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ordinanza 22 giugno 2000, n. 236 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 28 giugno 2000, n. 27);...

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ordinanza 22 giugno 2000, n. 236 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 28 giugno 2000, n. 27); Pres. Mirabelli, Est. Marini; Longobardi c. Soc. B.N. commercio e finanza; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Pret. Napoli 20 luglio 1999 (G.U., 1 a s.s., n. 46 del 1999) Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2000), pp. 2105/2106-2107/2108 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23194583 . Accessed: 28/06/2014 13:59 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.37 on Sat, 28 Jun 2014 13:59:05 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: ordinanza 22 giugno 2000, n. 236 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 28 giugno 2000, n. 27); Pres. Mirabelli, Est. Marini; Longobardi c. Soc. B.N. commercio e finanza; interv. Pres.

ordinanza 22 giugno 2000, n. 236 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 28 giugno 2000, n. 27);Pres. Mirabelli, Est. Marini; Longobardi c. Soc. B.N. commercio e finanza; interv. Pres. cons.ministri. Ord. Pret. Napoli 20 luglio 1999 (G.U., 1 a s.s., n. 46 del 1999)Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2000), pp. 2105/2106-2107/2108Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194583 .

Accessed: 28/06/2014 13:59

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Page 2: ordinanza 22 giugno 2000, n. 236 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 28 giugno 2000, n. 27); Pres. Mirabelli, Est. Marini; Longobardi c. Soc. B.N. commercio e finanza; interv. Pres.

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 22 giugno 2000, n. 236

(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 28 giugno 2000, n. 27); Pres. Mirabelli, Est. Marini; Longobardi c. Soc. B.N. com

mercio e finanza; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Pret. Na

poli 20 luglio 1999 (G.U., la s.s., n. 46 del 1999).

CORTE COSTITUZIONALE;

Mutuo — Interessi usurari — Difetto di motivazione sulla rile

vanza — Questioni manifestamente inammissibili di costitu

zionalità (Cost., art. 3, 24, 47; cod. civ., art. 1815; 1. 7 marzo

1996 n. 108, disposizioni in materia di usura, art. 4).

Sono manifestamente inammissibili, per difetto di motivazione

sulla rilevanza, la questione di legittimità costituzionale del

l'art. 1815, 2° comma, c.c., come modificato dall'art. 4 I.

108/96, nella parte in cui sanziona con la non debenza di

alcun interesse la pretesa di interessi legittimamente pattuiti, ma divenuti successivamente usurari, nonché quella, sollevata

in via subordinata, dello stesso art. 1815, 2° comma, c.c.,

nella parte in cui non sanziona in alcun modo la pretesa di

interessi legittimamente pattuiti, ma divenuti successivamente

usurari, in riferimento agli art. 3, 24 e 47 Cost. (1)

Ritenuto che il Pretore di Napoli, con ordinanza emessa il

20 luglio 1999, ha sollevato, in riferimento agli art. 3, 24 e

47 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 1815,

2° comma, c.c., come modificato dall'art. 4 1. 7 marzo 1996, n. 108 (disposizioni in materia di usura), nella parte in cui san

ziona con la non debenza di alcun interesse la pretesa di interes

si legittimamente pattuiti, ma divenuti successivamente usurari;

e, in via subordinata, questione di legittimità costituzionale del

lo stesso art. 1815, 2° comma, c.c. nella parte in cui non san

ziona in alcun modo la pretesa di interessi legittimamente pat

tuiti, ma divenuti successivamente usurari; che ad avviso del rimettente — il quale è chiamato a decidere

su una domanda di condanna al pagamento di interessi di mora

convenuti in un contratto di locazione finanziaria — risponde

rebbe del reato di usura, nella configurazione risultante dal nuovo

testo dell'art. 644 c.p., non solo chi si fa promettere ma anche

chi si fa dare interessi superiori al c.d. tasso soglia fissato dal

l'art. 2, 4° comma, 1. n. 108 del 1996 e, in quanto taii, conside

rati, dalla stessa norma, sempre usurari;

