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NUMERO 239 in edizione telematica - pierogiacomelli.com · decisionale di una rinascita - o, al...

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NUMERO 239 in edizione telematica 10 gennaio 2017 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected] Una fiaba per l’Epifania di Vanni Lòriga Caro Direttore e cari amici di Spiridon, nei giorni dell’ Epifania ( personalmente credo ancora nella Befana) mi sono voluto dedicare un regalo. Di cui rendo partecipi tutti voi. Per questo motivo non vi propongo un articolo, un pezzo, un servizio bensì una fiaba vera e propria che, come tutte le favole, comincia con l’ immancabile “C’ era una volta…” “C’era una volta a Formia la Scuola Nazionale di Atletica Leggera”. Questo era l’incipit che avevo immaginato. Invece debbo cambiarlo nel seguente: “La Scuola di Formia c’è ancora”. E’ vero che è stata cancellata la voce “Atletica”, per cui ci troviamo nel Centro di Preparazione Olimpica e l’intitolazione al suo Fondatore Bruno Zauli è scritta in piccoli caratteri, mentre è addirittura sparita dal sito del CONI. Che, per il momento, ricorda ancora che l’Acquacetosa è dedicata a Giulio Onesti. Entriamo comunque nella vecchia SNAL: e la prima visita è riservata al Centro Medico, intitolato al grande amico dottor Antonio Fava, colui che esattamente trent’ anni fa trovò il metodo per farmi smettere di fumare. Passai da 80 Malboro al giorno a zero e debbo dire che ne ho tratto notevoli vantaggi. Ringrazio, ora per allora. Antonio Fava ed estendo il mio grazie a colui che in questi giorni lo sta sostituendo al Centro formiano, il medico federale Mauro Guicciardi. Con la preziosa assistenza del fisioterapista Fabio Massimo Moscatelli mi danno una provvidenziale sistemata alla gamba sinistra malamente offesa da una improvvida scivolata. Chiudo questa parte della fiaba segnalando che il provvidenziale provvedimento antitabagista di Antiono Fava avvenne esattamente alla vigilia dei primi campionati mondiali juniores, luglio 1986. Il discorso sugli atleti giovani mi riconduce alla realtà del momento. Sono arrivato a Formia in occasione del “Raduno Nazionale Giovanile” che interessa velocità, ostacoli, salti e prove multiple. E chi ho incontrato ? Praticamente mezzo mondo attuale, del passato prossimo e remoto. Ed anche tante tracce del ricordo. Faccio un elenco sintetico. Parto dal Direttore Tecnico Giovanile, Stefano Baldini. Con lui effettuiamo un esauriente punto sulla situazione progettuale dello staff tecnico, che assumerà fisionomia definitiva in occasione dell’ormai prossimo Consiglio Federale. Ne parleremo a bocce ferme. Intanto mi guardo intorno. Sono tante le facce note. Antonio Andreozzi, vice di Baldini; Gabriella Dorio tutor; i tecnici Nicola Silvaggi, Enzo Del Forno, Sergio Biagetti , Fabrizio Mori, Gianni Tozzi, Andrea Presacane, Fernanda Morandi, Eugenio Paolino, Enrico Lazzarin, Fabio Pilori, Graziano Camellini … ci sono poi i medici, i nutrizionisti, i fisioterapisti, i valutatori e quelli dello staff federale ( Mirella Cicchetti, Alessia D’Amico e Giorgio Carbonaro). Sono impegnati in questo raduno una sessantina di atleti, per la maggior parte accompagnati dai loro tecnici sociali o personali. Fra di loro c’anche Salvino Tortu che segue la preparazione del figlio Filippo, la più consistente promessa della nostra velocità. E’ inutile spiegare che Formia, nel mio immaginario personale e forse collettivo. vuol dire soprattutto velocità. Il primo allievo del College di Formia fu un tale Livio Berruti, che qui nel 1958 conseguì anche la maturità classica
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NUMERO 239 in edizione telematica 10 gennaio 2017 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected] Una fiaba per l’Epifania

di Vanni Lòriga Caro Direttore e cari amici di Spiridon, nei giorni dell’ Epifania ( personalmente credo ancora nella Befana) mi sono voluto dedicare un regalo. Di cui rendo partecipi tutti voi. Per questo motivo non vi propongo un articolo, un pezzo, un servizio bensì una fiaba vera e propria che, come tutte le favole, comincia con l’ immancabile “C’ era una volta…” “C’era una volta a Formia la Scuola Nazionale di Atletica Leggera”. Questo era l’incipit che avevo immaginato. Invece debbo cambiarlo nel seguente: “La Scuola di Formia c’è ancora”. E’ vero che è stata cancellata la voce “Atletica”, per cui ci troviamo nel Centro di Preparazione Olimpica e l’intitolazione al suo Fondatore Bruno Zauli è scritta in piccoli caratteri, mentre è addirittura sparita dal sito del CONI. Che, per il momento, ricorda ancora che l’Acquacetosa è dedicata a Giulio Onesti. Entriamo comunque nella vecchia SNAL: e la prima visita è riservata al Centro Medico, intitolato al grande amico dottor Antonio Fava, colui che esattamente trent’ anni fa trovò il metodo per farmi smettere di fumare. Passai da 80 Malboro al giorno a zero e debbo dire che ne ho tratto notevoli vantaggi. Ringrazio, ora per allora. Antonio Fava ed estendo il mio grazie a colui che in questi giorni lo sta sostituendo al Centro formiano, il medico federale Mauro Guicciardi. Con la preziosa assistenza del fisioterapista Fabio Massimo Moscatelli mi danno una provvidenziale sistemata alla gamba sinistra malamente offesa da una improvvida scivolata. Chiudo questa parte della fiaba segnalando che il provvidenziale provvedimento antitabagista di Antiono Fava avvenne esattamente alla vigilia dei primi campionati mondiali juniores, luglio 1986. Il discorso sugli atleti giovani mi riconduce alla realtà del momento. Sono arrivato a Formia in occasione del “Raduno Nazionale Giovanile” che interessa velocità, ostacoli, salti e prove multiple. E chi ho incontrato ? Praticamente mezzo mondo attuale, del passato prossimo e remoto. Ed anche tante tracce del ricordo. Faccio un elenco sintetico. Parto dal Direttore Tecnico Giovanile, Stefano Baldini. Con lui effettuiamo un esauriente punto sulla situazione progettuale dello staff tecnico, che assumerà fisionomia definitiva in occasione dell’ormai prossimo Consiglio Federale. Ne parleremo a bocce ferme. Intanto mi guardo intorno. Sono tante le facce note. Antonio Andreozzi, vice di Baldini; Gabriella Dorio tutor; i tecnici Nicola Silvaggi, Enzo Del Forno, Sergio Biagetti , Fabrizio Mori, Gianni Tozzi, Andrea Presacane, Fernanda Morandi, Eugenio Paolino, Enrico Lazzarin, Fabio Pilori, Graziano Camellini … ci sono poi i medici, i nutrizionisti, i fisioterapisti, i valutatori e quelli dello staff federale ( Mirella Cicchetti, Alessia D’Amico e Giorgio Carbonaro). Sono impegnati in questo raduno una sessantina di atleti, per la maggior parte accompagnati dai loro tecnici sociali o personali. Fra di loro c’anche Salvino Tortu che segue la preparazione del figlio Filippo, la più consistente promessa della nostra velocità. E’ inutile spiegare che Formia, nel mio immaginario personale e forse collettivo. vuol dire soprattutto velocità. Il primo allievo del College di Formia fu un tale Livio Berruti, che qui nel 1958 conseguì anche la maturità classica

