sentenza 15 aprile 1987; Pres. ed est. Copani; Chiappetta (Avv. Cesareo) c. Associazioneprovinciale produttori olivicoli (Avv. Chimenti)Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 265/266-271/272Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181052 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di locazione rientrasse pacificamente fra quelli revocabili, la pale se entità del danno potenziale per i creditori, trattandosi di loca
zione commerciale, l'esistenza di presunzioni univoche e
concordanti circa la scìentia decotionis.
Parte convenuta replicava precisando che il contratto di loca
zione non poteva essere revocato trovando la propria precipua
disciplina nell'art. 80 1. fall. (Omissis) Motivi della decisione. — Il collegio ritiene fondata e quindi
meritevole di accoglimento la domanda svolta dal fallimento Mon
tresor.
La controversia ha per oggetto profili di diritto e profili di fatto.
La prima questione che occorre esaminare sotto il profilo logi co è se una qualche fondatezza possieda l'eccezione proposta da
parte convenuta, secondo la quale il contratto di locazione stipu
lato da soggetto poi fallito (nella posizione di locatore) possa es
sere assoggettato ad azione revocatoria.
La questione non è nuova in quanto già dottrina e giurispru denza hanno avuto modo di affrontare questo tema.
Il collegio ritiene che ogni argomentazione debba avere come
momento di riferimento la ratio dell'azione revocatoria fallimen
tare nella ristretta previsione del 2° comma dell'art. 67 1. fall,
posto che la curatela ha introdotto la domanda in tale ambito.
La ratio della norma va individuata nella volontà del legislato re di paralizzare a posteriori l'attività giuridica del debitore, rite
nendo, in base ad una valutazione generale e astratta, che i negozi
compiuti dal fallito abbiano recato pregiudizio alle aspettative della
massa dei creditori, facendo salve le posizioni dei contraenti in
bonis nell'ipotesi della inscientia decotionis, in virtù del principio
della tutela dell'affidamento.
In tale prospettiva tutti i negozi sono revocabili, spettando al
curatore la facoltà di chiedere la pronuncia di inefficacia ogni
qualvolta la massa abbia un interesse alla revocatoria.
Inquadrata la questione sotto il profilo generale, va osservato
che la disciplina sopra indicata non può trovare deroga (come
invece invocato dalla società convenuta) nell'ipotesi del contratto
di locazione stipulato dal fallito in veste di locatore, solo perché
l'art. 80 1. fall, illustra in che modo il contratto prosegue una
volta intervenuto il fallimento.
La dottrina ha evidenziato come il subentro nella locazione da
parte del curatore, non è preveduto a tutela dell'interesse del
l'amministrazione fallimentare, quanto piuttosto per garantire la
posizione del conduttore in linea con la disciplina di diritto co
mune secondo il ben noto brocardo emptio non tollit locatum;
si è infatti osservato che la presenza di una locazione opponibile
alla massa è in grado di pregiudicare gli interessi del fallimento
laddove si consideri che la rendita immobiliare non assume una
valenza consistente, mentre al contempo, come è noto, l'aliena
zione coattiva di un immobile locato frutta mediamente un rica
vato di gran lunga inferiore a quello che è possibile realizzare
nel caso di immobile «libero».
In tale prospettiva la norma dell'art. 80 deve essere contempe
rata con la previsione generale della revocabilità degli atti a titolo
oneroso compiuti nell'anno antecedente la dichiarazione di falli
mento. In tal senso il subentro automatico del curatore potrà
attuarsi solo nei limiti in cui il contratto di locazione — oltre
ad essere valido (fatto che non può essere discusso, in quantotutti
gli atti revocabili sono intrinsecamente validi) — sia efficace nei
confronti del curatore e la posizione del terzo sia pertanto merite
vole di tutela.
Per l'ammissibilità della revocatoria del contratto di locazione
già si sono espressi diversi giudici di merito (Trib. Roma 8 luglio
1966, Foro it., Rep. 1967, voce Fallimento, nn. 330, 405; la Cas
sazione si è pronunciata espressamente per la revocabilità dei con
tratti di locazione ultranovennali, sentenza 22 giugno 1985, n.
3757, id., Rep. 1985, voce cit., n. 339).
La difesa di parte convenuta accenna ad una asserita assenza
di danno per poi affermare che comunque non è il danno un
elemento caratterizzante della revocatoria; forse inconsapevolmente
si sostiene un concetto certamente esatto, la cui applicazione pra
tica si risolve però a favore di parte attrice; il danno infatti è
un elemento che il curatore non deve dimostrare, rimanendo a
carico del convenuto in revocatoria provare che l'atto revocando
non ha in alcun modo (neppure potenziale) recato nocumento
all'interesse dei creditori; orbene, tale prova neppure è stata of
ferta dalla Sirio Import Export. (Omissis)
Il Foro Italiano — 1988.
TRIBUNALE DI COSENZA; sentenza 15 aprile 1987; Pres. ed
est. Copani; Chiappetta (Avv. Cesareo) c. Associazione pro vinciale produttori olivicoli (Avv. Chimenti).
TRIBUNALE DI COSENZA;
Associazione non riconosciuta — Delibera di elezione interna —
Sistemi di votazione — Contrarietà al sistema proporzionale
prescritto dallo statuto e al principio democratico — Invalidità
della delibera (Cost., art. 2; cod. civ., art. 23, 36).
