sezione lavoro; sentenza 11 novembre 1988, n. 6116; Pres. Zappulli, Est. Berni Canani, P.M.Fedeli (concl. diff.); Colombo ed altri (Avv. Persiani) c. Cassa di risparmio delle provincelombarde (Avv. Giorgianni, Grassetti, Fabbri). Cassa Trib. Milano 19 ottobre 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2269/2270-2283/2284Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184109 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
senza l'osservanza dell'art. 7 un licenziamento per giusta causa
o giustificato motivo effettivamente assistito dalla giusta causa
o dal giustificato motivo dedotto da parte datoriale, la nullità
del licenziamento presenterebbe la stessa inutilità di cui discorre
l'orientamento qui criticato. Infatti, il datore potrebbe immedia
tamente contestare l'addebito e intimare nuovamente il licen
ziamento.
Va altresì' rilevato che la pretesa inutilità del riconoscimento
dell'applicabilità delle garanzie dell'art. 7 al licenziamento ad nu
tum in dipendenza della situazione di libertà di scelta dei motivi
da parte datoriale trova smentita nella circostanza che il dar cor
so al canone per cui audiatur et altera pars, può consentire al
lavoratore, in caso di licenziamento disciplinare, di fornire gli opportuni chiarimenti sulla mancanza posta a base del minaccia
to recesso, si da convincere il datore di lavoro e non darvi corso.
Come tale la regola del contraddittorio è perfettamente indiffe
rente alla natura e ai presupposti possibili del potere in relazione
al cui esercizio debba previamente aver corso. E ciò perché è fun
zionale esclusivamente a scongiurare quell'esercizio. Il controllo
dei presupposti di esercizio del potere è affidato a un momento
successivo quello della impugnativa. È questo il momento che
va raccordato con la regola sostanziale dell'esercizio del potere.
Neppure convincente, a sommesso avviso di chi scrive, è la
pretesa di inferire la tesi negativa qui criticata dalla circostanza
che la manipolazione dell'art. 7, 1°, 2° e 3° comma, operata dalla Corte costituzionale con la sentenza 30 novembre 1982, n.
204, avrebbe tratto origine da giudizi a quibus concernenti fatti
specie nelle quali si controverteva di licenziamenti soggetti al re
gime limitativo della 1. 604/66 o dell'art. 18 1. 300/70. Ditalché, l'art. 7, nel testo risultante da detta sentenza interpretativa di
accoglimento, si dovrebbe intendere applicabile solo all'area di
quei licenziamenti, quasi per una sorta di incidenza del principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato.
Senonché, a parte la circostanza che il «chiesto» nel giudizio di legittimità costituzionale non può essere determinato certamente
dall'oggetto del giudizio a quo, perché ciò sarebbe incompatibile
con il fatto che l'oggetto del giudizio di legittimità è la norma
impugnata, va detto che nella sentenza 204/82 nessun elemento
si coglie che possa reputarsi significativo dell'intenzione della corte
di integrare l'art. 7 non già con riferimento all'area della sua
applicabilità, quale individuata in negativo, dall'assenza nella 1.
300/70 di qualsiasi norma limitativa, riferita alla consistenza del
l'impresa datoriale, bensì con riguardo a un'area più ristretta e
precisamente a quella nella quale non è possibile il recesso ad
nutum. Si vuole cioè sottointendere che la norma dell'art. 7 sic
come integrata dalla Corte costituzionale con riferimento al li
cenziamento disciplinare quale sanzione disciplinare appare
applicabile all'area del recesso ad nutum cosi come lo era ante
riormente per le altre sanzioni disciplinari. D'altro canto, l'insistenza della Corte costituzionale nella sud
detta sentenza sul valore di regola di civiltà del principio per cui
audiatur et altera pars corrobora l'assunto qui sostenuto. Infatti,
una volta ribadito che detta regola è indirettamente funzionale
all'esercizio del diritto di difesa del lavoratore e che quel diritto
è indifferente alla tutela che il lavoratore, successivamente all'e
sercizio del potere di recesso datoriale, potrà in ipotesi ottenere
(cioè la declaratoria della insussistenza della giusta causa o del
giustificato motivo, nell'area del licenziamento soggetto alla 1.
604/66 e all'art. 18 statuto lavoratori, la declaratoria della illicei
tà del motivo del licenziamento nell'area del recesso ad nutum),
proprio la neutralità della regola stessa rispetto all'atteggiarsi in
modo vincolato oppure non del potere risolutorio datoriale, in
duce a reputare conforme al decisum della Corte costituzionale
l'interpretazione qui sostenuta.
Quand'anche infine di intravedessero nella decisione della cor
te gli estremi per una possibile questione interpretativa in ordine
all'area di riferimento del nuovo diritto da essa creato, il valore
di regola di civiltà riconosciuto dalla corte stessa al principio au
diatur et altera pars, dovrebbe indurre a preferire, fra le due in
terpretazioni sostenibili, quella qui condivisa, come l'unica
conforme a Costituzione e segnatamente all'art. 3 e all'art. 4 di
essa. È appena il caso di chiarire che il segnalato carattere di
neutralità della garanzia de qua rispetto al presupposto del potere
di recesso datoriale, evidenzia come la situazione del lavoratore
ad nutum e di quello licenziabile solo per giusta causa o giustifi
cato motivo, non possono ricevere in materia diverso trattamento.
Il Foro Italiano — 1989.
Va dunque in conclusione affermato che l'art. 7 dello statuto
dei lavoratori e più precisamente i suoi commi 2° e 3° sono ap
plicabili al licenziamento ontologicamente disciplinare disposto nel
l'area del c.d. recesso ad nutum.
Va chiarito invece che non ha senso ipotizzare l'applicabilità nell'area in discorso della garanzia di cui al 1° comma dell'art. 7.
Invero, tale garanzia, in un sistema nel quale l'esercizio del
potere di recesso può avvenire ad nutum, avrebbe poco senso.
In proposito può riconoscersi fondatezza all'argomentare che
l'indirizzo dianzi disatteso trae dalla natura del potere risolutorio
del datore di lavoro. Ma ciò, perché la garanzia in discorso ha
come punto di riferimento, a differenza delle garanzie del 2° e
del 3° comma, non già il potere de quo all'atto in cui si è forma
ta le volontà di esercitarla per un motivo disciplinare nel datore
di lavoro, bensì' il potere stesso nella sua astrattezza. In termini
di garanzia non avrebbe senso per il lavoratore che vi sia la pub blicità di un codice disciplinare, laddove il recesso in astratto è
esercitabile pur al di fuori delle ipotesi ch'esso prevede. Viceversa — e come si è cercato di evidenziare innanzi — la
garanzia di cui ai commi 2° e 3° divengono attuali con riguardo a una concreta specificazione disciplinare del paventato recesso
datoriale.
A chiusura delle svolte considerazioni va infine precisato che
l'affermata applicabilità dell'art. 7, 2° e 3° comma, al licenzia
mento ontologicamente disciplinare nell'area del recesso ad nu
tum, va ritenuta non solo per l'ipotesi nella quale nell'eventuale
atto di comminitoria del licenziamento (sia esso scritto ovvero
orale) sia stata palesata la motivazione disciplinare del licenzia
mento; bensì pure nel caso in cui sia stata palesata una motiva
zione diversa ovvero non sia stata palesata motivazione alcuna.
Infatti, in questa seconda ipotesi vi sarà solo un problema di
difficoltà della motivazione disciplinare, ma ciò non può incidere
sull'estensione del principio qui sostenuto.
Risolta la questione interpretativa esaminata, venendo alla fat
tispecie che si giudica, va rilevato che non può dubitarsi, sia in
ragione del tenore della lettera di licenziamento, sia delle dichia
razioni rese dalle parti in libero interrogatorio (la resistente ha
precisato di non sapere se il marito contestò l'assenza ingiustifi cata alla ricorrente), sia dell'omessa allegazione del contrario in
memoria di costituzione, che alla ricorrente non venne contestato
l'addebito disciplinare prima dell'intimazione del licenziamento
e non fu quindi consentita la discolpa. E perciò indubbia appare la violazione della garanzia di cui ai commi 2° e 3° dell'art. 7.
In conseguenza, il licenziamento appare nullo (all'uopo si veda
Cass., sez. lav., sent. 8 luglio 1988 n. 4521, Foro it., 1988, I,
3592 per l'affermazione secondo cui il licenziamento disciplinare comminato in violazione dell'art. 7 è inefficace, cioè nullo). Il
rapporto di lavoro si deve pertanto reputare come non mai cessa
to e ciò comporta la condanna della resistente al pagamento delle
retribuzioni fino a oggi maturate dal dì del licenziamento. Esse
assommano a lire 6.969.600 (lire 1.089.491xmesi 6 e giorni 12).
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 11 novem
bre 1988, n. 6116; Pres. Zappuiai, Est. Berni Canani, P.M.
Fedeli (conci, diff.); Colombo ed altri (Aw. Persiani) c. Cas
sa di risparmio delle province lombarde (Aw. Giorgianni, Gras
setti, Fabbri). Cassa Trib. Milano 19 ottobre 1984.
Lavoro (contratto collettivo) — Successione di contratti collettivi — Disposizione di diritti dei lavoratori sorti sulla base di prece dente contratto collettivo — Limiti — Fattispecie.
