sentenza 14 giugno 1990, n. 285 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 20 giugno 1990, n. 25);Pres. Saja, Est. Ferri; Regione Emilia-Romagna (Avv. Falcon) c. Pres. cons. ministri (Avv. delloStato Bruno). Conflitto di attribuzioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 2345/2346-2353/2354Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185600 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
competente a disporre la sospensione è, in generale, il giudice dell'esecuzione (art. 623 e 624).
Ma il dubbio è stato sciolto dalla giurisprudenza della Corte
di cassazione con il ritenere che la normativa qui impugnata è tuttora vigente e trova applicazione per le opposizioni all'ese
cuzione cambiaria proposte prima dell'inizio dell'esecuzione —
cioè, secondo la nozione di «inizio» assunta dal detto nuovo
codice, prima del pignoramento (art. 491) — mentre, per le op
posizioni all'esecuzione cambiaria proposte dopo tale momen
to, competente a disporre la sospensione dell'esecuzione è solo
il giudice di quest'ultima, davanti al quale del resto l'opposizio ne deve essere proposta, salva la rimessione di essa ad altro
giudice se competente al relativo giudizio cognitivo (art. 616). Con la duplice conseguenza: a) che ora la sospensione del
l'esecuzione prima dell'inizio di questa è consentita soltanto per i titoli esecutivi cambiari (e per l'assegno), oltre che per i titoli
di formazione giudiziale; b) che, trattandosi di opposizione pro
posta prima dell'inizio dell'esecuzione, la sospensione di questa è consentita, subito dopo l'opposizione, ad opera del presidente del tribunale o del pretore competente per valore su versamento
di cauzione (cauzione «necessaria»), ovvero, nel corso del giu dizio di opposizione, ad opera del giudice dell'opposizione, con
cauzione, o senza (cauzione «facoltativa»), mentre, se si tratta
di opposizione proposta dopo l'inizio dell'esecuzione, la sospen sione di questa è consentita, ad opera del giudice della medesi
ma (che può disporla anche prima di rimettere la causa al diver
so giudice eventualmente competente per il relativo giudizio co
gnitorio) con cauzione o senza (cauzione «facoltativa»). 3. - La quesitone non è fondata.
La prospettazione del giudice a quo strettamente riferita alla
violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo della di
sparità di trattamento fra abbienti (in grado di versare la cau
zione) e non abbienti (non in grado di versarla) va oltre i limiti
della questione stessa. Infatti, essa finisce con l'investire la le
gittimità di ogni cauzione, sia «necessaria» che «facoltativa», laddove la questione concerne la legittimità della cauzione «ne
cessaria» come tale.
Quanto alle prospettazioni del giudice a quo riferite alla vio
lazione del diritto di difesa, esse finiscono con l'infrangersi contro
la ponderazione degli interessi in gioco, risultante dal sistema
normativo (come ricostruito dalla giurisprudenza della Corte di
cassazione), ponderazione che è condivisibile e induce a non
ritenere realizzata la lesione del suindicato valore da parte della
norma impugnata. Anzitutto dal conferimento di forza esecutiva — in sé non
contestato — al titolo cambiario (come del resto ad ogni altro
titolo che ne sia munito ex lege), non è assente il profilo della
tutela giurisdizionale, cui appare improntata l'azione esecutiva,
tanto più nell'ambito di una disciplina dell'esecuzione come quella stabilita dal codice di procedura civile del 1942 ora vigente, che — almeno per quel che concerne l'esecuzione forzata per crediti
(esecuzione «indiretta») — è governata dal giudice nell'esercizio
di una funzione giurisdizionale. E il detto conferimento implica
che, almeno tendenzialmente, l'esecuzione sia portata a compi
mento, onde l'eccezionalità della sospensione, la quale non è
effetto automatico dell'opposizione (all'esecuzione), ma è con
cessa in presenza di «gravi motivi» valutabili dal giudice. Per di più nel caso del titolo cambiario il conferimento di
forza esecutiva risponde alle stesse esigenze di pronta realizza
zione del diritto incorporato nel titolo cambiario, che ispirano il diritto cambiario sostanziale, vale a dire a esigenze di prote zione della circolazione del titolo stesso, onde la sospensione dell'esecuzione è qui riguardata ancora più sfavorevolmente.
Si intende che a tali ragioni ed esigenze si contrappongono, nella ponderazione, quelle della difesa del debitore (e qui emer
ge un conflitto fra portatori dello stesso diritto fondamentale
di difesa, che coinvolge anche l'art. 3 Cost.): ragioni ed esigen
ze che sono salvaguardate dall'opposizione all'esecuzione e dal
la sospensione di questa.
Ora, malgrado le più forti esigenze che nel caso dell'esecuzio
ne dei titoli cambiari (e assimilati) ostano alla sospensione, que
sta, nel sistema normativo considerato, può essere disposta —
pur nel concorso di limitate ipotesi (disconoscimento della fir
ma o della rappresentanza, «gravi e fondati» motivi) — prima
dell'inizio dell'esecuzione, a differenza da quanto è previsto per
tutti gli altri titoli esecutivi di formazione non giudiziale e (in sede diversa tanto da quella dell'opposizione che da quella del
II Foro Italiano — 1991.
l'esecuzione) sulla base di una cognizione sommaria degli ele
menti di causa (esibizione dell'atto di opposizione notificato e
di eventuali documenti).
Indubbiamente, ciò importa una considerevole menomazione
di tutela per il creditore cambiario, menomazione che abbiso
gna di un compenso ai fini del riequilibrio, in conformità degli art. 24 e 3 Cost., fra la posizione del creditore e quella del
debitore cambiario. E tale compenso il sistema considerato tro
va appunto in ciò che la sospensione viene subordinata alla con
dizione «necessaria» della cauzione.
