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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sentenza 15 aprile 1987, n. 132 (Gazzetta...

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sentenza 15 aprile 1987, n. 132 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 29 aprile 1987, n. 18), Pres. La Pergola, Rel. Ferrari; Di Graziano c. Pezzino. Ord. Trib. Catania 10 ottobre 1980 (G. U. n. 56 del 1981) Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1988), pp. 1089/1090-1099/1100 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23181182 . Accessed: 28/06/2014 08:20 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.188 on Sat, 28 Jun 2014 08:20:54 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 15 aprile 1987, n. 132 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 29 aprile 1987, n. 18),Pres. La Pergola, Rel. Ferrari; Di Graziano c. Pezzino. Ord. Trib. Catania 10 ottobre 1980 (G. U.n. 56 del 1981)Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 1089/1090-1099/1100Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181182 .

Accessed: 28/06/2014 08:20

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

to, la mancata previsione, da parte dell'art. 41 bis c.p.p., di un

analogo spostamento di competenza, contrasterebbe con gli art.

3, 97 e 101 Cost.; considerato che questa corte, con sentenza 30 luglio 1984, n.

232 (id., 1984, I, 2656) ha ritenuto che le situazioni nelle quali

può sorgere il dubbio che, a causa di rapporti interpersonali di

vario genere, potrebbe verificarsi una turbativa della serenità e

imparzialità dei giudici, sono molteplici, ma rientra nell'esclusiva

competenza del legislatore statuire se ed in quale misura i rappor ti che, nell'ambito dell'organizzazione giudiziaria, si creano tra

organi e tra singoli debbano influire sulla determinazione della

competenza e quali siano le soluzioni più idonee a garantire l'in

dipendenza nel giudizio e il prestigio della magistratura;

che, pertanto, il giudice a quo, con riferimento all'ipotesi in

cui un magistrato del tribunale competente a giudicare per terri

torio assuma la veste di soggetto danneggiato dal reato, chiede

una sentenza additiva, la quale implica scelte riservate alla discre

zionalità del legislatore;

che, come è stato già ritenuto con la citata sentenza n. 232

del 1984 riguardo all'esclusione di spostamenti di competenza per i reati commessi da pretori o vice pretori o in loro danno, simili

questioni sono inammissibili e non vi è ragione per discostarsi

da detti giudizi; visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2°

comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte

costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manifesta

inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del

l'art. 41 bis c.p.p., introdotto con la 1. 22 dicembre 1980 n. 879

(«norme sulla connessione e sulla competenza nei procedimenti relativi a magistrati e nei casi di rimessione»), sollevata con l'or

dinanza indicata in epigrafe, in riferimento agli art. 3, 97 e 101

Cost.

questo periodo ha evidentemente collocato al primo posto della gerarchia dei valori quello della eliminazione delle questioni pendenti.

Non si possono nutrire dubbi sulla grande importanza, per la tutela dei diritti dei cittadini costituzionalmente garantiti e, più in generale, per l'efficienza dell'intero sistema, di una rapida decisione delle questioni, cui è presupposto appunto lo smaltimento dell'arretrato, né di quest'ulti mo fine in sé considerato.

In proposito ad esempio non può non essere sottolineata in modo alta mente favorevole l'opera di ripulitura effettuata nei riguardi delle moltis sime questioni di costituzionalità concernenti la materia tributaria, che tenevano conseguentemente sospesi da anni i relativi processi a quibus, accumulate nel corso di un decennio ed alcune delle quali già da molto

tempo decise per l'infondatezza, con riferimento ad altre ordinanze che avevano sollevato gli stessi, identici dubbi di costituzionalità.

Lo stesso si può ripetere, a maggior ragione, con riguardo ai giudizi instaurati in via principale ad iniziativa statale, con i quali, dati i lunghi tempi di decisione e l'efficacia sospensiva del ricorso statale, il governo veniva ad esercitare, di fatto, una sorta di veto all'entrata in vigore della

legge regionale. Una valutazione positiva dello scopo prefissosi dalla corte in questi

ultimi anni, in se e per se considerato, non può però essere disgiunta dalla considerazione dei costi pagati, in vario senso ed in varie direzioni, per il raggiungimento dello stesso, nonché dalla capacità della corte, una volta terminato il periodo di emergenza, di abbandonare certe procedure e soprattutto un certo modo di affrontare e di decidere le questioni di costituzionalità ad essa inviate.

Roberto Romboli

I

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 15 aprile 1987, n. 132

(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 29 aprile 1987, n. 18), Pres. La Pergola, Rei. Ferrari; Di Graziano c. Pezzino. Ord.

Trib. Catania IO ottobre 1980 (G. U. n. 56 del 1981).

Sicilia — Elezioni — Consigliere comunale — Cause di ineleggi bilità — Amministratori, sindaci e revisori di enti dipendenti dalla regione — Questione inammissibile di costituzionalità

(Cost., art. 3, 51; 1. reg. sic. 19 luglio 1979 n. 212, norme

riguardanti l'ente di sviluppo agricolo (Esa), l'istituto regionale della vite e dei vini (Irvv), l'azienda siciliana trasporti (Ast),

Il Foro Italiano — 1988.

l'istituto regionale per il credito alla cooperazione (Ircac), la

cassa regionale per il credito alle imprese artigiane (Crias) e

l'ente acquedotti siciliani (Eas), art. 24; 1. 23 aprile 1981 n.

154, norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle

cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circo

scrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al servi

zio sanitario nazionale, art. 2).

È inammissibile per difetto dì rilevanza nel giudizio a quo 'a que stione di legittimità costituzionale dell'art. 24 l. reg. sic. 14 set

tembre 1979 n. 212, nella parte in cui limita ai comuni con

popolazione superiore ai venticinquemila abitanti l'ineleggibili tà alla carica di consigliere comunale e provinciale degli ammi

nistratori, dei componenti i collegi sindacali e dei revisori dei

conti degli enti pubblici dipendenti dalla regione, espressamen te menzionati nello stesso articolo, in riferimento agli art. 3

e 51 Cost. (1)

II

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 15 aprile 1987, n. 131

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 29 aprile 1987, n. 18); Pres. La Pergola, Rei. Ferrari; Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Azzariti) c. Regione Sicilia (Avv. De Fsha).

Sicilia — Elezioni regionali — Cause di ineleggibilità — Sindaci

e presidenti di amministrazioni provinciali — Cessazione dalle

funzioni — Termini — Questione infondata di costituzionalità

(Cost., art. 51; 1. reg. sic. 22 aprile 1986 n. 20, nuove norme

in materia sanitaria e disposizioni per le unità sanitarie locali.

Modifica alla 1. reg. sic. 20 marzo 1951 n. 29 e successive mo

difiche, art. 19; 1. reg. sic. 24 giugno 1986 n. 31, norme per

l'applicazione nella regione siciliana della 1. 27 dicembre 1985

n. 816, concernente aspettative, permessi e indennità degli am

ministratori locali. Determinazione delle misure dei compensi

per i componenti delle commissioni provinciali di controllo. Nor

me in materia di ineleggibilità e incompatibilità per i consiglieri

comunali, provinciali e di quartiere, art. 20).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20

I. reg. sic. 24 giugno 1986 n. 31, nella parte in cui precisa che

il termine di quindici giorni indicato dall'art. 19 I. reg. 22 apri le 1986 n. 20 per la rimozione delle cause di ineleggibilità a

consigliere regionale nella prima applicazione della legge stessa,

riguarda esclusivamente gli assessori comunali e provinciali, la

cui ineleggibilità è stata introdotta da tale normativa, e non

i sindaci e i presidenti delle amministrazioni provinciali, sotto

posti al regime previsto dalla I. reg. 20 marzo 1951 n. 29, art.

