sezione III civile; sentenza 18 giugno 1987, n. 5366; Pres. Scribano, Est. Rebuffat, P.M. Grossi(concl. conf.); Attaguile (Avv. Maccarrone) c. Grimaldi (Avv. Mauceri). Conferma App. Catania6 gennaio 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 1643/1644-1647/1648Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181268 .
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1643 PARTE PRIMA 1644
Badalotti era ancora di proprietà della cassa per la formazione
della proprietà contadina e non degli odierni ricorrenti, acquiren ti all'epoca con patto di riservato dominio. Per l'art. 1523 c.c.,
infatti, l'acquirente con riserva di proprietà da parte del vendito
re, diviene proprietario del bene acquistato soltanto con il paga mento dell'ultima rata del prezzo, onde anteriormente a tale
momento egli non può essere considerato proprietario in modo
alcuno. Conseguentemente i Badalotti alla data del rogito (27 mar
zo 1976) non avevano ancora assunto la veste di proprietari di
terreni confinanti, come richiede la legge speciale, per aver dirit
to, in concorso con le altre condizioni, alla prelazione per l'ac
quisto dei fondi confinanti offerti in vendita.
D'altronde già questa corte con la sentenza 14 giugno 1982,
n. 3630 (Foro it., Rep. 1982 voce Agricoltura, n. 107) ha ritenuto
che il diritto di prelazione (e di riscatto) riconosciuto dall'art.
7 1. n. 817 del 14 agosto 1971 al coltivatore diretto che sia pro
prietario di terreni confinanti con quelli offerti in vendita o già
venduti, non può essere esercitato, neanche in via di interpreta zione analogica, dal soggetto che abbia acquistato il fondo con
patto di riservato dominio prima del pagamento dell'ultima rata
del prezzo, e comunque, prima della scadenza del termine previ sto dalle parti per il versamento anticipato del prezzo, atteso che
nella vendita con riserva della proprietà, che può avere ad ogget to anche beni immobili, ed in cui il trasferimento del diritto reale
viene differito al momento del pagamento dell'ultima rata di prez
zo, l'acquirente, con patto di riservato dominio, quali nella spe cie erano i germani Badalotti, diventa proprietario del bene soltanto
quando il prezzo sia stato interamente versato.
Infatti, la compravendita immobiliare sottoposta alla condizio
ne sospensiva del pagamento del prezzo si inquadra nella fatti
specie della vendita con riserva della proprietà, nella quale il
trasferimento della proprietà opera ex nunc col pagamento del
l'ultima rata di prezzo, in quanto la regola generale della retroat
tività della condizione, sancita dall'art. 1360 c.c., non opera tutte
le volte che, per volontà delle parti e per la natura del rapporto,
gli effetti del contratto debbono essere riportati ad un momento
diverso da quello della conclusione del contratto (Cass. 3 aprile
1980, n. 2167, id., Rep. 1980, voce Vendita, n. 110; 14 giugno
1982, n. 3630, cit.). Alla luce della indicata giurisprudenza, risulta corretta la deci
sione dei giudici del merito i quali, sulla premessa che al momen
to del rogito Bighellini-Barzoni i germani Badalotti non rivestivano
la qualifica di proprietari del fondo confinante, hanno ritenuto
agli stessi inapplicabile l'art. 7 1. 817/71. Il rigetto del ricorso principale legittima questa corte a non
prendere in esame il ricorso incidentale condizionato dalla Barzo
ni, che resta assorbito.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 18 giu
gno 1987, n. 5366; Pres. Scribano, Est. Rebuffat, P.M. Grossi
(conci, conf.); Attaguile (Aw. Maccarrone) c. Grimaldi (Aw.
Mauceri). Conferma App. Catania 6 gennaio 1983.
