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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 11 novembre 1988, n....

Date post: 27-Jan-2017
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sezione lavoro; sentenza 11 novembre 1988, n. 6116; Pres. Zappulli, Est. Berni Canani, P.M. Fedeli (concl. diff.); Colombo ed altri (Avv. Persiani) c. Cassa di risparmio delle province lombarde (Avv. Giorgianni, Grassetti, Fabbri). Cassa Trib. Milano 19 ottobre 1984 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 2269/2270-2283/2284 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184109 . Accessed: 25/06/2014 04:18 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.109.66 on Wed, 25 Jun 2014 04:18:15 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 11 novembre 1988, n. 6116; Pres. Zappulli, Est. Berni Canani, P.M.Fedeli (concl. diff.); Colombo ed altri (Avv. Persiani) c. Cassa di risparmio delle provincelombarde (Avv. Giorgianni, Grassetti, Fabbri). Cassa Trib. Milano 19 ottobre 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2269/2270-2283/2284Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184109 .

Accessed: 25/06/2014 04:18

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

senza l'osservanza dell'art. 7 un licenziamento per giusta causa

o giustificato motivo effettivamente assistito dalla giusta causa

o dal giustificato motivo dedotto da parte datoriale, la nullità

del licenziamento presenterebbe la stessa inutilità di cui discorre

l'orientamento qui criticato. Infatti, il datore potrebbe immedia

tamente contestare l'addebito e intimare nuovamente il licen

ziamento.

Va altresì' rilevato che la pretesa inutilità del riconoscimento

dell'applicabilità delle garanzie dell'art. 7 al licenziamento ad nu

tum in dipendenza della situazione di libertà di scelta dei motivi

da parte datoriale trova smentita nella circostanza che il dar cor

so al canone per cui audiatur et altera pars, può consentire al

lavoratore, in caso di licenziamento disciplinare, di fornire gli opportuni chiarimenti sulla mancanza posta a base del minaccia

to recesso, si da convincere il datore di lavoro e non darvi corso.

Come tale la regola del contraddittorio è perfettamente indiffe

rente alla natura e ai presupposti possibili del potere in relazione

al cui esercizio debba previamente aver corso. E ciò perché è fun

zionale esclusivamente a scongiurare quell'esercizio. Il controllo

dei presupposti di esercizio del potere è affidato a un momento

successivo quello della impugnativa. È questo il momento che

va raccordato con la regola sostanziale dell'esercizio del potere.

Neppure convincente, a sommesso avviso di chi scrive, è la

pretesa di inferire la tesi negativa qui criticata dalla circostanza

che la manipolazione dell'art. 7, 1°, 2° e 3° comma, operata dalla Corte costituzionale con la sentenza 30 novembre 1982, n.

204, avrebbe tratto origine da giudizi a quibus concernenti fatti

specie nelle quali si controverteva di licenziamenti soggetti al re

gime limitativo della 1. 604/66 o dell'art. 18 1. 300/70. Ditalché, l'art. 7, nel testo risultante da detta sentenza interpretativa di

accoglimento, si dovrebbe intendere applicabile solo all'area di

quei licenziamenti, quasi per una sorta di incidenza del principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato.

Senonché, a parte la circostanza che il «chiesto» nel giudizio di legittimità costituzionale non può essere determinato certamente

dall'oggetto del giudizio a quo, perché ciò sarebbe incompatibile

con il fatto che l'oggetto del giudizio di legittimità è la norma

impugnata, va detto che nella sentenza 204/82 nessun elemento

si coglie che possa reputarsi significativo dell'intenzione della corte

di integrare l'art. 7 non già con riferimento all'area della sua

applicabilità, quale individuata in negativo, dall'assenza nella 1.

300/70 di qualsiasi norma limitativa, riferita alla consistenza del

l'impresa datoriale, bensì con riguardo a un'area più ristretta e

precisamente a quella nella quale non è possibile il recesso ad

nutum. Si vuole cioè sottointendere che la norma dell'art. 7 sic

come integrata dalla Corte costituzionale con riferimento al li

cenziamento disciplinare quale sanzione disciplinare appare

applicabile all'area del recesso ad nutum cosi come lo era ante

riormente per le altre sanzioni disciplinari. D'altro canto, l'insistenza della Corte costituzionale nella sud

detta sentenza sul valore di regola di civiltà del principio per cui

audiatur et altera pars corrobora l'assunto qui sostenuto. Infatti,

una volta ribadito che detta regola è indirettamente funzionale

all'esercizio del diritto di difesa del lavoratore e che quel diritto

è indifferente alla tutela che il lavoratore, successivamente all'e

sercizio del potere di recesso datoriale, potrà in ipotesi ottenere

(cioè la declaratoria della insussistenza della giusta causa o del

giustificato motivo, nell'area del licenziamento soggetto alla 1.

604/66 e all'art. 18 statuto lavoratori, la declaratoria della illicei

tà del motivo del licenziamento nell'area del recesso ad nutum),

proprio la neutralità della regola stessa rispetto all'atteggiarsi in

modo vincolato oppure non del potere risolutorio datoriale, in

duce a reputare conforme al decisum della Corte costituzionale

l'interpretazione qui sostenuta.

Quand'anche infine di intravedessero nella decisione della cor

te gli estremi per una possibile questione interpretativa in ordine

all'area di riferimento del nuovo diritto da essa creato, il valore

di regola di civiltà riconosciuto dalla corte stessa al principio au

diatur et altera pars, dovrebbe indurre a preferire, fra le due in

terpretazioni sostenibili, quella qui condivisa, come l'unica

conforme a Costituzione e segnatamente all'art. 3 e all'art. 4 di

essa. È appena il caso di chiarire che il segnalato carattere di

neutralità della garanzia de qua rispetto al presupposto del potere

di recesso datoriale, evidenzia come la situazione del lavoratore

ad nutum e di quello licenziabile solo per giusta causa o giustifi

cato motivo, non possono ricevere in materia diverso trattamento.

Il Foro Italiano — 1989.

Va dunque in conclusione affermato che l'art. 7 dello statuto

dei lavoratori e più precisamente i suoi commi 2° e 3° sono ap

plicabili al licenziamento ontologicamente disciplinare disposto nel

l'area del c.d. recesso ad nutum.

Va chiarito invece che non ha senso ipotizzare l'applicabilità nell'area in discorso della garanzia di cui al 1° comma dell'art. 7.

Invero, tale garanzia, in un sistema nel quale l'esercizio del

potere di recesso può avvenire ad nutum, avrebbe poco senso.

In proposito può riconoscersi fondatezza all'argomentare che

l'indirizzo dianzi disatteso trae dalla natura del potere risolutorio

del datore di lavoro. Ma ciò, perché la garanzia in discorso ha

come punto di riferimento, a differenza delle garanzie del 2° e

del 3° comma, non già il potere de quo all'atto in cui si è forma

ta le volontà di esercitarla per un motivo disciplinare nel datore

di lavoro, bensì' il potere stesso nella sua astrattezza. In termini

di garanzia non avrebbe senso per il lavoratore che vi sia la pub blicità di un codice disciplinare, laddove il recesso in astratto è

esercitabile pur al di fuori delle ipotesi ch'esso prevede. Viceversa — e come si è cercato di evidenziare innanzi — la

garanzia di cui ai commi 2° e 3° divengono attuali con riguardo a una concreta specificazione disciplinare del paventato recesso

datoriale.

A chiusura delle svolte considerazioni va infine precisato che

l'affermata applicabilità dell'art. 7, 2° e 3° comma, al licenzia

mento ontologicamente disciplinare nell'area del recesso ad nu

tum, va ritenuta non solo per l'ipotesi nella quale nell'eventuale

atto di comminitoria del licenziamento (sia esso scritto ovvero

orale) sia stata palesata la motivazione disciplinare del licenzia

mento; bensì pure nel caso in cui sia stata palesata una motiva

zione diversa ovvero non sia stata palesata motivazione alcuna.

Infatti, in questa seconda ipotesi vi sarà solo un problema di

difficoltà della motivazione disciplinare, ma ciò non può incidere

sull'estensione del principio qui sostenuto.

Risolta la questione interpretativa esaminata, venendo alla fat

tispecie che si giudica, va rilevato che non può dubitarsi, sia in

ragione del tenore della lettera di licenziamento, sia delle dichia

razioni rese dalle parti in libero interrogatorio (la resistente ha

precisato di non sapere se il marito contestò l'assenza ingiustifi cata alla ricorrente), sia dell'omessa allegazione del contrario in

memoria di costituzione, che alla ricorrente non venne contestato

l'addebito disciplinare prima dell'intimazione del licenziamento

e non fu quindi consentita la discolpa. E perciò indubbia appare la violazione della garanzia di cui ai commi 2° e 3° dell'art. 7.

In conseguenza, il licenziamento appare nullo (all'uopo si veda

Cass., sez. lav., sent. 8 luglio 1988 n. 4521, Foro it., 1988, I,

3592 per l'affermazione secondo cui il licenziamento disciplinare comminato in violazione dell'art. 7 è inefficace, cioè nullo). Il

rapporto di lavoro si deve pertanto reputare come non mai cessa

to e ciò comporta la condanna della resistente al pagamento delle

retribuzioni fino a oggi maturate dal dì del licenziamento. Esse

assommano a lire 6.969.600 (lire 1.089.491xmesi 6 e giorni 12).

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 11 novem

bre 1988, n. 6116; Pres. Zappuiai, Est. Berni Canani, P.M.

Fedeli (conci, diff.); Colombo ed altri (Aw. Persiani) c. Cas

sa di risparmio delle province lombarde (Aw. Giorgianni, Gras

setti, Fabbri). Cassa Trib. Milano 19 ottobre 1984.

Lavoro (contratto collettivo) — Successione di contratti collettivi — Disposizione di diritti dei lavoratori sorti sulla base di prece dente contratto collettivo — Limiti — Fattispecie.

