ordinanza 22 giugno 2000, n. 236 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 28 giugno 2000, n. 27);Pres. Mirabelli, Est. Marini; Longobardi c. Soc. B.N. commercio e finanza; interv. Pres. cons.ministri. Ord. Pret. Napoli 20 luglio 1999 (G.U., 1 a s.s., n. 46 del 1999)Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2000), pp. 2105/2106-2107/2108Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194583 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 22 giugno 2000, n. 236
(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 28 giugno 2000, n. 27); Pres. Mirabelli, Est. Marini; Longobardi c. Soc. B.N. com
mercio e finanza; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Pret. Na
poli 20 luglio 1999 (G.U., la s.s., n. 46 del 1999).
CORTE COSTITUZIONALE;
Mutuo — Interessi usurari — Difetto di motivazione sulla rile
vanza — Questioni manifestamente inammissibili di costitu
zionalità (Cost., art. 3, 24, 47; cod. civ., art. 1815; 1. 7 marzo
1996 n. 108, disposizioni in materia di usura, art. 4).
Sono manifestamente inammissibili, per difetto di motivazione
sulla rilevanza, la questione di legittimità costituzionale del
l'art. 1815, 2° comma, c.c., come modificato dall'art. 4 I.
108/96, nella parte in cui sanziona con la non debenza di
alcun interesse la pretesa di interessi legittimamente pattuiti, ma divenuti successivamente usurari, nonché quella, sollevata
in via subordinata, dello stesso art. 1815, 2° comma, c.c.,
nella parte in cui non sanziona in alcun modo la pretesa di
interessi legittimamente pattuiti, ma divenuti successivamente
usurari, in riferimento agli art. 3, 24 e 47 Cost. (1)
Ritenuto che il Pretore di Napoli, con ordinanza emessa il
20 luglio 1999, ha sollevato, in riferimento agli art. 3, 24 e
47 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 1815,
2° comma, c.c., come modificato dall'art. 4 1. 7 marzo 1996, n. 108 (disposizioni in materia di usura), nella parte in cui san
ziona con la non debenza di alcun interesse la pretesa di interes
si legittimamente pattuiti, ma divenuti successivamente usurari;
e, in via subordinata, questione di legittimità costituzionale del
lo stesso art. 1815, 2° comma, c.c. nella parte in cui non san
ziona in alcun modo la pretesa di interessi legittimamente pat
tuiti, ma divenuti successivamente usurari; che ad avviso del rimettente — il quale è chiamato a decidere
su una domanda di condanna al pagamento di interessi di mora
convenuti in un contratto di locazione finanziaria — risponde
rebbe del reato di usura, nella configurazione risultante dal nuovo
testo dell'art. 644 c.p., non solo chi si fa promettere ma anche
chi si fa dare interessi superiori al c.d. tasso soglia fissato dal
l'art. 2, 4° comma, 1. n. 108 del 1996 e, in quanto taii, conside
rati, dalla stessa norma, sempre usurari;
che, conseguentemente, la sanzione civile della non debenza
di alcun interesse disposta dall'art. 1815, 2° comma, per l'ipo
tesi in cui siano convenuti interessi usurari, opererebbe non sol
tanto nel caso in cui gli interessi siano pattuiti ad un tasso origi
nariamente usurario ma anche in quello in cui essi superino il
tasso soglia per effetto di una variazione in diminuzione del
predetto tasso, e ciò con riguardo sia ai contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della 1. n. 108 del 1996, sia a quelli stipu
lati successivamente;
che, in tal modo, la norma impugnata si porrebbe in contra
sto, inanzitutto, con l'art. 24 Cost., in quanto precluderebbe,
(1) Il provvedimento che ha sollevato la questione di legittimità, ru
bricato come Trib. Napoli, ord. 20 luglio 1999, può leggersi in Giur.
