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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 14 giugno 1990, n. 285 (Gazzetta...

Date post: 27-Jan-2017
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sentenza 14 giugno 1990, n. 285 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 20 giugno 1990, n. 25); Pres. Saja, Est. Ferri; Regione Emilia-Romagna (Avv. Falcon) c. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Bruno). Conflitto di attribuzione Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1991), pp. 2345/2346-2353/2354 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23185600 . Accessed: 25/06/2014 02:53 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.109.162 on Wed, 25 Jun 2014 02:53:14 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 14 giugno 1990, n. 285 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 20 giugno 1990, n. 25);Pres. Saja, Est. Ferri; Regione Emilia-Romagna (Avv. Falcon) c. Pres. cons. ministri (Avv. delloStato Bruno). Conflitto di attribuzioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 2345/2346-2353/2354Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185600 .

Accessed: 25/06/2014 02:53

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

competente a disporre la sospensione è, in generale, il giudice dell'esecuzione (art. 623 e 624).

Ma il dubbio è stato sciolto dalla giurisprudenza della Corte

di cassazione con il ritenere che la normativa qui impugnata è tuttora vigente e trova applicazione per le opposizioni all'ese

cuzione cambiaria proposte prima dell'inizio dell'esecuzione —

cioè, secondo la nozione di «inizio» assunta dal detto nuovo

codice, prima del pignoramento (art. 491) — mentre, per le op

posizioni all'esecuzione cambiaria proposte dopo tale momen

to, competente a disporre la sospensione dell'esecuzione è solo

il giudice di quest'ultima, davanti al quale del resto l'opposizio ne deve essere proposta, salva la rimessione di essa ad altro

giudice se competente al relativo giudizio cognitivo (art. 616). Con la duplice conseguenza: a) che ora la sospensione del

l'esecuzione prima dell'inizio di questa è consentita soltanto per i titoli esecutivi cambiari (e per l'assegno), oltre che per i titoli

di formazione giudiziale; b) che, trattandosi di opposizione pro

posta prima dell'inizio dell'esecuzione, la sospensione di questa è consentita, subito dopo l'opposizione, ad opera del presidente del tribunale o del pretore competente per valore su versamento

di cauzione (cauzione «necessaria»), ovvero, nel corso del giu dizio di opposizione, ad opera del giudice dell'opposizione, con

cauzione, o senza (cauzione «facoltativa»), mentre, se si tratta

di opposizione proposta dopo l'inizio dell'esecuzione, la sospen sione di questa è consentita, ad opera del giudice della medesi

ma (che può disporla anche prima di rimettere la causa al diver

so giudice eventualmente competente per il relativo giudizio co

gnitorio) con cauzione o senza (cauzione «facoltativa»). 3. - La quesitone non è fondata.

La prospettazione del giudice a quo strettamente riferita alla

violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo della di

sparità di trattamento fra abbienti (in grado di versare la cau

zione) e non abbienti (non in grado di versarla) va oltre i limiti

della questione stessa. Infatti, essa finisce con l'investire la le

gittimità di ogni cauzione, sia «necessaria» che «facoltativa», laddove la questione concerne la legittimità della cauzione «ne

cessaria» come tale.

Quanto alle prospettazioni del giudice a quo riferite alla vio

lazione del diritto di difesa, esse finiscono con l'infrangersi contro

la ponderazione degli interessi in gioco, risultante dal sistema

normativo (come ricostruito dalla giurisprudenza della Corte di

cassazione), ponderazione che è condivisibile e induce a non

ritenere realizzata la lesione del suindicato valore da parte della

norma impugnata. Anzitutto dal conferimento di forza esecutiva — in sé non

contestato — al titolo cambiario (come del resto ad ogni altro

titolo che ne sia munito ex lege), non è assente il profilo della

tutela giurisdizionale, cui appare improntata l'azione esecutiva,

tanto più nell'ambito di una disciplina dell'esecuzione come quella stabilita dal codice di procedura civile del 1942 ora vigente, che — almeno per quel che concerne l'esecuzione forzata per crediti

(esecuzione «indiretta») — è governata dal giudice nell'esercizio

di una funzione giurisdizionale. E il detto conferimento implica

che, almeno tendenzialmente, l'esecuzione sia portata a compi

mento, onde l'eccezionalità della sospensione, la quale non è

effetto automatico dell'opposizione (all'esecuzione), ma è con

cessa in presenza di «gravi motivi» valutabili dal giudice. Per di più nel caso del titolo cambiario il conferimento di

forza esecutiva risponde alle stesse esigenze di pronta realizza

zione del diritto incorporato nel titolo cambiario, che ispirano il diritto cambiario sostanziale, vale a dire a esigenze di prote zione della circolazione del titolo stesso, onde la sospensione dell'esecuzione è qui riguardata ancora più sfavorevolmente.

Si intende che a tali ragioni ed esigenze si contrappongono, nella ponderazione, quelle della difesa del debitore (e qui emer

ge un conflitto fra portatori dello stesso diritto fondamentale

di difesa, che coinvolge anche l'art. 3 Cost.): ragioni ed esigen

ze che sono salvaguardate dall'opposizione all'esecuzione e dal

la sospensione di questa.

Ora, malgrado le più forti esigenze che nel caso dell'esecuzio

ne dei titoli cambiari (e assimilati) ostano alla sospensione, que

sta, nel sistema normativo considerato, può essere disposta —

pur nel concorso di limitate ipotesi (disconoscimento della fir

ma o della rappresentanza, «gravi e fondati» motivi) — prima

dell'inizio dell'esecuzione, a differenza da quanto è previsto per

tutti gli altri titoli esecutivi di formazione non giudiziale e (in sede diversa tanto da quella dell'opposizione che da quella del

II Foro Italiano — 1991.

l'esecuzione) sulla base di una cognizione sommaria degli ele

menti di causa (esibizione dell'atto di opposizione notificato e

di eventuali documenti).

Indubbiamente, ciò importa una considerevole menomazione

di tutela per il creditore cambiario, menomazione che abbiso

gna di un compenso ai fini del riequilibrio, in conformità degli art. 24 e 3 Cost., fra la posizione del creditore e quella del

debitore cambiario. E tale compenso il sistema considerato tro

va appunto in ciò che la sospensione viene subordinata alla con

dizione «necessaria» della cauzione.

