sentenza 4 novembre 1987, n. 364 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 11 novembre 1987, n.47); Pres. ed est. Saja; Franchi, Sammaritano, Soc. Europa 2000; interv. Pres. cons. ministri.Ord. Comm. trib. I grado Piacenza 5 marzo 1985 (G. U., 1 a s.s., n. 17 del 1986); Comm. trib. Igrado Grosseto 14 febbraio 1986 (due) (G. U., 1 a s.s., n. 14 del 1987)Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 1457/1458-1459/1460Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181239 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Diritto. — 1. - Sono impugnati davanti a questa corte:
l'art. 1, n. 2,1. 13 giugno 1912 n. 555 (sulla cittadinanza italia
na), il quale dispone che è cittadino per nascita «il figlio di ma
dre cittadina se il padre è ignoto o non ha la cittadinanza italiana, né quella di altro Stato, ovvero se il figlio non segue la cittadi
nanza del padre straniero secondo la legge dello Stato al quale
questi appartiene»; l'art. 2, 2° comma, della stessa legge, il quale, in relazione
al 1° comma, stabilisce, ai fini della determinazione della cittadi
nanza del minore per riconoscimento o dichiarazione giudiziale della filiazione, che «è a tale effetto prevalente la cittadinanza
del padre, anche se la paternità sia riconosciuta o dichiarata po steriormente alla maternità»;
l'art. 20, 1° comma, disp. prel. c.c., in base al quale «i rappor ti fra genitori e figli sono regolati dalla legge nazionale del padre, ovvero da quella della madre se soltanto la maternità è accertata
0 se soltanto la madre ha legittimato il figlio». Ad avviso del giudice a quo le norme ora richiamate — preclu
sive, nella specie, dell'accoglimento dell'istanza di autorizzazione
ad iscrivere sul passaporto della madre, cittadina italiana, il figlio
minore, riconosciuto anche dal padre, cittadino straniero — sono
lesive di vari precetti costituzionali.
Esse, infatti, in quanto attribuiscono prevalenza alla posizione del padre ai fini dell'acquisto della cittadinanza per nascita e del
la individuazione della legge nazionale regolatrice dei rapporti fra
genitori e figli, appaiono in contrasto con il principio dell'egua
glianza e parità dei genitori (art. 3, 1° comma, Cost.), o, in caso
di matrimonio, con il principio dell'eguaglianza morale e giuridi ca dei coniugi (art. 29, 2° comma, Cost.), nonché con il diritto
dovere del genitore di educare ed istruire i figli (nella specie, me
diante viaggi all'estero) previsto dall'art. 30, 1° comma, Cost.
2. - La questione di legittimità costituzionale degli art. 1, n.2, e 2, 2° comma, 1. n. 555 del 1912 sulla cittadinanza italiana va
dichiarata manifestamente non fondata, in quanto le suddette di
sposizioni sono già state dichiarate illegittime da questa corte con
la sent. n. 30 del 1983 (Foro it., 1983, 1, 265). 3. - L'indagine deve pertanto limitarsi alla censura rivolta al
l'art. 20, 1° comma, disp. prel. c.c.
Tale disposizione stabilisce che i rapporti tra genitori e figli sono regolati dalla legge nazionale del padre, ovvero da quella della madre, se soltanto la maternità è accertata o se soltanto
la madre ha legittimato il figlio. Al fine di risolvere il conflitto tra diverse discipline astratta
mente applicabili nella materia è cosi operata una scelta di fondo — qui non censurata — a favore della legge nazionale dei genitori.
La disposizione è riferibile a varie ipotesi: che i genitori siano
noti entrambi ed abbiano una legge nazionale comune; che sia
noto un solo genitore; che siano noti entrambi i genitori e che
essi non abbiano legge nazionale comune.
