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Sentenza 15 gennaio 1958; Pres. Facchiano P., Est. Menichino; Dainotto (Avv. Cifariello) c. Cassadi risparmio della Libia (Avv. Santucci)Source: Il Foro Italiano, Vol. 81, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1958), pp. 459/460-463/464Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23148351 .
Accessed: 28/06/2014 16:15
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459 PARTE PRIMA 460
In tal caso, però, anche se si ritiene ammissibile l'azione di
annullamento, resta ulteriormente confermato che il rap
porto obbligatorio costituitosi tra le parti trova ormai
fondamento giuridico nell'accordo e non nella norma il
legittima, tanto è vero che per rimuoverne gli effetti non
basta la sopravvenuta dichiarazione di invalidità della
legge, ma occorre togliere di mezzo il contratto con un'auto
noma azione di annullamento per vizio del consenso.
Non basta, allora, il semplice elemento formale della
pendenza del giudizio per risolvere il problema della in
fluenza della pronunzia di incostituzionalità sul rapporto controverso. Il fatto che il rapporto sia ancora oggetto di
controversia giudiziale al momento di tale pronunzia non
vuol dir nulla, perchè anche un diritto quesito può essere
contestato, ma non per questo cessa di essere diritto quesito. Se nel caso concreto il diritto dell'Ente convenuto
fosse stato ad esempio già riconosciuto con sentenza pas sata in giudicato e ciò nonostante la questione fosse stata
portata dinanzi al magistrato per accertare, in ipotesi, l'esistenza o meno del giudicato, in tal caso, ammesso che
il credito risultasse effettivamente da una sentenza irrevo
cabile, non sembra dubbio che la pronuncia di incostitu
zionalità non potrebbe vulnerare l'autorità del giudicato, a nulla quindi rilevando la pendenza del giudizio al momento
della decisione della Corte.
Il giudizio di invalidità costituzionale investe la norma
limitatamente ai rapporti, che essa avrebbe dovuto ancora
continuare a regolare, ma non annulla nè può annullare
gli effetti giuridici derivanti dalla già avvenuta applica zione della norma. La frase contenuta nell'art. 30 : « Le
norme . . . non possono avere applicazione » coglie appunto
questo concetto e significa che la norma non potrà essere
più applicata nel futuro, ma non già che non poteva essere
applicata per il passato. Tutto sta quindi nel vedere se
la norma è stata effettivamente applicata al rapporto, facendo sorgere un diritto quesito, che non potrà essere
in alcun modo intaccato dalla successiva pronuncia di in
costituzionalità.
Ora tutte le volte che per il regolamento del rapporto
viene invocata la norma, il giudice dovrà rifiutarsi di ap
plicarla, perchè essa non esiste più al momento della deci
sione, mentre, se il rapporto risulta già definitivamente
regolato o con sentenza o con altro atto irrevocabile, sarà
la forza del giudicato o dell'accordo a rendere intangibile il diritto, indipendentemente dalla validità o meno della
norma.
Applicando i su esposti principi al caso in esame,
non può dubitarsi del diritto della Società attrice ad ot
tenere il rimborso dei contributi illegittimamente per
cepiti dall'Ente del turismo, perchè la relativa questione era ancora oggetto di contestazione giudiziale al momento
della pronuncia di incostituzionalità, e nessun diritto que sito può riconoscersi all'Ente convenuto, dato che il paga mento non avvenne spontaneamente o in conseguenza di libero accordo tra le parti, ma per effetto del solve et
recete, avendo l'attrice sempre contestato la legittimità
dell'imposizione. Può aggiungersi che, con la declaratoria
di illegittimità delle norme istitutrici dei contributi, si è
voluto abolire lo speciale potere di imposizione tributaria
concesso agli enti provinciali del turismo, il che equivale a cessazione immediata dell'eccezionale potestà ricono
sciuta a detti enti in contrasto con il precetto costituzio
nale. Ora se si considera che con l'abolizione di un istituto
giuridico di natura pubblicistica il legislatore si ispira di
solito ad esigenze e a interessi di carattere generale, tanto
che, in tal caso, la dottrina riconosce alla nuova norma
efficacia retroattiva, ritenendo che non possa essere con
sentito il perdurare di rapporti giuridici contrari al nuovo
ordinamento, anche se sorti in tempo anteriore, appare evidente che anche sotto questo ulteriore profilo la pro
nuncia di incostituzionalità non può nella specie non esten
dere i suoi effetti pure al passato, rimanendo così caducate
le precedenti imposizioni illegittimamente eseguite, specie
quando il pagamento dei tributi non è avvenuto per spon
tanea volontà dei soggetti passivi della prestazione, ma
è stato imposto dalla forza cogente della legge.