D'altra parte, non sussiste insuperabile incoerenza fra la limi

tazione del potere di sospensione dato al presidente del tribuna

le o al pretore competente per valore dall'art. 64 della legge cambiaria ora impugnato, e il più ampio potere riconosciuto

al giudice dalle discipline sopra richiamate, relative rispettiva mente alla sospensione disposta dal giudice dell'opposizione al

precetto cambiario, ai sensi dell'art. 65 stessa legge, e a quella

disposta dal giudice dell'esecuzione (in via generale, ma anche, nel sistema normativo considerato, nel caso di opposizione al

l'esecuzione cambiaria proposta dopo l'inizio dell'esecuzione stes

sa), discipline le quali considerano entrambe la cauzione come

condizione soltanto «facoltativa» della sospensione. In tali evenienze ricorre infatti una situazione diversa, di mi

nore aggravio per il creditore cambiario esecutante, o perché,

pur trattandosi di opposizione proposta prima dell'inizio dell'e

secuzione (art. 65 legge cambiaria), il giudice dell'opposizione ha comunque una più ampia e approfondita cognizione degli elementi di causa (come è dimostrato fra l'altro da ciò, che, mentre l'art. 64 postula la ricorrenza di «gravi e fondati» moti

vi, cioè di motivi fondati all'evidenza, l'art. 65 parla soltanto

di «gravi ragioni», cioè di motivi rivelatisi fondati a un migliore

esame), ovvero perché, trattandosi di opposizione proposta do

po l'inizio dell'esecuzione, il creditore cambiario ha comunque

conseguito gli effetti vantaggiosi del pignoramento. Né vale invocare in contrario la decisione di questa corte n.

137 del 1984 (Foro it., 1984, I, 1775), con la quale è stato di

chiarato illegittimo l'art. 648, 2° comma, c.p.c., nella parte in

cui dispone che il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo sia tenuto a concedere l'esecuzione provvisoria del decreto in

giuntivo se il creditore istante offra cauzione, anziché avere il

potere di concedere o no la detta esecuzione sulla base della

deliberazione degli elementi probatori di cui all'art. 648, 1 ° com

ma (e alla congruità della cauzione ex art. 648, 2° comma), c.p.c. I termini della questione decisa con la detta sentenza erano

differenti da quelli della questione ora sottoposta a questa cor

te. Si trattava allora della concessione ope iudicis dell'esecuzio

ne provvisoria (di un titolo di formazione giudiziale) e quindi di una misura che non poteva ragionevolmente non essere ri

messa in tutto alla valutazione da parte del giudice (cfr. motiva

zione della sent. n. 137 del 1984) laddove qui si tratta della

sospensione di una esecuzione già disposta ope legis come attri

buto di un dato titolo non giudiziale con valutazione da parte della legge in sé non contestata.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda

ta la questione di legittimità, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost.,

dell'art. 64 r.d. 14 dicembre 1933 n. 1669 (modificazioni alle

norme sulla cambiale e sul vaglia cambiario), sollevata con l'or

dinanza in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 14 giugno 1990, n. 285

(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 20 giugno 1990, n. 25); Pres. Saja, Est. Ferri; Regione Emilia-Romagna (Avv. Fal

con) c. Pres. cons, ministri (Aw. dello Stato Bruno). Con

flitto di attribuzione.

Acque pubbliche e private — Imprese agricole di allevamento —

Scarichi — Disciplina regionale — Disapplicazione da parte del

giudice ordinario — Conflitto di attribuzione (Cost., art. 101,

117, 134; 1. reg. Emilia-Romagna 29 gennaio 1983 n. 7, disci

plina degli scarichi delle pubbliche fognature e degli insedia

menti civili che non recapitano in pubbliche fognature. Disci

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2347 PARTE PRIMA 2348

plina del trasporto di liquami e acque reflue di insediamenti ci

vili e produttivi; 1. reg. Emilia-Romagna 7 marzo 1984 n. 13, modifiche e integrazioni alla 1. reg. 29 gennaio 1983 n. 7; 1. reg.

Emilia-Romagna 28 novembre 1986 n. 42, ulteriori modifiche

ed integrazioni alla 1. reg. 29 gennaio 1983 n. 7, recante norme

sulla disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature - Prov

vedimenti per il contenimento dell'eutrofizzazione).

Non spetta allo Stato, e per esso alla Corte di cassazione, disap

plicare disposizioni contenute in leggi regionali; va, pertanto, annullata la sentenza della Corte di cassazione che aveva di

sapplicato le leggi reg. Emilia-Romagna 29 gennaio 1983 n.

7, 23 marzo 1984 n. 13 e 28 novembre 1986 n. 42, contenenti

la disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature, degli in

sediamenti civili e del trasporto di liquami ed acque reflue di insediamenti civili e produttivi. (1)

(1) La sentenza costituisce un precedente assai significativo all'inter no della giurisprudenza costituzionale in tema di conflitti di attribuzio ne tra Stato e regioni, tanto per gli aspetti di carattere processuale che da essa emergono, quanto per quelli relativi al merito della questione decisa, sia, infine, per il tipo di ragionamento argomentativo che la

corte ha seguito, non del tutto in sintonia con le precedenti decisioni,

pur numerose e puntualmente richiamate in motivazione. Per un ampio commento della sentenza si rimanda a D'Amico, Alcune riflessioni in tema di conflitti di attribuzione tra Stato e regioni su atti giurisdiziona li, in Giur. costit., 1990, 1789.

Cass. 12 novembre 1989, Predieri, che ha dato origine al conflitto, è riportata in questo fascicolo, II.

I. - Non costituisce certamente una novità che l'atto invasivo delle

competenze costituzionalmente garantite alla regione sia stato un prov vedimento giurisdizionale; il caso si è verificato con una certa frequen za dopo che la giurisprudenza costituzionale ha abbandonato la confi

gurazione del conflitto tra enti in termini di vendicatio potestatis per ammettere conflitti anche nelle ipotesi di semplice menomazione o le sione della competenza (per una ricostruzione dei passaggi che hanno determinato questa evoluzione, v., da ultimo, Grassi, Conflitti costitu

zionali, voce del Digesto pubbl., 1989, III, 370); è pacifico, infatti, che per la sussistenza del profilo oggettivo del conflitto l'idoneità del l'atto debba essere valutata «in relazione alla sua astratta capacità di

incidere negativamente nell'ordine delle competenze del ricorrente »: v. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, 1988, 342. Ed in ordine a conflitti tra enti originati da provvedimenti di autorità giurisdizionali disponiamo ormai di una articolata casistica. Oltre ai precedenti richia mati in motivazione a partire da Corte cost. 26 giugno 1970, n. 110, Foro it., 1970, I, 2064, con nota di richiami, relativa ad un ricorso della regione Sardegna avverso la Corte dei conti (espressamente quali ficata come un organo giurisdizionale; sono comunque assai numerosi i casi nei quali il conflitto è sorto a causa di provvedimenti adottati da siffatto giudice), v., da ultimo, Corte cost. 22 giugno 1989, n. 350, id., 1990, I, 1847, recante una decisione di inammissibilità soltanto per ché il giudizio di merito si era definito con l'assoluzione del consigliere regionale nei cui confronti era stata esercitata l'azione penale; 25 marzo

1982, n. 58, id., 1982, I, 901, con nota di richiami, con la quale si era negata la spettanza all'autorità giudiziaria; 27 marzo 1975, n. 81, id., 1975, I, 1623, con nota di richiami, che annullava il provvedimento di un giudice istruttore penale che aveva deciso di procedere ancora nei confronti di consiglieri regionali.

