglio dogale del doge Sil-vestro Valier e di sua moglie Elisabetta Querini Valier. Al Cassana vennero commissionati, secondo l’uso, due ritratti di piccole dimen-sioni in pendant: nel ritratto del Doge Silvestro Valier il Cassana dipinge l’anziano con in testa la “zoggia” ovvero il corno dogale, chiamato così perché, alla sommità, vi era sempre una grande pietra pre-ziosa, e con una sontuosa stola di ermellino che gli copre le spalle e lascia intravedere una veste riccamente adornata. Il pittore, pur manifestando la sua provenienza dai Tenebrosi, dipinge la com-posizione con toni più chiari, mettendo in risalto l’atteggiamento psicologico dell’effigiato. Nel ritratto della Dogaressa Elisabetta Que-rini Valier il volto dell’anziana nobile sembra mancare di qualsiasi espressione, quasi che l’opulenza dell’abito e dei gioielli annientino qualsiasi spirito vitale. L’abito, l’acconciatura e i gioielli sono resi con grande attenzione: la donna indossa il corno abbellito da perle, il manto di broccato con preziosi inserti in oro e bordato di pelliccia e porta al collo una lunga collana che finisce con una grande croce di diamanti, la toilette è completata dalla preziosa cintura. Nicolò Cassana è il maggiore di una famiglia di pittori venezia-ni. A bottega dal padre, Giovanni Francesco di origini genovesi, si forma sulla pittura di Bernardo Strozzi e, in seguito, verrà influen-zato dalla corrente dei Tenebrosi. Ormai famoso in tutta Italia, si trasferisce in Inghilterra dove diventa noto presso la nobiltà e la monarchia inglese, anche per la produzione, assieme a Sebastiano

    V I . S A L A D E I R I T R A T T I

    Sebastiano BombelliPolo Querini

    pagina precedente: Sebastiano BombelliGerolamo Querini

  • 91Girolamo ForaboscoGentildonna

    Orologio da mensola

    Monetiere

    Ricci e al di lui nipote Marco, di numerosi falsi d’autore spaccian-doli per opere di Tiziano, Tintoretto e altri grandi pittori veneti.Interessanti i due ritratti di Luca Giordano (Napoli, 1634-1705): il migliore dal punto di vista stilistico è Filosofo, già conosciuto in passato come Leucippo, per il riferimento ad alcuni caratteri greci che appaiono nello sfondo del quadro. L’opera va collocata nel pe-riodo giovanile di Giordano quando era molto forte l’inf lusso del suo maestro, il pittore spagnolo Giuseppe Ribera conosciuto come lo Spagnoletto. Il personaggio, di cui non si rileva alcun attributo iconografico è seduto accanto al tavolo in una stanza disadorna, ha i vestiti sgualciti e lo sguardo triste; solo il berretto da casa e la pergamena in mano gli conferiscono un’aria più dignitosa. Eraclito, che in passato era stato identificato come Democrito, probabilmente per l’attributo della sfera terrestre, è immortalato in una stanza molto scura, rischiarata soltanto dai carteggi e dal globo terrestre posto sul tavolo. Luca Giordano è uno dei pittori più prolifici del suo secolo, detto an-che Luca Fapresto per la grande capacità esecutiva; conosceva tutta la pittura del suo tempo e del Cinquecento e riusciva a riprodurre a memoria anche artisti stranieri come Rubens e Rembrandt.Nel dipinto giovanile di Girolamo Forabosco (Venezia, 1605 - Padova, 1679) Gentildonna la figura riprende la tipica composizio-ne tizianesca, rendendola alla moda del Seicento; la donna, con i capelli bruni raccolti in maniera semplice e ornati da un gioiello di granati, è vestita di scuro con un ampio mantello di pizzo che ne copre le spalle e parte del sontuoso abito a vita alta arricchito anch’esso da merletti.Si possono ammirare un monetiere da tavolo in legno ebanizza-to e intarsiato in avorio a dodici cassetti con motivi decorativi a grottesca, e un orologio da mensola e fastigio in bronzo, tartaruga e ottone databile al XVIII secolo che riprende il decoro tipico di Charles André Boulle, ebanista alla corte del Re Sole. (DDD)

    V I . S A L A D E I R I T R A T T I

  • 93

    L’incoronazione a dogaressa di Elisabetta Querini Valier fu un fatto del tutto eccezionale, perché severamente vietata dalle leggi della Repubblica di Venezia. Silvestro Valier infatti volle celebrare la sua salita al soglio dogale anche con la cerimonia di incoronazione della moglie, non preoccupandosi del decreto del Maggior Consiglio del 10 gennaio 1645 che recita: “In ogni tempo e a venire sia proibito il farsi l’incoronazione de le Dogaresse, come attione non necessaria et poco aggiustata a la moderation del Governo”.

    V I . S A L A D E I R I T R A T T I

    Nicolò CassanaDoge Silvestro Valier

    Nicolò CassanaDogaressa Elisabetta Querini Valier Sala dei ritratti

  • 95

    La sala è dedicata a Giuseppe Jappelli (Venezia, 1783-1852), architetto e ingegnere, massimo esponente dello stile neoclassico nel Veneto, a cui Caterina, sorella di Giovanni e moglie del conte padovano Gerolamo Polcastro, commissionò il salotto alla pompeia-na. L’arredo proveniva dalla villa Polcastro di Loreggia in provin-cia di Padova dove Caterina soggiornò dopo la morte del marito e la vendita del palazzo di famiglia in Santa Sofia a Padova. Il salotto, in legno laccato nero con raffigurazioni dipinte a finto intarsio color noce, si compone di un divano, un tavolo con piano in radica, dieci sedie, due vetrine e una specchiera che sormonta il caminetto. Il divano, a forma di gondola, è appoggiato su quat-tro basi con serpenti intagliati, mentre l’imbottitura è in panno blu, rifinito in ciniglia marrone. Le sedie sono di struttura semplice con unico sostegno allo schie-nale e le gambe ricurve lisce. Costituiscono un esempio interes-sante di disegno ispirato all’antico e sono simili alla klismos chair, creata in Inghilterra alla fine del Settecento.Il tavolo con intarsi in madreperla, gambe a zampa di leone e una piccola scultura sulla base, che rappresenta un’anfora nelle spi


Recommended