In difetto di specifico mandato, o di adesione o ratifica degli interessati, il contratto collettivo non può incidere su diritti sorti,

in capo alle parti del rapporto di lavoro, per l'avvenuto perfe

zionamento delle corrispondenti fattispecie costitutive e comun

que per effetto di prestazioni eseguite durante la vigenza di

un precedente contratto collettivo (in applicazione dell'enun

ciato principio, è stata ritenuta illegittima la modifica in peius,

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2271 PARTE PRIMA 2272

apportata da un contratto collettivo, al trattamento pensioni stico integrativo istituito da una precedente fonte collettiva). (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Milano,

depositato il 6 giugno 1983, Ferruccio Colombo, Fedele Frigerio,

Luigi Ghislandi, Pierino Sacchi, Giuseppe Sala, Mario Scossa e

Mario Secchi già dipendenti della Cassa di risparmio delle pro vince lombarde (Cariplo) collocati a riposo tra il 1964 e il 1969,

esponevano: di essere titolari, a norma degli art. 1 e 15 dell'ac

cordo 9 maggio 1960 per il trattamento di previdenza e quiescen za del personale della Cariplo, di pensione sostitutiva dell'Inps, a carico di apposito fondo per le pensioni, e di pensione integra

tiva, a carico della stessa Cariplo; che l'accordo, confermato da

un altro del 9 aprile 1962, aveva recepito le delibere adottate dal

la commissione provvisoria di reggenza amministrativa della cas

sa I'll agosto 1945 e il 28 agosto 1946, con le quali si era inteso

ristabilire l'equilibrio proporzionale fra il trattamento economico

del personale in servizio e quello del personale pensionato, altera

to dalle voci retributive istituite nel periodo bellico; che con tali

delibere era stata infatti istituita una integrazione tale da assicu

rare un trattamento pensionistico complessivo pari all'SOVo, poi divenuto 85%, del complessivo normale trattamento economico

annuale del personale in servizio, e cosi allineato all'andamento

della retribuzione goduta dal personale di pari grado, indipen dentemente dalla data di estinzione del rapporto; che la disciplina fissata dall'accordo del 1960 era stata successivamente modificata

in senso peggiorativo poiché con accordi sindacali del 26 novem

bre 1971 e 29 marzo 1974 era stato disposto il congelamento del

premio di produzione ai livelli goduti alla data di cessazione del

rapporto, e con accordo economico nazionale del 17 gennaio 1983

da un lato era stata esclusa la computabilità di una erogazione

(1) L'elaborata decisione si segnala come un ulteriore e chiarificatore intervento in materia di limiti al mantenimento, da parte dei lavoratori, di diritti sorti dalla contrattazione collettiva, in presenza della successione tra le fonti contrattuali collettive (sulla problematica della conservazione dei c.d. diritti quesiti nella successione di diverse regolamentazioni collet

tive, nell'ambito di una riflessione di carattere più generale sul c.d. pote re dispositivo dell'autonomia collettiva, v., da ultimo, P. Lambertucci, Brevi considerazioni sul c.d. potere dispositivo dell'autonomia collettiva

dinanzi alla pluralità di «modelli» della contrattazione collettiva (nota a Cass. 21 aprile 1987, n. 3899, 21 gennaio 1987, n. 537, 13 dicembre

1986, n. 7483, e Trib. Padova 20 gennaio 1987), in Foro it., 1988, I, 528, ed ivi richiami dottrinali e giurisprudenziali; adde Cass. 2 aprile 1987, n. 3214, id., Rep. 1987, voce Lavoro (contratto), n. 60; 4 febbraio 1987, n. 1085, ibid., n. 42; 28 giugno 1988, n. 4323, Notiziario giur. lav., 1988, 605; 24 maggio 1988, n. 3592, Mass. giur. lav., 1988, 629; 27 gennaio 1988, n. 719, Riv. it. dir. lav., 1988, II, 910, con nota di A. Maresca, Ancora sulla disponibilità in sede collettiva di diritti individuali).

In particolare, la decisione della Cassazione, nell'esaminare una fatti

specie riguardante la modifica in peius di un trattamento pensionistico integrativo, costituito a beneficio del personale della Cariplo in via con

venzionale, affronta, sul piano dogmatico, le possibili linee di demarca zione tra situazioni giuridiche definite — e, come tali, intangibili da parte della contrattazione collettiva — e norme collettive suscettibili di modifi ca in sede di rinnovo del contratto collettivo. Il Supremo collegio sottoli nea che la prestazione di lavoro si caratterizza come una prestazione di durata e le prestazioni di durata, ad esecuzione periodica o continuativa, non vanno considerate unitariamente, ma come sequenza di prestazioni tra loro autonome. Ne consegue che, a parere della Corte di cassazione, il rinnovo anticipato del contratto collettivo, dettando nuove regole per il rapporto di lavoro, può modificare le condizioni e le modalità di svol

gimento futuro della prestazione di lavoro e delle corrispondenti contro

prestazioni; viceversa, non può influire sulle prestazioni già eseguite, né

può modificare, in difetto di specifico mandato o di successiva adesione o ratifica degli interessati, i diritti sorti, per l'avvenuto perfezionamento delle corrispondenti fattispecie costitutive, durante la vigenza ed in forza di un precedente contratto collettivo. Nel far applicazione del suddetto

principio la decisione in epigrafe giunge a conclusioni diverse da Cass. 16 gennaio 1986, n. 260 (Foro it., 1986, I, 931 con nota di P. Curzio), per la quale la clausola di un contratto collettivo che prevede «sommini strazioni in natura» a favore di pensionati rivestirebbe natura di contrat to a favore di terzi, qualificabile come clausola obbligatoria e modificabile in peius da contratti collettivi successivi. Viceversa, secondo la decisione in epigrafe, il diritto alla pensione integrativa nasce al momento del col locamento in quiescenza, momento nel quale si perfeziona la fattispecie costitutiva, che non può essere influenzata, contro la volontà del titolare, da accordi collettivi successivi.

Il Foro Italiano — 1989.

una tantum relativa ad arretrati di retribuzione per l'anno 1982,

dall'altro erano state accorpate sotto la voce «indennità di men

sa» anche l'indennità di caropane ed il contributo pasti; già rite

nute pensionabili le prime due, non pensionabile la terza, che

a seguito dell'unificazione avrebbe dovuto anch'essa essere com

putata. Chiedevano, quindi, che fosse dichiarata l'illegittimità e

l'inefficacia nei loro confronti della suddetta disciplina peggiora tiva introdotta dagli art. 3, 5, 7 e 9 degli accordi aziendali del

26 novembre 1971 e del 29 marzo 1974 e con l'art. 1 quater del

l'accordo economico nazionale del 17 gennaio 1983, con la con

danna della Cariplo al pagamento degli arretrati di pensione

corrispondenti ai suddetti titoli, con interessi e rivalutazione.

Costituendosi, la Cariplo contestava l'interpretazione degli ac

cordi aziendali prospettata dai ricorrenti, sostenendo che il nor

male trattamento economico da considerare per il computo della

pensione non coincideva con l'intera retribuzione ma con le voci

tassativamente specificate nell'accordo del 1960, e che in ogni caso né il premio di rendimento, né l'indennità una tantum pote

vano, per difetto di costanza e necessità, far parte della normale

retribuzione; mentre nell'indennità di mensa erano rimaste distin

te le singole componenti. Eccepiva, inoltre, la prescrizione della

pretesa di riliquidare l'integrazione sul premio di rendimento per essere decorso oltre un decennio dalla costituzione del preteso diritto.

Con sentenza del 26 ottobre 1983 il pretore adito rigettava la

domanda, accogliendo l'eccezione di prescrizione relativa al pre mio di rendimento e ritenendo, nel merito, tassativo l'originario elenco di voci retributive pensionabili, e globalmente migliorative le modifiche introdotte dai successivi accordi collettivi.

Avverso la pronunzia i soccombenti proponevano appello, cui

resisteva la Cariplo. Con sentenza 18 maggio - 19 ottobre 1984 il Tribunale di Mila

no rigettava il gravame, confermando la decisione impugnata. Considerava il tribunale, in riferimento alla esclusione, negli

accordi del 1971 e 1974, del premio di rendimento dalla base di

computo del trattamento pensionistico; che l'accordo del 9 mag

gio 1960 aveva fissato all'art. 5 la pensione degli ex-dipendenti della Cariplo nell'85% del normale trattamento economico godu to dai pari grado ancora in servizio, allineando in tal modo il

livello della pensione alla dinamica contrattuale; che lo stesso ac

cordo aveva indicato nell'art. 7, «in base all'attuale struttura del

la retribuzione, le voci del trattamento economico del personale in servizio computabili ai fini del calcolo del trattamento pensio nistico di cui al precedente art. 5...»; che una lettura secondo

normalità e ragionevolezza del combinato disposto dei due arti

coli (costituenti l'uno la norma fondamentale, l'altro una meta

norma contenente i criteri di decodifica della prima) portava a

ritenere che la base di computo del trattamento pensionistico in

tegrativo fosse una nozione convenzionale di retribuzione, non

onnicomprensiva ma tassativamente stabilita dalle parti, nell'art.

7, in relazione alla struttura retributiva in atto; che esattamente,

quindi, la Cariplo si era richiamata alla comune volontà delle

parti, desumibile sia da una interpretazione complessiva delle clau

sole contrattuali, sia dal comportamento tenuto dopo la stipula zione dell'accordo del 1960.

