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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 22 aprile 1989, n....

Date post: 30-Jan-2017
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sezione I civile; sentenza 22 aprile 1989, n. 1925; Pres. Falcone, Est. Maltese, P.M. Simeone (concl. conf.); Soc. Esse (Avv. Di Gravio) c. Fall. soc. Esse ed altri. Conferma Trib. Spoleto 21 maggio 1985 Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1990), pp. 637/638-639/640 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184529 . Accessed: 28/06/2014 08:05 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.167 on Sat, 28 Jun 2014 08:05:47 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 22 aprile 1989, n. 1925; Pres. Falcone, Est. Maltese, P.M. Simeone(concl. conf.); Soc. Esse (Avv. Di Gravio) c. Fall. soc. Esse ed altri. Conferma Trib. Spoleto 21maggio 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 637/638-639/640Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184529 .

Accessed: 28/06/2014 08:05

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

onde al medesimo, ancorché debito di valuta, quell'obbligo si correla concretandosi fino alla scadenza dello spatium deliberan di nella prestazione originariamente posta dalla legge a carico del

l'assicuratore, vale a dire l'originario importo capitale dell'inden

nizzo, gli interessi e la rivalutazione monetaria entro i limiti del massimale di polizza, ed operando il decorso del detto periodo concesso dalla legge (per verificare il fondamento della pretesa risarcitoria), nel caso d'ingiustificato ritardo (o rifiuto) della pre stazione indennitaria, sul diverso piano dell'ulteriore considera

zione, oltre il limite del massimale, degli interessi e svalutazione monetaria (relativi a quel debito) per il periodo successivo, quali pregiudizi che trovano causa distinta ed autonoma nel fatto col

poso dell'assicuratore. Ne consegue che lo spatium deliberandi non funziona, come sostanzialmente vorrebbe la ricorrente, come momento d'insorgenza del suo debito indennitario verso il dan

neggiato bensì solo come discrimine dell'atteggiarsi tale debito — con i suoi strumenti ristorativi del suo originario valore mone tario e compensativi del suo mancato godimento — entro i limiti del massimale di polizza ovvero del superamento di questo, in relazione con l'ulteriore pregiudizio del danneggiato (per interessi

corrispettivi o di mora e svalutazione monetaria per il periodo

successivo), in funzione del colposo comportamento dell'assicu

ratore (v. per riferimento: Cass. 30 ottobre 1986, n. 6371, id.,

Rep. 1986, voce cit., nn. 119, 123). In tale prospettiva, quindi, la decisione del giudice d'appello,

che si è limitato alla conferma della statuizione al riguardo del

tribunale, cosi è venuta meno alla debita pronuncia — anche in

relazione alle istanze del danneggiato diversamente specificate o

limitative — non risultandone espressa la richiesta individuazione

dell'iniziale decorrenza del precisato debito dell'assicuratore —

come di conseguenza si dovrà provvedere dal giudice di rinvio — senza che, peraltro, trovi riscóntro nelle censure della ricor

rente alcuna doglianza che si attagli fondatamente alla determi

nazione degli interessi sull'indennizzo e della sua rivalutazione

concretamente operata con la cennata conferma della decisione di primo grado e cosi alla corrispondente incidenza fino alla data

dell'effettivo pagamento. Al riguardo, infatti, non può trovare positiva considerazione

la doglianza della ricorrente laddove si volge a censurare un inde

bito riconoscimento di rivalutazione ed interessi (per l'indenniz

zo) in correlazione con l'esclusa natura di debito di valore e cosi in violazione dell'art. 1224 c.c., che solo correda l'autonoma ob

bligazione risarcitoria (accessoria) dell'assicuratore per il ritarda

to pagamento dell'indennizzo, dovendosi rilevare che il giudice

d'appello, nel confermare la statuizione del giudice di primo gra do in ordine agli interessi e rivalutazione monetaria al di là del

limite del massimale di polizza al contempo riconoscendo espres samente la natura di debito di valuta per la detta posizione del

l'impresa assicuratrice, ha univocamente inteso qualificare in tal

senso la ribadita (eccedente) responsabilità della detta convenuta

oltre che per interessi anche per svalutazione monetaria, corre

landola implicitamente alla riferita norma quale sua debita disci

plina, senza che i relativi presupposti e parametri di applicazione nella concreta fattispecie abbiano ricevuto smentita o censura da

parte della ricorrente società assicuratrice.