È la prima volta, invece, che viene deciso nel merito un conflitto

originato da un provvedimento giurisdizionale della Corte di cassazio

ne; nel caso risolto da Corte cost. 30 giugno 1964, n. 66, id., 1964, I, 1327, con nota di richiami, l'atto censurato dalla regione siciliana ricorrente era infatti un'ordinanza del Consiglio di giustizia ammini

strativa, limitandosi la corte stessa a ribadire la spettanza alla Corte di cassazione del potere di decidere i conflitti di giurisdizione. Corte cost. 26 luglio 1988, n. 886, id., 1988, I, 3168, con nota di richiami, a seguito di un ricorso della provincia di Bolzano nei confronti di due sentenze della Corte di cassazione con le quali si era affermata l'impos sibilità di riconoscere la qualifica di artigiano, da parte di una legge provinciale, anche a favore di soggetti non in possesso dei requisiti pre visti dalla normativa statale, si era pronunciata per la cessazione della materia del contendere, essendo sopravvenuta una legge (statale) inter

pretativa, mediante la quale veniva recepito l'orientamento del legisla tore provinciale e contraddetto quello fino ad allora seguito dalla Su

prema corte. Nel caso di Corte cost. 19 gennaio 1988, n. 2, id., Rep. 1988, voce Corte costituzionale, n. 69, annotata da Cocozza, in Regio ni, 1988, 596, invece, il rimedio del conflitto di attribuzioni si è presen tato come un'alternativa al sistema delle impugnazioni in via ordinaria; la vicenda si è infatti conclusa con una decisione di cessazione della materia del contendere, essendo intervenuto, nelle more del processo costituzionale, l'annullamento da parte della Corte di cassazione del l'atto giurisdizionale che era stato impugnato anche dinanzi al giudice delle leggi.

La sentenza riportata si fa premura di segnalare come, una volta ammessa la possibilità di conflitti tra enti originati da provvedimenti del

II Foro Itauano — 1991.

Fatto. — 1. - La regione Emilia-Romagna ha promosso con

flitto di attribuzione in relazione alla sentenza della Corte di

cassazione, sezione III penale, n. 2734 del 14 novembre 1989,

chiedendone l'annullamento per violazione degli art. 117, 1° com

ma, 101 e 134 Cost., nella parte in cui detta sentenza afferma

che il giudice ordinario può disapplicare le leggi regionali ai

sensi dell'art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E.

Espone la ricorrente che la Corte di cassazione — nel rigetta re il ricorso contro la pronuncia di condanna della Corte d'ap

pello di Bologna, resa nei confronti di Predieri Vilder, titolare

di un allevamento suinicolo, per scarico in acque pubbliche di

liquami non depurati — dopo aver rammentato il potere del

l'autorità giudiziaria ordinaria di disapplicare i provvedimenti amministrativi in base all'art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali.

E (nella specie: la delibera 8 maggio 1980 del comitato intermi

nisteriale previsto dall'art. 3 1. 10 maggio 1976 n. 319), ha te

stualmente affermato: «il giudice penale può disapplicare in base

l'autorità giudiziaria, non faccia alcuna differenza la circostanza che il giudice coinvolto sia la Corte di cassazione, piuttosto che uno inferio

re; in ogni caso, tuttavia, la Corte costituzionale si trova ad agire, al

meno in via di fatto, come organo di ultima istanza e quindi come

ulteriore grado di giudizio rispetto a quelli esperibili in via ordinaria.

È sintomatico, in proposito, come l'esperienza concreta dei sistemi di

giustizia costituzionale che ammettono il ricorso in via diretta dinanzi

al tribunale costituzionale anche nei confronti di provvedimenti giuri sdizionali lesivi delle libertà e dei diritti fondamentali, abbia dimostrato

che il controllo da parte del giudice costituzionale si risolve quasi sem

pre in una sorta di sindacato sull'attività dei tribunali ordinari; cfr., a proposito del ricorso di amparo, Rolla, Indirizzo politico e tribunale

costituzionale in Spagna, 1986, 248. Resta da vedere, allora, come la sentenza riportata si colloca rispetto

alle decisioni rese precedentemente, soprattutto in ordine a due profili: la configurabilità del giudizio sui conflitti come un processo d'impu

gnazione dei provvedimenti resi da altri giudici e, soprattutto, la censu

rabilità o meno degli errori di diritto (per l'insindacabilità degli errori

su elementi di fatto e quindi per l'inammissibilità dei conflitti da questo

originati rimane ancora attuale Corte cost. 20 marzo 1985, n. 70, Foro

it., 1986, I, 58) compiuti in sede di giurisdizione ordinaria; elementi,

questi, in grado di trasformare il conflitto di attribuzioni in un control

lo surrettizio sul modo nel quale viene concretamente esercitata l'attivi tà giurisdizionale. In motivazione si ribadiscono espressamente le linee

interpretative seguite con sicura coerenza nei casi precedentemente ri solti. Alcune recenti decisioni avevano infatti confermato che attraverso la proposizione di un conflitto di attribuzioni promosso da una regione non si poteva assolutamente pervenire ad una censura del «modo in cui la giurisdizione si è concretamente esplicata, denunciando eventuali

errori in iudicando nei quali il giudice sarebbe incorso, e si chieda per ciò, in definitiva, alla corte medesima di correggere tali errori, cosi at tribuendole un ruolo di giudice dell'impugnazione che, all'evidenza, non le compete». Cosi, in termini pressoché identici, Corte cost. 3 marzo

1988, nn. 246, 244 e 245, id., Rep. 1988, voce Corte costituzionale, nn. 33, 34 e id., Rep. 1989, voce Regione, n. 361. Tutte queste sentenze avevano quindi dichiarato la manifesta inammissibilità dei ricorsi con cui erano state impugnate decisioni del Consiglio di Stato (nei primi due casi) e del Tar Umbria, rispetto alle quali era stato contestato da

parte delle regioni ricorrenti l'iter decisorio seguito, assumendosi una scorretta applicazione delle norme vigenti. Un orientamento, questo, che trovava precedenti chiari e significativi: v. Corte cost. 20 marzo

1985, n. 70, cit., e 27 dicembre 1974, n. 289, id., 1975, I, 810, con nota di richiami.