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SPIRIDON/2 presso il liceo Vitruvio (proveniva dal famoso Cavour di Torino). Qui preparò la vittoria olimpica di Roma E sempre alla SNAL Bruno Zauli, come sino a pochi fa si chiamava, fu fondata la famosa Scuola della Velocità italiana. Eravamo nei primi giorni degli anni ’70. Carlo Vittori fu l’ iniziatore di un percorso straordinario ed innovativo, collegato soprattutto alla persona di Mennea, ai suoi record, alle sua vittorie. E non solo il suo. Perché non ricordare i vari Pavoni, Tilli, Simionato, Preatoni, Cellerino, Puosi, Bello, Fiasconaro, Longo, Madonia, Bongiorni, Floris, Guerini, Lazzer, Caravani, Grazioli, Ossola, Abeti, Ullo, Malinverni, Zuliani, Di Pace, Sabia che ( in un verso o nell’altro) hanno legato i loro nomi a primati mondiali ( 4x200), europei (4x100) ed a titoli o a medaglie olimpiche, mondiali o continentali, open ed indoor . E perché dimenticare i tecnici che nell’ambito di quella Scuola hanno operato? Parliamo fra l’altro di Montanari, Fiorenza, Borzoni, Preatoni, Donati, Bellotti, Dotta e Castrucci. Partiamo da quest’ultimo. Salvino Tortu apprese proprio da Plinio Castrucci i primi segreti della velocità. Con lui si parla a ruota libera di tecnica di allenamento applicata al figlio Filippo, anni 18 compiuti il 15 giugno scorso, personale di 10”19 sui 100 metri coperti con 43,5 appoggi, campione d’Italia assoluto. “ E’ chiaro – ci dice Salvino in una lunga chiacchierata a tre - che stiamo lavorando per andare più veloci. Non ci vogliamo nascondere con schermaglie pretattiche. Diciamo subito che l’obiettivo di questo 2017 è un miglioramento attorno al decimo di secondo mentre l’appuntamento cruciale della stagione è in luglio agli europei juniores di Grosseto. Altri traguardi in futuro ? Direi una bugia se non confessassi che il sogno di ogni velocista è di correre i 100 metri in meno di dieci secondi. Ma per tramutare i sogni in realtà bisogna avere veramente i piedi per terra e lavorare tanto”. E Salvino, padre ed allenatore, ci spiega come ha impostato la sua vita di tecnico.“”Verso la fine degli anni settanta ed ai primi degli anni ottanta frequentavo l’Università a Roma. Sono stato seguito prima da Carlo Arrighi e poi da Plinio Castrucci, che ritengo uno dei migliori tecnici di casa nostra. Sono purtroppo scomparsi e conservo di entrambi un bellissimo ricordo”. “Carlo, ed ancor più Plinio, prestavano una particolare attenzione all’impostazione della corsa ed alla ricerca del giusto assetto. Ho conservato gelosamente questa eredità che poi ho eletto a cardine del mio modo di stare in campo”. “ Sarebbe lungo e noioso parlare della metodologia di allenamento. Posso però dire che presto molta attenzione, quasi maniacale, alla ricerca della più corretta azione di corsa possibile, ovviamente adattata al fisico ed alle caratteristiche dell’atleta. E’ inutile avere un motore da 300 cavalli che poi va in giro su uno cofano sistemato su quattro gomme lisce e che va fuori strada non appena si spinge il piede sull’acceleratore”. “ Filippo è un ragazzo dalle potenzialità enormi di crescita che vanno assecondate e non precorse. E’ sorretto da una intelligenza motoria di grande spessore e proprio per questo motivo tendo a lavorare maggiormente sui punti di forza, esaltandone doti innate quali la decontrazione, il controllo della corsa (sa sempre cosa fare ed ha la lucidità di capire cosa accade), la capacità di attuare e di trasferire sulla pista, nel minor tempo possibile, tutto ciò che può occorrere per viaggiare ad alta velocità. Dalla prossima stagione introdurremo gradualmente i 200 metri., distanza che in prospettiva diverrà presumibilmente la preferita. Sono certo che tutto l’impegno profuso in questi ultimi anni potrà dare grandi soddisfazioni”. Arrivati a questo punto, parlando di “impostazione della corsa” si innesta una specie di scambio d’idee filosofiche. Ricordando per l’ennesima volta la famosa distinzione fra le scuole tedesche del contenuto (Gehaltsaesthethik) e della forma (Formaesthethik) condannate come “ distinzioni fallaci” da Benedetto Croce , cito il suo Breviario di estetica. Temo di provocare in Filippo un inevitabile sbadiglio ed invece scopro che la Filosofia è fra i suoi maggiori interessi. Non unico, ma dominante: “A luglio – ci racconta - ho gli esami di maturità e la mia tesina sarà dedicata a Seneca. La filosofia, insieme alla matematica ed alla musica, è ciò che m’interessa di più. Infatti sono in dubbio se frequentare all’ Università Filosofia o Marketing.” “La filosofia non dà pane, dice lei? Nella vita è importante fare qualcosa che ti appaghi. Il resto si risolverà. Per esempio, io pratico l’atletica. Ogni pomeriggio vado ad allenarmi. So che i miei amici si dedicano ad altre cose, anche divertenti, ma io non penso di fare delle rinunce ma solo di aver operato una scelta”. “Inoltre il mio sport ha il momento di maggiore intensità nei mesi estivi, quando la gente va al mare o in montagna. Io mi accontento di fare un salto , quando posso, a Golfo Aranci, che amo. Il mare comunque l’ho vicino anche alle Fiamme Gialle, nelle quali milito e dove mi sento a mio perfetto agio”: ” Quale musica mi piace ? Mi piacciono tutte, dalla classica al rock. Nei mesi scorsi ho seguito un corso sulla storia della musica rock, affascinante”. “Nell’atletica il mio modello è Livio Berruti, non solo per i risultati straordinari ma soprattutto per la mentalità con cui ha affrontato lo sport. Ho avuto il piacere di conoscerlo e mi sono sentito in sintonia con lui”. Affinché la fabula continui colgo l’attimo fuggente e chiamo Livio al telefono. I due si scambiano gli auguri. Insomma, siamo riusciti ad unire il passato ed il futuro della nostra velocità, collegando la “vecchia” Formia, con la nuova, che esiste ancora.,Mettendo in contatto due atleti che hanno corso e corrono non solo con le gambe ma soprattutto con la testa. A Filippo il compito di dimostrare l’ esattezza di questo teorema. Se ci riesce può raggiungere un risultato che nessun altro italiano (di sesso maschile) ha sinora realizzato, partecipare cioè alla finale olimpica dei 100 metri. Appuntamento fra tre anni e mezzo a Tokio: l’impresa è possibile e farebbe felice nonno Giacomo, che avrebbe potuto correre a Londra in quella 4x100 che vide proprio un finanziere, il tenente Michele Tito, fregiarsi della medaglia di bronzo. Ed allora, come si conclude ogni favola, vivremo tutti felici e contenti.

Ultimora – Come anticipato dal Vicepresidente Vincenzo Parrinello i verbali delle riunioni del Consiglio Federale sono stati pubblicati sul Sito Fidal. Il 20 gennaio avremo anche tutte le cifre relative al bilancio preventivo 2017 ed alle decisioni ad esso legate.