Correlativamente dalla disposizione stessa sono desumibili al
meno tre norme: a) in relazione alla prima ipotesi, la norma in
virtù della quale i rapporti fra genitori e figli sono regolati dalla
legge nazionale comune dei genitori a preferenza di ogni altra
(applicazione pura e semplice della suddetta scelta di fondo); b) in relazione alla seconda ipotesi, la norma in virtù della quale 1 rapporti di cui trattasi sono regolati dalla legge del genitore noto a preferenza di ogni altra (anche questa applicazione pura e semplice della suddetta scelta di fondo); c) in relazione alla
terza ipotesi, la norma in virtù della quale i rapporti di cui si
tratta sono regolati dalla legge nazionale del padre a preferenza di quella della madre (specificazione della suddetta scelta di fon
do a favore della legge dei genitori, nel senso di integrarla con
il principio della preminenza del coniuge o del genitore maschio). 4. - Orbene, alla stregua di quanto dedotto dal giudice a quo,
oggetto di censura, per contrasto con gli art. 3 e 29 Cost., deve
ritenersi esclusivamente la norma sub c), e cioè la norma, desu
mibile dall'art. 20, 1° comma, disp. prel. c.c., secondo la quale,
diaria, il ricorso al diritto dei genitori, al fine di favorire l'acquisto dello status di figlio legittimo: art. 18 (filiazione); art. 19 (legittimazione); art. 20 (riconoscimento ed azioni di accertamento e contestazione dello stato
di figlio); art. 21 (rapporti tra genitori e figli). In questo particolare setto
re, è cosi abbandonata la tecnica legislativa basata sul modo meccanico ed astratto di operare criteri di collegamento e viene indicato, come para metro nella scelta dei criteri posti, il soddisfacimento dell'interesse con creto del figlio. [B. Poletti Di Teodoro]
Il Foro Italiano — 1988.
con riferimento all'ipotesi che siano noti entrambi i genitori e
manchi una legge nazionale ad essi comune, è sancita la prevalen za della legge nazionale del padre.
5. - La questione, come sopra proposta, è fondata.
Questa corte, con la sentenza n. 71 del 1987 (id., 1987, I, 2317) ha già esaminato analoga questione, concernente l'art. 18 preleg
gi, pervenendo a declaratoria di illegittimità costituzionale.
La censura investiva la norma di collisione contenuta nel sud
detto art. 18, in quanto stabilisce — al fine dell'individuazione
della legge regolatrice dei rapporti personali tra coniugi (nella specie si controverteva di separazione personale e divorzio) — l'applica bilità dell'ultima legge nazionale comune ai coniugi, e, in man
canza, della legge nazionale del marito al tempo del matrimonio.
La corte, dopo aver riconosciuto la sindacabilità costituzionale
delle norme di diritto internazionale privato, in quanto la norma
di collisione adotta una scelta di ordine normativo, che non può non confrontarsi con le scelte di fondo a livello costituzionale, ha rilevato che la scelta operata dall'art. 18 preleggi è senza alcun
dubbio ispirata al principio che si concreta nel riconoscimento
al marito di una posizione preminente nella famiglia, ed ha con
cluso che detto principio si pone in contrasto con le scelte di
fondo operate dall'art. 3, 1° comma, Cost., che sancisce il divie
to di ogni discriminazione fra i sessi, e dall'art. 29, 2° comma,
Cost., che pone, quale specificazione del principio precedente mente enunciato, quello dell'eguaglianza morale e giuridica dei
coniugi. Ad eguali conclusioni — sia in punto di ammissibilità del sin
dacato, sia in punto di fondatezza della questione — deve perve nirsi in ordine all'art. 20, 1° comma, preleggi, qui censurato.
Anche tale norma di collisione, infatti, compone un conflitto tra
le leggi nazionali diverse dei genitori privilegiando la legge nazio
nale del padre, e cosi operando una discriminazione nei confronti
della madre, per ragioni legate esclusivamente alla diversità di
sesso, in violazione dell'art. 3, 1° comma, Cost., e dell'art. 29, 2° comma, Cost., qualora i genitori siano uniti in matrimonio.
