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sezione lavoro; sentenza 9 marzo 1989, n. 1245; Pres. O. Fanelli, Est. Genghini, P.M. Gazzara(concl. conf.); Mastronardi (Avv. Pala, Veneto) c. Min. tesoro. Conferma Trib. Bari 14 febbraio1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 1479/1480-1481/1482Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183965 .
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1479 PARTE PRIMA 1480
scono di per sé uno strumento anormale che manifesta una situa
zione di insolvenza. Dalla sentenza n. 3615/78 della Suprema corte
risulta che gli interventi suddetti non eliminano la possibilità di
dissesto e di dichiarazione dello stato d'insolvenza di un'impresa
bancaria, quando i suoi sportelli sono chiusi ed altri istituti inter
vengono a pagare a depositanti, in quanto le banche sovventrici
si sono sostituite nella titolarità dei crediti.
Nel caso dell'Ambrosiano, però, secondo il ricorrente, gli in
terventi non sono consistiti nel pagamento dei depositanti, ma
in prestiti di somme contro più che adeguato corrispettivo, desti
nati a sorreggere la gestione nel periodo di crisi transitoria. Si
tratta del più normale degli interventi: il pubblico tende a ritirare
i propri depositi, perché è allarmato ed il consiglio d'amministra
zione chiede la nomina di commissari che diano trasparenza e
quindi fiducia nell'impresa, mentre il sistema anticipa la liquidità necessaria per il suo normale funzionamento, salvando l'impresa.
Il ricorso è infondato. Con esso si sostengono, in sostanza, le medesime tesi esposte dagli altri ricorrenti, per cui sarebbe inu
tilmente ripetitivo un diffuso riesame, che condurrebbe al mede
simo risultato.
Basterà, quindi, ribadire che si deve applicare l'art. 5 1. fall.; che l'apprezzamento dell'andamento della gestione dell'impresa dal mese di giugno 1982 in poi come andamento «normale» costi
tuisce un giudizio sui medesimi elementi di fatto esaminati dalla
corte d'appello, con un apprezzamento diverso che è incensurabi
le in questa sede, in quanto ampiamente e correttamente motiva
to, sulla base di esatti principi giuridici, laddove si è sottolineato
che l'intervento di sostegno delle banche fu oneroso (tanto da
escludere ogni redditività dell'impresa e da incidere, alla lunga, sul capitale), limitato nel tempo ed a un certo punto revocato; non erogato per la fiducia che riscuoteva l'imprenditore, ma su
richiesta delle autorità monetarie e nella sola prospettiva di un
acquisto dell'azienda. Sotto tale profilo, nella sentenza impugna ta si trova la risposta alla tesi secondo cui il carattere transitorio
dell'intervento era in correlazione con la transitorietà della mo
mentanea difficoltà dell'impresa, destinata a risolversi: invero,
posto che lo stesso ricorrente ammette la «prevista cessazione del
l'impresa con il trasferimento dell'azienda ad un nuovo impren ditore» (e cioè concorda con quanto ha detto la sentenza impugnata ed è stato ribadito da questa corte), è evidente che tale circostan za impedisce di qualificare gli interventi e la cessione (strettamen te collegati fra di loro, secondo lo stesso ricorrente) come misure
di risanamento dell'impresa e di ristabilimento delle sue normali
condizioni di operatività. Se l'impresa non doveva essere conser
vata, ciò dipendeva dalla sua definitiva perdita di credibilità e
di fiducia, presso il pubblico, il sistema bancario e le autorità
monetarie, che, pertanto, provvidero a risanare l'azienda — per mettendone il trasferimento ad un altro imprenditore — per la
tutela del pubblico e per salvaguardare la solidità dell'intero si
stema. Si trattò di misure contro la crisi di insolvenza adottate
per evitare i maggiori danni di una chiusura degli sportelli, nel l'ambito di un complesso meccanismo di intervento che prevede come condizione necessaria l'eliminazione dell'impresa insolven te: questo è il giudizio motivatamente dato dalla sentenza impu gnata, sulla scorta dei fatti esterni ivi descritti, dimostrativi
dell'incapacità dell'imprenditore di far fronte con mezzi normali
all'adempimento delle proprie obbligazioni, quando fu posto in
liquidazione coatta.