Va pertanto accolta la domanda attrice con la conse
guente condanna dell'Ente, convenuto al rimborso della somma di lire 268.286, percepita a titolo di contributi tu
ristici, e risultante dalla bolletta di pagamento prodotta dalla Società C.i.s.a. Viscosa.
Per questi motivi, ecc.
TRIBUNALE DI ROMA.
Sentenza 15 gennaio 1958 ; Pres. Facchiano P., Est. Me
nichino ; Dainotto (Avv. Cifaeiello) c. Cassa di ri
sparmio della Libia (Avv. Santucci).
Africa italiana — Trattato di pace — Costituzione «lei
lteyno di Lil>ia — Enti a carattere istituzionale —
Giurisdizione del cjiudice italiano — Limiti — Fat
tispecie (Cod. proc. civ., art. 5 ; 1. 17 agosto 1957 n. 843, ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra l'Italia e la Libia
di collaborazione economica e di regolamento delle que stioni derivanti dalla risoluzione dell'Assemblea gen. delle Nazioni unite del 15 dicembre 1950, con scambi di
Note, concluso in Roma, il 2 ottobre 1956, art. 1, 2 ;
Accordo, art. 19 ; d. legisl. 28 novembre 1947 n. 1430, esecuzione del Trattato di pace tra l'Italia e le Potenze
associate e alleate, art. 23).
Non in virtù del Trattato di pace e della costituzione del Regno di Libia, ma soltanto sulla base dell'Accordo del 2 ottobre
1956 tra l'Italia e la Libia, e a decorrere dalla data di
entrata in vigore dell'Accordo stesso, dalla data cioè dello
scambio delle ratifiche, la Cassa di risparmio della Libia, in guanto ente istituzionale e non territoriale, deve consi
derarsi passata sotto la sovranità del nuovo Stato e, per tanto, non difetta di giurisdizione l'autorità giudiziaria italiana a conoscere della controversia, instaurata prima di detta data, da un dipendente della Cassa per ottenere
il pagamento di stipendi e competenze, essendo irrilevante
che tale giurisdizione sia venuta meno nelle more del
giudizio. (1)
Il Tribunale, ecc. — L'eccezione di difetto di giurisdi zione della autorità giudiziaria italiana a conoscere della
controversia, proposta dalla Cassa di risparmio convenuta, riveste carattere di pregiudizialità, potendo la decisione
relativa definire il giudizio : l'esame di tale eccezione deve
pertanto costituire il primo e fondamentale oggetto di
indagine da parte del Tribunale. La Cassa convenuta as
sume a fondamento della suddetta eccezione la circostanza
di avere perduto la nazionalità italiana e di fare parte dell'ordinamento giuridico libico, da epoca antecedente alla data dell'atto introduttivo del presente giudizio (3 dicembre 1956) per effetto, sia del mutamento politico av
venuto in Libia a seguito della cessazione della sovranità
italiana su quelle terre e della proclamazione del nuovo
Regno libico, sia del conseguente Accordo economico si
ti) Sulla questione specifica, di cui alla prima parte della massima non risultano precedenti editi ; v., a proposito degli effetti dell'assunzione in custodia dei beni italiani attuata in Libia dalla Potenza occupante, Trib. Tripoli 20 novembre 1950, Foro it., 1951, I, 248, con nota di richiami.