8, in riferimento all'art. 51 Cost. (2)

(1-3, 5) La Corte costituzionale sembra dare l'avvio ad un nuovo corso

giurisprudenziale in materia di rapporti tra le leggi elettorali siciliane e

quelle statali che tende a riflettersi anche sugli schemi intepretativi del 1° comma dell'art. 51 Cost., dalla stessa corte elaborati nel passato e tesi a garantire la massima espansione dell'elettorato passivo.

In precedenza i giudizi di costituzionalità aventi ad oggetto leggi eletto rali siciliane venivano incentrati su due ordini di problemi che la corte aveva ritenuto connessi: la natura della potestà legislativa della Sicilia in materia elettorale, diversamente condizionante — a seconda del suo

configurarsi come primaria o concorrente — la legittimità di deroghe a

quella generica esigenza di uniformità di regolamentazione e di eguaglian za di trattamento in tutto il territorio dello Stato in materia di diritti

politici, che la corte ha costantemente riaffermato, collegandola agli art. 48 e 51 Cost, (su questo punto, da ultimo, in specifico: Corte cost. 24

maggio 1985, n. 162, Foro it., 1986, I, 357; 20 giugno 1984, n. 171, id., 1985, I, 1940, con note di richiami); la riferibilità di queste deroghe a situazioni concernenti categorie di soggetti da considerare come esclusi ve per la regione stessa, oppure diverse se messe a raffronto con quelle presenti nel restante territorio nazionale, e, in ogni caso, per motivi ade

guati e ragionevoli finalizzati alla tutela di un interesse generale (cosi

puntualmente, Corte cost. n. 108 del 26 giugno 1969, id., 1969, 1, 2079), ma tali da non apparire ultronei in riferimento al disposto dei succitati articoli della Costituzione (cfr., da ultimo, Corte cost. 30 gennaio 1985, n. 20, id., 1986, 1, 376).

Del primo problema ora la corte dimostra completo disinteresse, omet

tendo anche di far cenno ai precedenti giurisprudenziali, non sempre uni

formi, e comunque variamente richiamati dalla difesa della regione o dall'avvocatura dello Stato; del secondo offre una prospettazione nuova

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1091 PARTE PRIMA 1092

Ill

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 15 aprile 1987, n. 130

('Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 29 aprile 1987, n. 18); Pres. La Pergola, Rei. Ferrari; Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Azzariti) c. Regione Sicilia (Avv. De Fina).

Sicilia — Elezioni regionali — Ineleggibilità — Assessori di co

muni con popolazione superiore a quarantamila abitanti — Que stione infondata di costituzionalità (Cost., art. 51; 1. 23 aprile 1981 n. 154, art. 4; 1. reg. sic. 22 aprile 1986 n. 20, art. 19).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, 1 ° comma, l. reg. sic. 22 aprile 1986 n. 20, nella parte in cui

prevede l'ineleggibilità, anziché l'incompatibilità, alla carica di

consigliere regionale dei sindaci o assessori di comuni con po

polazione superiore ai quarantamila abitanti, in riferimento al

l'art. 51 Cost. (3)

IV

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 15 aprile 1987, n. 127

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 29 aprile 1987, n. 18); Pres. La Pergola, Rei. Ferrari; Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Azzariti) c. Regione Sicilia (Avv. Virga).

Sicilia — Elezioni — Incompatibilità politiche — Riserva di legge statale — Legislazione regionale — Incostituzionalità (Cost., art. 65; 1. 15 febbraio 1953 n. 60, incompatibilità parlamentari; 1. reg. sic. 19 luglio 1979 n. 212, art. 16).

Sicilia — Elezioni — Ineleggibilità a consigliere provinciale e co

munale — Amministratori, sindaci e revisori di enti dipendenti dalla regione — Difformità dalla normativa statale — Questio ne infondata di costituzionalità (Cost., art. 51; 1. reg. sic. 19

luglio 1979 n. 212, art. 24; 1. 23 aprile 1981 n. 154, art. 3).

È illegittimo, per violazione dell'art. 65 Cost., l'art. 16 l. reg. sic. 19 luglio 1979 n. 212, nella parte in cui prevede che i mem

bri del parlamento e i candidati alla carica di deputato e sena

tore non possano ricoprire la carica di amministratori, revisori

o sindaci degli enti dipendenti dalla regione espressamente elen

cati nella legge stessa o delle società cui tali enti partecipano direttamente o tramite società collegate. (4)

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24

I. reg. sic. 19 luglio 1979 n. 212, nella parte in cui, a differenza di quanto disposto dalla normativa statale, prevede l'ineleggi bilità degli amministratori nonché dei componenti i collegi sin

dacali e dei revisori degli enti pubblici espressamente indicati

nella legge, alla carica di consigliere provinciale o di consigliere di comuni con popolazione superiore a venticinquemila abitan

ti, in riferimento all'art. 51 Cost. (5)

che tende a ribaltare la più recente interpretazione dell'art. 51 Cost. Tale

rivolgimento di impostazione peraltro non si manifesta in modo esplicito, attraverso le affermazioni contenute in motivazione — che sembrano al contrario ripercorrere le orme già tracciate — ma si ricava dal diverso modo in cui queste sono connesse. Non costituisce infatti di per sé ele mento innovatore il richiamo ripetuto che la corte fa alla situazione loca

le, al clima di clientelismo e di intimidazione, presente nella regione, per giustificare le diverse restrizioni dell'elettorato passivo imposte dalla leg ge elettorale siciliana. Né risulta improprio il riferimento alla ratio dell'i stituto dell'ineleggibilità, correttamente ravvisata nell'esigenza di impedire alterazioni dei risultati elettorali attraverso pressioni psicologiche sugli elettori da parte di chi determinate cariche ricopre. Ciò che ribalta lo schema interpretativo è proprio la mancanza di una connessione tra le due affermazioni che si concretizza nella omissione di una verifica volta ad accertare se le situazioni restrittive dell'elettorato passivo, configurate dal legislatore regionale come di ineleggibilità, siano tali anche sostanzial

mente, pur tenuto conto della situazione locale. È certo infatti che l'am biente siciliano e il diffuso clima di intimidazione che vi regna non può ritenersi rilevante ai fini della limitazione del diritto di libero accesso alle cariche elettive se la situazione configurata come di ineleggibilità non ri sulti ancorata a posizioni che conferiscono una particolare autorità e quindi un potere di intimidazione e di pressione psicologica. Rimettersi alla defi nizione che il legislatore fornisce di queste situazioni senza procedere ad autonoma verifica, conduce a soluzioni contrastanti con quel rigore con cettuale cosi faticosamente conquistato in materia di ineleggibilità e di

incompatibilità e che ha contribuito al rinnovo della legislazione sta

II Foro Italiano — 1988.

I

Diritto. — 1. - Il consiglio comunale di Catania, con delibera

zione in data 4 luglio 1980, convalidava la elezione di tal Pezzino

Giovanni, che nella consultazione elettorale dell'8 giugno era ri

sultato eletto consigliere di quel comune. Ma poiché il Pezzino

non si era tempestivamente dimesso dalla carica di componente il consiglio d'amministrazione dell'Esa (ente di sviluppo agrico

lo), la suddetta deliberazione di convalida veniva impugnata in

sede giurisdizionale da un elettore sulla base dell'art. 24 1. reg. sic. 14 settembre 1979 n. 212, a sensi del quale «gli amministrato

tale prima, con la 1. 23 aprile 1981 n. 156 e di quella regionale, dopo, con la 1. reg. Sicilia 24 giugno 1986 n. 31. Si viene difatti ad annullare la valenza della distinzione nozionale tra ineleggibilità ed incompatibilità, il cui fattore discriminante è ricondotto esclusivamente alla diversa disci

plina imposta dal legislatore alle due figure giuridiche e quindi agli effetti che questa comporta. Conclusione certamente in contrasto con il prece dente orientamento giurisprudenziale.