Merita di essere segnalata la questione decisa da Corte cost. n. 246 del 1988, cit.; in quel caso, da parte della provincia di Trento si conte stava che il giudice amministrativo avesse arbitrariamente disapplicato una legge provinciale in materia di caccia, a favore di una legge statale

anteriore, assumendo la sussistenza di un interesse nazionale (la cui ac certata presenza avrebbe reso semmai illegittime le disposizioni legislati ve della provincia, ma non mai inefficaci nel caso concreto). Peraltro, anche la questione risolta da Corte cost. n. 245 del 1988, cit., risulta

qualitativamente affine, visto che si contestava un supposto errore com

piuto dal Tar Umbria, che aveva dato (secondo il ricorso presentato dalla regione) applicazione ad una norma (legge regionale di approva zione del piano urbanistico territoriale) ancora in itinere e quindi «non ancora dotata di efficacia legislativa».

Sono quindi del tutto evidenti, almeno per l'impostazione che era stata data alla questione con il ricorso, le analogie che ricorrono tra

questi casi e quello deciso dalla sentenza n. 285 del 1990, per quanto, invece, risulti diametralmente opposta la conclusione. Ed in effetti, con trariamente a quanto la stessa sentenza che si riporta ha espressamente enunciato, ci pare di poter affermare che la motivazione della stessa sia per gran parte incentrata sulla dimostrazione dell'errore compiuto dalla Corte di cassazione (vari passi della sentenza impugnata vengono ripresi e puntualmente confutati), la quale, anziché sollevare questione di costituzionalità di determinate disposizioni legislative regionali repu

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

all'art. 5 anche la normativa regionale che recepisca tale delibe

ra». Il che, di seguito, ha proceduto a fare con esplicito riferi

mento alle leggi della regione Emilia-Romagna n. 7 del 1983,

n. 13 del 1984 e n. 42 del 1986.

Detta affermazione, ed il conseguente esercizio da parte del

giudice ordinario del potere di disapplicare direttamente le leggi

regionali ritenute illegittime integra, ad avviso della ricorrente,

una violazione delle norme costituzionali prima indicate, ed al

tresì della garanzia del contraddittorio di cui all'art. 25, ultimo

comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87.

In particolare, prosegue la regione, la caratteristica prima del

valore di legge di un atto normativo è — per la legge statale

come per la legge regionale — la sola ed esclusiva sindacabilità

da parte della Corte costituzionale, e non invece degli altri giu

dici, i quali dispongono del solo potere di provocare il giudizio

della corte stessa: come pacificamente risulta dall'art. 101 Cost.,

tate illegittime, aveva direttamente proceduto alla concreta disapplica zione delle stesse, trattandole alla stregua di semplici atti amministrativi

(i giudici della Suprema corte, tra l'altro, avevano fatto espresso richia

mo ed applicazione dell'art. 5 1. n. 2248 del 1865, ali. E). Evidentemen

te, non si può negare che si trattasse proprio di un errore in iudicando, derivante da una difettosa interpretazione delle norme costituzionali che

definiscono la forza delle leggi regionali e disciplinano i meccanismi

per il loro controllo ove si dubiti della loro legittimità rispetto ai para metri definiti dalla Costituzione.

Ritiene che il sindacato esercitato con la pronuncia riportata si sia

trasformato in un vero e proprio riesame del ragionamento argomenta tivo seguito dalla sentenza impugnata, D'Amico, Alcune riflessioni in

tema di conflitti di attribuzione, cit., 1797, che conclude rilevando un'e

voluzione dei conflitti nel senso di una loro maggiore concretezza ed

osservando come sia stato in definitiva ritenuto ammissibile un conflit

to avente ad oggetto un atto giurisdizionale per una contestazione del

modo con cui il potere era stato concretamente esercitato.

Uno dei punti decisivi della sentenza riportata ci sembra, tuttavia,

che possa essere colto nella sottolineatura di come, nel caso di specie, i giudici della Cassazione «abbiano esercitato un potere del tutto abnor

me, non previsto dal nostro ordinamento costituzionale». Per questo

aspetto la decisione si inserisce pienamente nel solco tracciato dalle pre cedenti e soprattutto da Corte cost. n. 70 del 1985, cit. In tale circo

stanza, infatti, venne decisa tutta una serie di ricorsi presentati dalla

regione Toscana; molti di questi furono accolti, con conseguente annul

lamento dei provvedimenti giurisdizionali impugnati ed in particolare di quelli che concretavano una funzione attiva dell'esercizio della giuris

dizione, in quanto imponevano all'amministrazione regionale obblighi di fare; ed in tale occasione la corte parlò, almeno nella sostanza, pro

prio di esercizio abnorme della giurisdizione penale, ovvero di «carenza

di potere giurisdizionale». Con la differenza, tuttavia, che mentre nei

casi decisi dalla sentenza del 1985 l'abnormità risultava immediatamen

te dall'adozione di determinati provvedimenti, in quello di specie essa

va ricondotta al ragionamento ermeneutico fatto proprio dai giudici della Suprema corte e rende necessario, quindi, il riesame e la confuta

zione di tale ragionamento. In definitiva, quello che viene contestato alla Corte di cassazione,

è di aver in concreto esercitato un controllo di costituzionalità di tipo

diffuso; ed in effetti è proprio questo che risulta con evidenza dalla

sentenza della terza sezione penale, che aveva disapplicato disposizioni

legislative dell'Emilia-Romagna ritenendole viziate per essere intervenu

te in una materia, quella delle sanzioni penali, estranea a quelle costitu

zionalmente attribuite alle regioni (non era la prima volta che questo si verificava; già Cass. 10 dicembre 1985, Ganassi, Foro it., Rep. 1987, voce Acque pubbliche, n. 190, aveva proceduto nello stesso senso della

disapplicazione limitatamente alla sola 1. reg. Emilia-Romagna n. 7 del

1983). In altri termini, la Cassazione avrebbe dovuto sospendere il giu dizio e rimettere gli atti alla Corte costituzionale, chiedendo che venisse

dichiarata l'incostituzionalità della normativa regionale (dis)applicata. Se ne ricava che la diretta disapplicazione delle leggi regionali, oltre

a menomare la sfera di attribuzioni riservate a questi enti (menomazio ne che può concretarsi anche con riferimento ad un singolo caso, visto

che la disapplicazione non ha effetti erga omnes), invade la sfera di

competenze spettante alla Corte costituzionale, che risulta scavalcata.

