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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 22 marzo 1989, n....

Date post: 29-Jan-2017
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sezione lavoro; sentenza 22 marzo 1989, n. 1437; Pres. Chiavelli, Est. Avitabile, P.M. Leo (concl. conf.); Rosi ed altro (Avv. Pontecorvo, Nencini) c. Azienda municipalizzata Centrale del latte di Viareggio; Azienda municipalizzata Centrale del latte di Viareggio (Avv. Vecoli, Franchi) c. Rosi ed altro. Conferma Trib. Lucca 20 dicembre 1986 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 1805/1806-1809/1810 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184030 . Accessed: 25/06/2014 07:42 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.185 on Wed, 25 Jun 2014 07:43:01 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 22 marzo 1989, n. 1437; Pres. Chiavelli, Est. Avitabile, P.M. Leo (concl.conf.); Rosi ed altro (Avv. Pontecorvo, Nencini) c. Azienda municipalizzata Centrale del latte diViareggio; Azienda municipalizzata Centrale del latte di Viareggio (Avv. Vecoli, Franchi) c. Rosied altro. Conferma Trib. Lucca 20 dicembre 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 1805/1806-1809/1810Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184030 .

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

corrente, con cui si nega il risarcimento per il ritardo, obiettando

che un risarcimento siffatto è consentito solo se vi sia stata viola

zione di diritti soggettivi e non quando, come nella specie, risulti

violato un interesse legittimo al venire in essere del diritto non

dum natum attraverso un corretto svolgimento del procedimento, dove è evidente il carattere meramente formale dell'ossequio pre stato alla qualificazione come diritto soggettivo di una posizione

che, con riguardo al procedimento di attuazione, incontrerebbe

solo la dimidiata tutela propria delle situazioni di interesse le

gittimo. Non potendosi seguire l'istituto ricorrente nella tesi prospetta

ta, si deve riconoscere che correttamente il giudice di merito ha

accolto la domanda di risarcimento per il ritardo con cui è stato

adempiuto il contratto; né vale addurre a giustificazione il dub

bio cui l'interpretazione della legge sopravvenuta poteva dar luo

go, dal momento che il principio della interpretazione a proprio rischio da parte dei sottoposti è immanente nel sistema nel senso

che si dovrà in definitiva rispondere alla stregua del diritto cosi

come enucleato ed applicato nella causa sorta appunto per risol

vere il dubbio interpretativo. Nell'economia della sentenza impugnata il riferimento alla buona

fede non ha carattere determinante sicché la censura che alla obiet

tiva anfibologia della norma da interpretare si richiama per esclu

dere l'applicabilità dell'art. 1337 c.c. non appare centrata, essendo

certo che quella di cui alla condanna in esame non è responsabili tà preconcettuale in senso proprio, per interruzione arbitraria delle

trattative, ma responsabilità da inadempimento contrattuale per mancata osservanza dell'obbligo di dare esecuzione al diritto per fetto dell'assegnatario già sorto alla cessione dell'alloggio.

5. - Considerazione questa che consente di passare all'esame

del secondo motivo di gravame con il quale il ricorrente istituto

lamenta, come si è già riferito, che la corte del merito sarebbe

incorsa in errore nel confermare la decisione di condanna dello

Iacp al risarcimento del danno a favore degli assegnatari, in quanto non avrebbe considerato che la nuova disciplina della materia, introdotta dagli art. 27 e 28 1. 513 del 1977, prevedendo decaden

ze e nuovi criteri per la determinazione del prezzo di proprietà

degli alloggi, avrebbe inteso escludere la configurabilità del col

pevole inadempimento della pubblica amministrazione e del con

seguente diritto del privato al risarcimento del danno per il

ritardato svolgimento del procedimento amministrativo.

Il motivo è infondato. Questa corte, già con la sentenza n.