E di questo la corte sembra essere consapevole quando valuta non ul

tronea, con riferimento all'art. 51 Cost., la restrizione imposta dal legis latore siciliano all'elettorato passivo a seguito della classificazione di una situazione come di ineleggibilità, anziché di incompatibilità — come ha statuito la normativa statale — in considerazione del fatto che «fermo restando il comune ed accomunante principio del divieto del cumulo di cariche pubbliche, il legislatore regionale si discosta da quello statale per il fatto che l'uno considera quel principio causa ostativa alla candidatura — ma pur sempre rimovibile con le tempestive dimissioni — l'altro lo considera causa ostativa all'investitura». Dopo gli sforzi degli anni scorsi i contorni delle due categorie delle ineleggibilità e delle incompatibilità tornano a sfumarsi: certamente un salto indietro rispetto al passato!

D'altra parte la difficoltà della corte a muoversi secondo questa nuova

impostazione traspare anche dal disagio che tuttavia essa rivela nel pre scindere da qualsiasi preoccupazione riguardo alla riferibilità delle singole cause ostative sottoposte al suo esame alla categoria delle ineleggibilità. La corte infatti, pur non volendo affrontare specificamente la questione, è indotta a considerarle come «di per sé» di ineleggibilità, cioè intrinseca mente volte a realizzare forme di intimidazione e di clientelismi. Ma a

parte la sua categoricità, la precisazione appare comunque troppo sempli cistica e facilmente contestabile dopo un esame attento delle singole fatti

specie in oggetto. Difficilmente, ad esempio, si può sostenere che la carica di amministratore, ed ancor più quella di revisore contabile di alcuni enti

dipendenti dalla regione Sicilia — non di tutti, ma solamente di quelli tassativamente indicati dal legislatore, peraltro senza alcun criterio omo

geneo — conferisca a chi la ricopre una maggiore autorità e quindi un

potere di coartare indebitamente la volontà degli elettori. Ma ancor più difficilmente si può sostenere che queste pressioni siano esercitabili esclu sivamente nei confronti degli elettori iscritti nelle liste dei comuni con

popolazione superiore ai venticinquemila abitanti: non si può non tenere conto del fatto che gli enti in questione svolgono la loro attività su tutto il territorio della regione e che pertanto anche gli elettori dei comuni meno popolati potrebbero subire indebite influenze. Con maggiore fon

datezza, tenuto conto di queste stesse considerazioni, si può invece inqua drare la medesima fattispecie nella categoria delle incompatibilità, cioè di quegli impedimenti tesi a soddisfare l'esigenza di buon andamento ed efficienza della p.a., impedendo un contemporaneo svolgimento di fun zioni tra loro inconciliabili o perché comportano un contrasto di interessi o per materiale impossibilità della loro congiunta esplicazione. In questi termini la restrizione dell'elettorato passivo appare allora giustificabile e non ultronea e ben può risultare limitata ai comuni più popolati, i

quali impongono agli amministratori una presenza più costante ed assi dua. Ed era probabilmente questo l'intento del legislatore regionale quan do aveva introdotto tale normativa nell'ordinamento siciliano. Intento certamente perseguito in modo ultroneo per effetto di quella confusione

terminologica e nozionale che in passato caratterizzava la legislazione elet torale sia statale che regionale.

Negli stessi termini, ma con riferimento ad altra fattispecie sottoposta al giudizio della corte, non si può ragionevolmente giustificare l'ineleggi bilità a consigliere regionale dei sindaci o degli assessori dei comuni con

popolazione superiore ai quarantamila abitanti o che siano capoluogo di provincia. Anche non tenendo conto del fatto che queste cariche, sen za alcuna limitazione per i comuni più popolati, sono state considerate come motivo di semplice incompatibilità dal legislatore statale nell'art. 4 1. 23 aprile 1981 n. 154, ed anche facendo espresso riferimento alla situazione ambientale della Sicilia, la restrizione appare comunque ultro nea e irrazionale. Ammesso che la carica di sindaco e di assessore in Sicilia conferisca a chi la ricopre un potere di esercitare intimidazioni e pressioni psicologiche sugli elettori, non si capisce come questa influen za possa rimaner limitata ai comuni più popolati. Non serve certo come

giustificazione la considerazione che, in relazione al sistema elettorale per l'elezione dei consiglieri regionali e alla dimensione delle circoscrizioni elet

torali, in un caso la pressione si può esercitare sulla totalità o su buona

parte del corpo elettorale, nell'altro caso su una parte limitata di questo (per

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ri . . . dell'Esa. . . non sono eleggibili a consiglieri. . . comunali

di comuni con popolazione superiore a 25 mila abitanti ove non

cessino dalle. . . funzioni almeno novanta giorni prima del com

pimento del quinquennio dalla data delle precedenti elezioni co

munali. . .».

L'adito Tribunale di Catania, dopo avere osservato che «in

materia di elettorato passivo per gli enti locali» «la regione sici

liana può prevedere. . . cause di ineleggibilità» «nuove e diverse»

da quelle stabilite dal legislatore statale, solo se giustificate e ra

zionali, ha lamentato in particolare che il legislatore regionale abbia disposto l'ineleggibilità in oggetto limitatamente ai comuni

la inconsistenza di questa argomentazione, di recente, v. Corte cost. n. 59 del 1985, id., 1986, I, 636). Anche in tale ipotesi la distinzione operata dal legislatore tra comuni più popolati e comuni meno popolati sembra

palesare l'intento di impedire un cumulo di cariche tra loro non compati bili per l'impegno che comportano.

A queste stesse conclusioni, soprattutto con riferimento alla prima ipo tesi sopra esaminata, la corte sarebbe potuta giungere anche attraverso

l'esame dell'evoluzione subita dalla normativa regionale rispetto a quella analoga dello Stato. Dallo sviluppo dei due regimi elettorali emerge chia

ramente infatti come la diversa soluzione accolta dal legislatore siciliano non sia frutto di meditate scelte, condizionate da esigenze puramente lo

cali, ma appaia piuttosto effetto della sfasatura tra l'opera di aggiorna mento che ha subito la legislazione statale e quella ben successiva imposta alla normativa siciliana. Merita ricordare che in origine quest'ultima era stata impostata sulla base di quella statale, alla cui modifica, successiva

mente, ha fatto sempre seguito, anche se in tempi più o meno ravvicinati,

l'adeguamento dell'altra (per un'ampia ricostruzione dello sviluppo della

legislazione elettorale siciliana si rinvia a Corte cost. 24 maggio 1985, n. 162, ibid., 357, con nota di richiami, in cui si sottolinea l'importante ruolo che ha svolto la giurisprudenza costituzionale). Più di recente, do

po la 1. statale 23 aprile 1981 n. 154, che ha introdotto sostanziali modifi

che alla disciplina delle ineleggibilità ed incompatibilità amministrative,

questo adeguamento è intervenuto con notevole ritardo: solo cinque anni

dopo, con la 1. reg. 24 giugno 1986 n. 31. È pertanto questo ritardo

che ha provocato alcune delle disparità sottoposte all'esame della corte

ed è con riferimento a questa vicenda che il supremo giudice delle leggi avrebbe dovuto affrontare il problema. In questa prospettazione allora

poteva anche ed anzi doveva essere richiamata la nuova disciplina regio nale, che al contrario è stata del tutto ignorata dalla corte (per un richia

mo a tale normativa, cfr. Corte cost., ord. 15 aprile 1987, n. 134, in

questo fascicolo, che ha restituito gli atti al giudice a quo per una rivalu

tazione della rilevanza in seguito all'entrata in vigore del nuovo regime). In tale normativa, in cui sono stati puntualmente ricalcati gli schemi in

novatori introdotti dal legislatore statale, anche se limitatamente alle ele

zioni comunali e provinciali — in materia di elezioni regionali la Sicilia

si è riservata un'ampia autonomia legislativa, in ciò incoraggiata dalla

stessa corte che proprio di recente aveva operato una discutibile scissione

tra l'autonomia legislativa in materia di elezioni regionali e quella relativa

alle elezioni comunali e provinciali, ritenuta circoscritta in confini più

rigorosi e ristretti: in tal senso Corte cost. 30 gennaio 1985, n. 20, Foro

it., 1986, I, 376 — gli amministratori e i revisori di enti dipendenti dalla

regione non incontrano più alcuna restrizione di tipo elettorale né sotto

il profilo della ineleggibilità a consigliere comunale e provinciale né sotto

quello della imcompatibilità. Ciò avrebbe dovuto far riflettere la corte!