Resta assorbita la censura riferita all'art. 30, 1° comma, Cost.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 20, 1° comma, disp. prel. c.c., nella parte in cui, con riferimento all'ipotesi che siano noti entrambi i geni tori e manchi una legge nazionale ad essi comune, sancisce la
prevalenza della legge nazionale del padre; dichiara manifesta
mente infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 1, n. 2, e 2, 2° comma, 1. 13 giugno 1912 n. 555 (sulla citta
dinanza italiana), sollevata dal Pretore di Genova con ordinanza
emessa il 28 giugno 1982.
l« UV1 V111V.11 pvjjll, 11 iJVUUliJU
[B. Poletti Di Teodoro]
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 4 novembre 1987, n. 364
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 11 novembre 1987, n. 47); Pres. ed est. Saja; Franchi, Sammaritano, Soc. Europa 2000; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Comm. trib. I grado Piacen
za 5 marzo 1985 (G. U., la s.s., n. 17 del 1986); Comm. trib.
I grado Grosseto 14 febbraio 1986 (due) (G. U., la s.s., n.
14 del 1987).
iriouu in genere — mrceriamenio uene imposie uireiie — viola
zioni e sanzioni — Oblazione — Limitazione ai casi di consta
tazione in occasione di accessi, ispezioni e verifiche —
Incostituzionalità (Cost., art. 3; d.p.r. 29 settembre 1973 n.
600, disposizioni comuni in materia di accertamento delle im
poste sui redditi, art. 55). Tributi in genere — Accertamento delle imposte dirette — Viola
zioni e sanzioni — Dichiarazione del sostituto d'imposta —
Omessa presentazione con evasione dell'imposta — Omessa pre sentazione senza evasione dell'imposta — Trattamento non dif
ferenziato — Questione manifestamente infondata di
costituzionalità (Cost., art. 3; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, art. 47).
È illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 55, 3° com
ma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, nella parte in cui limita
la possibilità di oblazione, mediante versamento diretto all'e
sattoria di una somma pari ad un sesto del massimo della san
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1459 PARTE PRIMA 1460
zione pecuniaria, alle sole violazioni constatate in occasione di
accessi, ispezioni e verifiche, escludendola, conseguentemente, nelle ipotesi in cui dette infrazioni siano accertate in ufficio. (1)
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzio nale dell'art. 47 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, nella parte in cui prevede la stessa sanzione, senza distinguere tra mera
omissione della dichiarazione ed omissione accompagnata da
evasione dell'imposta, in riferimento all'art. 3 Cost. (2)
Diritto. — 1. - Tutte le ordinanze hanno in comune la questio ne concernente l'art. 55 d.p.r. n. 600 del 1973, ciò che rende
opportuna la riunione dei giudizi. 2. - Quanto al merito della detta questione, è necessario mette
re a confronto, come giustamente fa l'ordinanza della commis
sione piacentina, l'impugnato art. 55 d.p.r. n. 600 del 1973, con l'art. 58 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, che istituisce e disciplina l'imposta sul valore aggiunto.
L'art. 55 cit., dopo aver previsto l'applicazione di pene pecu niarie per la violazione degli obblighi stabiliti nello stesso decreto in materia di accertamento delle imposte sui redditi, stabilisce
(3° comma, 2a parte): «Se la violazione è stata constatata in oc casione di accessi, ispezioni e verifiche eseguite ai sensi dell'art.
33, la pena pecuniaria non può essere irrogata qualora, nel termi ne di trenta giorni dalla data del relativo verbale, sia stato esegui to versamento diretto all'esattoria di una somma pari ad un sesto del massimo della pena».