La celerità dell'operazione, nell'ambito di tale giudizio, permi se di non chiudere mai gli sportelli e di evitare gli inadempimenti: ma tali fatti non esclusero l'insolvenza, per i motivi più volte
esposti.
Il Foro Italiano — 1989.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 marzo
1989, n. 1245; Pres. O. Fanelli, Est. Genghini, P.M. Gazza
ra (conci, conf.); Mastronardi (Avv. Pala, Veneto) c. Min.
tesoro. Conferma Trib. Bari 14 febbraio 1986.
Lavoro autonomo — Attività parasubordinata — Disciplina (Cost., art. 36).
Professioni intellettuali — Medico convenzionato con ente pub blico — Compenso (Cod. civ., art. 2233).
Ai rapporti di lavoro c.d. parasubordinati (nella specie, attività
medica convenzionata con un ente pubblico) non è applicabile l'art. 36 Cost. (1)
La disciplina prevista dall'art. 2233 c.c., relativa al compenso del libero professionista, concerne il rapporto di prestazione
d'opera di questo con il cliente destinatario dell'opera, e non
il rapporto tra il professionista stesso e l'ente che gestisce l'as
sistenza dei destinatari delle prestazioni (nella specie, si tratta
va di attività medica convenzionata con ente pubblico). (2)
Motivi della decisione. — Con il primo mezzo di annullamento
il ricorrente censura la impugnata sentenza per violazione degli art. 35 e 36 Cost., degli art. 1418 e 2233, 2° comma, c.c., del l'art. 432 c.p.c. e dell'art. 2, 3° comma, 1. 21 febbraio 1963 n.
244; l'art. 36 Cost, era applicabile alla fattispecie in quanto il
sanitario, secondo quanto accertato dal tribunale, si era obbliga to non con i singoli clienti, ma verso la cassa ad assistere gli iscritti alla medesima, che avessero richiesto la sua opera; inoltre
la sentenza ha erroneamente escluso che il rapporto in questione rientrasse nella previsione dell'art. 2233 c.c. riguardante la pre stazione di opera intellettuale specificamente per quanto concerne la determinazione del compenso; ne conseguiva che era consenti
to ricorrere ad una determinazione secondo equità, anche tenuto conto del fatto che il compenso contrattualmente stabilito era in contrasto con le tariffe professionali inderogabili nei minimi.
Con il secondo motivo il ricorrente censura la impugnata sen tenza per insufficiente motivazione sui punti decisivi su accennati.
I due mezzi, data la loro connessione, possono esaminarsi con
giuntamente.
Questo Supreno collegio, ripetutamente, ha escluso l'applicabi lità dell'art. 36 Cost, ai rapporti di lavoro c.d. parasubordinati
(sez. un. 16 gennaio 1986, n. 224, Foro it., 1986, I, 1575; sez.
lav. 13 novembre 1986, n. 6662 e n. 6666, id., Rep. 1986, voce
(1-2) La decisione si muove nel solco della consolidata giurisprudenza di legittimità che esclude l'applicabilità dell'art. 36 Cost, al lavoro non subordinato. Ai precedenti menzionati in sentenza — tra cui Cass. 224/86, Foro it., 1986, I, 1575, con nota di richiami — e a quelli segnalati in tale nota, adde Cass. 11 ottobre 1988, n. 5471, id., 1989, I, 62, con nota di richiami; 15 novembre 1986, n. 6748, id., 1987, I, 374, con nota di richiami, in cui, come in molte altre decisioni del 1986 (tra le quali Cass. 6662, 6666, 7497 citate in sentenza) in tema di blocco delle tariffe per la liquidazione dei compensi dovuti dagli enti mutualistici ai c.d. me dici convenzionati esterni, si sostiene, in motivazione, tale esclusione. Sem
pre in senso conforme, cfr. i richiami in A.M. Grieco, Lavoro subordinato e diritto del lavoro, Jovene, Napoli, 1983, 164, nota 68. In dottrina, da ultimo, M.V. Ballestrero, L'ambigua nozione di lavoro parasubor dinato, in Lavoro e dir., 1987, 66; M. Pedrazzoli, Prestazione d'opera e parasubordinazione, in Riv. it. dir. lav., 1984, I, 545 (scritto apparso anche in Novissimo digesto, appendice, voce Opera (prestazioni coordi nate e continuative)).