È invalida e va annullata la deliberazione dell'assemblea parziale di associazione non riconosciuta con cui si procede alla elezio
ne del delegato all'assemblea generale sulla base di un sistema
di votazione (nella specie: elezione secondo l'ordine della lista
unica non predisposta dalla stessa assemblea) che impedisce a
tutti gli elettori di esprimere il proprio libero voto, nella segre
tezza dell'urna, per il candidato preferito e risulta pertanto con
trario allo statuto, in cui sia prescritta l'adozione del sistema
proporzionale, e al principio democratico, che opera come li
mite di ordine pubblico all'agire negoziale. (1)
(1) Si tratta, per quanto consta, della prima decisione edita in tema
di sindacato giurisdizionale sui sistemi di votazione adottati dalle associa zioni non riconosciute nelle elezioni interne. Trib. Brindisi 4 settembre
1981, Foro it., 1981, I, 2846, che pure costituisce il precedente più affine,
riguardando una fattispecie di presunte irregolarità nello svolgimento del le operazioni elettorali per l'elezione del comitato provinciale di un parti to politico, si limita, infatti, ad affermare l'astratta proponibilità dell'impugnazione davanti all'autorità giudiziaria della delibera di procla mazione degli eletti, senza procedere all'esame del merito, in quanto le
affermazioni dell'attore non erano sorrette «da una benché minima par venza di indizi».
Sull'esigenza di regole formali a garanzia della democraticità della vita
interna delle associazioni non riconosciute, si può segnalare Pret. Milano
21 maggio 1981, id., 1983, II, 114, che, dovendo valutare la sussistenza
del carattere diffamatorio nella sospensione cautelare da un partito politi co, in motivazione ribadisce che «la volontaria partecipazione del singoio in una comunità per poter con altri realizzare taluni fini, non può non
significare, di riflesso, attenuazione dei diritti e degli interessi del singolo,
[...]. Al giudice rimane certamente il controllo del rispetto da parte della
cosiddetta giustizia interna delle regole procedimentali, il controllo delle
regole volte a realizzare ad esempio la 'democraticità interna', cosi come
puntualizzata dallo statuto, il controllo di tutte quelle situazioni cui si
collega una posizione di illogica prevaricazione del gruppo (o del gruppo di maggioranza) nei confronti del singolo». Cfr. inoltre Cass. 22 aprile 1982, n. 2492, id., Rep. 1982, voce Associazione non riconosciuta, n.
4, secondo cui è giuridicamente inesistente la deliberazione di una asso
ciazione non riconosciuta (nella specie: un fondo di previdenza e assisten
za costituito con contributi dei lavoratori e del datore di lavoro, nell'ambito
della previsione dell'art. 2117 c.c.) ove tutti i portatori del diritto di voto
o, in genere, del diritto di partecipare al procedimento per la formazione
della volontà dell'associazione stessa non siano stati formalmente convo
cati dai competenti organi dell'ente ed avvertiti degli argomenti sui quali
quest'ultimo deve manifestare la sua volontà (nel caso in discussione fu
pertanto ritenuto che una assemblea dei lavoratori, convocata ai sensi
e con le modalità di cui agli art. 20 e 25 1. 20 maggio 1970 n. 300, alla
quale partecipino i lavoratori affiliati a talune associazioni sindacali, ma
non tutti quelli iscritti ad uno dei suddetti fondi, sebbene ottenga la pre senza della maggioranza dei dipendenti dell'impresa, non può deliberare
lo scioglimento del fondo, siccome destinata a fini diversi e non precedu ta da convocazione degli organi di questo con le esposte formalità).
In materia di elezioni interne, si pronuncia anche Trib. Catania 15 giu
gno 1982, id., Rep. 1985, voce cit., n. 5 (e in Dir fallim., 1984, II, 1110)
che, affermata l'applicabilità analogica dell'art. 23 c.c. alle associazioni
non riconosciute, dichiara l'invalidità della sostituzione dell'attore nella
carica di consigliere, adottata sulla base di un procedimento (fissazione di un breve termine di decadenza per l'accettazione della carica) non giu stificato da alcuna norma dello statuto e lesiva del suo «diritto di ricopri re cariche sociali», che «è parte integrante ed eminente della posizione di associato». L'applicabilità dell'art. 23 c.c. alle associazioni non rico
nosciute è ammessa anche da Trib. Roma 26 giugno 1981, Foro it., Rep.