D'altra parte, non sussiste insuperabile incoerenza fra la limi
tazione del potere di sospensione dato al presidente del tribuna
le o al pretore competente per valore dall'art. 64 della legge cambiaria ora impugnato, e il più ampio potere riconosciuto
al giudice dalle discipline sopra richiamate, relative rispettiva mente alla sospensione disposta dal giudice dell'opposizione al
precetto cambiario, ai sensi dell'art. 65 stessa legge, e a quella
disposta dal giudice dell'esecuzione (in via generale, ma anche, nel sistema normativo considerato, nel caso di opposizione al
l'esecuzione cambiaria proposta dopo l'inizio dell'esecuzione stes
sa), discipline le quali considerano entrambe la cauzione come
condizione soltanto «facoltativa» della sospensione. In tali evenienze ricorre infatti una situazione diversa, di mi
nore aggravio per il creditore cambiario esecutante, o perché,
pur trattandosi di opposizione proposta prima dell'inizio dell'e
secuzione (art. 65 legge cambiaria), il giudice dell'opposizione ha comunque una più ampia e approfondita cognizione degli elementi di causa (come è dimostrato fra l'altro da ciò, che, mentre l'art. 64 postula la ricorrenza di «gravi e fondati» moti
vi, cioè di motivi fondati all'evidenza, l'art. 65 parla soltanto
di «gravi ragioni», cioè di motivi rivelatisi fondati a un migliore
esame), ovvero perché, trattandosi di opposizione proposta do
po l'inizio dell'esecuzione, il creditore cambiario ha comunque
conseguito gli effetti vantaggiosi del pignoramento. Né vale invocare in contrario la decisione di questa corte n.
137 del 1984 (Foro it., 1984, I, 1775), con la quale è stato di
chiarato illegittimo l'art. 648, 2° comma, c.p.c., nella parte in
cui dispone che il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo sia tenuto a concedere l'esecuzione provvisoria del decreto in
giuntivo se il creditore istante offra cauzione, anziché avere il
potere di concedere o no la detta esecuzione sulla base della
deliberazione degli elementi probatori di cui all'art. 648, 1 ° com
ma (e alla congruità della cauzione ex art. 648, 2° comma), c.p.c. I termini della questione decisa con la detta sentenza erano
differenti da quelli della questione ora sottoposta a questa cor
te. Si trattava allora della concessione ope iudicis dell'esecuzio
ne provvisoria (di un titolo di formazione giudiziale) e quindi di una misura che non poteva ragionevolmente non essere ri
messa in tutto alla valutazione da parte del giudice (cfr. motiva
zione della sent. n. 137 del 1984) laddove qui si tratta della
sospensione di una esecuzione già disposta ope legis come attri
buto di un dato titolo non giudiziale con valutazione da parte della legge in sé non contestata.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta la questione di legittimità, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost.,
dell'art. 64 r.d. 14 dicembre 1933 n. 1669 (modificazioni alle
norme sulla cambiale e sul vaglia cambiario), sollevata con l'or
dinanza in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 14 giugno 1990, n. 285
(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 20 giugno 1990, n. 25); Pres. Saja, Est. Ferri; Regione Emilia-Romagna (Avv. Fal
con) c. Pres. cons, ministri (Aw. dello Stato Bruno). Con
flitto di attribuzione.
Acque pubbliche e private — Imprese agricole di allevamento —
Scarichi — Disciplina regionale — Disapplicazione da parte del
giudice ordinario — Conflitto di attribuzione (Cost., art. 101,
117, 134; 1. reg. Emilia-Romagna 29 gennaio 1983 n. 7, disci
plina degli scarichi delle pubbliche fognature e degli insedia
menti civili che non recapitano in pubbliche fognature. Disci
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2347 PARTE PRIMA 2348
plina del trasporto di liquami e acque reflue di insediamenti ci
vili e produttivi; 1. reg. Emilia-Romagna 7 marzo 1984 n. 13, modifiche e integrazioni alla 1. reg. 29 gennaio 1983 n. 7; 1. reg.
Emilia-Romagna 28 novembre 1986 n. 42, ulteriori modifiche
ed integrazioni alla 1. reg. 29 gennaio 1983 n. 7, recante norme
sulla disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature - Prov
vedimenti per il contenimento dell'eutrofizzazione).
Non spetta allo Stato, e per esso alla Corte di cassazione, disap
plicare disposizioni contenute in leggi regionali; va, pertanto, annullata la sentenza della Corte di cassazione che aveva di
sapplicato le leggi reg. Emilia-Romagna 29 gennaio 1983 n.
7, 23 marzo 1984 n. 13 e 28 novembre 1986 n. 42, contenenti
la disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature, degli in
sediamenti civili e del trasporto di liquami ed acque reflue di insediamenti civili e produttivi. (1)
(1) La sentenza costituisce un precedente assai significativo all'inter no della giurisprudenza costituzionale in tema di conflitti di attribuzio ne tra Stato e regioni, tanto per gli aspetti di carattere processuale che da essa emergono, quanto per quelli relativi al merito della questione decisa, sia, infine, per il tipo di ragionamento argomentativo che la
corte ha seguito, non del tutto in sintonia con le precedenti decisioni,
pur numerose e puntualmente richiamate in motivazione. Per un ampio commento della sentenza si rimanda a D'Amico, Alcune riflessioni in tema di conflitti di attribuzione tra Stato e regioni su atti giurisdiziona li, in Giur. costit., 1990, 1789.
Cass. 12 novembre 1989, Predieri, che ha dato origine al conflitto, è riportata in questo fascicolo, II.
I. - Non costituisce certamente una novità che l'atto invasivo delle
competenze costituzionalmente garantite alla regione sia stato un prov vedimento giurisdizionale; il caso si è verificato con una certa frequen za dopo che la giurisprudenza costituzionale ha abbandonato la confi
gurazione del conflitto tra enti in termini di vendicatio potestatis per ammettere conflitti anche nelle ipotesi di semplice menomazione o le sione della competenza (per una ricostruzione dei passaggi che hanno determinato questa evoluzione, v., da ultimo, Grassi, Conflitti costitu
zionali, voce del Digesto pubbl., 1989, III, 370); è pacifico, infatti, che per la sussistenza del profilo oggettivo del conflitto l'idoneità del l'atto debba essere valutata «in relazione alla sua astratta capacità di
incidere negativamente nell'ordine delle competenze del ricorrente »: v. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, 1988, 342. Ed in ordine a conflitti tra enti originati da provvedimenti di autorità giurisdizionali disponiamo ormai di una articolata casistica. Oltre ai precedenti richia mati in motivazione a partire da Corte cost. 26 giugno 1970, n. 110, Foro it., 1970, I, 2064, con nota di richiami, relativa ad un ricorso della regione Sardegna avverso la Corte dei conti (espressamente quali ficata come un organo giurisdizionale; sono comunque assai numerosi i casi nei quali il conflitto è sorto a causa di provvedimenti adottati da siffatto giudice), v., da ultimo, Corte cost. 22 giugno 1989, n. 350, id., 1990, I, 1847, recante una decisione di inammissibilità soltanto per ché il giudizio di merito si era definito con l'assoluzione del consigliere regionale nei cui confronti era stata esercitata l'azione penale; 25 marzo
1982, n. 58, id., 1982, I, 901, con nota di richiami, con la quale si era negata la spettanza all'autorità giudiziaria; 27 marzo 1975, n. 81, id., 1975, I, 1623, con nota di richiami, che annullava il provvedimento di un giudice istruttore penale che aveva deciso di procedere ancora nei confronti di consiglieri regionali.
