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ordinanza 7 novembre 2001, n. 361 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 14 novembre 2001, n. 44);...

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ordinanza 7 novembre 2001, n. 361 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 14 novembre 2001, n. 44); Pres. Santosuosso, Est. Marini; Gollinucci c. Fall. Gollinucci e altra. Ord. Trib. Monza 2 novembre 2000 (G.U., 1 a s.s., n. 7 del 2001) Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 1 (GENNAIO 2002), pp. 1/2-3/4 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23197695 . Accessed: 25/06/2014 04:17 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.105 on Wed, 25 Jun 2014 04:17:28 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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ordinanza 7 novembre 2001, n. 361 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 14 novembre 2001, n.44); Pres. Santosuosso, Est. Marini; Gollinucci c. Fall. Gollinucci e altra. Ord. Trib. Monza 2novembre 2000 (G.U., 1 a s.s., n. 7 del 2001)Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 1 (GENNAIO 2002), pp. 1/2-3/4Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197695 .

Accessed: 25/06/2014 04:17

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Anno CXXVII Roma, 2002 Volume CXXV

IL FORO

ITALIANO

PARTE PRIMA

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 7 novembre 2001, n.

361 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 14 novembre 2001, n. 44); Pres. Santosuosso, Est. Marini; Gollinucci c. Fall.

Gollinucci e altra. Ord. Trib. Monza 2 novembre 2000 (G.U., la s.s., n. 7 del 2001).

CORTE COSTITUZIONALE;

Fallimento — Dichiarazione di fallimento dell'imprenditore individuale — Termine annuale — Risultanze del registro delle imprese — Irrilevanza — Questione manifestamente

infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 97; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 10).

E manifestamente infondata la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 10 l. fall., nella parte in cui non prevede che

la sentenza dichiarativa di fallimento dell'imprenditore indi

viduale possa essere pronunciata entro un anno dalla iscri

zione della cessazione dell'attività nel registro delle imprese, in relazione al principio di eguaglianza e al diverso tratta

mento previsto per le società, in quanto la norma può essere

interpretata, in assenza di un contrario diritto vivente, nel

senso che anche per le imprese individuali debbano valere le

risultanze delle iscrizioni nel registro delle imprese, fatta sal

va la possibilità per i creditori di dimostrare la prosecuzione dell'attività successivamente alla iscrizione della cessazione,

in riferimento agli art. 3, 24 e 97 Cost. (1)

(1) L'art. 10 1. fall, rappresenta all'evidenza un «nervo scoperto» nei

rapporti fra giudici di merito e giudice delle leggi. La vicenda dell'e voluzione di tale norma è compiutamente descritta nelle note a Cass. 9 febbraio 2001, n. 1852, e 11 dicembre 2000, n. 15596, in Foro it., 2001, I, 2558; 5 ottobre 1999, n. 11045, ibid., 1034; ord. 21 gennaio 2000, n. 28, id., 2000,1, 1624; Corte cost. 21 luglio 2000, n. 319, ibid., 2723; 12 marzo 1999, n. 66, e ord. 20 maggio 1998, n. 180, id., 1999,1, 1381.

Con quest'ultimo passaggio si dimostra ancora una volta l'incomuni cabilità fra i giudici e si assiste ad un vero e proprio misunderstanding. Il giudice monzese si era rivolto al giudice costituzionale lamentando che a seguito della sentenza 319/00, cit. (anche in Fallimento. 2001, 13, con nota di Genovese, Note a margine a Corte cost. n. 319 del 2000), con la quale si è stabilito che è incostituzionale l'art. 10 1. fall., nella

parte in cui non prevede che il termine annuale per la dichiarazione di fallimento dell'impresa collettiva decorra dalla cancellazione della so cietà dal registro delle imprese, si verrebbe a creare un'ulteriore dispa rità di trattamento, in quanto nel caso del debitore-società avrebbero ri

II Foro Italiano — 2002 — Parte I-1.

Ritenuto che il Tribunale di Monza, con ordinanza emessa il

2 novembre 2000, ha sollevato, in riferimento agli art. 3, 24 e 97

Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 r.d. 16

marzo 1942 n. 267 (disciplina del fallimento, del concordato

preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazio ne coatta amministrativa), «nella parte in cui tale norma esonera

dal fallimento l'imprenditore individuale già iscritto nel registro delle imprese, il quale ha effettivamente cessato l'esercizio del

l'impresa da un anno, a prescindere dall'opponibilità del fatto ai

terzi secondo il meccanismo degli art. 2193-2196 c.c.»; che il tribunale rimettente muove dalla premessa secondo cui,

alla stregua del diritto vivente, il termine di un anno previsto dall'art. 10 1. fall, per l'assoggettabilità a fallimento dell'im

prenditore che abbia cessato l'attività imprenditoriale decorre

dalla cessazione di fatto dell'impresa, dovendosi attribuire alle

risultanze dei registri pubblici — ivi compreso il registro delle

imprese, istituito con 1. 29 dicembre 1993 n. 580 (riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura) — un valore soltanto indiziario dell'effettiva interruzione del