In difetto di specifico mandato, o di adesione o ratifica degli interessati, il contratto collettivo non può incidere su diritti sorti,
in capo alle parti del rapporto di lavoro, per l'avvenuto perfe
zionamento delle corrispondenti fattispecie costitutive e comun
que per effetto di prestazioni eseguite durante la vigenza di
un precedente contratto collettivo (in applicazione dell'enun
ciato principio, è stata ritenuta illegittima la modifica in peius,
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2271 PARTE PRIMA 2272
apportata da un contratto collettivo, al trattamento pensioni stico integrativo istituito da una precedente fonte collettiva). (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Milano,
depositato il 6 giugno 1983, Ferruccio Colombo, Fedele Frigerio,
Luigi Ghislandi, Pierino Sacchi, Giuseppe Sala, Mario Scossa e
Mario Secchi già dipendenti della Cassa di risparmio delle pro vince lombarde (Cariplo) collocati a riposo tra il 1964 e il 1969,
esponevano: di essere titolari, a norma degli art. 1 e 15 dell'ac
cordo 9 maggio 1960 per il trattamento di previdenza e quiescen za del personale della Cariplo, di pensione sostitutiva dell'Inps, a carico di apposito fondo per le pensioni, e di pensione integra
tiva, a carico della stessa Cariplo; che l'accordo, confermato da
un altro del 9 aprile 1962, aveva recepito le delibere adottate dal
la commissione provvisoria di reggenza amministrativa della cas
sa I'll agosto 1945 e il 28 agosto 1946, con le quali si era inteso
ristabilire l'equilibrio proporzionale fra il trattamento economico
del personale in servizio e quello del personale pensionato, altera
to dalle voci retributive istituite nel periodo bellico; che con tali
delibere era stata infatti istituita una integrazione tale da assicu
rare un trattamento pensionistico complessivo pari all'SOVo, poi divenuto 85%, del complessivo normale trattamento economico
annuale del personale in servizio, e cosi allineato all'andamento
della retribuzione goduta dal personale di pari grado, indipen dentemente dalla data di estinzione del rapporto; che la disciplina fissata dall'accordo del 1960 era stata successivamente modificata
in senso peggiorativo poiché con accordi sindacali del 26 novem
bre 1971 e 29 marzo 1974 era stato disposto il congelamento del
premio di produzione ai livelli goduti alla data di cessazione del
rapporto, e con accordo economico nazionale del 17 gennaio 1983
da un lato era stata esclusa la computabilità di una erogazione
(1) L'elaborata decisione si segnala come un ulteriore e chiarificatore intervento in materia di limiti al mantenimento, da parte dei lavoratori, di diritti sorti dalla contrattazione collettiva, in presenza della successione tra le fonti contrattuali collettive (sulla problematica della conservazione dei c.d. diritti quesiti nella successione di diverse regolamentazioni collet
tive, nell'ambito di una riflessione di carattere più generale sul c.d. pote re dispositivo dell'autonomia collettiva, v., da ultimo, P. Lambertucci, Brevi considerazioni sul c.d. potere dispositivo dell'autonomia collettiva
dinanzi alla pluralità di «modelli» della contrattazione collettiva (nota a Cass. 21 aprile 1987, n. 3899, 21 gennaio 1987, n. 537, 13 dicembre
1986, n. 7483, e Trib. Padova 20 gennaio 1987), in Foro it., 1988, I, 528, ed ivi richiami dottrinali e giurisprudenziali; adde Cass. 2 aprile 1987, n. 3214, id., Rep. 1987, voce Lavoro (contratto), n. 60; 4 febbraio 1987, n. 1085, ibid., n. 42; 28 giugno 1988, n. 4323, Notiziario giur. lav., 1988, 605; 24 maggio 1988, n. 3592, Mass. giur. lav., 1988, 629; 27 gennaio 1988, n. 719, Riv. it. dir. lav., 1988, II, 910, con nota di A. Maresca, Ancora sulla disponibilità in sede collettiva di diritti individuali).
In particolare, la decisione della Cassazione, nell'esaminare una fatti
specie riguardante la modifica in peius di un trattamento pensionistico integrativo, costituito a beneficio del personale della Cariplo in via con
venzionale, affronta, sul piano dogmatico, le possibili linee di demarca zione tra situazioni giuridiche definite — e, come tali, intangibili da parte della contrattazione collettiva — e norme collettive suscettibili di modifi ca in sede di rinnovo del contratto collettivo. Il Supremo collegio sottoli nea che la prestazione di lavoro si caratterizza come una prestazione di durata e le prestazioni di durata, ad esecuzione periodica o continuativa, non vanno considerate unitariamente, ma come sequenza di prestazioni tra loro autonome. Ne consegue che, a parere della Corte di cassazione, il rinnovo anticipato del contratto collettivo, dettando nuove regole per il rapporto di lavoro, può modificare le condizioni e le modalità di svol
gimento futuro della prestazione di lavoro e delle corrispondenti contro
prestazioni; viceversa, non può influire sulle prestazioni già eseguite, né
può modificare, in difetto di specifico mandato o di successiva adesione o ratifica degli interessati, i diritti sorti, per l'avvenuto perfezionamento delle corrispondenti fattispecie costitutive, durante la vigenza ed in forza di un precedente contratto collettivo. Nel far applicazione del suddetto
principio la decisione in epigrafe giunge a conclusioni diverse da Cass. 16 gennaio 1986, n. 260 (Foro it., 1986, I, 931 con nota di P. Curzio), per la quale la clausola di un contratto collettivo che prevede «sommini strazioni in natura» a favore di pensionati rivestirebbe natura di contrat to a favore di terzi, qualificabile come clausola obbligatoria e modificabile in peius da contratti collettivi successivi. Viceversa, secondo la decisione in epigrafe, il diritto alla pensione integrativa nasce al momento del col locamento in quiescenza, momento nel quale si perfeziona la fattispecie costitutiva, che non può essere influenzata, contro la volontà del titolare, da accordi collettivi successivi.
Il Foro Italiano — 1989.
una tantum relativa ad arretrati di retribuzione per l'anno 1982,
dall'altro erano state accorpate sotto la voce «indennità di men
sa» anche l'indennità di caropane ed il contributo pasti; già rite
nute pensionabili le prime due, non pensionabile la terza, che
a seguito dell'unificazione avrebbe dovuto anch'essa essere com
putata. Chiedevano, quindi, che fosse dichiarata l'illegittimità e
l'inefficacia nei loro confronti della suddetta disciplina peggiora tiva introdotta dagli art. 3, 5, 7 e 9 degli accordi aziendali del
26 novembre 1971 e del 29 marzo 1974 e con l'art. 1 quater del
l'accordo economico nazionale del 17 gennaio 1983, con la con
danna della Cariplo al pagamento degli arretrati di pensione
corrispondenti ai suddetti titoli, con interessi e rivalutazione.
Costituendosi, la Cariplo contestava l'interpretazione degli ac
cordi aziendali prospettata dai ricorrenti, sostenendo che il nor
male trattamento economico da considerare per il computo della
pensione non coincideva con l'intera retribuzione ma con le voci
tassativamente specificate nell'accordo del 1960, e che in ogni caso né il premio di rendimento, né l'indennità una tantum pote
vano, per difetto di costanza e necessità, far parte della normale
retribuzione; mentre nell'indennità di mensa erano rimaste distin
te le singole componenti. Eccepiva, inoltre, la prescrizione della
pretesa di riliquidare l'integrazione sul premio di rendimento per essere decorso oltre un decennio dalla costituzione del preteso diritto.
Con sentenza del 26 ottobre 1983 il pretore adito rigettava la
domanda, accogliendo l'eccezione di prescrizione relativa al pre mio di rendimento e ritenendo, nel merito, tassativo l'originario elenco di voci retributive pensionabili, e globalmente migliorative le modifiche introdotte dai successivi accordi collettivi.
Avverso la pronunzia i soccombenti proponevano appello, cui
resisteva la Cariplo. Con sentenza 18 maggio - 19 ottobre 1984 il Tribunale di Mila
no rigettava il gravame, confermando la decisione impugnata. Considerava il tribunale, in riferimento alla esclusione, negli
accordi del 1971 e 1974, del premio di rendimento dalla base di
computo del trattamento pensionistico; che l'accordo del 9 mag
gio 1960 aveva fissato all'art. 5 la pensione degli ex-dipendenti della Cariplo nell'85% del normale trattamento economico godu to dai pari grado ancora in servizio, allineando in tal modo il
livello della pensione alla dinamica contrattuale; che lo stesso ac
cordo aveva indicato nell'art. 7, «in base all'attuale struttura del
la retribuzione, le voci del trattamento economico del personale in servizio computabili ai fini del calcolo del trattamento pensio nistico di cui al precedente art. 5...»; che una lettura secondo
normalità e ragionevolezza del combinato disposto dei due arti
coli (costituenti l'uno la norma fondamentale, l'altro una meta
norma contenente i criteri di decodifica della prima) portava a
ritenere che la base di computo del trattamento pensionistico in
tegrativo fosse una nozione convenzionale di retribuzione, non
onnicomprensiva ma tassativamente stabilita dalle parti, nell'art.
7, in relazione alla struttura retributiva in atto; che esattamente,
quindi, la Cariplo si era richiamata alla comune volontà delle
parti, desumibile sia da una interpretazione complessiva delle clau
sole contrattuali, sia dal comportamento tenuto dopo la stipula zione dell'accordo del 1960.
Osservava, quindi, che non vi era stata nella specie una modifi
ca in peius di tale accordo collettivo, ma un miglioramento; e
in ogni caso un trattamento di pensione integrativo, fondato su
una fonte collettiva, è illimitatamente modificabile dalle stesse
fonti collettive che lo hanno istituito; che risultavano assorbite
le questioni relative alla pretesa illegittimità dell'accordo del 1983
nella parte in cui escludeva dalla base di computo del trattamento
integrativo l'indennità una tantum, considerata del tutto occasio
nale e diretta a compensare forfetariamente i lavoratori con rife
rimento ai tempi tecnici occorsi per rinnovare i precedenti accordi, nonché nella parte in cui disponeva l'accorpamento sotto la voce
«indennità di mensa» delle due indennità già pensionabili. Avverso la decisione del tribunale hanno proposto ricorso per
cassazione, affidato a cinque mezzi di annullamento, Ferruccio
Colombo, Fedele Frigerio, Luigi Ghislandi, Giuseppe Sala, Ma rio Scossa e Mario Secchi, nonché Giancarlo Sacchi, erede di Pie
rino Sacchi, nel frattempo deceduto. Resiste la Cariplo con
controricorso, e propone a sua volta ricorso incidentale, sorretto
da due motivi, condizionato all'accoglimento del ricorso princi
pale. Le parti hanno depositato memorie illustrative. All'udienza
dell'8 maggio 1987 questa corte, rilevato che il ricorso proposto
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
per la parte deceduta da Giancarlo Sacchi non era stato notifica
to agli altri coeredi, ordinava l'integrazione del contraddittorio, a cura delle parti, nei confronti di Enzo, Edoardo e Carlo Sacchi.