Sulla potestà legislativa della Sicilia in materia elettorale, cfr. da ulti

mo Anzon, Leggi regionali e principio di uguaglianza, in Giur. costit.,

1985, I, 58; Mor, Le elezioni regionali siciliane: giudice «a quo», ineleg gibilità ed incompatibilità, trasparenza della votazione, in Regioni, 1984,

1247; Sulle elezioni in generale Santella, Elezioni, voce del Dizionario am

ministrativo, a cura di Guarino, Milano, 1985, I, 829. Per riferimenti

più specifici alla legislazione regionale e alla giurisprudenza della Corte

costituzionale, Mor, Elezioni, voce dell 'Annuario 1987 delle autonomie

locali, 181. Sulle ineleggibilità ed incompatibilità amministrative da ultimo Alber

ti, Ineleggibilità amministrative e principi costituzionali, Milano, 1984;

Messerini, Eleggibilità e sistema democratico, Milano, 1984; Militerni

Saporito, La nuova legge elettorale. Ineleggibilità, incompatibilità, deca

denza, Napoli, 1982; Davoli, Le nuove norme sulle ineleggibilità ed in

compatibilità, Roma, 1982.

(5) La Corte costituzionale si adegua all'orientamento già tracciato in

precedenza: in specifico, cfr. Corte cost. 10 giugno 1966, n. 60, Foro

it., 1966, I, 1837, in cui si è riconosciuta non conforme a Costituzione

la legge regionale del Trentino Alto-Adige che statuiva il divieto di cumu

lo tra la carica di parlamentare e quella di consigliere comunale. Ora,

peraltro, appare ribadita in termini più decisi rispetto al passato la riserva

di legge statale in materia di incompatibilità e di ineleggibilità politiche. In dottrina da ultimo sull'argomento: Midiri, in Commentario alla Co

stituzione a cura di Branca, Bologna-Roma, 1986, 63 ss., sub art. 66.

In generale sulle ineleggibilità e sulle incompatibilità politiche, cfr. Di

Ciò lo, Incompatibilità e ineleggibilità parlamentari, voce dell'Enciclope dia del diritto, Milano, 1975, XX, 41 ss. [V. Messerini]

Il Foro Italiano — 1988.

con popolazione superiore a 25 mila abitanti, creando cosi «tra

le due categorie di comuni» una discriminazione, che «non appa re suffragata da razionale giustificazione». E poiché — prosegue l'ordinanza — «nei comuni con minore popolazione la captatio benevolentiae può manifestarsi con maggiore intensità, attesa la

possibilità di più diretti e frequenti contatti con la base elettora

le», il giudice a quo ha denunciato a questa corte, per sospetta violazione degli art. 51 e 3 Cost., l'art. 24 della menzionata 1.

reg. n. 212 del 1979 nella parte in cui distingue i comuni, ai fini

dell'eleggibilità degli amministratori in discorso, secondo che ab

biano una popolazione superiore o inferiore ai 25.000 abitanti.

2. - La questione, posta nei termini surriportati, va dichiarata

inammissibile.

Oggetto della doglianza del ricorrente era il fatto che il Pezzino

non si fosse dimesso dalla carica di amministratore dell'Esa, pre vista dall'art. 24 come causa di ineleggibilità, nel termine ivi sta

bilito. Il Tribunale di Catania, viceversa, lamentando che

l'ineleggibilità è stata stabilita solo nei confronti dei comuni con

popolazione superiore ai 25.000 abitanti, in sostanza chiede a que sta corte di volere estendere la ineleggibilità anche rispetto ai co

muni con popolazione inferiore. Ma, poiché il resistente risulta

essere stato eletto in un comune con popolazione superiore a 25.000

abitanti, quale è quello di Catania, è di tutta evidenza che il giu dice a quo ha impugnato una disposizione che non rileva ai fini

del decidere la controversia della quale era stato investito.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'inammissi

bilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, 1°

comma, 1. reg. sic. 14 settembre 1979 n. 212, sollevata in riferi

mento agli art. 51 e 3 Cost, dal Tribunale di Catania con l'ordi

nanza in epigrafe.

II

Diritto. — 1. - L'art. 8, 1° comma, n. 4, 1. reg. sic. 20 marzo

1951 n. 29 («elezione dei deputati all'assemblea regionale sicilia

na») prevedeva l'ineleggibilità dei sindaci dei comuni capoluoghi di circoscrizione elettorale o con popolazione superiore a 40.000

abitanti, salvo che cessassero effettivamente dalle funzioni «al

meno novanta giorni prima della data del decreto di convocazio

ne dei comizi elettorali». Con la 1. 22 aprile 1986 n. 20, il termine

di decorrenza della cessazione dalle funzioni — lasciato invariato

dalla precedente 1. 18 febbraio 1958 n. 6 — è stato raddoppiato, mentre l'ineleggibilità, già estesa (con l'art. 1, cpv., 1. reg. n.

6 del 1958) ai presidenti delle amministrazioni provinciali, veniva

ulterioremente ampliata (con l'art. 19, 1° comma, 1. reg. n. 20

del 1986) sino a comprendervi gli assessori dei comuni e delle

province. L'art. 19, infatti, dispose (1° comma) che l'effettiva

cessazione dalle funzioni deve verificarsi «almeno centottanta giorni

prima del compimento di un quinquennio dalla data della prece

dente elezione regionale», aggiungendo peraltro una norma tran

sitoria (2° comma), ai sensi della quale «nella prima applicazione» la suddetta cessazione dalle funzioni «deve aver luogo entro quin dici giorni dall'entrata in vigore della presente legge». Ma poco

più di due mesi dopo l'emanazione di tale legge, e precisamente nella seduta del 23 aprile 1986, l'assemblea regionale approvava un disegno di legge — recante, fra l'altro, «norme in materia

di ineleggibilità e incompatibilità per i consiglieri comunali, pro

vinciali e di quartiere» — col quale rielaborava la predetta norma

transitoria, disponendo all'art. 20 che questa «deve intendersi nel

senso che la cessazione dalle funzioni ivi previste riguarda esclusi

vamente gli assessori comunali e provinciali, mentre per i sindaci

ed i presidenti delle amministrazioni provinciali la cessazione dal

le funzioni deve aver luogo entro i termini previsti dall'art. 8

1. reg. 20 marzo 1951 n. 29 nel testo precedente alla sostituzione

operata con l'art. 19 1. reg. 22 aprile 1986 n. 20».

1.1. - Il commissario dello Stato per la regione impugnava il

surriportato art. 20 per violazione dell'art. 51 Cost. A suo avvi

so, infatti, dalla nuova disposizione discendeva che quei sindaci

ed i presidenti delle province dovevano dimettersi «almeno no

vanta giorni prima». E poiché «il quinquennio dalla data della

precedente consultazione elettorale andrà a scadere il prossimo

21 giugno 1986, sicché è già da ora chiaramente superato il termi

ne di novanta giorni prima del quale i sindaci e i presidenti delle

amministrazioni provinciali avrebbero dovuto cessare dalle rispet

tive funzioni», «la disposizione regionale de qua non ha altra

conseguenza, dunque, se non quella di precludere ai predetti sog

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1095 PARTE PRIMA 1096

getti la possibilità di candidarsi alle prossime elezioni regionali». Nonostante l'impugnativa, tuttavia, il presidente della regione pro

mulgava egualmente il disegno di legge — ivi compreso l'impu

gnato art. 20 —, che diveniva così la 1. 24 giugno 1986 n. 31.