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SPIRIDON/3

fuori tema di Augusto Frasca

<<Gentile Direttore, mi chiamo Sandro Aquari, ho quasi 70 anni e sono legato alla Gazzetta, sia pure con un feeling altalenante, da quando avevo 12 anni. Verso la fine degli anni ’60 ho avuto anche il piacere di collaborare da Roma per la ‘rosea’. Oggi sono rimasto basito nello sfogliare il suo giornale e accorgermi che non c’è neppure una riga (dico, una riga!) per ricordare che proprio il 5 gennaio di cento anni fa nasceva a Costermano Adolfo Consolini, il più forte Azzurro che l’atletica italiana abbia mai avuto. Non mi permetto certo di ricordarle chi sia stato Adolfo Consolini e come abbia onorato non solo lo sport ma anche una nazione cui restituì prestigio internazionale durante gli anni difficili del dopoguerra. Due giorni fa avete dedicato ben due pagine, senza alcuna nuova notizia e con qualche nota non proprio esatta, al più grande dopato della storia dell’atletica italiana, e questo, mi permetta dirlo, mi rattrista ancora di più nell’aver constatato che invece non avete la sensibilità di ricordare, soprattutto ai più giovani lettori, un uomo semplice e buono che onorava la maglia azzurra a pane e acqua. Cordiali saluti>>. Sotto il tono formalmente garbato traspare l’indignazione

dell’appassionato e il rigore del professionista che ha fatto della serietà un’immutabile costante del proprio lavoro. Dubito che la lezione messa nero su bianco da Aquari abbia mosso più di tanto coscienze viziate dalle subalternità culturali tipiche dell’informazione contemporanea. Ma il segnale è importante, così come è importante sottolineare come anche nelle alte sfere del mondo sportivo, Federazione in testa, la ricorrenza sia stata trattata come un nulla di fatto degno del peggior parastato, allo stesso livello del trattamento riservato ad Atletica, la più antica rivista federale, lasciata morire nell’inerzia generale, priva della minima prospettiva di ripiego e senza apparenti crisi di coscienza. E dire che da più parti era nata l’ipotesi, o l’illusione, che dalla nuova linfa dirigenziale approdata a via Flaminia nuova nascesse la scintilla, lo stimolo, la curiosità, o quantomeno l’ambizione legittima di esser parte decisionale di una rinascita - o, al rovescio, di una scelta necrofila - affrontando l’argomento nelle riunioni consiliari dell’1 e 19 dicembre, non fosse altro che per darne ragione, se non scusa, al tessuto associativo sparso lungo il territorio nazionale. A proposito dell’ultima convocazione del Consiglio federale - mentre è difficile non apprezzare la richiesta di Enzo Parrinello, e la decisione maturata, di dare pubblicità alle riunioni - detto e scritto in maniera sommessa non sembra autorizzare sogni di gloria la scelta adottata per i vertici tecnici con la doppia responsabilità assegnata ad Elio Locatelli, vecchio navigatore, a partire dagli inizi degli anni Settanta, degli ambienti tecnici nazionali e internazionali, e a Stefano Baldini, una decisione che sembra avvalorare le perplessità di quanti - non solo dei pessimisti in servizio permanente effettivo - consapevoli delle diversità caratteriali e di personalità dell’uno e dell’altro, e contemporaneamente coscienti della irresistibile, fisiologica inclinazione di Alfio Giomi volta a tenere disinvoltamente in piedi presidenza federale e direzione tecnica nazionale, sospettano di equilibri difficili da raggiungere, e di un cammino disseminato di trappole e di insidie. Una delle peggiori stagioni vissute dall’atletica italiana, segnata dalla vicenda che ha visto miserevolmente assemblati Coni e Federazione nell’allestire una guida rossa sotto i piedi insozzati di un marciatore colto in flagranza di reato, si è dunque chiusa con la nomina di Baldini e Locatelli. Che gli spiriti immortali dell’atletica ne guidino i passi… [email protected]

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SPIRIDON/4

Cancellare i primati o far finta di niente ?

L’atletica (lo sport tutto) si riaffaccia nel 2017 con un grande bisogno di palingenesi e rigenerazione. La credibilità iconica dei campioni, dei record, delle grandi performance, è andata in pezzi per un sistema di giudizio che ricorda i procedimenti penali della giustizia italiana. Lenti, farraginosi e, alla fine, poco credibili come sono tutti i verdetti che arrivano tardi. La revisione post-doping delle finali olimpiche è imbarazzante. Quando in una gara di 1.500 femminile vengono squalificate con anni di ritardo le prime cinque classificate nell’ordine d’arrivo, la medaglia d’oro assegnata alla sesta quanto varrà e chi mai se ne ricorderà? La retroattività non si confà allo sport e finisce col cancellarne la validità. Otto anni di ritardo (e qui non c’è la prescrizione) fanno decadere anche il più volenteroso tentativo di scrivere la storia dello sport (e non a caso chi redigeva il ponderoso almanacco olimpico quadriennale ha rinunciato a sfornarlo). Di fronte a tanto imbarazzo c’è chi propone la cancellazione dei primati e un vigoroso punto a cap Ma si tratterebbe di un provvedimento draconiano che punirebbe insieme colpevoli innocenti, record puliti e primati sporchi. La Kostadinova si è pronunciata fieramente contro l’abrogazione dell’albo dei record. Ma è chiaro che di fronte a un 10”49 sui 100 femminile o un 47”60 firmato Koch sui 400 i dubbi possono essere veramente pochi. Ma allora il doping era di Stato e evidentemente le procedure non così rigorose. Ora nel mirino c’è la Russia e un macchinazione che arriverebbe fino a Putin, ricordando quel doping istituzionale che era vanto della DDR con le pratiche nei laboratori di Lipsia. Ma il problema è più generale si spinge fino all’Africa, tutt’altro che indenne dal doping, ma dove la falsificazione delle date di nascita ha inquinato la gran parte dei campionati internazionali per le categorie giovanili. Quello che appare chiaro che non c’è un combinato disposto coerente. Che Cio, Wada, Federazioni Internazionali, organizzatori, hanno interessi difformi e le loro contraddizione non permetteranno di uscire nel breve dal guado. Così lo sport è compromissione. E uno degli uomini più discussi del doping russo, Mutko, è oggi un uomo chiave nell’organizzazione dei mondiali di calcio del 2018. Da quando l’Olimpiade è diventata la saga degli sport professionistici riqualificati e perdonati (Thorpe fu squalificato per questo) la componente economica ha schiacciato ogni altra motivazione con le conseguenze del caso. E questo sviluppo gigantistico, commerciale e monetizzabile, non permette di tornare indietro. E’ come se fosse stata avviata una macchina che non ha freni per diminuire la velocità di crociera. Pensate a quello che è successo a Schwazer tra medaglie restituite (per il doping russo), a medaglie tolte (per la sua recidività, Coppa del Mondo compresa). Lo sport che perde la memoria di quello che è avvenuto peraltro sembra la veridica copia in negativo di quello che avviene nella vita di tutti i giorni. Daniele Poto