Siamo di fronte, quindi, ad un caso di conflitto tra enti che ne ricom

prende anche uno tra poteri dello Stato.

Può essere condivisa anche l'ulteriore puntualizzazione contenuta nella

sentenza n. 285 del 1990, in base alla quale il caso in questione risulta

profondamente diverso da quelli che richiedono una disapplicazione delle

disposizioni legislative interne confliggenti con norme comunitarie; in

tali circostanze, infatti, non si pone un problema di legittimità delle

leggi disapplicate, dovendosi soltanto riconoscere una prevalenza alle

fonti di un ordinamento «distinto ed autonomo» rispetto a quello stata

le. Il ragionamento, tuttavia, portato alle estreme conseguenze, potreb

be indurci a pensare che si sarebbe potuti pervenire ad una diversa con

clusione laddove i giudici della Cassazione, anziché argomentare nel senso

li Foro Italiano — 1991.

che vincola il giudice alla legge, e dall'art. 134 Cost., che riser

va alla Corte costituzionale il giudizio sulla legittimità costitu

zionale delle leggi statali e regionali. Né varrebbe in contrario osservare che, secondo la Corte di

cassazione, la legge regionale avrebbe interferito con la materia

penale, da ritenersi in via di principio soggetta a riserva di legge statale. Da una parte, prosegue la ricorrente, la sentenza n. 487

del 1989 (Foro it., 1990, I, 26) della Corte costituzionale affer ma che non è precluso alla legge regionale di «concorrere a

precisare, secundum legem, presupposti di applicazione di nor

me penali statali», o di «concorrere ad attuare le stesse norme»,

e che comunque la legge regionale può ampiamente intervenire

quando «dalle leggi statali si subordinino effetti incriminatori

o decriminalizzanti ad atti amministrativi (o legislativi) regionali».

D'altra parte, non rileva in questa sede sapere se la legge

regionale che il giudice ordinario ha disapplicato sia o non sia

della illegittimità costituzionale delle norme regionali, le avessero rite

nute inapplicabili in quanto incompetenti; ovvero, perché assumevano

la portata di una norma di principio nel definire la nozione di insedia

mento civile ai fini della normativa antinquinamento, quando era inve

ce possibile evincere senza difficoltà tale normazione di principi dalle

disposizioni legislative statali esistenti. 11 ragionamento ci appare, co

munque, alquanto forzato; non solo perché la legislazione statale in

materia non si presenta in maniera univoca, lasciando aperte numerose

questioni, ma, soprattutto, per la ragione che una norma regionale con

trastante con una disposizione statale di principio è anche costituzional

mente illegittima; e la dichiarazione di una tale illegittimità non può che spettare al giudice delle leggi. Nel caso di specie, tuttavia, residuava

un problema in ordine alla rilevanza della questione di legittimità costi

tuzionale; le disposizioni regionali interessate, infatti, si presentano co

me norme penali di favore, nel senso che la loro rimozione avrebbe

trasformato la natura della sanzione di alcuni illeciti da amministrativa

a penale; ed in ordine all'ammissibilità di questioni concernenti disposi zioni di questa natura permangono ancora dubbi, nonostante la pro nuncia in senso favorevole di Corte cost. 3 giugno 1983, n. 148, id.,

1983, I, 1800, con nota di richiami e commenti di Gironi e Pulitanò.

II. - La sentenza riportata non si sofferma minimamente, invece, sul

profilo della natura delle leggi regionali in contestazione. Queste ultime

avevano recepito il contenuto di un atto amministrativo anteriore (deli bera 8 maggio 1980 del comitato interministeriale per la tutela delle

acque dall'inquinamento), riproducendolo, però, con norme autonome,

anche se con richiami alla delibera interministeriale. Ed in proposito ci sembra corretta l'impostazione (non esplicitata) che la Corte costitu

zionale ha seguito nella ricostruzione del rapporto tra la fonte regionale e l'atto amministrativo; ricostruzione che rovescia quella risultante dal

la sentenza della Cassazione penale. Il ragionamento condotto da que st'ultima portava, in definitiva, ad una degradazione della legge, attrat

ta nella sfera dell'atto amministrativo ed a questa equiparata quanto ad efficacia sostanziale. Per la Corte costituzionale, invece, l'elemento

formale, costituito dal carattere legislativo dell'atto, garantisce allo stesso

una forza che lo rende vincolante per il giudice. Nessun rilievo, se non

meramente fattuale, può assumere l'esistenza di una precedente delibe

ra amministrativa di analogo contenuto; le norme applicabili, pur iden

tiche nel contenuto, hanno visto la novazione della loro fonte e sono

ormai attratte al regime giuridico che è proprio di quest'ultima. III. - Dal punto di vista strettamente processuale si ripropone il pro

blema della difesa degli organi del potere giurisdizionale davanti al giu

dice delle leggi in sede di conflitto tra enti; è vero che nel caso di specie si è costituito il presidente del consiglio dei ministri a differenza di quanto

era avvenuto in altre precedenti occasioni: cfr. Corte cost. 19 gennaio

1988, n. 2, cit., nonché, anteriormente, 20 marzo 1985, n. 70, cit.,

che, nel dichiarare l'inammissibilità di un intervento dell'autorità giudi

ziaria coinvolta nel conflitto (oltre che l'irricevibilità di memorie dalla

stessa presentate), evidenziava già, per mezzo di un obiter dictum, il

problema dell'effettiva garanzia del diritto di difesa degli organi giuris

dizionali i cui provvedimenti erano stati impugnati in sede di conflitto

tra Stato e regioni. I termini della questione sono stati già da tempo posti sul tappeto

in dottrina; cfr. Pizzorusso, La magistratura come parte dei conflitti

di attribuzioni, in Barile-Cheli-Grassi (a cura di), Corte costituzionale

e sviluppo della forma di governo in Italia, 1982, 211; Mor, Conflitto

Stato-regione o conflitto tra giudici e politici!, in Giur. costit., 1985,

I, 1395; D'Amico, L'intervento nei giudizi per conflitto di attribuzioni,

id., 1988, II, 2328; Zagrebelsky, op. cit., 355, che parla, con riferi

mento a questa ipotesi di «contraddittorio fittizio, l'autorità giudiziaria

non avendo la possibilità di svolgere la difesa delle proprie attribuzioni,

dovendosene assurdamente affidare la rappresentazione al governo»;

Floridia, «Corto circuito»: conflitto tra regione e giudice e cessazione

delta materia del contendere, in Regioni, 1989, 1125; Grassi, op. cit.,

372. Da ultimo, i termini del problema sono stati ripresi da Romboli,

Il conflitto di attribuzione tra lo Stato e le regioni, in Aggiornamenti

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2351 PARTE PRIMA 2352

conforme a Costituzione, ma soltanto conta affermare che tale

complesso giudizio di legittimità costituzionale è proprio ciò che — a completamento e protezione dell'autonomia regionale —

la Costituzione riserva alla Corte costituzionale. In nessun mo

do, perciò, si potrebbe sfuggire alla conclusione che il giudice

ordinario, disapplicando la legge regionale, ha menomato l'au

tonomia costituzionale delle regioni, esercitando un potere di

giurisdizione che la Costituzione affida solo al giudice costitu

zionale.

