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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione III civile; sentenza 18 giugno 1987,...

Date post: 30-Jan-2017
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sezione III civile; sentenza 18 giugno 1987, n. 5366; Pres. Scribano, Est. Rebuffat, P.M. Grossi (concl. conf.); Attaguile (Avv. Maccarrone) c. Grimaldi (Avv. Mauceri). Conferma App. Catania 6 gennaio 1983 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1988), pp. 1643/1644-1647/1648 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23181268 . Accessed: 24/06/2014 21:35 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.49 on Tue, 24 Jun 2014 21:35:47 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione III civile; sentenza 18 giugno 1987, n. 5366; Pres. Scribano, Est. Rebuffat, P.M. Grossi (concl. conf.); Attaguile (Avv.

sezione III civile; sentenza 18 giugno 1987, n. 5366; Pres. Scribano, Est. Rebuffat, P.M. Grossi(concl. conf.); Attaguile (Avv. Maccarrone) c. Grimaldi (Avv. Mauceri). Conferma App. Catania6 gennaio 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 1643/1644-1647/1648Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181268 .

Accessed: 24/06/2014 21:35

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1643 PARTE PRIMA 1644

Badalotti era ancora di proprietà della cassa per la formazione

della proprietà contadina e non degli odierni ricorrenti, acquiren ti all'epoca con patto di riservato dominio. Per l'art. 1523 c.c.,

infatti, l'acquirente con riserva di proprietà da parte del vendito

re, diviene proprietario del bene acquistato soltanto con il paga mento dell'ultima rata del prezzo, onde anteriormente a tale

momento egli non può essere considerato proprietario in modo

alcuno. Conseguentemente i Badalotti alla data del rogito (27 mar

zo 1976) non avevano ancora assunto la veste di proprietari di

terreni confinanti, come richiede la legge speciale, per aver dirit

to, in concorso con le altre condizioni, alla prelazione per l'ac

quisto dei fondi confinanti offerti in vendita.

D'altronde già questa corte con la sentenza 14 giugno 1982,

n. 3630 (Foro it., Rep. 1982 voce Agricoltura, n. 107) ha ritenuto

che il diritto di prelazione (e di riscatto) riconosciuto dall'art.

7 1. n. 817 del 14 agosto 1971 al coltivatore diretto che sia pro

prietario di terreni confinanti con quelli offerti in vendita o già

venduti, non può essere esercitato, neanche in via di interpreta zione analogica, dal soggetto che abbia acquistato il fondo con

patto di riservato dominio prima del pagamento dell'ultima rata

del prezzo, e comunque, prima della scadenza del termine previ sto dalle parti per il versamento anticipato del prezzo, atteso che

nella vendita con riserva della proprietà, che può avere ad ogget to anche beni immobili, ed in cui il trasferimento del diritto reale

viene differito al momento del pagamento dell'ultima rata di prez

zo, l'acquirente, con patto di riservato dominio, quali nella spe cie erano i germani Badalotti, diventa proprietario del bene soltanto

quando il prezzo sia stato interamente versato.

Infatti, la compravendita immobiliare sottoposta alla condizio

ne sospensiva del pagamento del prezzo si inquadra nella fatti

specie della vendita con riserva della proprietà, nella quale il

trasferimento della proprietà opera ex nunc col pagamento del

l'ultima rata di prezzo, in quanto la regola generale della retroat

tività della condizione, sancita dall'art. 1360 c.c., non opera tutte

le volte che, per volontà delle parti e per la natura del rapporto,

gli effetti del contratto debbono essere riportati ad un momento

diverso da quello della conclusione del contratto (Cass. 3 aprile

1980, n. 2167, id., Rep. 1980, voce Vendita, n. 110; 14 giugno

1982, n. 3630, cit.). Alla luce della indicata giurisprudenza, risulta corretta la deci

sione dei giudici del merito i quali, sulla premessa che al momen

to del rogito Bighellini-Barzoni i germani Badalotti non rivestivano

la qualifica di proprietari del fondo confinante, hanno ritenuto

agli stessi inapplicabile l'art. 7 1. 817/71. Il rigetto del ricorso principale legittima questa corte a non

prendere in esame il ricorso incidentale condizionato dalla Barzo

ni, che resta assorbito.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 18 giu

gno 1987, n. 5366; Pres. Scribano, Est. Rebuffat, P.M. Grossi

(conci, conf.); Attaguile (Aw. Maccarrone) c. Grimaldi (Aw.