Contratti agrari — Trasformazione dell'ordinamento colturale da
parte dell'affittuario contro la volontà del concedente — Riso
luzione per grave inadempimento (Cod. civ., art. 1375, 1615; 1. 3 maggio 1982 n. 203, norme sui contratti agrari, art. 5).
La trasformazione dell'ordinamento colturale operata dall'affit tuario contro la volontà del concedente, anche alla stregua del
la disciplina introdotta dall'art. 5 l. 203/82, costituisce violazione
dell'obbligo di fedeltà nell'esecuzione del contratto e dell'ob
bligo del rispetto della destinazione originaria del fondo, il pri mo quale espressione peculiare della buona fede nell'esecuzione
del contratto di cui all'art. 1375 c.c., ed il secondo perché,
fuori dei casi tassativamente previsti dall'art. 16 I. 203/82, non
è consentito all'affittuario mutare la destinazione iniziale del
fondo: e tale violazione configura un grave inadempimento che
dà luogo a risoluzione del contratto (nella specie, l'affittuario
Il Foro Italiano — 1988.
aveva piantato centoquarantasette mandorli sul fondo condot
to della complessiva estensione di ettari sette). (1)
(1) La sentenza ribadisce un orientamento della Cassazione richiamato
in motivazione (sent. 20 giugno 1985, n. 3707, Foro it., Rep. 1985, voce
Contratti agrari, n. 362; 3 novembre 1982, n. 5874, id., Rep. 1982, voce
cit., n. 98; 19 giugno 1981, n. 4048, id., Rep. 1981, voce cit., n. 219). Nel caso di specie la corte del merito aveva ritenuto l'esistenza del
grave inadempimento per avere l'affittuario piantato nel fondo, della esten
sione di ettari sette e concesso come seminativo, centoquarantasette man
dorli contro la volontà del concedente: ciò posto, aveva ritenuto la corte
del merito che, «a prescindere dalla dubbia redditività del nuovo impian to eseguito su terreni e zone non idonee e del sicuro depauperamento del terreno di per sé suscettibile di colture più appropriate e più redditi
zie», l'arbitrario comportamento dell'affittuario non era giustificato non
avendo egli adottato la procedura di autorizzazione di cui agli art. 10
ss. 1. 11/71, integrando tale comportamento un grave inadempimento con
trattuale per violazione dell'obbligo di fedeltà nell'esecuzione del contrat
to e di rispetto della destinazione iniziale stabilita dal concedente.
Pertanto, niente di nuovo rispetto ai precedenti pronunciamenti della
Corte di cassazione. Mette conto di sottolineare l'affermazione che la fedeltà nell'esecuzio
ne del contratto, come espressione peculiare della buona fede nell'esecu
zione del contratto (art. 1375 c.c.), deve permeare il rapporto di affitto
quanto qualsiasi rapporto contrattuale. Se per buona fede si intende subordinazione dell'affittuario agli inte
ressi del concedente, si è fuori dell'obbligo di solidarietà previsto dall'art.
2 Cost., oltre che in netto contrasto con gli altri principi fondamentali
della Costituzione in materia di rapporti economici, per ricadere nella
stessa ottica della fedeltà nell'esecuzione del contratto, la cui origine cor
porativa è evidente (art. 2105 c.c.): nel codice civile del 1942, invero, anche per i contratti agrari fu adottato il criterio della subordinazione
gerarchica del conduttore nei confronti del concedente, sia che il condut
tore fosse associato con il concedente (art. 2145, 2° comma, c.c.) e sia
che il conduttore quale affittuario coltivatore diretto fosse unico impren ditore (art. 1652 e 1653 c.c.).