che, conseguentemente, la sanzione civile della non debenza

di alcun interesse disposta dall'art. 1815, 2° comma, per l'ipo

tesi in cui siano convenuti interessi usurari, opererebbe non sol

tanto nel caso in cui gli interessi siano pattuiti ad un tasso origi

nariamente usurario ma anche in quello in cui essi superino il

tasso soglia per effetto di una variazione in diminuzione del

predetto tasso, e ciò con riguardo sia ai contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della 1. n. 108 del 1996, sia a quelli stipu

lati successivamente;

che, in tal modo, la norma impugnata si porrebbe in contra

sto, inanzitutto, con l'art. 24 Cost., in quanto precluderebbe,

(1) Il provvedimento che ha sollevato la questione di legittimità, ru

bricato come Trib. Napoli, ord. 20 luglio 1999, può leggersi in Giur.

it., 2000, 955 (ove è annotato — assieme a Trib. Venezia 20 settembre

1999 — da V. Pandolfini, Sopravvenuta usurarietà del tasso di interes

se e tutela civilistica dell'usura: incertezze e questioni di legittimità co

stituzionale). Per i primi interventi delle sezioni civili della Suprema corte sulla

nuova disciplina dell'usura, v. Cass. 2 febbraio 2000, n. 1126, Foro

it., Mass., 114 (secondo cui la 1. 108/96 non può operare rispetto ai

contratti di mutuo precedenti, pur essendo di immediata applicazione nei relativi rapporti limitatamente alla regolamentazione di effetti anco

ra in corso), e 22 aprile 2000, n. 5286, in questo fascicolo, 1, 2180

(che afferma l'applicabilità della nuova disciplina sull'usura agli inte

ressi moratori e nega che si possa continuare a dare effetto, qualora il rapporto negoziale non sia ancora esaurito, alla clausola contenuta

in un contratto stipulato anteriormente all'entrata in vigore della 1. 108/96, con cui siano stati pattuiti interessi ad un tasso divenuto superiore a

quello di soglia). Sul versante della giurisprudenza di merito, v. Trib. Palermo 7 mar

zo 2000, e Pret. Macerata-Civitanova Marche 1° giugno 1999, id., 2000,

I, 1709, con nota di richiami e nota di A. Palmieri, Retribuzione del

credito e usurarietà «sopravvenuta»: dagli equivoci della legge alla ri

cerca di regole operative affidabili. Alle indicazioni bibliografiche ivi

citate, adde, E. Quadri, Profili civilistici generali dell'usura, in Foro

nap., 1999, 322; L. Ferroni, «Ius superveniens», rapporti in corso e

usurarietà sopravvenuta, in Ross. dir. civ., 1999, 483.

Il Foro Italiano — 2000 — Parte I-39.

per effetto dei decreti ministeriali di determinazione del tasso

soglia, la tutela giurisdizionale del diritto, legittimamente sorto, alla percezione degli interessi convenzionali;

che la stessa norma sarebbe, inoltre, lesiva del principio di

eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., creando una irragionevole ed ingiustificata disparità di trattamento sia tra operatori che

abbiano legittimamente concesso finanziamenti a tassi di inte

resse non usurari, in funzione del dato accidentale della varia

zione in diminuzione del tasso soglia, non prevedibile nell'an

e nel quantum, sia tra posizioni creditorie e debitorie, atteso

che il creditore — il quale non dovrebbe necessariamente identi

ficarsi con il soggetto economicamente più forte del rapporto — sarebbe esposto, in caso di diminuzione del tasso soglia, alla

sanzione della non debenza di interessi, senza che un successivo

aumento della soglia di usurarietà al di sopra del tasso pattuito

possa incidere nuovamente sul rapporto; che la norma impugnata contrasterebbe da ultimo con l'art.