2. - La questione si risolve sulla base dei dati temporali. La

1. reg. sic. n. 20 del 1986, che ribadisce l'ineleggibilità a deputato

dell'assemblea regionale dei sindaci dei comuni capoluoghi di cir

coscrizione o con popolazione superiore ai 40.000 abitanti e dei

presidenti delle amministrazioni provinciali, dispone che la sud

detta ineleggibilità può essere fatta venir meno con la effettiva

cessazione dalle suindicate cariche «almeno centottanta giorni pri ma del compimento di un quinquennio dalla precedente elezione

regionale». Essendo tale legge entrata in vigore il 22 aprile 1986,

è di tutta evidenza che, anteriormente a tale data, trovava appli

cazione la precedente 1. n. 6 del 1958, che aveva esteso l'ineleggi bilità ai presidenti delle amministrazioni provinciali, novellando

così la 1. n. 29 del 1951. Ora, ai sensi delle precitate leggi del

1951 e 1958, la cessazione dalle funzioni doveva verificarsi «no

vanta giorni prima del compimento» della legislatura. Ne conse

gue che i suddetti sindaci e presidenti delle amministrazioni

provinciali, per rimuovere la causa di ineleggibilità in esame, avreb

bero dovuto cessare dalle loro cariche novanta giorni prima del

21 giugno 1986, non potendosi negare la vigenza, nel mese di

marzo 1986, della 1. n. 6 del 1958. Se essi non hanno provveduto a dimettersi entro tale ultima data — cioè entro i novanta giorni

prescritti, che costituiscono termine di decadenza —, devono im

putare a se stessi, non già al legislatore, la perdita della possibili tà di candidarsi alle elezioni regionali fissate per il 22 giugno con

il decreto 7 maggio di indizione dei comizi elettorali. Diversa

mente opinando, dovrebbe ritenersi che l'art. 19 1. 22 aprile 1986

n. 20 avrebbe disposto una rimessione in termini a favore di quei sindaci e presidenti di amministrazioni provinciali che non hanno

osservato la legge che li riguardava; ma di tale rimessione in ter

mini, peraltro priva di giustificazione, non si rinviene alcun indi

zio nella menzionata 1. n. 20 del 1986.

L'ineleggibilità di cui trattasi, già prevista sin dal 1951 e 1958

per i suddetti sindaci e presidenti delle amministrazioni provin

ciali, è stata, viceversa, disposta per la prima volta nei confronti

degli assessori dei medesimi enti proprio con la 1. 22 aprile 1986

n. 20, cioè quindici giorni prima dell'indizione dei comizi eletto

rali e due mesi prima delle elezioni. Non potendosi conseguente mente a riguardo di tali assessori far richiamo ad alcuna legge, il legislatore siciliano ha stabilito, in via eccettiva e transitoria,

che essi potevano candidarsi per l'elezione a deputato regionale, cessando dalle funzioni «entro quindici giorni dall'entrata in vi

gore» della legge che ne disponeva l'ineleggibilità. Un termine

doveva essere fissato solo per gli assessori, in quanto solo allora

compresi nella categoria degli ineleggibili, e questo è il significato

della locuzione «nella prima applicazione», che non avrebbe sen

so, se riferita anche ai capi degli enti territoriali in oggetto, per i quali il termine di novanta giorni era già previsto da una legge

pienamente in vigore. Non è agevole ravvisare la ragione per cui

si sarebbe dovuto applicare a questi ultimi la norma derogatoria e transitoria, dettata a favore degli assessori, cioè per consentire

loro, «nella prima applicazione» della legge, l'esercizio del diritto

di elettorato passivo, dal quale altrimenti sarebbero rimasti esclu

si in forza della regola generale. Inoltre, la contraria opinione risulta inaccettabile anche perché constrastante con quella linea

di rigore — recentemente adottata dal legislatore siciliano in ma

teria — , su cui questa corte ha già avuto occasione di pronun

ciarsi, (sentenza n. 130 del 1987, Foro it., 1988, I, 1091). Le considerazioni che precedono portano a riconoscere la legit

timità costituzionale dell'impugnato art. 20 1. reg. n. 31 del 1986, il quale ha correttamente ricostruito la disciplina delle ineleggibi lità di che trattasi, precisando quanto era già desumibile dall'art.

19 1. n. 20 del 1986, cioè che i sindaci ed i presidenti delle ammi

nistrazioni provinciali ivi previsti dovevano cessare dalle loro ca

riche in osservanza del termine stabilito con la 1. n. 6 del 1958.

Non configurandosi pertanto l'«abnorme violazione del disposto dell'art. 51 Cost.» denunciata dal commissario dello Stato, il ri

corso va rigettato. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata

la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 1. reg. sic.

24 giugno 1986 n. 31 («norme per l'applicazione nella regione siciliana della 1. 27 dicembre 1985 n. 816), concernente aspettati

ve, permessi e indennità degli amministratori locali. Determina

zione delle misure dei compensi per i componenti delle commissioni

Il Foro Italiano — 1988.

provinciali di controllo. Norme in materia di ineleggibilità e in

compatibilità per i consiglieri comunali, provinciali e di quartie

re»), sollevata in riferimento all'art. 51 Cost., dal commissario

dello Stato per la regione siciliana con ricorso 30 aprile 1986 (reg. ric. n. 15/86).

Ili

Diritto. — 1. - Nell'esercizio del potere, riconosciutole dallo

statuto, di dettare la normativa elettorale relativamente agli enti

territoriali, l'assemblea regionale sicialiana ha compiutamente di

sciplinato l'elezione dei propri componenti. Per quanto attiene

specificatamente alle cause di ineleggibilità, dopo avere, fra l'al

tro, dichiarato ineleggibili nel 1951 (art. 8, 1° comma, n. 4, 1.

30 marzo 1951 n. 29) «i sindaci dei comuni capoluoghi di circo

scrizione elettorale e con popolazione superiore a 40.000 abitan

ti» e nel 1958 (art. 1, 2° comma, 1. 18 febbraio 1958 n. 6) anche

i presidenti «delle amministrazioni straordinarie dei soppressi enti

autarchici provinciali», ha successivamente — con l'art. 19, 1°

comma, 1. 22 aprile 1986 n. 20 — esteso la suddetta ineleggibilità

agli «assessori» dei suddetti comuni e delle suddette «ammini

strazioni straordinarie delle province». 1.1. - Avverso tale ultima innovazione ha proposto tempestivo

ricorso il commissario dello Stato per la regione siciliana, denun

ciando l'illegittimità costituzionale del precitato art. 19, 1° com

ma, 1. reg. n. 20 del 1986 in riferimento all'art. 51, 1° comma,

Cost. Assumendo, infatti, come tertium comparationis la 1. stata

le 23 aprile 1981 n. 154 — e precisamente l'art. 4, 1° comma,

che considera quanti rivestono le cariche di sindaco, presidente ed assessore di amministrazioni comunali e provinciali non più

ineleggibili, ma semplicemente incompatibili con la carica di con

sigliere regionale —, lamenta che, mentre l'art. 51 Cost, «garan tisce a tutti i cittadini l'accesso ai pubblici uffici ed alle cariche

elettive in condizioni di eguaglianza», il legislatore regionale sici

liano riserva ai suddetti amministratori locali un trattamento di

verso e deteriore, ai fini dell'elettorato passivo, rispetto a quello

che il legislatore statale riconosce agli omologhi amministratori

delle altre regioni. Invero — osserva il ricorrente — per costante

giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 171 del 1984,

Foro it., 1984, I, 1940, ma, prima ancora, sentenze n. 129 del

1975, id., 1975, I, 2178; 45 e 129 del 1977, id., 1977, I, 533

e 2393) la potestà legislativa della regione siciliana in materia elet

torale deve rispettare i principi deducibili dalla legislazione stata

le, cui può derogarsi solo «in presenza di situazioni. . .» che siano

esclusive per la Sicilia o di «motivi adeguati e ragionevoli finaliz

zati alla tutela di un interesse generale». E poiché in conseguenza della summenzionata legge statale — cosi conclude il commissa

rio dello Stato — «di quanto si è ridotta la sfera della ineleggibi lità di tanto si è dilatata quella della incompatibilità», «la

disposizione de qua» «si discosta, dunque, sostanzialmente dalla

richiamata disciplina statuale senza che ciò sia giustificato dalla

sussistenza dei richiamati presupposti obiettivi indicati» dalla corte

nelle ricordate sentenze.