In questa ottica, costituisce una sorta di petizione di principio l'affer
mazione che l'esecuzione dei miglioramenti, contro la volontà del conce
dente, dà luogo a risoluzione del contratto per grave inadempimento, in quanto debbono ricercarsi nei principi dell'ordinamento in materia di
responsabilità contrattuale le regole giuridiche in base alle quali ammette
re o escludere la risoluzione, anche nel caso in cui il conduttore abbia
eseguito miglioramenti senza autorizzazione. Ed in materia di contratti agrari, com'è noto, al di là dell'art. 1455
c.c. che prevede la risoluzione del contratto quando l'inadempimento è
di «non scarsa» importanza, l'art. 5 1. 203/82, riproponendo quanto già
previsto nella legislazione vincolistica, richiede che per potersi far luogo a risoluzione occorre il «grave inadempimento», per cui il miglioramento anche eseguito contro la volontà del concedente che non costituisca rile
vante pregiudizio economico per lo stesso concedente non può essere cau
sa di risoluzione. La sentenza in epigrafe assembla norme codicistiche (art. 1375, 1615
c.c.), norme più recenti (art. 5 1. 203/82) e valutazioni in fatto operate dalla corte del merito (dubbia redditività dell'impianto dei mandorli, si curo depauperamento del terreno) per sorreggere il grave inadempimento che aveva portato la stessa corte del merito a pronunciare la risoluzione del contratto.
Per quel che riguarda l'art. 1615 c.c. è da osservare che tale norma, di concerto con l'art. 1618 c.c., prevedeva la risoluzione del contratto
nel caso di mutamento della destinazione economica della cosa da parte del conduttore senza autorizzazione. Ma ora, anche a non volere conside
rare i più ampi poteri di gestione del fondo riconosciuti dall'art. 10 1.
11/71 all'affittuario, il mutamento della destinazione economica, come
già detto, deve pur sempre essere valutato sulla base della gravità o meno
dell'inadempimento, senza che tale valutazione possa essere scavalcata
dalla fedeltà nell'esecuzione del contratto che, nella sua genericità, com
prende di tutto, dal mutamento della destinazione economica della cosa
all'ingiuria nei confronti del concedente, dal furto del conduttore al man
cato pagamento del canone. Senza considerare, poi, che il mutamento della destinazione economica
della cosa non coincide certo con il più modesto mutamento parziale del
le colture praticate, come avvenuto nel caso di specie con l'impianto di
centoquarantasette mandorli sulla estensione di ettari sette concessi come
seminativo. È nota la questione che si è posta circa la fedeltà nell'esecuzione del
contratto: presente questa come causa di risoluzione del contratto nella
legislazione vincolistica, essa è assente nell'art. 5 1. 203/82; ma la Cassa zione ha più volte ritenuto che le cause di risoluzione del contratto di
cui a quest'ultima norma non sono tassative facendo quindi rivivere la
«fedeltà» (v. per tutte Cass. 13 giugno 1985, n. 3554, Foro it., 1985,
I, 2915, con nota critica di D. Bellantuono ed ivi richiami, cui adde,
Id., Risoluzione dei contratti mezzadrili (contratti agrari e fedeltà nell'e
secuzione del contratto), e, in senso contrario, Lazzaro, Risoluzione per
inadempimento, in Nuovo dir. agr., 1985, 445 e 501).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 14 lu
glio 1979 Vincenzo Grimaldi di Nixima — proprietario assieme
al fratello Andrea di un fondo coltivato a seminativo, esteso sette
ettari, sito nella contrada SS. Sacramento del territorio di Mineo,
condotto da tempo in affitto da Giuseppe Attaguile — assumen
do che costui, di sua iniziativa, aveva parzialmente mutato il tipo
di coltura mettendo a dimora un vasto mandorleto, chiedeva alla
sezione specializzata agraria del Tribunale di Caltagirone di di
chiarare la decadenza dell'affittuario dal diritto alla proroga le
gale, per grave inadempienza contrattuale, con la di lui condanna
al rilascio del fondo. Nelle more processuali il convenuto decede
va e il giudizio veniva proseguito nei confronti degli eredi.