Contra, in dottrina, Grieco, cit., 164, che alla nota n. 67 richiama anche qualche precedente nello stesso senso; G. Giacobbe, Lavoro auto nomo, voce dell' Enciclopedia del diritto, XXIII, 431; G. Veronesi, Il rapporto di lavoro dei «medici di guardia», in Giur. it., 1984, I, 2, 533; G. Santoro Passarelli, Il lavoro «parasubordinato», F. Angeli, Mila no, 1979, nota 34 di p. 24 e p. 99, che richiama, a conferma implicita ed indiretta della tesi dell'applicabilità dell'art. 36 Cost, alle prestazioni periodiche o continuative o semplicemente reiterate, oltre a Corte cost. 60 del 1967 e 75 del 1964 (Foro it., 1967, I, 1096 e 1964, I, 1708, con note di richiami) citate nella sentenza in epigrafe — e la cui pertinenza sul punto è invece ivi posta in discussione — Corte cost. 17 luglio 1975, n. 222, id., 1975, I, 1569, con nota di richiami, e ord. 10 maggio 1978, n. 65, id., 1978, I, 1344, con nota di A. Proto Pisani.
Circa il principio di cui alla seconda massima, va segnalato che Cass. 224 del 1986, cit., nell'individuare la gerarchia tra i vari criteri di deter minazione del compenso per prestazioni professionali di cui all'art. 2233 c.c., implicitamente ritiene applicabile tale norma al rapporto dei medici convenzionati.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Sanitario, nn. 125, 165; 13 dicembre 1986, n. 7497, ibid., voce
Lavoro (rapporto), n. 1246; 7 aprile 1987, n. 3400, id., Rep. 1987,
voce Lavoro autonomo, n. 6); ciò in quanto nel corrispettivo di
prestazioni lavorative svolte in piena autonomia e che si aggiun
gono alla abituale e normale esercizio di un'attività libero
professionale non è senz'altro ravvisabile quella funzione di ga
ranzia dei bisogni primari e di sostentamento che la retribuzione,
ai sensi dell'art. 36 Cost., deve assicurare ai lavoratori subordinati.
Il rapporto di lavoro parasubordinato integra sempre una spe
cie del lavoro autonomo, né può trarsi argomento contrario dal
l'art. 409, n. 3, c.p.c. atteso che questo equipara i rapporti di
parasubordinazione ai rapporti di lavoro subordinato solo ai fini
dell'applicazione di determinati istituti, prevalentemente di carat
tere processuale.
Naturalmente, del tutto diverso è il caso in cui sia configurabi le l'esistenza, fra i medesimi soggetti, di un rapporto di lavoro
autonomo a fianco a quello di lavoro subordinato, nel qual caso — per quest'ultimo — deve ritenersi applicabile l'art. 36 Cost.