Mauceri). Conferma App. Catania 6 gennaio 1983.

Contratti agrari — Trasformazione dell'ordinamento colturale da

parte dell'affittuario contro la volontà del concedente — Riso

luzione per grave inadempimento (Cod. civ., art. 1375, 1615; 1. 3 maggio 1982 n. 203, norme sui contratti agrari, art. 5).

La trasformazione dell'ordinamento colturale operata dall'affit tuario contro la volontà del concedente, anche alla stregua del

la disciplina introdotta dall'art. 5 l. 203/82, costituisce violazione

dell'obbligo di fedeltà nell'esecuzione del contratto e dell'ob

bligo del rispetto della destinazione originaria del fondo, il pri mo quale espressione peculiare della buona fede nell'esecuzione

del contratto di cui all'art. 1375 c.c., ed il secondo perché,

fuori dei casi tassativamente previsti dall'art. 16 I. 203/82, non

è consentito all'affittuario mutare la destinazione iniziale del

fondo: e tale violazione configura un grave inadempimento che

dà luogo a risoluzione del contratto (nella specie, l'affittuario

Il Foro Italiano — 1988.

aveva piantato centoquarantasette mandorli sul fondo condot

to della complessiva estensione di ettari sette). (1)

(1) La sentenza ribadisce un orientamento della Cassazione richiamato

in motivazione (sent. 20 giugno 1985, n. 3707, Foro it., Rep. 1985, voce

Contratti agrari, n. 362; 3 novembre 1982, n. 5874, id., Rep. 1982, voce

cit., n. 98; 19 giugno 1981, n. 4048, id., Rep. 1981, voce cit., n. 219). Nel caso di specie la corte del merito aveva ritenuto l'esistenza del

grave inadempimento per avere l'affittuario piantato nel fondo, della esten

sione di ettari sette e concesso come seminativo, centoquarantasette man

dorli contro la volontà del concedente: ciò posto, aveva ritenuto la corte

del merito che, «a prescindere dalla dubbia redditività del nuovo impian to eseguito su terreni e zone non idonee e del sicuro depauperamento del terreno di per sé suscettibile di colture più appropriate e più redditi

zie», l'arbitrario comportamento dell'affittuario non era giustificato non

avendo egli adottato la procedura di autorizzazione di cui agli art. 10

ss. 1. 11/71, integrando tale comportamento un grave inadempimento con

trattuale per violazione dell'obbligo di fedeltà nell'esecuzione del contrat

to e di rispetto della destinazione iniziale stabilita dal concedente.

Pertanto, niente di nuovo rispetto ai precedenti pronunciamenti della

Corte di cassazione. Mette conto di sottolineare l'affermazione che la fedeltà nell'esecuzio

ne del contratto, come espressione peculiare della buona fede nell'esecu

zione del contratto (art. 1375 c.c.), deve permeare il rapporto di affitto

quanto qualsiasi rapporto contrattuale. Se per buona fede si intende subordinazione dell'affittuario agli inte

ressi del concedente, si è fuori dell'obbligo di solidarietà previsto dall'art.

2 Cost., oltre che in netto contrasto con gli altri principi fondamentali

della Costituzione in materia di rapporti economici, per ricadere nella

stessa ottica della fedeltà nell'esecuzione del contratto, la cui origine cor

porativa è evidente (art. 2105 c.c.): nel codice civile del 1942, invero, anche per i contratti agrari fu adottato il criterio della subordinazione

gerarchica del conduttore nei confronti del concedente, sia che il condut

tore fosse associato con il concedente (art. 2145, 2° comma, c.c.) e sia

che il conduttore quale affittuario coltivatore diretto fosse unico impren ditore (art. 1652 e 1653 c.c.).