Del tutto pretestuoso ed arbitrario risulta quindi, ad avviso

della regione, il riferimento all'art. 5 della legge sul contenzioso

amministrativo, che conferisce al giudice ordinario il potere di

disapplicare gli atti amministrativi ed i regolamenti illegittimi, ma non certo le leggi.

La regione, infine, sottolinea come la sentenza in esame sia

pienamente sindacabile in questa sede.

Rammenta la ricorrente che sin dalla sentenza n. 289 del 1974

(id., 1975, I, 810) (con orientamento ribadito ancor di recente

con le ordinanze nn. 244 e 245 del 1988, id., Rep. 1988, voce

Corte costituzionale, n. 34 e Rep. 1989, voce Regione, n. 361)

questa corte ha chiarito che, se da una parte è inammissibile

l'impugnazione, mediante conflitto, di atti giurisdizionali quan do si chieda in sostanza la correzione di eventuali errori in iudi

cando nei quali il giudice sia incorso, mirando ad ottenere nel

merito la revisione della sentenza, d'altra parte il conflitto è

pienamente ammissibile quando sia denunciata una lesione deri

vante «dal solo fatto di esercitare la giurisdizione nei confronti

di atti ... che si affermino ad essa sottratti da norme costitu

zionali». (Omissis) Diritto. — 1. - Il conflitto di attribuzione proposto dalla re

gione Emilia-Romagna nei confronti dello Stato ha per oggetto la sentenza della Corte di cassazione, sezione III penale, n. 2734

del 14 novembre (rectius 12 dicembre) 1989, con la quale è stato

rigettato il ricorso di Predieri Vilder avverso la sentenza della

Corte d'appello di Bologna del 6 ottobre 1988. Secondo la re

gione ricorrente, la Corte di cassazione ha disapplicato, in base

in tema di processo costituzionale (1987-1989), 1990, 211, il quale ha

evidenziato come permanga la necessità di garantire al giudice tutela

reale, anche attraverso una modifica dell'attuale disciplina legislativa, in modo da consentire ad esso di difendere la propria attività «non

potendosi certo ritenere che il giudice sia rappresentato dal presidente del consiglio dei ministri, il quale costituisce ... il «nemico naturale»

dell'autorità giudiziaria nell'ambito dei conflitti di attribuzioni tra pote ri dello Stato», anche perché gli interessi dell'amministrazione regionale sono omogenei rispetto a quelli dell'amministrazione statale; nei con

fronti degli uni, quanto degli altri, può porsi in antitesi ed in conflitto

l'intervento dell'autorità giudiziaria. Il problema dell'intervento nei conflitti di attribuzione tra enti, in

particolare quando l'oggetto degli stessi sia costituito da un atto giuris dizionale, non riguarda, però, soltanto l'autorità giudiziaria che quel provvedimento aveva emesso, ma anche i soggetti privati sui quali lo

stesso produceva effetti; questione già sottolineata da Mor, La senten

za annullata, in Regioni, 1982, 161. Al riguardo, è stato anche afferma to che le decisioni rese in sede di conflitto tra enti non possano produr re effetti sulle parti private del processo di merito, qualora le stesse non vengano messe in condizione di rappresentare le loro ragioni di nanzi al giudice delle leggi (cfr. Pizzorusso, cit., 220). Più in generale, sulla rigidità della posizione della Corte costituzionale in materia di intervento dinanzi ad essa, cfr. le ricostruzioni di Tarchi, Questioni processuali e sostanziali in tema di conflitti tra Stato e regioni, in Foro

it., 1986, I, 1800; E. Rossi, I giuristi alla conquista della Marmolada,

id., 1988, I, 3184; Trocker, Note sul contraddittorio nel processo co

stituzionale delle libertà, id., 1989, I, 668. IV. - Nel senso che la Corte costituzionale può sollevare dinanzi a

se stessa questione di legittimità costituzionale soltanto se ricorrono i

presupposti di stretta pregiudizialità, la giurisprudenza è costante: cfr., oltre a Corte cost. 20 maggio 1976, n. 122, id., 1976, I, 2344, con nota di richiami, Corte cost. 31 marzo 1987, n. 92, id., Rep. 1988, voce Pensione, n. 399; 31 dicembre 1986, n. 298, id., 1987, I, 674, con nota di richiami; 23 dicembre 1986, n. 284, id., 1988, I, 3563, con nota di richiami; 24 maggio 1985, n. 164, id., 1985, I, 2515, con nota di E. Rossi; 30 luglio 1984, n. 239, id., 1984, I, 2397, con nota di Colaianni; 18 ottobre 1983, n. 315, ibid., 1432, con nota di Messe rini. Non sono mancati, tuttavia, casi nei quali l'orientamento seguito dalla corte nell'esame della sussistenza della rilevanza della questione è stato più elastico: cfr. Corte cost. 20 giugno 1984, n. 179, ibid., 1761, con nota di richiami.

Per il diverso caso in cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'inam

missibilità di questioni sollevate dinanzi ad essa per la loro manifesta

infondatezza, cfr. Corte cost. 27 ottobre 1988, n. 995, id., 1989, I, 1348, con nota di richiami. [R. Tarchi]

Il Foro Italiano — 1991.

all'art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, le leggi reg. n. 7

del 1983, n. 13 del 1984 e n. 42 del 1986, sia perché le ha consi

derate alla stregua di un atto amministrativo i cui contenuti

esse avrebbero recepito (deliberazione 8 maggio 1980 del comi

tato interministeriale previsto dall'art. 3 1. 10 maggio 1976 n.

319), sia perché ha ritenuto le medesime leggi costituzionalmen

te illegittime per avere interferito in una materia, quella penale, riservata allo Stato. In tal modo la Corte di cassazione avrebbe

esercitato poteri che non le competono, con violazione delle nor

me costituzionali che disciplinano il regime di sindacabilità delle

leggi, anche regionali (art. 117, 1° comma, 101 e 134 Cost.).