Vedi, per qualche riferimento : Cass. 29 gennaio 1952, n. 248, id., 1952, I, 164, con nota di richiami ; e 18 ottobre 1955, n. 3251, id., Rep. 1955, voce Africa italiana, nn. 8-10.
Sul principio di cui alla seconda parte della massima, cfr. cit. Cass. 29 gennaio 1952, n. 248 ; 3 marzo 1953, n. 517, id., 1954, X, 346; e 19 gennaio 1954, n. 103 (ricordata nel testo), id., Rep. 1954, voce Competenza, nn. 44, 45 ; App. Milano 3 giu gno 1955, id., 1955, I, 1212 ; App. Palermo 20 dicembre 1954, id.. Rep. 1955, voce cit., nn. 48, 49.
In dottrina : cfr. Cansacchi, Effetti della cessione territoriale sulla competenza giurisdizionale italiana, in Gtiur. it., 1954, I, 1, 315.
L'Accordo fra l'Italia e la Libia è pubblicato su Le Leggi, 1957, pag. 1187.
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461 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
glato fra i Governi dei due Stati il 2 ottobre 1956 ; sostiene
ohe tale perdita della nazionalità italiana è conseguenza del carattere suo proprio di ente territoriale con sede
sociale in Tripoli. Tali circostanze ed argomentazioni non appaiono, però,
nè esatte nè fondate ; soprattutto non appare in alcun
modo accettabile l'affermazione della natura di ente
territoriale della Cassa convenuta, posta come premessa
principale del ragionamento riferito. Tale affermazione
deve essere esaminata per prima in quanto, se fosse esatta,
importerebbe la conseguenza della mutazione di nazio
nalità della Cassa almeno dalla data di proclamazione del
Eegno libico (26 dicembre 1951). Invero ai sensi dell'art.
23, comma 1°, del Trattato di pace con le Potenze alleate
ratificato e divenuto esecutivo eon decreto legisl. 28 no
vembre 1947 n. 1430, l'Italia ha effettuato una pura e
semplice rinuncia, cioè ha abbandonato o derelitto i suoi
diritti di sovranità su tutti i territori africani, e quindi anche sulla Libia ; successivamente, dopo un periodo di con
tinuazione temporanea dell'Amministrazione esistente, ed
in esecuzione della relativa raccomandazione dell'O.n.u., alla data del 26 dicembre 1951, con la proclamazione del
nuovo Regno di Libia, la sovranità sul territorio della Li
bia fu assunta da tale nuovo Stato. Appare pertanto logica ed esatta la considerazione che, per effetto di tali eventi, e cioè estinzione di ogni vincolo di sovranità fra l'Italia
e la Libia prima, e costituzione del nuovo Regno libico
poi, l'organizzazione politica e territoriale della Libia, creata dall'ordinamento giuridico italiano, è venuta com
pletamente meno, ed è stata interamente sostituita dalla
nuova organizzazione libica.
Senonchè in tale quadro, come sopra delineato, non può trovare posto la conseguenza, che la Cassa sostiene, di avere
cioè essa pure, quale ente territoriale, perduto la nazio
nalità italiana, con contemporaneo passaggio nell'ambito
del nuovo ordinamento giuridico libico.