1.2. - Al ricorso in esame ha resistito la regione siciliana, la

quale ha contestato la fondatezza delle ragioni ivi addotte, po nendo preliminarmente in evidenza che ineleggibilità ed incompa tibilità non sacrificano il diritto costituzionale di libero accesso

alle cariche pubbliche, in quanto tale diritto è «incondizionata

mente garantito dalla dismissione della carica di provenienza» e

che sino al 1981 legislazione statale e regionale coincidevano sul

punto. Dopo di che, ha testualmente ed energicamente sottoli

neato, sia nelle deduzioni scritte, sia alla pubblica udienza, che

il legislatore regionale non ha anch'esso convertito la denunciata

ineleggibilità in incompatibilità, non certo per «discostarsi dai prin

cipi cui si informa» il legislatore statale, ma perché, in base al

«realistico apprezzamento dello specifico ambiente» «in cui le ele

zioni si celebrano» e delle «peculiarità storiche, culturali, di tra

dizione e di costume» di quell'ambiente, «ha considerato rischioso,

per la libertà e la genuinità delle elezioni in Sicilia» «lasciare in

carica. . . amministratori comunali e provinciali», «quando. . .

fossero impegnati, nell'esercizio delle cariche, ad assicurarsi il fa

vore degli elettori» per conseguire «il seggio di deputato regionale». 2. - Questa corte ha di recente avuto occasione di pronunciarsi

su questione sostanzialmente identica, anche se proposta, pur sem

pre in riferimento al solo art. 51 Cost., ma a riguardo di altra

disposizione — art. 24, 1° comma, 1. reg. sic. 14 settembre 1979

n. 212 — la quale prevede l'ineleggibilità degli amministratori,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

dei sindaci e dei revisori di conti degli enti pubblici siciliani. Con

pronuncia n. 127 del 1987 (id., 1988, I, 1091); infatti, essa ha

già statuito che le sentenze indicate sub 1.1. non precludono alla

regione siciliana di stabilire — o, come nella specie, di conservare — cause di ineleggibilità non previste — o non più previste —

dalla legislazione statale, quando trovino giustificazione in condi

zioni ambientali di tale peculiarità e rilevanza, da indurre il legi slatore statale ad adottare esclusivamente per essa misure volte

ad incidere in quelle condizioni. È questa la corretta interpreta zione dell'anteriore giurisprudenza di questa corte sul punto: ed

invero, ritenere che il potere di legiferazione del legislatore sicilia

no in materia elettorale possa esplicarsi solo mediante il fedele

e puntuale ricalco di ogni singola disposizione legislativa statale — quando, invece, esso è tenuto più propriamente ad attenersi

ai principi della disciplina — equivale a svuotare tale potere della

sua stessa ragion d'essere. E l'eventuale obiezione che la denun

ciata ineleggibilità contraddirebbe comunque allo spirito che ha

animato il legislatore statale, allorché (con la 1. n. 154 del 1981) ne ha operato la conversione in incompatibilità, è resistita dalla

argomentazione che, in fondo, fermo restando il comune ed ac

comunante principio del divieto del cumulo di cariche pubbliche, il legislatore regionale si discosta da quello statale per il fatto

che l'uno considera quel principio causa ostativa alla candidatura — ma pur sempre rimuovibile con le tempestive dimissioni —, l'altro lo considera causa ostativa all'investitura.

Nella specie, poi, è la stessa regione a segnalare, nella prospet tazione più sopra testualmente trascritta, la «presenza di situazio

ni. . . esclusive per la Sicilia» e di «motivi. . . finalizzati alla tutela

di un interesse generale». Le argomentazioni ivi allegate appaio no tanto inconfutabili e convincenti, da destituire di fondamento

la censura formulata dal commissario dello Stato. Poggiate come

sono sulle particolari condizioni dell'ambiente — ma anche del

momento — e sulle particolari iniziative che conseguentemente a loro riguardo il potere centrale ha determinato di assumere, esse offrono una motivazione, che l'esperienza impedisce di di

sattendere, inducendo a negare che sussista la dedotta illegittimi tà. Ma vale aggiungere altresì che le suesposte rilevazioni danno

evidenza all'unilateralità dell'impugnazione: si denuncia, infatti,

l'ineguaglianza degli amministratori locali della regione siciliana

rispetto a quelli delle altre regioni e si ignora, viceversa, l'inegua

glianza, ben più concreta, fra i primi e gli altri candidati all'as

semblea regionale. E a ben vedere, la disposizione asseritamente

viziata di illegittimità costituzionale, mirando a porre in condi

zioni di eguaglianza tutti gli aspiranti alla carica elettiva di depu tato regionale, appare, non già stridere, ma pienamente armonizzarsi con l'art. 51 Cost.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata

la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, 1° comma, 1. reg. sic. 22 aprile 1986 n. 20, («nuove norme in materia sanita

ria e disposizioni per le unita sanitarie locali. Modifica alla 1.

reg. 20 marzo 1951 n. 29 e successive modifiche») proposta in

riferimento all'art. 51, 1° comma, Cost., dal commissario dello

Stato per la regione siciliana con ricorso notificato il 20 marzo

1986.

IV

Diritto. — 1. - In data 19 luglio 1979, l'assemblea regionale siciliana approvava un disegno di legge avente per oggetto «nor

me riguardanti l'ente di sviluppo agricolo (Esa), l'istituto regio nale della vite e del vino (Irvv), l'azienda siciliana trasporti (Ast), l'istituto regionale per il credito alla cooperazione (Crias) e l'ente

acquedotti siciliani (Eas)». Ma il commissario dello Stato presso la regione siciliana, con ricorso notificato il 27 dello stesso mese

di luglio, impugnava, per sospetta violazione degli art. 65 e 51

Cost., gli art. 16 e 24 del suddetto atto normativo, che tuttavia,

in virtù dell'art. 29, cpv., dello statuto siciliano, veniva dal presi dente della regione egualmente promulgato e pubblicato nella sua

interezza — cioè, compresi i due articoli impugnati —, divenendo

cosi la 1. reg. 14 settembre 1979 n. 212.

2. - L'art. 16 di tale legge stabilisce che «i membri del parla > mento e quelli dell'assemblea regionale siciliana, i candidati al

parlamento ed all'assemblea regionale siciliana, i presidenti e gli assessori delle amministrazioni provinciali, i sindaci e gli assesso

ri dei comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti, non

possono ricoprire la carica di amministratori, revisori o sindaci

Il Foro Italiano — 1988.

degli enti di cui alla presente legge e delle società cui gli enti

stessi partecipano direttamente o tramite società collegate. La de

cadenza dalla carica avviene automaticamente al verificarsi della

incompatibilità di cui sopra». Ed «enti di cui alla presente legge» sembrano doversi ritenere anche l'Espi (ente siciliano per la pro mozione industriale), l'Ems (ente minerario siciliano) e l'Azasi

(azienda asfalti siciliani), i quali, benché non compresi nel titolo

della legge, sono tuttavia previsti dall'art. 24.