È la prima volta, invece, che viene deciso nel merito un conflitto
originato da un provvedimento giurisdizionale della Corte di cassazio
ne; nel caso risolto da Corte cost. 30 giugno 1964, n. 66, id., 1964, I, 1327, con nota di richiami, l'atto censurato dalla regione siciliana ricorrente era infatti un'ordinanza del Consiglio di giustizia ammini
strativa, limitandosi la corte stessa a ribadire la spettanza alla Corte di cassazione del potere di decidere i conflitti di giurisdizione. Corte cost. 26 luglio 1988, n. 886, id., 1988, I, 3168, con nota di richiami, a seguito di un ricorso della provincia di Bolzano nei confronti di due sentenze della Corte di cassazione con le quali si era affermata l'impos sibilità di riconoscere la qualifica di artigiano, da parte di una legge provinciale, anche a favore di soggetti non in possesso dei requisiti pre visti dalla normativa statale, si era pronunciata per la cessazione della materia del contendere, essendo sopravvenuta una legge (statale) inter
pretativa, mediante la quale veniva recepito l'orientamento del legisla tore provinciale e contraddetto quello fino ad allora seguito dalla Su
prema corte. Nel caso di Corte cost. 19 gennaio 1988, n. 2, id., Rep. 1988, voce Corte costituzionale, n. 69, annotata da Cocozza, in Regio ni, 1988, 596, invece, il rimedio del conflitto di attribuzioni si è presen tato come un'alternativa al sistema delle impugnazioni in via ordinaria; la vicenda si è infatti conclusa con una decisione di cessazione della materia del contendere, essendo intervenuto, nelle more del processo costituzionale, l'annullamento da parte della Corte di cassazione del l'atto giurisdizionale che era stato impugnato anche dinanzi al giudice delle leggi.
La sentenza riportata si fa premura di segnalare come, una volta ammessa la possibilità di conflitti tra enti originati da provvedimenti del
II Foro Itauano — 1991.
Fatto. — 1. - La regione Emilia-Romagna ha promosso con
flitto di attribuzione in relazione alla sentenza della Corte di
cassazione, sezione III penale, n. 2734 del 14 novembre 1989,
chiedendone l'annullamento per violazione degli art. 117, 1° com
ma, 101 e 134 Cost., nella parte in cui detta sentenza afferma
che il giudice ordinario può disapplicare le leggi regionali ai
sensi dell'art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E.
Espone la ricorrente che la Corte di cassazione — nel rigetta re il ricorso contro la pronuncia di condanna della Corte d'ap
pello di Bologna, resa nei confronti di Predieri Vilder, titolare
di un allevamento suinicolo, per scarico in acque pubbliche di
liquami non depurati — dopo aver rammentato il potere del
l'autorità giudiziaria ordinaria di disapplicare i provvedimenti amministrativi in base all'art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali.
E (nella specie: la delibera 8 maggio 1980 del comitato intermi
nisteriale previsto dall'art. 3 1. 10 maggio 1976 n. 319), ha te
stualmente affermato: «il giudice penale può disapplicare in base
l'autorità giudiziaria, non faccia alcuna differenza la circostanza che il giudice coinvolto sia la Corte di cassazione, piuttosto che uno inferio
re; in ogni caso, tuttavia, la Corte costituzionale si trova ad agire, al
meno in via di fatto, come organo di ultima istanza e quindi come
ulteriore grado di giudizio rispetto a quelli esperibili in via ordinaria.
È sintomatico, in proposito, come l'esperienza concreta dei sistemi di
giustizia costituzionale che ammettono il ricorso in via diretta dinanzi
al tribunale costituzionale anche nei confronti di provvedimenti giuri sdizionali lesivi delle libertà e dei diritti fondamentali, abbia dimostrato
che il controllo da parte del giudice costituzionale si risolve quasi sem
pre in una sorta di sindacato sull'attività dei tribunali ordinari; cfr., a proposito del ricorso di amparo, Rolla, Indirizzo politico e tribunale
costituzionale in Spagna, 1986, 248. Resta da vedere, allora, come la sentenza riportata si colloca rispetto
alle decisioni rese precedentemente, soprattutto in ordine a due profili: la configurabilità del giudizio sui conflitti come un processo d'impu
gnazione dei provvedimenti resi da altri giudici e, soprattutto, la censu
rabilità o meno degli errori di diritto (per l'insindacabilità degli errori
su elementi di fatto e quindi per l'inammissibilità dei conflitti da questo
originati rimane ancora attuale Corte cost. 20 marzo 1985, n. 70, Foro
it., 1986, I, 58) compiuti in sede di giurisdizione ordinaria; elementi,
questi, in grado di trasformare il conflitto di attribuzioni in un control
lo surrettizio sul modo nel quale viene concretamente esercitata l'attivi tà giurisdizionale. In motivazione si ribadiscono espressamente le linee
interpretative seguite con sicura coerenza nei casi precedentemente ri solti. Alcune recenti decisioni avevano infatti confermato che attraverso la proposizione di un conflitto di attribuzioni promosso da una regione non si poteva assolutamente pervenire ad una censura del «modo in cui la giurisdizione si è concretamente esplicata, denunciando eventuali
errori in iudicando nei quali il giudice sarebbe incorso, e si chieda per ciò, in definitiva, alla corte medesima di correggere tali errori, cosi at tribuendole un ruolo di giudice dell'impugnazione che, all'evidenza, non le compete». Cosi, in termini pressoché identici, Corte cost. 3 marzo
1988, nn. 246, 244 e 245, id., Rep. 1988, voce Corte costituzionale, nn. 33, 34 e id., Rep. 1989, voce Regione, n. 361. Tutte queste sentenze avevano quindi dichiarato la manifesta inammissibilità dei ricorsi con cui erano state impugnate decisioni del Consiglio di Stato (nei primi due casi) e del Tar Umbria, rispetto alle quali era stato contestato da
parte delle regioni ricorrenti l'iter decisorio seguito, assumendosi una scorretta applicazione delle norme vigenti. Un orientamento, questo, che trovava precedenti chiari e significativi: v. Corte cost. 20 marzo
1985, n. 70, cit., e 27 dicembre 1974, n. 289, id., 1975, I, 810, con nota di richiami.