I due richiami alla giurisprudenza della Corte costituzionale,
indipendentemente dalla natura interpretativa e dunque non co
gente di quelle affermazioni, non appaiono pertinenti. Ciò sia per quanto concerne la sentenza 7 luglio 1964, n. 75
(id., 1964, I, 1708) la quale, pur contenendo una generica affer
mazione di applicabilità dei principi contenuti nell'art. 36 (che
è peraltro affermazione molto diversa dalla applicabilità del pre
cetto nella sua interezza) nel campo del lavoro autonomo, ed in
particolare delle professioni intellettuali, verteva su una fattispe
cie ben diversa riguardante la derogabilità da parte del legislatore
delle tariffe professionali fissate con la collaborazione degli ordi
ni; ed in quella occasione la Corte costituzionale aveva modo
di sottolineare come al valore economico di un atto o di una
controversia non corrispondeva necessariamente la quantità e la
qualità di lavoro richiesto al professionista. Non diversamente nella sentenza 5 maggio 1967, n. 60 (id.,
1967, I, 1096) concernente l'art. 522, la parte, c.p.c. secondo
cui il custode non ha diritto a compenso se non l'ha chiesto e
se non gli è stato riconosciuto dall'ufficiale giudiziario all'atto
della nomina, tale norma non poteva considerarsi in contrasto
con l'art. 36 tenuto conto dell'attività del tutto occasionale e tem
poranea del custode di beni mobili pignorati: si tratta, in altri
termini, di un compenso avente caratteristiche peculiari del tutto
diverse da quelle proprie della retribuzione.
La impugnata sentenza ha esattamente colto, come già era sta
to ritenuto da questa Suprema corte (sent. 20 dicembre 1978, n.
6124, id., Rep. 1978, voce Professioni intellettuali, n. 71) che
l'art. 36 Cost., come si evince chiaramente dal contenuto delle
sue prescrizioni che fanno riferimento, tra l'altro, alla durata mas
sima della giornata lavorativa, al riposo settimanale ed alle ferie
retribuite, riguarda soltanto il rapporto di lavoro subordinato e
non è applicabile al compenso per il lavoro autonomo del profes
sionista.
Né è invocabile, a questo riguardo (sent. 22 agosto 1966, n.
2269, id., Rep. 1966, voce Impresa cooperativa, n. 4), l'afferma
zione di ricorribilità all'art. 36 in tema di prestazione svolta da
socio di cooperativa di lavoro, trattandosi evidentemente di fatti
specie del tutto diversa con proprie caratteristiche e per la quale,
in ogni caso, la dottrina ha pressoché unanimemente escluso la
configurabilità di un rapporto di parasubordinazione. La giurisprudenza di questa Suprema corte con riguardo alla
inapplicabilità dell'art. 36 al compenso per il lavoro autonomo
può dirsi non avere subito contrasti (tra le molte decisioni: sent.
4 settembre 1956, n. 3176, id., 1956, I, 1270; 30 ottobre 1969,
n. 3605, id., Rep. 1970, voce Professioni intellettuali, n. 78; 19
aprile 1974, n. 1073, id., Rep. 1974, voce cit., n. 99; 17 maggio
1975, n. 1945, id., Rep. 1975, voce Lavoro (rapporto), n. 1104;
20 dicembre 1978, n. 6124, cit. e ciò anche con riguardo al proce
dimento da seguire per determinare il compenso da attribuire ad
un avvocato per un lavoro parasubordinato in mancanza di spe
cifica previsione nella tabella professionale: sent. 17 aprile 1984,
n. 2491; id., Rep. 1984, voce Lavoro (controversie), n. 265). Pro
prio la cit. sentenza n. 3176 del 1956 aveva affermato che «l'art.
36 è il risultato della lotta secolare tra capitale e lavoro, il punto
di arrivo di una evoluzione del rapporto di lavoro subordinato
che si riassume nell'esigenza affiorata nei tempi moderni della
tutela del lavoratore subordinato, non soltanto perché economi
camente più debole, ma anche per ristabilire l'armonia e la pace
tra le classi sociali ed elevare il tono di vita di quelle inferiori».
Il Foro Italiano — 1989.
Ed è appena il caso di sottolineare la completa estraneità della
situazione del libero professionista e del compenso per la sua atti
vità, al complesso di motivazioni suesposte, segnatamente alla ca
ratteristica di parte «economicamente più debole»,
indipendentemente dalle controversie che, sulla proprietà di tale
definizione, pure non sono mancate con contrapposte motivazioni.