47 Cost., in quanto da un lato ostacolerebbe la concessione del

credito a causa del rischio di una sanzione a carico degli opera tori finanziari del tutto indipendente da una qualsiasi loro con

dotta colpevole, dall'altro indurrebbe gli operatori medesimi —

i quali, in virtù del meccanismo previsto dalla 1. n. 108 del 1996,

possono di fatto incidere sulla determinazione del tasso soglia — a mantenere i tassi di interesse ad un livello più alto di quel lo effettivamente imposto dal mercato;

che qualora, poi, la norma impugnata fosse interpretata nel

senso di riferire la sanzione di nullità ivi prevista alle sole pat tuizioni con le quali vengono convenuti interessi usurari, esclu

dendo dunque le ipotesi in cui gli interessi divengano usurari

a seguito dell'abbassamento del tasso soglia, ugualmente la di

sposizione si porrebbe — ad avviso del medesimo rimettente — in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto sottoporrebbe a

disciplina diversa situazioni identiche (e cioè richieste di interes

si superiori al tasso soglia pro tempore vigente) in ragione esclu

sivamente del dato temporale relativo alla conclusione del con

tratto; che è intervenuto in giudizio il presidente del consiglio dei

ministri, per mezzo dell'avvocatura-generale dello Stato, con

cludendo per la declaratoria di infondatezza di entrambe le que stioni prospettate, in via principale e subordinata, dal rimettente;

che, secondo l'avvocatura, l'art. 1815, 2° comma, c.c. do

vrebbe trovare applicazione soltanto nei casi in cui sussistano

gli estremi del reato di usura il quale richiederebbe che la pat

tuizione abbia ab origine, e cioè all'atto della sua stipulazione, il carattere dell'usurarietà;

che, in particolare, secondo l'avvocatura, la mutabilità dei

tassi di mercato che, nel corso di un rapporto per sua natura

di lunga durata, possono crescere, con vantaggio del debitore, o diminuire, con vantaggio per la banca o l'azienda finanziatri

ce, renderebbe necessariamente aleatorio il contratto di finan

ziamento a tasso fisso; che la tutela offerta dal reato di usura non sarebbe, pertanto,

invocabile quando si tratta di sottrarre il debitore non già al

l'assunzione di impegni sproporzionati al corrispettivo ricevuto,

ma ad un rischio economico consapevolmente e liberamente as

sunto al momento della conclusione del contratto;

che, pertanto, «l'unica soluzione coerente con i principi costi

tuzionali» sarebbe, secondo l'avvocatura, «quella dell'inappli

cabilità del 2° comma dell'art. 1815 c.c. alle operazioni stipula

te prima della riduzione del tasso soglia ad una misura inferiore

ai tassi originariamente convenuti».

Considerato che l'oggetto del giudizio a quo è rappresentato — come si desume dall'ordinanza di rimessione — dalla do

manda di condanna al pagamento di interessi convenzionali di

mora; che manca, nell'ordinanza di rimessione, qualsiasi motivazio

ne in ordine all'iter logico in virtù del quale il rimettente ritiene

che la norma impugnata — dettata in tema di contratto di mu

tuo — sia applicabile anche alla convenzione determinativa di

interessi moratori, dovuti per il ritardo nell'adempimento di

un'obbligazione pecuniaria; che il difetto di motivazione su tale profilo di rilevanza —

considerata anche la mancanza di un diritto vivente conforme

all'implicito assunto dal rimettente — determina la manifesta

inammissibilità sia della questione principale che di quella su

bordinata.

Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2°

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Page 3: ordinanza 22 giugno 2000, n. 236 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 28 giugno 2000, n. 27); Pres. Mirabelli, Est. Marini; Longobardi c. Soc. B.N. commercio e finanza; interv. Pres.

2107 PARTE PRIMA 2108

comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte

costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife

sta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale

dell'art. 1815, 2° comma, c.c., come modificato dall'art. 4 1.

7 marzo 1996 n. 108 (disposizioni in materia di usura), solleva

te, in riferimento agli art. 3, 24 e 47 Cost., dal Pretore di Na

poli con l'ordinanza in epigrafe.

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 5 giugno 2000, n. 176

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 7 giugno 2000, n. 24); Pres. Mirabelli, Est. Capotosti; interv. Regione Lombar

dia. Ord. Tar Lombardia 20 ottobre 1998, 17 febbraio, 23

febbraio e 23 marzo 1999 (G.U., la s.s., nn. 9, 23, 36 e 37

del 1999).

Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Lombardia — Edilizia residenziale pubblica — Alloggio — Assegnazione — Decadenza — Reddito immobiliare dell'assegnatario —

Commisurazione all'equo canone «ex lege» 392/78 — Inco

stituzionalità (Cost., art. 3, 117, 118; 1. reg. Lombardia 5

dicembre 1983 n. 91, disciplina dell'assegnazione e della ge stione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, art. 2, 22).