Motivi della decisione. — Va preliminarmente disposta la riu
nione del ricorso principale e di quello incidentale, proposti con
tro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.). Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia viola
zione degli art. 1362 ss., in relazione agli art. 5 e 7 dell'accordo
per il trattamento di previdenza e quiescenza per il personale del
la Cariplo del 9 maggio 1960, all'accordo 9 aprile 1962 ed agli art. 3, 5, 7, 9 degli accordi del 26 novembre 1971 e 29 marzo
1974, nonché difetto e contraddittorietà di motivazione, per ave
re il tribunale erroneamente ed apoditticamente escluso che negli accordi del 1960 e del 1962 fosse previsto l'agganciamento co
stante del trattamento pensionistico al complessivo trattamento
economico goduto dai pari grado in servizio, non considerando
che l'attribuzione di esclusivo rilievo all'elencazione delle voci re
tributive pensionabili contenuta nell'art. 7 dell'accordo del 1960
rendeva irrilevante e privo di significato, in violazione dei canoni
di cui agli art. 1363 e 1367 c.c., il principio, affermato nel 1°
e precisato nel 2° comma dell'art. 5 dello stesso accordo, secon
do il quale il trattamento pensionistico integrativo doveva essere
costantemente ragguagliato al complessivo e normale trattamento
economico dei pari grado in servizio, si che ogni variazione di
questo, determinata da voci riconducibili al concetto di normale
trattamento economico doveva essere ricompresa nella base di com
puto della pensione; che l'elencazione di voci retributive pensio nabili è espressamente riferita, nell'art. 7, all'attuale struttura della
retribuzione, sì da costituire, presupponendo l'incidenza sul trat
tamento pensionistico di ogni variazione (compresa l'istituzione
di nuove voci retributive) di tale struttura, una mera applicazione
contingente del principio fissato nell'art. 5; che, di conseguenza, la norma dell'art. 5 non si esaurisce in una enunciazione di prin
cipio, ma detta un meccanismo idoneo a rendere determinabile
in ogni momento l'entità della pensione integrativa, sulla base
di una precisa nozione di trattamento normale complessivo chia
ramente identificabile in quello percepito per le ordinarie presta zioni di servizio (esclusi, cioè, compensi quali, ad es., quelli per il lavoro straordinario o festivo); che l'art. 7 si risolve in una
elencazione esemplificativa, e variabile in funzione dei mutamenti
nella struttura della retribuzione, sicché da un lato la disposizio ne non può applicarsi a voci che successivamente vengano ad in
tegrare tale struttura, per le quali deve farsi riferimento unicamente
alla clausola generale dell'art. 5, dall'altro neppure può preclude
re, per le voci già esistenti alla data di stipulazione dell'accordo
ma non comprese nell'elencazione, l'inserimento nella base pen sionabile una volta che esse abbiano acquisito, come avvenuto
per l'indennità di caropane e quella di mensa, carattere retributi
vo per la successiva evoluzione della giurisprudenza e della con
trattazione collettiva; che la norma dell'art. 5 era stata dettata,
come risultava anche dal collegamento con le delibere del 1946
e 1949 in essa recepite, proprio dall'intento di garantire l'equili brio proporzionale tra il trattamento economico del personale in
servizio e quello del personale in quiescenza, già assicurato in
precedenza ai pensionati dalla cassa, ma rimasto alterato durante
il periodo bellico; che, del resto, nell'art. 4 dell'accordo si preci
sa, ai diversi fini della liquidazione delle prestazioni a carico del
fondo pensioni, che le voci retributive computabili sono unica
mente quelle ivi indicate, senza alcun riferimento all'attuale strut
tura delle retribuzioni.
Si lamenta inoltre che il tribunale non abbia tenuto conto delle
citate delibere del 1946 e 1949, costituenti gli antecedenti storici
dell'accordo del 1960, né della disciplina dettata dagli accordi
del 1971 e 1974, indicante che anche ai fini delle prestazioni del
fondo pensioni le parti avevano finito con il rinunciare ad una
elencazione tassativa in favore di una enunciazione aperta all'in
serimento di nuove voci, in conformità di una nozione di retribu
zione comprensiva di ogni emolumento di carattere continuativo
e ammontare determinato non avente natura di rimborso spese.
Si rileva, infine, che l'affermazione, nella sentenza impugnata,
del carattere migliorativo dei successivi accordi aziendali non è
fondata sulla comparazione delle discipline dettate rispettivamen
te nel 1960 e nel 1971, ma esclusivamente sull'erroneo presuppo
sto che i pensionati non avessero mai fruito dell'agganciamento
alla dinamica delle retribuzioni; presupposto senza il quale non
avrebbe potuto disconoscersi la riduzione del trattamento operata
con l'eliminazione dalla base di calcolo di un emolumento, quale
Il Foro Italiano — 1989.
il premio di rendimento, corrisposto con continuità in presenza di condizioni comuni alla quasi totalità del personale.
Con il secondo motivo si denunziano violazione dell'art. 1372
c.c. e dell'art. 112 c.p.c., nonché difetto e contraddittorietà di
motivazione, per avere il tribunale affermato che, a prescindere dalla natura migliorativa o peggiorativa attribuibile agli accordi
del 1971 e 1974 rispetto alla disciplina fissata nel 1960, un tratta
mento di pensione integrativa fondato su una fonte collettiva è
illimitatamente modificabile dalle stesse fonti che lo hanno isti
tuito. Si deduce: che nei regimi integrativi contrattuali i tratta
menti pensionistici assumono funzione retributiva, costituendo un
corrispettivo differito (ottenuto dalle organizzazioni sindacali at
traverso limitazioni nelle rivendicazioni di miglioramenti econo
mici durante il servizio) delle attività lavorative prestate; che,
pertanto, una volta conseguito, con il collocamento a riposo, il
diritto alla pensione integrativa non può subire modifiche in peius, cosi come non può subirle il trattamento retributivo nel corso
del rapporto di lavoro; che le corrispettive obbligazioni contrat
tuali del datore di lavoro si perfezionano al momento della cessa
zione del rapporto: eventuali accordi sindacali modificativi sono
inopponibili al personale in quiescenza poiché si risolverebbero
nei suoi confronti in atti di disposizione di diritti già maturati; che, infine, i lavoratori in quiescenza al momento della stipula zione di nuovi accordi sono, rispetto ad essi, terzi e non possono in quanto tali risentire direttamente alcun effetto.
Con il terzo motivo si denunziano violazione degli art. 1372,
1362 ss. c.c. in relazione all'art. 1 quater dell'accordo economico
nazionale del 17 gennaio 1983, e dell'art. 112 c.p.c., nonché di
fetto e contraddittorietà di motivazione, per non avere il tribuna
le considerato che, anche a voler ammettere la tassatività
dell'elencazione di cui all'art. 7 dell'accordo del 1960, doveva
egualmente essere riconosciuto il diritto al computo nel tratta
mento di pensione dell'indennità una tantum prevista dall'accor
do del 1983, trattandosi non di una voce della retribuzione ma
di una liquidazione forfettaria (rigorosamente proporzionale alla
qualifica e alla anzianità di servizio, nonché al periodo di servizio
prestato nell'intervallo tra la decorrenza del nuovo trattamento
retributivo e la scadenza del precedente contratto) corrispondente
a tutte le componenti della retribuzione comprese nell'elencazio
ne di quelle pensionabili. Si rileva, inoltre, che la clausola escludente il computo dell'in
dennità nel trattamento pensionistico non poteva comunque ap
plicarsi, sia perché stipulata da sindacati che i pensionati non
rappresentavano né potevano rappresentare, sia perché contenuta
in un accordo collettivo nazionale che, se poteva istituire nuove
voci retributive, non poteva però determinarne la computabilità
o meno ai fini della pensione trattandosi di materia istituzional
mente demandata alla contrattazione integrativa aziendale.
Con il quarto motivo si denunziano violazione dell'art. 1372
e degli art. 1362 ss. c.c. in relazione all'art. 3 dell'accordo econo
mico nazionale del 17 gennaio 1983, nonché difetto e contraddit
torietà di motivazione, per avere il tribunale erroneamente escluso
la computabilità nella retribuzione pensionabile dell'intero importo
dell'indennità di mensa comprendente, in base all'accordo del 1983,
oltre la precedente omonima indennità e quella di caropane, rite
nute pensionabili, anche il contributo pasti, non ritenuto tale.
Si sostiene che quest'ultimo, prima di importo variabile, è stato
poi stabilito in misura fissa mensile per tutti i lavoratori, si da
rientrare a pieno titolo nella normale retribuzione, e che lo stesso
assorbimento delle tre voci in una sola di esse, prima pensionabi
le, comporta, tenuto conto dell'impossibilità di distinguere l'im
porto corrispondente a ciascuna delle voci preesistenti, la
pensionabilità della nuova voce per il suo intero ammontare.
Si deduce, inoltre, che la clausola che vi si opponeva non pote
va applicarsi, per le ragioni già indicate in riferimento all'inden
nità una tantum, nei confronti del personale già collocato a riposo.