3062 del 1981 (id., Rep. 1981, voce cit., n. 98), confermata dalle

successive pronunce nn. 2011 del 1982 e 4860 del 1985 citate, ha affermato che in materia di trasferimento in proprietà agli

assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica assegnati in locazione semplice, l'art. 27 1. 8 agosto 1977 n. 513 (provvedi menti urgenti per l'accelerazione dei programmi in corso, finan

ziamento di un programma straordinario e canone minimo

dell'edilizia residenziale pubblica) come integrato dall'art. 52 1.

5 agosto 1978 n. 457 (norme per l'edilizia residenziale) — nello

stabilire tra l'altro che le domande di riscatto, già presentate dal

l'interessato prima dell'entrata in vigore della citata 1. 513 del

1977, ma non ancora accettate dall'ente proprietario o gestore, devono essere esaminate ed accolte, sussistendone i presupposti, sulla base delle disposizioni anteriori abrogate dalla citata 1. 513

del 1977, purché le stesse siano confermate dall'interessato in un

certo termine, aggiungendo che per esso il prezzo di riscatto va

fissato non già secondo la vecchia disciplina, ma ai sensi dell'art.

28 1. 513 del 1977, come modificato dalla 1. 457 del 1980 — detta

una disciplina transitoria per tutti i procedimenti in corso, qual siasi determinazione sia stata adottata ed in qualunque stato essi

si trovino, con la conseguenza che tutti i rapporti pendenti sono

regolati da tale disciplina, mentre la vecchia disciplina non può trovare applicazione, tranne che si debba conoscere di rapporti

esauriti, se non in quanto sia richiamata dalla norma transitoria.

Nel caso di specie i giudici del merito, uniformandosi al principio di diritto sopra indicato, hanno determinato correttamente il prezzo non già secondo la vecchia disciplina, ma secondo quanto stabili

to dall'art. 28 della richiamata 1. 513 del 1977, onde le asserite

violazioni degli art. 27 e 28 di tale ultima legge non sussistono.

6. - In conclusione il ricorso, essendo risultato privo di fonda

mento giuridico in entrambi i motivi in cui si articola, deve essere

respinto con tutte le conseguenze di legge.

Il Foro Italiano — 1989.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 22 marzo

1989, n. 1437; Pres. Chiavelli, Est. Avitabile, P.M. Leo (conci,

conf.); Rosi ed altro (Avv. Pontecorvo, Nencini) c. Azienda

municipalizzata Centrale del latte di Viareggio; Azienda muni

cipalizzata Centrale del latte di Viareggio (Avv. Vecoli, Fran

chi) c. Rosi ed altro. Conferma Trib. Lucca 20 dicembre 1986.

Impiegato dello Stato e pubblico — Contratto a tempo determi

nato — Nullità — Fattispecie (Cod. civ., art. 2126; 1. 23 otto

bre 1960 n. 1369, divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell'impiego di

mano d'opera negli appalti di opere o di servizi, art. 1; 1. 26

aprile 1983 n. 130, disposizioni per la formazione del bilancio

annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1983), art. 9).

Il contratto di appalto stipulato da azienda municipalizzata del

latte con soggetti incaricati della raccolta del latte, riconosciuto

dal giudice di merito dissimulante un contratto di lavoro su

bordinato a tempo determinato, è nullo in quanto stipulato in

violazione del divieto contenuto nell'art. 9 della legge finanzia ria 26 aprile 1983 n. 130 e non può convertirsi in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato stante il carattere

imperativo e la valenza erga omnes di quel divieto. (1)

Svolgimento del processo. — Con atto depositato il 17 aprile 1984 Rosi Alessandro e Criscuolo Stefano ricorrevano al Pretore

di Viareggio quale giudice del lavoro contro la locale azienda mu

nicipalizzata del latte, chiedendo che, malgrado, il 13 giugno 1983, avessero con questa stipulato un contratto di appalto per la rac

colta del latte, fosse dichiarato che in realtà si era instaurato un

rapporto di lavoro subordinato, sicché avrebbero dovuto essere

inquadrati nel quarto livello del ccnl con conseguente ordine al

l'azienda di regolarizzare la loro posizione assicurativa. Quest'ul

tima, costituitasi, eccepiva tra l'altro che la domanda era in

contrasto con l'art. 9 1. 130 del 1983 ed infondata nel merito.