l'attività; che siffatta disciplina risulterebbe, tuttavia, sostanzialmente

diversa da quella prescritta per l'imprenditore societario «ces

sato» nonché per il socio illimitatamente responsabile che abbia

dismesso la propria partecipazione in società;

lievo esclusivamente i fatti consacrati nei pubblici registri, mentre nel caso del debitore-imprenditore individuale avrebbe rilievo il fatto mate riale della cessazione dell'attività, a prescindere dalla risultanza anche nel registro delle imprese. In questa precisa cornice, il giudice rimet tente dubitava della legittimità della interpretazione di diritto vivente

per la quale nell'ipotesi dell'impresa individuale, ciò che rileva è il fatto oggettivo della cessazione e non la diffusione della notizia ai terzi.

Ribaltando il quesito, il giudice delle leggi assume che anche per l'imprenditore individuale possono valere le risultanze del registro delle imprese e che pur tuttavia queste possono essere superate dalla

prova contraria della prosecuzione della attività. Come si nota, una risposta, magari ragionevole, ma certo non coe

rente con il quesito, come dimostra il fatto che si nega l'esistenza del diritto vivente indicato dal giudice a quo, diritto vivente che nei termini

esposti nella ordinanza di rimessione è effettivamente rappresentato da Cass. 28 marzo 2001, n. 4455, Foro it., Mass., 370, secondo la quale ai fini della decorrenza del termine annuale dalla cessazione dell'attività

(entro il quale, ai sensi dell'art. 10 1. fall., può essere dichiarato il fai

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PARTE PRIMA

che, per quanto riguarda l'imprenditore collettivo, infatti, il

termine di cui all'art. 10 1. fall, decorre espressamente, a seguito della sentenza di questa corte n. 319 del 2000 (Foro it., 2000, I,

2723), dalla cancellazione della società dal registro delle impre

se, mentre, per quanto riguarda gli ex soci illimitatamente re

sponsabili, pur in difetto di un analogo dato testuale, nessun

ostacolo si opporrebbe ad un'interpretazione della citata senten

za n. 319 del 2000 nel senso che il termine di un anno dalla per dita della responsabilità illimitata, entro il quale può essere di

chiarato il fallimento di costoro, in estensione di quello della

società, decorra soltanto dalla data della relativa pubblicità; che la rilevata disparità di trattamento tra imprenditori indivi

duali e collettivi si tradurrebbe, secondo il rimettente, in una di

sparità di trattamento anche tra creditori i quali sarebbero mag

giormente tutelati, sotto il profilo dell'affidamento, qualora contrattino con una società piuttosto che con un imprenditore individuale, con l'ulteriore conseguenza di rendere maggior mente oneroso il ricorso al credito per gli imprenditori indivi

duali, proprio in ragione del rischio che costoro possano sottrar

si all'esecuzione collettiva «attraverso un semplice comporta mento omissivo, non ostensibile ai terzi»;

che il legislatore, nella sua discrezionalità, potrebbe, d'altro

canto, fissare limiti temporali differenti, dopo la cessazione del

l'impresa, per l'assoggettamento al fallimento dell'imprenditore individuale e di quello collettivo (o del socio illimitatamente re

sponsabile), ma non anche individuare in maniera difforme l'e

vento costituente il dies a quo dei rispettivi termini; che la denunciata disparità di trattamento potrebbe essere

eliminata solamente rendendo omogenee le due discipline e

quindi «assoggettando al vincolo della pubblicazione per conse

guire l'opponibilità quanto alla decorrenza dell'anno anche la

cessazione dell'impresa individuale»; che l'enfatizzazione della natura «materiale» della cessazione

dell'attività imprenditoriale individuale si rivelerebbe in defini

tiva coerente con una concezione arcaica dell'impresa, rispon dente al tipo della fabbrica ottocentesca, ma non più adeguata all'attuale sistema economico e risulterebbe, pertanto, in contra

sto anche con il principio di ragionevolezza; che conclusivamente la norma, come risultante dal diritto vi

vente, contrasterebbe non solo con l'art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione sia del principio di eguaglianza che del canone

di ragionevolezza, ma anche con l'art. 24 Cost., «nella misura in

cui assoggetterebbe la tutela giurisdizionale, sia pur esecutiva

speciale», del credito ad un ostacolo non controllabile né perce

pibile dal titolare della situazione soggettiva pregiudicata»; che risulterebbe infine leso anche l'art. 97 Cost., in quanto

l'indicata normativa pregiudicherebbe il buon funzionamento

dell'amministrazione della giustizia. Considerato che il rimettente censura l'art. 10 r.d. 16 marzo