Ciò perchè la Cassa di risparmio della Libia non ha
mai avuto carattere di ente territoriale e non ha mai fatto
parte dell'organizzazione territoriale della Libia secondo
l'ordinamento italiano. Tale Cassa, sorta per effetto della
fusione in unico istituto delle già esistenti Casse della Tri
politania e della Cirenaica, venne istituita con r. decreto
18 aprile 1935 n. 1138 ; ebbe dunque carattere di persona
giuridica pubblica, ma del tipo non territoriale, bensì
istituzionale, quale ente pubblico costituito per finalità
economiche. Invero fu costituita, per effetto di tale de
creto ed a termini del relativo statuto, come ente auto
nomo avente proprio patrimonio e specifiche finalità d'in
teresse pubblico per favorire la previdenza, raccogliendo
depositi a titolo di risparmio e trovando ad essi conve
niente collocamento (art. 3 dello Statuto) ; ma non per tali finalità, nè per tale modo di formazione, nè infine,
per la conseguente autonomia patrimoniale, la Cassa ebbe
il carattere di ente pubblico territoriale.
In questa ultima categoria sono comprese soltanto quelle associazioni formate da intere popolazioni che, risiedendo
sopra un determinato territorio, annoverano questo fra i loro
elementi costitutivi (tali enti sono lo Stato, le regioni, le
Provincie ed i comuni). La Cassa doveva svolgere, invero, la sua opera ed i suoi compiti in Libia, ed aveva quivi le
sue sedi ed agenzie, ma tale determinazione della sua
sfera di attività non importava certo che fra gli elementi
costitutivi, considerati come essenziali per la sua creazione, venissero assunti la popolazione ed il territorio della Libia
sì da fare di essa un ente del tipo associativo e territoriale ; al contrario elemento costitutivo essenziale della Cassa era
la sua base patrimoniale, con relativa autonomia ammini
strativa, ed al pari di ogni altro ente di tal tipo, l'elemento
personale e l'elemento territoriale venivano in conside razione come elementi del tutto estrinseci, l'uno come
complesso di persone destinatarie dell'attività e dei ser
vizi della Cassa e l'altro come riferimento allo spazio entro
cui tale attività potesse essere esplicata. Nè rilevanza al
cuna ai fini della qualificazione dell'ente presenta l'ele
mento, pure secondario, della localizzazione del patrimonio
della Cassa in Libia ; cosicché deve essere disattesa l'ar
gomentazione al riguardo svolta dalla Cassa medesima.
Deve dunque concludersi questa prima parte della
presente indagine nel senso che la Cassa di risparmio della
Libia, quale persona giuridica pubblica italiana di tipo istituzionale e, precisamente, quale ente pubblico econo
mico, non poteva essere compresa fra gli enti territoriali
che, per effetto della rinuncia della sovranità italiana sulla
Libia e della conseguente proclamazione del nuovo Stato
libico, cessarono di far parte dell'ordinamento giuridico
italiano, per entrare a fare parte o per essere sussunti
nel nuovo ordinamento giuridico libico.
Del resto, a comprova di tali osservazioni sta in punto
di fatto la circostanza che la Cassa, appunto perchè ente
a base non territoriale, statuì, con regolare deliberazione
del proprio Consiglio di amministrazione in data 11 gen naio 1943, di istituire un proprio ufficio in Roma, ufficio
tuttora esistente.
Pertanto nessuna mutazione in ordine alla nazionalità
della Cassa è intervenuta per effetto della costituzione del
nuovo Stato libico.