1983, voce cit., n. 8 (e in Riv. dir. comm., 1982, II, 265, con nota di
Chiomenti); Pret. Fasano 28 febbraio 1981, Foro it., Rep. 1982, voce
cit., n. 9 (e in Giur. it., 1982, I, 2, 194, con nota di Basile), che afferma
anzi l'inderogabilità di suddetto articolo per la sua preordinazione alla
tutela delle minoranze dissenzienti e dei diritti individuali dei singoli membri;
Cass. 11 marzo 1959, n. 702, Foro it., Rep. 1959, voce cit., n. 6 (e in
Giust. civ., 1959, I, 1058). Sulla correttezza e la democraticità dell'attività interna di partiti politi
ci sono intervenute, inoltre, con provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., Pret. Genova 16 gennaio 1976, Foro it., 1976, I, 1107, con nota di richia
mi, che riconosce una lesione del diritto dei responsabili locali, eletti in
forma statutariamente corretta, di convocare l'assemblea sezionale dei
soci e di pretenderne un corretto svolgimento nel fatto della convocazio
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PARTE PRIMA
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 27 settembre 1983 Chiappetta Pietro Marco, da S. Vincenzo
La Costa, esponeva quanto appresso: premesso di essere socio
dell'Associazione provinciale produttori olivicoli e che in data 25
luglio 1983 si era svolta a Cosenza nella sede presso la Federazio
ne provinciale coltivatori diretti l'assemblea parziale dei soci per l'elezione dei delegati che avrebbero partecipato all'assemblea ge nerale convocata per l'8 settembre 1983 per procedere all'appro
ne, da parte di un gruppo di associati, di una assemblea di soci, con modalità (stesso giorno e ora, analogo ordine del giorno e uso del simbo lo ufficiale del partito) «idonee a costituire obiettiva confusione e turbati
va, con effetto indiretto nel regolare svolgimento dell'attività di sezione»; Pret. Roma 7 maggio 1974, id., 1974, I, 3227, in materia di propaganda elettorale illecita.
Sulle modalità di convocazione dell'assemblea, momento essenziale di vita democratica di una associazione non riconosciuta, possono segnalar si poi Trib. Roma 12 dicembre 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 10, che ammette l'applicabilità analogica dell'art. 20 c.c. e conseguentemente la possibilità che, nel caso di omissione da parte degli amministratori, la convocazione, richiesta da almeno un decimo degli associati in base a specifici motivi, sia disposta dal presidente del tribunale, e due decisio ni del Tribunale di Napoli: 23 dicembre 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 6 (e in Giust. civ., 1983, I, 619) e 13 gennaio 1976, Foro it., Rep. 1979, voce cit., n. 3 (e in Giur. merito, 1979, 374), che hanno verificato, alla stregua delle disposizioni dello statuto, la legittimità delle forme di convocazione dell'assemblea dei soci.
La prima delle due sentenze appena citate affronta anche la questione della violazione del diritto di eguaglianza dei soci da parte delle norme interne di associazioni non riconosciute (la massima che interessa, per questo profilo, è in Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 7), affermando la legittimità di una norma statutaria che riservi soltanto a una categoria di soci (i soci fondatori) il diritto di voto nelle assemblee. Una più antica sentenza — Trib. Firenze 8 marzo 1956, id., 1957, I, 1108 —, pur am mettendo la legittimità della norma statutaria che attribuisce a ciascun socio un solo voto, senza riguardo all'importo della sua quota di parteci pazione al patrimonio comune, afferma invece, in motivazione, che «per certo non sarebbe lecito togliere del tutto, con delibera d'assemblea, a
maggioranza o all'unanimità, il diritto di voto ad un socio, perché tratta si di un attributo fondamentale e connaturato con la qualità stessa di membro di un ente sociale». Sulla parità di trattamento degli associati, cfr. anche Trib. Bari 21 novembre 1980, id., 1981, I, 2870, con richiami di dottrina, che ritiene compatibili con la disciplina dell'associazione non riconosciuta le norme statutarie di un consorzio di vigilanza e custodia che istituiscono categorie di associati con diritti e obblighi differenziati sia in ordine ai poteri di amministrazione, sia in ordine all'entità dei con tributi da versare.
Da segnalare, per il richiamo ai principi costituzionali, App. Torino 10 febbraio 1983, id., 1983, I, 1095 (con ampia nota di richiami della
giurisprudenza relativa all'applicabilità delle norme del codice civile sulle associazioni riconosciute — e in particolare dell'art. 24 — alle associazio ni non riconosciute e delle opinioni dottrinali sull'estensione degli art. 23 e 24 c.c. a queste ultime), in cui l'illegittimità della clausola statutaria che consenta l'esclusione ad nutum di un socio è motivata non solo con
l'applicazione analogica alle associazioni non riconosciute dell'art. 24 c.c., che, al 3° comma, ammette la delibera assembleare di esclusione dell'as sociato solo in presenza di gravi motivi, ma anche col richiamo all'art. 2 Cost, e alla connessa esigenza, per lo Stato, «di attuare un'ingerenza nel campo di tali formazioni al fine di tutelare l'individuo nell'associazio ne stessa e non contro di essa, con una garanzia che, delimitando le reci
proche sfere di libertà, vale al contempo per il gruppo in cui il singolo si esprime».
Motivi di interesse, in tema di democraticità interna delle associazioni, si rinvengono infine nel caso deciso con due ordinanze da Pret. Roma 7 e 13 giugno 1983, ibid., 2304, con nota di richiami di A. Lener, che, dopo aver ammesso l'esistenza della giurisdizione ordinaria sulla doman da di provvedimento urgente con cui si chiedeva la sospensione delle ele zioni degli organi direttivi del circolo ricreativo unitario dei dipendenti della Corte dei conti, indette dal presidente della corte con asserita viola zione della disciplina statutaria del circolo stesso, che ha natura di asso ciazione privata, respinge sbrigativamente la domanda stessa, per mancanza di una concreta lesione di interesse, in quanto i ricorrenti non avevano
presentato, sia pure con ritardo, proprie liste elettorali. È rimasto cosi
privo di sviluppo l'intreccio tra attività sociali e culturali in azienda (ex art. 11 dello statuto dei lavoratori, in una delle sue prime applicazioni sul terreno del pubblico impiego dopo la legge-quadro del 1983), compor tamento antisindacale e vita interna di una associazione di lavoratori che i ricorrenti avevano prospettato, rilevando nel comportamento del presi dente della corte non tanto la lesione di un proprio interesse associativo, quanto un «chiaro indice dell'intenzione dell'amministrazione di porre in difficoltà le organizzazioni medesime».