Il pretore, con sentenza del 17 giugno 1985, accoglieva la doman

da. Contro questa sentenza l'azienda proponeva appello, riba

dendo le precedenti difese, e, in ispecie, che l'assunzione sarebbe

stata nulla perché in contrasto con le leggi finanziarie dirette a

limitare la spesa pubblica mediante il divieto di assunzioni o con

varie limitazioni delle stesse. Nel merito sosteneva che il pretore aveva male interpretato le prove acquisite in ordine alla natura

di lavoro subordinato del rapporto instaurato.

(1) Giurisprudenza costante, nelle giurisdizioni superiori, sulla nullità del rapporto di lavoro a termine instaurato dalla pubblica amministrazio ne in violazione di precetti legislativi: per ogni riferimento, anche sui limiti della ammissibilità della pretesa di trasformazione in rapporto a

tempo indeterminato, v. la nota a Cons. Stato, sez. VI, 22 giugno 1987, n. 440, Foro it., 1988, III, 247. Con particolare riferimento alle assunzio ni a termine di azienda municipalizzata in violazione del divieto imposto dalla legge finanziaria, in termini con la sentenza in epigrafe anche per la ratio delle disposizioni limitative, v. Cass. 26 febbraio 1988, n. 2059, ibid., I, 1541, con nota di ulteriori richiami.

Per riferimenti sul divieto di intermediazione e di interposizione di ma

nodopera nel pubblico impiego, v. Tar Calabria, sez. Catanzaro, 23 gen naio 1988, n. 22, ibid., Ill, 399, con nota di richiami; in generale, sul contratto di lavoro a termine, v. L. de Anoelis, La giurisprudenza nella

stagione della flessibilità: il contratto di lavoro a termine, in nota a Cass. 17 novembre 1987, n. 8421, ibid., I, 2661.

Sulla responsabilità contabile dei pubblici amministratori per l'assun zione di personale in violazione dei divieti legislativi, v. Corte conti, sez.

I, 27 gennaio 1987, n. 19, ibid., Ili, 390; Cass. 16 gennaio 1986, n. 217 e 18 dicembre 1985, n. 6437, id., 1987, I, 1563, con ampia nota di richia mi circa la contrastante posizione della Corte dei conti (che ritiene sussi

stere in ogni caso la responsabilità degli amministratori, anche se l'ente si sia giovato dell'attività lavorativa del dipendente, e giudica in materia)

rispetto a quella della Cassazione (che ritiene proponibile in materia solo l'azione ordinaria per danno dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria) tut

tavia, la stessa Corte dei conti riconosce che «non sussiste danno per la pubblica amministrazione nelle ipotesi in cui il legislatore, avendo ri

condotto nell'ambito della legge (a mezzo di «sanatoria») le situazioni anomale determinate, appunto, dalle assunzioni eccedenti gli organici, ha, implicitamente, riconosciuto l'utilità delle prestazioni effettuate» (fat

tispecie di assunzioni in eccedenza di personale scolastico non docente successivamente sanate con legge) (sez. II 15 settembre 1986, n. 176, id.,

Rep. 1987, voce Responsabilità contabile, n. 239).

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1807 PARTE PRIMA 1808

L'adito Tribunale di Lucca, con la sentenza del 12-20 dicembre

1986, dichiarava che il rapporto è di lavoro subordinato, ma che

il contratto costitutivo di esso era nullo per contrarietà a norme

imperative, facendo salvi gli effetti di cui all'art. 2126 c.c.