“Correre nel vento” di Stefano Frascoli La Befana è multiforme, al passo con i tempi e utilizza il messaggero postale. Da Como, dove c'è quel ramo del Lago eternato ne I Promessi Sposi, 'arrivau u ferribotte', traduciamo per i pochi che non hanno visto I soliti ignoti e Tiberio Murgia, geloso della sorella: è arrivato il traghetto che unisce la Sicilia al Continente, nel nostro caso il libro di Stefano Frascoli Correre nel vento. Il mitico dio dei venti, del siculo sito, le Isole Eolie, ha ispirato tanti titoli, trascegliamo: Il figlio del vento, Carl Lewis, e Con il vento nei capelli, la storia dolce e amara di Salvatore Antibo, nel libro di Benvenuto Caminiti. Adornano il libro 'tre prefazioni': Manrico Zoli, Giordano Benedetti e Stefano Frascoli. A nostro avviso: prefazione, postfazione e prologo. Perché non illustrare con le foto? Questo diario di allenamenti e di gare, senza scorciatoie, è racchiuso in questo frammento: "La fatica non esisteva, quando nel cuore si aveva la felicità nel provarla".Frascoli inanella 50 racconti di vita agonistica vissuta, dai primi passi al demone della corsa, dalla droga del fallimento a cosa c'è oltre la collina, a un'estate di molti anni fa e conclude con le ‘monstre’ sacre, inserendo i campioni dell'atletica mondiale e nazionale, con 'dedica' al prefatore, Olimpiaco a Rio 2016, Benedetti (1). Il demone che attrae è la corsa e l'atletica. La prosa scorre, le parole sono semplici e coinvolgono nell'empatia la moltitudine degli adepti. Dall'ultimo capitolo, 195 le pagine, un brano."Quel pomeriggio qualcuno avvertì fin da subito nell’aria un sinistro presagio. Nel ridente paesino la vita proseguiva assopita e la giornata pareva identica a molte altre che si erano succedute: identica la brezza fresca e autunnale che spirava nelle stradine e nei vicoli stretti del centro storico, dove a volte c’era il mercato e la gente indossava pesanti cappotti; identico il riverbero del sole nei vialoni coperti da un tappeto di foglie, quel raggio luminoso che stonava col vento di ottobre; identiche le espressioni degli adolescenti seduti sulle panchine tra gli alberi, con ancora addosso la cartella scolastica, intenti a raccontarsi segreti; identica la sensazione di tranquillità che rilassava la mente osservando la vecchia chiesa imponente e gotica. Identici anche i soliti sentieri di campagna dove ogni tanto sgattaiolava un topolino, eppure, nonostante tutto ciò, un gruppo di persone sentì che in giro c’era qualcosa di anomalo, si guardò attorno e si diresse a passo spedito verso il campo sportivo di atletica leggera". La reiterazione dell’identicità di una giornata autunnale nel paesino e il richiamo di un ‘pifferaio’ a dar la suspence. Pino Clemente (1) Un breve profilo: Giordano Benedetti, Trento 1989, il record negli 800 metri, 1'44"67, Fiamme Gialle, allenato da Gianni Benedetti, no parente. Partecipazione ai Mondiali, 2013, Mosca e 2015, Pechino; agli Europe, 2010 Barcellona, 2015 Amsterdam.

- Chi è interessato può rivolgersi all'autore: [email protected]

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SPIRIDON/5

Atletica, doping, Etiopia dura: "Radiazione per chiunque si dopi" Hailé Gebrselase, neopresidente federale etiope, che ha perso credibilità dopo i troppi casi di positività, sport. Da oggi chi non supera i test ed è squalificato per 4 anni verrà automaticamente radiato annuncia: "Non ci sono scuse per chi ha truffato lo " .

L’Etiopia è uno dei paesi compresi fra quelli più pesantemente coinvolti nello scandalo del doping. Ed è il primo a varare un operazione di "tolleranza zero" pesante che più pesante non si può. Il grande fondista Hailé Gebrselase, olimpionico dei 10.000 ad Atlanta 1996 e Sydney 2000 e ancora primatista mondiale dei 20.000 e dei 30 km, eletto un mese fa presidente della federazione etiope di atletica leggera, ha annunciato ad Adds Abeba misure drastiche per riconsegnare credibilità al movimento,quello etiope, che insieme al Kenya ha dominato per anni la scena mondiale sulle lunghe

distanze. Ed ha scelto la maniera dura: "Squalifiche a vita. E' l'unica via. Non ci sono scuse per chi ha truffato lo sport. Da oggi chi non supera i test ed è squalificato per 4 anni verrà radiato”. E contestualmente alla dichiarazione del suo presidente la Federazione etiope ha anche annunciato il via immediato a test per oltre 200 atleti di primo piano. La punizione, va detto, è di gran lunga più pesante di quella stabilita da Cio e Iaaf, e certamente, nel caso, ci saranno proprio per questo dei ricorsi. Gli atleti “implicati” sono tanti e da qui, considerati i notevoli interessi in ballo non vorremmo che fra ricorsi, tempi lunghi e cavilli vari si rischiasse di perdersi per strada, magari con la giubilazione dello stesso Hailé Gebreselase Il Comitato Olimpico Internazionale prevede che gli atleti positivi all'antidoping, dopo aver scontato squalifiche pesanti, anche di 4 anni, possono tornare a gareggiare, comprese le Olimpiadi, venendo radiati solo nel caso di una seconda positività. L'obiettivo di Gebrselase è evidente: dare un segnale a mondo che l'Etiopia sta lottando contro il doping e pretendere che la stessa Etiopia venga rimossa dalla lista "nera" stilata dal presidente Iaaf Sebastian Coe, che riunisce in buona compagnia briscola anche Kenya, Marocco, Ucraina e Bielorussia. Senza dimenticare, ovviamente, la Russia, che è anche ben "oltre" la lista nera, essendo stata sospesa da tutte le gare internazionali di atletica e il cui scandalo vive ormai quotidianamente di una nuova puntata, fra corruzioni, doping e accuse di interventi pesanti dello Stato a copertura delle nefandezze. (m.p. pgc)

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SPIRIDON/6

il profondo amore di Silvio Spaccesi per il teatro salesiano di Macerata

Sul Bollettino Salesiano del gennaio 1891 leggiamo: «Don Rua (primo successore di Don Bosco, ndr) ricordava tra le opere salesiane compiute la casa di Macerata. In questa pia ed illustre città si trovò un considerevole numero di cooperatori e di cooperatrici i quali, con grandi sacrifici comperarono da prima un vasto terreno, poscia v’innalzarono a conto dei Salesiani un fabbricato capace di un centinaio di giovanetti».

Tanti i direttori alla guida dell’Oratorio, a prendere per mano i “ragazzi di strada” del quartiere popolare intorno all’Istituto salesiano, le Casette, in anni appena usciti dalle rovine della guerra e ne fanno uomini. Su tutti un prete giovane, vigoroso e sempre sorridente, che ha abbracciato il servizio verso gli altri e sorella povertà, lasciandosi alle spalle una famiglia nobile e ricca: don Ennio Pastorboni, di Terni. Il leggendario “Donè”. È negli anni Sessanta che al teatro dei Salesiani le commedie a tinte fosche si succedono con frequenza, ben recitate da un gruppo di attori imberbi, bravi e appassionati, tra i quali si distingue Silvio Spaccesi, che diverrà uno dei più grandi caratteristi italiani, nonché fra i migliori doppiatori del nostro Paese. Nato a Macerata il 1° agosto del 1926, allievo di quell’Istituto salesiano ove nasce, cresce, vive e si invecchia professionalmente.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale viene assunto all’Ispettorato Agrario di Macerata ma, da impiegato senza vocazione, ad un certo punto si “dimette”. La passione per la recitazione e i ruoli brillanti, che ha conosciuto nella frequentazione al “Don Bosco”, lo divora. Si iscrive e si diploma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” a Roma. Allievo di Orazio Costa Giovangigli, entra a far parte della Compagnia di prosa di Radio Firenze, diretta da Umberto Benedetto, per poi passare a quella di Roma dove, oltre a recitare nella prosa nei varietà dell’epoca, interpreta personaggi dal dialetto marchigiano. Con un timbro di voce inconfondibile approda poi, in ruoli secondari, anche in televisione. Ma rimane il teatro la sua vera passione; il suo cuore è là, sul palcoscenico, a far l’attore brillante. L’apice lo raggiunge nel ruolo di Pietro di Bernardone, padre di san Francesco d’Assisi, in Forza venite gente!, che per oltre quindici anni calcherà i palcoscenici di tutta Italia. E non solo. Un musical di successo messo in scena da Michele Paulicelli; testi in prosa e versi di Mario Castellacci, Piero Castellacci e Piero Palumbo. Il debutto il 9 ottobre 1981 al Teatro Unione di Viterbo, mentre l’edizione più famosa è quella messa in scena nel 1991 sul sagrato della Basilica Superiore di San Francesco d’Assisi. Nello spettacolo, distorcendo un po’ la storia, il padre (Piero di Bernardone/Spaccesi) si riappacifica alla fine col figlio Francesco d’Assisi. In una particolare occasione (il restauro del “Don Bosco”) il musical viene rappresentato a Macerata, proprio in quel teatro ove Silvio è nato attore. Da un articolo di Maurizio Verdenelli apprendiamo che al termine di una tale profonda esperienza «Spaccesi pianse vere lacrime a quel trionfo “casalingo”. Riuscì a dire soltanto, al solito scherzando perché non dimenticava neppure nella commozione la battuta brillante: “Un premio così non me l’aspettavo proprio; sto forse in punto di morte?”». Ma la carriera di Spaccesi è stata anche altro. Con Giusi Raspani Dandolo forma un sodalizio artistico irresistibile, in