Con il quinto motivo si denunzia violazione degli art. 2934,
2946 e 2948 c.c. e dell'art. 36 Cost., nonché difetto e contraddit
torietà di motivazione, per avere il tribunale confermato la sen
tenza di primo grado che aveva, tra l'altro, dichiarato estinto
per prescrizione decennale il diritto all'integrazione sul premio
di rendimento, e tuttavia omesso di pronunziare e di motivare
sulla questione. Si deduce che se prescrittibili sono, nel termine
quinquennale, i singoli ratei di pensione, il suddetto diritto, in
quanto componente di un regime pensionistico integrativo con
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2275 PARTE PRIMA 2276
natura e funzione retributiva, non è soggetto, cosi' come la retri
buzione, a prescrizione; e in ogni caso la prescrizione decennale
non può essere invocata in relazione ai diritti soggetti alle prescri zioni brevi.
Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato si de
nunzia l'omessa pronunzia, e la carenza di motivazione, sull'ec
cezione di prescrizione concernente il premio di rendimento, accolta
dal primo giudice e ritualmente riproposta in appello. Si deduce
che ogni rapporto obbligatorio di durata è suscettibile di prescri zione estintiva, autonomamente e indipendentemente dalla pre scrizione dei singoli ratei.
Con il secondo motivo si denunzia violazione degli art. 1362
ss., 1372, 2067 ss. e 2077 c.c., nonché difetto di motivazione,
per avere il tribunale omesso ogni motivazione in ordine: alla
portata delle deliberazioni del 1946 e del 1949, ed al comporta mento delle parti anteriormente all'accordo del 1960, indicanti
che era sempre stato pacificamente seguito il sistema della tassati
vità delle voci pensionabili; all'incompatibilità tra normale retri
buzione ed un emolumento, quale il premio di rendimento, non
caratterizzato da generalità e continuità; al contenuto globalmen te migliorativo degli accordi del 1970-1974; all'adesione successi
va agli accordi del 1970, manifestata attraverso il godimento del
trattamento pensionsitico in essi fissato, di tutti i ricorrenti, ed
espresso per iscritto da alcuni di essi.
Il primo e il secondo motivo del ricorso principale, che per la loro connessione possono essere congiuntamente trattati, sono
fondati.
L'art. 5 dell'accordo del 9 maggio 1960 per il trattamento di
previdenza e quiescenza del personale della Cariplo stabilisce al
1 ° comma che la pensione integrativa deve essere «tale da portare il trattamento economico del pensionamento all^Vo del com
plessivo normale trattamento economico annuale del personale in servizio» e precisa al 2° comma che «detta integrazione è per tanto variabile, sia in aumento sia in diminuzione, in correlazio
ne alle variazioni del trattamento economico del personale in
servizio, in modo che il trattamento economico annuale comples sivo del pensionato corrisponda in ogni momento all'85% del
complessivo normale trattamento annuale del personale in servi
zio come indicato al precedente comma».
L'art. 7, dello stesso accordo stabilisce che «in rapporto all'at
tuale struttura della retribuzione le voci del trattamento economi
co del personale in servizio computabili ai fini del calcolo
dell'integrazione di cui all'art. 5 sono...».
Di tali disposizioni le parti hanno proposto interpretazioni che
possono cosi riassumersi: per i ricorrenti l'art. 5 ricollega la pen sione al normale trattamento economico complessivo; la clausola
è in sé completa e immediatamente precettiva. Nell'art. 7 sono
soltanto precisate, con valore ricognitivo, le voci retributive all'e
poca esistenti: l'elencazione, esemplificativa e tendenzialmente esau
stiva, è una semplice applicazione della disposizione dell'art. 5. La base di computo della pensione integrativa è pertanto soggetta ad automatica integrazione per effetto dell'istituzione di nuove
voci riconducibili al normale trattamento economico definito dal
l'art. 5 come, del resto, in ipotesi di successivo riconoscimento
della natura retributiva di emolumenti già erogati al tempo del
l'accordo; per la resistente cassa di risparmio l'elencazione conte
nuta nell'art. 7 ha carattere tassativo: nel riferimento all'attuale
struttura della retribuzione trova riscontro la selezione operata, con l'esclusione di altri emolumenti, tra le voci retributive allora
esistenti. Il complessivo normale trattamento economico annuale
del dipendente in servizio, considerato nell'art. 5, costituisce dun
que una nozione convenzionale definita da tutte, e solo, le voci
indicate nell'art. 7: nessuna incidenza può, di conseguenza, avere
sulla misura del trattamento pensionistico fissato dall'accordo l'e
ventuale successiva istituzione di voci retributive non comprese nella suddetta elencazione.
Tali interpretazioni (che peraltro non esauriscono quelle astrat
tamente possibili: può ritenersi, ad esempio, che nell'accordo sia
stata adottata una nozione convenzionale del normale trattamen
to economico la quale non si risolva tuttavia nell'elencazione di
cui all'art. 7, ma da questa, formulata con riferimento alla strut
tura propria della retribuzione allora corrisposta, sia ricavabile
attraverso il confronto tra gli emolumenti elencati e quelli esclusi, si da essere applicabile anche a compensi successivamente istituiti
che ne presentino i tratti caratteristici) sono state sostenute nel
Il Foro Italiano — 1989.
giudizio di appello con numerose, analitiche argomentazioni, del
le quali però non vi è traccia nella sentenza impugnata. Il giudice di appello si è limitato, infatti, a dichiarare la pro
pria adesione alla tesi interpretativa proposta dalla cassa, e con
divisa dal pretore, senza esaminare le critiche ad essa mosse dagli
appellanti. Vero è che il giudice del merito è tenuto a indicare le ragioni
del proprio convincimento, non ad esaminare tutte le deduzioni
delle parti, ma nella specie tali ragioni si esauriscono: nell'affer
mazione dell'esattezza del richiamo operato dalla Cariplo alla co
mune volontà delle parti, desumibile sia da una interpretazione
complessiva delle clausole contrattuali, sia dal comportamento te
nuto dopo la stipulazione dell'accordo del 1960; nella prospetta zione dell'interpretazione sostenuta dagli appellanti come fondata
su una lettura selettiva e mirata di singole clausole, senza tener
conto della complessiva volontà contrattuale, che nella specie ap
pariva esente da ambiguità, e strutturata in una norma fonda
mentale (l'art. 5) ed in una metanorma (l'art. 7) contenente i
suoi criteri di decodifica. E ove si consideri che quest'ultima asserzione è puramente de
scrittiva, e che neppure il richiamo indiretto al comportamento delle parti posteriore alla stipulazione dell'accordo (da ricollegare
presumibilmente ad un cenno contenuto nella parte espositiva della
sentenza, laddove si riporta la menzione, nelle difese opposte dal
la Cariplo al ricorso introduttivo del giudizio, dell'atteggiamento del sindacato, che avrebbe presentato come un successo l'allarga mento della base retributiva rilevante per la pensione) è stato in
qualche modo precisato, deve concludersi che la scelta interpreta tiva del tribunale poggia unicamente sulla asserita non ambiguità delle clausole contrattuali.
Ma il giudizio sulla chiarezza o ambiguità dell'elemento lette
rale è incensurabile in sede di legittimità se, in relazione alle con
testazioni sorte al riguardo, esso risulti adeguatamente motivato; nella specie è del tutto apodittico, sicché non è dato ricostruire
l'iter logico che ha condotto il tribunale a privilegiare l'interpre tazione adottata.
Per determinare l'incidenza di tale difetto di motivazione nel
l'articolazione della sentenza impugnata è necessario esaminare
i due enunciati (ciascuno astrattamente idoneo a sorreggere, au
tonomamente, la decisione ed entrambi contestati nei motivi in
esame) collocati dal giudice di appello a chiusura della suesposta
interpretazione delle clausole contrattuali, secondo i quali: non
vi sarebbe stata nella specie modifica in peius dell'accordo del
1960, ma miglioramento; in ogni caso un trattamento di pensione
integrativo, fondato su una fonte collettiva, è illimitatamente mo
dificabile dalle stesse fonti collettive che lo hanno istituito, a nul
la rilevando che i pensionati non sono più lavoratori, poiché la
dinamica non collettiva sembra arrestarsi col pensionamento dei
lavoratori che ne hanno promosso qualche segmento. Il primo enunciato, che isolatamente considerato risulterebbe
del tutto apodittico, si ricollega logicamente, oltre che per la sua
collocazione nella sequenza argomentativa, al significato attribui
to dal tribunale alle contestate clausole dell'accordo del 1960.
Affermata la tassatività dell'elencazione di cui all'art. 7 del
l'accordo, ogni incremento nelle voci pensionabili — e cosi la
circostanza, menzionata dal giudice di appello nella parte esposi tiva della sentenza come dedotti dalla Cariplo, che il premio di
produzione fosse stato «reso pensionabile nel 1970 per il periodo
posteriore al 1969 e in via eccezionabile anche per quelli che di
fatto lo avessero percepito anche prima di tale data» — doveva
necessariamente apparire come un miglioramento. L'affermazione risulta, quindi, una conseguenza dell'interpre
tazione data all'accordo del 1960, e non ulteriore argomento ad
dotto a confutazione della tesi degli appellanti. Il secondo enunciato è, per contro, logicamente indipendente
ed involge questioni sulle quali l'evoluzione giurisprudenziale non
sembra aver raggiunto risultati totalmente omogenei (cfr., ad es., sul problema della configurabilità, in materia, di diritti quesiti, le formulazioni adottate rispettivamente in Cass. 4658, 4024, 3214
del 1987, Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro (contratto collettivo), nn. 69, 71, 60; 2525/87, ibid., n. 36; 2452/85, id., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 769; 3639/83, id., Rep. 1984, voce
cit., n. 475; 4517/86, id., 1987, I, 510; 4424, id., Rep. 1985, voce cit., nn. 505, 2252; 2530 del 1984, ibid., voce Previdenza
sociale, n. 671). La successione dei contratti collettivi di diritto comune, anche
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di diverso livello, è regolata, come ormai costantemente afferma
to da questa corte (v. da ultimo, oltre le decisioni appena citate, Cass. 5267 e 4269 del 1987, id., Rep. 1987, voce Lavoro (contrat to collettivo), nn. 58, 70; 4517 del 1986, cit.; 1445 del 1986, id., 1987, I, 511; 5648 del 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 77), dai principi dell'autonomia negoziale privata: il nuovo contratto
può modificare il precedente in senso meno favorevole sia al da
tore di lavoro sia — riguardando gli art. 2077 e 2113 c.c. il diver
so rapporto fra contratto collettivo e contratto individuale — al
lavoratore. I diritti che per effetto del contratto collettivo sorgo no in capo alle parti del contratto individuale sono, invero, legati ai limiti temporali di efficacia della fonte collettiva (cfr. Cass.