I giudici d'appello ritenevano che il contratto di appalto per la raccolta del latte era simulato in base a numerosi ed univoci

indici individuati dal pretore. Rilevavano che gli appellati non solo usarono per la raccolta

del latte anche camion della azienda, ma che, essendosi rotto uno

dei due camion ai predetti ceduto all'inizio del rapporto dall'a

zienda stessa, questa si era preoccupata che le riparazioni fossero

per lei convenienti e, durante il lungo tempo occorso per decider

si a farle eseguire, aveva dato in uso ai due raccoglitori un pro

prio camion. Aggiungevano i giudici d'appello che i camion

viaggiavano con adesivi della centrale del latte ed erano assicurati

da questa, la quale, peraltro, teneva quella contabilità che avreb

bero dovuto tenere, quali imprenditori, il Rossi ed il Criscuolo

e che esercitava un ampio potere di direzione, variando orario,

giorni e giri di raccolta ed incaricando gli appellati di servizi di

versi da quello appaltato. Disattendendo le giustificazioni dell'ap

pellante, che definiva deboli, affermava che il rapporto era di

lavoro subordinato, ma per converso rilevava che l'azienda, sti

pulando il contratto che gli aveva dato vita, aveva contravvenuto

al divieto di assunzione previsto dall'art. 9, 3° comma, 1. 130

del 1983, imposto anche agli enti locali ed alle loro aziende, com

prese quelle municipalizzate. Considerando che le eccezioni a tale

divieto previste dallo stesso art. 9 non incidevano sulla natura

imperativa della norma di cui al citato 3° comma, tale natura

affermava, desumendola dallo scopo di essa, consistente nella li

mitazione della spesa pubblica. Contro questa sentenza ricorrevano a questa corte il Rosi e

il Criscuolo con unico motivo di annullamento e l'azienda muni

cipalizzata resisteva con controricorso e ricorso incidentale, al quale

rispondevano i ricorrenti con proprio controricorso.

Motivi della decisione. — I ricorrenti principali lamentano vio

lazione e falsa applicazione degli art. 1343, 1344 e 1418 c.c. in

relazione all'art. 9, 3° comma, 1. 26 aprile 1983 n. 130, art. 360,

n. 3, c.p.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria moti

vazione circa più punti decisivi della controversia: art. 360, n.

5, c.p.c. Essi sostengono che il succitato art. 9 non può considerarsi

norma imperativa ai sensi e per gli effetti degli art. 1343 e 1418

c.c. anzitutto perché scopo essenziale della legge finanziaria non

è quello individuato dal tribunale nella limitazione della spesa

pubblica in vista di un interesse generale, ma piuttosto quello di consentire una valutazione complessiva delle decisioni di entra

ta e di spesa, sicché la funzione dell'articolo succitato consiste

nella armonizzazione del comportamento finanziario e gestionale

degli enti pubblici al quadro economico generale del paese. In

secondo luogo rilevano che destinatari di detta norma sono sol

tanto quelli ivi specificamente citati (amministrazioni civili e mili

tari dello Stato, aziende autonome, scuole di ogni ordine e grado,

ecc.) e non anche i privati con i quali dette amministrazioni pon

gono in essere il rapporto di lavoro, ancorché in violazione al

divieto, con la conseguenza che la sanzione per la violazione del

divieto stesso non può che essere di carattere amministrativo e

colpire il solo pubblico amministratore che abbia agito in contra

sto con la norma.

Dopo aver posto in evidenza la differenza tra il contratto nullo

perché contrastante con norme imperative ed il contratto in frode

della legge (art. 1344 c.c.), rilevano che sarebbe ingiusto imporre l'osservanza dell'obbligo anche a coloro che non potevano esser

ne a conoscenza. Consideravano, infine, l'inesattezza del richia

mo all'ordine pubblico, che consiste nelle esigenze etiche medie

(o nel minimo etico di una data comunità storica) nonché in quelle dell'assetto politico fondamentale.