In questa ottica, costituisce una sorta di petizione di principio l'affer

mazione che l'esecuzione dei miglioramenti, contro la volontà del conce

dente, dà luogo a risoluzione del contratto per grave inadempimento, in quanto debbono ricercarsi nei principi dell'ordinamento in materia di

responsabilità contrattuale le regole giuridiche in base alle quali ammette

re o escludere la risoluzione, anche nel caso in cui il conduttore abbia

eseguito miglioramenti senza autorizzazione. Ed in materia di contratti agrari, com'è noto, al di là dell'art. 1455

c.c. che prevede la risoluzione del contratto quando l'inadempimento è

di «non scarsa» importanza, l'art. 5 1. 203/82, riproponendo quanto già

previsto nella legislazione vincolistica, richiede che per potersi far luogo a risoluzione occorre il «grave inadempimento», per cui il miglioramento anche eseguito contro la volontà del concedente che non costituisca rile

vante pregiudizio economico per lo stesso concedente non può essere cau

sa di risoluzione. La sentenza in epigrafe assembla norme codicistiche (art. 1375, 1615

c.c.), norme più recenti (art. 5 1. 203/82) e valutazioni in fatto operate dalla corte del merito (dubbia redditività dell'impianto dei mandorli, si curo depauperamento del terreno) per sorreggere il grave inadempimento che aveva portato la stessa corte del merito a pronunciare la risoluzione del contratto.

Per quel che riguarda l'art. 1615 c.c. è da osservare che tale norma, di concerto con l'art. 1618 c.c., prevedeva la risoluzione del contratto

nel caso di mutamento della destinazione economica della cosa da parte del conduttore senza autorizzazione. Ma ora, anche a non volere conside

rare i più ampi poteri di gestione del fondo riconosciuti dall'art. 10 1.

11/71 all'affittuario, il mutamento della destinazione economica, come

già detto, deve pur sempre essere valutato sulla base della gravità o meno

dell'inadempimento, senza che tale valutazione possa essere scavalcata

dalla fedeltà nell'esecuzione del contratto che, nella sua genericità, com

prende di tutto, dal mutamento della destinazione economica della cosa

all'ingiuria nei confronti del concedente, dal furto del conduttore al man

cato pagamento del canone. Senza considerare, poi, che il mutamento della destinazione economica

della cosa non coincide certo con il più modesto mutamento parziale del

le colture praticate, come avvenuto nel caso di specie con l'impianto di

centoquarantasette mandorli sulla estensione di ettari sette concessi come

seminativo. È nota la questione che si è posta circa la fedeltà nell'esecuzione del

contratto: presente questa come causa di risoluzione del contratto nella

legislazione vincolistica, essa è assente nell'art. 5 1. 203/82; ma la Cassa zione ha più volte ritenuto che le cause di risoluzione del contratto di

cui a quest'ultima norma non sono tassative facendo quindi rivivere la

«fedeltà» (v. per tutte Cass. 13 giugno 1985, n. 3554, Foro it., 1985,

I, 2915, con nota critica di D. Bellantuono ed ivi richiami, cui adde,

Id., Risoluzione dei contratti mezzadrili (contratti agrari e fedeltà nell'e

secuzione del contratto), e, in senso contrario, Lazzaro, Risoluzione per

inadempimento, in Nuovo dir. agr., 1985, 445 e 501).

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 14 lu

glio 1979 Vincenzo Grimaldi di Nixima — proprietario assieme

al fratello Andrea di un fondo coltivato a seminativo, esteso sette

ettari, sito nella contrada SS. Sacramento del territorio di Mineo,

condotto da tempo in affitto da Giuseppe Attaguile — assumen

do che costui, di sua iniziativa, aveva parzialmente mutato il tipo

di coltura mettendo a dimora un vasto mandorleto, chiedeva alla

sezione specializzata agraria del Tribunale di Caltagirone di di

chiarare la decadenza dell'affittuario dal diritto alla proroga le

gale, per grave inadempienza contrattuale, con la di lui condanna

al rilascio del fondo. Nelle more processuali il convenuto decede

va e il giudizio veniva proseguito nei confronti degli eredi.