4024 e 2525 del 1987, cit., 5592 del 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2887; 1690 del 1984, id., 1984, I, 2530; 725 del 1981, id., Rep. 1981, voce cit., nn. 81, 82; v. tuttavia, per una diversa
funzione attributiva, in materia, al termine, Cass. 3899 del 1987,
id., 1988, I, 526); con tali limiti «si incorporano», se si vuole — v. anche art. 2077, 2° comma, c.c. — nel contratto collettivo
individuale. Stipulato un nuovo contratto collettivo il lavoratore
(come il datore di lavoro) non può quindi pretendere che nei suoi
confronti continuino ad essere applicate le disposizioni del prece dente (v. Cass. 5592 del 1986, cit.; 6741 del 1981, id., Rep. 1981, voce cit., n. 75).
A differenza, tuttavia, dell'autonomia propria delle parti di un
contratto individuale, non rientra nelle specifiche funzioni rico
nosciute dall'ordinamento alle associazioni sindacali, e in parti
colare nella funzione normativa tipica della autonomia collettiva, il potere di disporre, estinguendoli o modificandoli, dei diritti
dei quali si sia già perfezionato l'acquisto, anche in forza di un
precedente contratto collettivo (cfr. Cass. 7001 e 1085 del 1987,
id., Rep. 1987, voce Sindacati, n. 43 e Lavoro (contratto colletti
vo), n. 42; 5592 del 1986, cit.; 3047 del 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 79.
Né può a ciò obiettarsi che nelle ipotesi di rinnovo del contrat
to collettivo prima della sua scadenza, cosi come in quelle di re
troattività del nuovo contratto, le parti collettive necessariamente
modificano diritti dei quali si è già perfezionato l'acquisto.
Deve, infatti, osservarsi, quanto alla prima ipotesi, che il con
tratto, individuale o (entro i limiti soggettivi di efficacia) colletti
vo, determina in capo alle parti del rapporto di lavoro un
complesso di diritti e doveri, poteri e soggezioni variamente colle
gati alle prestazioni fondamentali contemplate dall'art. 2094 c.c.
Oltre queste ultime può infatti regolare altre prestazioni conti
nuative, costituire obbligazioni ad esecuzione istantanea, preve dere gli effetti dell'esercizio dei poteri e facoltà attribuiti alle parti, definire fattispecie costitutive di diritti ed obblighi.
Per tracciare una linea di demarcazione tra situazioni giuridi
che definite e situazioni suscettibili di modifica in sede di rinnovo
anticipato del contratto collettivo è necessario far riferimento al
la natura delle prestazioni fondamentali, e in particolare della
prestazione di lavoro. Questa è infatti prestazione di durata, e
le prestazioni di durata, ad esecuzione periodica o continuativa,
non vanno considerate unitariamente, ma come successioni di pre stazioni fra loro autonome (cui corrispondono singoli diritti sog
getti, ad es., ad autonome prescrizioni), segmenti individuati da
scadenze, turni prestabiliti, o in funzione di interruzioni o richie
ste dettate dalle esigenze insorgenti nello sviluppo del rapporto. Il diritto al complesso di tali prestazioni presuppone il perdurare del rapporto e delle regole che lo disciplinano (v. Cass. 5592/86,
cit.); i diritti alle singole prestazioni si perfezionano con il decor
so del tempo, che è inerente non alla sola esecuzione, ma all'ob
bligazione stessa (cfr. Cass. 6864/83, id., Rep. 1983, voce
Contratto in genere, n. 91; 1824/80, id., 1980, I, 1933; 742/80,
id., Rep. 1980, voce Somministrazione, n. 2; 4228/76, id., Rep.
1977, voce cit., n. 5; 327/75, id., Rep. 1975, voce Contratto in
genere, n. 21; 3/67, id., Rep. 1967, voce Vendita, n. 19).
Il rinnovo anticipato del contratto collettivo, dettando nuove
regole per il rapporto in corso (v. Cass. 4024/87, id., Rep. 1987,
voce Lavoro (contratto collettivo), n. 71) può quindi, oltre che
definire diversamente fattispecie previste dal precedente contrat
to, modificare le condizioni e le modalità di svolgimento della
prestazione fondamentale di durata e della corrispondente con
troprestazione, cosi come disciplinare poteri e soggezioni alla stessa
prestazione connessi. Può cosi essere modificato, anche prima della
scadenza del contratto vigente, l'orario di lavoro: il mutamento,
pur investendo un diritto già sorto, incide sulle singole prestazio
II Foro Italiano — 1989.
ni future, e dei corrispondenti diritti non si è ancora perfezionato
l'acquisto. Non può invece il contratto superveniens (come del resto il re
cesso convenzionale dal contratto individuale) influire sulle sin
gole prestazioni già eseguite e sulle corrispondenti
controprestazioni, siano o meno queste ultime ancora dovute (v. Cass. 3214/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 60; 4818/77, id., Rep. 1977, voce Appalto, n. 46; 2681/76, id., Rep. 1976, voce Cosa
giudicata civile, n. 25); Neppure possono essere estinte o modifi
cate obbligazioni ad esecuzione istantanea, anche differita, sorte
in forza del precedente contratto collettivo a meno che anche in
esse intervenga per il perfezionamento l'elemento della durata (cfr., ad es., la previsione rispettivamente dell'erogazione differita di
un compenso una tantum e della corresponsione di un premio di fedeltà subordinato al decorso di un determinato arco di tempo).
Le suesposte osservazioni escludono, anche in ipotesi di rinno
vo non anticipato, che gli effetti del nuovo contratto possano essere fatti risalire ad epoca anteriore alla scadenza del contratto
collettivo sostituito; il che non significa negare alle parti il pote
re, entro i limiti sopra indicati, di associare per il futuro, ad eventi
o situazioni pregresse, effetti diversi da quelli a suo tempo con
venuti.
Non può dunque attribuirsi valore assoluto al principio, ripe tutamente affermato in giurisprudenza (v., da ultimo, Cass.
5616/87, id., Rep. 1987, voce Lavoro (contratto collettivo), n.
40; 153/86, id., Rep. 1986, voce cit., n. 46; 6119/85, id., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 774), secondo il quale le parti
possono attribuire, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, efficacia retroattiva ad una o più norme del contratto collettivo:
neppure la retroattività fra le parti è illimitatamente disponibile nel nostro ordinamento (v., ad es., a parte la normale efficacia
ex nunc del recesso convenzionale, il riferimento alla natura del
rapporto nell'art. 1360 c.c. e, quanto alla revoca per mutuo dis
senso, Cass. 3772/76, id., Rep. 1976, voce Contratto in genere, n. 208; 2856/66, id., Rep. 1966, voce Obbligazioni e contratti,
n. 350; 683/66, ibid., n. 351). Non escludono, invece, le stesse osservazioni, l'efficacia della
retrodatazione — ed è questa l'ipotesi di «retroattività» conside
rata di regola in materia (v., ad es., Cass. 4280/82, id., Rep.
1982, voce Lavoro (contratto collettivo), n. 56; 4024/80, id., Rep.
1980, voce cit., n. 20; 5281/78, id., Rep. 1979, voce cit., n. 25) — alla scadenza del contratto precedente.
Volta ad operare, ove le parti non abbiano convenuto di pro
rogare la vigenza del contratto sino al suo rinnovo, la saldatura
dei due contratti collettivi, a colmare l'intervallo tra la scadenza
dell'uno e la stipulazione del successivo, tale retrodatazione inve
ste non già diritti sorti direttamente dal precedente contratto —
dovendosi escludere per i contratti collettivi di diritto comune
la ultrattività prevista dall'art. 2074 c.c. per i contratti corporati
vi (v. Cass. 7140/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 39) — ma,
secondo i casi, situazioni giuridiche derivanti dalla applicazione di fatto del precedente contratto nell' intervallo, o diritti fondati
sull'impegno eventualmente assunto dalle parti stipulanti di con
tinuare provvisoriamente ad osservare il contratto scaduto sino
alla conclusione del successivo, soggetti quindi ab origine a risol
versi con il subentrare della nuova disciplina del rapporto.
Deve, in conclusione, escludersi che, in difetto di specifico man
dato o di successiva adesione o ratifica degli interessati, le pattui
zioni collettive possano modificare diritti sorti, per l'avvenuto
perfezionamento delle corrispondenti fattispecie costitutive (v. Cass.
4280 del 1982, cit.), o comunque per effetto di prestazioni esegui
te (v. Cass. 4658 del 1987, cit.), durante la vigenza ed in forza
di un precedente contratto collettivo. E di entrambe le condizioni
deve tenersi conto nella definizione degli effetti di un accordo
collettivo in tema di trattamenti pensionistici integrativi.