2. - Cosi precisati i termini del conflitto, è opportuno innan

zitutto richiamare il principio enunciato nella sentenza di questa

corte n. 110 del 1970 (id., 1970, I, 2064) e concordemente segui

to in successive pronunce (cfr. sent. 211 del 1972, 178 del 1973,

289 del 1974, 75 del 1977, 183 del 1981, 70 del 1985, id., 1973, I, 633; 1974, I, 1298; cit.; 1977, I, 1623; 1982, I, 356; 1986, I, 58): «nulla vieta che un conflitto di attribuzione tragga origi ne da un atto giurisdizionale, se ed in quanto si deduca derivar

ne una invasione della competenza costituzionalmente garantita

alla regione: la figura dei conflitti di attribuzione non si restrin

ge alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del me

desimo potere, che ciascuno dei soggetti contenenti rivendichi

per sé, ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'ille

gittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione

di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all'al

tro soggetto». Non sfugge al collegio la particolare delicatezza del caso in

esame, che investe una sentenza della Corte di cassazione (del

resto già in precedenza verificatosi; sent. n. 66 del 1964, id.,

1964, I, 1327). Ma, una volta ammesso il conflitto su di un

atto giurisdizionale, nulla rileva quale sia il giudice che l'ha ema

nato; che anzi si potrebbe osservare come, proprio perché il

conflitto ha luogo nei confronti di una sentenza avverso la qua

le non è dato alcun mezzo di impugnazione, non possono sor

gere nemmeno eventuali problemi relativi alla possibile conco

mitanza tra giudizio sul conflitto e giudizio di impugnazione.

3. — Poste queste premesse, si deve esaminare l'eccezione

di inammissibilità sollevata dal presidente del consiglio dei mi

nistri. In sostanza, secondo l'avvocatura, la regione censura il

modo in cui la funzione giurisdizionale è stata esercitata in con

creto, denunciando presunti errori in iudicando, di guisa che

si verrebbe a chiedere alla corte di assumere le funzioni proprie del giudice dell'impugnazione, funzioni che chiaramente non com

petono alla corte stessa. L'avvocatura sostiene inoltre che non

vi sarebbe stata comunque menomazione di competenze costitu

zionalmente garantite alla regione, in quanto gli effetti della

sentenza della Cassazione si limitano al giudizio deciso dalla

medesima, non impedendo alle leggi regionali di spiegare la lo

ro efficacia in via generale. 3.1. - L'eccezione non può essere accolta.

La regione in realtà non sostiene che la sentenza di cui si

discute si fondi su erronee interpretazioni di legge ovvero sul

l'errata individuazione della normativa da applicare nel caso con

creto; essa lamenta invece che la Cassazione, pur avendo rite

nuto riferibili alla fattispecie le citate leggi regionali, le abbia

espressamente disapplicate, considerandole alla stregua di atti

amministrativi; e più ancora che, in base ad una valutazione

di incostituzionalità delle anzidette leggi, anziché sollevare la

relativa questione dinanzi alla Corte costituzionale, sia pervenu ta direttamente alla disapplicazione delle medesime.

Non si è dunque dinanzi alla denuncia di un error in iudican

do, nel senso in cui questa corte in precedenti sentenze (cfr.

sent. 289 del 1974, 70 del 1985; ord. 77 e 98, id., 1982, I, 1521

e 1492; 244, 245, 246 del 1988, id., Rep. 1988, voce Corte costi

tuzionale, n. 33) lo ha ritenuto sottratto al proprio giudizio co

me non idoneo a costituire materia di conflitto di attribuzione.

L'errore di cui si discute è consistito, secondo la ricorrente, nel

l'erroneo convincimento che ha indotto la Corte di cassazione

ad esercitare un potere che non le compete, errore cioè che è

caduto sui confini stessi della giurisdizione e non sul concreto

esercizio di essa. Ed è proprio l'esercizio di tale potere di disap

plicazione delle leggi che costituisce l'oggetto del presente con

flitto. 3.2. - Quanto al punto se venga o meno in discussione una

menomazione di una competenza costituzionalmente attribuita

alla regione, non può esservi dubbio che la prospettata disappli

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

cazione di leggi regionali, sia sotto il profilo di una loro equipa razione ad atti amministrativi, sia in quanto ritenute costituzio

nalmente illegittime, violi, ove accertata, le invocate norme co

stituzionali e incida, in particolare, sulla competenza legislativa

garantita alla regione dall'art. 117, 1° comma. Né ha pregio

l'argomento addotto dall'avvocatura dello Stato secondo cui gli effetti della sentenza sarebbero limitati all'oggetto del giudizio, cosi che la legge regionale continuerebbe integra a spiegare la

sua efficacia in via generale: l'efficacia della legge sta proprio

nell'obbligo del giudice di applicarla nel caso concreto che gli è sottoposto. La disapplicazione della legge anche in un solo

caso — come esattamente osserva la difesa della regione — vie

ne a negarne l'intrinseca natura, e costituisce pertanto una le

sione del potere legislativo regionale. 4. - Accertata l'ammissibilità del conflitto, il collegio deve

ora procedere all'esame della sentenza che vi ha dato origine.

L'imputato ha proposto ricorso per cassazione contro la senten

za della Corte d'appello di Bologna precedentemente citata, so

stenendo l'insussistenza del reato, essenzialmente perché «le im

prese agricole in base alla delibera 8 maggio 1980 del comitato

interministeriale e alle leggi reg. Emilia-Romagna 7/83, 23 mar

zo 1984 n. 13 e n. 42/86 sono insediamenti civili, come tali

non soggetti alle sanzioni penali stabilite dall'art. 21 della legge

statale 319/76 . . .».

4.1. - La decisione, dopo aver premesso che «il ricorso è in

fondato e deve, perciò, essere rigettato con le conseguenze di

legge», si sofferma prima sulla questione «della natura dell'in

sediamento (civile o produttivo) delle imprese agricole di alleva

mento» alla stregua dell'orientamento sviluppato in precedenti

pronunce della Corte di cassazione. Enunciata diffusamente «que

sta impostazione generale circa la problematica connessa alle

imprese agricole», la terza sezione penale della Cassazione viene

alle ulteriori precisazioni che rappresentano in effetti l'esame

del vero motivo dedotto nel ricorso, vale a dire la mancata ap

plicazione delle leggi regionali sopra indicate, il cui precetto ri

produce il contenuto della deliberazione 8 maggio 1980 del co

mitato interministeriale. A tale proposito, dopo aver richiamato

l'affermazione di una precedente sentenza (sez. Ili 10 dicembre

1985) secondo cui «la delibera 8 maggio 1980 del comitato in

terministeriale non può vincolare il giudice . . . perché le sue

statuizioni sono state emanate senza una preventiva determina

zione dei principi e criteri direttivi nella 1. n. 650 del 1979», la motivazione prosegue testualmente: «Ne consegue che tale

deliberazione non si sottrae al sindacato del giudice ordinario,

ai sensi dell'art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E. Ed anzi,

il giudice penale può disapplicare in base al citato art. 5 anche

la normativa regionale che recepisca tale delibera in modo tale

da vincolare di fatto l'interprete, in sede penale, ai parametri

della delibera (che invece, come si è detto, vengono ritenuti non

vincolanti)».