Con successivo ricorso, depositato il 6 agosto 1980, il Grimaldi
di Nixima conveniva innanzi alla stessa sezione il figlio dell'affit
tuario, Luigi Attaguile, deducendo che costui deteneva senza ti
tolo il fondo suddetto, avendo rinunciato alla eredità paterna;
in subordine, chiedeva dichiararsi la risoluzione del contratto di
affitto per inadempimento del conduttore, che aveva arbitraria
mente trasformato il fondo da seminativo arborato ad arborato
specializzato, con la condanna del convenuto al rilascio dell'im
mobile.
Costituitosi il contraddittorio, il convenuto Luigi Attaguile chie
deva il rigetto della domanda, deducendo di avere diritto alla
prosecuzione del rapporto di affittanza non solo perché erede del
padre, ma anche perché egli da tempo faceva parte della famiglia
coltivatrice ed era associato al padre nella coltivazione del fondo.
Negava, infine, la dedotta inadempienza contrattuale, sostenendo
che l'impianto del mandorleto consisteva nella ricostituzione del
patrimonio arboreo e, quindi, rappresentava un miglioramento
del fondo.
La sezione adita, riunite le cause, con sentenza del 20 luglio
1981, rigettava la domanda, il Grimaldi di Nixima proponeva ap
pello. Resisteva l'Attaguile. La Corte d'appello di Catania, sezio
ne specializzata per le controversie agrarie, con sentenza del 6
gennaio 1983, in riforma della pronuncia appellata dichiarava che
Luigi Attaguile non aveva diritto alla proroga legale dell'affitto
e lo condannava al rilascio del fondo a Vincenzo Grimaldi di
Nixima. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cas
sazione entrambe le parti litiganti, l'Attaguile, in via principale,
in relazione a tre motivi di censure, e il Grimaldi di Nixima, in
via incidentale condizionata, sulla base di due motivi. Vincenzo
Grimaldi di Nixima ha anche resistito con controricorso all'av
versa impugnazione e ha depositato memoria.
È stato da ultimo osservato che è semplicistico ritenere che la soppres sione della locuzione «fedeltà nell'esecuzione del contratto» nell'art. 5
1. 203/82 sia una dimenticanza del legislatore, affermandosi che la locu
zione in questione è così generica e lata da ricomprendere una gamma
quasi infinita di violazioni contrattuali, per cui la sua soppressione corri
sponde perfettamente al principio, che regge tutto il sistema legale agra
rio, della conservazione del contratto e dell'attuazione della funzione sociale
della proprietà (Busetto, Tassatività delle cause di risoluzione del con
tratto di affitto, in Riv. dir. agr., 1987, I, 412). E per le considerazioni esposte, meritavano maggiore attenzione da parte
della sentenza in epigrafe le affermazioni della corte del merito circa la
«dubbia» redditività dell'impianto dei mandorli e circa il «depaupera mento» del terreno a seguito dell'impianto stesso, per la buona ragione che sul dubbio non si può fondare la risoluzione del contratto e che il
«depauperamento» del terreno a seguito dell'impianto dei mandorli ap
pare francamente non credibile.
Lo abbiamo affermate in altre occasioni (v. mie osservazioni ad App.
Napoli, ord. 15 maggio 1986, Foro it., 1987, I, 2272, che ha sollevato
dubbi di costituzionalità sui miglioramenti non autorizzati eseguiti prima dell'entrata in vigore della 1. 203/82, nonché nostra nota ad App. Bari
26 febbraio 2986, in Riv. dir. agr., 1987, II, 21 ss.) e lo ribadiamo anche
in questa: non è legittimo gravare il concedente di un indennizzo per
miglioramenti non voluti, ma tanto non significa che il rapporto debba
necessariamente essere risolto per via della esecuzione dei miglioramenti, oltre che però quanto detto innanzi circa la rilevanza economica dell'ina
dempimento, anche per un orientamento, elaborato nel nostro ordina
mento da dottrina e giurisprudenza, secondo cui il conduttore ha la
possibilità di migliorare la cosa locata senza il consenso del locatore, pur
ché non ne modifichi la destinazione e non arrechi danno al locatore
(su questo orientamento, v. per tutti Germano, Ipoteri dell'imprenditore
agricolo su fondo altrui, Giuffrè, Milano, 1982, 176 e ivi richiami). La questione dell'indennizzo dei miglioramenti non autorizzati si porrà
alla cessazione del rapporto, ove in ipotesi il concedente voglia ritenere
quelli ancora sussistenti. [D. Bellantuono]
Il Foro Italiano — 1988.