Osservava, quindi, che non vi era stata nella specie una modifi

ca in peius di tale accordo collettivo, ma un miglioramento; e

in ogni caso un trattamento di pensione integrativo, fondato su

una fonte collettiva, è illimitatamente modificabile dalle stesse

fonti collettive che lo hanno istituito; che risultavano assorbite

le questioni relative alla pretesa illegittimità dell'accordo del 1983

nella parte in cui escludeva dalla base di computo del trattamento

integrativo l'indennità una tantum, considerata del tutto occasio

nale e diretta a compensare forfetariamente i lavoratori con rife

rimento ai tempi tecnici occorsi per rinnovare i precedenti accordi, nonché nella parte in cui disponeva l'accorpamento sotto la voce

«indennità di mensa» delle due indennità già pensionabili. Avverso la decisione del tribunale hanno proposto ricorso per

cassazione, affidato a cinque mezzi di annullamento, Ferruccio

Colombo, Fedele Frigerio, Luigi Ghislandi, Giuseppe Sala, Ma rio Scossa e Mario Secchi, nonché Giancarlo Sacchi, erede di Pie

rino Sacchi, nel frattempo deceduto. Resiste la Cariplo con

controricorso, e propone a sua volta ricorso incidentale, sorretto

da due motivi, condizionato all'accoglimento del ricorso princi

pale. Le parti hanno depositato memorie illustrative. All'udienza

dell'8 maggio 1987 questa corte, rilevato che il ricorso proposto

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

per la parte deceduta da Giancarlo Sacchi non era stato notifica

to agli altri coeredi, ordinava l'integrazione del contraddittorio, a cura delle parti, nei confronti di Enzo, Edoardo e Carlo Sacchi.

Motivi della decisione. — Va preliminarmente disposta la riu

nione del ricorso principale e di quello incidentale, proposti con

tro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.). Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia viola

zione degli art. 1362 ss., in relazione agli art. 5 e 7 dell'accordo

per il trattamento di previdenza e quiescenza per il personale del

la Cariplo del 9 maggio 1960, all'accordo 9 aprile 1962 ed agli art. 3, 5, 7, 9 degli accordi del 26 novembre 1971 e 29 marzo

1974, nonché difetto e contraddittorietà di motivazione, per ave

re il tribunale erroneamente ed apoditticamente escluso che negli accordi del 1960 e del 1962 fosse previsto l'agganciamento co

stante del trattamento pensionistico al complessivo trattamento

economico goduto dai pari grado in servizio, non considerando

che l'attribuzione di esclusivo rilievo all'elencazione delle voci re

tributive pensionabili contenuta nell'art. 7 dell'accordo del 1960

rendeva irrilevante e privo di significato, in violazione dei canoni

di cui agli art. 1363 e 1367 c.c., il principio, affermato nel 1°

e precisato nel 2° comma dell'art. 5 dello stesso accordo, secon

do il quale il trattamento pensionistico integrativo doveva essere

costantemente ragguagliato al complessivo e normale trattamento

economico dei pari grado in servizio, si che ogni variazione di

questo, determinata da voci riconducibili al concetto di normale

trattamento economico doveva essere ricompresa nella base di com

puto della pensione; che l'elencazione di voci retributive pensio nabili è espressamente riferita, nell'art. 7, all'attuale struttura della

retribuzione, sì da costituire, presupponendo l'incidenza sul trat

tamento pensionistico di ogni variazione (compresa l'istituzione

di nuove voci retributive) di tale struttura, una mera applicazione

contingente del principio fissato nell'art. 5; che, di conseguenza, la norma dell'art. 5 non si esaurisce in una enunciazione di prin

cipio, ma detta un meccanismo idoneo a rendere determinabile

in ogni momento l'entità della pensione integrativa, sulla base

di una precisa nozione di trattamento normale complessivo chia

ramente identificabile in quello percepito per le ordinarie presta zioni di servizio (esclusi, cioè, compensi quali, ad es., quelli per il lavoro straordinario o festivo); che l'art. 7 si risolve in una

elencazione esemplificativa, e variabile in funzione dei mutamenti

nella struttura della retribuzione, sicché da un lato la disposizio ne non può applicarsi a voci che successivamente vengano ad in

tegrare tale struttura, per le quali deve farsi riferimento unicamente

alla clausola generale dell'art. 5, dall'altro neppure può preclude

re, per le voci già esistenti alla data di stipulazione dell'accordo

ma non comprese nell'elencazione, l'inserimento nella base pen sionabile una volta che esse abbiano acquisito, come avvenuto

per l'indennità di caropane e quella di mensa, carattere retributi

vo per la successiva evoluzione della giurisprudenza e della con

trattazione collettiva; che la norma dell'art. 5 era stata dettata,

come risultava anche dal collegamento con le delibere del 1946

e 1949 in essa recepite, proprio dall'intento di garantire l'equili brio proporzionale tra il trattamento economico del personale in

servizio e quello del personale in quiescenza, già assicurato in

precedenza ai pensionati dalla cassa, ma rimasto alterato durante

il periodo bellico; che, del resto, nell'art. 4 dell'accordo si preci

sa, ai diversi fini della liquidazione delle prestazioni a carico del

fondo pensioni, che le voci retributive computabili sono unica

mente quelle ivi indicate, senza alcun riferimento all'attuale strut

tura delle retribuzioni.

Si lamenta inoltre che il tribunale non abbia tenuto conto delle

citate delibere del 1946 e 1949, costituenti gli antecedenti storici

dell'accordo del 1960, né della disciplina dettata dagli accordi

del 1971 e 1974, indicante che anche ai fini delle prestazioni del

fondo pensioni le parti avevano finito con il rinunciare ad una

elencazione tassativa in favore di una enunciazione aperta all'in

serimento di nuove voci, in conformità di una nozione di retribu

zione comprensiva di ogni emolumento di carattere continuativo

e ammontare determinato non avente natura di rimborso spese.

Si rileva, infine, che l'affermazione, nella sentenza impugnata,

del carattere migliorativo dei successivi accordi aziendali non è

fondata sulla comparazione delle discipline dettate rispettivamen

te nel 1960 e nel 1971, ma esclusivamente sull'erroneo presuppo

sto che i pensionati non avessero mai fruito dell'agganciamento

alla dinamica delle retribuzioni; presupposto senza il quale non

avrebbe potuto disconoscersi la riduzione del trattamento operata

con l'eliminazione dalla base di calcolo di un emolumento, quale

Il Foro Italiano — 1989.

il premio di rendimento, corrisposto con continuità in presenza di condizioni comuni alla quasi totalità del personale.

Con il secondo motivo si denunziano violazione dell'art. 1372

c.c. e dell'art. 112 c.p.c., nonché difetto e contraddittorietà di

motivazione, per avere il tribunale affermato che, a prescindere dalla natura migliorativa o peggiorativa attribuibile agli accordi

del 1971 e 1974 rispetto alla disciplina fissata nel 1960, un tratta

mento di pensione integrativa fondato su una fonte collettiva è

illimitatamente modificabile dalle stesse fonti che lo hanno isti

tuito. Si deduce: che nei regimi integrativi contrattuali i tratta

menti pensionistici assumono funzione retributiva, costituendo un

corrispettivo differito (ottenuto dalle organizzazioni sindacali at

traverso limitazioni nelle rivendicazioni di miglioramenti econo

mici durante il servizio) delle attività lavorative prestate; che,

pertanto, una volta conseguito, con il collocamento a riposo, il

diritto alla pensione integrativa non può subire modifiche in peius, cosi come non può subirle il trattamento retributivo nel corso

del rapporto di lavoro; che le corrispettive obbligazioni contrat

tuali del datore di lavoro si perfezionano al momento della cessa

zione del rapporto: eventuali accordi sindacali modificativi sono

inopponibili al personale in quiescenza poiché si risolverebbero

nei suoi confronti in atti di disposizione di diritti già maturati; che, infine, i lavoratori in quiescenza al momento della stipula zione di nuovi accordi sono, rispetto ad essi, terzi e non possono in quanto tali risentire direttamente alcun effetto.

Con il terzo motivo si denunziano violazione degli art. 1372,

1362 ss. c.c. in relazione all'art. 1 quater dell'accordo economico

nazionale del 17 gennaio 1983, e dell'art. 112 c.p.c., nonché di

fetto e contraddittorietà di motivazione, per non avere il tribuna

le considerato che, anche a voler ammettere la tassatività

dell'elencazione di cui all'art. 7 dell'accordo del 1960, doveva

egualmente essere riconosciuto il diritto al computo nel tratta

mento di pensione dell'indennità una tantum prevista dall'accor

do del 1983, trattandosi non di una voce della retribuzione ma

di una liquidazione forfettaria (rigorosamente proporzionale alla

qualifica e alla anzianità di servizio, nonché al periodo di servizio

prestato nell'intervallo tra la decorrenza del nuovo trattamento

retributivo e la scadenza del precedente contratto) corrispondente

a tutte le componenti della retribuzione comprese nell'elencazio

ne di quelle pensionabili. Si rileva, inoltre, che la clausola escludente il computo dell'in

dennità nel trattamento pensionistico non poteva comunque ap

plicarsi, sia perché stipulata da sindacati che i pensionati non

rappresentavano né potevano rappresentare, sia perché contenuta

in un accordo collettivo nazionale che, se poteva istituire nuove

voci retributive, non poteva però determinarne la computabilità

o meno ai fini della pensione trattandosi di materia istituzional

mente demandata alla contrattazione integrativa aziendale.

Con il quarto motivo si denunziano violazione dell'art. 1372

e degli art. 1362 ss. c.c. in relazione all'art. 3 dell'accordo econo

mico nazionale del 17 gennaio 1983, nonché difetto e contraddit

torietà di motivazione, per avere il tribunale erroneamente escluso

la computabilità nella retribuzione pensionabile dell'intero importo

dell'indennità di mensa comprendente, in base all'accordo del 1983,

oltre la precedente omonima indennità e quella di caropane, rite

nute pensionabili, anche il contributo pasti, non ritenuto tale.

Si sostiene che quest'ultimo, prima di importo variabile, è stato

poi stabilito in misura fissa mensile per tutti i lavoratori, si da

rientrare a pieno titolo nella normale retribuzione, e che lo stesso

assorbimento delle tre voci in una sola di esse, prima pensionabi

le, comporta, tenuto conto dell'impossibilità di distinguere l'im

porto corrispondente a ciascuna delle voci preesistenti, la

pensionabilità della nuova voce per il suo intero ammontare.

Si deduce, inoltre, che la clausola che vi si opponeva non pote

va applicarsi, per le ragioni già indicate in riferimento all'inden

nità una tantum, nei confronti del personale già collocato a riposo.