commedie come “Tre mariti e porto uno” e “La Signora è sul piatto” di Angelo Gangarossa. Poco prima di morire (2 giugno 2015, nella sua casa romana, all’età di 88 anni) chiede esplicitamente di «essere cremato a Roma e di avere sepoltura a Macerata. Ed avere esequie funebri nella chiesa di San Giovanni Bosco». Una ultima curiosità. Silvio Spaccesi è tra i soggetti immortalati nella chiesa di San Giovanni Bosco a Macerata. Lui e i “ragazzi di allora” infatti, sono stati presi come modello dal pittore incaricato di raffigurare il santo con i suoi allievi. Silvio è il ragazzo, giacca scura, che grida a braccia alzate, il primo sotto il mantello di stelle.

PIERLUIGI LAZZARINI Exallievo e storico di Don Bosco

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SPIRIDON/7

Animula vagula, blandula... Scelti da Frasca Quando penso a Pablo Neruda, e ad altri famosi scrittori dediti al culto di Stalin, sento il brivido che mi dà la lettura di certi passaggi dell’Inferno. Octavio Paz (Città del Messico, 1914-1998), Nobel della letteratura nel 1990. Un’altra di queste enigmatiche e meravigliose opere d’arte è la statua di Michelangelo innalzata nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma... nessun’altra scultura ha esercitato un effetto più forte su di me... sempre ho tentato di tener testa allo sguardo corrucciato e sprezzante dell’eroe e mi è capitato di svignarmela dalla penombra di quell’interno come se anch’io appartenessi alla marmaglia sulla quale è puntato il suo occhio, una marmaglia che non può tener fede a nessuna convinzione, che non vuole né aspettare né credere, ed esulta quando torna ad impossessarsi dei suoi idoli illusori. Sigmund Freud (Pribor 1856-Londra 1939). Siamo convinti che la vera forza e l’avvenire più sicuro trovino alimento, oltre che nella passione e nella volontà di tutta la famiglia federale, proprio in quei principi fondamentali che continuano a fare <<da scudo e da sangue>> al nostro operare... come nel fluire di una lunga ed estenuante navigazione che però non ha mai perduto il senso, il valore e la positività di una rotta immutabilmente seguita, di un approdo mai mutato, di un fine mai tradito. Giosuè Poli (Molfetta 1903-1969), alla XXI Assemblea della FIDAL, Roma, 22 febbraio 1969. Quanti sanno che nella storia di Roma i ludi, attentamente registrati da Livio di anno in anno, segnavano i tempi della storia? Che i cristiani polemizzarono quasi più contro i ludi che contro gli aspetti culturali del costume pagano? Che Dante nei suoi paragoni usa

infiniti richiami agli sport, che non solo il mondano Boccaccio ma anche l’appartato Petrarca si è fatto cronista di giostre, ed è stato addirittura uno sportivo? Che Machiavelli e tutti gli storici fiorentini ci hanno raccontato con grande rilievo anche gli eventi sportivi delle loro città, e che, oltre agli autori di prose, di romanzi e di poemi epico-cavallereschi, i grandi di tutte le letterature europee, da Erasmo a Rabelais, da Cervantes a Goethe e così via, ci hanno lasciato preziose testimonianze sugli sport dei loro tempi? Da Diana e le Muse, tremila anni di sport nella letteratura, di Mario Alighiero Manacorda (Roma 1914-2013), dal primo dei quattro volumi previsti dall’editrice Lancillotto e Nausicaa, Roma 2016. In tutte e tre le aree che definiscono il potere delle nazioni – trend economico, potenza militare e innovazione nel soft-power – gli Stati Uniti conservano ancora una netta preminenza sugli altri Paesi, distaccando i possibili competitori. Come ha ribadito Obama nell’ultimo discorso sullo stato dell’Unione del gennaio 2016, <<l’America resta di gran lunga la nazione più forte con la più solida economia>>... Anche sul terreno militare è provato che gli Stati Uniti sono ancora l’unica potenza al mondo in grado di vincere tutte le guerre in qualsiasi parte del mondo. L’America spende per la difesa 600 miliardi di dollari l’anno per cui, ha sottolineato Obama, <<resta militarmente di gran lunga la nazione più forte, meglio delle otto che la seguono considerate tutte insieme>>... L’indice di sviluppo umano è per gli Stati Uniti 91,4, mentre la Cina non raggiunge 50. Tra le prime 10 Università del mondo, 9 sono in terra americana. Da Obama il grande, di Massimo Teodori (Force 1938), editore Marsilio, Venezia 2016. Beppe Tosi corse a misurare con i suoi passi adusati la distanza, scosse il tondo rosso faccione quando fu arrivato a cinque, e senza attendere conferme si avvicinò al suo grande amico, gli mollò una pacca gioiosa: è il record del mondo, gridò. Consolini era incredulo: pareva non volesse convincersi. Altri ancora misurarono a passi la distanza dal picchetto fatidico alla linea dei 50 metri. Era davvero il primato mondiale, il nuovo primato! Gli atleti in campo, dietro l’esempio di Tosi, non attesero l’annuncio ufficiale, si caricarono in spalla Consolini e tra gli applausi della folla entusiasta lo portarono sul podio dei vincitori. Poi venne la conferma: per la terza volta in sette anni Adolfo Consolini, atleta ormai trentunenne, aveva migliorato il primato del mondo. Gianni Brera, dalla Gazzetta dello Sport dell’11 ottobre 1948.

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SPIRIDON/8 la novella del mese

Dopo una mia breve introduzione al pianoforte il suono rauco e grave dell’archetto, strascicato sulle corde del contrabbasso, attacca il leitmotiv di una celeberrima composizione di Duke Ellington.

Nel nostro vecchio repertorio, mio e di Jimmy, l’interpretazione da solista del brano Sophisticated Lady era affidata al suo strumento. L’esecuzione, seppur inconsueta, era già stata registrata magistralmente negli anni quaranta.

Quanto tempo è passato! In quante esperienze musicali ci siamo avventurati senza più incontrarci! Ora eccoci di nuovo in duo, intenti a leggere quello spartito che mi sembra di aver manipolato un secolo fa.

Accompagnando Jimmy al pianoforte, osservo in controluce le rapide evoluzioni del suo archetto. Penso alla nostra antica spensieratezza e a come ci eravamo persi di vista. Ora, dopo un tempo che mi sembra infinito, stiamo incredibilmente calpestando la stessa pedana.

Le mie dita scorrono meccanicamente sulla tastiera mentre una parte di me è altrove. Io e Jimmy ci meritavamo una vacanza. Venivamo entrambi da un periodo di studi armonici molto

impegnativi. Senza contare la nostra iniziazione nel genere musicale, attraverso la scoperta e la memorizzazione di frasi celebri dei giganti del jazz.