In dottrina, cfr. Scarpinato, Mafia e partiti politici, id., 1984, V, 280, che, nel quadro di un intervento sulle forme attraverso cui le organizza
li Foro Italiano — 1988.
vazione del rendiconto economico dell'esercizio 1982 e per il rin-'
novo delle cariche sociali; rilevato: a) che l'assemblea parziale di Cosenza, come quella di Rossano e Castrovillari, non era stata
convocata nei modi di cui allo statuto (non vi era stata convoca
zione da parte del consiglio direttivo e non vi era stata la designa zione del componente da parte dello stesso consiglio che avrebbe
dovuto presiedere le assemblee; b) che si era proceduto all'elezio
ne dei delegati ignorando le più elementari norme di diritto e
della logica (era stata presentata una lista unica predisposta dalla
Federazione provinciale coltivatori diretti contenente sette nomi
nativi; si era proceduto all'annullamento dei voti di preferenza ritenuti invalidi; si era proceduto alla scelta, fra sette candidati
che avevano riportato lo stesso numero dei voti, del primo della
lista Sotero Francesco); considerato ancora che lo stesso illegitti mo sistema era stato utilizzato per le assemblee parziali di Rossa
no e Castrovillari; poiché doveva considerarsi illegittima la
deliberazione dell'assemblea generale dell'Assoproli tenutasi a Co
senza l'8 settembre 1983; tutto ciò premesso conveniva in giudi zio davanti a questo tribunale l'Associazione provinciale produttori
olivicoli, da Cosenza, per sentire dichiarare illegittime, nulle e
comunque annullare le deliberazioni prese nelle assemblee parzia li tenutesi a Cosenza il 25 luglio 1983, in Rossano il 27 luglio 1983 ed in Castrovillari il 29 luglio 1983; per sentire dichiarare
illegittima, nulla o comunque annullare la deliberazione del 25
luglio 1983 con cui si era proceduto all'annullamento della sche
da contenente il voto di preferenza attribuito ad esso attore, non
ché la deliberazione con cui si era proceduto all'elezione di Sotero
Francesco pur avendo riportato quest'ultimo lo stesso numero
di voti attribuito a tutti i candidati, dichiarando che esso attore
era il solo candidato delegato all'assemblea generale; dichiarare
ancora illegittime, nulle o comunque annullare le deliberazioni
prese nell'assemblea generale dell'Assoproli tenutasi a Cosenza
l'8 settembre 1983 e nella quale si era proceduto all'elezione dei
nuovi organi sociali, con vittoria di spese, con clausola e con
richiesta di sospensione delle delibere impugnate. Si costituiva l'Associazione provinciale produttori olivicoli, in
zioni mafiose si inseriscono all'interno dei partiti e sugli strumenti per rompere tale esiziale intreccio, afferma l'esistenza di «limiti all'autono mia contrattuale degli associati, imposti dall'esigenza di ordine pubblico costituzionale di impedire che il diritto dei singoli di partecipare costrutti vamente alla vita associativa, sancito dall'art. 2 Cost, e, quindi, la mede sima libertà di associazione, garantita dall'art. 18 Cost, pure nella sua dimensione dinamico-attuativa, vengano vanificati da tendenze autorita rie all'interno della compagine sociale che possano portare alla concen trazione del potere in ristrette oligarchie di vertice. Uno di questi limiti viene ravvisato nella norma imperativa, come tale inderogabile dalla vo lontà degli associati, prevista dall'art. 23 c.c.»; Basile, Gli enti «di fat to», in Trattato diretto da Rescigno, Torino, 1982, II, 297 ss., che pone in dubbio la possibilità di imporre a tutte le associazioni l'osservanza di un principio talmente complesso come quello di democraticità, rica vandolo dalla tutela, ex art. 2 e 3 Cost., dei diritti umani inviolabili e/o della garanzia dell'eguaglianza fra i cittadini e ricorda, a sostegno della sua tesi, che la stessa Costituzione, con riguardo a fenomeni associativi, «prescrive la democraticità interna solo per i sindacati, per giunta come
requisito per la registrazione eventualmente loro imposta dalla legge»; Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Commen tario a cura di Sclaloja e Branca, Bologna-Roma, 1976, sub art. 36, 190, che afferma l'applicabilità alle associazioni non riconosciute anche dei principi che la giurisprudenza del Consiglio di Stato, chiamata a pro nunciarsi in sede consultiva sugli statuti di associazioni aspiranti al rico
noscimento, ha avuto occasione di elaborare intorno alla «democrazia interna» dell'associazione, riportando numerose esemplificazioni. Cfr. anche il saggio di Vincenzi Amato, Associazioni e tutela dei singoli - Una ricer ca comparata, Napoli, 1984, 117, in cui, nell'ambito di una ricerca che
rileva l'esigenza di ridefinire lo stesso inquadramento teorico del fatto associativo e sulla base di una ampia analisi della giurisprudenza ameri cana sul tema, fortemente segnata da un criterio di differenziazione del l'intervento giudiziale a seconda del tipo di associazione, si sottolinea come «man mano che cresca la rilevanza esterna del gruppo e quanto più forti si fanno le ragioni dell'appartenenza, tanto maggiore diviene la esigenza che l'azione dell'associazione sia corretta non solo in base ai suoi parametri interni, ma anche in base a quelli esterni: in particolare che sia rispettosa del principio di eguaglianza e dei diritti e delle libertà individuali costituzionalmente garantiti».