it., 2000, 955 (ove è annotato — assieme a Trib. Venezia 20 settembre
1999 — da V. Pandolfini, Sopravvenuta usurarietà del tasso di interes
se e tutela civilistica dell'usura: incertezze e questioni di legittimità co
stituzionale). Per i primi interventi delle sezioni civili della Suprema corte sulla
nuova disciplina dell'usura, v. Cass. 2 febbraio 2000, n. 1126, Foro
it., Mass., 114 (secondo cui la 1. 108/96 non può operare rispetto ai
contratti di mutuo precedenti, pur essendo di immediata applicazione nei relativi rapporti limitatamente alla regolamentazione di effetti anco
ra in corso), e 22 aprile 2000, n. 5286, in questo fascicolo, 1, 2180
(che afferma l'applicabilità della nuova disciplina sull'usura agli inte
ressi moratori e nega che si possa continuare a dare effetto, qualora il rapporto negoziale non sia ancora esaurito, alla clausola contenuta
in un contratto stipulato anteriormente all'entrata in vigore della 1. 108/96, con cui siano stati pattuiti interessi ad un tasso divenuto superiore a
quello di soglia). Sul versante della giurisprudenza di merito, v. Trib. Palermo 7 mar
zo 2000, e Pret. Macerata-Civitanova Marche 1° giugno 1999, id., 2000,
I, 1709, con nota di richiami e nota di A. Palmieri, Retribuzione del
credito e usurarietà «sopravvenuta»: dagli equivoci della legge alla ri
cerca di regole operative affidabili. Alle indicazioni bibliografiche ivi
citate, adde, E. Quadri, Profili civilistici generali dell'usura, in Foro
nap., 1999, 322; L. Ferroni, «Ius superveniens», rapporti in corso e
usurarietà sopravvenuta, in Ross. dir. civ., 1999, 483.
Il Foro Italiano — 2000 — Parte I-39.
per effetto dei decreti ministeriali di determinazione del tasso
soglia, la tutela giurisdizionale del diritto, legittimamente sorto, alla percezione degli interessi convenzionali;
che la stessa norma sarebbe, inoltre, lesiva del principio di
eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., creando una irragionevole ed ingiustificata disparità di trattamento sia tra operatori che
abbiano legittimamente concesso finanziamenti a tassi di inte
resse non usurari, in funzione del dato accidentale della varia
zione in diminuzione del tasso soglia, non prevedibile nell'an
e nel quantum, sia tra posizioni creditorie e debitorie, atteso
che il creditore — il quale non dovrebbe necessariamente identi
ficarsi con il soggetto economicamente più forte del rapporto — sarebbe esposto, in caso di diminuzione del tasso soglia, alla
sanzione della non debenza di interessi, senza che un successivo
aumento della soglia di usurarietà al di sopra del tasso pattuito
possa incidere nuovamente sul rapporto; che la norma impugnata contrasterebbe da ultimo con l'art.