Disposizione del tutto analoga era contenuta nel testo origina rio dell'art. 58 cit. Senonché con d.p.r. 29 gennaio 1979 n. 24, emanato anche in attuazione della delega prevista dalla 1. 13 no vembre 1978 n. 765, riguardante l'adeguamento della disciplina dell'Iva alla normativa comunitaria, quel testo originario venne modificato e, come si legge nella relazione al d.p.r. ult. cit., la
possibilità di oblazione venne generalizzata «onde eliminare in
convenienti verificatisi nell'applicazione dell'attuale 4° comma, consentendo cosi l'oblazione stessa anche per le violazioni con statate in ufficio». Il 4° comma dell'art. 58 d.p.r. 633/72, per tanto, oggi suona cosi: «La pena pecuniaria non può essere irrogata qualora nel termine di trenta giorni dalla data del verbale di con statazione della violazione sia stata versata all'ufficio una somma
pari ad un sesto del massimo della pena». È evidente da ciò una diversità di trattamento, priva di giustifi
(1-2) Con riferimento alla questione di costituzionalità relativa al 3° comma dell'art. 55 d.p.r. 600/73, v. l'ordinanza di rinvio Comm. trib. I grado Piacenza 5 marzo 1985, Foro it., Rep. 1986, voce Tributi in genere, n. 1235.
Precedentemente, la manifesta infondatezza era stata dichiarata da Comm. trib. I grado Velletri 16 giugno 1980, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1158.
In ordine a vari profili di legittimità costituzionale degli art. 47 e 55 d.p.r. cit., la Consulta si è già pronunciata; cfr. sent. 23 maggio 1986, n. 128, id., Rep. 1986, voce cit,. nn. 1113, 1155, 1214. In particolare, come risulta in motivazione, sulla specifica questione di costituzionalità dell'art. 47 d.p.r. cit., in riferimento all'art. 3 Cost., la sentenza in epi grafe si limita a ribadire le conclusioni raggiunte in quell'occasione.
Per le ordinanze di rinvio relative alla decisione ora richiamata, v. Comm. trib. I grado Bassano del Grappa 19 marzo 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1033, e Comm. trib. I grado Imperia 8 febbraio 1984, ibid., n. 1032.
Sempre in tema di verifica della conformità al dettato costituzionale della norma citata, v. anche le recenti Comm. trib. II grado Udine 21 marzo 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1156, e Comm. trib. I grado Vigevano 18 febbraio 1985, ibid., n. 1179.
Vanno segnalate inoltre: Corte cost. 2 maggio 1985, n. 128, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1026 (con le ordinanze di rinvio Comm. trib. I grado Lamezia Terme 8 luglio 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 1027, e Comm. trib. I grado Livorno 30 gennaio 1980, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1031); Corte cost. 12 dicembre 1984, n. 289, ibid., n. 1025 (con l'ordinanza di rinvio Comm. trib. I grado Enna 3 marzo 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 1028); Corte cost. 11 aprile 1984, n. 108, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1024 (con le ordinanze di rinvio Comm. trib. I grado Udine 19 gennaio 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1190); Corte cost. 18 ottobre 1983, n. 310, id., 1983, I, 1146, con nota di richiami.
Il principio in base al quale, nel caso di omessa presentazione della dichiarazione dei sostituti d'imposta, vanno applicate le sanzioni previste dalla legge, anche quando sia stato effettuato il versamento delle ritenu te, viene confermato da Comm. trib. II grado Bergamo 13 dicembre 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1182; di opposto avviso è Comm. trib. I grado Belluno 7 febbraio 1985, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1079.
Sul punto cfr. anche Comm. trib. I grado Bergamo 15 novembre 1984, ibid., n. 1069.