È utile ricordare, infine, che l'art. 14 1. 23 marzo 1981 n. 91, recante «norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti», ha
prescritto l'osservanza del «principio di democrazia interna» alle federa zioni sportive aderenti al Coni. [C. Mondatore]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
persona del suo presidente, che eccepiva in via preliminare che
l'insorta vertenza era sottratta alla comptenza del giudice adito
in virtù della clausola derogativa di cui all'art. 31 dello statuto
secondo cui le controversie fra i soci e l'associazione sono attri
buite alla cognizione del collegio dei probiviri; nel merito rileva
va: 1) che il Chiappetta non era legittimato alla impugnativa della
deliberazione adottata all'assemblea parziale del 25 luglio 1983
per non avere espresso in quella sede il proprio dissenso o conte
stazione alcuna ex art. 2377 c.c.; 2) che le assemblee parziali e
quella generale erano state deliberate dal consiglio direttivo il 23
giugno 1983, ed il relativo avviso diramato dal presidente I'll
luglio 1983; 3) che il predetto consiglio aveva delegato i rispettivi
presidenti delle assemblee parziali; 4) che prima di procedere alla
votazione il presidente aveva «concordato coi presenti» le moda
lità dell'elezione dei delegati in base all'ordine di lista; 5) che
l'annullamento della scheda col nominativo del Chiappetta era
stato operato dal seggio elettorale trattandosi di voto espresso in difformità ai criteri e modalità di elezione precedentemente concordati atteso che l'elettore aveva cancellato la dicitura «voto
per la lista n...» ed apposto il nome di Chiappetta; concludeva,
pertanto, per la dichiarazione d'inammissibilità e improponibilità della domanda ovvero per il suo rigetto. (Omissis).
Motivi della decisione. — Va preliminarmente esaminata l'ec
cezione, sollevata dall'associazione convenuta, d'inammissibilità
0 improponibilità della domanda per essere di contro competente il collegio dei probiviri ex art. 31 dello statuto dell'associazione, secondo cui «le controversie fra gli associati e fra questi e l'asso
ciazione, cosi durante il rapporto di associazione come al suo
termine, quale che sia la loro natura, tecnica, amministrativa o
giuridica, sono deferite al giudizio del collegio dei probiviri», da
adirsi nel termine di giorni trenta dalla conoscenza del provvedi mento. Rileva il tribunale che detto collegio, nominato all'atto
della costituzione dell'associazione (22 luglio 1978) per la durata
di quattro anni (ex art. 27 dello statuto), era scaduto già al 22
luglio 1982 ed è stato rinnovato solo con deliberato dell'assem
blea generale nel settembre 1983. Non par dubbio quindi che, dovendo il Chiappetta impugnare la deliberazione dell'assemblea
parziale del 25 luglio 1983 nel termine di trenta giorni, essendo
1 probiviri decaduti dalla loro carica, residuava l'esclusiva com
petenza del giudice adito. Ed invero, qualora una clausola socie
taria preveda il deferimento di controversie fra soci e la società
ad un collegio arbitrale nominato dall'assemblea dei soci per un
certo tempo, il decorso del termine stabilito comporta che il col
legio arbitrale in precedenza nominato non può più ritenersi man
datario delle parti, senza alcuna possibilità di applicare l'art. 2385
c.c. in tema di proroga dei poteri degli amministratori della so
cietà attesa la diversità della sua ratio rispetto alla nomina del
collegio arbitrale (non sussistendo lo scopo di evitare soluzioni
di continuità e vuoti nella gestione amministrativa), con l'ovvia
conseguenza che ove insorgano controversie, queste debbono es
sere proposte al giudice ordinario (v. Cass. 15 novembre 1984, n. 5773, Foro it., 1984, I, 2970).