Con il quinto motivo si denunzia violazione degli art. 2934,

2946 e 2948 c.c. e dell'art. 36 Cost., nonché difetto e contraddit

torietà di motivazione, per avere il tribunale confermato la sen

tenza di primo grado che aveva, tra l'altro, dichiarato estinto

per prescrizione decennale il diritto all'integrazione sul premio

di rendimento, e tuttavia omesso di pronunziare e di motivare

sulla questione. Si deduce che se prescrittibili sono, nel termine

quinquennale, i singoli ratei di pensione, il suddetto diritto, in

quanto componente di un regime pensionistico integrativo con

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2275 PARTE PRIMA 2276

natura e funzione retributiva, non è soggetto, cosi' come la retri

buzione, a prescrizione; e in ogni caso la prescrizione decennale

non può essere invocata in relazione ai diritti soggetti alle prescri zioni brevi.

Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato si de

nunzia l'omessa pronunzia, e la carenza di motivazione, sull'ec

cezione di prescrizione concernente il premio di rendimento, accolta

dal primo giudice e ritualmente riproposta in appello. Si deduce

che ogni rapporto obbligatorio di durata è suscettibile di prescri zione estintiva, autonomamente e indipendentemente dalla pre scrizione dei singoli ratei.

Con il secondo motivo si denunzia violazione degli art. 1362

ss., 1372, 2067 ss. e 2077 c.c., nonché difetto di motivazione,

per avere il tribunale omesso ogni motivazione in ordine: alla

portata delle deliberazioni del 1946 e del 1949, ed al comporta mento delle parti anteriormente all'accordo del 1960, indicanti

che era sempre stato pacificamente seguito il sistema della tassati

vità delle voci pensionabili; all'incompatibilità tra normale retri

buzione ed un emolumento, quale il premio di rendimento, non

caratterizzato da generalità e continuità; al contenuto globalmen te migliorativo degli accordi del 1970-1974; all'adesione successi

va agli accordi del 1970, manifestata attraverso il godimento del

trattamento pensionsitico in essi fissato, di tutti i ricorrenti, ed

espresso per iscritto da alcuni di essi.

Il primo e il secondo motivo del ricorso principale, che per la loro connessione possono essere congiuntamente trattati, sono

fondati.

L'art. 5 dell'accordo del 9 maggio 1960 per il trattamento di

previdenza e quiescenza del personale della Cariplo stabilisce al

1 ° comma che la pensione integrativa deve essere «tale da portare il trattamento economico del pensionamento all^Vo del com

plessivo normale trattamento economico annuale del personale in servizio» e precisa al 2° comma che «detta integrazione è per tanto variabile, sia in aumento sia in diminuzione, in correlazio

ne alle variazioni del trattamento economico del personale in

servizio, in modo che il trattamento economico annuale comples sivo del pensionato corrisponda in ogni momento all'85% del

complessivo normale trattamento annuale del personale in servi

zio come indicato al precedente comma».

L'art. 7, dello stesso accordo stabilisce che «in rapporto all'at

tuale struttura della retribuzione le voci del trattamento economi

co del personale in servizio computabili ai fini del calcolo

dell'integrazione di cui all'art. 5 sono...».

Di tali disposizioni le parti hanno proposto interpretazioni che

possono cosi riassumersi: per i ricorrenti l'art. 5 ricollega la pen sione al normale trattamento economico complessivo; la clausola

è in sé completa e immediatamente precettiva. Nell'art. 7 sono

soltanto precisate, con valore ricognitivo, le voci retributive all'e

poca esistenti: l'elencazione, esemplificativa e tendenzialmente esau

stiva, è una semplice applicazione della disposizione dell'art. 5. La base di computo della pensione integrativa è pertanto soggetta ad automatica integrazione per effetto dell'istituzione di nuove

voci riconducibili al normale trattamento economico definito dal

l'art. 5 come, del resto, in ipotesi di successivo riconoscimento

della natura retributiva di emolumenti già erogati al tempo del

l'accordo; per la resistente cassa di risparmio l'elencazione conte

nuta nell'art. 7 ha carattere tassativo: nel riferimento all'attuale

struttura della retribuzione trova riscontro la selezione operata, con l'esclusione di altri emolumenti, tra le voci retributive allora

esistenti. Il complessivo normale trattamento economico annuale

del dipendente in servizio, considerato nell'art. 5, costituisce dun

que una nozione convenzionale definita da tutte, e solo, le voci

indicate nell'art. 7: nessuna incidenza può, di conseguenza, avere

sulla misura del trattamento pensionistico fissato dall'accordo l'e

ventuale successiva istituzione di voci retributive non comprese nella suddetta elencazione.

Tali interpretazioni (che peraltro non esauriscono quelle astrat

tamente possibili: può ritenersi, ad esempio, che nell'accordo sia

stata adottata una nozione convenzionale del normale trattamen

to economico la quale non si risolva tuttavia nell'elencazione di

cui all'art. 7, ma da questa, formulata con riferimento alla strut

tura propria della retribuzione allora corrisposta, sia ricavabile

attraverso il confronto tra gli emolumenti elencati e quelli esclusi, si da essere applicabile anche a compensi successivamente istituiti

che ne presentino i tratti caratteristici) sono state sostenute nel

Il Foro Italiano — 1989.

giudizio di appello con numerose, analitiche argomentazioni, del

le quali però non vi è traccia nella sentenza impugnata. Il giudice di appello si è limitato, infatti, a dichiarare la pro

pria adesione alla tesi interpretativa proposta dalla cassa, e con

divisa dal pretore, senza esaminare le critiche ad essa mosse dagli

appellanti. Vero è che il giudice del merito è tenuto a indicare le ragioni

del proprio convincimento, non ad esaminare tutte le deduzioni

delle parti, ma nella specie tali ragioni si esauriscono: nell'affer

mazione dell'esattezza del richiamo operato dalla Cariplo alla co

mune volontà delle parti, desumibile sia da una interpretazione

complessiva delle clausole contrattuali, sia dal comportamento te

nuto dopo la stipulazione dell'accordo del 1960; nella prospetta zione dell'interpretazione sostenuta dagli appellanti come fondata

su una lettura selettiva e mirata di singole clausole, senza tener

conto della complessiva volontà contrattuale, che nella specie ap

pariva esente da ambiguità, e strutturata in una norma fonda

mentale (l'art. 5) ed in una metanorma (l'art. 7) contenente i

suoi criteri di decodifica. E ove si consideri che quest'ultima asserzione è puramente de

scrittiva, e che neppure il richiamo indiretto al comportamento delle parti posteriore alla stipulazione dell'accordo (da ricollegare

presumibilmente ad un cenno contenuto nella parte espositiva della

sentenza, laddove si riporta la menzione, nelle difese opposte dal

la Cariplo al ricorso introduttivo del giudizio, dell'atteggiamento del sindacato, che avrebbe presentato come un successo l'allarga mento della base retributiva rilevante per la pensione) è stato in

qualche modo precisato, deve concludersi che la scelta interpreta tiva del tribunale poggia unicamente sulla asserita non ambiguità delle clausole contrattuali.

Ma il giudizio sulla chiarezza o ambiguità dell'elemento lette

rale è incensurabile in sede di legittimità se, in relazione alle con

testazioni sorte al riguardo, esso risulti adeguatamente motivato; nella specie è del tutto apodittico, sicché non è dato ricostruire

l'iter logico che ha condotto il tribunale a privilegiare l'interpre tazione adottata.

Per determinare l'incidenza di tale difetto di motivazione nel

l'articolazione della sentenza impugnata è necessario esaminare

i due enunciati (ciascuno astrattamente idoneo a sorreggere, au

tonomamente, la decisione ed entrambi contestati nei motivi in

esame) collocati dal giudice di appello a chiusura della suesposta

interpretazione delle clausole contrattuali, secondo i quali: non

vi sarebbe stata nella specie modifica in peius dell'accordo del

1960, ma miglioramento; in ogni caso un trattamento di pensione

integrativo, fondato su una fonte collettiva, è illimitatamente mo

dificabile dalle stesse fonti collettive che lo hanno istituito, a nul

la rilevando che i pensionati non sono più lavoratori, poiché la

dinamica non collettiva sembra arrestarsi col pensionamento dei

lavoratori che ne hanno promosso qualche segmento. Il primo enunciato, che isolatamente considerato risulterebbe

del tutto apodittico, si ricollega logicamente, oltre che per la sua

collocazione nella sequenza argomentativa, al significato attribui

to dal tribunale alle contestate clausole dell'accordo del 1960.

Affermata la tassatività dell'elencazione di cui all'art. 7 del

l'accordo, ogni incremento nelle voci pensionabili — e cosi la

circostanza, menzionata dal giudice di appello nella parte esposi tiva della sentenza come dedotti dalla Cariplo, che il premio di

produzione fosse stato «reso pensionabile nel 1970 per il periodo

posteriore al 1969 e in via eccezionabile anche per quelli che di

fatto lo avessero percepito anche prima di tale data» — doveva

necessariamente apparire come un miglioramento. L'affermazione risulta, quindi, una conseguenza dell'interpre

tazione data all'accordo del 1960, e non ulteriore argomento ad

dotto a confutazione della tesi degli appellanti. Il secondo enunciato è, per contro, logicamente indipendente

ed involge questioni sulle quali l'evoluzione giurisprudenziale non

sembra aver raggiunto risultati totalmente omogenei (cfr., ad es., sul problema della configurabilità, in materia, di diritti quesiti, le formulazioni adottate rispettivamente in Cass. 4658, 4024, 3214

del 1987, Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro (contratto collettivo), nn. 69, 71, 60; 2525/87, ibid., n. 36; 2452/85, id., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 769; 3639/83, id., Rep. 1984, voce

cit., n. 475; 4517/86, id., 1987, I, 510; 4424, id., Rep. 1985, voce cit., nn. 505, 2252; 2530 del 1984, ibid., voce Previdenza

sociale, n. 671). La successione dei contratti collettivi di diritto comune, anche

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

di diverso livello, è regolata, come ormai costantemente afferma

to da questa corte (v. da ultimo, oltre le decisioni appena citate, Cass. 5267 e 4269 del 1987, id., Rep. 1987, voce Lavoro (contrat to collettivo), nn. 58, 70; 4517 del 1986, cit.; 1445 del 1986, id., 1987, I, 511; 5648 del 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 77), dai principi dell'autonomia negoziale privata: il nuovo contratto

può modificare il precedente in senso meno favorevole sia al da

tore di lavoro sia — riguardando gli art. 2077 e 2113 c.c. il diver

so rapporto fra contratto collettivo e contratto individuale — al

lavoratore. I diritti che per effetto del contratto collettivo sorgo no in capo alle parti del contratto individuale sono, invero, legati ai limiti temporali di efficacia della fonte collettiva (cfr. Cass.