2.1. - Secondo il commissario dello Stato, la trascritta disposi zione contrasterebbe — beninteso, nella parte riguardante i mem

bri del parlamento ed i candidati ad esso — sia con l'art. 65

Cost., sia con la giurisprudenza di questa corte. L'art. 65 Cost.,

infatti, statuendo nel 1° comma che «la legge determina i casi

di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di deputato o di senatore», va inteso — sostiene il ricorrente — nel senso che

la relativa potestà è riservata alla legge statale. Del resto, al ri

guardo, la Corte costituzionale ha già affermato (sentenza n. 60

del 1966, Foro it., 1966, I, 1837) che «una fonte diversa da quel la statale» non può «vietare il cumulo di due cariche, delle quali una sia quella di membro del parlamento», in quanto «solo allo

Stato spetta la competénza a stabilire casi di incompatibilità con

l'ufficio di deputato o di senatore». Vero è — si legge ancora

nel ricorso — che in ordine agli istituti ed enti pubblici, anche

economici, analoga incompatibilità è prevista dal combinato di

sposto degli art. 7, lett. a), ed 1 1. statale 24 gennaio 1978 n.

14, ma limitatamente alle cariche di presidente e di vice presiden te. Ed è altresì' vero — conclude il commissario dello Stato —

che l'incompatibilità in oggetto era stata già disposta con leggi

regionali anteriori, ma tale constatazione non osterebbe alla pro

posizione del ricorso, giacché la legge di cui si contesta la legitti mità avrebbe operato una «novazione della fonte della disciplina

dell'incompatibilità concernente questi enti».

2.2. - Da parte sua, la regione, intervenuta nel giudizio, ha

eccepito nell'atto di intervento, ribadito nella successiva memoria

ed illustrato nella discussione orale che le norme impugnate col

ricorso de quo sarebbero ripetitive di norme contenute in leggi

precedenti e non impugnate a suo tempo, deducendone che, quindi, lo Stato avrebbe prestato acquiescenza. A parte, poi, la conside

razione che, stante la mancanza del quid novi, non sarebbe nella

specie configurabile l'asserita novazione legislativa, la difesa del

la regione fa rilevare che in ogni caso le anteriori disposizioni rimarrebbero pur sempre in vigore.

3. - La 1. reg. sic. 21 dicembre 1973 n. 50 effettivamente preve deva (art. 21) una incompatibilità del tutto identica a quella de

nunciata, ma solo relativamente all'Azasi, all'Ems, all'Esa ed

all'Espi (non anche, perciò, relativamente agli altri enti indicati

nell'impugnata 1. n. 212 del 1979). Prima ancora, inoltre, l'in

compatibilità era stata, si, prevista relativamente all'Ast (1. reg. 13 marzo 1950 n. 22, art. 7, 1° comma), all'Irvv (1. reg. 16 luglio 1950 n. 64, art. 3, 5° comma, n. 1) ed all'Ircac (1. reg. 7 febbraio

1963 n. 12, art. 15), ma limitata ai membri del parlamento (non anche ai candidati) ed alla carica di membro del consiglio d'am

ministrazione (non anche a quelle di sindaco e di revisore). E

relativamente alla Crias, l'incompatibilità dei parlamentari (non anche dei candidati al parlamento) era stata disposta (1. reg. 27

dicembre 1954 n. 50, art. 8, 1° comma, lett. a) anche per la cari

ca di sindaco, oltre che di amministratore (ma non per quella di revisione). Infine, relativamente all'Eas, l'incompatibilità ri

sulta stabilita per la prima volta proprio con la legge impugnata. La rassegna che precede mostra quanto scarsa aderenza alla realtà

normativa abbia l'eccezione formulata dalla difesa della regione, secondo cui le norme in esame sarebbero meramente ripetitive di

norme anteriori ed induce a negare alla dedotta eccezione valore

preclusivo, dovendosi conseguentemente riconoscere ingresso al ri

corso. Il vero è che la legislazione siciliana non contiene una di

sposizione di carattere generale che preveda — come prevede,

invece, la precitata 1. statale n. 14 del 1978 — l'incompatibilità

per tutti gli enti pubblici, anche economici, avendo preferito sta

bilirla di volta in volta per i singoli enti con distinti atti normativi.

Acquista allora verosimiglianza la congettura che con la legge im

pugnata il legislatore siciliano, in tanto ha preso in considerazione

contestualmente tutti gli enti ivi indicati in quanto intendeva, det

tando per essi una disciplina uniforme, regolare l'intera materia.

4. - Nel merito, questa corte ritiene di dovere confermare l'o

rientamento giurisprudenziale già espresso a riguardo dell'art. 65, 1° comma, Cost, nella ricordata pronuncia, con la quale senten

ziò che spetta solo al legislatore statale — e che, quindi, è preclu

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1099 PARTE PRIMA

so a quello regionale, anche se fornito di potestà legislativa pri maria in materia elettorale — di determinare le cause di incompa

tibilità, oltre che di ineleggibilità, con l'ufficio di deputato o di

senatore. Ne consegue che l'impugnato art. 16 1. reg. sic. n. 212

del 1979 non può sfuggire alla sanzione, di illegittimità costitu

zionale nelle parti in cui ha disposto l'incompatibilità dei membri

del parlamento e dei candidati ad esso con le cariche di ammini

stratore, revisore o sindaco degli enti pubblici contemplati nella

predetta legge. Ed è appena il caso di precisare che, risultando

la suddetta riserva di legge palesamente stabilita per consentire

o vietare — cioè, per disciplinare — le ipotesi di contemporaneo esercizio di due o più cariche (oltre che l'accesso ad esse), la por tata della statuizione costituzionale non si proietta nell'ambito

dell'autonomia privata. 5. - La stessa 1. reg. n. 212 del 1979 stabilisce all'art. 24, 1°

comma, che «gli amministratori e i componenti dei collegi sinda

cali ed i revisori dei conti» di tutti gli enti ivi previsti «non sono

eleggibili a consiglieri provinciali e comunali di comuni con po

polazione superiore a 25.000 abitanti».

Anche a tale disposizione muove censura il commissario dello

Stato, il quale riconosce che la ratio della norma va individuata

nella finalità di impedire l'inquinamento della competizione elet

torale mediante la captatio benevolentiae degli elettori da parte dei candidati che rivestano le suddette cariche nei suddetti enti, ma rileva che nella specie risulterebbe violato l'art. 51 Cost., cioè

il principio di eguaglianza in tema di accesso agli uffici pubblici ed alle cariche elettive. La Corte costituzionale — così argomenta — ebbe a statuire (sentenza n. 108 del 1969, id., 1969, I, 2079) — che la regione siciliana, pur nell'esercizio della potestà legisla tiva primaria spettamele in materia elettorale a riguardo degli en

ti territoriali, non può prevedere cause di ineleggibilità a consigliere comunale e provinciale nuove e diverse da quelle previste dal legis latore statale, salvo che non ricorrano situazioni esclusive per la

Sicilia o motivi adeguati e razionali. Nella specie — conclude il

ricorrente — né il legislatore statale prevede analoga ineleggibili

tà, né ricorrerebbero le suddette situazioni o i suddetti motivi, sicché la deroga alla disciplina stabilita dallo Stato non trovereb

be alcuna giustificazione. 5.1. - È ben vero che, con la summenzionata sentenza, questa

corte ha enunciato che la regione siciliana «non è in condizione

di prevedere nuove o diverse cause di ineleggibilità. . ., se non

in presenza di situazioni concernenti categorie di soggetti, le quali siano esclusive per la Sicilia. . . ed in ogni caso per motivi ade

guati e ragionevoli, e finalizzati alla tutela di un interesse genera le». La testé trascritta enunciazione non va, tuttavia, intesa nel

senso che comporti tale limitazione al legislatore siciliano, da in

terdirgli ogni discrezionalità per quanto attiene all'apprezzamen to delle condizioni ambientali. Lo stesso ricorrente commissario

dello Stato riconosce che l'ineleggibilità in oggetto è stata dispo sta al fine di impedire la formazione di clientele elettorali attra

verso l'uso strumentale delle suddette cariche. Ed allora, se si

pone mente: per un verso, al fatto che tali cariche si prestano di per sé — e nell'esperienza concreta si sono prestate — a dive

nire centri di potere e, quindi, di raccolta di voti; per altro verso, alle particolari misure adottate dal legislatore statale in vari cam

pi nel territorio della regione, la disposta ineleggibilità appare

amalgamarsi con esse e, quindi, sorretta da un'adeguata giustifi cazione.