La controricorrente, nel resistere al ricorso, deduce che desti

natari dell'art. 9 succitato, in quanto norma di relazione (e non

di azione), perché volta ad impedire il sorgere di rapporti bilate

rali, sono anche i privati che concludono con la pubblica ammi

nistrazione i rapporti giuridici oggetto del divieto. Aggiunge che

di tale divieto erano a conoscenza i ricorrenti, i quali, per eluder

lo, conclusero il contratto del 13 giugno 1983, che, pertanto, co

stituì il mezzo per frodare la legge. Inoltre, con il suo ricorso

incidentale, denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 2222, 2223 c.c. e della 1. 1369 del 1960, nonché omessa e contradditto

ria motivazione. Sostiene che il contratto posto in essere non è

li Foro Italiano — 1989.

di pura mano d'opera, in quanto Rosi e Criscuolo misero a di

sposizione dell'azienda mezzi di trasporto, materiali vari e l'orga nizzazione della loro impresa al fine di raggiungere il risultato

della raccolta del latte, e rileva che il rischio ricadeva esclusiva

mente a loro carico. Si duole che il tribunale sia pervenuto alle

conclusioni previste dalla 1. 1369/69 in questo caso in cui l'ogget

to del contratto non consisteva soltanto nella prestazione della

mano d'opera. Chiedeva, infine, la correzione degli errori mate

riali contenuti nella sentenza impugnata con riguardo al nome

del Criscuolo (Stefano e non Francesco) ed all'elezione di domici

lio di essa azienda.

Il ricorso principale e quello incidentale debbono essere tra lo

ro riuniti.

Il ricorso principale è infondato. L'art. 11 1. 5 agosto 1978

n. 468, di riforma di alcune norme di contabilità generale dello

Stato in materia di bilancio, introducendo nel sistema la legge

finanziaria, effettivamente ne individuò la finalità nella necessità

di adeguare «le entrate e le uscite del bilancio dello Stato, delle

aziende autonome e degli enti pubblici che si ricollegano alla fi

nanza statale agli obiettivi di politica economica cui si ispirano

il bilancio pluriennale e quello annuale», ma ciò non vuol dire

che questo sia l'unico scopo di tutte le norme contenute nelle

leggi finanziarie che di anno in anno vengono approvate dal par lamento. È vero, invece, che proprio al fine di ottenere l'adegua

mento della finanza pubblica agli obiettivi di politica economica

che ispira il bilancio statale, le varie norme delle leggi finanziarie

possono proporsi la più specifica finalità di dilatare o restringere

la spesa pubblica, a seconda delle esigenze di adeguamento al

bilancio statale da soddisfare.

Ciò posto, è evidente che per stabilire la finalità perseguita dal

l'art. 9 1. 26 aprile 1983 n. 130 (legge finanziaria 1983) non biso

gna avere riguardo al succitato art. 111. 468 del 1978, ma allo

stesso art. 9, interpretandone la ratio in base alle disposizioni in esso contenute.

Il 1° comma prevede che per il 1983 la spesa complessiva per

gli aumenti dei trattamenti economici di attività e di quiescenza

in tutti i settori del pubblico impiego, compresi i rinnovi relativi

ai miglioramenti contrattuali non deve superare il 13% degli one

ri previsti per gli stessi trattamenti nel 1982; il 2° comma, a mag

gior precisazione di quanto concerne i rinnovi contrattuali,

stabilisce, per quelli riguardanti il triennio 1982-84, il tetto massi

mo di spesa in 1.350 miliardi di lire ed il 3° comma, infine, intro

duce il divieto di nuove assunzioni in tutte le amministrazioni

civili e militari dello Stato, con alcune eccezioni tassativamente

previste. Da questo complesso di limitazioni risulta evidente la finalità

di contenere la spesa pubblica in limiti compatibili con il bilancio

dello Stato.