4024 e 2525 del 1987, cit., 5592 del 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2887; 1690 del 1984, id., 1984, I, 2530; 725 del 1981, id., Rep. 1981, voce cit., nn. 81, 82; v. tuttavia, per una diversa

funzione attributiva, in materia, al termine, Cass. 3899 del 1987,

id., 1988, I, 526); con tali limiti «si incorporano», se si vuole — v. anche art. 2077, 2° comma, c.c. — nel contratto collettivo

individuale. Stipulato un nuovo contratto collettivo il lavoratore

(come il datore di lavoro) non può quindi pretendere che nei suoi

confronti continuino ad essere applicate le disposizioni del prece dente (v. Cass. 5592 del 1986, cit.; 6741 del 1981, id., Rep. 1981, voce cit., n. 75).

A differenza, tuttavia, dell'autonomia propria delle parti di un

contratto individuale, non rientra nelle specifiche funzioni rico

nosciute dall'ordinamento alle associazioni sindacali, e in parti

colare nella funzione normativa tipica della autonomia collettiva, il potere di disporre, estinguendoli o modificandoli, dei diritti

dei quali si sia già perfezionato l'acquisto, anche in forza di un

precedente contratto collettivo (cfr. Cass. 7001 e 1085 del 1987,

id., Rep. 1987, voce Sindacati, n. 43 e Lavoro (contratto colletti

vo), n. 42; 5592 del 1986, cit.; 3047 del 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 79.

Né può a ciò obiettarsi che nelle ipotesi di rinnovo del contrat

to collettivo prima della sua scadenza, cosi come in quelle di re

troattività del nuovo contratto, le parti collettive necessariamente

modificano diritti dei quali si è già perfezionato l'acquisto.

Deve, infatti, osservarsi, quanto alla prima ipotesi, che il con

tratto, individuale o (entro i limiti soggettivi di efficacia) colletti

vo, determina in capo alle parti del rapporto di lavoro un

complesso di diritti e doveri, poteri e soggezioni variamente colle

gati alle prestazioni fondamentali contemplate dall'art. 2094 c.c.

Oltre queste ultime può infatti regolare altre prestazioni conti

nuative, costituire obbligazioni ad esecuzione istantanea, preve dere gli effetti dell'esercizio dei poteri e facoltà attribuiti alle parti, definire fattispecie costitutive di diritti ed obblighi.

Per tracciare una linea di demarcazione tra situazioni giuridi

che definite e situazioni suscettibili di modifica in sede di rinnovo

anticipato del contratto collettivo è necessario far riferimento al

la natura delle prestazioni fondamentali, e in particolare della

prestazione di lavoro. Questa è infatti prestazione di durata, e

le prestazioni di durata, ad esecuzione periodica o continuativa,

non vanno considerate unitariamente, ma come successioni di pre stazioni fra loro autonome (cui corrispondono singoli diritti sog

getti, ad es., ad autonome prescrizioni), segmenti individuati da

scadenze, turni prestabiliti, o in funzione di interruzioni o richie

ste dettate dalle esigenze insorgenti nello sviluppo del rapporto. Il diritto al complesso di tali prestazioni presuppone il perdurare del rapporto e delle regole che lo disciplinano (v. Cass. 5592/86,

cit.); i diritti alle singole prestazioni si perfezionano con il decor

so del tempo, che è inerente non alla sola esecuzione, ma all'ob

bligazione stessa (cfr. Cass. 6864/83, id., Rep. 1983, voce

Contratto in genere, n. 91; 1824/80, id., 1980, I, 1933; 742/80,

id., Rep. 1980, voce Somministrazione, n. 2; 4228/76, id., Rep.

1977, voce cit., n. 5; 327/75, id., Rep. 1975, voce Contratto in

genere, n. 21; 3/67, id., Rep. 1967, voce Vendita, n. 19).

Il rinnovo anticipato del contratto collettivo, dettando nuove

regole per il rapporto in corso (v. Cass. 4024/87, id., Rep. 1987,

voce Lavoro (contratto collettivo), n. 71) può quindi, oltre che

definire diversamente fattispecie previste dal precedente contrat

to, modificare le condizioni e le modalità di svolgimento della

prestazione fondamentale di durata e della corrispondente con

troprestazione, cosi come disciplinare poteri e soggezioni alla stessa

prestazione connessi. Può cosi essere modificato, anche prima della

scadenza del contratto vigente, l'orario di lavoro: il mutamento,

pur investendo un diritto già sorto, incide sulle singole prestazio

II Foro Italiano — 1989.

ni future, e dei corrispondenti diritti non si è ancora perfezionato

l'acquisto. Non può invece il contratto superveniens (come del resto il re

cesso convenzionale dal contratto individuale) influire sulle sin

gole prestazioni già eseguite e sulle corrispondenti

controprestazioni, siano o meno queste ultime ancora dovute (v. Cass. 3214/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 60; 4818/77, id., Rep. 1977, voce Appalto, n. 46; 2681/76, id., Rep. 1976, voce Cosa

giudicata civile, n. 25); Neppure possono essere estinte o modifi

cate obbligazioni ad esecuzione istantanea, anche differita, sorte

in forza del precedente contratto collettivo a meno che anche in

esse intervenga per il perfezionamento l'elemento della durata (cfr., ad es., la previsione rispettivamente dell'erogazione differita di

un compenso una tantum e della corresponsione di un premio di fedeltà subordinato al decorso di un determinato arco di tempo).

Le suesposte osservazioni escludono, anche in ipotesi di rinno

vo non anticipato, che gli effetti del nuovo contratto possano essere fatti risalire ad epoca anteriore alla scadenza del contratto

collettivo sostituito; il che non significa negare alle parti il pote

re, entro i limiti sopra indicati, di associare per il futuro, ad eventi

o situazioni pregresse, effetti diversi da quelli a suo tempo con

venuti.

Non può dunque attribuirsi valore assoluto al principio, ripe tutamente affermato in giurisprudenza (v., da ultimo, Cass.

5616/87, id., Rep. 1987, voce Lavoro (contratto collettivo), n.

40; 153/86, id., Rep. 1986, voce cit., n. 46; 6119/85, id., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 774), secondo il quale le parti

possono attribuire, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, efficacia retroattiva ad una o più norme del contratto collettivo:

neppure la retroattività fra le parti è illimitatamente disponibile nel nostro ordinamento (v., ad es., a parte la normale efficacia

ex nunc del recesso convenzionale, il riferimento alla natura del

rapporto nell'art. 1360 c.c. e, quanto alla revoca per mutuo dis

senso, Cass. 3772/76, id., Rep. 1976, voce Contratto in genere, n. 208; 2856/66, id., Rep. 1966, voce Obbligazioni e contratti,

n. 350; 683/66, ibid., n. 351). Non escludono, invece, le stesse osservazioni, l'efficacia della

retrodatazione — ed è questa l'ipotesi di «retroattività» conside

rata di regola in materia (v., ad es., Cass. 4280/82, id., Rep.

1982, voce Lavoro (contratto collettivo), n. 56; 4024/80, id., Rep.

1980, voce cit., n. 20; 5281/78, id., Rep. 1979, voce cit., n. 25) — alla scadenza del contratto precedente.

Volta ad operare, ove le parti non abbiano convenuto di pro

rogare la vigenza del contratto sino al suo rinnovo, la saldatura

dei due contratti collettivi, a colmare l'intervallo tra la scadenza

dell'uno e la stipulazione del successivo, tale retrodatazione inve

ste non già diritti sorti direttamente dal precedente contratto —

dovendosi escludere per i contratti collettivi di diritto comune

la ultrattività prevista dall'art. 2074 c.c. per i contratti corporati

vi (v. Cass. 7140/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 39) — ma,

secondo i casi, situazioni giuridiche derivanti dalla applicazione di fatto del precedente contratto nell' intervallo, o diritti fondati

sull'impegno eventualmente assunto dalle parti stipulanti di con

tinuare provvisoriamente ad osservare il contratto scaduto sino

alla conclusione del successivo, soggetti quindi ab origine a risol

versi con il subentrare della nuova disciplina del rapporto.

Deve, in conclusione, escludersi che, in difetto di specifico man

dato o di successiva adesione o ratifica degli interessati, le pattui

zioni collettive possano modificare diritti sorti, per l'avvenuto

perfezionamento delle corrispondenti fattispecie costitutive (v. Cass.

4280 del 1982, cit.), o comunque per effetto di prestazioni esegui

te (v. Cass. 4658 del 1987, cit.), durante la vigenza ed in forza

di un precedente contratto collettivo. E di entrambe le condizioni

deve tenersi conto nella definizione degli effetti di un accordo

collettivo in tema di trattamenti pensionistici integrativi.