uvv, in ìjjuiw» ii
Bellantuono]
Motivi della decisione. — Preliminarmente, si devono riunire
i ricorsi, principale e incidentale condizionato, proposti contro
la medesima sentenza della corte di Catania (art. 335 c.p.c.).
La sentenza impugnata basa sulle seguenti considerazioni l'ac
coglimento delle domande di cassazione del rapporto agrario di
affitto e di rilascio del fondo, proposte dal concedente: «...non
si è trattato di una semplice integrazione del patrimonio arboreo
del fondo coltivato a seminativo, ma di un arbitrario impianto
di mandorleto con grave pregiudizio per l'intero fondo. Infatti,
risulta dalla consulenza tecnica che il fondo in oggetto, esteso
ettari sette, era stato sin dall'origine (1938) coltivato a seminativo
con poche decine di alberi, tra cui mandorli, in parte non più
in vita durante il lungo rapporto di affitto. Il consulente, nel
1980, inoltre, accertò che nel fondo in oggetto esistevano ben
centoquarantasette alberi di mandorlo (oltre otto di olivi, uno
di fico), poste a dimora circa due anni prima della ispezione, cioè nel 1978; il resto del fondo era coltivato a seminativo. Ciò
posto, emerge evidente che, a prescindere dalla dubbia redditività
del nuovo impianto eseguito su terreni e zone non idonee dal
sicuro depauperamento del terreno di per sé suscettibile di colture
più appropriate e più redditizie, l'arbitrario comportamento del
l'affittuario non è in alcun modo giustificato soprattutto perché,
qualora esso avesse voluto adottare iniziative del genere, aveva
l'obbligo, anche contro la volontà del proprietario, di adottare
le disposizioni di cui all'art. 10 ss. 1. del 1971, n. 11, vigente a quell'epoca, che avrebbero consentito una più razionale coltura
del fondo sotto la direzione degli organi competenti. L'affittua
rio, invece, di sua iniziativa, preferendo adottare una più sempli
ce forma di trasformazione delle colture con un reddito più
immediato, ha compromesso parte del terreno in quanto una sif
fatta coltura non era stata mai nel programma di utilizzazione
del fondo. In ogni caso, il solo fatto di avere arbitrariamente
mutato radicalmente la coltura di parte del fondo costituisce di
per sé, oltre che una grave inadempienza contrattuale, una infe
dele esecuzione del contratto, con grave abuso dell'affittuario,
che non aveva mai avuto poteri dispositivi sul fondo, tranne quelli
di coltivarlo secondo le buone norme della tecnica agraria. Con
seguentemente, la inadempienza del conduttore è grave e non con
sente la prosecuzione del rapporto agrario, in quanto compromette
ed infirma la essenza del rapporto stesso».
Nei primi due motivi del ricorso principale per cassazione —
mezzi che si esaminano congiuntamente perché caratterizzati da
reciproca dipendenza — si denuncia che la sentenza impugnata
incorre in difetto di motivazione (primo motivo) e falsa applica
zione degli art. 10 e 11 1. 11 febbraio 1971 n. 11 (secondo moti
vo) nel ravvisare, nella specie, una carenza di coltivazione e una
radicale trasformazione del fondo. In realtà, si sostiene, il colti
vatore si era limitato a sostituire, ai fini di un normale ciclo di
rotazione, gli alberi di mandorlo che avevano esaurito la naturale
vitalità e tale comportamento integrava l'esecuzione di migliora
menti di ordinaria amministrazione, di competenza dell'affittuario.