47 Cost., in quanto da un lato ostacolerebbe la concessione del
credito a causa del rischio di una sanzione a carico degli opera tori finanziari del tutto indipendente da una qualsiasi loro con
dotta colpevole, dall'altro indurrebbe gli operatori medesimi —
i quali, in virtù del meccanismo previsto dalla 1. n. 108 del 1996,
possono di fatto incidere sulla determinazione del tasso soglia — a mantenere i tassi di interesse ad un livello più alto di quel lo effettivamente imposto dal mercato;
che qualora, poi, la norma impugnata fosse interpretata nel
senso di riferire la sanzione di nullità ivi prevista alle sole pat tuizioni con le quali vengono convenuti interessi usurari, esclu
dendo dunque le ipotesi in cui gli interessi divengano usurari
a seguito dell'abbassamento del tasso soglia, ugualmente la di
sposizione si porrebbe — ad avviso del medesimo rimettente — in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto sottoporrebbe a
disciplina diversa situazioni identiche (e cioè richieste di interes
si superiori al tasso soglia pro tempore vigente) in ragione esclu
sivamente del dato temporale relativo alla conclusione del con
tratto; che è intervenuto in giudizio il presidente del consiglio dei
ministri, per mezzo dell'avvocatura-generale dello Stato, con
cludendo per la declaratoria di infondatezza di entrambe le que stioni prospettate, in via principale e subordinata, dal rimettente;
che, secondo l'avvocatura, l'art. 1815, 2° comma, c.c. do
vrebbe trovare applicazione soltanto nei casi in cui sussistano
gli estremi del reato di usura il quale richiederebbe che la pat
tuizione abbia ab origine, e cioè all'atto della sua stipulazione, il carattere dell'usurarietà;
che, in particolare, secondo l'avvocatura, la mutabilità dei
tassi di mercato che, nel corso di un rapporto per sua natura
di lunga durata, possono crescere, con vantaggio del debitore, o diminuire, con vantaggio per la banca o l'azienda finanziatri
ce, renderebbe necessariamente aleatorio il contratto di finan
ziamento a tasso fisso; che la tutela offerta dal reato di usura non sarebbe, pertanto,
invocabile quando si tratta di sottrarre il debitore non già al
l'assunzione di impegni sproporzionati al corrispettivo ricevuto,
ma ad un rischio economico consapevolmente e liberamente as
sunto al momento della conclusione del contratto;
che, pertanto, «l'unica soluzione coerente con i principi costi
tuzionali» sarebbe, secondo l'avvocatura, «quella dell'inappli
cabilità del 2° comma dell'art. 1815 c.c. alle operazioni stipula
te prima della riduzione del tasso soglia ad una misura inferiore
ai tassi originariamente convenuti».
Considerato che l'oggetto del giudizio a quo è rappresentato — come si desume dall'ordinanza di rimessione — dalla do
manda di condanna al pagamento di interessi convenzionali di
mora; che manca, nell'ordinanza di rimessione, qualsiasi motivazio
ne in ordine all'iter logico in virtù del quale il rimettente ritiene
che la norma impugnata — dettata in tema di contratto di mu
tuo — sia applicabile anche alla convenzione determinativa di
interessi moratori, dovuti per il ritardo nell'adempimento di
un'obbligazione pecuniaria; che il difetto di motivazione su tale profilo di rilevanza —
considerata anche la mancanza di un diritto vivente conforme
all'implicito assunto dal rimettente — determina la manifesta
inammissibilità sia della questione principale che di quella su
bordinata.
Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2°
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2107 PARTE PRIMA 2108
comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte
costituzionale.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife
sta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale
dell'art. 1815, 2° comma, c.c., come modificato dall'art. 4 1.
7 marzo 1996 n. 108 (disposizioni in materia di usura), solleva
te, in riferimento agli art. 3, 24 e 47 Cost., dal Pretore di Na
poli con l'ordinanza in epigrafe.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 5 giugno 2000, n. 176
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 7 giugno 2000, n. 24); Pres. Mirabelli, Est. Capotosti; interv. Regione Lombar
dia. Ord. Tar Lombardia 20 ottobre 1998, 17 febbraio, 23
febbraio e 23 marzo 1999 (G.U., la s.s., nn. 9, 23, 36 e 37
del 1999).
Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Lombardia — Edilizia residenziale pubblica — Alloggio — Assegnazione — Decadenza — Reddito immobiliare dell'assegnatario —
Commisurazione all'equo canone «ex lege» 392/78 — Inco
stituzionalità (Cost., art. 3, 117, 118; 1. reg. Lombardia 5
dicembre 1983 n. 91, disciplina dell'assegnazione e della ge stione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, art. 2, 22).
Sono incostituzionali l'art. 2, 1° comma, lett. d), e l'art. 22, 1° comma, lett. e), l. reg. Lombardia 5 dicembre 1983 n.