Per questi motivi, la Corte costituzionale a) dichiara l'illegitti mità costituzionale dell'art. 16 1. reg. sic. 14 settembre 1979 n.

212 («norme riguardanti l'ente di sviluppo agricolo (Esa), l'istitu

to regionale della vite e del vino (Irvv), l'azienda siciliana tra

sporti (Ast), l'istituto regionale per il credito alla cooperazione

(Ircac), la cassa regionale per il credito alle imprese artigiane (Crias) e l'ente acquedotti siciliani (Eas)»), limitatamente alle dizioni «i

membri del parlamento» ed «i candidati al parlamento»; b) di

chiara l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale

dell'art. 24, 1° comma, 1. reg. sic. 14 settembre 1979 n. 212, sollevata in riferimento all'art. 51 Cost, dal commissario dello

Stato per la regione siciliana con ricorso del 26 luglio 1979 (reg. ric. n. 17 del 1979).

Il Foro Italiano — 1988.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 9 aprile 1987, n. 115 (Gaz

zetta ufficiale, la serie speciale, 22 aprile 1987, n. 17); Pres.

La Pergola, Rei. Gallo; imp. Puddu e altri; interv. Pres. cons,

ministri (Avv. dello Stato Azzariti). Ord. Trib. Lanusei 26

novembre 1982 (G. U. n. 198 del 1983); Trib. Sondrio 13 gen naio 1984 (G. U. n. 34 bis del 1985); Trib. Lanusei 28 settem

bre 1984 (G. U. n. 71 bis del 1985); Cass. 6 marzo 1985 (G. U.

n. 41 del 1986); Pret. Ferrara 24 febbraio 1986 (G. U., la s.s., n. 35 del 1986); Trib. Torino 18 dicembre 1985 e 8 aprile 1986

(G. U„ la s.s., n. 35 del 1986).

Reato continuato — Reati giudicati e reati da giudicare — Reati

meno gravi — Cosa giudicata — Reati più gravi — Giudizio — Continuazione — Applicabilità — Questione infondata di

costituzionalità (Cost., art. 3; cod. pen., art. 81; cod. proc.

pen., art. 90).

È infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferi mento all'art. 3 Cost., del combinato disposto degli art. 81,

cpv., c.p. e 90 c.p.p., nella parte in cui non è prevista la possi bilità di effettuare il giudizio di continuazione tra reati meno

gravi, la cui condanna sia passata in giudicato, e reati più gravi in corso di giudizio, posto che le suddette norme consentono

comunque l'applicabilità del cumulo giuridico delle pene anche

nel caso di specie, essendo peraltro l'ordinamento decisamente

orientato a non tenere conto del giudicato ogniqualvolta dalla

sua intangibilità derivi un ingiusto sacrificio di diritti. (1)

(1) La sentenza si segnala perché costituisce l'atteso intervento della Corte costituzionale in merito all'annosa controversia sulla configurabili tà della continuazione tra reati già giudicati con sentenza irrevocabile e reati ancora sub iudice, nel caso in cui i primi siano meno gravi dei se condi. Ed invero, un intervento chiarificatore della Corte costituzionale si imponeva, dato che le oscillazioni della giurisprudenza avevano com

plicato il compito dell'interprete alle prese col coordinamento, già di per sé non semplice, delle disposizioni normative contenute negli art. 81 c.p. e 90 c.p.p. In particolare, mentre l'art. 81 c.p. veniva comunemente ap plicato, allorquando la violazione già giudicata con sentenza irrevocabile fosse quella più grave, le opinioni erano assai divergenti circa l'applicabi lità del cumulo giuridico nel caso inverso. In un primo tempo, invero, sembrava essersi consolidato l'orientamento, secondo il quale il principio dell'intangibilità del giudicato, di cui all'art. 90 c.p.p., non avrebbe con sentito l'applicazione dell'art. 81 nel caso di specie. Secondo tale orienta

mento, sempre più diffuso in seguito ad una pronuncia delle sezioni unite del 1982 (Cass. 19 giugno 1982, Alunni, Foro it., Rep. 1983, voce Reato

continuato, n. 2), l'applicazione dell'aumento di pena sulla base di quella inflitta per la violazione più grave, in base al disposto dell'art. 81 c.p., avrebbe in tal caso travolto il giudicato formatosi sulla violazione meno

grave. Si sosteneva, in tal senso, che, mentre nel caso in cui la violazione

oggetto del giudizio fosse meno grave di quella già giudicata l'applicazio ne dell'art. 81 avrebbe comportato un semplice aumento di pena sulla

base di quella già irrogata, nel caso inverso l'applicazione del cumulo

giuridico avrebbe implicato una revisione della pena irrogata con la sen tenza passata in giudicato, dovendosi calcolare l'aumento sulla base della sanzione da comminare per la violazione oggetto del giudizio in corso

(cfr., tra le altre, Cass. 10 aprile 1984, Mandelli, id., Rep. 1985, voce

cit., n. 37; 1° marzo 1984, Calvaruso, ibid., n. 38; 18 ottobre 1983, Baù, ibid., n. 39; 3 ottobre 1983, Stocco, ibid., n. 40; 15 giugno 1983, Ceresa, id., Rep. 1984, voce cit., n. 36; 18 maggio 1983, De Marinis, ibid., n.

37; 23 marzo 1983, D'Alonzo, ibid., n. 38; 10 marzo 1983, Avena, id., Rep. 1985, voce cit., n. 41).

Senonché, due recenti sentenze della Cassazione, di cui una resa a se zioni unite, hanno adottato una soluzione diametralmente opposta, se condo la quale la disposizione di cui all'art. 90 c.p.p. non impedirebbe l'applicazione dell'art. 81 c.p. anche nel caso in cui la violazione sulla

quale si è formato il giudicato sia la meno grave, poiché l'istituto della continuazione costituirebbe una deroga — e non la sola — al principio dell'intangibilità del giudicato (v. Cass., sez. un., 21 giugno 1986, Nicoli

ni, id., 1987, II, 309, con nota di Ingroia; Cass. 22 luglio 1985, Fissore, id., 1986, II, 342, con nota di richiami. Nello stesso senso, in dottrina:

Zagrebelsky, Reato continuato, Milano, 1976, 187 s.; Coppi, Reato con tinuato e cosa giudicata, Napoli, 1969, 313 s.).

Per converso, da un lato, la sesta sezione della Cassazione si è successi vamente pronunciata ancora per l'inapplicabilità dell'art. 81 c.p., criti cando punto per punto le argomentazioni addotte dalle sezioni unite (v. Cass. 10 ottobre 1986, Di Diodato, Foro it., 1987, II, 309, con nota di Ingroia) e, dall'altro lato, la quarta sezione della Cassazione e diversi

giudici di merito hanno sottoposto la questione al vaglio della Corte co

stituzionale, negando la praticabilità di soluzioni in chiave interpretativa e lamentando quindi una ingiustificata disparità di trattamento tra chi è stato giudicato contemporaneamente per tutti i reati ascrittigli ovvero

prima per il reato più grave e successivamente per quello meno grave

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