Per contro, le censure della ricorrente approdano de plano ad

un ulteriore positivo risultato quando si rivolgono alla mancata

disamina da parte del giudice d'appello della specifica questione afferente all'oggetto del debito dell'assicuratore (su cui dovevano

ulteriormente incidere gli strumenti ex art. 1224 c.c.) in relazione

all'accantonamento per la rivalsa per spese ospedaliere ai sensi

dell'art. 28 1. n. 990 del 1969.

In proposito, invero, non doveva sfuggire che la dedotta ecce

denza dell'accantonamento, ove effettuato nei limiti e nelle con

dizioni previste dalla riferita norma, rispetto alla rivalsa concre

tamente operata dall'ente ospedaliero afferiva ai limiti dell'auto

noma obbligazione risarcitoria dell'assicuratore per gli interessi

e la rivalutazione (oltre i limiti del massimale di polizza), che

(una volta affermata quella responsabilità dal giudice di appello, disattendendo il contrario motivo di impugnazione dell'impresa

assicuratrice) venivano ad acquistare decisivo rilievo nella concre

ta determinazione di quella corrispondente posizione debitoria nei

confronti del danneggiato Molinari e nel suo necessario eziologi co correlarsi a quella violazione del dovere di correttezza e dili

genza dell'assicuratore di mettere a tempestiva disposizione del

danneggiato l'indennizzo, che ne costituisce la fonte. Anche a

tal riguardo si imponeva di conseguenza a norma dell'art. 112

Il Foro Italiano — 1990.

c.p.c. la debita pronuncia del giudice d'appello, alla cui mancan za dovrà ovviare il giudice di rinvio.

Esaurito l'esame del ricorso principale della soc. Nordsten, oc

corre premettere che nel procedere alla disamina dei ricorsi inci dentali del Molinari e del Rosati, per la connessione dei temi trat tati in alcune delle rispettive censure, gli stessi saranno al riguar do vagliati congiuntamente. (Omissis)

In conclusione delle esposte considerazioni devono trovare ac

coglimento per quanto di ragione il secondo motivo del ricorso

principale della soc. Nordsten, il secondo motivo del ricorso inci dentale del Molinari ed il secondo motivo del ricorso incidentale del Rosati, e, rigettati tutti gli altri motivi dei detti ricorsi, nei limiti indicati l'impugnata decisione della Corte d'appello di Ge nova va cassata e la causa rinviata ad altra sezione della detta corte d'appello, che procederà ad un nuovo giudizio provveden do alle specificate esigenze motivazionali ed alle richieste pronun ce secondo i principi di diritto enunciati.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 22 aprile 1989, n. 1925; Pres. Falcone, Est. Maltese, P.M. Simeone

(conci, conf.); Soc. Esse (Aw. Di Gravio) c. Fall. soc. Esse ed altri. Conferma Trib. Spoleto 21 maggio 1985.

Fallimento — Liquidazione dell'attivo — Vendita di beni ritenuti

deteriorabili — Carattere di urgenza — Estremi (R.d. 16 marzo

1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 84, 104). Fallimento — Opposizione alla sentenza dichiarativa — Sospen

sione della procedura — Inammissibilità (R.d. 16 marzo 1942

n. 267, art. 18).

La vendita di beni che il giudice delegato, con valutazione non

sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto deteriorabili o de

prezzatoli ha funzione meramente conservativa del valore del

bene ed un carattere di urgenza che la sottrae al regime proces suale di cui all'art. 104, 1° comma, l. fall. (1)

La pendenza del giudizio di opposizione alla sentenza dichiarati

va di fallimento non sospende il corso della procedura falli

fi) Non si rinvengono precedenti editi. L'art. 84, 3° comma, 1. fall, attribuisce espressamente al giudice, sin

dal momento immediatamente successivo all'apposizione dei sigilli, il po tere di alienare i beni ritenuti deteriorabili o deprezzabili, escludendo cosi

questa attività dal limite previsto dal 1° comma dell'art. 104 1. fall. Di conseguenza, secondo l'uniforme orientamento dottrinale, questa

è divenuta, in applicazione del combinato disposto degli art. 84, 3° com

ma, e 104, 2° comma, 1. fall., la vendita anticipata rispetto al decreto di esecutività dello stato passivo per antonomasia: v. Cuneo, Le proce dure concorsuali, 1988, II, 1240, nota 3.