Merita di essere segnalata la questione decisa da Corte cost. n. 246 del 1988, cit.; in quel caso, da parte della provincia di Trento si conte stava che il giudice amministrativo avesse arbitrariamente disapplicato una legge provinciale in materia di caccia, a favore di una legge statale
anteriore, assumendo la sussistenza di un interesse nazionale (la cui ac certata presenza avrebbe reso semmai illegittime le disposizioni legislati ve della provincia, ma non mai inefficaci nel caso concreto). Peraltro, anche la questione risolta da Corte cost. n. 245 del 1988, cit., risulta
qualitativamente affine, visto che si contestava un supposto errore com
piuto dal Tar Umbria, che aveva dato (secondo il ricorso presentato dalla regione) applicazione ad una norma (legge regionale di approva zione del piano urbanistico territoriale) ancora in itinere e quindi «non ancora dotata di efficacia legislativa».
Sono quindi del tutto evidenti, almeno per l'impostazione che era stata data alla questione con il ricorso, le analogie che ricorrono tra
questi casi e quello deciso dalla sentenza n. 285 del 1990, per quanto, invece, risulti diametralmente opposta la conclusione. Ed in effetti, con trariamente a quanto la stessa sentenza che si riporta ha espressamente enunciato, ci pare di poter affermare che la motivazione della stessa sia per gran parte incentrata sulla dimostrazione dell'errore compiuto dalla Corte di cassazione (vari passi della sentenza impugnata vengono ripresi e puntualmente confutati), la quale, anziché sollevare questione di costituzionalità di determinate disposizioni legislative regionali repu
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
all'art. 5 anche la normativa regionale che recepisca tale delibe
ra». Il che, di seguito, ha proceduto a fare con esplicito riferi
mento alle leggi della regione Emilia-Romagna n. 7 del 1983,
n. 13 del 1984 e n. 42 del 1986.
Detta affermazione, ed il conseguente esercizio da parte del
giudice ordinario del potere di disapplicare direttamente le leggi
regionali ritenute illegittime integra, ad avviso della ricorrente,
una violazione delle norme costituzionali prima indicate, ed al
tresì della garanzia del contraddittorio di cui all'art. 25, ultimo
comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87.
In particolare, prosegue la regione, la caratteristica prima del
valore di legge di un atto normativo è — per la legge statale
come per la legge regionale — la sola ed esclusiva sindacabilità
da parte della Corte costituzionale, e non invece degli altri giu
dici, i quali dispongono del solo potere di provocare il giudizio
della corte stessa: come pacificamente risulta dall'art. 101 Cost.,
tate illegittime, aveva direttamente proceduto alla concreta disapplica zione delle stesse, trattandole alla stregua di semplici atti amministrativi
(i giudici della Suprema corte, tra l'altro, avevano fatto espresso richia
mo ed applicazione dell'art. 5 1. n. 2248 del 1865, ali. E). Evidentemen
te, non si può negare che si trattasse proprio di un errore in iudicando, derivante da una difettosa interpretazione delle norme costituzionali che
definiscono la forza delle leggi regionali e disciplinano i meccanismi
per il loro controllo ove si dubiti della loro legittimità rispetto ai para metri definiti dalla Costituzione.
Ritiene che il sindacato esercitato con la pronuncia riportata si sia
trasformato in un vero e proprio riesame del ragionamento argomenta tivo seguito dalla sentenza impugnata, D'Amico, Alcune riflessioni in
tema di conflitti di attribuzione, cit., 1797, che conclude rilevando un'e
voluzione dei conflitti nel senso di una loro maggiore concretezza ed
osservando come sia stato in definitiva ritenuto ammissibile un conflit
to avente ad oggetto un atto giurisdizionale per una contestazione del
modo con cui il potere era stato concretamente esercitato.
Uno dei punti decisivi della sentenza riportata ci sembra, tuttavia,
che possa essere colto nella sottolineatura di come, nel caso di specie, i giudici della Cassazione «abbiano esercitato un potere del tutto abnor
me, non previsto dal nostro ordinamento costituzionale». Per questo
aspetto la decisione si inserisce pienamente nel solco tracciato dalle pre cedenti e soprattutto da Corte cost. n. 70 del 1985, cit. In tale circo
stanza, infatti, venne decisa tutta una serie di ricorsi presentati dalla
regione Toscana; molti di questi furono accolti, con conseguente annul
lamento dei provvedimenti giurisdizionali impugnati ed in particolare di quelli che concretavano una funzione attiva dell'esercizio della giuris
dizione, in quanto imponevano all'amministrazione regionale obblighi di fare; ed in tale occasione la corte parlò, almeno nella sostanza, pro
prio di esercizio abnorme della giurisdizione penale, ovvero di «carenza
di potere giurisdizionale». Con la differenza, tuttavia, che mentre nei
casi decisi dalla sentenza del 1985 l'abnormità risultava immediatamen
te dall'adozione di determinati provvedimenti, in quello di specie essa
va ricondotta al ragionamento ermeneutico fatto proprio dai giudici della Suprema corte e rende necessario, quindi, il riesame e la confuta
zione di tale ragionamento. In definitiva, quello che viene contestato alla Corte di cassazione,
è di aver in concreto esercitato un controllo di costituzionalità di tipo
diffuso; ed in effetti è proprio questo che risulta con evidenza dalla
sentenza della terza sezione penale, che aveva disapplicato disposizioni
legislative dell'Emilia-Romagna ritenendole viziate per essere intervenu
te in una materia, quella delle sanzioni penali, estranea a quelle costitu
zionalmente attribuite alle regioni (non era la prima volta che questo si verificava; già Cass. 10 dicembre 1985, Ganassi, Foro it., Rep. 1987, voce Acque pubbliche, n. 190, aveva proceduto nello stesso senso della
disapplicazione limitatamente alla sola 1. reg. Emilia-Romagna n. 7 del
1983). In altri termini, la Cassazione avrebbe dovuto sospendere il giu dizio e rimettere gli atti alla Corte costituzionale, chiedendo che venisse
dichiarata l'incostituzionalità della normativa regionale (dis)applicata. Se ne ricava che la diretta disapplicazione delle leggi regionali, oltre
a menomare la sfera di attribuzioni riservate a questi enti (menomazio ne che può concretarsi anche con riferimento ad un singolo caso, visto
che la disapplicazione non ha effetti erga omnes), invade la sfera di
competenze spettante alla Corte costituzionale, che risulta scavalcata.
Siamo di fronte, quindi, ad un caso di conflitto tra enti che ne ricom
prende anche uno tra poteri dello Stato.