I genitori di Jimmy mi avevano invitato in un'abitazione affittata per tutto il mese d'agosto in un luogo ameno della Valganna.

Il paesino si trova sulle sponde di un minuscolo lago racchiuso da colline verdeggianti. L’invito escludeva, imperativamente, l’introduzione nell’abitazione di qualsiasi genere di strumento musicale.

Io mi ero comunque portato alcune partiture che da tempo desideravo arrangiare. I primi giorni servirono più che altro per ambientarci, ma poi... Poi incontrammo due ragazze.

Un giorno scoprimmo una vecchia villa abbandonata che dominava il paese dall'alto. Si trattava di una costruzione fatiscente e mezza diroccata. Nei giorni successivi ci dissero che la residenza, risalente a fine ottocento, era appartenuta ad una famiglia benestante della Brianza che la abitava nei periodi di vacanza. Successivamente, in mancanza di eredi, fu donata all'amministrazione locale.

L’architettura di quel rudere era curiosamente tipica dell’Alsazia: tetto in ardesia, muri esterni decorati, balconi con balaustre in legno traforato. Si intravedevano qua e là, sulla superficie consunta, resti di vernice raggrumata. Probabilmente i proprietari avevano a che fare con quella regione della Francia o della Germania. Il dubbio sussiste, viste le complicazioni di appartenenza territoriale che quella zona ha sempre avuto nella storia.

In quel luogo sospeso nel tempo avvenne l'incontro con Trude e Ursula Kropfhitsch. Non ci volle niente per presentarci e constatare che le due, nonostante il cognome, erano italiane. Ci spiegarono, nel corso del pomeriggio, le antiche origini che affioravano, tra imperscrutabili nebbie asburgiche, dalla non lontana Svizzera tedesca. Le due, gemelle eterozigote, erano arrivate lì per caso, come noi, per vincere l'inedia.

«Con questo caldo l'unica alternativa è il lago! Andiamo a prendere i costumi?». Fu Jimmy, con la sua voce roca, a rompere completamente il ghiaccio. Chissà, forse voleva mostrare alle

ragazze il suo corpo robusto e la sua abilità in acqua. A me non interessava il nuoto e nessun altro sport, tantomeno esibire il fisico. Ad ogni modo mi andava bene qualsiasi cosa, pur di rimanere il più a lungo possibile con quelle bellezze.

Dopo un certo tira e molla, le due accettarono. Jimmy è un tipo tenace. Trude si mostrò decisamente più spavalda e Ursula finì per farsi influenzare. «Scusa... Ma il vostro cognome... Insomma, è così teutonico!». «Non lambiccarti: mio padre è svizzero emigrato, il confine non è lontano da qui. Mamma è di queste parti ». «Il confine del Canton Ticino!», scherzai. «Oh… Insomma! Ci siamo capiti!». Le schermaglie con Trude continuarono nel pomeriggio, incluso il

chiarimento delle sue origini. In bikini lei era ancor meglio che da vestita. Immaginai il suo seno, liberato da quegli inconsistenti triangoli di stoffa, sfidare la gravità.

Quella vacanza, assieme alle gemelle Kropfhitsch, passò in un lampo. Tra feste di piazza e canzonette in voga, quei giorni d'estate, brevi frammenti della nostra vita, volarono,

trascinati a folle velocità sul nastro del tempo. Alla fine ciò che rimase di quel periodo fu l'unico arrangiamento che trovai il tempo di fare e la nostra

promessa alle due ragazze di rimanere in contatto. Ma non andò così, almeno per me. Ci diplomammo a pieni voti io e Jimmy. Dopo le prime, incerte esibizioni in duo prendemmo strade diverse.

Per quanto mi riguarda una vita frenetica, piena zeppa di swing e repentini spostamenti. Per Jimmy non è andata esattamente così.

L'eco dell'accordo di chiusura aleggia nella sala sempre più fioco, poi si dissolve nel nulla. Levo le mani dalla tastiera e rilascio il terzo pedale. Vedo gli occhi di Jimmy vagare tra il pubblico. Un'affascinante quarantenne in prima fila, fasciata da un abito da sera scollato, ricambia il suo sguardo. Io la conosco: il suo nome è Trude.

Com'è noto, Jimmy è un uomo tenace. L'applauso del pubblico si abbatte nel jazz club con il fragore di un acquazzone estivo. Mi alzo e con un

inchino ringrazio. Ne sono certo, oggi saprei far di meglio con quella partitura e, a pensarci bene, non solo con quella.

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SPIRIDON/9

ALLA CASSA DI UN SUPERMERCATO…. Alla cassa di un supermercato una signora anziana sceglie un sacchetto di plastica per metterci i suoi acquisti. La cassiera le rimprovera di non adeguarsi all’ecologia e gli dice:“La tua generazione non comprende semplicemente il movimento ecologico. Noi giovani stiamo pagando per la vecchia generazione che ha sprecato tutte le risorse!” La vecchietta si scusa con la cassiera e spiega:“Mi dispiace, non c’era nessun movimento ecologista al mio tempo.” Mentre lei lascia la cassa, affranta, la cassiera aggiunge:” Sono persone come voi che hanno rovinato tutte le risorse a nostre spese. E ‘ vero, non si faceva assolutamente caso alla protezione dell’ambiente nel tuo tempo.” Allora, un pò arrabbiata, la vecchia signora fa osservare che all’epoca restituivamo le bottiglie di vetro registrate al negozio. Il negozio le rimandava in fabbrica per essere lavate, sterilizzate e utilizzate nuovamente: le bottiglie erano riciclate. La carta e i sacchetti di carta si usavano più volte e quando erano ormai inutilizzabili si usavano per accendere il fuoco. Non c’era il “residuo” e l’umido si dava da mangiare agli animali. Ma noi non conoscevamo il movimento ecologista. E poi aggiunge:“Ai miei tempi salivamo le scale a piedi: non avevamo le scale mobili e pochi ascensori. Non si usava l’auto ogni volta che bisognava muoversi di due strade: camminavamo fino al negozio all’angolo. Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ambientalista. Non si conoscevano i pannolini usa e getta: si lavavano i pannolini dei neonati. Facevamo asciugare i vestiti fuori su una corda. Avevamo una sveglia che caricavamo la sera. In cucina, ci si attivava per preparare i pasti; non si disponeva di tutti questi aggeggi elettrici specializzati per preparare tutto senza sforzi e che mangiano tutti i watt che Enel produce. Quando si imballavano degli elementi fragili da inviare per posta, si usava come imbottitura della carta da giornale o dalla ovatta, in scatole già usate, non bolle di polistirolo o di plastica. Non avevamo i tosaerba a benzina o trattori: si usava l’olio di gomito per falciare il prato. Lavoravamo fisicamente; non avevamo bisogno di andare in una palestra per correre sul tapis roulant che funzionano con l’elettricità. Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ambientalista. Bevevamo l’acqua alla fontana quando avevamo sete. Non avevamo tazze o bottiglie di plastica da gettare. Si riempivano le penne in una bottiglia d’inchiostro invece di comprare una nuova penna ogni volta. Rimpiazzavamo le lame di rasoio invece di gettare il rasoio intero dopo alcuni usi. Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ambientalista. Le persone prendevano il bus, la metro, il treno e i bambini si recavano a scuola in bicicletta o a piedi invece di usare la macchina di famiglia con la mamma come un servizio di taxi 24 h su 24. Bambini tenevano lo stesso astuccio per diversi anni, i quaderni continuavano da un anno all’altro, le matite, gomme temperamatite e altri accessori duravano fintanto che potevano, non un astuccio tutti gli anni e dei quaderni gettati a fine giugno, nuovi: matite e gomme con un nuovo slogan ad ogni occasione. Ma, è vero, noi non conoscevamo il movimento ecologista! C’era solo una presa di corrente per stanza, e non una serie multipresa per alimentare tutta la panoplia degli accessori elettrici indispensabili ai giovani di oggi. Allora non farmi incazzare col tuo movimento ecologista! Tutto quello che si lamenta, è di non aver avuto abbastanza presto la pillola, per evitare di generare la generazione di giovani idioti come voi, che si immagina di aver inventato tutto, a cominciare dal lavoro, che non sanno scrivere 10 linee senza fare 20 errori di ortografia, che non hanno mai aperto un libro oltre che dei fumetti, che non sanno chi ha scritto il bolero di Ravel …( che pensano sia un grande sarto), che non sanno dove passa il Danubio quando proponi loro la scelta tra Vienna o Atene, ecc. Ma che credono comunque poter dare lezioni agli altri, dall’alto della loro ignoranza! in philosophia parum de mundo