Con successivo ricorso, depositato il 6 agosto 1980, il Grimaldi

di Nixima conveniva innanzi alla stessa sezione il figlio dell'affit

tuario, Luigi Attaguile, deducendo che costui deteneva senza ti

tolo il fondo suddetto, avendo rinunciato alla eredità paterna;

in subordine, chiedeva dichiararsi la risoluzione del contratto di

affitto per inadempimento del conduttore, che aveva arbitraria

mente trasformato il fondo da seminativo arborato ad arborato

specializzato, con la condanna del convenuto al rilascio dell'im

mobile.

Costituitosi il contraddittorio, il convenuto Luigi Attaguile chie

deva il rigetto della domanda, deducendo di avere diritto alla

prosecuzione del rapporto di affittanza non solo perché erede del

padre, ma anche perché egli da tempo faceva parte della famiglia

coltivatrice ed era associato al padre nella coltivazione del fondo.

Negava, infine, la dedotta inadempienza contrattuale, sostenendo

che l'impianto del mandorleto consisteva nella ricostituzione del

patrimonio arboreo e, quindi, rappresentava un miglioramento

del fondo.

La sezione adita, riunite le cause, con sentenza del 20 luglio

1981, rigettava la domanda, il Grimaldi di Nixima proponeva ap

pello. Resisteva l'Attaguile. La Corte d'appello di Catania, sezio

ne specializzata per le controversie agrarie, con sentenza del 6

gennaio 1983, in riforma della pronuncia appellata dichiarava che

Luigi Attaguile non aveva diritto alla proroga legale dell'affitto

e lo condannava al rilascio del fondo a Vincenzo Grimaldi di

Nixima. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cas

sazione entrambe le parti litiganti, l'Attaguile, in via principale,

in relazione a tre motivi di censure, e il Grimaldi di Nixima, in

via incidentale condizionata, sulla base di due motivi. Vincenzo

Grimaldi di Nixima ha anche resistito con controricorso all'av

versa impugnazione e ha depositato memoria.

È stato da ultimo osservato che è semplicistico ritenere che la soppres sione della locuzione «fedeltà nell'esecuzione del contratto» nell'art. 5

1. 203/82 sia una dimenticanza del legislatore, affermandosi che la locu

zione in questione è così generica e lata da ricomprendere una gamma

quasi infinita di violazioni contrattuali, per cui la sua soppressione corri

sponde perfettamente al principio, che regge tutto il sistema legale agra

rio, della conservazione del contratto e dell'attuazione della funzione sociale

della proprietà (Busetto, Tassatività delle cause di risoluzione del con

tratto di affitto, in Riv. dir. agr., 1987, I, 412). E per le considerazioni esposte, meritavano maggiore attenzione da parte

della sentenza in epigrafe le affermazioni della corte del merito circa la

«dubbia» redditività dell'impianto dei mandorli e circa il «depaupera mento» del terreno a seguito dell'impianto stesso, per la buona ragione che sul dubbio non si può fondare la risoluzione del contratto e che il

«depauperamento» del terreno a seguito dell'impianto dei mandorli ap

pare francamente non credibile.

Lo abbiamo affermate in altre occasioni (v. mie osservazioni ad App.