Può essere condivisa anche l'ulteriore puntualizzazione contenuta nella
sentenza n. 285 del 1990, in base alla quale il caso in questione risulta
profondamente diverso da quelli che richiedono una disapplicazione delle
disposizioni legislative interne confliggenti con norme comunitarie; in
tali circostanze, infatti, non si pone un problema di legittimità delle
leggi disapplicate, dovendosi soltanto riconoscere una prevalenza alle
fonti di un ordinamento «distinto ed autonomo» rispetto a quello stata
le. Il ragionamento, tuttavia, portato alle estreme conseguenze, potreb
be indurci a pensare che si sarebbe potuti pervenire ad una diversa con
clusione laddove i giudici della Cassazione, anziché argomentare nel senso
li Foro Italiano — 1991.
che vincola il giudice alla legge, e dall'art. 134 Cost., che riser
va alla Corte costituzionale il giudizio sulla legittimità costitu
zionale delle leggi statali e regionali. Né varrebbe in contrario osservare che, secondo la Corte di
cassazione, la legge regionale avrebbe interferito con la materia
penale, da ritenersi in via di principio soggetta a riserva di legge statale. Da una parte, prosegue la ricorrente, la sentenza n. 487
del 1989 (Foro it., 1990, I, 26) della Corte costituzionale affer ma che non è precluso alla legge regionale di «concorrere a
precisare, secundum legem, presupposti di applicazione di nor
me penali statali», o di «concorrere ad attuare le stesse norme»,
e che comunque la legge regionale può ampiamente intervenire
quando «dalle leggi statali si subordinino effetti incriminatori
o decriminalizzanti ad atti amministrativi (o legislativi) regionali».
D'altra parte, non rileva in questa sede sapere se la legge
regionale che il giudice ordinario ha disapplicato sia o non sia
della illegittimità costituzionale delle norme regionali, le avessero rite
nute inapplicabili in quanto incompetenti; ovvero, perché assumevano
la portata di una norma di principio nel definire la nozione di insedia
mento civile ai fini della normativa antinquinamento, quando era inve
ce possibile evincere senza difficoltà tale normazione di principi dalle
disposizioni legislative statali esistenti. 11 ragionamento ci appare, co
munque, alquanto forzato; non solo perché la legislazione statale in
materia non si presenta in maniera univoca, lasciando aperte numerose
questioni, ma, soprattutto, per la ragione che una norma regionale con
trastante con una disposizione statale di principio è anche costituzional
mente illegittima; e la dichiarazione di una tale illegittimità non può che spettare al giudice delle leggi. Nel caso di specie, tuttavia, residuava
un problema in ordine alla rilevanza della questione di legittimità costi
tuzionale; le disposizioni regionali interessate, infatti, si presentano co
me norme penali di favore, nel senso che la loro rimozione avrebbe
trasformato la natura della sanzione di alcuni illeciti da amministrativa
a penale; ed in ordine all'ammissibilità di questioni concernenti disposi zioni di questa natura permangono ancora dubbi, nonostante la pro nuncia in senso favorevole di Corte cost. 3 giugno 1983, n. 148, id.,
1983, I, 1800, con nota di richiami e commenti di Gironi e Pulitanò.
II. - La sentenza riportata non si sofferma minimamente, invece, sul
profilo della natura delle leggi regionali in contestazione. Queste ultime
avevano recepito il contenuto di un atto amministrativo anteriore (deli bera 8 maggio 1980 del comitato interministeriale per la tutela delle
acque dall'inquinamento), riproducendolo, però, con norme autonome,
anche se con richiami alla delibera interministeriale. Ed in proposito ci sembra corretta l'impostazione (non esplicitata) che la Corte costitu
zionale ha seguito nella ricostruzione del rapporto tra la fonte regionale e l'atto amministrativo; ricostruzione che rovescia quella risultante dal
la sentenza della Cassazione penale. Il ragionamento condotto da que st'ultima portava, in definitiva, ad una degradazione della legge, attrat
ta nella sfera dell'atto amministrativo ed a questa equiparata quanto ad efficacia sostanziale. Per la Corte costituzionale, invece, l'elemento
formale, costituito dal carattere legislativo dell'atto, garantisce allo stesso
una forza che lo rende vincolante per il giudice. Nessun rilievo, se non
meramente fattuale, può assumere l'esistenza di una precedente delibe
ra amministrativa di analogo contenuto; le norme applicabili, pur iden
tiche nel contenuto, hanno visto la novazione della loro fonte e sono
ormai attratte al regime giuridico che è proprio di quest'ultima. III. - Dal punto di vista strettamente processuale si ripropone il pro
blema della difesa degli organi del potere giurisdizionale davanti al giu
dice delle leggi in sede di conflitto tra enti; è vero che nel caso di specie si è costituito il presidente del consiglio dei ministri a differenza di quanto
era avvenuto in altre precedenti occasioni: cfr. Corte cost. 19 gennaio
1988, n. 2, cit., nonché, anteriormente, 20 marzo 1985, n. 70, cit.,
che, nel dichiarare l'inammissibilità di un intervento dell'autorità giudi
ziaria coinvolta nel conflitto (oltre che l'irricevibilità di memorie dalla
stessa presentate), evidenziava già, per mezzo di un obiter dictum, il
problema dell'effettiva garanzia del diritto di difesa degli organi giuris
dizionali i cui provvedimenti erano stati impugnati in sede di conflitto
tra Stato e regioni. I termini della questione sono stati già da tempo posti sul tappeto
in dottrina; cfr. Pizzorusso, La magistratura come parte dei conflitti
di attribuzioni, in Barile-Cheli-Grassi (a cura di), Corte costituzionale
e sviluppo della forma di governo in Italia, 1982, 211; Mor, Conflitto
Stato-regione o conflitto tra giudici e politici!, in Giur. costit., 1985,
I, 1395; D'Amico, L'intervento nei giudizi per conflitto di attribuzioni,
id., 1988, II, 2328; Zagrebelsky, op. cit., 355, che parla, con riferi
mento a questa ipotesi di «contraddittorio fittizio, l'autorità giudiziaria
non avendo la possibilità di svolgere la difesa delle proprie attribuzioni,
dovendosene assurdamente affidare la rappresentazione al governo»;
Floridia, «Corto circuito»: conflitto tra regione e giudice e cessazione
delta materia del contendere, in Regioni, 1989, 1125; Grassi, op. cit.,
372. Da ultimo, i termini del problema sono stati ripresi da Romboli,
Il conflitto di attribuzione tra lo Stato e le regioni, in Aggiornamenti
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2351 PARTE PRIMA 2352
conforme a Costituzione, ma soltanto conta affermare che tale
complesso giudizio di legittimità costituzionale è proprio ciò che — a completamento e protezione dell'autonomia regionale —
la Costituzione riserva alla Corte costituzionale. In nessun mo
do, perciò, si potrebbe sfuggire alla conclusione che il giudice
ordinario, disapplicando la legge regionale, ha menomato l'au
tonomia costituzionale delle regioni, esercitando un potere di
giurisdizione che la Costituzione affida solo al giudice costitu
zionale.