A tal fine — ritiene il collegio — non può quindi essere seguito

l'orientamento espresso, con riferimento a clausole di un accordo

aziendale che prevedevano alcuni benefici (somministrazioni in

natura) in favore di pensionati, nella recente pronunzia 689/88

(id., Mass., Ili) di questa sezione del lavoro. In tale decisione,

premesso che le dedotte obbligazioni, poste tra le stesse parti di

un rapporto di lavoro, erano prive di causa autonoma, e che l'ac

cordo collettivo che le prevedeva era prospettato come riguardan

te essenzialmente i lavoratori in servizio anche laddove faceva

carico al datore di lavoro di fornire determinate prestazioni nel

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2279 PARTE PRIMA 2280

tempo successivo alla cessazione della loro attività, si è rilevato

che trattavasi di prestazioni aventi carattere di retribuzione diffe

rita, dovute in forza dell'unico sinallagma genetico costitutivo del

rapporto di lavoro; sicché, se dovevano distinguersi due successi

vi momenti funzionali, consistenti l'uno nello scambio contestua

le di prestazioni contrapposte, l'altro in obbligazioni, pur sempre in corrispettivo di quelle già fornite dall'altra parte, a carico di

uno solo dei contraenti, il secondo rapporto doveva ricondursi

allo stesso incontro di volontà posto all'origine del rapporto di

lavoro, si da costituire di quest'ultimo un prolungamento. Si è

quindi argomentato che se il rapporto successivo alla cessazione

dell'attività è regolato dallo stesso contratto (individuale, di du

rata) che regolava quest'ultima, e se tale contratto si uniforma

a una contrattazione collettiva che, mutando nel tempo, può in

durre mutazioni anche in peius del suo contenuto, il rapporto, salva contraria volontà dei contraenti (collettivi o individuali, nei

limiti dei rispettivi poteri di disposizione), non potrebbe restare

esente da un tale effetto.

Le premesse indicate nella pronunzia conducono però, quanto meno in riferimento alle prestazioni oggetto della presente con

troversia, ad una diversa conclusione. Una volta ricondotte le

prestazioni dovute ai pensionati alla stessa fonte contrattuale re

golante il rapporto di lavoro, deve infatti considerarsi che il dirit

to alla pensione integrativa nasce al collocamento in quiescenza

(v. Cass. 989/83, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 1882;

2479/78, id., 1978, I, 2185), momento nel quale si perfeziona la fattispecie costitutiva, e non può pertanto, pur integrando a

sua volta un rapporto obbligatorio di durata, essere influenzato, contro la volontà del titolare, dalle vicende che regolano un rap

porto di lavoro ormai cessato (cfr. ancora Cass. 2479/78, cit.).

Nell'argomentazione sopra riportata non è dato, inoltre, rilie

vo ad una circostanza che proprio la ricostruzione compiuta pone in evidenza: l'essere le prestazioni dovute ai pensionati in rappor to di corrispettività con quelle già da essi fornite nel corso del

cessato rapporto di lavoro. Se, invero, le prestazioni pensionisti che rappresentano il corrispettivo di prestazioni del lavoratore (con tribuzioni dei lavoratori e/o la stessa attività lavorativa), una nuova

normativa collettiva può trovare diretta applicazione nei confron

ti dei dipendenti ancora in servizio al momento della sua entrata

in vigore (cfr. Cass. 3047/85, cit.); non già nei confronti di colo

ro che, con la cessazione dell'attività lavorativa, sono divenuti

titolari di un credito che proprio nelle prestazioni eseguite trova

la sua causa. Per i primi le prestazioni eseguite non hanno ancora

determinato il perfezionamento del diritto alla pensione, sicché

ad esse possono essere associati con il contratto superveniens ef

fetti diversi da quelli previsti dalla precedente disciplina; l'appli cazione ai secondi di un regime sostitutivo di quello vigente alla

data di cessazione del rapporto non può, per contro, prescindere dalla loro adesione.

L'illimitata modificabilità in peius dei trattamenti pensionistici integrativi di fonte convenzionale non appare sostenibile neppure ove si riconosca la legittimazione delle organizzazioni sindacali

ad assumere la rappresentanza dei pensionati in quanto tali (con efficacia non limitata, quindi, come nelle ipotesi considerate in

Cass. 1571/86, id., Rep. 1986, voce Lavoro (contratto colletti

vo), n. 21 e 3811/82, id., Rep. 1982, voce cit., n. 26, a pattuizio ni retrodatate all'epoca in cui i pensionati erano in servizio), poiché dovrebbe comunque potersi dimostrare che il potere conferito al

sindacato dal pensionato iscritto in tale sua qualità possa com

prendere rinunce o comunque modificazioni in peius del tratta

mento di quiescenza assicuratogli prima del pensionamento. Ma di un simile potere di disposizione di diritti già sorti, nega

to ai rappresentanti collettivi dei lavoratori (cfr., ad es., Cass.

408/87, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 2866; 5592/86,

cit.; 6493/84, id., Rep. 1985, voce cit., n. 773; 142/83, id., Rep. 1983, voce Sindacati, n. 47) pur in riferimento ad accordi concer

nenti rapporti di lavoro in corso, con prestazioni contrapposte suscettibili di equilibri complessivi conseguibili attraverso la sin tesi di modificazioni positive e negative di singoli aspetti, non

è dato, a fortiori, rinvenire il fondamento quando la rappresen tanza riguardi obbligazioni a carico del solo datore di lavoro, definite nei confronti del pensionato al momento della cessazione

dell'attività lavorativa.

Una diversa soluzione è stata adottata, in relazione a fattispe cie identica a quella oggetto della pronunzia sopra richiamata,

Il Foro Italiano — 1989.

nella decisione n. 260 del 1986 (id., 1986, I, 931), di questa sezio ne del lavoro, sul presupposto della estraneità dei pensionati, non

riconducibili alle categorie contrattuali delimitanti il campo di ap

plicazione della parte normativa dell'accordo, alla stipulazione del contratto collettivo.

Classificate nella parte c.d. obbligatoria (v. Cass. 4658/87, cit.;

1770/86, id., Rep. 1986, voce Lavoro (contratto collettivo), n.

45) del contratto le clausole che prevedevano l'erogazione dei be

nefici ai pensionati, e ravvisato nel contratto a favore di terzi

il meccanismo giuridico idoneo a spiegarne l'efficacia nei con

fronti dei destinatari, si è osservato che, essendo il diritto acqui stato dal pensionato previsto e definito dal contratto, esso, come

poteva cessare in dipendenza della sopravvenuta cessazione del

contratto, cosi poteva in pendenza dello stesso subire modifiche

anche in peius ad opera della successiva contrattazione collettiva, in quanto incidente non sul diritto acquistato dal terzo ma sulla

sua fonte.

In una tale prospettiva è superato l'ostacolo alle modifiche in

peius rappresentato dalle prestazioni già eseguite; la soluzione non

è però generalizzabile ai regimi pensionistici aziendali.

Se, infatti, ipotesi di negozio a favore di terzo sono state confi

gurate nei contratti di assicurazione stipulati dal datore di lavoro

per garantire ai lavoratori un sistema di liquidazione dell'inden

nità di anzianità superiore al minimo legale (v. Cass. 3127/83,

id., Rep. 1983, voce Previdenza sociale, n. 178; 2228/74, id.,

1975, I, 387); nonché — ma nei confronti dei nuovi assunti —

in tema di costituzione, operata dal datore di lavoro insieme con

i dipendenti, di casse di previdenza per il personale (v. Cass.

3148/81, id., Rep. 1981, voce Lavoro (rapporto), n. 199), non

sembra che i lavoratori in servizio, iscritti ad una delle associa

zioni sindacali stipulanti il contratto, possano assumere veste di

terzi rispetto alle clausole collettive che disciplinano il trattamen

to pensionistico integrativo di cui essi stessi fruiranno — o preve dono comunque di poter fruire — alla cessazione della vita

lavorativa.

Simili clausole, che nulla impedisce siano convenute in sede

di contrattazione individuale (v. Cass. 9474/87, id., Rep. 1987, voce Casse di risparmio, n. 7), appaiono invero naturalmente di

rette (e lo sono necessariamente ove l'azienda interessata non ab

bia ancora registrato pensionamenti) ai lavoratori in servizio, si

da doversi collocare nella parte c.d. normativa del contratto col

lettivo quali pattuizioni aventi oggetto un corrispettivo di presta zioni (di lavoro e/o contributive) dei dipendenti. Clausole diverse,

implicite ove l'accordo non distingua fra personale in servizio

e in quiescenza, determineranno l'eventuale estensione del tratta

mento al personale che alla stipulazione dell'accordo abbia già cessato l'attività.

Nei trattamenti pensionistici aziendali, di fonte negoziale e con

funzione aggiuntiva rispetto all'assicurazione generale obbligato

ria, insieme alla più o meno accentuata funzione previdenziale ricorre invero di regola, se sostenuti dalla contribuzione (non im

posta dalla legge) del datore di lavoro ed in corrispondenza di

questa, l'aspetto della retribuzione differita (cfr. Cass. 3653/87,

id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 2853; 7089/82, id.,

Rep. 1982, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 366;

6753/81, id., Rep. 1981, voce Lavoro (rapporto), n. 2014). E

cosi più volte, in riferimento a forme di previdenza aziendale, è stata riconosciuta nelle spettanze dei lavoratori la natura di cre

diti di lavoro, nelle corrispondenti obbligazioni del datore di la

voro il carattere sostanzialmente retributivo (v., da ultimo, Cass.

6173 e 3111 del 1987, id., Rep. 1987, voce Impiegato dello Stato, nn. 1251, 1296, in tema di giurisdizione; 7564 del 1987, ibid., voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 358 e 1061 del 1983,

id., 1984, I, 1358, in tema di rivalutazione monetaria), nei versa

menti del datore di lavoro ai relativi fondi integrativi forme di

risparmio forzoso alimentate da quote di retribuzione (v. Cass.

1967/87, id., Rep. 1987, voce Previdenza sociale, n. 303; 3121/86, id., Rep. 1986, voce cit., n. 270; 1717/84, id., Rep. 1985, voce cit., n. 283).