Napoli, ord. 15 maggio 1986, Foro it., 1987, I, 2272, che ha sollevato

dubbi di costituzionalità sui miglioramenti non autorizzati eseguiti prima dell'entrata in vigore della 1. 203/82, nonché nostra nota ad App. Bari

26 febbraio 2986, in Riv. dir. agr., 1987, II, 21 ss.) e lo ribadiamo anche

in questa: non è legittimo gravare il concedente di un indennizzo per

miglioramenti non voluti, ma tanto non significa che il rapporto debba

necessariamente essere risolto per via della esecuzione dei miglioramenti, oltre che però quanto detto innanzi circa la rilevanza economica dell'ina

dempimento, anche per un orientamento, elaborato nel nostro ordina

mento da dottrina e giurisprudenza, secondo cui il conduttore ha la

possibilità di migliorare la cosa locata senza il consenso del locatore, pur

ché non ne modifichi la destinazione e non arrechi danno al locatore

(su questo orientamento, v. per tutti Germano, Ipoteri dell'imprenditore

agricolo su fondo altrui, Giuffrè, Milano, 1982, 176 e ivi richiami). La questione dell'indennizzo dei miglioramenti non autorizzati si porrà

alla cessazione del rapporto, ove in ipotesi il concedente voglia ritenere

quelli ancora sussistenti. [D. Bellantuono]

Il Foro Italiano — 1988.

uvv, in ìjjuiw» ii

Bellantuono]

Motivi della decisione. — Preliminarmente, si devono riunire

i ricorsi, principale e incidentale condizionato, proposti contro

la medesima sentenza della corte di Catania (art. 335 c.p.c.).

La sentenza impugnata basa sulle seguenti considerazioni l'ac

coglimento delle domande di cassazione del rapporto agrario di

affitto e di rilascio del fondo, proposte dal concedente: «...non

si è trattato di una semplice integrazione del patrimonio arboreo

del fondo coltivato a seminativo, ma di un arbitrario impianto

di mandorleto con grave pregiudizio per l'intero fondo. Infatti,

risulta dalla consulenza tecnica che il fondo in oggetto, esteso

ettari sette, era stato sin dall'origine (1938) coltivato a seminativo

con poche decine di alberi, tra cui mandorli, in parte non più

in vita durante il lungo rapporto di affitto. Il consulente, nel

1980, inoltre, accertò che nel fondo in oggetto esistevano ben

centoquarantasette alberi di mandorlo (oltre otto di olivi, uno

di fico), poste a dimora circa due anni prima della ispezione, cioè nel 1978; il resto del fondo era coltivato a seminativo. Ciò

posto, emerge evidente che, a prescindere dalla dubbia redditività

del nuovo impianto eseguito su terreni e zone non idonee dal

sicuro depauperamento del terreno di per sé suscettibile di colture

più appropriate e più redditizie, l'arbitrario comportamento del

l'affittuario non è in alcun modo giustificato soprattutto perché,

qualora esso avesse voluto adottare iniziative del genere, aveva

l'obbligo, anche contro la volontà del proprietario, di adottare

le disposizioni di cui all'art. 10 ss. 1. del 1971, n. 11, vigente a quell'epoca, che avrebbero consentito una più razionale coltura

del fondo sotto la direzione degli organi competenti. L'affittua

rio, invece, di sua iniziativa, preferendo adottare una più sempli

ce forma di trasformazione delle colture con un reddito più

immediato, ha compromesso parte del terreno in quanto una sif

fatta coltura non era stata mai nel programma di utilizzazione

del fondo. In ogni caso, il solo fatto di avere arbitrariamente

mutato radicalmente la coltura di parte del fondo costituisce di

per sé, oltre che una grave inadempienza contrattuale, una infe

dele esecuzione del contratto, con grave abuso dell'affittuario,

che non aveva mai avuto poteri dispositivi sul fondo, tranne quelli

di coltivarlo secondo le buone norme della tecnica agraria. Con

seguentemente, la inadempienza del conduttore è grave e non con

sente la prosecuzione del rapporto agrario, in quanto compromette

ed infirma la essenza del rapporto stesso».

