sezione I civile; sentenza 22 aprile 1989, n. 1925; Pres. Falcone, Est. Maltese, P.M. Simeone(concl. conf.); Soc. Esse (Avv. Di Gravio) c. Fall. soc. Esse ed altri. Conferma Trib. Spoleto 21maggio 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 637/638-639/640Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184529 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
onde al medesimo, ancorché debito di valuta, quell'obbligo si correla concretandosi fino alla scadenza dello spatium deliberan di nella prestazione originariamente posta dalla legge a carico del
l'assicuratore, vale a dire l'originario importo capitale dell'inden
nizzo, gli interessi e la rivalutazione monetaria entro i limiti del massimale di polizza, ed operando il decorso del detto periodo concesso dalla legge (per verificare il fondamento della pretesa risarcitoria), nel caso d'ingiustificato ritardo (o rifiuto) della pre stazione indennitaria, sul diverso piano dell'ulteriore considera
zione, oltre il limite del massimale, degli interessi e svalutazione monetaria (relativi a quel debito) per il periodo successivo, quali pregiudizi che trovano causa distinta ed autonoma nel fatto col
poso dell'assicuratore. Ne consegue che lo spatium deliberandi non funziona, come sostanzialmente vorrebbe la ricorrente, come momento d'insorgenza del suo debito indennitario verso il dan
neggiato bensì solo come discrimine dell'atteggiarsi tale debito — con i suoi strumenti ristorativi del suo originario valore mone tario e compensativi del suo mancato godimento — entro i limiti del massimale di polizza ovvero del superamento di questo, in relazione con l'ulteriore pregiudizio del danneggiato (per interessi
corrispettivi o di mora e svalutazione monetaria per il periodo
successivo), in funzione del colposo comportamento dell'assicu
ratore (v. per riferimento: Cass. 30 ottobre 1986, n. 6371, id.,
Rep. 1986, voce cit., nn. 119, 123). In tale prospettiva, quindi, la decisione del giudice d'appello,
che si è limitato alla conferma della statuizione al riguardo del
tribunale, cosi è venuta meno alla debita pronuncia — anche in
relazione alle istanze del danneggiato diversamente specificate o
limitative — non risultandone espressa la richiesta individuazione
dell'iniziale decorrenza del precisato debito dell'assicuratore —
come di conseguenza si dovrà provvedere dal giudice di rinvio — senza che, peraltro, trovi riscóntro nelle censure della ricor
rente alcuna doglianza che si attagli fondatamente alla determi
nazione degli interessi sull'indennizzo e della sua rivalutazione
concretamente operata con la cennata conferma della decisione di primo grado e cosi alla corrispondente incidenza fino alla data
dell'effettivo pagamento. Al riguardo, infatti, non può trovare positiva considerazione
la doglianza della ricorrente laddove si volge a censurare un inde
bito riconoscimento di rivalutazione ed interessi (per l'indenniz
zo) in correlazione con l'esclusa natura di debito di valore e cosi in violazione dell'art. 1224 c.c., che solo correda l'autonoma ob
bligazione risarcitoria (accessoria) dell'assicuratore per il ritarda
to pagamento dell'indennizzo, dovendosi rilevare che il giudice
d'appello, nel confermare la statuizione del giudice di primo gra do in ordine agli interessi e rivalutazione monetaria al di là del
limite del massimale di polizza al contempo riconoscendo espres samente la natura di debito di valuta per la detta posizione del
l'impresa assicuratrice, ha univocamente inteso qualificare in tal
senso la ribadita (eccedente) responsabilità della detta convenuta
oltre che per interessi anche per svalutazione monetaria, corre
landola implicitamente alla riferita norma quale sua debita disci
plina, senza che i relativi presupposti e parametri di applicazione nella concreta fattispecie abbiano ricevuto smentita o censura da
parte della ricorrente società assicuratrice.
Per contro, le censure della ricorrente approdano de plano ad
un ulteriore positivo risultato quando si rivolgono alla mancata
disamina da parte del giudice d'appello della specifica questione afferente all'oggetto del debito dell'assicuratore (su cui dovevano
ulteriormente incidere gli strumenti ex art. 1224 c.c.) in relazione
all'accantonamento per la rivalsa per spese ospedaliere ai sensi
dell'art. 28 1. n. 990 del 1969.