Nutella omnia divisa est in in partes tres: Unum: Nutella in vaschetta plasticae Duum: Nutella in vitreis bicchieribus custodita Treum: Nutella in magno barattolo (magno barattolo sì, sed melius est si magno Nutella in barattolo). Nutella piacet omnibus pueris atque puellae sed, si troppa nutella fagocitare, cicciones divenire, cutaneis eructionibus sottostare et brufolos peticellosque supra facie tua stratos formare atque, ipso facto,diarream cacarellamque subitanea venire. Propterea quod familiares, et mamma in particulare, semper Nutella celat in impensabilis locis ut viteant filiis sbafare, come soliti sunt. Sed domanda spontanea nascet: si mamma contraria est filialis sbafationes, pera nutella comprat et postea celat? Intelligentiore fuisse non comprare manco per nihil...;sed forse mamma etiam nutella sbafant: celatio altrum non est vendetta trasversalis materna propterea quod ea stessa victima fuit sua volta matris suae. "Sic heri tua mamma Nutella celavit, sic hodie celis filiis tuis". Sed populum toto cognoscit ingenium puerorum si in ballo Nutellam est: vista felinos similante habent ut scriuteant in tenebris credentiarum; manes prensiles aracnidarum modo ut arrampiceant super scaffalos sgabuzzinarum; olfatto caninum - canibus superior - per Nutellam scovare inter mucchios anonimarum marmellatarum fructarum. Memento semper: filius, inevitabile, Nutella scovat sed non semper magnat. Infactum, fruxtratione maxima filii si habet quando filius scovat barattolum sed hoc barattolus novo atque sigillatos est, propterea quod si filium aprit et intaccat barattolum intonsum, sputtanatus fuisse! (Eh! Erat novus...). Hoc res demonstrat omnibus mammis nascondimentos novorum barattolorum Nutellae fatica sprecata esse. (Puella carpigiana)

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SPIRIDON/10

WILLIAM SHAKESPEARE – ROMEO E GIULIETTA

ALLE RADICI DEL RACCONTO D’ UN AMORE PERFETTO E INFELICE

«Queste gioie violente hanno fini violente. Muoiono nel loro trionfo, come la polvere da sparo e il fuoco, che si consumano al primo bacio.» (Atto II, scena VI)

“Tutto ciò che con certezza sappiamo si Shakespeare è che nacque a Stratford sull’Avon, vi si sposò, vi ebbe figli, andò a Londra dove fece l’attore e scrisse opere di poesia e di teatro, tornò a Stratford, vi fece testamento, vi morì e vi fu seppellito”. Questa è l’affermazione molto citata di uno studioso del Settecento, George Steevens. Da allora una messe di documenti esterni, anagrafici, legali, sono stati scoperti sull’uomo, e sui rapporti che ebbe a Londra e a Stratford. Si sa di lui, scrive il suo biografo più recente, Samuel Schoenbaum, più che di ogni altro drammaturgo dell’epoca, ma siamo ben lontani dai tempi a cui si possono attribuire le sue opere dai toni più eruditi. Questo è certamente vero, per questo chiunque abbia versato lacrime copiose nell’assistere alla sua opera più celebre, Romeo e Giulietta, una volta consumatosi gli occhi se ne sarà più o meno reso conto. Le origini di questo dramma, archetipo dell’amore tragico, sono assai longeve e ramificate. Perché Shakespeare era uomo colto e di larghe vedute, e seppe raccogliere quanti più racconti poteva a sua ispirazione, e con maestria inaudita li perfezionò e unì in un'unica tragedia. Il motivo del dramma nasce per la prima volta nella letteratura greca. La pozione che produce il miracoloso effetto di letargica morte compare addirittura nell’Epheziaka di Senofonte Efesio. Ma certamente, tra le origini più celebri c’è la vicenda di Piramo e Tisbe, così come raccontata da Ovidio nella Metamorfosi. Secondo la sua versione, l’amore dei due giovani è separato dall’odio delle due famiglie e da un alto muro, che solo in una crepa è con loro clemente. Attraverso questa, i due innamorati parlano e si giurano amore. Tra i sussurri attraverso il muro, decidono di fuggire. Alla fine della vicenda, i due giovani muoiono, per un malinteso, uccidendosi per aver creduto l’uno la morte dell’altro. Compaiono invece i nomi delle due casate nella Commedia di Dante. “Vieni a veder Montecchi e Cappelletti[…]color già tristi, e questi con sospetti!” (canto VI, Purgatorio). In origine infatti, i Capuleti erano Cappelletti, che, seppur di Brescia, vissero a Verona ai tempi di Dante, nella casa di Giulietta. Le due famiglie però, a quanto pare, non erano affatto nemiche fra loro, ma entrambe rivali dei Guelfi. Un racconto di Matteo Bandello, tradotto da Pierre Boaistuau, il quale aggiunge molto moralismo e sentimento alla vicenda, ispira poi Arthur Brooke, che in un monotono poema drammatico di circa 3000 versi, in rime baciate di esametri giambici alternati a pentametri, racconta la tragedia che è poi la fonte primaria di Shakespeare. Difatti, il drammaturgo, pur cambiandone il tono in numerose parti e aggiungendo freschezza e spontaneità ai personaggi, ne segue fedelmente la trama. Ma se a Brooke dobbiamo la felice invenzione della balia, sboccata, dall’umorismo popolare, fondamentali differenze apportate da Shakespeare sono ben più meritevoli. La modifica sensazionale che il brillante William introdusse nella vicenda, più che le azioni e i fatti, riguarda la moralità e il significato della storia. Gli amanti “sfortunati e disonesti” descritti da Brooke, colpevoli di aver ascoltato i loro istinti voltando le spalle ai sentimenti delle famiglie, diventano i personaggi simbolo dell’amore incontaminato, ostacolato fino alla morte dei giovani dall’odio bruciante e accanito delle due casate. “Capuleti, Montecchi, guardate che maledizione è scesa sul vostro odio, e come il cielo ha saputo servirsi dell'amore per uccidere le vostre gioie.” (Atto V, scena III) Inoltre, in Shakespeare il tempo rappresentato si comprime al massimo, amplificando così l’effetto tragico del racconto. La vicenda, originariamente della durata di nove mesi, si svolge in una manciata di giorni, da una domenica mattina di luglio -con un usuale combattimento tra le famiglie- all'alba del venerdì successivo -con il severo appello del principe; “Una triste pace porta con sé questa mattina: il sole, addolorato, non mostrerà il suo volto. Andiamo a parlare ancora di questi tristi eventi. Alcuni avranno il perdono, altri il castigo. 'Ché mai vi fu una storia così piena di dolore, come questa di Giulietta e del suo Romeo.” (Atto V, scena III). Nonostante la diversità di impostazione, nella versione shakespeariana è possibile rintracciare citazioni quasi letterali da Brooke, che sembrano dimostrare che l'autore, prima della propria composizione, dovesse conoscere il poema quasi a memoria. Ad ogni modo, al tempo in cui il talentuoso William iniziava la sua carriera drammaturgica, la storia dei due amanti sciocchi e infelici aveva ormai fatto il giro d'Europa. A quanto pare, la storia era già stata messa in scena da numerosi altri autori minori, anche se solitamente gli attori, per timore d'essere feriti dagli oggetti lanciati dalla platea adirata con le famiglie per la morte dei giovani, improvvisavano e facevano finir bene la storia. Forse, il motivo per cui tutto ciò con la versione di Shakespeare non avvenne mai, è perché, piuttosto che delle famiglie, o di Frate Giovanni, la colpa dell'infelice morte dei giovani è solo dell'impietoso Fato.