Entrambi i motivi mancano di fondamento. In primo luogo,
la riportata motivazione della sentenza di appello illumina circo
stanze di fatto, accertate con consulenza tecnica, le quali, sul pia
no logico, sono perfettamente idonee e adeguate a dimostrare
la ragionevolezza dell'apprezzamento, prettamente di merito, del
mutamento radicale, compiuto arbitrariamente dall'affittuario, del
tipo di coltura di parte del fondo con grave pregiudizio dell'inte
ro predio. Tali circostanze sono l'impianto di un vasto mandorle
to (centoquarantasette alberi) in sostituzione di poche decine di
piante originariamente sparse in sette ettari di terreno, e il depau
peramento del suolo. In secondo luogo, l'irrazionalità e la dan
nosità dell'immutazione colturale, apportata dall'affittuario
unilateralmente, senza comprovata corrispondenza a programmi
regionali o tendenze di sviluppo della zona e senza il parere favo
revole dell'ispettore agrario provinciale, escludono la ravvisabili
tà, nella specie, di alcuna ipotesi di miglioramento fondiario.
Nel terzo motivo del ricorso principale, allegandosi l'erronea
applicazione dell'art. 4, lett. a), d. leg. lgt. 5 aprile 1945 n. 157,
si nega che i fatti considerati nella sentenza impugnata possano
esprimere un «grave inadempimento» dell'affittuario, secondo i
caratteri evidenziati nella giurisprudenza di questa corte.
L'avviso non può essere condiviso. La «trasformazione delle
colture» con compromissione della redditività di parte del terre
no, realizzata arbitrariamente dall'affittuario, poteva integrare più
motivi di cessazione della proroga legale, nell'apprezzamento del
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1647 PARTE PRIMA 1648
giudice del merito, a mente della disposizione sopracitata, ove
determinasse mutamento dell'originaria destinazione del fondo e,
comunque, comportando violazione dell'obbligo di fedeltà nell'e
secuzione del contratto. Questa corte ha più volte avvertito che
la cennata conseguenza, ricorrendo le dette condizioni, si poteva verificare persino in relazione a miglioramenti compiuti dall'af
fittuario senza o contro la volontà del concedente (sent. 20 giu
gno 1985, n. 3707, Foro it., Rep. 1985, voce Contratti agrari, n. 362; 3 novembre 1982, n. 5784, id., Rep. 1982, voce cit., n.
98; 17 giugno 1982, n. 3687, ibid., n. 97; 19 giugno 1981 n. 4048, id., Rep. 1981, voce cit., n. 219).
Sopravvenuto l'art. 5, 2° comma, 1. 3 maggio 1982 n. 203,
quel fatto dell'affittuario può rappresentare tuttora un grave ina
dempimento — sia pure per il diverso effetto della risoluzione
del contratto — in relazione alla medesima tipizzazione già ope rata alla stregua dalla disciplina precedente, oltreché nel quadro della ipotesi di trasgressione dell'obbligo di conservazione del fon
do, novellamente introdotta.