A tal fine — ritiene il collegio — non può quindi essere seguito
l'orientamento espresso, con riferimento a clausole di un accordo
aziendale che prevedevano alcuni benefici (somministrazioni in
natura) in favore di pensionati, nella recente pronunzia 689/88
(id., Mass., Ili) di questa sezione del lavoro. In tale decisione,
premesso che le dedotte obbligazioni, poste tra le stesse parti di
un rapporto di lavoro, erano prive di causa autonoma, e che l'ac
cordo collettivo che le prevedeva era prospettato come riguardan
te essenzialmente i lavoratori in servizio anche laddove faceva
carico al datore di lavoro di fornire determinate prestazioni nel
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2279 PARTE PRIMA 2280
tempo successivo alla cessazione della loro attività, si è rilevato
che trattavasi di prestazioni aventi carattere di retribuzione diffe
rita, dovute in forza dell'unico sinallagma genetico costitutivo del
rapporto di lavoro; sicché, se dovevano distinguersi due successi
vi momenti funzionali, consistenti l'uno nello scambio contestua
le di prestazioni contrapposte, l'altro in obbligazioni, pur sempre in corrispettivo di quelle già fornite dall'altra parte, a carico di
uno solo dei contraenti, il secondo rapporto doveva ricondursi
allo stesso incontro di volontà posto all'origine del rapporto di
lavoro, si da costituire di quest'ultimo un prolungamento. Si è
quindi argomentato che se il rapporto successivo alla cessazione
dell'attività è regolato dallo stesso contratto (individuale, di du
rata) che regolava quest'ultima, e se tale contratto si uniforma
a una contrattazione collettiva che, mutando nel tempo, può in
durre mutazioni anche in peius del suo contenuto, il rapporto, salva contraria volontà dei contraenti (collettivi o individuali, nei
limiti dei rispettivi poteri di disposizione), non potrebbe restare
esente da un tale effetto.
Le premesse indicate nella pronunzia conducono però, quanto meno in riferimento alle prestazioni oggetto della presente con
troversia, ad una diversa conclusione. Una volta ricondotte le
prestazioni dovute ai pensionati alla stessa fonte contrattuale re
golante il rapporto di lavoro, deve infatti considerarsi che il dirit
to alla pensione integrativa nasce al collocamento in quiescenza
(v. Cass. 989/83, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 1882;
2479/78, id., 1978, I, 2185), momento nel quale si perfeziona la fattispecie costitutiva, e non può pertanto, pur integrando a
sua volta un rapporto obbligatorio di durata, essere influenzato, contro la volontà del titolare, dalle vicende che regolano un rap
porto di lavoro ormai cessato (cfr. ancora Cass. 2479/78, cit.).
Nell'argomentazione sopra riportata non è dato, inoltre, rilie
vo ad una circostanza che proprio la ricostruzione compiuta pone in evidenza: l'essere le prestazioni dovute ai pensionati in rappor to di corrispettività con quelle già da essi fornite nel corso del
cessato rapporto di lavoro. Se, invero, le prestazioni pensionisti che rappresentano il corrispettivo di prestazioni del lavoratore (con tribuzioni dei lavoratori e/o la stessa attività lavorativa), una nuova
normativa collettiva può trovare diretta applicazione nei confron
ti dei dipendenti ancora in servizio al momento della sua entrata
in vigore (cfr. Cass. 3047/85, cit.); non già nei confronti di colo
ro che, con la cessazione dell'attività lavorativa, sono divenuti
titolari di un credito che proprio nelle prestazioni eseguite trova
la sua causa. Per i primi le prestazioni eseguite non hanno ancora
determinato il perfezionamento del diritto alla pensione, sicché
ad esse possono essere associati con il contratto superveniens ef
fetti diversi da quelli previsti dalla precedente disciplina; l'appli cazione ai secondi di un regime sostitutivo di quello vigente alla
data di cessazione del rapporto non può, per contro, prescindere dalla loro adesione.
L'illimitata modificabilità in peius dei trattamenti pensionistici integrativi di fonte convenzionale non appare sostenibile neppure ove si riconosca la legittimazione delle organizzazioni sindacali
ad assumere la rappresentanza dei pensionati in quanto tali (con efficacia non limitata, quindi, come nelle ipotesi considerate in
Cass. 1571/86, id., Rep. 1986, voce Lavoro (contratto colletti
vo), n. 21 e 3811/82, id., Rep. 1982, voce cit., n. 26, a pattuizio ni retrodatate all'epoca in cui i pensionati erano in servizio), poiché dovrebbe comunque potersi dimostrare che il potere conferito al
sindacato dal pensionato iscritto in tale sua qualità possa com
prendere rinunce o comunque modificazioni in peius del tratta
mento di quiescenza assicuratogli prima del pensionamento. Ma di un simile potere di disposizione di diritti già sorti, nega
to ai rappresentanti collettivi dei lavoratori (cfr., ad es., Cass.
408/87, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 2866; 5592/86,
cit.; 6493/84, id., Rep. 1985, voce cit., n. 773; 142/83, id., Rep. 1983, voce Sindacati, n. 47) pur in riferimento ad accordi concer
nenti rapporti di lavoro in corso, con prestazioni contrapposte suscettibili di equilibri complessivi conseguibili attraverso la sin tesi di modificazioni positive e negative di singoli aspetti, non
è dato, a fortiori, rinvenire il fondamento quando la rappresen tanza riguardi obbligazioni a carico del solo datore di lavoro, definite nei confronti del pensionato al momento della cessazione
dell'attività lavorativa.
Una diversa soluzione è stata adottata, in relazione a fattispe cie identica a quella oggetto della pronunzia sopra richiamata,
Il Foro Italiano — 1989.
nella decisione n. 260 del 1986 (id., 1986, I, 931), di questa sezio ne del lavoro, sul presupposto della estraneità dei pensionati, non
riconducibili alle categorie contrattuali delimitanti il campo di ap
plicazione della parte normativa dell'accordo, alla stipulazione del contratto collettivo.
Classificate nella parte c.d. obbligatoria (v. Cass. 4658/87, cit.;
1770/86, id., Rep. 1986, voce Lavoro (contratto collettivo), n.
45) del contratto le clausole che prevedevano l'erogazione dei be
nefici ai pensionati, e ravvisato nel contratto a favore di terzi
il meccanismo giuridico idoneo a spiegarne l'efficacia nei con
fronti dei destinatari, si è osservato che, essendo il diritto acqui stato dal pensionato previsto e definito dal contratto, esso, come
poteva cessare in dipendenza della sopravvenuta cessazione del
contratto, cosi poteva in pendenza dello stesso subire modifiche
anche in peius ad opera della successiva contrattazione collettiva, in quanto incidente non sul diritto acquistato dal terzo ma sulla
sua fonte.
In una tale prospettiva è superato l'ostacolo alle modifiche in
peius rappresentato dalle prestazioni già eseguite; la soluzione non
è però generalizzabile ai regimi pensionistici aziendali.
Se, infatti, ipotesi di negozio a favore di terzo sono state confi
gurate nei contratti di assicurazione stipulati dal datore di lavoro
per garantire ai lavoratori un sistema di liquidazione dell'inden
nità di anzianità superiore al minimo legale (v. Cass. 3127/83,
id., Rep. 1983, voce Previdenza sociale, n. 178; 2228/74, id.,
1975, I, 387); nonché — ma nei confronti dei nuovi assunti —
in tema di costituzione, operata dal datore di lavoro insieme con
i dipendenti, di casse di previdenza per il personale (v. Cass.
3148/81, id., Rep. 1981, voce Lavoro (rapporto), n. 199), non
sembra che i lavoratori in servizio, iscritti ad una delle associa
zioni sindacali stipulanti il contratto, possano assumere veste di
terzi rispetto alle clausole collettive che disciplinano il trattamen
to pensionistico integrativo di cui essi stessi fruiranno — o preve dono comunque di poter fruire — alla cessazione della vita
lavorativa.
Simili clausole, che nulla impedisce siano convenute in sede
di contrattazione individuale (v. Cass. 9474/87, id., Rep. 1987, voce Casse di risparmio, n. 7), appaiono invero naturalmente di
rette (e lo sono necessariamente ove l'azienda interessata non ab
bia ancora registrato pensionamenti) ai lavoratori in servizio, si
da doversi collocare nella parte c.d. normativa del contratto col
lettivo quali pattuizioni aventi oggetto un corrispettivo di presta zioni (di lavoro e/o contributive) dei dipendenti. Clausole diverse,
implicite ove l'accordo non distingua fra personale in servizio
e in quiescenza, determineranno l'eventuale estensione del tratta
mento al personale che alla stipulazione dell'accordo abbia già cessato l'attività.
Nei trattamenti pensionistici aziendali, di fonte negoziale e con
funzione aggiuntiva rispetto all'assicurazione generale obbligato
ria, insieme alla più o meno accentuata funzione previdenziale ricorre invero di regola, se sostenuti dalla contribuzione (non im
posta dalla legge) del datore di lavoro ed in corrispondenza di
questa, l'aspetto della retribuzione differita (cfr. Cass. 3653/87,
id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 2853; 7089/82, id.,
Rep. 1982, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 366;
6753/81, id., Rep. 1981, voce Lavoro (rapporto), n. 2014). E
cosi più volte, in riferimento a forme di previdenza aziendale, è stata riconosciuta nelle spettanze dei lavoratori la natura di cre
diti di lavoro, nelle corrispondenti obbligazioni del datore di la
voro il carattere sostanzialmente retributivo (v., da ultimo, Cass.
6173 e 3111 del 1987, id., Rep. 1987, voce Impiegato dello Stato, nn. 1251, 1296, in tema di giurisdizione; 7564 del 1987, ibid., voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 358 e 1061 del 1983,
id., 1984, I, 1358, in tema di rivalutazione monetaria), nei versa
menti del datore di lavoro ai relativi fondi integrativi forme di
risparmio forzoso alimentate da quote di retribuzione (v. Cass.
1967/87, id., Rep. 1987, voce Previdenza sociale, n. 303; 3121/86, id., Rep. 1986, voce cit., n. 270; 1717/84, id., Rep. 1985, voce cit., n. 283).