Appare quindi chiaramente per tabulas che i giudici della Cas

sazione hanno ritenuto di poter disapplicare la normativa regio

nale, nella specie costituita dalla 1. n. 7 del 1983 e dalle succes

sive leggi nn. 13 del 1984 e 42 del 1986 (le quali — prosegue la motivazione — «si muovono nella medesima logica»), trat

tandole alla stregua di un atto amministrativo. Essi hanno dun

que esercitato un potere del tutto abnorme, non previsto nel

nostro ordinamento costituzionale, con palese violazione degli

art. 101, 2° comma, e 117, 1° comma, Cost.

4.2. - Ma la motivazione non si ferma qui: i giudici della

Cassazione si diffondono a dimostrare, citando anche sentenze

di questa corte, che le regioni non possono interferire con pro

prie leggi in materia penale, come tale riservata alla sola legisla

zione statale. A questo punto, gli stessi giudici, anziché perveni

re all'unica conclusione ad essi consentita, quella cioè di solle

vare questione di legittimità costituzionale delle leggi regionali,

hanno tratto da tale argomento un'ulteriore giustificazione per

disapplicare le leggi stesse, in violazione, oltre che degli art.

101 e 117, anche dell'art. 134 Cost., che attribuisce esclusiva

mente alla Corte costituzionale il sindacato di legittimità costi

tuzionale sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge dello Stato

e delle regioni. È appena il caso di aggiungere che ben altra ipotesi è quella

di leggi statali o regionali confliggenti con regolamenti comuni

tari. In tal caso il potere-dovere del giudice di applicare la nor

ma comunitaria anziché quella nazionale (riconosciuto ai giudi

ci dalla sentenza n. 170 del 1984, id., 1984, I, 2062, di questa

Il Foro Italiano — 1991.

corte e dalle successive che hanno confermato e sviluppato tale

giurisprudenza) non si fonda sull'accertamento di una presunta

illegittimità di quest'ultima, bensì sul presupposto che l'orienta

mento comunitario è autonomo e distinto da quello interno,

con la conseguenza che nelle materie previste dal trattato Cee

la normativa regolatrice è quella emanata dalle istituzioni co

munitarie secondo le previsioni del trattato stesso, fermo benin

teso il rispetto dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili della persona umana: di fronte a tale normativa l'ordinamento

interno si ritrae e non è più operante. Tanto precisato, va riaffermato che uno dei principi basilari

del nostro sistema costituzionale è quello per cui i giudici sono

tenuti ad applicare le leggi, e, ove dubitino della loro legittimità

costituzionale, devono adire questa corte che sola può esercitare

tale sindacato, pronunciandosi, ove la questione sia riconosciu

ta fondata, con sentenze aventi efficacia erga omnes. Questo

principio non può soffrire eccezione alcuna.

4.3. - Si deve dunque concludere che nel caso in esame i giu

dici della Cassazione non si sono limitati ad esercitare il loro

potere di verificare quale legge dovesse applicarsi nel caso con

creto e di interpretare la legge stessa, bensì hanno espressamen

te disapplicato leggi regionali, con violazione degli art. 101, 117

e 134 Cost.

5. - Va per ultima esaminata la subordinata istanza avanzata

dalla presidenza del consiglio . L'avvocatura dello Stato eccepi

sce l'illegittimità costituzionale delle leggi della regione Emilia

Romagna nn. 7 del 1983, 13 del 1984 e 42 del 1986, nelle parti

cui si è riferita l'impugnata sentenza della Cassazione, per avere

interferito in materia penale, riservata all'esclusiva competenza

della legge statale: dichiarata l'illegittimità costituzionale delle

suddette norme — sostiene l'avvocatura — il conflitto risulte

rebbe «privo di fondamento».

La questione è inammissibile.

Questa corte è chiamata a decidere se spetta alla Corte di

cassazione disapplicare leggi regionali ritenute illegittime. Ac

certare se tale illegittimità sussista o meno non è strumentale

alla soluzione del conflitto, e la relativa questione risulta, per

tanto, irrilevante (cfr., per un caso analogo, sent. n. 122 del

1976, id., 1976, I, 2344). 6. - Accertato che non spetta alla Corte di cassazione disap

plicare le leggi regionali, la sentenza oggetto del conflitto deve

essere annullata in applicazione degli art. 41 e 38 1. 11 marzo

1953 n. 87.

Non è infatti possibile separare la motivazione dal dispositi

vo, sia perché in linea generale la sentenza costituisce un unico

atto inscindibile, sia perché, nel caso in esame, si tratta di una

sentenza di rigetto di un ricorso per cassazione; perciò, anche

in presenza di autonomi e distinti motivi della decisione, basta

l'accertato vizio di incompetenza nella parte della motivazione

relativa alla disapplicazione delle leggi regionali — che del resto

è quella che principalmente sorregge il dispositivo di rigetto —

a rendere conseguenziale e necessario l'annullamento.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara che non

spetta allo Stato, e per esso alla Corte di cassazione, disapplica re le leggi nn. 7 del 1983, 13 del 1984 e 42 del 1986 della regione

Emilia-Romagna; annulla di conseguenza la sentenza della Cor

te di cassazione, sezione III penale, n. 2734 del 14 novembre -

12 dicembre 1989.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 19 luglio

1991, n. 8055; Pres. Sandulli, Est. Ravagnani, P.M. Scala

(conci, conf.); Valente (Aw. Tentarelli) c. Min. grazia e

giustizia. Cassa Trib. L'Aquila 9 aprile 1988.

CORTE DI CASSAZIONE;

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Competen

za per materia — Detenuti lavoratori — Attività prestata dal

condannato all'interno del carcere — Rapporto di lavoro su

bordinato (Cod. proc. civ., art. 409; 1. 26 luglio 1975 n. 354,

norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle

misure privative e limitative della libertà, art. 20).

L'attività di lavoro svolta dal condannato all'interno della strut

tura carceraria, parimenti alle altre che il detenuto svolge alle

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