Si tratta evidentemente di un regime particolare integralmente
disciplinato dalla convenzione, alla quale ciascuna delle parti ha
aderito autonomamente, previa valutazione della convenienza. A
questo riguardo è appena il caso di sottolineare la esattezza della
affermazione della sentenza impugnata della inapplicabilità alla
fattispecie di tutte le norme che regolano le professioni intellet
tuali ed in particolare della norma di cui all'art. 2233 c.c. relativa
al compenso: tali norme evidentemente concernono il rapporto della prestazione di opera tra professionista e cliente destinatario
di quell'opera, non la diversa fattispecie del rapporto in questio ne che è intercorso tra professionista e cassa soccorso e malattia
e per il quale destinatari delle prestazioni professionali erano gli
assistiti, essendo propriamente il rapporto con la cassa contenuto
nei limiti della disponibilità da parte del professionista. Ne conseguiva che ogni valutazione di convenienza o di spro
porzione tra compenso e prestazioni in concreto effettuate non
poteva essere compiuta che a posteriori e, come rilevato dalla
sentenza impugnata, in caso affermativo, dare luogo ad una di
sdetta della convenzione al momento della sua scadenza periodi
ca. È invero evidente che la tariffa professionale alla quale è dato
ricorrere ai sensi dell'art. 2233 c.c. è una fonte sussidiaria alla
quale si può ricorrere soltanto ove, come nel caso specifico, non
sia intervenuta una convenzione, soprattutto — come si è visto — quando questa è stata stipulata con una parte (la cassa soccor
so e malattia) che non è certo destinataria dell'attività professio nale che riguarda solo (ed eventualmente) i suoi assistiti.
Consegue a quanto esposto il rigetto del ricorso.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 23 febbraio
1989, n. 1009; Pres. Menichino, Est. Giannantonio, P.M. Tri
dico (conci, conf.); Di Ghionno (Aw. Hernandez) c. Di Lu
dovico e Di Ghionno. Conferma Trib. Chieti 24 aprile 1986.
Lavoro (rapporto) — Lavoro familiare gratuito — Insussistenza — Fattispecie (Cod. civ., art. 1322, 1343, 1344, 2094).
Non è rapporto di lavoro familiare a titolo gratuito quello in
cui un cugino presti la sua opera subordinata a favore di altro
senza conviverci e senza avere comunque con lui una comunan
za di vita o d'interessi, ed in mancanza di qualsiasi insegna
mento da parte del datore, anche perché privo, questi, di
particolare capacità nello svolgere la sua attività (nella specie,
la gestione di una pizzeria-panificio). (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso in data 16 febbraio
1984 i coniugi Rocco Di Ludovico e Lina Di Ghionno conveniva
(1) La decisione, dopo avere dato atto delle linee giurisprudenziali in
tema di lavoro familiare — con i debiti richiami — tiene in particolare conto l'orientamento per il quale la gratuità della prestazione è legata alla sussistenza di uno stretto rapporto di parentela o affinità e all'esi
stenza di convivenza o comunanza di vita o d'interessi tra le parti, ovvero
all'apprendimento di un'attività. In proposito cfr., riguardo ad una fatti
specie di lavoro di convivente more uxorio, Cass. 17 febbraio 1988, n.
1701, Foro it., 1988, I, 2306, con nota di E. Calò, La giurisprudenza come scienza inesatta (in tema di prestazioni lavorative in seno alla fami
glia di fatto). Circa l'esclusione, ex art. 230 bis c.c., della presunzione di gratuità del lavoro nell'impresa familiare, cfr. Cass. 2 marzo 1988,
n. 2138, id., Mass., 320. Sui principi suddetti, cfr., da ultimo, con sfu
mature varie, Cass. 10 agosto 1987, n. 6857, 15 luglio 1987, n. 6204,
13 giugno 1987, n. 5221, Pret. Brindisi 16 gennaio 1987, Pret. Roma
29 settembre 1986, Pret. Forlì 23 novembre 1985, id., Rep. 1987, voce
Lavoro (rapporto), nn. 700-705.
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