La dottrina ha più volte esaminato l'argomento sottolineandone vari

aspetti: cfr. Azzolina, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 1961, II, 855, ove estende notevolmente il concetto di «bene deteriorabile»; Pro

vinciali, Trattato di diritto fallimentare, 1974, II, 1338; Pajardi, Ma nuale di diritto fallimentare, 1986, 177, il quale ipotizza l'utilizzo della vendita immediata in tutti i casi in cui si temano generiche conseguenze dannose per il fallimento.

In ordine alla finalità conseguita con la vendita anticipata, v. Pecci e Ranzani, Problematica degli atti nella liquidazione fallimentare, in Mon.

trib., 1972, 490, che la identificano con la necessità di evitare ulteriori diminuzioni del patrimonio del fallito; Mazzocca, Manuale di diritto fal limentare, 1986, 406; contra, Bonsignori, Della liquidazione dell'attivo, in Commentario Scialoja-Branca, 1976, 20, ove si sottolinea viceversa la finalità di garantire future eventualità positive; Ferrara, Il fallimento, 1974, 516. Si è inoltre discusso in merito alla riconducibilità di questa attività nel concetto di liquidazione dell'attivo, in quanto, mentre Ferra ra (op. cit., 515), sottolineando l'incompatibilità fra la finalità conserva tiva del valore del bene e quella satisfattiva dei creditori tipica della fase

liquidativa, ha escluso una simile ipotesi, Bonsignori (Il fallimento, in Trattato dir. pubbl. e dell'econ., 1986, 638/9), pur non rinnegando lo

scopo cautelativo dell'alienazione in oggetto, ha ritenuto che questa non

precluda comunque la distribuzione del ricavato fra i creditori, giustifi cando cosi l'appartenenza della vendita di beni deteriorabili alla liquida zione dell'attivo; sulla stessa linea, Provinciali-Ragusa Maggiore, Isti tuzioni di diritto fallimentare, 1988, 556.

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PARTE PRIMA

meritare sino al passaggio in giudicato della pronuncia che de

cide sull'istanza di revoca. (2)

Svolgimento del processo. — Con provvedimento del 29 marzo

1985 il giudice delegato al fallimento dell'imprese Esse e Co. dei

fratelli Cipriani e del liquorificio Cipriani Alessandra autorizzò

la vendita di alcuni beni mobili prima della dichiarazione di ese

cutorietà dello stato passivo. Con provvedimento successivo del 22 aprile 1985, depositato

il 23 aprile, lo stesso giudice delegato rigettò l'istanza di sospen sione della vendita fallimentare, depositata I'll aprile 1985.

Con provvedimento dell'8 maggio 1985, depositato il 21 mag

gio, il Tribunale di Spoleto confermò il decreto del giudice de

legato. Contro tale provvedimento del tribunale hanno proposto ricor

so per cassazione l'impresa Esse, Adelina Cipriani e Alessandra

Cipriani, adducendo due motivi di censura.

Motivi della decisione. — Col primo mezzo i ricorrenti denun

ciano il vizio di contraddittorietà della motivazione del decreto

impugnato, perché si considera in esso conveniente la vendita,

mentre, secondo i ricorrenti, un risultato utile potrebbe essere

conseguito solo mantenendo integro il complesso aziendale, senza

procedere all'alienazione di singoli lotti.

Col secondo mezzo affermano che sarebbe vietato al curatore

alienare i beni prima dell'emanazione del decreto previsto dal

l'art. 97 1. fall, e in pendenza del giudizio di opposizione. Il ricorso è infondato. La vendita di cose ritenute deteriorabili

o deprezzabili dal giudice di merito con valutazione non sindaca

bile nel giudizio di legittimità ha una funzione meramente conser

vativa del valore del bene e un carattere, quindi, d'urgenza, che

la sottrae al regime processuale dell'art. 104 1. fall., secondo cui

si procede alla vendita solo dopo la pronuncia del decreto previ sto dall'art. 97 della stessa legge.