Poiché però la norma proibitiva delle assunzioni non è formal

mente perfetta, in quanto è priva della sanzione dell'invalidità

dell'atto proibito, occorre specificamente accertare se essa sia di

retta alla tutela di un interesse pubblico o privato, al fine di sta

bilire se abbia o meno carattere imperativo (Cass. 2697/72, Foro

it., Rep. 1972, voce Contratto in genere, n. 291; 3193/75, id.,

1976, I, 712; 3217/82, id., Rep. 1982, voce Vendita, n. 75; 902/78,

id., Rep. 1979, voce Contratto in genere, n. 266). Premesso che il contenimento della spesa pubblica risponde ad

esigenze di carattere generale, quali sono quelle di evitare i feno

meni inflattivi, il ricorso dello Stato e delle aziende pubbliche

all'indebitamento, l'emissione di nuova carta moneta e l'imposi

zione di nuovi tributi, è evidente che il citato art. 9 venne emana

to per la tutela del pubblico interesse, con la conseguenza che

deve riconoscersi alla norma che impone il divieto delle assunzio

ni il carattere imperativo che il tribunale le ha attribuito.

Da questa natura imperativa discende che i destinatari di detta

norma sono tutti i cittadini, nonostante che il divieto in essa con

tenuto appaia rivolto alle amministrazioni pubbliche. Peraltro,

l'oggetto stesso del divieto, che consiste sostanzialmente in un

rapporto bilaterale, quale è quello di lavoro, implica necessaria

mente che esso riguardi non soltanto la pubblica amministrazio

ne, la quale non può procedere all'assunzione, ma anche i cittadini

i quali tale assunzione non possono ottenere.

Né ha pregio l'obiezione del ricorrente secondo la quale sareb

be ingiusto imporre a costoro l'osservanza di un comando che

non potevano conoscere, in quanto, per effetto dell'art. 10 disp.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sulla legge in generale, la legge finanziaria, al pari di tutte le

altre, si presume conosciuta e diviene obbligatoria per tutti, de

corso il periodo di vacatio legis, che, nella specie, fu molto limi

tato in quanto detta legge entrò in vigore il giorno successivo

a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale (art. 23). Da ciò deriva che il tribunale, dopo aver ritenuto che il con

tratto di appalto dissimulava un contratto di lavoro, ha esatta

mente stabilito che questo era nullo a norma del combinato

disposto degli art. 1343 e 1418 c.c.

Appunto per la natura imperativa della norma contenente il

divieto rivolto non solo all'amministrazione pubblica, ma anche

a tutti i cittadini, non può condividersi la diversa tesi prospettata dai ricorrenti secondo la quale il contratto sarebbe valido e avrebbe

potuto essere ritenuto nullo soltanto se escluso in frode alla leg

ge, se cioè fosse stato l'effetto di un accordo tra la centrale muni

cipalizzata del latte ed i ricorrenti, i quali, consapevoli di non

poter concludere un valido contratto di lavoro, avrebbero adotta

to la forma dell'appalto al fine di eludere il divieto di cui al cita

to art. 9, cosi ponendo in essere un contratto in frode alla legge vietato dall'art. 1344 c.c.

Giova anzi a questo punto rilevare che questa corte si è pro nunciata a sezioni unite, anche se in epoca non recente (sent. 2697 del 21 agosto 1972), in un caso analogo, verificatosi con

riguardo alla applicazione della 1. reg. sic. 5 febbraio 1954 n.

1, recante norme integrative per la gestione di esattorie di impo ste dirette, che, all'art. 3, vieta ai delegati e gestori provvisori di procedere a nuove assunzioni di personale in pianta stabile, stabilendo che tale disposizione «costituisce norma imperativa ed

importa conseguentemente la nullità del negozio ad essa contra

rio stipulato dal delegato governativo, anche se la proibita assun

zione in pianta stabile di personale sia stata autorizzata

dall'amministrazione delegante». Restano in tali argomentazioni assorbite le critiche prospettate

dal ricorrente alla parte in cui la sentenza impugnata fa richiamo

al concetto di ordine pubblico. Invero, esse sono anche infondate

perché il concetto di ordine pubblico non risulta riferito alle esi

genze etiche medie, ma in quello più proprio di assetto politico fondamentale dello Stato, cioè di una normativa generale diretta

al contenimento della spesa pubblica, con cui non contrasta in

modo radicale un parallelo regime di eccezioni specifiche poste a tutela di imprescindibili interessi dell'amministrazione.