Resta ora da esaminare quale portata e quale effetto
abbia spiegato in tal senso l'Accordo economico intervenuto
fra la Repubblica italiana ed il Regno di Libia. Deve an
zitutto osservarsi che già l'esistenza di un siffatto Accordo,
con scambio di note, due delle quali concernenti appunto la situazione della Cassa di risparmio della Libia, sta a
dimostrare che le questioni concernenti lo stato giuridico della stessa hanno formato oggetto di una particolare
specifica convenzione tra i due Stati, essendo fino a quel momento rimasta immutata la nazionalità della Cassa e
la natura della stessa, quale ente pubblico facente parte
dell'ordinamento giuridico italiano : e ciò è un determinante
argomento a conferma delle considerazioni sopra svolte
in tal senso. Circa la natura e l'applicazione di tale Ac
cordo devesi poi rilevare, che esso, costituito da un testo
di 19 articoli e completato da vari allegati e da vari scambi
di note, sebbene concluso fra i Governi dei due Stati il
2 ottobre 1956, non è peraltro entrato in vigore in tale
data ; invero soltanto la successiva legge 17 agosto 1957
n. 843 ha concesso autorizzazione al Presidente della Re
pubblica a ratificare tale Accordo e scambi di note (art. 1),
ed ha stabilito che piena ed intera esecuzione è data agli stessi a decorrere dalla loro entrata in vigore (art. 2). Tale
data di entrata in vigore è poi, ai sensi dell'art. 19 dell'Ac
cordo medesimo del 2 ottobre 1956, quella dello scambio
delle ratifiche, e tale scambio è, in ogni caso, di data suc
cessiva alla citata legge 17 agosto 1957 n. 843.
Tali considerazioni sono sufficienti per ritenere che nes
suna influenza possono spiegare nel presente giudizio le
statuizioni concernenti lo stato giuridico della Cassa della
Libia, quali risultano dalle note relative l'una del Governo
libico e l'altra del Governo italiano. Con la propria nota il
Governo libico chiede di conoscere il punto di vista del Go
verno italiano, fra l'altro, sullo « stato giuridico della Cassa
di risparmio della Libia » ; con la propria nota di risposta a
questa ultima il Governo italiano fa noto che « la Cassa di
risparmio della Libia secondo l'ordinamento giuridico ita
liano era ima fondazione di carattere pubblico avente sede
in Libia. Per essa l'art. 6 della risoluzione (dell'Assemblea dell'O.n.u. del 15 dicembre 1950 sulle disposizioni econo
miche e finanziarie relative alla Libia) non è applicabile, e,
in conseguenza, resta soggetta alla legge libica ».
Sostiene la Cassa convenuta che tale Accordo conferma
la sua qualità di ente di nazionalità libica ; peraltro, escluso,
per quanto sopra già detto, che la Cassa abbia assunto la
nazionalità libica all'atto della costituzione del Regno li
bico e pur potendosi convenire, atteso il tenore delle sud
dette note, con la tesi che la Cassa abbia assunto tale na
zionalità per effetto dell'Accordo in esame, devesi tuttavia
ripetere che tale Accordo concluso il 2 ottobre 1956 è entrato
in vigore in data sicuramente posteriore a quella della
legge del 17 agosto 1957, nell'ipotesi (che, comunque, nella
presente sede non è meritevole di accertamento) che ef
fettivamente sia già intervenuto lo scambio delle ratifiche.
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403 PARTE PRIMA 464
In ogni caso fino alla data di entrata in vigore dell'Accordo
in esame la Cassa di risparmio della Libia mantiene la
propria nazionalità italiana, e poiché essa, alla data dello atto di citazione in giudizio da parte dell'attrice (3, 4 di
cembre 1956), era rivestita della nazionalità italiana, bene
è stata convenuta in giudizio dinanzi all'autorità giudi ziaria italiana ; non solo, ma la competenza giurisdizionale del giudice italiano a conoscere della controversia fra le
parti rimane radicata, ai sensi del principio di cui all'art. 5
cod. proc. civ., con riferimento appunto alla situazione
di fatto esistente al momento di propo izione della domanda. Invero il requisito della nazionalità italiana della Cassa con venuta all'atto della proposizione della domanda contro la stessa è titolo sufficiente di giurisdizione del giudice ita
liano, stante il principio generale di giurisdizione, dato dal
collegamento che la lite presenta con lo Stato italiano per il fatto che il convenuto è cittadino italiano, che in qualsiasi ipotesi e per qualsiasi materia i cittadini possono in ogni caso essere chiamati in giudizio in Italia (cfr. nella moti vazione Cass. 26 agosto 1953, n. 2o76, Foro it., 1953, I, 1228 e Cass. 19 gennaio 1954, n. 103, id., Eep. 1954, voce
Competenza civ., n. 44). Nè, conseguentemente, una volta determinata la giu
risdizione, secondo tale criterio, all'atto della domanda, pos sono avere rilevanza mutamenti eventualmente soprav venuti, come nel caso in esame, in corso di giudizio, nella cittadinanza del convenuto, vigendo, in tale ipotesi, il prin cipio della perpetuatio iurisdictionis, di cui all'art. 5 cod.