Ad opposta conclusione potrebbe pervenirsi solo ove la storia

(il comportamento delle parti) e il contenuto degli accordi collet

tivi considerati dovessero portare ad identificare nei pensionati

gli effettivi destinatari delle pattuizioni in questione, e nel tratta

mento integrativo — escluso ogni aspetto sia di retribuzione dif

ferita che assicurativo — una funzione puramente assistenziale,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

nel quadro di una solidarietà circoscritta alle aziende interessate, e quindi una causa totalmente autonoma dal rapporto di lavoro, ridotto a semplice presupposto. All'accordo, stipulato dalle orga nizzazioni sindacali nell'esercizio di funzioni di assistenza dei la

voratori dopo la cessazione dell'attività, i dipendenti in servizio

rimarrebbero allora estranei; la dichiarazione di voler profittare della stipulazione presupporrebbe conseguentemente l'avvenuta ces

sazione del rapporto di lavoro; la circostanza che, dovendo appli carsi il contratto vigente al momento della cessazione del rapporto, i dipendenti in servizio potrebbero vedere modificate nel corso

del rapporto le condizioni del trattamento pensionistico costitui

rebbe non tanto un normale effetto della successione dei contratti

collettivi, quanto piuttosto un corollario della estraneità dei di

pendenti stessi ad un regime che potrebbe riguardarli solo in quanto

pensionati. Tali condizioni, pur non potendo essere a priori escluse, ap

paiono tuttavia difficilmente riscontrabili nel caso concreto (cfr. le decisioni da ultimo citate).

Nelle argomentazioni sinora esposte, circoscritte al rapporto fra

il nuovo accordo collettivo e il trattamento pensionistico applica to al dipendente, in forza del precedente contratto, alla cessazio

ne del rapporto di lavoro, non sono stati considerati gli effetti

dell'eventuale adesione del pensionato al nuovo regime. E in que sta fase, in difetto di una rappresentanza diretta del pensionato in quanto tale, lo schema del contratto a favore di terzi appare

idoneo, sempreché le modifiche apportate al trattamento siano

globalmente migliorative, a spiegare il nuovo assetto del rapporto. Da un lato, infatti, il beneficio non è più ricollegabile sinallag

maticamente alle prestazioni a suo tempo fornite dal pensionato;

dall'altro, l'interesse del sindacato stipulante, ovvero dei lavora

tori in servizio iscritti, è riconducibile, oltre che a principi di soli darietà, alla prospettiva di una estensione al periodo di quiescenza della tutela dell'interesse collettivo assicurata nel corso del rap

porto di lavoro. L'effetto modificativo del rapporto obbligatorio

appare inoltre, salvi diversi risultati interpetativi nel caso concre

to, ricollegabile al contratto collettivo in modo più naturale (il

terzo, salvo patto contrario, acquista il diritto — ex art. 1411

c.c. — per effetto della stipulazione) che non ad un accordo con

il pensionato cui il datore di lavoro addivenga in adempimento della clausola obbligatoria stipulata con le associazioni sindacali.

In ogni caso, in entrambe le ipotesi deve tenersi conto dei limiti

temporali di efficacia dell'accordo collettivo: il beneficio è acqui sito per la durata dell'accordo stesso.

Dovrà quindi stabilirsi — e trattasi di problema interpretativo devoluto al giudice del merito — se con l'adesione il pensionato rinunzi (in funzione, ad es., dei vantaggi attesi da una prosecu zione dell'azione del sindacato) o meno alla precedente discipli

na, con la conseguenza che alla scadenza del nuovo contratto

egli non potrebbe, nel primo caso, considerarsi titolare di un di

ritto individuale ad un determinato trattamento pensionistico; ri

marrebbe, invece, nel secondo, legittimato a rifiutare l'applicazione di condizioni inferiori a quelle fissate alla cessazione del rapporto di lavoro.

Risulta, in conclusione, inesatto il principio di illimitata modi ficabilità dei trattamenti pensionistici aziendali ad opera delle fonti

collettive affermato dal tribunale.

Non poteva, pertanto, il giudice di appello riconoscere la legit timità di eventuali modifiche in peius apportate al trattamento

integrativo oggetto della controversia senza previamente determi

nare il meccanismo di efficacia delle pattuizioni ad esso relative, identificare i destinatari (lavoratori in servizio e/o pensionati) de

gli accordi, stabilire la natura (corrispettivo o meno di prestazio ni fornite dai dipendenti) delle prestazioni previste in favore dei

pensionati. Palese risulta dunque la decisività del difetto di motivazione

sopra rilevato poiché, definiti i limiti di efficacia dell'autonomia collettiva in materia, una diversa interpretazione degli art. 5 e

7 dell'accordo del 1960, richiedendo l'esame della natura e degli

effetti dello stesso, avrebbe potuto condurre il tribunale a conclu

sioni diverse da quelle adottate.

Resta di conseguenza assorbito il secondo motivo del ricorso

incidentale, poiché le questioni ivi prospettate sono state nella

sentenza impugnata ritenute esplicitamente (cosi per la riconduci

bilità o meno del premio di rendimento — sul quale v. Cass.

4011/79, id., Rep. 1979, voce Lavoro (contratto collettivo), n.

54 — al normale trattamento economico complessivo del dipen

dente in servizio) o implicitamente (cosi per la dedotta adesione

Il Foro Italiano — 1989.

dei ricorrenti agli accordi del 1970) assorbite, o comunque supe rate (cosi per la portata delle deliberazioni della cassa del 1946 e 1949 e per il comportamento delle parti anteriore all'accordo

del 1960) dalla tesi del tribunale accolta. Su tali questioni — che, investendo il merito della controversia, non possono essere in que sta sede esaminate neppure sotto il dedotto profilo della rilevanza

dell'accertata carenza di motivazione, poiché a tal fine è suffi

ciente la possibilità che siano risolte in senso favorevole ai ricor

renti — pronuncerà, se necessario, come anche sul contenuto

migliorativo o peggiorativo degli accordi del 1971 e 1974, il giudi ce di rinvio.

Del pari assorbito deve ritenersi il quarto motivo del ricorso

principale, concernente la computabilità per intero nella retribu

zione pensionabile dell'indennità di mensa cosi come definita, con

l'accorpamento di tre voci prima distinte, due delle quali (inden nità di mensa e di caropane) già ritenute pensionabili, l'altra (con tributo pasti) esclusa dal computo, nell'accordo economico

nazionale del 17 gennaio 1983.

La questione, infatti, è stata anch'essa dichiarata assorbita nel

la sentenza impugnata. Vero è che il tribunale l'ha egualmente

esaminata, ma per giungere alla conclusione che, se le indennità

accorpate sotto un identico nome fossero rimaste le stesse, non

vi sarebbe stata ragione per mutare il precedente trattamento;

mentre, ove avessero dato luogo ad una indennità «nuova», il

punto sarebbe rimasto assorbito dalla affermata disponibilità de

gli accordi integrativi da parte delle fonti collettive.

Potrà quindi essere riproposta in sede di rinvio, anche sotto

il profilo della determinabilità nell'accordo nazionale, negata dai

ricorrenti sul presupposto che la materia sarebbe riservata alla

contrattazione integrativa aziendale, delle voci retributive da com

putarsi nella base pensionabile. Deve essere, invece, accolto il terzo motivo del ricorso princi

pale, che investe l'esclusione dalla base di computo del tratta

mento pensionistico integrativo dell'una tantum prevista nell'accordo nazionale del 1983. Sul punto il tribunale, pur riaf

fermando il carattere assorbente delle argomentazioni sviluppate in relazione all'interpretazione dell'accordo del 1960 ed alla mo

dificabilità in peius dello stesso, ha infatti qualificato detta in

dennità una tantum come considerata del tutto occasionale e diretta

a compensare forfetariamente i lavoratori con riferimento ai tem

pi tecnici occorsi per rinnovare i precedenti accordi, mostrando

cosi di escluderne la riconducibilità alla normale retribuzione (ri sultante invece, secondo i ricorrenti, dalla funzione compensativa della ritardata decorrenza del trattamento retributivo introdotto

con il nuovo contratto e dalla conseguente corrispondenza a tutte

le componenti della retribuzione pensionabile). Poiché tale qualificazione dell'indennità in questione (conside

rata di carattere retributivo, ma sotto il profilo dell'assoggettabi lità a contribuzione previdenziale obbligatoria, in Cass. 4827/85,

id., Rep. 1985, voce Previdenza sociale, n. 250; 3395/78, id.,

Rep. 1979, voce cit., n. 262; 2006/76, id., Rep. 1976, voce cit., n. 179; 1666/74, id., Rep. 1974, voce cit., n. 220) potrebbe sor

reggere l'esclusione dalla base di computo della pensione integra tiva anche ove si accedesse all'interpretazione dell'accordo del 1960

proposta dai ricorrenti, e sul punto non vi è motivazione nella

sentenza impugnata, il motivo appare sotto questo profilo fonda

to (assorbita rimanendo la censura, in esso riproposta, attinente

al rapporto fra contrattazione nazionale e aziendale sul punto). Inammissibili risultano, infine, le censure proposte con il quin

to motivo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso

incidentale poiché sulla prescrizione del diritto all'integrazione della

pensione per la quota relativa al premio di rendimento, dichiara

ta dal giudice di primo grado, il tribunale non ha, neppure impli

citamente, pronunciato.

Se, infatti, l'esame della prescrizione del diritto azionato in giu

dizio ha natura preliminare rispetto all'accertamento degli ele

menti costitutivi del diritto stesso (v. Cass. 6651/87, id., Rep.

1987, voce Prescrizione e decadenza, n. 57), nella specie era stato

dedotto il diritto all'inclusione nella base pensionistica non del

solo premio di rendimento, investito dall'eccezione di prescrizio

ne, ma anche dell'indennità una tantum e dell'indennità di mensa

definita dall'accordo nazionale del 1983; sicché il giudice di ap

pello doveva in ogni caso stabilire se l'elenco delle voci pensiona bili contenuto nell'art. 7 dell'accordo nazionale del 1960 fosse

o meno tassativo e se il trattamento pensionistico in tale

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2283 PARTE PRIMA 2284

accordo previsto fosse o meno suscettibile di modifiche efficaci

nei confronti del personale in quiescenza. La soluzione adottata al riguardo dal tribunale, implicando la

legittimità delle clausole dei successivi accordi collettivi che i sud

detti emolumenti escludevano dal computo delle voci pensionabi

li, rendeva superfluo l'esame dell'eccezione di prescrizione. Per le svolte considerazioni va annullata, in relazione ai motivi

accolti, la sentenza impugnata, e la causa rinviata ad altro giudi

ce, designato in dispositivo, il quale procederà ad un nuovo esa

me della controversia attenendosi al seguente principio: «In difetto di specifico mandato, o di adesione o ratifica degli

interessati, il contratto collettivo non può incidere su diritti sorti, in capo alle parti del rapporto di lavoro, sulla base di un prece dente contratto collettivo per l'avvenuto perfezionamento delle

corrispondenti fattispecie costitutive o comunque per effetto di

prestazioni eseguite».