Sono incostituzionali l'art. 2, 1° comma, lett. d), e l'art. 22, 1° comma, lett. e), l. reg. Lombardia 5 dicembre 1983 n.

91, limitatamente alla parte in cui, prevedendo come preclusi va dell'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pub blica e come causa di decadenza dalla stessa la titolarità, da

parte dell'assegnatario (o aspirante tale), del diritto di pro

prietà o di altri diritti reali di godimento su uno o più alloggi, ubicati in qualsiasi località, che consentano un reddito alme

no pari al canone di locazione di un alloggio adeguato alle

proprie esigenze abitative, fanno a tal fine riferimento al ca

none di locazione determinato ai sensi della l. 27 luglio 1978

n. 392. (1)

(1-2) 1. - Con le sentenze qui riprodotte la Corte costituzionale inter viene sulle norme dettate dalla regione Lombardia e dalla regione Um bria in materia di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubbli ca, per ciò che concerne il requisito della «non possidenza» (ovvero della «mancanza di titolarità di diritti di proprietà, usufrutto, uso e

abitazione») di immobili, e in particolare di un «alloggio adeguato alle

esigenze del nucleo familiare»; requisito che, secondo quanto precisato anche dalla delibera Cipe 13 marzo 1995 (Le leggi, 1995, I, 1567), «de ve permanere in costanza del rapporto» di assegnazione e deve sussiste re sia in capo al richiedente, sia in capo agli altri componenti il suo nucleo familiare.

II. - La questione di legittimità esaminata dalla corte nella sentenza 176/00 trova origine nel fatto che la 1. reg. Lombardia 91/83 preclude la partecipazione al concorso per l'assegnazione di un alloggio di edili zia residenziale pubblica, oltre a chi sia proprietario o titolare di altro diritto reale di godimento su alloggio adeguato alle esigenze del nucleo familiare ubicato nell'ambito territoriale cui si riferisce il bando di con

corso, anche a chi sia titolare di uno dei siffatti diritti su immobili siti al di fuori del predetto ambito territoriale, ove «consentano un red dito almeno pari all'ammontare del canone di locazione, determinato ai sensi della 1. 27 luglio 1978 n. 392, di un alloggio adeguato con condizioni abitative medie nell'ambito territoriale cui si riferisce il ban do di concorso . . .» (art. 2, 1° comma, lett. d); prevedendo, poi, la decadenza dall'assegnazione in caso di sopravvenienza di tale situazione

(art. 22, 1° comma, lett. e). La questione, già in precedenza sollevata, in termini più ampi (costi

tuendo, tra l'altro, oggetto di impugnazione anche l'art. 2, 2° comma, n. 2, 1. 457/78) dallo stesso Tar Lombardia (con ord. 29 novembre

1996, Foro it., Rep. 1997, voce Edilizia popolare, n. 69, e 3 luglio 1997, erroneamente indicate al punto 2 della pronunzia in rassegna co

Il Foro Italiano — 2000.

II

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 1° giugno 2000, n. 169

(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 7 giugno 2000, n. 24);

Pres. Mirabelli, Est. Capotosti; Cirulli c. Comm. prov. as

segnazione alloggi ed. res. pubblica di Terni. Ord. Tar Um

bria 6 maggio 1998 (G.U., la s.s., n. 52 del 1998).

Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Umbria —

Edilizia residenziale pubblica — Alloggio — Assegnazione —

Motivi di esclusione — Titolarità di alloggio adeguato alle

esigenze del nucleo familiare — Inadeguatezza per ragioni

igienico-sanitarie — Omessa previsione — Incostituzionalità

(Cost., art. 3; 1. reg. Umbria 21 novembre 1983 n. 44, disci

plina della gestione degli alloggi di edilizia residenziale pub blica e determinazione dei canoni di locazione, art. 2; 1. 23

gennaio 1992 n. 44, approvazione, ai sensi dell'art. 123, 2°

comma, Cost., dello statuto della regione Umbria, art. 26).