Il ricorso principale deve, pertanto, essere respinto. Del pari deve esserlo quello incidentale.

Le considerazioni che la centrale del latte svolge con riguardo alla natura del contratto per sostenere che la prestazione del Rosi

e del Criscuolo non era di pura mano d'opera e che essi si assu

mevano il rischio dell'impresa costituiscono valutazioni di fatto

in contrasto con la sentenza impugnata, la quale ha ampiamente

esposto, con ragionamento immune da vizi logici e giuridici non

ché ricco di particolari, i motivi per i quali ha ritenuto che la

scrittura privata contenente il contratto di appalto dissimulava

un contratto di lavoro subordinato, sicché non è consentito in

questa sede rivalutare le suddette circostanze. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 21 marzo

1989, n. 1402; Pres. Montanari Visco, Est. Triola, P.M. Si

meone (conci, parz. diff.); Failla (Avv. G. e L. Maniscalco

Basile, Vittorelli) c. Failla (Avv. Bruno). Cassa App. Paler

mo 24 ottobre 1984.

Successione ereditaria — Petizione — Acquisto del terzo a titolo

gratuito dall'erede apparente — Domanda di contestazione del

fondamento dell'acquisto presentata oltre i cinque anni dalla

tradizione — Buona fede — Onere della prova (Cod. civ., art.

534, 2652).

I terzi che abbiano acquistato a titolo gratuito dall'erede appa rente non devono provare la propria buona fede, qualora la

trascrizione della domanda con cui si contesta il fondamento

II Foro Italiano — 1989.

di un acquisto a causa di morte sia eseguita trascorsi cinque anni dalla data di trascrizione dell'acquisto. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso in data 11 aprile 1980,

diretto al presidente del Tribunale di Palermo, Giovanni Failla

esponeva: che in data 4 marzo 1964 era deceduto il proprio zio

Nicolò Failla, il quale aveva disposto delle proprie sostanze con

testamento olografo del 29 gennaio 1964; che Nicolò Failla aveva

nominato eredi universali i propri fratelli Giuseppe (del quale es

so ricorrente era a sua volta erede) e Salvatore Failla; che Salva

tore Failla sosteneva che alcuni beni (nel frattempo donati al figlio

Giuseppe Failla) gli erano stati attribuiti in piena proprietà, men

tre invece dovevano ritenersi comuni ad entrambi gli eredi; tanto

premesso, il ricorrente chiedeva che venisse disposto il sequestro

(1) La sentenza capovolge esplicitamente il principio di diritto afferma to nell'unico precedente che è dato rinvenire sul punto, in tema di neces sità della prova della buona fede da parte dell'acquirente a titolo gratuito, avente causa dall'erede apparente, che intenda avvalersi del disposto di cui all'art. 2652, n. 7, c.c.

Cass. 15 marzo 1980, n. 1741 (Foro it., 1980, I, 2519, con nota di P. Lonero), sulla scia di una dottrina autorevole e dominante (L. Ferri, Tutela dei diritti,' in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1962, 274-275; Busnelli, Erede apparente, voce dell' Enciclopedia del diritto,

Milano, 1966, XV, 205-206), fondata sulla buona fede come elemento costitutivo dell'acquisto del terzo — e, pertanto, da provare da parte dell'interessato — sosteneva, infatti, che la disposizione dell'art. 2652, n. 7, rappresenta soltanto «un'integrazione dell'istituto dell'erede appa rente, che conserva le sue linee essenziali quali delineate dall'art. 534 c.c.

(...) dal che consegue che anche [nel caso di acquisto a titolo gratuito] il terzo è tenuto a fornire la dimostrazione della propria buona fede».