Del tutto pretestuoso ed arbitrario risulta quindi, ad avviso
della regione, il riferimento all'art. 5 della legge sul contenzioso
amministrativo, che conferisce al giudice ordinario il potere di
disapplicare gli atti amministrativi ed i regolamenti illegittimi, ma non certo le leggi.
La regione, infine, sottolinea come la sentenza in esame sia
pienamente sindacabile in questa sede.
Rammenta la ricorrente che sin dalla sentenza n. 289 del 1974
(id., 1975, I, 810) (con orientamento ribadito ancor di recente
con le ordinanze nn. 244 e 245 del 1988, id., Rep. 1988, voce
Corte costituzionale, n. 34 e Rep. 1989, voce Regione, n. 361)
questa corte ha chiarito che, se da una parte è inammissibile
l'impugnazione, mediante conflitto, di atti giurisdizionali quan do si chieda in sostanza la correzione di eventuali errori in iudi
cando nei quali il giudice sia incorso, mirando ad ottenere nel
merito la revisione della sentenza, d'altra parte il conflitto è
pienamente ammissibile quando sia denunciata una lesione deri
vante «dal solo fatto di esercitare la giurisdizione nei confronti
di atti ... che si affermino ad essa sottratti da norme costitu
zionali». (Omissis) Diritto. — 1. - Il conflitto di attribuzione proposto dalla re
gione Emilia-Romagna nei confronti dello Stato ha per oggetto la sentenza della Corte di cassazione, sezione III penale, n. 2734
del 14 novembre (rectius 12 dicembre) 1989, con la quale è stato
rigettato il ricorso di Predieri Vilder avverso la sentenza della
Corte d'appello di Bologna del 6 ottobre 1988. Secondo la re
gione ricorrente, la Corte di cassazione ha disapplicato, in base
in tema di processo costituzionale (1987-1989), 1990, 211, il quale ha
evidenziato come permanga la necessità di garantire al giudice tutela
reale, anche attraverso una modifica dell'attuale disciplina legislativa, in modo da consentire ad esso di difendere la propria attività «non
potendosi certo ritenere che il giudice sia rappresentato dal presidente del consiglio dei ministri, il quale costituisce ... il «nemico naturale»
dell'autorità giudiziaria nell'ambito dei conflitti di attribuzioni tra pote ri dello Stato», anche perché gli interessi dell'amministrazione regionale sono omogenei rispetto a quelli dell'amministrazione statale; nei con
fronti degli uni, quanto degli altri, può porsi in antitesi ed in conflitto
l'intervento dell'autorità giudiziaria. Il problema dell'intervento nei conflitti di attribuzione tra enti, in
particolare quando l'oggetto degli stessi sia costituito da un atto giuris dizionale, non riguarda, però, soltanto l'autorità giudiziaria che quel provvedimento aveva emesso, ma anche i soggetti privati sui quali lo
stesso produceva effetti; questione già sottolineata da Mor, La senten
za annullata, in Regioni, 1982, 161. Al riguardo, è stato anche afferma to che le decisioni rese in sede di conflitto tra enti non possano produr re effetti sulle parti private del processo di merito, qualora le stesse non vengano messe in condizione di rappresentare le loro ragioni di nanzi al giudice delle leggi (cfr. Pizzorusso, cit., 220). Più in generale, sulla rigidità della posizione della Corte costituzionale in materia di intervento dinanzi ad essa, cfr. le ricostruzioni di Tarchi, Questioni processuali e sostanziali in tema di conflitti tra Stato e regioni, in Foro
it., 1986, I, 1800; E. Rossi, I giuristi alla conquista della Marmolada,
id., 1988, I, 3184; Trocker, Note sul contraddittorio nel processo co
stituzionale delle libertà, id., 1989, I, 668. IV. - Nel senso che la Corte costituzionale può sollevare dinanzi a
se stessa questione di legittimità costituzionale soltanto se ricorrono i
presupposti di stretta pregiudizialità, la giurisprudenza è costante: cfr., oltre a Corte cost. 20 maggio 1976, n. 122, id., 1976, I, 2344, con nota di richiami, Corte cost. 31 marzo 1987, n. 92, id., Rep. 1988, voce Pensione, n. 399; 31 dicembre 1986, n. 298, id., 1987, I, 674, con nota di richiami; 23 dicembre 1986, n. 284, id., 1988, I, 3563, con nota di richiami; 24 maggio 1985, n. 164, id., 1985, I, 2515, con nota di E. Rossi; 30 luglio 1984, n. 239, id., 1984, I, 2397, con nota di Colaianni; 18 ottobre 1983, n. 315, ibid., 1432, con nota di Messe rini. Non sono mancati, tuttavia, casi nei quali l'orientamento seguito dalla corte nell'esame della sussistenza della rilevanza della questione è stato più elastico: cfr. Corte cost. 20 giugno 1984, n. 179, ibid., 1761, con nota di richiami.
Per il diverso caso in cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'inam
missibilità di questioni sollevate dinanzi ad essa per la loro manifesta
infondatezza, cfr. Corte cost. 27 ottobre 1988, n. 995, id., 1989, I, 1348, con nota di richiami. [R. Tarchi]
Il Foro Italiano — 1991.
all'art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, le leggi reg. n. 7
del 1983, n. 13 del 1984 e n. 42 del 1986, sia perché le ha consi
derate alla stregua di un atto amministrativo i cui contenuti
esse avrebbero recepito (deliberazione 8 maggio 1980 del comi
tato interministeriale previsto dall'art. 3 1. 10 maggio 1976 n.
319), sia perché ha ritenuto le medesime leggi costituzionalmen
te illegittime per avere interferito in una materia, quella penale, riservata allo Stato. In tal modo la Corte di cassazione avrebbe
esercitato poteri che non le competono, con violazione delle nor
me costituzionali che disciplinano il regime di sindacabilità delle
leggi, anche regionali (art. 117, 1° comma, 101 e 134 Cost.).