Marilena Carpi de Rosmini

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SPIRIDON/11

La giornata più rigida di questo inverno non ha scoraggiato i patiti di ultramaratona che numerosi si sono

impegnati nella “S1 Trial – Corsa della bora” che verrà ricordata anche per le sue numerose novità e soprattutto per il crescente livello tecnico ed agonistica delle tre gare che compongono la manifestazione carsica.

Com’era facile prevedere la maggiore attenzione spettacolare metteva al centro la “S1 Imperial”, 164 chilometri di percorso che ha abbracciato il golfo triestino, l’altopiano carsico, le cime innevate dello sloveno monte Stavnik sino ad avvicinare il confine croato per discendere dall’altitudine fino all’arrivo di Portopiccolo.

Tratti impervi, sentieri, roccia calcarea, e il necessario ausilio della tecnologia Gps, con i concorrenti (partiti nella notte del giorno 5 gennaio) costantemente monitorati via satellite. Individuale o in team, una esperienza a contatto con il territorio straordinaria per i partecipanti, giunti dall'Italia e dal mondo.

A tagliare il traguardo per primi sono stati Peter Kinzel e Alexander Rabensteiner con il tempo di 25 ore 55’ 53” seguiti da Luca Gasperini ( 32.45.34), Claudio Lotti (32.45.34).

Prima donna la Cristiana Follador. Gli atleti che hanno chiuso la massacrante gara sono stati venti sui 49 partiti. L’altra rappresentante del gentil sesso arrivata al traguardo è stata la norvegese Monica Strand che ha concluso in 38h.47’27.

Grandissima partecipazione, com’era prevedibile riscontrata nella manifestazione triestina, la sfida più "popolare" da affrontare é stata la “S1 Trail”, strutturata sulla distanza di 57 km. con breve escursione in terra slovena con partenza dei corridori da Pesek (400 m.), ed ancora l’Altopiano carsico con bora moderata a sferzare

tutto e tutti. La Val Rosandra ha aperto poi lo scenario a un percorso a vista mare, ricco di l'immancabile storia delle nostre terre e sentieri talvolta sconosciuti perfino a chi qua è nato e vive da sempre. Anche in questo caso l'arrivo a Portopiccolo, tutt'altro che agevole sulla spiaggia rocciosa. Vince come già fatto l’anno passato, Luca Carrara che ha chiuso in 5:12:16, precedendo Christian Modena e Christian Pizzatti. Nella classifica femminile primo posto per Annemarie Gross davanti a Aignani Alice Mode Elisabetta Mazzocco.

Nella classifica a squadre Asv Telmekom Team Sudtirol. La mega manifestazione si è conclusa con la “garetta” di 21 km. Alla via della quale si sono presentati poco meno d’un migliaio di concorrenti su un tracciato su sentieri ruvidi quanto inediti è stata vinta dall' austriaco Martin Steger, mentre la lituana Alionka Kornijenko si è imposta tra le donne. LC Sicking e Atletica Buja vittoriose nelle classifiche per squadre.

Insomma, una manifestazione pedestra di alto livello, esaltante sotto tutti i punti di vista con il solo neo di esser organizzata in un periodo stagionale certamente non accattivanti per la grande masse dei patiti delle ultramaratone.

Majda Marianovic

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SPIRIDON/12

Dimmi come balli e ti diro’ come vesti

#PITTIDANCEOFF Con l’apertura delle porte per l’edizione numero 91 di Pitti immagine Uomo inizia ufficialmente il trittico di saloni alla Fortezza da Basso di Firenze. Fino al 13 1.220 tra marchi e collezioni saranno in mostra per buyers e visitatori in arrivo da ogni parte del mondo: 540, ovvero il 44% del totale, i brand in arrivo dall’estero mentre saranno 214 gli espositori alla prima esperienza fiorentina o di ritorno al salone dopo qualche anno di assenza.

Tra i paesi di provenienza dei buyers rimangono di primo piano Germania, Giappone, Spagna, Gran Bretagna, Turchia, Olanda, Francia, Cina, Svizzera, Belgio, Stati Uniti, Corea del Sud, Austria, Russia e Svezia, secondo l’ordine di presenze registrato nell’ultima edizione.

Il tema-guida scelto per questo inverno, valido anche per Pitti Bimbo e Pitti Filati, è #PITTIDANCEOFF, “Dimmi come balli e ti dirò come vesti”, con l’allestimento curato da Oliviero Baldini. Tra gli eventi speciali c’è la mostra “Fashion in Florence through the lens of Archivio Foto Locchi”, voluta dal Centro di Firenze per la Moda Italiana e curata dal nostro Gruppo Editoriale: oggi alle 19 l’apertura ufficiale a Palazzo Pitti con 100 rarissimi scatti dagli anni ‘30 ai ’70 del Novecento che raccontano la storia della moda a Firenze.

Al via all’edizione numero 91 di Pitti Uomo, che si tiene alla Fortezza da Basso di Firenze da oggi a venerdì 13 gennaio. Al salone saranno presenti 1.220 marchi dell’abbigliamento maschile, dei quali 540 provenienti dall’estero (il 44% del totale). Saranno 210 i nomi nuovi e rientri al salone, che si estende su una superficie espositiva di 60.000 metri quadrati.

I principali mercati esteri di riferimento di Pitti Uomo sono Germania, Giappone, Spagna, Gran Bretagna, Turchia, Olanda, Francia, Cina, Svizzera, Belgio, Stati Uniti, Corea del Sud, Austria, Russia, Svezia. Sono 16 le tappe in cui si articola il percorso dentro la moda uomo: Pitti Uomo, Make, Pop Up Stores, Eye Pop, Fashion At Work, HI Beauty, Futuro Maschile, Touch!, l’Altro Uomo, Born in the Usa, Unconventional, Open, The Latest Fashion Buzz, I Play, Urban Panorama, My Factory. Il programma di eventi speciali di gennaio rappresenta un ulteriore superamento del dualismo tra fiera e fashion week, verso nuovi format che uniscono ricerca stilistica, comunicazione e concretezza per il mercato. Protagonisti le grandi aziende della tradizione che si proiettano al futuro, i nuovi talenti del fashion design e i brand in ascesa, fino ai nuovi mondi del menswear, anche in senso geografico. E poi le partecipazioni di big brand internazionali alla Fortezza, il debutto di sezioni come HI Beauty - dedicata al mondo delle fragranze e del personal care, e tutti i microcosmi che raccontano gli stili e le anime della moda uomo oggi. Menswear Guest Designer di Pitti Uomo 91 è Tim Coppens, designer belga di stanza a New York, il cui stile sta calamitando le attenzioni della comunità internazionale della moda. Finalista al Lvmh Prize 2014 e vincitore nello stesso anno del Cfda Swarovski Award, Coppens presenta a Firenze - in anteprima europea - il suo mondo che fonde tailoring, artigianalità ed athletic wear, con richiami alla street culture, lanciando la collezione uomo Fw 2017/18.


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