Nei primi due motivi del ricorso principale per cassazione —

mezzi che si esaminano congiuntamente perché caratterizzati da

reciproca dipendenza — si denuncia che la sentenza impugnata

incorre in difetto di motivazione (primo motivo) e falsa applica

zione degli art. 10 e 11 1. 11 febbraio 1971 n. 11 (secondo moti

vo) nel ravvisare, nella specie, una carenza di coltivazione e una

radicale trasformazione del fondo. In realtà, si sostiene, il colti

vatore si era limitato a sostituire, ai fini di un normale ciclo di

rotazione, gli alberi di mandorlo che avevano esaurito la naturale

vitalità e tale comportamento integrava l'esecuzione di migliora

menti di ordinaria amministrazione, di competenza dell'affittuario.

Entrambi i motivi mancano di fondamento. In primo luogo,

la riportata motivazione della sentenza di appello illumina circo

stanze di fatto, accertate con consulenza tecnica, le quali, sul pia

no logico, sono perfettamente idonee e adeguate a dimostrare

la ragionevolezza dell'apprezzamento, prettamente di merito, del

mutamento radicale, compiuto arbitrariamente dall'affittuario, del

tipo di coltura di parte del fondo con grave pregiudizio dell'inte

ro predio. Tali circostanze sono l'impianto di un vasto mandorle

to (centoquarantasette alberi) in sostituzione di poche decine di

piante originariamente sparse in sette ettari di terreno, e il depau

peramento del suolo. In secondo luogo, l'irrazionalità e la dan

nosità dell'immutazione colturale, apportata dall'affittuario

unilateralmente, senza comprovata corrispondenza a programmi

regionali o tendenze di sviluppo della zona e senza il parere favo

revole dell'ispettore agrario provinciale, escludono la ravvisabili

tà, nella specie, di alcuna ipotesi di miglioramento fondiario.

Nel terzo motivo del ricorso principale, allegandosi l'erronea

applicazione dell'art. 4, lett. a), d. leg. lgt. 5 aprile 1945 n. 157,

si nega che i fatti considerati nella sentenza impugnata possano

esprimere un «grave inadempimento» dell'affittuario, secondo i

caratteri evidenziati nella giurisprudenza di questa corte.

L'avviso non può essere condiviso. La «trasformazione delle

colture» con compromissione della redditività di parte del terre

no, realizzata arbitrariamente dall'affittuario, poteva integrare più

motivi di cessazione della proroga legale, nell'apprezzamento del

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1647 PARTE PRIMA 1648

giudice del merito, a mente della disposizione sopracitata, ove

determinasse mutamento dell'originaria destinazione del fondo e,

comunque, comportando violazione dell'obbligo di fedeltà nell'e

secuzione del contratto. Questa corte ha più volte avvertito che

la cennata conseguenza, ricorrendo le dette condizioni, si poteva verificare persino in relazione a miglioramenti compiuti dall'af

fittuario senza o contro la volontà del concedente (sent. 20 giu

gno 1985, n. 3707, Foro it., Rep. 1985, voce Contratti agrari, n. 362; 3 novembre 1982, n. 5784, id., Rep. 1982, voce cit., n.

98; 17 giugno 1982, n. 3687, ibid., n. 97; 19 giugno 1981 n. 4048, id., Rep. 1981, voce cit., n. 219).

Sopravvenuto l'art. 5, 2° comma, 1. 3 maggio 1982 n. 203,

quel fatto dell'affittuario può rappresentare tuttora un grave ina

dempimento — sia pure per il diverso effetto della risoluzione

del contratto — in relazione alla medesima tipizzazione già ope rata alla stregua dalla disciplina precedente, oltreché nel quadro della ipotesi di trasgressione dell'obbligo di conservazione del fon

do, novellamente introdotta.