91, limitatamente alla parte in cui, prevedendo come preclusi va dell'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pub blica e come causa di decadenza dalla stessa la titolarità, da
parte dell'assegnatario (o aspirante tale), del diritto di pro
prietà o di altri diritti reali di godimento su uno o più alloggi, ubicati in qualsiasi località, che consentano un reddito alme
no pari al canone di locazione di un alloggio adeguato alle
proprie esigenze abitative, fanno a tal fine riferimento al ca
none di locazione determinato ai sensi della l. 27 luglio 1978
n. 392. (1)
(1-2) 1. - Con le sentenze qui riprodotte la Corte costituzionale inter viene sulle norme dettate dalla regione Lombardia e dalla regione Um bria in materia di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubbli ca, per ciò che concerne il requisito della «non possidenza» (ovvero della «mancanza di titolarità di diritti di proprietà, usufrutto, uso e
abitazione») di immobili, e in particolare di un «alloggio adeguato alle
esigenze del nucleo familiare»; requisito che, secondo quanto precisato anche dalla delibera Cipe 13 marzo 1995 (Le leggi, 1995, I, 1567), «de ve permanere in costanza del rapporto» di assegnazione e deve sussiste re sia in capo al richiedente, sia in capo agli altri componenti il suo nucleo familiare.
II. - La questione di legittimità esaminata dalla corte nella sentenza 176/00 trova origine nel fatto che la 1. reg. Lombardia 91/83 preclude la partecipazione al concorso per l'assegnazione di un alloggio di edili zia residenziale pubblica, oltre a chi sia proprietario o titolare di altro diritto reale di godimento su alloggio adeguato alle esigenze del nucleo familiare ubicato nell'ambito territoriale cui si riferisce il bando di con
corso, anche a chi sia titolare di uno dei siffatti diritti su immobili siti al di fuori del predetto ambito territoriale, ove «consentano un red dito almeno pari all'ammontare del canone di locazione, determinato ai sensi della 1. 27 luglio 1978 n. 392, di un alloggio adeguato con condizioni abitative medie nell'ambito territoriale cui si riferisce il ban do di concorso . . .» (art. 2, 1° comma, lett. d); prevedendo, poi, la decadenza dall'assegnazione in caso di sopravvenienza di tale situazione
(art. 22, 1° comma, lett. e). La questione, già in precedenza sollevata, in termini più ampi (costi
tuendo, tra l'altro, oggetto di impugnazione anche l'art. 2, 2° comma, n. 2, 1. 457/78) dallo stesso Tar Lombardia (con ord. 29 novembre
1996, Foro it., Rep. 1997, voce Edilizia popolare, n. 69, e 3 luglio 1997, erroneamente indicate al punto 2 della pronunzia in rassegna co
Il Foro Italiano — 2000.
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 1° giugno 2000, n. 169
(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 7 giugno 2000, n. 24);
Pres. Mirabelli, Est. Capotosti; Cirulli c. Comm. prov. as
segnazione alloggi ed. res. pubblica di Terni. Ord. Tar Um
bria 6 maggio 1998 (G.U., la s.s., n. 52 del 1998).
Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Umbria —
Edilizia residenziale pubblica — Alloggio — Assegnazione —
Motivi di esclusione — Titolarità di alloggio adeguato alle
esigenze del nucleo familiare — Inadeguatezza per ragioni
igienico-sanitarie — Omessa previsione — Incostituzionalità
(Cost., art. 3; 1. reg. Umbria 21 novembre 1983 n. 44, disci
plina della gestione degli alloggi di edilizia residenziale pub blica e determinazione dei canoni di locazione, art. 2; 1. 23
gennaio 1992 n. 44, approvazione, ai sensi dell'art. 123, 2°
comma, Cost., dello statuto della regione Umbria, art. 26).