Sicché, «l'art. 2652, n. 7, estende gli effetti della pubblicità sanante an che ai terzi acquirenti a titolo gratuito, a condizione che siano trascorsi almeno cinque anni tra la trascrizione del loro acquisto e quella della domanda dell'erede vero»; ma «i principi relativi alla buona fede dell'ac

quirente ed alla prova di essa restano quelli fissati dall'art. 534». La sentenza in epigrafe riprende il ragionamento seguito da Cass. 15

marzo 1980, n. 1741, cit., e lo sottopone a revisione, affermando che l'art. 2652, n. 7, e l'art. 534 in realtà disciplinano istituti diversi, fattispe cie che coincidono solo per la parte corrispondente all'acquisto a titolo oneroso del terzo dall'erede apparente, come si ricava, tra l'altro, dalla clausola di riserva contenuta nell'art. 2652, n. 7. Pertanto, conclude l'ul tima sentenza della Cassazione, l'art. 2652, n. 7, «non integra l'art. 534

c.c., ma regola fattispecie diverse e richiede un requisito specifico (inerzia del vero erede per cinque anni) idoneo da solo a giustificare una diversità di disciplina in ordine alla prova della buona fede». E, nella sostanza, la tesi della corte appare convincente. Nel disegno del legislatore, l'acqui rente a titolo oneroso dall'erede apparente ha la possibilità di salvare

(subito) il suo acquisto a non domino, dimostrando la propria buona fede. L'acquirente a titolo gratuito invece non può farlo, dovendo aspet tare, per via della minore dignità di tutela accordata al proprio titolo di acquisto, che trascorrano cinque anni almeno, senza che sia stata tra scritta alcuna domanda di contestazione da parte dell'erede vero, dalla data di trascrizione dell'acquisto (da parte dell'erede apparente, come se

gnala la migliore dottrina — v. per tutti, L. Ferri, op. cit., 276; Id., Successioni in generale, in Commentario Scialojà-Branca, Bologna-Roma, 1969, sub art. 534, 226 — e non dall'acquisto del terzo, come invece

suppongono entrambe le sentenze di cui qui si discute). Una volta trascorsi i cinque anni, la logica del sistema sembra imporre

il ritorno alla regola generale, della presunzione della buona fede, a favo re del terzo acquirente. Il decorso del quinquennio, unito alla trascrizione del titolo, vale a salvaguardare gli acquisti a titolo gratuito (tale il feno meno della c.d. «pubblicità sanante»): gli acquisti a titolo oneroso vengo no preservati immediatamente, se sussistono invece i presupposti di cui all'art. 534, tra cui la prova della buona fede, esplicitamente richiesta dalla norma. Nella dottrina più recente, Bianca, Diritto civile 2, Milano, 1985, II, 502-503, sembra autorizzare tali conclusioni, pur non affrontan do in particolare il punto dell'onere della prova della buona fede da parte del terzo; sulla diversità dei presupposti a fondamento della disciplina di cui agli art. 534 e 2652, n. 7 (rispettivamente ispirati all'apparenza del diritto e al requisito formale della trascrizione), v. Grosso e Burdese, Le successioni, in Trattato diretto da Vassalli, Torino, 1977, 434-435; cfr. ancora Mengoni, Gli acquisti «a non domino»3, Milano, 1975, 362, 365 s., per la configurazione della buona fede nell'art. 2652, n. 7, come

requisito impeditivo dell'acquisto del terzo; F. S. Gentile, Trascrizione, voce del Novissimo digesto, Torino, 1973, 526; De Lise, Della trascrizio

ne, in Commentario diretto da De Martino, Roma, 1970, sub art. 2652, 460. Sul problema dell'onere della prova, in generale, v. Comoglio, Le

prove, in Trattato diretto da Rescigno, Torino, 1985, XIX, 163. Per

un inquadramento complessivo della tematica degli acquisti dall'erede ap

parente, v. invece, da ultimo, E. Conti, La petizione di eredità, in Trat tato diretto da Rescigno, Torino, 1982, V, 322 ss. [F. Cosentino]

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