Quanto al perdurante rilievo giuridico, ora per la risoluzione

del contratto, delle violazioni dell'obbligo di fedeltà e dell'obbli

go di rispetto della destinazione originaria del fondo, vale consi

derare che tali comportamenti traggono il connotato

dell'antigiuridicità dall'antitesi da essi frapposta a doveri fonda

mentali del contratto in genere e di quello di affitto in specie. La fedeltà, invero, come espressione peculiare della buona fede

nell'esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), deve permeare tut

tora il rapporto di affitto quanto qualsiasi altro rapporto con

trattuale. Fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge (art. 16 1. n. 203 del 1982), il rispetto della destinazione iniziale del

fondo, poi, è dovuto pure oggi dall'affittuario, gestore di un'a

zienda altrui, nel quadro della conformità della gestione alle atti

tudini produttive specifiche del bene quali contemplate nel

momento formativo del contratto (arg. ex art. 1615, 1° comma,

c.c.). L'applicabilità dei ricordati principi normativi del codice

civile discende, nell'ipotesi considerata, sia dal fatto che la nor

ma speciale (art. 5, 2° comma, 1. n. 203 del 1982) non dà un'e

lencazione tassativa dei casi di «grave inadempimento», menzionandone «particolarmente» alcuni, sia perché nelle mate

rie non contemplate dalla legislazione speciale operano pur sem

pre, per l'unità e la completezza dell'ordinamento, le regole comuni

con esse compatibili. Dalle considerazioni esposte risulta che il ricorso principale de

v'essere respinto, perché non sorretto da motivo fondato. Siffat

ta decisione comporta l'assorbimento del ricorso incidentale

condizionato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 23 apri le 1987, n. 3932; Pres. Marziano, Est. Morsillo, P.M. Cari

sto (conci, conf.); Comune di Molfetta (Aw. Barbiera) c. Fall,

soc. Generale Mario. Conferma App. Bari 13 luglio 1981.

Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie — Amministra

zione pubblica — Assoggettabilità — Giurisdizione ordinaria — Fattispecie (Cod. civ., art. 2740, 2910; cod. proc. civ., art.

474, 555) Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie — Espropriazione

presso terzi — Dichiarazione di impignorabilità da parte del

terzo — Irrilevanza (Cod. civ., art. 2697, 2699, 2700; cod. proc.

civ., art. 543, 547, 548, 615; r.d. 3 marzo 1934 n. 383, t.u.

della legge comunale e provinciale, art. 56, 325).

In sede di esecuzione forzata nei confronti della pubblica ammi

nistrazione di sentenza di condanna al pagamento di somma

di denaro, la questione della pignorabilità del bene aggredito non incide sulla giurisdizione del giudice ordinario, rilevando

solo al diverso fine dell'eventuale fondamento del merito del

l'opposizione ad esecuzione dell'amministrazione interessata. (1)

(1) Esattamente in termini Cass. 14 febbraio 1987, n. 1609, Foro it., 1987, I, 2149, con ampia nota di richiami in tema di esecuzione forzata contro la p.a. per il pagamento di obbligazioni pecuniarie; per altri utili

Il Foro Italiano — 1988.

Nel processo di cognizione ex art. 548 e 549 c.p.c. devono essere

decise soltanto le contestazioni concernenti il credito ed è inam

missibile ogni altra questione o domanda, quale quella relativa

all'impignorabilità del credito sollevata dal terzo debitore. (2)

Svolgimento del processo. — La curatela del fallimento s.p.a. Mario Generale, creditrice del comune di Molfetta, in base a sen

tenza della Corte d'appello di Potenza, della residua somma di

lire 521.544.060 oltre gli interessi, procedeva, con atto del 2 otto

bre 1979, al pignoramento di tutte le somme a qualsiasi titolo

dovute al debitore della Banca Cattolica cooperativa di credito

fino alla concorrenza del credito.

All'udienza di comparizione la Banca Cattolica dichiarava che

il comune di Molfetta in conto cassa corrente non aveva alcun

saldo attivo, mentre in conto cassa impegni aveva fondi, fino

alla concorrenza di quanto pignorato, per residui passivi, rive

nienti da disavanzi di bilancio degli esercizi precedenti, e per one

ri previsti per l'esecuzione di opere di urbanizzazione. In qualità di tesoriere del comune, la medesima banca precisava che i su

indicati fondi avevano una destinazione specifica e vincolata in

forza di provvedimenti amministrativi e di vigenti disposizioni nor

mative.