Tanto dispensa il collegio dall'affrontare il problema della va
lidità della clausola medesima su cui pesa ormai l'arresto giuris
prudenziale della Suprema corte secondo cui «la clausola com
promissoria dello statuto di una società, che devolva alla cogni zione di un collegio di probiviri la soluzione di determinate
controversie fra la società medesima ed il socio, riservando la
nomina dei membri di detto collegio all'assemblea, ma senza ri
chiedere l'unanimità né comunque il voto favorevole di detto so
cio, è nulla e come tale inidonea a sottrarre quelle controversie
all'autorità giudiziaria, atteso che, tanto nel caso di arbitrato ri
tuale quanto in quello di arbitrato libero, sussiste l'indefettibile
esigenza che gli arbitri vengano designati con il concorso della
volontà di entrambi i contendenti, e non siano quindi espressione delle determinazioni di una soltanto delle parti» (Cass. 7 giugno
1985, n. 3394, id., 1985, I, 1959). E nella specie il collegio dei probiviri è stato nominato dall'assemblea generale del settembre
1983 senza la partecipazione diretta o indiretta del Chiappetta. Rileva a questo punto l'associazione l'inammissibilità dell'im
pugnativa per essere stato il Chiappetta presente alla deliberazio
ne adottata dall'assemblea parziale e per non avere manifestato
esplicitamente a verbale il proprio dissenso, e tanto ai sensi del
l'art. 2377, 2° comma, c.c. applicabile in via analogica secondo
cui il potere d'impugnativa spetta ai soli soci assenti o dissenzienti.
Non può il collegio sottacere anzitutto che il verbale di assem
blea è stato redatto in modo assai sintetico mediante la compila
li. Foro Italiano — 1988.
zione di un foglio prestampato nel quale sono state apportate
pochissime aggiunte e cancellature, si da non consentire non solo
il controllo a posteriori sulla validità e regolarità dell'assemblea
e dei relativi deliberati ma anche l'accertamento delle posizioni individuali dei singoli associati in relazione alle deliberazioni emes
se. Siffatta sinteticità, certo in spregio all'ineludibile dovere di
chiarezza, lungi dal determinare la nullità del verbale, impone al giudicante il dovere di ricavare aliunde tutti gli elementi com
plementari necessari per le anzidette operazioni di controllo e di
valutazione.
Orbene dalle testimonianze escusse si rileva che nella seduta
assembleare, prima di procedere alle operazioni di voto, «concor
date coi presenti le modalità di elezione dei delegati», venne deci
so a maggioranza che, essendo stata presentata una sola lista con
sette nominativi (posti né in ordine alfabetico, né d'anzianità), sarebbe stato eletto il primo della lista medesima (già predispo
sta), essendosi respinta la richiesta avanzata da altri associati (tra cui il Chiappetta) di fare indicare dall'elettore la singola prefe
renza; è risultato poi che il Chiappetta, unitamente ad altri asso
ciati, dopo la menzionata deliberazione, per protesta si allontanò
dalla sala delle votazioni senza esprimere il proprio voto. Resta
cosi acclarato che il Chiappetta manifestò apertis verbis il pro
prio dissenso sulla deliberazione adottata, di tal che l'eccezione
dell'Assoproli va rigettata. Anche se si dovesse ritenere che il Chiappetta ebbe solo ad
astenersi dalla votazione della deliberazione, non par dubbio la
sua legittimazione all'impugnativa. A parte che nella società per azioni anche gli astenuti sono legittimati all'impugnativa essendo
equiparati ai dissenzienti (v. Trib. Napoli 20 maggio 1983), espri mendo l'astensione l'atteggiamento di riserva e non di partecipa zione al voto (e quindi assimilabile alla posizione dell'assente:
v. Cass. 7 agosto 1959, n. 2489, id., Rep. 1959, voce Società, n. 337), v'è nel nostro ordinamento un principio ormai generale secondo cui anche l'astenuto è legittimato all'impugnativa; cosi
è infatti nel regime della comunione e del condominio (v. Cass.
25 luglio 1978, n. 3725, id., 1978, I, 2450), cosi anche nei consor
zi tra imprenditori. E comunque, al postutto, occorre osservare
che la normativa vuoi sull'associazione non riconosciuta come
in quella riconosciuta, non fa alcuna distinzione tra associati con
senzienti e dissenzienti, si che, nel silenzio della legge, entrambi
sono legittimati alla impugnativa. Passando al merito va decisamente rigettato l'assunto attoreo
secondo cui l'assemblea parziale del 25 luglio 1983 non venne
indetta dal consiglio direttivo che non ebbe a designare il delega
to alla presidenza dell'assemblea medesima; è risultato infatti che
l'assemblea fu regolarmente convocata ed il relativo avviso dira
mato dal presidente dell'Assoproli I'll luglio 1983 (v. copia del
giornale «Il coltivatore» contenente l'avviso di convocazione); l'as
semblea venne poi presieduta da Iannotta Antonio, designato dal
consiglio di amministrazione dell'associazione il 23 giugno 1983.
Il thema decidendum s'incentra a questo punto sul sistema di
votazione deliberato, ed attuato, dalla assemblea parziale del 25
luglio 1983. Ritiene però il collegio necessario premettere che è
ormai decisamente superata la tesi che voleva nelle associazioni
non riconosciute negato il diritto dello Stato all'ingerenza nelle
vicende associative. La teoria della pluralità degli ordinamenti giu ridici (caldeggiata da Santi Romano) e dell'irrilevanza per l'ordi
namento statuale delle dette vicende, che pur partiva da una
posizione di difesa della libertà dei gruppi sociali contro una pos sibile invadenza prevaricatrice dello Stato, è stata posta in crisi
già con l'entrata in vigore della Carta costituzionale che all'art.