2. - Cosi precisati i termini del conflitto, è opportuno innan
zitutto richiamare il principio enunciato nella sentenza di questa
corte n. 110 del 1970 (id., 1970, I, 2064) e concordemente segui
to in successive pronunce (cfr. sent. 211 del 1972, 178 del 1973,
289 del 1974, 75 del 1977, 183 del 1981, 70 del 1985, id., 1973, I, 633; 1974, I, 1298; cit.; 1977, I, 1623; 1982, I, 356; 1986, I, 58): «nulla vieta che un conflitto di attribuzione tragga origi ne da un atto giurisdizionale, se ed in quanto si deduca derivar
ne una invasione della competenza costituzionalmente garantita
alla regione: la figura dei conflitti di attribuzione non si restrin
ge alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del me
desimo potere, che ciascuno dei soggetti contenenti rivendichi
per sé, ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'ille
gittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione
di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all'al
tro soggetto». Non sfugge al collegio la particolare delicatezza del caso in
esame, che investe una sentenza della Corte di cassazione (del
resto già in precedenza verificatosi; sent. n. 66 del 1964, id.,
1964, I, 1327). Ma, una volta ammesso il conflitto su di un
atto giurisdizionale, nulla rileva quale sia il giudice che l'ha ema
nato; che anzi si potrebbe osservare come, proprio perché il
conflitto ha luogo nei confronti di una sentenza avverso la qua
le non è dato alcun mezzo di impugnazione, non possono sor
gere nemmeno eventuali problemi relativi alla possibile conco
mitanza tra giudizio sul conflitto e giudizio di impugnazione.
3. — Poste queste premesse, si deve esaminare l'eccezione
di inammissibilità sollevata dal presidente del consiglio dei mi
nistri. In sostanza, secondo l'avvocatura, la regione censura il
modo in cui la funzione giurisdizionale è stata esercitata in con
creto, denunciando presunti errori in iudicando, di guisa che
si verrebbe a chiedere alla corte di assumere le funzioni proprie del giudice dell'impugnazione, funzioni che chiaramente non com
petono alla corte stessa. L'avvocatura sostiene inoltre che non
vi sarebbe stata comunque menomazione di competenze costitu
zionalmente garantite alla regione, in quanto gli effetti della
sentenza della Cassazione si limitano al giudizio deciso dalla
medesima, non impedendo alle leggi regionali di spiegare la lo
ro efficacia in via generale. 3.1. - L'eccezione non può essere accolta.
La regione in realtà non sostiene che la sentenza di cui si
discute si fondi su erronee interpretazioni di legge ovvero sul
l'errata individuazione della normativa da applicare nel caso con
creto; essa lamenta invece che la Cassazione, pur avendo rite
nuto riferibili alla fattispecie le citate leggi regionali, le abbia
espressamente disapplicate, considerandole alla stregua di atti
amministrativi; e più ancora che, in base ad una valutazione
di incostituzionalità delle anzidette leggi, anziché sollevare la
relativa questione dinanzi alla Corte costituzionale, sia pervenu ta direttamente alla disapplicazione delle medesime.
Non si è dunque dinanzi alla denuncia di un error in iudican
do, nel senso in cui questa corte in precedenti sentenze (cfr.
sent. 289 del 1974, 70 del 1985; ord. 77 e 98, id., 1982, I, 1521
e 1492; 244, 245, 246 del 1988, id., Rep. 1988, voce Corte costi
tuzionale, n. 33) lo ha ritenuto sottratto al proprio giudizio co
me non idoneo a costituire materia di conflitto di attribuzione.
L'errore di cui si discute è consistito, secondo la ricorrente, nel
l'erroneo convincimento che ha indotto la Corte di cassazione
ad esercitare un potere che non le compete, errore cioè che è
caduto sui confini stessi della giurisdizione e non sul concreto
esercizio di essa. Ed è proprio l'esercizio di tale potere di disap
plicazione delle leggi che costituisce l'oggetto del presente con
flitto. 3.2. - Quanto al punto se venga o meno in discussione una
menomazione di una competenza costituzionalmente attribuita
alla regione, non può esservi dubbio che la prospettata disappli
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
cazione di leggi regionali, sia sotto il profilo di una loro equipa razione ad atti amministrativi, sia in quanto ritenute costituzio
nalmente illegittime, violi, ove accertata, le invocate norme co
stituzionali e incida, in particolare, sulla competenza legislativa
garantita alla regione dall'art. 117, 1° comma. Né ha pregio
l'argomento addotto dall'avvocatura dello Stato secondo cui gli effetti della sentenza sarebbero limitati all'oggetto del giudizio, cosi che la legge regionale continuerebbe integra a spiegare la
sua efficacia in via generale: l'efficacia della legge sta proprio
nell'obbligo del giudice di applicarla nel caso concreto che gli è sottoposto. La disapplicazione della legge anche in un solo
caso — come esattamente osserva la difesa della regione — vie
ne a negarne l'intrinseca natura, e costituisce pertanto una le
sione del potere legislativo regionale. 4. - Accertata l'ammissibilità del conflitto, il collegio deve
ora procedere all'esame della sentenza che vi ha dato origine.
L'imputato ha proposto ricorso per cassazione contro la senten
za della Corte d'appello di Bologna precedentemente citata, so
stenendo l'insussistenza del reato, essenzialmente perché «le im
prese agricole in base alla delibera 8 maggio 1980 del comitato
interministeriale e alle leggi reg. Emilia-Romagna 7/83, 23 mar
zo 1984 n. 13 e n. 42/86 sono insediamenti civili, come tali
non soggetti alle sanzioni penali stabilite dall'art. 21 della legge
statale 319/76 . . .».
4.1. - La decisione, dopo aver premesso che «il ricorso è in
fondato e deve, perciò, essere rigettato con le conseguenze di
legge», si sofferma prima sulla questione «della natura dell'in
sediamento (civile o produttivo) delle imprese agricole di alleva
mento» alla stregua dell'orientamento sviluppato in precedenti
pronunce della Corte di cassazione. Enunciata diffusamente «que
sta impostazione generale circa la problematica connessa alle
imprese agricole», la terza sezione penale della Cassazione viene
alle ulteriori precisazioni che rappresentano in effetti l'esame
del vero motivo dedotto nel ricorso, vale a dire la mancata ap
plicazione delle leggi regionali sopra indicate, il cui precetto ri
produce il contenuto della deliberazione 8 maggio 1980 del co
mitato interministeriale. A tale proposito, dopo aver richiamato
l'affermazione di una precedente sentenza (sez. Ili 10 dicembre
1985) secondo cui «la delibera 8 maggio 1980 del comitato in
terministeriale non può vincolare il giudice . . . perché le sue
statuizioni sono state emanate senza una preventiva determina
zione dei principi e criteri direttivi nella 1. n. 650 del 1979», la motivazione prosegue testualmente: «Ne consegue che tale
deliberazione non si sottrae al sindacato del giudice ordinario,
ai sensi dell'art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E. Ed anzi,
il giudice penale può disapplicare in base al citato art. 5 anche
la normativa regionale che recepisca tale delibera in modo tale
da vincolare di fatto l'interprete, in sede penale, ai parametri
della delibera (che invece, come si è detto, vengono ritenuti non
vincolanti)».