1942 n. 267 (disciplina del fallimento, del concordato preventi

limento dell'imprenditore), per il «principio della effettività», alla cui

stregua l'acquisizione della qualità di imprenditore commerciale è in dissolubilmente collegata, al di là di ogni elemento nominalistico e formale, al concreto esercizio dell'attività di impresa, anche la dismis sione di tale qualità — per quanto attiene all'imprenditore individuale, diversi criteri essendo accolti per le società — deve intendersi correlata al mancato compimento, nel periodo di riferimento, di operazioni in trinsecamente corrispondenti a quelle poste normalmente in essere nel l'esercizio dell'impresa; 13 dicembre 2000, n. 15716, id., Rep. 2000, voce Fallimento, n. 275; 14 giugno 2000, n. 8099, ibid., n. 276; 4 set tembre 1998, n. 8781, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 319; 3 novembre 1989, n. 4599, id., Rep. 1990, voce cit., n. 217; 22 marzo 1984, n.

1918, id.. Rep. 1985, voce cit., n. 190; 19 aprile 1983, n. 2676, id., Rep. 1983, voce cit., n. 164.

In dottrina, sulla circostanza della prevalenza del principio di effetti vità rispetto a regole presuntive di pubblicità-notizia. Tedeschi, Ma nuale di diritto fallimentare, Padova, 2001, 24; Guglielmucci, Lezioni di diritto fallimentare, Torino, 1998, 27; Meli, Della dichiarazione di

fallimento, in Le procedure concorsuali a cura di G.U. Tedeschi, Tori no, 1996, I, *, 57. Per una lettura in piena sintonia con l'ordinanza del

giudice rimettente, cfr. Ferro, L'istruttoria prefallimentare, Torino, 2001, 118, il quale valorizza le risultanze del registro delle imprese in funzione di tutelare i creditori, rendendo loro inopponibile la cessazio ne dell'attività non pubblicizzata; sul punto, anche Nicola, L'elabora zione giurisprudenziale in materia di rapporto tra procedura fallimen tare e registro delle imprese, in Contratto e impr., 2000, 109. [M. Fa

biani]

Il Foro Italiano — 2002.

vo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta

amministrativa), con riferimento agli art. 3, 24 e 97 Cost., nel

l'interpretazione, evidentemente non condivisa ma assunta co

me diritto vivente, secondo la quale il termine di un anno ivi

previsto per l'assoggettabilità a fallimento dell'imprenditore che abbia cessato l'attività imprenditoriale decorre in ogni caso

dalla cessazione di fatto dell'impresa, dovendosi attribuire alle

risultanze dei registri pubblici — e dunque anche a quelle del

registro delle imprese, previsto dall'art. 2188 c.c. ed effettiva

mente istituito con la 1. n. 580 del 1993 — un valore soltanto

indiziario dell'effettiva interruzione dell'attività;

che siffatto diritto vivente — la cui esistenza è apo ditticamente affermata — non trova tuttavia riscontro alcuno

nella giurisprudenza di legittimità successiva all'entrata in vigo re della citata 1. n. 580 del 1993, per quanto specificamente ri

guarda l'asserita irrilevanza rispetto ai terzi, ai fini dell'applica zione dell'art. 10 1. fall., della iscrizione nel registro delle im

prese della cessazione dell'impresa, iscrizione prevista come

obbligatoria dall'art. 2196, 3° comma, c.c., per gli effetti di cui

all'art. 2193 stesso codice; che del tutto estranee alla problematica in questione sono in

fatti, con ogni evidenza, le pronunce riguardanti il valore mera

mente indiziario delle risultanze di pubblici registri diversi dal registro delle imprese;

che d'altro canto l'affermazione — costante nella giu

risprudenza, anche recente, della Cassazione — secondo cui «la

cessazione dell'attività di impresa, ai fini della decorrenza del

termine annuale entro il quale può essere dichiarato il fallimento

dell'imprenditore (art. 10 1. fall.), presuppone che nel detto pe riodo non vengano compiute operazioni intrinsecamente identi

che a quelle poste in essere nell'esercizio dell'impresa» (Cass. 4

settembre 1998, n. 8781. id., Rep. 1999, voce Fallimento, n.

319), non è affatto incompatibile con il riconoscimento di una

piena efficacia dichiarativa alla iscrizione della cessazione del

l'impresa nell'apposito registro; che è infatti del tutto coerente con i principi della pubblicità

dichiarativa la possibilità per i terzi di provare la non veridicità

del fatto iscritto e, dunque, in ipotesi, di dimostrare il compi mento di atti di esercizio dell'impresa successivamente alla

iscrizione della sua cessazione; che l'interpretazione che il rimettente ritiene lesiva di principi

costituzionali è pertanto erroneamente qualificata in termini di

diritto vivente e non è sicuramente l'unica compatibile con il

tenore della norma;

che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infon

data.

Visti gli art. 26, 2° comma, I. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2°

comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte

costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife

sta infondatezza della questione di legittimità costituzionale

dell'art. 10 r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e

della liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in riferi

mento agli art. 3, 24 e 97 Cost., dal Tribunale di Monza con

l'ordinanza in epigrafe.

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