In proposito, invero, non doveva sfuggire che la dedotta ecce
denza dell'accantonamento, ove effettuato nei limiti e nelle con
dizioni previste dalla riferita norma, rispetto alla rivalsa concre
tamente operata dall'ente ospedaliero afferiva ai limiti dell'auto
noma obbligazione risarcitoria dell'assicuratore per gli interessi
e la rivalutazione (oltre i limiti del massimale di polizza), che
(una volta affermata quella responsabilità dal giudice di appello, disattendendo il contrario motivo di impugnazione dell'impresa
assicuratrice) venivano ad acquistare decisivo rilievo nella concre
ta determinazione di quella corrispondente posizione debitoria nei
confronti del danneggiato Molinari e nel suo necessario eziologi co correlarsi a quella violazione del dovere di correttezza e dili
genza dell'assicuratore di mettere a tempestiva disposizione del
danneggiato l'indennizzo, che ne costituisce la fonte. Anche a
tal riguardo si imponeva di conseguenza a norma dell'art. 112
Il Foro Italiano — 1990.
c.p.c. la debita pronuncia del giudice d'appello, alla cui mancan za dovrà ovviare il giudice di rinvio.
Esaurito l'esame del ricorso principale della soc. Nordsten, oc
corre premettere che nel procedere alla disamina dei ricorsi inci dentali del Molinari e del Rosati, per la connessione dei temi trat tati in alcune delle rispettive censure, gli stessi saranno al riguar do vagliati congiuntamente. (Omissis)
In conclusione delle esposte considerazioni devono trovare ac
coglimento per quanto di ragione il secondo motivo del ricorso
principale della soc. Nordsten, il secondo motivo del ricorso inci dentale del Molinari ed il secondo motivo del ricorso incidentale del Rosati, e, rigettati tutti gli altri motivi dei detti ricorsi, nei limiti indicati l'impugnata decisione della Corte d'appello di Ge nova va cassata e la causa rinviata ad altra sezione della detta corte d'appello, che procederà ad un nuovo giudizio provveden do alle specificate esigenze motivazionali ed alle richieste pronun ce secondo i principi di diritto enunciati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 22 aprile 1989, n. 1925; Pres. Falcone, Est. Maltese, P.M. Simeone
(conci, conf.); Soc. Esse (Aw. Di Gravio) c. Fall. soc. Esse ed altri. Conferma Trib. Spoleto 21 maggio 1985.
Fallimento — Liquidazione dell'attivo — Vendita di beni ritenuti
deteriorabili — Carattere di urgenza — Estremi (R.d. 16 marzo
1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 84, 104). Fallimento — Opposizione alla sentenza dichiarativa — Sospen
sione della procedura — Inammissibilità (R.d. 16 marzo 1942
n. 267, art. 18).
La vendita di beni che il giudice delegato, con valutazione non
sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto deteriorabili o de
prezzatoli ha funzione meramente conservativa del valore del
bene ed un carattere di urgenza che la sottrae al regime proces suale di cui all'art. 104, 1° comma, l. fall. (1)
La pendenza del giudizio di opposizione alla sentenza dichiarati
va di fallimento non sospende il corso della procedura falli
fi) Non si rinvengono precedenti editi. L'art. 84, 3° comma, 1. fall, attribuisce espressamente al giudice, sin
dal momento immediatamente successivo all'apposizione dei sigilli, il po tere di alienare i beni ritenuti deteriorabili o deprezzabili, escludendo cosi
questa attività dal limite previsto dal 1° comma dell'art. 104 1. fall. Di conseguenza, secondo l'uniforme orientamento dottrinale, questa
è divenuta, in applicazione del combinato disposto degli art. 84, 3° com
ma, e 104, 2° comma, 1. fall., la vendita anticipata rispetto al decreto di esecutività dello stato passivo per antonomasia: v. Cuneo, Le proce dure concorsuali, 1988, II, 1240, nota 3.