Appare quindi chiaramente per tabulas che i giudici della Cas
sazione hanno ritenuto di poter disapplicare la normativa regio
nale, nella specie costituita dalla 1. n. 7 del 1983 e dalle succes
sive leggi nn. 13 del 1984 e 42 del 1986 (le quali — prosegue la motivazione — «si muovono nella medesima logica»), trat
tandole alla stregua di un atto amministrativo. Essi hanno dun
que esercitato un potere del tutto abnorme, non previsto nel
nostro ordinamento costituzionale, con palese violazione degli
art. 101, 2° comma, e 117, 1° comma, Cost.
4.2. - Ma la motivazione non si ferma qui: i giudici della
Cassazione si diffondono a dimostrare, citando anche sentenze
di questa corte, che le regioni non possono interferire con pro
prie leggi in materia penale, come tale riservata alla sola legisla
zione statale. A questo punto, gli stessi giudici, anziché perveni
re all'unica conclusione ad essi consentita, quella cioè di solle
vare questione di legittimità costituzionale delle leggi regionali,
hanno tratto da tale argomento un'ulteriore giustificazione per
disapplicare le leggi stesse, in violazione, oltre che degli art.
101 e 117, anche dell'art. 134 Cost., che attribuisce esclusiva
mente alla Corte costituzionale il sindacato di legittimità costi
tuzionale sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge dello Stato
e delle regioni. È appena il caso di aggiungere che ben altra ipotesi è quella
di leggi statali o regionali confliggenti con regolamenti comuni
tari. In tal caso il potere-dovere del giudice di applicare la nor
ma comunitaria anziché quella nazionale (riconosciuto ai giudi
ci dalla sentenza n. 170 del 1984, id., 1984, I, 2062, di questa
Il Foro Italiano — 1991.
corte e dalle successive che hanno confermato e sviluppato tale
giurisprudenza) non si fonda sull'accertamento di una presunta
illegittimità di quest'ultima, bensì sul presupposto che l'orienta
mento comunitario è autonomo e distinto da quello interno,
con la conseguenza che nelle materie previste dal trattato Cee
la normativa regolatrice è quella emanata dalle istituzioni co
munitarie secondo le previsioni del trattato stesso, fermo benin
teso il rispetto dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili della persona umana: di fronte a tale normativa l'ordinamento
interno si ritrae e non è più operante. Tanto precisato, va riaffermato che uno dei principi basilari
del nostro sistema costituzionale è quello per cui i giudici sono
tenuti ad applicare le leggi, e, ove dubitino della loro legittimità
costituzionale, devono adire questa corte che sola può esercitare
tale sindacato, pronunciandosi, ove la questione sia riconosciu
ta fondata, con sentenze aventi efficacia erga omnes. Questo
principio non può soffrire eccezione alcuna.
4.3. - Si deve dunque concludere che nel caso in esame i giu
dici della Cassazione non si sono limitati ad esercitare il loro
potere di verificare quale legge dovesse applicarsi nel caso con
creto e di interpretare la legge stessa, bensì hanno espressamen
te disapplicato leggi regionali, con violazione degli art. 101, 117
e 134 Cost.
5. - Va per ultima esaminata la subordinata istanza avanzata
dalla presidenza del consiglio . L'avvocatura dello Stato eccepi
sce l'illegittimità costituzionale delle leggi della regione Emilia
Romagna nn. 7 del 1983, 13 del 1984 e 42 del 1986, nelle parti
cui si è riferita l'impugnata sentenza della Cassazione, per avere
interferito in materia penale, riservata all'esclusiva competenza
della legge statale: dichiarata l'illegittimità costituzionale delle
suddette norme — sostiene l'avvocatura — il conflitto risulte
rebbe «privo di fondamento».
La questione è inammissibile.
Questa corte è chiamata a decidere se spetta alla Corte di
cassazione disapplicare leggi regionali ritenute illegittime. Ac
certare se tale illegittimità sussista o meno non è strumentale
alla soluzione del conflitto, e la relativa questione risulta, per
tanto, irrilevante (cfr., per un caso analogo, sent. n. 122 del
1976, id., 1976, I, 2344). 6. - Accertato che non spetta alla Corte di cassazione disap
plicare le leggi regionali, la sentenza oggetto del conflitto deve
essere annullata in applicazione degli art. 41 e 38 1. 11 marzo
1953 n. 87.
Non è infatti possibile separare la motivazione dal dispositi
vo, sia perché in linea generale la sentenza costituisce un unico
atto inscindibile, sia perché, nel caso in esame, si tratta di una
sentenza di rigetto di un ricorso per cassazione; perciò, anche
in presenza di autonomi e distinti motivi della decisione, basta
l'accertato vizio di incompetenza nella parte della motivazione
relativa alla disapplicazione delle leggi regionali — che del resto
è quella che principalmente sorregge il dispositivo di rigetto —
a rendere conseguenziale e necessario l'annullamento.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara che non
spetta allo Stato, e per esso alla Corte di cassazione, disapplica re le leggi nn. 7 del 1983, 13 del 1984 e 42 del 1986 della regione
Emilia-Romagna; annulla di conseguenza la sentenza della Cor
te di cassazione, sezione III penale, n. 2734 del 14 novembre -
12 dicembre 1989.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 19 luglio
1991, n. 8055; Pres. Sandulli, Est. Ravagnani, P.M. Scala
(conci, conf.); Valente (Aw. Tentarelli) c. Min. grazia e
giustizia. Cassa Trib. L'Aquila 9 aprile 1988.
CORTE DI CASSAZIONE;
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Competen
za per materia — Detenuti lavoratori — Attività prestata dal
condannato all'interno del carcere — Rapporto di lavoro su
bordinato (Cod. proc. civ., art. 409; 1. 26 luglio 1975 n. 354,
norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle
misure privative e limitative della libertà, art. 20).
L'attività di lavoro svolta dal condannato all'interno della strut
tura carceraria, parimenti alle altre che il detenuto svolge alle
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