È incostituzionale l'art. 2, 1° comma, lett. c), l. reg. Umbria
21 novembre 1983 n. 44, nella parte in cui, stabilendo che
ai fini dell'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica occorre non essere titolare di diritti reali di godi mento su alloggio adeguato alle esigenze del nucleo familiare, omette di prevedere che non si considera adeguato l'alloggio dichiarato inabitabile per ragioni igienico-sanitarie, facendo
riferimento esclusivamente all'ipotesi di inabitabilità per mo
tivi statici. (2)
me ripropositive della questione), era stata dichiarata inammissibile, per assoluto difetto di motivazione sulla rilevanza, avendo il giudice a quo omesso di considerare, in particolare, la possibile incidenza nella specie della suddetta delibera Cipe del 13 marzo 1995, parzialmente innovati va della disciplina relativa ai requisiti per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e ai casi di annullamento o revoca della stessa: v. Corte cost., ord. 11 dicembre 1997, n. 402, id., 1998, I, 2042, e ord. 20 maggio 1998, n. 183, Giur. costit., 1998, 1504.
Le censure mosse dal Tar Lombardia (il quale deduceva non soltanto la irragionevolezza del rinvio ai criteri di determinazione del canone ex art. 12 ss. 1. 392/78, ma, più radicalmente, il contrasto della discipli na regionale con i criteri direttivi della menzionata delibera Cipe e, co
munque, la ingiustificata discriminazione determinata dalle norme re
gionali impugnate tra assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pub blica titolari di redditi immobiliari e quelli titolari di redditi aventi diversa natura e fonte) hanno trovato solo in parte (per la minor parte) accogli mento nel decisimi del giudice delle leggi: la Corte costituzionale, infat
ti, dopo avere sottolineato come «la fissazione di limiti reddituali ai fini dell'assegnazione e del godimento degli alloggi di edilizia residen ziale pubblica ha rappresentato, a partire dal r.d. 28 aprile 1938 n.
1165, ... un elemento costante della disciplina, ... in quanto conna turato alle finalità sociali proprie di questo tipo di intervento pubbli co . . .», osserva come, nel contesto della disciplina in materia, diretta a garantire un'abitazione a soggetti economicamente deboli nel luogo ove è la sede dei loro interessi, «è evidente che la titolarità di diritti reali immobiliari può ragionevolmente dispiegare efficacia preclusiva nei confronti dell'aspirante assegnatario», e ciò non solo quando essa ri
guardi un immobile sito nell'ambito territoriale cui si riferisce il bando di concorso, ma anche qualora l'immobile si trovi al di fuori di tale
ambito, «giacché, in ogni caso, il titolare può comunque da esso ricava re utilità comparabili con quelle di un alloggio situato in luogo adegua to». Incongrua e irragionevole rispetto alla finalità perseguita (e quindi, in contrasto con l'art. 3 Cost.) deve invece ritenersi, ad avviso dei giu dici della Consulta, esclusivamente la scelta di ancorare la valutazione
dell'alloggio ubicato in altra località (incidente sui requisiti necessari
per poter aspirare all'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale
pubblica, o per non decadere da essa) al c.d. equo canone determinato ai sensi degli art. 12 ss. 1. 392/78 (e cioè ad un canone determinato sulla base dei parametri di legge e astrattamente considerato, indipen dentemente da quello percepito in concreto dall'eventuale inquilino, co me recentemente sottolineato da Pret. Brescia 22 luglio 1998, Arch,
locazioni, 1998, 741), giacché «l'impostazione di fondo» di tale discipli na deve considerarsi «ormai superata», come è di tutta evidenza dopo la progressiva liberalizzazione (quanto meno sotto il profilo della misu ra del canone locativo) della disciplina in materia di locazioni abitative, scandita dalla introduzione della possibilità di «patti in deroga» al c.d.
equo canone (per riferimenti al riguardo, cfr., tra gli altri, D. Piombo, L'art. 11 d.l. 333/92, modificato dalla legge di conversione 359/92, sugli accordi in deroga alla legge c.d. dell'equo canone: una norma da riscrivere, in Foro it., 1992, I, 3161) e successivamente dalla 1. 9 dicembre 1998 n. 431 (per un primo approccio alla quale v., tra gli
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