II Foro Italiano — 1988.
cazione. Diversità di trattamento che si riscontra sia nell'ambito delle violazioni, accertate fuori o in ufficio, della disciplina delle
imposte sui redditi, sia tra le violazioni del d.p.r. 600/73 e quelle del d.p.r. 633/72. Quest'ultima disparità, anzi, non può essere
giustificata neppure dalla diversa natura dei tributi, diretti (impo ste sui redditi) e indiretto (iva), disciplinati dai rispettivi decreti
presidenziali, e si spiega solo con un difetto di coordinamento
dell'intervento legislativo, rimasto limitato, in sede di correzione e di adeguamento alla normativa comunitaria, al solo tributo in
diretto.
Stante il rilevato contrasto con l'art. 3 Cost., deve perciò esse re dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 55, 3° comma,
d.p.r. n. 600 del 1973, nella parte in cui limita la possibilità di
oblazione, mediante versamento diretto all'esattoria di una som ma pari ad un sesto del massimo della pena, alle sole violazioni constatate in occasione di accessi, ispezioni e verifiche eseguiti ai sensi del precedente art. 33.
È appena il caso di aggiungere che spetta ai giudici comuni stabilire se il termine di trenta giorni per effettuare l'oblazione,
previsto nello stesso 3° comma, possa decorrere non solo dalla data del verbale di constatazione ma anche, quando è il caso, dalla notifica dell'avviso di accertamento.
3. - Manifestamente infondata è invece la questione avente per oggetto l'art. 47 dello stesso d.p.r. n. 600 del 1973.
Infatti essa è stata già esaminata e dichiarata non fondata da
questa corte con sentenza n. 128 del 1986 (Foro it., Rep. 1986, voce Tributi in genere, nn. 1113, 1155, 1214), in cui si è osserva to che la dichiarazione de qua, contrariamente a quanto ritenuto nelle ordinanze di rimessione, non mira soltanto ad assicurare all'erario la quota che il sostituto trattiene al sostituito, ma altre sì' una funzione di controllo, in quanto consente agli uffici di
apprendere che il sostituito possiede fonti di reddito, mettendoli
conseguentemente in grado di verificare l'esistenza e l'entità delle
dichiarazioni che egli a sua volta è obbligato a rendere. Pertanto, sotto questo riguardo, non si tratta di mere violazioni formali, ché anzi esse rivestono un notevole rilievo sostanziale, posto che
qualsiasi omissione o ritardo della prescritta dichiarazione rende
impossibile, o almeno intralcia gravemente, la suddetta attività di controllo, cosi ledendo o mettendo in pericolo interessi mate riali dell'erario. Del resto nella citata sentenza si è osservato an cora che il giudice tributario ben può tenere conto, nella determinazione delle pene in concreto, anche dei principi dettati dall'art. 54 dello stesso decreto, che fa riferimento alla gravità del danno o del pericolo e alla pesonalità dell'autore della vio lazione.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, di chiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 55, 3° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, limitatamente alle parole «Se la viola zione è stata constatata in occasione di accessi, ispezioni e verifi che eseguiti ai sensi dell'art. 33»; dichiara manifestamente non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 stes so d.p.r., sollevata dalla Commissione tributaria di I grado di Grosseto con le ordinanze indicate in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 29 ottobre 1987, n. 353
(Gazzetta ufficiate, la serie speciale, 11 novembre 1987, n. 47); Pres. Saja, Rei. Andrioli; Fioraso c. Contrò; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato D'Amato). Ord. Pret. Torino 31 di cembre 1986 (G. U., la s.s., n. 22 del 1987).
Cosa giudicata in materia civile — Decisione secondo equità del
giudice conciliatore — Effetti sul giudizio pretorile da decidersi secondo diritto — Mancata allegazione della decisione del giu dice conciliatore — Restituzione degli atti al giudice «a quo» (Cost., art. 3, 24, 102, 106; cod. civ., art. 2909; cod. proc. civ., art. 113, 324; 1. 30 luglio 1984 n. 399, aumento dei limiti di competenza del conciliatore e del pretore, art. 3).
Vanno restituiti al giudice a quo, a causa della mancata allegazio ne al giudizio di merito della sentenza del giudice conciliatore
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