proc. civ. Invero tale articolo stabilsce che la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della do
manda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti dello stato di fatto. Al riguardo, sia la dottrina sia la giurisprudenza concordemente ritengono che tale
norma, attraverso la formula del riferimento allo « stato di fatto » non si applica ai mutamenti dei precetti di legge concernenti i limiti della giurisdizione, in quanto tale ipo tesi rimane soggetta alle regole circa la successione delle norme nel tempo, ma si applica invece al mutamento di
qualsiasi presupposto di fatto, da cui quegli stessi precetti di legge fanno dipendere la giurisdizione : a tale fine, per tanto, quale che sia il criterio assunto come momento di
collegamento fra il giudice e la lite, e cioè sia un criterio di puro fatto non suscettibile di estinzione (esempio : luogo di apertura della successione o luogo in cui è avvenuto il fatto da cui è sorta la obbligazione), sia un criterio giuri dico suscettibile di valutazione differente nel tempo (esem pio : cittadinanza del convenuto, residenza, domicilio, luogo di situazione della cosa), esso è sempre considerato come stato di fatto valutabile in riferimento all'atto di proposi zione della domanda (cfr., nella motivazione, Cass. 3 marzo 1953, n. 517, Foro it., 1954, 1, 346).
Da tali principi chiaramente discende che. nel caso in
esame, il mutamento avvenuto in corso di causa della na zionalità della Cassa convenuta non ha rilevanza rispetto alla giurisdizione del giudice italiano, ritualmente sussi stente e radicatasi all'atto di proposizione della domanda, in
dipendenza proprio della nazionalità italiana della Cassa stessa in tale momento. Il che importa ai sensi dell'art. 5 l'affermazione della giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana e quindi del Tribunale adito a conoscere della pre sente controversia, con il conseguente rigetto della ecce zione al riguardo sollevata dalla Cassa convenuta. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
TRIBUNALE DI ANCONA.
Decreto 9 dicembre 1957 ; Pres. Rapex P., Est. Libera tore ; Mihelcic (Aw. Barsanti).
Società Fallimento «li società commerciale — Art. 10 legge fallimentare —
Applicabilità (E. d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 10).
L'art. 10 legge fallimentare è applicabile non solo alVimprendi tore, ma anche alla società commerciale, formalmente esistente, ma che non eserciti alcuna attività. (1)
(1) Inapplicabilità degli ari. 10, Il legge fallirti., alle
società commerciali.
1. — Quando, di fronte ad un'istanza per dichiarazione di fallimento di una società commerciale, si avviano indagini per appurare se la società sia, in linea di fatto, operante o meno, si imbocca, a mio avviso, una strada sbagliata, essendo del tutto irrilevante l'effettivo esercizio di impresa al fine dell'assogget tabilità al fallimento di una società commerciale, fosse anche la società già nella fase di liquidazione (1).
L'equivoco ha origine dall'errata premessa che non esiste rebbe alcuna differenza tra il soggetto individuale ed il sog getto collettivo circa il momento e la rilevanza dell'assunzione della qualifica imprenditizia (2). Questa premessa, logicamente sviluppata, porta al corollario- che, se la cessazione dell'attività
professionale da parte dell'imprenditore individuale comporta la perdita della qualifica e segna l'inizio della decorrenza del l'anno utile alla dichiarazione di fallimento, identicamente deve avvenire quando è la società commerciale che sospende l'atti vità economica organizzata, definita attività di impresa dal l'art. 2082 cod. civile.