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 2 giugno 1988, n. 3739; Pres. Scanzano, Est. R. Sgroi, P.M. Paolucci

(conci, conf.); Min. finanze (Aw. dello Stato Caramazza) c.

Soc. Montesubasio ed altro; Soc. Montesubasio (Avv. Guari

no, Piperno) c. Min. finanze e Ferretti. Cassa App. Roma 24

aprile 1984.

Dogana — Diritti di confine — Accertamento e liquidazione —

Provvidenze per il territorio di Assisi — Errata esenzione —

Tassazione suppletiva — Ammissibilità (L. 25 settembre 1940

n. 1424, legge doganale, art. 27; 1. 9 ottobre 1957 n. 976, prov vedimenti per la salvaguardia del carattere storico, monumen

tale e artistico della città e del territorio di Assisi, nonché per

conseguenti opere di interesse igienico e turistico, art. 15; 1.

25 febbraio 1971 n. 110, interpretazione autentica dell'art. 15 1. 9 ottobre 1957 n. 976; d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, apppro vazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia

doganale, art. 74).

Il potere dell'amministrazione finanziaria di pretendere il paga mento dei diritti di confine, in precedenza non riscossi in segui to ad erronea interpretazione di norme relative alla loro debenza, sussiste anche con riguardo ad importazioni già ammesse in

esenzione (ab origine, ovvero, in caso di daziato sospeso, per

effetto di restituzione della cauzione o liberazione del fideius

sore), considerando che la relativa imposizione integra una tas

sazione suppletiva, rivolta ad emendare precedenti errori di

applicazione della tariffa, non soggetta alla procedura di revi sione dell'accertamento prevista dagli art. 74 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, 6 d.p.r. 2 febbraio 1970 n. 62 e 107 d.p.r. 18 feb braio 1971 n. 18, e non trova ostacolo nella definitività della bolletta doganale, la quale rileva per l'identificazione di quan tità e qualità delle merci, ma non implica incontestabilità del trattamento tributario, che può derivare soltanto dal decorso dei termini di prescrizione o decadenza, da formazione del giu dicato, od altre situazioni simili (fattispecie in tema di esenzio ne dalle imposte erariali di cui all'art. 15 l. 9 ottobre 1957 n.

976, per le iniziative imprenditoriali nella città e nel territorio di Assisi, interpretato autenticamente con l. 25 febbraio 1971 n. 110). (1)

(1) La sentenza (alla quale ha fatto immediatamente seguito Cass. 2 luglio 1988, n. 4403, Foro it., Mass., 645, deliberata nella stessa udienza dell'11 novembre 1987, che ne ha confermato le statuizioni) ha consentito alla Corte di cassazione di precisare il proprio orientamento in relazione ad alcune delicate questioni concernenti i limiti e la modificabilità dell'ac certamento tributario riguardante l'erronea ammissione dell'importazione o dello svincolo di merci in esenzione, nonché la natura della bolletta di definitiva importazione in esenzione, sulla base di principi già delineati o presupposti in precedenti pronunce, ma mai chiaramente affermati con riferimento alla peculiare fattispecie oggetto della statuizione.

La decisione riveste, dunque, portata di carattere generale in materia di riscossione dei diritti doganali, pur essendo stata emanata in occasione dell'esame di questione specifica relativa all'esazione dei diritti di confine

li Foro Italiano — 1989.

Svolgimento del processo. — Con 1. 9 ottobre 1957 n. 976, dettante provvidenze per la salvaguardia del carattere storico, mo

numentale ed artistico della città e del territorio di Assisi, furono

esentate per dieci anni le imprese industriali ed artigiane (che aves

sero installato o trasferito i loro impianti entro un certo termine

in determinate zone) da ogni imposta erariale (art. 15). Sorta contestazione con l'amministrazione circa l'applicabilità

dell'esenzione ai diritti doganali, la dogana ammise lo svincolo

di numerose partite di merce, commissionate per l'importazione, a partire dal secondo semestre del 1968, con la procedura del

«daziato sospeso», garantito con fideiussioni prestate da banche

precedentemente non riscossi in seguito all'entrata in vigore della 1. 25 febbraio 1971 n. 110, con la quale era stata fornita l'interpretazione au tentica dell'art. 15 1. 9 ottobre 1957 n. 976, c.d. legge di Assisi (sulla quale v., per tutte, Corte cost. 19 giugno 1974, n. 175, id., 1974, I, 2589; Cass. 5 novembre 1981, n. 5822, id., Rep. 1982, voce Entrata (imposta sulla), nn. 16, 17 e Riv. legisl. fise., 1982, 987, e Cass. 25 ottobre 1986, n. 6260, Foro it., Rep. 1986, voci Corte costituzionale, n. 36, Legge, n. 35 e Tributi in genere, n. 659, e Giust. civ., 1986, I, 3045, con nota di Morelli, al cui indirizzo si sono uniformate la sentenza in rassegna, nella parte finale della motivazione, qui non riportata, e Cass. 4403/88, cit.).

L'iter argomentativo seguito dalla corte può essere sintetizzato nei se

guenti punti: a) la pretesa di pagamento avanzata dalla finanza con riferimento a

fattispecie di importazione di merci in esenzione, concessa per erronea

interpretazione di norme di legge concernenti la debenza del tributo, inte

gra una ipotesi di tassazione suppletiva anche in materia di diritti doga nali, poiché tale istituto, espressamente regolato nella disciplina delle

imposte di registro e di successione, è applicabile anche alla riscossione delle altre imposte indirette; e ciò sia nel caso in cui l'esenzione sia stata

applicata fin dall'origine, sia nel caso in cui, dopo aver concesso l'impor tazione a «daziato sospeso» l'amministrazione abbia restituito le somme versate a titolo di cauzione, ritenendo non dovuta l'imposta ed emetten do bolletta doganale di importazione definitiva in esenzione, poiché in entrambe le ipotesi il procedimento si conclude con il rilascio della bolletta;

b) il regime dell'imposizione suppletiva in materia doganale è soggetto alla disciplina della prescrizione, contenuta nell'art. 84 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, e non ai brevi termini di decadenza della procedura di revisio ne dell'accertamento, regolata dall'art. 74 dello stesso d.p.r., la quale non trova applicazione nel caso in cui sia in contestazione Van dell'obbli

gazione tributaria. La prescrizione, peraltro, decorre, nel caso deciso dal la sentenza, dal momento in cui i diritti sono divenuti esigibili, intendendosi

per esigibilità l'insorgere del presupposto di fatto dell'obbligazione tri butaria;

e) l'imposizione suppletiva, inoltre, non è preclusa dal rilascio della bolletta doganale; quest'ultima, infatti, non è dotata di efficacia costitu tiva, capace di incidere sulle vicende del rapporto tributario, ma di mera efficacia probatoria del pagamento dei diritti o dell'adempimento delle formalità e condizioni delle merci;

d) l'emissione della bolletta liberatoria definitiva, quindi, comporta de finitività dell'accertamento tributario soltanto in relazione all'identifica zione quali-quantitativa delle merci e non anche totale definizione od esaurimento del rapporto tributario; l'incontestabilità dell'accertamento, infatti, deriva esclusivamente dalle consuete cause valide per tutto il siste ma tributario (sentenza passata in giudicato, ricorso del termine di deca denza o prescrizione, ecc.).

Sul potere di accertamento suppletivo in materia di imposte doganali, v. Cass. 26 marzo 1986, n. 2138, Foro it., 1986, I, 1547, con nota di richiami e Cass. 12 gennaio 1984, n. 235, id., Rep. 1984, voce Dogana, n. 49, la quale fa espresso riferimento alla possibilità di fare ricorso al l'imposizione suppletiva, tra le altre, nell'ipotesi in cui vi sia stato errore nell'applicazione di un'esenzione. Per l'individuazione del momento da cui comincia a decorrere la prescrizione dell'imposta doganale, in ipotesi di omessa liquidazione del tributo per erronea applicazione di esenzione, v. Cass. 22 ottobre 1979, n. 5493, id., Rep. 1980, voce cit., n. 68 e in Giur. it., 1980, I, 1, 1678, con nota di S. Fiorenza, e in Dir. e pratica trib., 1981, II, 493, con nota di A. Muratori, e 942, con nota di S. Fiorenza.

La giurisprudenza della Cassazione, si era già più volte occupata dei limiti del procedimento di revisione, ritenendo assoggettate al più lungo termine di prescrizione le ipotesi non rientranti in tali limiti, con esclusio ne, ad esempio, dalla revisione, del caso di errore dell'amministrazione finanziaria nell'inquadrare in una voce di tariffa, anziché in un'altra, la merce importata, esattamente individuata nella sua qualità e quantità.

Sull'argomento, in generale, oltre alle sentenze citate in tema di impo sizione suppletiva, v. Cass. 29 aprile 1980, n. 2836, e 26 febbraio 1980, n. 1330, Foro it., 1980, I, 1632, con ampia nota di richiami, 23 aprile 1981, n. 2389, id., Rep. 1981, voce cit., n. 20; 22 giugno 1981, n. 4070, ibid., n. 19; 25 luglio 1981, n. 4825, ibid., n. 22; 10 novembre 1981, n. 5951, id., Rep. 1982, voce cit., n. 39 e in Giust. civ., 1982, I, 969, e in Dir. e pratica trib., 1982, II, 1000, con nota di Fiorenza, Note

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