Inoltre, il giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di

fallimento non reagisce sul corso della procedura fallimentare fi

no alla pronuncia, passata in giudicato, in merito all'istanza di

revoca.

Infine, sostenere, come fanno i ricorrenti, che non sussisteva, in concreto, alcun pericolo di deterioramento dei beni agli effetti

dell'autorizzazione a vendere, secondo la prescrizione dell'art. 104, 2° comma, 1. fall., significa addurre un motivo di impugnazione che si risolve in una censura di merito, inammissibile in questa sede.

Sotto ogni aspetto, pertanto, il ricorso deve essere disatteso.

(2) La decisione consolida il principio interpretativo, già costante in dottrina e giurisprudenza, per il quale, qualora penda il giudizio di oppo sizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, non si può ammettere la dichiarazione di provvisoria esecutività della sentenza che revoca que st'ultimo e non si può verificare alcun rallentamento o sospensione della

procedura, la cui esecuzione è caratterizzata da una serie di atti non fa

coltativi; essa deve proseguire sino a quando la revoca della sentenza dichiarativa del fallimento non sia passata in giudicato.

In senso conforme, per la giurisprudenza di legittimità, v. Cass. 28

aprile 1973, n. 1171, Foro it., 1973, I, 3428, con nota di richiami di

Martinelli; per il merito, Trib. Bologna, decr. 22 aprile 1987, id., Rep. 1988, voce Fallimento, n. 254; Trib. Roma 30 marzo 1984, id., Rep. 1984, voce cit., n. 330; Trib. Milano 10 maggio 1984, Fallimento, 1984, 1295 (m); Trib. Roma 8 febbraio 1983, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 231: Trib. Cagliari 5 maggio 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 202, in ordine alla revoca causata dalla mancanza, al momento della dichiara

zione, del presupposto oggettivo del fallimento. Parte della giurisprudenza di merito ammette tuttavia, in alcuni casi,

la provvisoria esecutività della sentenza di revoca: v. Trib. Cagliari 17

aprile 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 220; Trib. Cagliari 1° luglio 1981, id., Rep. 1983, voce cit., n. 181, qualora la revoca sia dovuta alla mancata audizione del debitore; Trib. Grosseto 12 febbraio 1971, id., Rep. 1971, voce Esecuzione provvisoria, n. 4, che la subordina alla sussi stenza delle condizioni di cui all'art. 282 c.p.c.

Per la dottrina che richiede il passaggio in giudicato della sentenza

per la produzione di qualsiasi effetto, v. Cuneo, op. cit., 1241; Pajardi, op. cit., 175; Tedeschi, Disposizioni generali, dichiarazione di fallimen to, in Commentario Scialoja-Branca, 1974, 540/1; Ferrara, op. cit., 231; Provinciali, op. cit., I, 596/7; Satta, Diritto fallimentare, 1974, 72/3; Andrioli, Fallimento (dir. priv.), voce AA\'Enciclopedia del diritto, 1967, XVI, 358; in senso difforme Di Gravio, Esecutorietà delle sentenze di revoca o di nullità del fallimento, in Dir. fallim., 1983, I, 252, il quale, fermamente dissentendo su quanto asserito dagli altri autori, auspica l'in troduzione nella procedura fallimentare di altri mezzi idonei a tutelare la garanzia dei creditori, come per esempio il sequestro conservativo o

quello cautelare.

Il Foro Italiano — 1990.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 3 feb

braio 1989, n. 671; Pres. Brancaccio, Est. Sammartino, P.M.

Sgroi V. (conci, conf.); Morseletto (Avv. Petrini, Lievore) c. Grassi (Avv. Mozzi, Caracuzzi). Cassa App. Venezia 30

luglio 1983.

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 3 feb braio 1989, n. 670; Pres. Brancaccio, Est. Sammartino, P.M.

Sgroi V. (conci, conf.); Lamprecht (Aw. Pacifici) c. Pichler

(Avv. Marucchi). Cassa App. Trento 30 giugno 1983.

Intervento in causa e litisconsorzio — Servitù — Passaggio coat

tivo — Integrazione del contraddittorio — Necessità — Fatti

specie (Cod. civ., art. 1051; cod. proc. civ., art. 102).