La dottrina ha più volte esaminato l'argomento sottolineandone vari
aspetti: cfr. Azzolina, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 1961, II, 855, ove estende notevolmente il concetto di «bene deteriorabile»; Pro
vinciali, Trattato di diritto fallimentare, 1974, II, 1338; Pajardi, Ma nuale di diritto fallimentare, 1986, 177, il quale ipotizza l'utilizzo della vendita immediata in tutti i casi in cui si temano generiche conseguenze dannose per il fallimento.
In ordine alla finalità conseguita con la vendita anticipata, v. Pecci e Ranzani, Problematica degli atti nella liquidazione fallimentare, in Mon.
trib., 1972, 490, che la identificano con la necessità di evitare ulteriori diminuzioni del patrimonio del fallito; Mazzocca, Manuale di diritto fal limentare, 1986, 406; contra, Bonsignori, Della liquidazione dell'attivo, in Commentario Scialoja-Branca, 1976, 20, ove si sottolinea viceversa la finalità di garantire future eventualità positive; Ferrara, Il fallimento, 1974, 516. Si è inoltre discusso in merito alla riconducibilità di questa attività nel concetto di liquidazione dell'attivo, in quanto, mentre Ferra ra (op. cit., 515), sottolineando l'incompatibilità fra la finalità conserva tiva del valore del bene e quella satisfattiva dei creditori tipica della fase
liquidativa, ha escluso una simile ipotesi, Bonsignori (Il fallimento, in Trattato dir. pubbl. e dell'econ., 1986, 638/9), pur non rinnegando lo
scopo cautelativo dell'alienazione in oggetto, ha ritenuto che questa non
precluda comunque la distribuzione del ricavato fra i creditori, giustifi cando cosi l'appartenenza della vendita di beni deteriorabili alla liquida zione dell'attivo; sulla stessa linea, Provinciali-Ragusa Maggiore, Isti tuzioni di diritto fallimentare, 1988, 556.
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PARTE PRIMA
meritare sino al passaggio in giudicato della pronuncia che de
cide sull'istanza di revoca. (2)
Svolgimento del processo. — Con provvedimento del 29 marzo
1985 il giudice delegato al fallimento dell'imprese Esse e Co. dei
fratelli Cipriani e del liquorificio Cipriani Alessandra autorizzò
la vendita di alcuni beni mobili prima della dichiarazione di ese
cutorietà dello stato passivo. Con provvedimento successivo del 22 aprile 1985, depositato
il 23 aprile, lo stesso giudice delegato rigettò l'istanza di sospen sione della vendita fallimentare, depositata I'll aprile 1985.
Con provvedimento dell'8 maggio 1985, depositato il 21 mag
gio, il Tribunale di Spoleto confermò il decreto del giudice de
legato. Contro tale provvedimento del tribunale hanno proposto ricor
so per cassazione l'impresa Esse, Adelina Cipriani e Alessandra
Cipriani, adducendo due motivi di censura.
Motivi della decisione. — Col primo mezzo i ricorrenti denun
ciano il vizio di contraddittorietà della motivazione del decreto
impugnato, perché si considera in esso conveniente la vendita,
mentre, secondo i ricorrenti, un risultato utile potrebbe essere
conseguito solo mantenendo integro il complesso aziendale, senza
procedere all'alienazione di singoli lotti.
Col secondo mezzo affermano che sarebbe vietato al curatore
alienare i beni prima dell'emanazione del decreto previsto dal
l'art. 97 1. fall, e in pendenza del giudizio di opposizione. Il ricorso è infondato. La vendita di cose ritenute deteriorabili
o deprezzabili dal giudice di merito con valutazione non sindaca
bile nel giudizio di legittimità ha una funzione meramente conser
vativa del valore del bene e un carattere, quindi, d'urgenza, che
la sottrae al regime processuale dell'art. 104 1. fall., secondo cui
si procede alla vendita solo dopo la pronuncia del decreto previ sto dall'art. 97 della stessa legge.
Inoltre, il giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di
fallimento non reagisce sul corso della procedura fallimentare fi
no alla pronuncia, passata in giudicato, in merito all'istanza di
revoca.