Ad opposta conclusione potrebbe pervenirsi solo ove la storia
(il comportamento delle parti) e il contenuto degli accordi collet
tivi considerati dovessero portare ad identificare nei pensionati
gli effettivi destinatari delle pattuizioni in questione, e nel tratta
mento integrativo — escluso ogni aspetto sia di retribuzione dif
ferita che assicurativo — una funzione puramente assistenziale,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
nel quadro di una solidarietà circoscritta alle aziende interessate, e quindi una causa totalmente autonoma dal rapporto di lavoro, ridotto a semplice presupposto. All'accordo, stipulato dalle orga nizzazioni sindacali nell'esercizio di funzioni di assistenza dei la
voratori dopo la cessazione dell'attività, i dipendenti in servizio
rimarrebbero allora estranei; la dichiarazione di voler profittare della stipulazione presupporrebbe conseguentemente l'avvenuta ces
sazione del rapporto di lavoro; la circostanza che, dovendo appli carsi il contratto vigente al momento della cessazione del rapporto, i dipendenti in servizio potrebbero vedere modificate nel corso
del rapporto le condizioni del trattamento pensionistico costitui
rebbe non tanto un normale effetto della successione dei contratti
collettivi, quanto piuttosto un corollario della estraneità dei di
pendenti stessi ad un regime che potrebbe riguardarli solo in quanto
pensionati. Tali condizioni, pur non potendo essere a priori escluse, ap
paiono tuttavia difficilmente riscontrabili nel caso concreto (cfr. le decisioni da ultimo citate).
Nelle argomentazioni sinora esposte, circoscritte al rapporto fra
il nuovo accordo collettivo e il trattamento pensionistico applica to al dipendente, in forza del precedente contratto, alla cessazio
ne del rapporto di lavoro, non sono stati considerati gli effetti
dell'eventuale adesione del pensionato al nuovo regime. E in que sta fase, in difetto di una rappresentanza diretta del pensionato in quanto tale, lo schema del contratto a favore di terzi appare
idoneo, sempreché le modifiche apportate al trattamento siano
globalmente migliorative, a spiegare il nuovo assetto del rapporto. Da un lato, infatti, il beneficio non è più ricollegabile sinallag
maticamente alle prestazioni a suo tempo fornite dal pensionato;
dall'altro, l'interesse del sindacato stipulante, ovvero dei lavora
tori in servizio iscritti, è riconducibile, oltre che a principi di soli darietà, alla prospettiva di una estensione al periodo di quiescenza della tutela dell'interesse collettivo assicurata nel corso del rap
porto di lavoro. L'effetto modificativo del rapporto obbligatorio
appare inoltre, salvi diversi risultati interpetativi nel caso concre
to, ricollegabile al contratto collettivo in modo più naturale (il
terzo, salvo patto contrario, acquista il diritto — ex art. 1411
c.c. — per effetto della stipulazione) che non ad un accordo con
il pensionato cui il datore di lavoro addivenga in adempimento della clausola obbligatoria stipulata con le associazioni sindacali.
In ogni caso, in entrambe le ipotesi deve tenersi conto dei limiti
temporali di efficacia dell'accordo collettivo: il beneficio è acqui sito per la durata dell'accordo stesso.
Dovrà quindi stabilirsi — e trattasi di problema interpretativo devoluto al giudice del merito — se con l'adesione il pensionato rinunzi (in funzione, ad es., dei vantaggi attesi da una prosecu zione dell'azione del sindacato) o meno alla precedente discipli
na, con la conseguenza che alla scadenza del nuovo contratto
egli non potrebbe, nel primo caso, considerarsi titolare di un di
ritto individuale ad un determinato trattamento pensionistico; ri
marrebbe, invece, nel secondo, legittimato a rifiutare l'applicazione di condizioni inferiori a quelle fissate alla cessazione del rapporto di lavoro.
Risulta, in conclusione, inesatto il principio di illimitata modi ficabilità dei trattamenti pensionistici aziendali ad opera delle fonti
collettive affermato dal tribunale.
Non poteva, pertanto, il giudice di appello riconoscere la legit timità di eventuali modifiche in peius apportate al trattamento
integrativo oggetto della controversia senza previamente determi
nare il meccanismo di efficacia delle pattuizioni ad esso relative, identificare i destinatari (lavoratori in servizio e/o pensionati) de
gli accordi, stabilire la natura (corrispettivo o meno di prestazio ni fornite dai dipendenti) delle prestazioni previste in favore dei
pensionati. Palese risulta dunque la decisività del difetto di motivazione
sopra rilevato poiché, definiti i limiti di efficacia dell'autonomia collettiva in materia, una diversa interpretazione degli art. 5 e
7 dell'accordo del 1960, richiedendo l'esame della natura e degli
effetti dello stesso, avrebbe potuto condurre il tribunale a conclu
sioni diverse da quelle adottate.
Resta di conseguenza assorbito il secondo motivo del ricorso
incidentale, poiché le questioni ivi prospettate sono state nella
sentenza impugnata ritenute esplicitamente (cosi per la riconduci
bilità o meno del premio di rendimento — sul quale v. Cass.
4011/79, id., Rep. 1979, voce Lavoro (contratto collettivo), n.
54 — al normale trattamento economico complessivo del dipen
dente in servizio) o implicitamente (cosi per la dedotta adesione
Il Foro Italiano — 1989.
dei ricorrenti agli accordi del 1970) assorbite, o comunque supe rate (cosi per la portata delle deliberazioni della cassa del 1946 e 1949 e per il comportamento delle parti anteriore all'accordo
del 1960) dalla tesi del tribunale accolta. Su tali questioni — che, investendo il merito della controversia, non possono essere in que sta sede esaminate neppure sotto il dedotto profilo della rilevanza
dell'accertata carenza di motivazione, poiché a tal fine è suffi
ciente la possibilità che siano risolte in senso favorevole ai ricor
renti — pronuncerà, se necessario, come anche sul contenuto
migliorativo o peggiorativo degli accordi del 1971 e 1974, il giudi ce di rinvio.
Del pari assorbito deve ritenersi il quarto motivo del ricorso
principale, concernente la computabilità per intero nella retribu
zione pensionabile dell'indennità di mensa cosi come definita, con
l'accorpamento di tre voci prima distinte, due delle quali (inden nità di mensa e di caropane) già ritenute pensionabili, l'altra (con tributo pasti) esclusa dal computo, nell'accordo economico
nazionale del 17 gennaio 1983.
La questione, infatti, è stata anch'essa dichiarata assorbita nel
la sentenza impugnata. Vero è che il tribunale l'ha egualmente
esaminata, ma per giungere alla conclusione che, se le indennità
accorpate sotto un identico nome fossero rimaste le stesse, non
vi sarebbe stata ragione per mutare il precedente trattamento;
mentre, ove avessero dato luogo ad una indennità «nuova», il
punto sarebbe rimasto assorbito dalla affermata disponibilità de
gli accordi integrativi da parte delle fonti collettive.
Potrà quindi essere riproposta in sede di rinvio, anche sotto
il profilo della determinabilità nell'accordo nazionale, negata dai
ricorrenti sul presupposto che la materia sarebbe riservata alla
contrattazione integrativa aziendale, delle voci retributive da com
putarsi nella base pensionabile. Deve essere, invece, accolto il terzo motivo del ricorso princi
pale, che investe l'esclusione dalla base di computo del tratta
mento pensionistico integrativo dell'una tantum prevista nell'accordo nazionale del 1983. Sul punto il tribunale, pur riaf
fermando il carattere assorbente delle argomentazioni sviluppate in relazione all'interpretazione dell'accordo del 1960 ed alla mo
dificabilità in peius dello stesso, ha infatti qualificato detta in
dennità una tantum come considerata del tutto occasionale e diretta
a compensare forfetariamente i lavoratori con riferimento ai tem
pi tecnici occorsi per rinnovare i precedenti accordi, mostrando
cosi di escluderne la riconducibilità alla normale retribuzione (ri sultante invece, secondo i ricorrenti, dalla funzione compensativa della ritardata decorrenza del trattamento retributivo introdotto
con il nuovo contratto e dalla conseguente corrispondenza a tutte
le componenti della retribuzione pensionabile). Poiché tale qualificazione dell'indennità in questione (conside
rata di carattere retributivo, ma sotto il profilo dell'assoggettabi lità a contribuzione previdenziale obbligatoria, in Cass. 4827/85,
id., Rep. 1985, voce Previdenza sociale, n. 250; 3395/78, id.,
Rep. 1979, voce cit., n. 262; 2006/76, id., Rep. 1976, voce cit., n. 179; 1666/74, id., Rep. 1974, voce cit., n. 220) potrebbe sor
reggere l'esclusione dalla base di computo della pensione integra tiva anche ove si accedesse all'interpretazione dell'accordo del 1960
proposta dai ricorrenti, e sul punto non vi è motivazione nella
sentenza impugnata, il motivo appare sotto questo profilo fonda
to (assorbita rimanendo la censura, in esso riproposta, attinente
al rapporto fra contrattazione nazionale e aziendale sul punto). Inammissibili risultano, infine, le censure proposte con il quin
to motivo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso
incidentale poiché sulla prescrizione del diritto all'integrazione della
pensione per la quota relativa al premio di rendimento, dichiara
ta dal giudice di primo grado, il tribunale non ha, neppure impli
citamente, pronunciato.
Se, infatti, l'esame della prescrizione del diritto azionato in giu
dizio ha natura preliminare rispetto all'accertamento degli ele
menti costitutivi del diritto stesso (v. Cass. 6651/87, id., Rep.
1987, voce Prescrizione e decadenza, n. 57), nella specie era stato
dedotto il diritto all'inclusione nella base pensionistica non del
solo premio di rendimento, investito dall'eccezione di prescrizio
ne, ma anche dell'indennità una tantum e dell'indennità di mensa
definita dall'accordo nazionale del 1983; sicché il giudice di ap
pello doveva in ogni caso stabilire se l'elenco delle voci pensiona bili contenuto nell'art. 7 dell'accordo nazionale del 1960 fosse
o meno tassativo e se il trattamento pensionistico in tale
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2283 PARTE PRIMA 2284
accordo previsto fosse o meno suscettibile di modifiche efficaci
nei confronti del personale in quiescenza. La soluzione adottata al riguardo dal tribunale, implicando la
legittimità delle clausole dei successivi accordi collettivi che i sud
detti emolumenti escludevano dal computo delle voci pensionabi
li, rendeva superfluo l'esame dell'eccezione di prescrizione. Per le svolte considerazioni va annullata, in relazione ai motivi
accolti, la sentenza impugnata, e la causa rinviata ad altro giudi
ce, designato in dispositivo, il quale procederà ad un nuovo esa
me della controversia attenendosi al seguente principio: «In difetto di specifico mandato, o di adesione o ratifica degli
interessati, il contratto collettivo non può incidere su diritti sorti, in capo alle parti del rapporto di lavoro, sulla base di un prece dente contratto collettivo per l'avvenuto perfezionamento delle
corrispondenti fattispecie costitutive o comunque per effetto di
prestazioni eseguite».