2 ha proclamato che «la repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali
dove si svolge la sua personalità». Si è cosi operato un brusco
revirement in forza del quale all'indifferenza si è sostituita una
vigile attenzione dell'ordinamento statuale alle vicende associati
ve, con la protezione giurisdizionale dell'associato là ove il mede
simo invochi protezione contro un preteso arbitrio ed una
prevaricazione del gruppo. Nel conflitto tra libertà del singolo
ed autorità del gruppo il giudice deve porsi a garanzia della dife
sa dei diritti senza che abbia rilevanza la natura dell'associazione
medesima posto che, come è stato rilevato in dottrina, «il proble ma della libertà non si riduce alla protezione della libertà dell'in
dividuo di fronte allo Stato ma si estende anche alla protezione della libertà sua di fronte al manifestarsi dell'arbitrio del grup
po». Ne consegue, e la giurisprudenza ha pienamente colto la
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PARTE PRIMA
evoluzione, che il giudice ha il diritto di penetrare negli arcana
corporis, entrando nella valutazione delle vicende associative per garantire i diritti inviolabili dell'associato e censurare comporta menti che suonino aperta volazione di norme e di diritti. Non solo quindi comparazione tra l'atto impugnato e lo statuto, ma anche valutazione della tenutezza di quest'ultimo in base ai prin cipi dell'ordinamento statuale. E siffatta valutazione trova ingresso in tutte le formazioni sociali, dal partito al sindacato, alle residue associazioni non riconosciute.
Tanto premeso, passando all'esame del sistema eletorale deli berato nella specie, ricordato che era stata presentata una sola lista con sette nominativi («la scrivente federazione indica nel l'ordine quali delegati i seguenti soci...»), rileva il Chiappetta, in buona sostanza, che l'elettore avrebbe dovuto esprimere nella
segretezza dell'urna la propria preferenza e far discendere l'ele zione del delegato dalla sola circostanza che questo trovavasi pri mo nella lista da altri predisposta, con una chiara imposizione del nominativo prescelto.
Il metro di valutazione, ad avviso del collegio, va ricercato nel lo stesso statuto che all'art. 18 prescrive che «le assemblee parzia li... eleggono, con il sistema proporzionale, un delegato per ogni cinquanta voti degli associati intervenuti in persona o per delega ad altro associato».
Non par dubbio che la precisa indicazione del sistema elettora le da adottarsi vincolava l'assemblea che era tenuta o ad appli carlo ovvero a disapplicarlo ma solo con la prescritta maggioranza per le modifiche statuarie. È noto che il sistema elettorale pro porzionale è fondato sul principio della rappresentanza delle mi noranze in modo tale che ogni gruppo riesca a disporre di un numero di eletti corrispondente alla propria effettiva consistenza. Il sistema, per la sua attuazione, richiede la presenza di liste con
correnti, bloccate o non bloccate a seconda che l'elettore debba o no votarne tutti i candidati e nell'ordine in esse fissato o possa invece cancellarne, sostituirne e mutarne l'ordine di preferenza o di precedenza. Ma quid iuris nel caso (come nella specie) in cui sia una sola la lista presentata con l'indicazione di nominativi
posti in un ordine prestabilito da terzi?
Non par dubbio al collegio che, in tale evenienza, avendo lo statuto esplicitato l'intendimento della tutela delle minoranze, avrebbe dovuto operarsi in guisa da consentire a tutti gli elettori di esprimere il proprio libero voto nella segretezza dell'urna per il candidato preferito.
Se il sistema adottato imponeva al dissenziente o l'astensione
(che, in presenza di una sola lista, avrebbe avuto il chiaro sapore di dissenso facendo venir meno la segretezza del voto o esponen do l'astenuto ad eventuali sanzioni del gruppo) o un voto nullo
(ma senza alcun pratico effetto), il sistema delle preferenze (sia pure nell'ambito dei sette nominativi) avrebbe fatto pur sempre risaltare la maggioranza ma avrebbe consentito alle minoranze di esplicitare il proprio dissenso sul segreto dell'urna consentendo una valutazione della posizione minoritaria.
Ma anche sotto altra angolazione il sistema adottato non appa re immune da censure. Il principio democratico deve ritenersi or mai inserito pienamente nel nostro ordinamento non solo a livello dei massimi sistemi ma anche in tutte le manifestazioni della vita
associata, quale unico cardine indefettibile ed inderogabile di un sistema democratico quale quello consacrato nella nostra Carta costituzionale. E democrazia è affermazione del principio della libertà del dissenso ed esplicitazione di tale diritto in ogni forma zione sociale. Il principio della maggioranza non s'identifica con la sua signoria assoluta ma si traduce nel diritto di esistenza delle minoranze e della loro manifestazione. Tra le regole del gioco, in una democrazia, v'è anche quella che coloro che sono chiamati ad una scelta siano posti di fronte ad alternative reali e siano messi in condizione di scegliere tra l'una e l'altra. Il principio democratico costituisce quindi un principio generale dell'ordina mento giuridico tutelato in ogni sistema ed in ogni formazione sociale: ordine pubblico come limite all'agire negoziale, come esi
genza che i privati non lo sovvertono nelle loro convenzioni. Si vuol cioè concludere che un sistema democratico, al quale s'è
ispirata l'Assoproli, doveva necessariamente garantire il diritto alla libera scelta del candidato da eleggersi, senza predetermina zioni dall'alto o da terzi.