È incostituzionale l'art. 2, 1° comma, lett. c), l. reg. Umbria

21 novembre 1983 n. 44, nella parte in cui, stabilendo che

ai fini dell'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica occorre non essere titolare di diritti reali di godi mento su alloggio adeguato alle esigenze del nucleo familiare, omette di prevedere che non si considera adeguato l'alloggio dichiarato inabitabile per ragioni igienico-sanitarie, facendo

riferimento esclusivamente all'ipotesi di inabitabilità per mo

tivi statici. (2)

me ripropositive della questione), era stata dichiarata inammissibile, per assoluto difetto di motivazione sulla rilevanza, avendo il giudice a quo omesso di considerare, in particolare, la possibile incidenza nella specie della suddetta delibera Cipe del 13 marzo 1995, parzialmente innovati va della disciplina relativa ai requisiti per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e ai casi di annullamento o revoca della stessa: v. Corte cost., ord. 11 dicembre 1997, n. 402, id., 1998, I, 2042, e ord. 20 maggio 1998, n. 183, Giur. costit., 1998, 1504.

Le censure mosse dal Tar Lombardia (il quale deduceva non soltanto la irragionevolezza del rinvio ai criteri di determinazione del canone ex art. 12 ss. 1. 392/78, ma, più radicalmente, il contrasto della discipli na regionale con i criteri direttivi della menzionata delibera Cipe e, co

munque, la ingiustificata discriminazione determinata dalle norme re

gionali impugnate tra assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pub blica titolari di redditi immobiliari e quelli titolari di redditi aventi diversa natura e fonte) hanno trovato solo in parte (per la minor parte) accogli mento nel decisimi del giudice delle leggi: la Corte costituzionale, infat

ti, dopo avere sottolineato come «la fissazione di limiti reddituali ai fini dell'assegnazione e del godimento degli alloggi di edilizia residen ziale pubblica ha rappresentato, a partire dal r.d. 28 aprile 1938 n.

1165, ... un elemento costante della disciplina, ... in quanto conna turato alle finalità sociali proprie di questo tipo di intervento pubbli co . . .», osserva come, nel contesto della disciplina in materia, diretta a garantire un'abitazione a soggetti economicamente deboli nel luogo ove è la sede dei loro interessi, «è evidente che la titolarità di diritti reali immobiliari può ragionevolmente dispiegare efficacia preclusiva nei confronti dell'aspirante assegnatario», e ciò non solo quando essa ri

guardi un immobile sito nell'ambito territoriale cui si riferisce il bando di concorso, ma anche qualora l'immobile si trovi al di fuori di tale

ambito, «giacché, in ogni caso, il titolare può comunque da esso ricava re utilità comparabili con quelle di un alloggio situato in luogo adegua to». Incongrua e irragionevole rispetto alla finalità perseguita (e quindi, in contrasto con l'art. 3 Cost.) deve invece ritenersi, ad avviso dei giu dici della Consulta, esclusivamente la scelta di ancorare la valutazione

dell'alloggio ubicato in altra località (incidente sui requisiti necessari

per poter aspirare all'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale

pubblica, o per non decadere da essa) al c.d. equo canone determinato ai sensi degli art. 12 ss. 1. 392/78 (e cioè ad un canone determinato sulla base dei parametri di legge e astrattamente considerato, indipen dentemente da quello percepito in concreto dall'eventuale inquilino, co me recentemente sottolineato da Pret. Brescia 22 luglio 1998, Arch,

locazioni, 1998, 741), giacché «l'impostazione di fondo» di tale discipli na deve considerarsi «ormai superata», come è di tutta evidenza dopo la progressiva liberalizzazione (quanto meno sotto il profilo della misu ra del canone locativo) della disciplina in materia di locazioni abitative, scandita dalla introduzione della possibilità di «patti in deroga» al c.d.

equo canone (per riferimenti al riguardo, cfr., tra gli altri, D. Piombo, L'art. 11 d.l. 333/92, modificato dalla legge di conversione 359/92, sugli accordi in deroga alla legge c.d. dell'equo canone: una norma da riscrivere, in Foro it., 1992, I, 3161) e successivamente dalla 1. 9 dicembre 1998 n. 431 (per un primo approccio alla quale v., tra gli

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