In seguito alla contestazione mossa dalla curatela del fallimen

to, il Pretore di Molfetta rimetteva le parti dinanzi al Tribunale

di Trani, competente per valore a norma dell'art. 548 c.p.c.

(Omissis) Motivi della decisione. — Con il primo motivo di gravame il

comune denuncia l'impugnata sentenza per difetto di giurisdizio ne (art. 360, n. 1, c.p.c.) sotto il profilo che, a fronte della di

chiarazione del tesoriere comunale sulla destinazione della somma

pignorata, l'indagine circa la pignorabilità del credito, incidendo

sulla stessa possibilità di esercitare l'azione esecutiva, aveva per

oggetto un problema di giurisdizione, da risolversi negativamen

te, essendo mancata la prova del carattere privatistico del credito

pignorato. Il motivo è infondato. Dall'esame degli atti, che in virtù del

particolare vizio fatto valere queste sezioni unite hanno il potere dovere di conoscere, risulta che il terzo pignorato, tesoriere co

munale, rese la seguente dichiarazione: «In conto cassa non vi

è alcun saldo attivo risultante a favore del comune di Molfetta; in conto cassa impegni, fino a concorrenza di quanto pignorato, esistono fondi in favore del ridetto comune di Molfetta, aventi

come destinazione la liquidazione di residui passivi, rivenienti da

disavanzi di bilancio degli esercizi precedenti e di oneri previsti

per la esecuzione di opere di urbanizzazione.

«Nella qualità di tesoriere si dichiara altresì' che il saldo di cui

trattasi ha una destinazione specifica e vincolata in forza di prov

riferimenti, v. Cass. 2 settembre 1986, n. 5371, ibid., 2469 (che attribui sce al pretore in funzione di giudice del lavoro la competenza a decidere sulla opposizione ad esecuzione promossa da pubblici dipendenti) e Cass. 10 luglio 1986, n. 4496, ibid., 2470 (che considera pignorabili i crediti

per rette di degenza degli enti ospedalieri), con note di ulteriori richiami.

(2) In termini, per la limitazione dell'oggetto del giudizio di accerta mento ex art. 548 c.p.c. alla semplice esistenza o meno del credito e per la carenza di legittimazione del terzo (stante la sua estraneità al rapporto processuale) a sollevare eccezioni di impignorabilità del credito, spettanti al solo debitore esecutato: Pret. Roma 11 settembre 1981, Foro it., Rep. 1983, voce Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie, n. 22; Cass. 5 novembre 1981 n. 5827, id., Rep. 1982, voce Esecuzione forzala in

genere, n. 8 (e in Giust. civ., 1982, I, 1310, con nota di V. Fortunato, Sulla posizione processuale del «debitor debitoris» ed altre questioni in tema di processo espropriativo presso terzi)', Cass. 4 dicembre 1981, n.

6431, Foro it., Rep. 1981, voce Esecuzione forzata per obbligazioni pecu niarie, n. 32 (che, però, ammette l'intervento del terzo ex art. 105 c.p.c. per sostenere le ragioni dell'opponente e far accertare la impignorabilità del credito); 10 novembre 1979, n. 5798, id., Rep. 1980, voce cit., n. 27 (che ribadisce la improponibilità, da parte del debitore o del terzo, di ogni altra questione diversa da quella relativa all'accertamento ed al l'ammontare del debito del terzo); contra, Cass. 8 novembre 1978, nn.

5096-5098, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 25-27 (che ritengono legittimato 11 terzo a sollevare tutte le questioni inerenti al contenuto della sua dichia

razione, ivi comprese quelle concernenti la pignorabilità o l'assegnabilità della somma); 17 giugno 1974, n. 1782, id., 1974, I, 2303 (che afferma

gli stessi principi in riferimento al debitore esecutato), con nota di richiami. Sui limiti di pignorabilità delle somme di danaro di pertinenza di una

p.a., v. richiami citati nella precedente nota.

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