Né infine può accogliersi la tesi della convenuta associazione secondo cui fu proprio l'assemblea parziale a scegliere, a maggio ranza, il sistema poscia adottato. È sufficiente sul punto rilevare
che, ponendosi il sistema prescelto in rottura col principio pro
li. Foro Italiano — 1988.
porzionale, e costituendo quindi una deroga all'art. 18 dello sta
tuto, doveva essere approvato con una maggioranza qualificata, ossia con quella «assoluta dei voti complessivamente spettanti a tutti gli associati» (ai sensi dell'art. 20 dello statuto) e non già con la maggioranza degli associati presenti.
La deliberazione va quindi annullata ai sensi dell'art. 23 c.c., applicabile analogicamente alla specie, per contrarietà allo statu to. L'annullamento deve però limitrsi alla sola deliberazione emessa nella seduta del 25 luglio 1983 tenutasi a Cosenza, difettando alcuna prova che anChe a Castrovillari e a Rossano ebbero ad adottarsi identici criteri, qui censurati. Non occorre infine soffer marsi sul punto della pretesa nullità della scheda contenente il solo voto di preferenza del Chiappetta (con l'esclusione del voto di lista), atteso il valore assorbente della ritenuta annullabilità.
In ordine poi al delicato problema dei riflessi dell'annullata delibera sulle operazioni dell'assemblea generale, e sulla nomina
degli organi statuari, osserva il collegio che, non essendo stata
operata dal tribunale alcuna sostituzione del delegato in luogo del Sotera Francesco (attesa l'invalidità delle operazioni elettora
li), e non essendo stato il Sotera presente alla riunione del 19 settembre 1983 nella quale vennero eletti il presidente, il vice pre sidente, il direttore e il comitato di gestione, nessun riflesso si è concretamente realizzato, per cui gli organi eletti per il qua driennio 1983/87 conservano la loro carica.
TRIBUNALE DI NAPOLI; sentenza 14 aprile 1987; Pres. De
Martino, Est. Militerni; Mastrogiovanni (Avv. N. Proto Pi
sani, Grifi) c. Min. beni culturali ed ambientali (Avv. dello Stato Albano).
TRIBUNALE DI NAPOLI;
Responsabilità civile — Apertura al pubblico di complesso ar
cheologico — Danni riportati da visitatore — Responsabilità della pubblica amministrazione — Configurabilità (Cod. civ., art. 2043).
Pur non potendo essere considerata attività pericolosa l'apertura al pubblico di un complesso archeologico (nella specie, si trat tava degli scavi di Pompei), la pubblica amministrazione è, tut
tavia, responsabile dei danni subiti dal visitatore che, entrato in un locale sotterraneo male illuminato, è caduto in un fosso incustodito della profondità di circa trenta metri, per violazio ne del dovere di diligenza che le impone di precludere l'accesso ai luoghi particolarmente pericolosi, ovvero di segnalare la pre senza del pericolo in modo tempestivo e specifico. (1)
(1) La sentenza non presenta sostanziali novità quanto alle conclusioni cui è pervenuta. Che la p.a. sia tenuta a vigilare onde evitare che si deter minino situazioni di pericolo occulto, atte ad integrare gli estremi della c.d. insidia o trabocchetto per gli utenti, e che l'inosservanza di tale ob bligo costituisca violazione del precetto generale del neminem laedere è stato, infatti, più volte ribadito, con riferimento al diverso settore della gestione e manutenzione delle strade. Da ultimo v., in proposito, i riferi menti contenuti nelle osservazioni di Sanlorenzo a Cass. 4 aprile 1985, n. 2319, Foro it., 1986, I, 1976, nonché App. Roma 30 settembre 1987, in questo fascicolo, I, 261, con nota di ulteriori richiami.
Esclusa la ravvisabilità, nel caso di specie, di una attività pericolosa, che avrebbe potuto portare all'applicazione dell'art. 2050 c.c. (ma, sul
l'applicabilità della norma alla p.a., v. Cass. 27 febbrio 1984, n. 1393, Foro it., 1984, I, 1281, e 1985, I, 1497, con nota di Comporti, Presun zioni di responsabilità e pubblica amministrazione: verso l'eliminazione di privilegi ingiustificati), problematica sarebbe stata, d'altro canto, an che la configurazione della responsabilità per cose in custodia di cui al l'art. 2051 c.c., per la costante giurisprudenza che ritiene tale norma applicabile solo per quella categoria di beni demaniali rispetto ai quali la posizione della p.a. può sostanzialmente assimilarsi a quella di un sog getto titolare di proprietà privata, con esclusione, invece, di quei beni sui quali è esercitato un uso generale e diretto da parte della collettività (da ultimo, in tal senso, con riferimento al demanio stradale, v. App. Perugia 25 febbraio 1986, id., Rep. 1986, voce Responsabilità civile, n. 133, e, per ulteriori riferimenti, le citate osservazioni di Sanlorenzo).
Infine, per una impostazione del problema della responsabilità civile della p.a. che si discosta dall'ormai tradizionale stretta osservanza priva tistica, v. Sanviti, La responsabilità civile della pubblica amministrazio ne: gli aspetti specifici e gli spunti di carattere generale, in La responsabilità civile. Una rassegna di dottrina e giurisprudenza, diretta da Alpa e Bes sone, Torino, 1987, III, 459 ss.
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