Nel caso in cui tra il fondo intercluso e la via pubblica si frap

pongano in consecuzione tra loro una pluralità di fondi, la do

manda diretta alla costituzione di una servitù di passaggio che

implichi l'attraversamento di quei fondi deve essere proposta nei confronti di tutti i loro proprietari in qualità di litisconsorti

necessari, tenuto conto che la sentenza emessa nei confronti di alcuno soltanto di essi non produrrebbe l'effetto che l'attore

si ripromise col domandarla, rimanendo altresì insuscettibile di

esecuzione. (1)

(1) La motivazione delle sentenze è riportata in Foro it., 1989, I, 3459, con nota di richiami. Se ne riproduce la massima per pubblicare la nota di C. Brilli.

* * *

Azione di passaggio necessario ex art. 1051 c.c. e litisconsorzio necessario.

I. - Il problema che ha occasionato entrambe le pronunce delle sezioni unite della Cassazione, è quello della costituzione di una servitù di pas saggio coattivo che, per consentire al proprietario del fondo intercluso il raggiungimento della via pubblica, comporti l'attraversamento di più fondi consecutivi, interponentisi tra il fondo intercluso e la pubblica strada.

È allora questo un caso di litisconsorzio necessario che impone all'attore

proprietario del fondo intercluso la proposizione della domanda di costi tuzione della servitù nei confronti di tutti i proprietari di quei fondi su cui dovrebbe essere tracciato il passaggio per raggiungere la via pubblica?

La costante giurisprudenza della Corte di cassazione aveva fino ad oggi negato la necessità del litisconsorzio tra tutti i proprietari dei fondi su cui il passaggio si sarebbe dovuto svolgere, riconoscendo infatti che alla causa promossa nei confronti di alcuni soltanto dei proprietari, l'attore

potrebbe far seguire successive domande giudiziali o distinti accordi con ciascuno dei proprietari rimasti estranei al giudizio al fine di realizzare

per intero il passaggio sino alla via pubblica (1). Venute ad occuparsi del problema e ravvisata la necessità dell'integra

zione del contraddittorio nei confronti di tutti i titolari di quei fondi che si susseguono sul tracciato che porta dal fondo intercluso alla via

pubblica, le sezioni unite paiono voler azzerare, con le sentenze in epigra fe, una giurisprudenza ormai consolidata da decenni per introdurre un'i

potesi nuova di litisconsorzio nel novero dei giudizi per la costituzione di una servitù di passaggio coattivo.

Su tale ripensamento deve aver avuto un certo peso la notevole diversi tà delle posizioni maturate dalla dottrina in proposito: all'opinione pre valente che, in linea con l'indirizzo giurisprudenziale oggi abbandonato, esclude la necessità del litisconsorzio tra tutti i proprietari dei terreni su cui dovrebbe aver luogo il passaggio alla via pubblica, sottolineando co me il giudizio reso nei confronti di uno solo di quei proprietari sia co

munque utile a fornire all'attore l'accesso per un primo tratto verso la via pubblica che resta comunque raggiungibile in virtù di accordi o giudi zi successivi o pregressi, si contrapponeva infatti altra autorevole lettura del problema secondo la quale in tanto può domandarsi la costituzione della servitù di passaggio coattivo, in quanto siano in giudizio tutti colo ro a carico dei quali la servitù dovrebbe giudizialmente essere realizzata,

(1) Oltre ai numerosi precedenti giurisprudenziali già citati nelle senten ze in epigrafe, si vedano Cass. 24 ottobre 1985, n. 5222, Foro it., Rep. 1985, voce Servitù, n. 8; 9 giugno 1983, n. 3958, id., Rep. 1983, voce cit., n. 14; 21 luglio 1980, n. 4778, id., Rep. 1980, voce Intervento in causa, n. 33, mentre le uniche pronunce edite che sembrano discostarsi da tale uniforme orientamento giurisprudenziale sono Cass. 5 aprile 1984, n. 2205, id., Rep. 1984, voce Servitù, n. 25 (citata anche nelle sentenze in epigrafe), nonché Cass. 14 luglio 1980, n. 4515, id., Rep. 1980, voce

cit., nn. 25, 26.

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