Quanto al perdurante rilievo giuridico, ora per la risoluzione
del contratto, delle violazioni dell'obbligo di fedeltà e dell'obbli
go di rispetto della destinazione originaria del fondo, vale consi
derare che tali comportamenti traggono il connotato
dell'antigiuridicità dall'antitesi da essi frapposta a doveri fonda
mentali del contratto in genere e di quello di affitto in specie. La fedeltà, invero, come espressione peculiare della buona fede
nell'esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), deve permeare tut
tora il rapporto di affitto quanto qualsiasi altro rapporto con
trattuale. Fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge (art. 16 1. n. 203 del 1982), il rispetto della destinazione iniziale del
fondo, poi, è dovuto pure oggi dall'affittuario, gestore di un'a
zienda altrui, nel quadro della conformità della gestione alle atti
tudini produttive specifiche del bene quali contemplate nel
momento formativo del contratto (arg. ex art. 1615, 1° comma,
c.c.). L'applicabilità dei ricordati principi normativi del codice
civile discende, nell'ipotesi considerata, sia dal fatto che la nor
ma speciale (art. 5, 2° comma, 1. n. 203 del 1982) non dà un'e
lencazione tassativa dei casi di «grave inadempimento», menzionandone «particolarmente» alcuni, sia perché nelle mate
rie non contemplate dalla legislazione speciale operano pur sem
pre, per l'unità e la completezza dell'ordinamento, le regole comuni
con esse compatibili. Dalle considerazioni esposte risulta che il ricorso principale de
v'essere respinto, perché non sorretto da motivo fondato. Siffat
ta decisione comporta l'assorbimento del ricorso incidentale
condizionato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 23 apri le 1987, n. 3932; Pres. Marziano, Est. Morsillo, P.M. Cari
sto (conci, conf.); Comune di Molfetta (Aw. Barbiera) c. Fall,
soc. Generale Mario. Conferma App. Bari 13 luglio 1981.
Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie — Amministra
zione pubblica — Assoggettabilità — Giurisdizione ordinaria — Fattispecie (Cod. civ., art. 2740, 2910; cod. proc. civ., art.
474, 555) Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie — Espropriazione
presso terzi — Dichiarazione di impignorabilità da parte del
terzo — Irrilevanza (Cod. civ., art. 2697, 2699, 2700; cod. proc.
civ., art. 543, 547, 548, 615; r.d. 3 marzo 1934 n. 383, t.u.
della legge comunale e provinciale, art. 56, 325).
In sede di esecuzione forzata nei confronti della pubblica ammi
nistrazione di sentenza di condanna al pagamento di somma
di denaro, la questione della pignorabilità del bene aggredito non incide sulla giurisdizione del giudice ordinario, rilevando
solo al diverso fine dell'eventuale fondamento del merito del
l'opposizione ad esecuzione dell'amministrazione interessata. (1)
(1) Esattamente in termini Cass. 14 febbraio 1987, n. 1609, Foro it., 1987, I, 2149, con ampia nota di richiami in tema di esecuzione forzata contro la p.a. per il pagamento di obbligazioni pecuniarie; per altri utili
Il Foro Italiano — 1988.
Nel processo di cognizione ex art. 548 e 549 c.p.c. devono essere
decise soltanto le contestazioni concernenti il credito ed è inam
missibile ogni altra questione o domanda, quale quella relativa
all'impignorabilità del credito sollevata dal terzo debitore. (2)
Svolgimento del processo. — La curatela del fallimento s.p.a. Mario Generale, creditrice del comune di Molfetta, in base a sen
tenza della Corte d'appello di Potenza, della residua somma di
lire 521.544.060 oltre gli interessi, procedeva, con atto del 2 otto
bre 1979, al pignoramento di tutte le somme a qualsiasi titolo
dovute al debitore della Banca Cattolica cooperativa di credito
fino alla concorrenza del credito.
All'udienza di comparizione la Banca Cattolica dichiarava che
il comune di Molfetta in conto cassa corrente non aveva alcun
saldo attivo, mentre in conto cassa impegni aveva fondi, fino
alla concorrenza di quanto pignorato, per residui passivi, rive
nienti da disavanzi di bilancio degli esercizi precedenti, e per one
ri previsti per l'esecuzione di opere di urbanizzazione. In qualità di tesoriere del comune, la medesima banca precisava che i su
indicati fondi avevano una destinazione specifica e vincolata in
forza di provvedimenti amministrativi e di vigenti disposizioni nor
mative.