Infine, sostenere, come fanno i ricorrenti, che non sussisteva, in concreto, alcun pericolo di deterioramento dei beni agli effetti
dell'autorizzazione a vendere, secondo la prescrizione dell'art. 104, 2° comma, 1. fall., significa addurre un motivo di impugnazione che si risolve in una censura di merito, inammissibile in questa sede.
Sotto ogni aspetto, pertanto, il ricorso deve essere disatteso.
(2) La decisione consolida il principio interpretativo, già costante in dottrina e giurisprudenza, per il quale, qualora penda il giudizio di oppo sizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, non si può ammettere la dichiarazione di provvisoria esecutività della sentenza che revoca que st'ultimo e non si può verificare alcun rallentamento o sospensione della
procedura, la cui esecuzione è caratterizzata da una serie di atti non fa
coltativi; essa deve proseguire sino a quando la revoca della sentenza dichiarativa del fallimento non sia passata in giudicato.
In senso conforme, per la giurisprudenza di legittimità, v. Cass. 28
aprile 1973, n. 1171, Foro it., 1973, I, 3428, con nota di richiami di
Martinelli; per il merito, Trib. Bologna, decr. 22 aprile 1987, id., Rep. 1988, voce Fallimento, n. 254; Trib. Roma 30 marzo 1984, id., Rep. 1984, voce cit., n. 330; Trib. Milano 10 maggio 1984, Fallimento, 1984, 1295 (m); Trib. Roma 8 febbraio 1983, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 231: Trib. Cagliari 5 maggio 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 202, in ordine alla revoca causata dalla mancanza, al momento della dichiara
zione, del presupposto oggettivo del fallimento. Parte della giurisprudenza di merito ammette tuttavia, in alcuni casi,
la provvisoria esecutività della sentenza di revoca: v. Trib. Cagliari 17
aprile 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 220; Trib. Cagliari 1° luglio 1981, id., Rep. 1983, voce cit., n. 181, qualora la revoca sia dovuta alla mancata audizione del debitore; Trib. Grosseto 12 febbraio 1971, id., Rep. 1971, voce Esecuzione provvisoria, n. 4, che la subordina alla sussi stenza delle condizioni di cui all'art. 282 c.p.c.
Per la dottrina che richiede il passaggio in giudicato della sentenza
per la produzione di qualsiasi effetto, v. Cuneo, op. cit., 1241; Pajardi, op. cit., 175; Tedeschi, Disposizioni generali, dichiarazione di fallimen to, in Commentario Scialoja-Branca, 1974, 540/1; Ferrara, op. cit., 231; Provinciali, op. cit., I, 596/7; Satta, Diritto fallimentare, 1974, 72/3; Andrioli, Fallimento (dir. priv.), voce AA\'Enciclopedia del diritto, 1967, XVI, 358; in senso difforme Di Gravio, Esecutorietà delle sentenze di revoca o di nullità del fallimento, in Dir. fallim., 1983, I, 252, il quale, fermamente dissentendo su quanto asserito dagli altri autori, auspica l'in troduzione nella procedura fallimentare di altri mezzi idonei a tutelare la garanzia dei creditori, come per esempio il sequestro conservativo o
quello cautelare.
Il Foro Italiano — 1990.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 3 feb
braio 1989, n. 671; Pres. Brancaccio, Est. Sammartino, P.M.
Sgroi V. (conci, conf.); Morseletto (Avv. Petrini, Lievore) c. Grassi (Avv. Mozzi, Caracuzzi). Cassa App. Venezia 30
luglio 1983.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 3 feb braio 1989, n. 670; Pres. Brancaccio, Est. Sammartino, P.M.
Sgroi V. (conci, conf.); Lamprecht (Aw. Pacifici) c. Pichler
(Avv. Marucchi). Cassa App. Trento 30 giugno 1983.
Intervento in causa e litisconsorzio — Servitù — Passaggio coat
tivo — Integrazione del contraddittorio — Necessità — Fatti
specie (Cod. civ., art. 1051; cod. proc. civ., art. 102).