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 2 giugno 1988, n. 3739; Pres. Scanzano, Est. R. Sgroi, P.M. Paolucci
(conci, conf.); Min. finanze (Aw. dello Stato Caramazza) c.
Soc. Montesubasio ed altro; Soc. Montesubasio (Avv. Guari
no, Piperno) c. Min. finanze e Ferretti. Cassa App. Roma 24
aprile 1984.
Dogana — Diritti di confine — Accertamento e liquidazione —
Provvidenze per il territorio di Assisi — Errata esenzione —
Tassazione suppletiva — Ammissibilità (L. 25 settembre 1940
n. 1424, legge doganale, art. 27; 1. 9 ottobre 1957 n. 976, prov vedimenti per la salvaguardia del carattere storico, monumen
tale e artistico della città e del territorio di Assisi, nonché per
conseguenti opere di interesse igienico e turistico, art. 15; 1.
25 febbraio 1971 n. 110, interpretazione autentica dell'art. 15 1. 9 ottobre 1957 n. 976; d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, apppro vazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia
doganale, art. 74).
Il potere dell'amministrazione finanziaria di pretendere il paga mento dei diritti di confine, in precedenza non riscossi in segui to ad erronea interpretazione di norme relative alla loro debenza, sussiste anche con riguardo ad importazioni già ammesse in
esenzione (ab origine, ovvero, in caso di daziato sospeso, per
effetto di restituzione della cauzione o liberazione del fideius
sore), considerando che la relativa imposizione integra una tas
sazione suppletiva, rivolta ad emendare precedenti errori di
applicazione della tariffa, non soggetta alla procedura di revi sione dell'accertamento prevista dagli art. 74 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, 6 d.p.r. 2 febbraio 1970 n. 62 e 107 d.p.r. 18 feb braio 1971 n. 18, e non trova ostacolo nella definitività della bolletta doganale, la quale rileva per l'identificazione di quan tità e qualità delle merci, ma non implica incontestabilità del trattamento tributario, che può derivare soltanto dal decorso dei termini di prescrizione o decadenza, da formazione del giu dicato, od altre situazioni simili (fattispecie in tema di esenzio ne dalle imposte erariali di cui all'art. 15 l. 9 ottobre 1957 n.
976, per le iniziative imprenditoriali nella città e nel territorio di Assisi, interpretato autenticamente con l. 25 febbraio 1971 n. 110). (1)
(1) La sentenza (alla quale ha fatto immediatamente seguito Cass. 2 luglio 1988, n. 4403, Foro it., Mass., 645, deliberata nella stessa udienza dell'11 novembre 1987, che ne ha confermato le statuizioni) ha consentito alla Corte di cassazione di precisare il proprio orientamento in relazione ad alcune delicate questioni concernenti i limiti e la modificabilità dell'ac certamento tributario riguardante l'erronea ammissione dell'importazione o dello svincolo di merci in esenzione, nonché la natura della bolletta di definitiva importazione in esenzione, sulla base di principi già delineati o presupposti in precedenti pronunce, ma mai chiaramente affermati con riferimento alla peculiare fattispecie oggetto della statuizione.
La decisione riveste, dunque, portata di carattere generale in materia di riscossione dei diritti doganali, pur essendo stata emanata in occasione dell'esame di questione specifica relativa all'esazione dei diritti di confine
li Foro Italiano — 1989.
Svolgimento del processo. — Con 1. 9 ottobre 1957 n. 976, dettante provvidenze per la salvaguardia del carattere storico, mo
numentale ed artistico della città e del territorio di Assisi, furono
esentate per dieci anni le imprese industriali ed artigiane (che aves
sero installato o trasferito i loro impianti entro un certo termine
in determinate zone) da ogni imposta erariale (art. 15). Sorta contestazione con l'amministrazione circa l'applicabilità
dell'esenzione ai diritti doganali, la dogana ammise lo svincolo
di numerose partite di merce, commissionate per l'importazione, a partire dal secondo semestre del 1968, con la procedura del
«daziato sospeso», garantito con fideiussioni prestate da banche
precedentemente non riscossi in seguito all'entrata in vigore della 1. 25 febbraio 1971 n. 110, con la quale era stata fornita l'interpretazione au tentica dell'art. 15 1. 9 ottobre 1957 n. 976, c.d. legge di Assisi (sulla quale v., per tutte, Corte cost. 19 giugno 1974, n. 175, id., 1974, I, 2589; Cass. 5 novembre 1981, n. 5822, id., Rep. 1982, voce Entrata (imposta sulla), nn. 16, 17 e Riv. legisl. fise., 1982, 987, e Cass. 25 ottobre 1986, n. 6260, Foro it., Rep. 1986, voci Corte costituzionale, n. 36, Legge, n. 35 e Tributi in genere, n. 659, e Giust. civ., 1986, I, 3045, con nota di Morelli, al cui indirizzo si sono uniformate la sentenza in rassegna, nella parte finale della motivazione, qui non riportata, e Cass. 4403/88, cit.).
L'iter argomentativo seguito dalla corte può essere sintetizzato nei se
guenti punti: a) la pretesa di pagamento avanzata dalla finanza con riferimento a
fattispecie di importazione di merci in esenzione, concessa per erronea
interpretazione di norme di legge concernenti la debenza del tributo, inte
gra una ipotesi di tassazione suppletiva anche in materia di diritti doga nali, poiché tale istituto, espressamente regolato nella disciplina delle
imposte di registro e di successione, è applicabile anche alla riscossione delle altre imposte indirette; e ciò sia nel caso in cui l'esenzione sia stata
applicata fin dall'origine, sia nel caso in cui, dopo aver concesso l'impor tazione a «daziato sospeso» l'amministrazione abbia restituito le somme versate a titolo di cauzione, ritenendo non dovuta l'imposta ed emetten do bolletta doganale di importazione definitiva in esenzione, poiché in entrambe le ipotesi il procedimento si conclude con il rilascio della bolletta;
b) il regime dell'imposizione suppletiva in materia doganale è soggetto alla disciplina della prescrizione, contenuta nell'art. 84 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, e non ai brevi termini di decadenza della procedura di revisio ne dell'accertamento, regolata dall'art. 74 dello stesso d.p.r., la quale non trova applicazione nel caso in cui sia in contestazione Van dell'obbli
gazione tributaria. La prescrizione, peraltro, decorre, nel caso deciso dal la sentenza, dal momento in cui i diritti sono divenuti esigibili, intendendosi
per esigibilità l'insorgere del presupposto di fatto dell'obbligazione tri butaria;
e) l'imposizione suppletiva, inoltre, non è preclusa dal rilascio della bolletta doganale; quest'ultima, infatti, non è dotata di efficacia costitu tiva, capace di incidere sulle vicende del rapporto tributario, ma di mera efficacia probatoria del pagamento dei diritti o dell'adempimento delle formalità e condizioni delle merci;
d) l'emissione della bolletta liberatoria definitiva, quindi, comporta de finitività dell'accertamento tributario soltanto in relazione all'identifica zione quali-quantitativa delle merci e non anche totale definizione od esaurimento del rapporto tributario; l'incontestabilità dell'accertamento, infatti, deriva esclusivamente dalle consuete cause valide per tutto il siste ma tributario (sentenza passata in giudicato, ricorso del termine di deca denza o prescrizione, ecc.).
Sul potere di accertamento suppletivo in materia di imposte doganali, v. Cass. 26 marzo 1986, n. 2138, Foro it., 1986, I, 1547, con nota di richiami e Cass. 12 gennaio 1984, n. 235, id., Rep. 1984, voce Dogana, n. 49, la quale fa espresso riferimento alla possibilità di fare ricorso al l'imposizione suppletiva, tra le altre, nell'ipotesi in cui vi sia stato errore nell'applicazione di un'esenzione. Per l'individuazione del momento da cui comincia a decorrere la prescrizione dell'imposta doganale, in ipotesi di omessa liquidazione del tributo per erronea applicazione di esenzione, v. Cass. 22 ottobre 1979, n. 5493, id., Rep. 1980, voce cit., n. 68 e in Giur. it., 1980, I, 1, 1678, con nota di S. Fiorenza, e in Dir. e pratica trib., 1981, II, 493, con nota di A. Muratori, e 942, con nota di S. Fiorenza.
La giurisprudenza della Cassazione, si era già più volte occupata dei limiti del procedimento di revisione, ritenendo assoggettate al più lungo termine di prescrizione le ipotesi non rientranti in tali limiti, con esclusio ne, ad esempio, dalla revisione, del caso di errore dell'amministrazione finanziaria nell'inquadrare in una voce di tariffa, anziché in un'altra, la merce importata, esattamente individuata nella sua qualità e quantità.
Sull'argomento, in generale, oltre alle sentenze citate in tema di impo sizione suppletiva, v. Cass. 29 aprile 1980, n. 2836, e 26 febbraio 1980, n. 1330, Foro it., 1980, I, 1632, con ampia nota di richiami, 23 aprile 1981, n. 2389, id., Rep. 1981, voce cit., n. 20; 22 giugno 1981, n. 4070, ibid., n. 19; 25 luglio 1981, n. 4825, ibid., n. 22; 10 novembre 1981, n. 5951, id., Rep. 1982, voce cit., n. 39 e in Giust. civ., 1982, I, 969, e in Dir. e pratica trib., 1982, II, 1000, con nota di Fiorenza, Note
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