In seguito alla contestazione mossa dalla curatela del fallimen
to, il Pretore di Molfetta rimetteva le parti dinanzi al Tribunale
di Trani, competente per valore a norma dell'art. 548 c.p.c.
(Omissis) Motivi della decisione. — Con il primo motivo di gravame il
comune denuncia l'impugnata sentenza per difetto di giurisdizio ne (art. 360, n. 1, c.p.c.) sotto il profilo che, a fronte della di
chiarazione del tesoriere comunale sulla destinazione della somma
pignorata, l'indagine circa la pignorabilità del credito, incidendo
sulla stessa possibilità di esercitare l'azione esecutiva, aveva per
oggetto un problema di giurisdizione, da risolversi negativamen
te, essendo mancata la prova del carattere privatistico del credito
pignorato. Il motivo è infondato. Dall'esame degli atti, che in virtù del
particolare vizio fatto valere queste sezioni unite hanno il potere dovere di conoscere, risulta che il terzo pignorato, tesoriere co
munale, rese la seguente dichiarazione: «In conto cassa non vi
è alcun saldo attivo risultante a favore del comune di Molfetta; in conto cassa impegni, fino a concorrenza di quanto pignorato, esistono fondi in favore del ridetto comune di Molfetta, aventi
come destinazione la liquidazione di residui passivi, rivenienti da
disavanzi di bilancio degli esercizi precedenti e di oneri previsti
per la esecuzione di opere di urbanizzazione.
«Nella qualità di tesoriere si dichiara altresì' che il saldo di cui
trattasi ha una destinazione specifica e vincolata in forza di prov
riferimenti, v. Cass. 2 settembre 1986, n. 5371, ibid., 2469 (che attribui sce al pretore in funzione di giudice del lavoro la competenza a decidere sulla opposizione ad esecuzione promossa da pubblici dipendenti) e Cass. 10 luglio 1986, n. 4496, ibid., 2470 (che considera pignorabili i crediti
per rette di degenza degli enti ospedalieri), con note di ulteriori richiami.
(2) In termini, per la limitazione dell'oggetto del giudizio di accerta mento ex art. 548 c.p.c. alla semplice esistenza o meno del credito e per la carenza di legittimazione del terzo (stante la sua estraneità al rapporto processuale) a sollevare eccezioni di impignorabilità del credito, spettanti al solo debitore esecutato: Pret. Roma 11 settembre 1981, Foro it., Rep. 1983, voce Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie, n. 22; Cass. 5 novembre 1981 n. 5827, id., Rep. 1982, voce Esecuzione forzala in
genere, n. 8 (e in Giust. civ., 1982, I, 1310, con nota di V. Fortunato, Sulla posizione processuale del «debitor debitoris» ed altre questioni in tema di processo espropriativo presso terzi)', Cass. 4 dicembre 1981, n.
6431, Foro it., Rep. 1981, voce Esecuzione forzata per obbligazioni pecu niarie, n. 32 (che, però, ammette l'intervento del terzo ex art. 105 c.p.c. per sostenere le ragioni dell'opponente e far accertare la impignorabilità del credito); 10 novembre 1979, n. 5798, id., Rep. 1980, voce cit., n. 27 (che ribadisce la improponibilità, da parte del debitore o del terzo, di ogni altra questione diversa da quella relativa all'accertamento ed al l'ammontare del debito del terzo); contra, Cass. 8 novembre 1978, nn.
5096-5098, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 25-27 (che ritengono legittimato 11 terzo a sollevare tutte le questioni inerenti al contenuto della sua dichia
razione, ivi comprese quelle concernenti la pignorabilità o l'assegnabilità della somma); 17 giugno 1974, n. 1782, id., 1974, I, 2303 (che afferma
gli stessi principi in riferimento al debitore esecutato), con nota di richiami. Sui limiti di pignorabilità delle somme di danaro di pertinenza di una
p.a., v. richiami citati nella precedente nota.
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