Nel caso in cui tra il fondo intercluso e la via pubblica si frap
pongano in consecuzione tra loro una pluralità di fondi, la do
manda diretta alla costituzione di una servitù di passaggio che
implichi l'attraversamento di quei fondi deve essere proposta nei confronti di tutti i loro proprietari in qualità di litisconsorti
necessari, tenuto conto che la sentenza emessa nei confronti di alcuno soltanto di essi non produrrebbe l'effetto che l'attore
si ripromise col domandarla, rimanendo altresì insuscettibile di
esecuzione. (1)
(1) La motivazione delle sentenze è riportata in Foro it., 1989, I, 3459, con nota di richiami. Se ne riproduce la massima per pubblicare la nota di C. Brilli.
* * *
Azione di passaggio necessario ex art. 1051 c.c. e litisconsorzio necessario.
I. - Il problema che ha occasionato entrambe le pronunce delle sezioni unite della Cassazione, è quello della costituzione di una servitù di pas saggio coattivo che, per consentire al proprietario del fondo intercluso il raggiungimento della via pubblica, comporti l'attraversamento di più fondi consecutivi, interponentisi tra il fondo intercluso e la pubblica strada.
È allora questo un caso di litisconsorzio necessario che impone all'attore
proprietario del fondo intercluso la proposizione della domanda di costi tuzione della servitù nei confronti di tutti i proprietari di quei fondi su cui dovrebbe essere tracciato il passaggio per raggiungere la via pubblica?
La costante giurisprudenza della Corte di cassazione aveva fino ad oggi negato la necessità del litisconsorzio tra tutti i proprietari dei fondi su cui il passaggio si sarebbe dovuto svolgere, riconoscendo infatti che alla causa promossa nei confronti di alcuni soltanto dei proprietari, l'attore
potrebbe far seguire successive domande giudiziali o distinti accordi con ciascuno dei proprietari rimasti estranei al giudizio al fine di realizzare
per intero il passaggio sino alla via pubblica (1). Venute ad occuparsi del problema e ravvisata la necessità dell'integra
zione del contraddittorio nei confronti di tutti i titolari di quei fondi che si susseguono sul tracciato che porta dal fondo intercluso alla via
pubblica, le sezioni unite paiono voler azzerare, con le sentenze in epigra fe, una giurisprudenza ormai consolidata da decenni per introdurre un'i
potesi nuova di litisconsorzio nel novero dei giudizi per la costituzione di una servitù di passaggio coattivo.
Su tale ripensamento deve aver avuto un certo peso la notevole diversi tà delle posizioni maturate dalla dottrina in proposito: all'opinione pre valente che, in linea con l'indirizzo giurisprudenziale oggi abbandonato, esclude la necessità del litisconsorzio tra tutti i proprietari dei terreni su cui dovrebbe aver luogo il passaggio alla via pubblica, sottolineando co me il giudizio reso nei confronti di uno solo di quei proprietari sia co
munque utile a fornire all'attore l'accesso per un primo tratto verso la via pubblica che resta comunque raggiungibile in virtù di accordi o giudi zi successivi o pregressi, si contrapponeva infatti altra autorevole lettura del problema secondo la quale in tanto può domandarsi la costituzione della servitù di passaggio coattivo, in quanto siano in giudizio tutti colo ro a carico dei quali la servitù dovrebbe giudizialmente essere realizzata,
(1) Oltre ai numerosi precedenti giurisprudenziali già citati nelle senten ze in epigrafe, si vedano Cass. 24 ottobre 1985, n. 5222, Foro it., Rep. 1985, voce Servitù, n. 8; 9 giugno 1983, n. 3958, id., Rep. 1983, voce cit., n. 14; 21 luglio 1980, n. 4778, id., Rep. 1980, voce Intervento in causa, n. 33, mentre le uniche pronunce edite che sembrano discostarsi da tale uniforme orientamento giurisprudenziale sono Cass. 5 aprile 1984, n. 2205, id., Rep. 1984, voce Servitù, n. 25 (citata anche nelle sentenze in epigrafe), nonché Cass. 14 luglio 1980, n. 4515, id., Rep. 1980, voce
cit., nn. 25, 26.
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