Di questo equivoco è, in parte, responsabile il legislatore del 1942 che non ha riprodotto l'art. 8 del previgente codice comm. : « sono commercianti coloro che esercitano atti di com mercio per professione abituale e le società commerciali » (3), pur se, dall'insieme della disciplina, il criterio risulti tuttora
operante. Anche nel nuovo codice infatti il legislatore fissa a certi effetti, identità di disciplina tra la società in forma commer ciale con oggetto commerciale e l'imprenditore commerciale,
indipendentemente dalla circostanza che, in fatto, la società commerciale esplichi attività imprenditrice, e su questa iden tità va messa a fuoco l'indagine per isolare il nucleo della que stione affrontata dal Tribunale di Ancona.
2. — Ho già cercato di dimostrare (4) — sulla scorta di un'autorevole dottrina (5) — che parte della disciplina, alla quale sono assoggettate le società commerciali (intendo dire : società in forma commerciale e con oggetto commerciale), sembra in fallantemente presupporre l'esercizio di impresa commerciale
o, meglio, pur se le conseguenze siano identiche, prescinde del tutto dall'effettivo esercizio di impresa, evidentemente conside randosi le società in forma commerciale e con oggetto commer ciale istituzionalmente imprenditrici (6). Dicevo infatti che, ferma restando la distinzione concettuale tra società ed impresa, (esercizio in comune di attività economica l'una : art. 2247 ; esercizio professionale di un'attività economica organizzata l'al tra : art. 2082) (7) l'ordinamento positivo, quando la società assume la forma commerciale ed ha per oggetto una attività
commerciale, non tiene conto della possibile discordanza tra forma (società in forma commerciale con oggetto commerciale) e sostanza (esercizio di fatto di attività, ad es., agricola) per disciplinare, a certi fini, tutte le società in forma commerciale e con oggetto commerciale (ed eccezionalmente anche se com merciali unicamente nella struttura esteriore : art. 2200) come se fossero effettivamente imprenditori commerciali.
Lo prova la piena applicabilità delle norme sulla pubblicità dell'impresa commerciale alla società in forma commerciale, soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese per il combinato
disposto degli art. 2249, 2200.
(1) Contra Del Pozzo, L'art. 10 legge fallivi, e le società in li quidazione, in Dir. fall., 1956, I, 228 ; Valgavi, Se l'art. 10 legge falimi, sia applicabile alle società imprenditrici, id., 1952, II, 463, per il quale l'esercizio dell'impresa cessa addirittura prima dell'inizio delia liqui dazione (pag. 465) ; Guerra, Dichiarabilità del fallimento di società estinta o in liquidazione, id., 1953, II, 225, che indica nell'approvazione del bilancio finale di liquidazione il dies a quo al fine della decorrenza del termine di cui all'art. 10 legge fallim. ; Trib. Asti 11 gennaio 1952, Foro it., Rep. 1952, voce Società, nn. 393, 394 ; Trib. Firenze 3 no vembre 1952, id., Rep. 1953, voce cit., n. 435 ; Trib. Napoli 16 marzo 1954, id., 1954, I, 1500.
(2) Del Pozzo, op. cit., 239 ; Azzolina, Il fallimento, Torino, 1955, I, 221.
(3) Dalla mancata riproduzione della norma argomenta infatti il Del Pozzo, op. cit., 234.
(4) Sul fallimento della società commerciale che non esercita at tività imprenditrice, in Dir. fall., 1956, II, 482.
(5) V. per tutti BiGiAvr, La professionalità dell'imprenditore, Padova, 1948, 13 segg.
(6) V. per uno spunto in questo senso Trib. Milano 24 ottobre 1955, Foro it., Rep. 1956, voce Società, n. 476.
(7) Contra, Casanova, Società ed impresa, in Nuova riv, dir. comm., 1949, I, 1 segg.
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