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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 11 ottobre 1989, n....

Date post: 27-Jan-2017
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sezione lavoro; sentenza 11 ottobre 1989, n. 4066; Pres. D'Alberto, Est. Alibrandi, P.M. De Tommaso (concl. conf.); Barbera ed altri (Avv. Martano, Palmieri) c. Cassa centrale risparmio Vittorio Emanuele per le province siciliane (Avv. M. Nigro, Equizzi) e altro. Conferma Trib. Palermo 21 maggio 1986 Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1990), pp. 1609/1610-1613/1614 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184687 . Accessed: 25/06/2014 08:55 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.192 on Wed, 25 Jun 2014 08:55:48 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 11 ottobre 1989, n. 4066; Pres. D'Alberto, Est. Alibrandi, P.M. DeTommaso (concl. conf.); Barbera ed altri (Avv. Martano, Palmieri) c. Cassa centrale risparmioVittorio Emanuele per le province siciliane (Avv. M. Nigro, Equizzi) e altro. Conferma Trib.Palermo 21 maggio 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 1609/1610-1613/1614Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184687 .

Accessed: 25/06/2014 08:55

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

IV

Motivi della decisione. — È pacifico tra le parti che la locazio

ne abitativa de qua, in corso dal 15 aprile 1975 e già soggetta a proroga legale, è pervenuta a scadenza il 31 dicembre 1987.

La controversia tra le parti verte esclusivamente sull'idoneità ad

impedire la tacita rinnovazione del contratto, ex art. 3 1. 392/78, della disdetta comunicata (tempestivamente) alla conduttrice con

lettera raccomandata 10-12 dicembre 1986 dal dr. Giovanni Bufe

ra, in mome e per conto della proprietà (di cui il predetto asseri

va di avere mandato).

Orbene, è fuori discussione che la disdetta ex art. 3 cit., come

ogni atto negoziale (anche unilaterale, secondo l'opinione domi

nante), possa essere validamente posta in essere da un mandata

rio appositamente incaricato dall'avente diritto, e cioè nella spe cie dal locatore. Peraltro, costituisce opinione consolidata in giuris

prudenza che la comunicazione di disdetta ex art. 3 1. 392/78,

ancorché eseguita per conto del locatore da un soggetto privo dei poteri di rappresentanza (ovvero da un falsus procurator),

possa essere comunque ratificata dal locatore ai sensi dell'art.

1399 c.c., con effetto ex tunc nei confronti del conduttore (che non è terzo rispetto alla disdetta in questione), attraverso l'atto

di intimazione di sfratto nel quale si faccia esplicito riferimento

alla comunicazione di disdetta di cui si intendano utilizzare gli effetti (v., specificamente: Trib. Milano 30 maggio 1988, Arch,

locazioni, 1989, 109; Trib. Verona 10 ottobre 1983, id., 1985,

302; Pret. Bergamo 30 giugno 1986, Foro it., Rep. 1986, voce

Locazione n. 25; Pret. Monza 13 novembre 1984, id., Rep. 1985,

voce cit., n. 327; Pret. Milano 15 settembre 1982, id., Rep. 1983,

voce Rappresentanza nei contratti, nn. 10, 11).

Orbene, nella specie, chi nel dicembre 1986 ha comunicato alla

Malfer (e al di lei coniuge, successivamente defunto) la disdetta

di cui innanzi, ancorché potesse non avere avuto alcun incarico

dal proprietario-locatore (dell'epoca) di compiere tale atto, ha co

munque agito espressamente «in nome e per conto» dello stesso.

E gli attuali locatori, espressamente avvalendosi nel presente giu dizio di quella disdetta l'hanno indiscutibilmente ratificata, a ciò

legittimati dall'art. 1602 c.c.: ed invero, poiché il terzo acquiren

te, dal giorno dell'acquisto del bene locato, diviene a pieno titolo

locatore, non sembra possa negarglisi la facoltà (riconosciuta

all'«interessato», e nella specie connessa appunto alla qualità di

locatore) di completare (di regola con effetto ex tunc, ex art.

1399 c.c.) la fattispecie negoziale posta in essere dal falsus procu rator del suo dante causa, attraverso la realizzazione della condi

cio iuris costituita dalla ratifica.

La difesa della convenuta obietta, peraltro, che per potere im

pedire la tacita rinnovazione del contratto di locazione, la ratifica

della disdetta avrebbe dovuto, comunque, essere comunicata alla

conduttrice entro il termine semestrale di cui all'art. 3 1. 392/78;

ed ha invocato a tale riguardo la sentenza 2 marzo 1987, n. 2180,

(id., Rep. 1987 voce Lavoro (rapporto), n. 2240) emessa dalla

Cassazione a sezioni unite, la quale, in tema di impugnazione

extragiudiziale del licenziamento individuale da parte del lavora

tore, ha affermato che, in caso di impugnazione effettuata da

rappresentante senza poteri, anche la ratifica ex art. 1399 c.c.

deve essere comunicata (trattandosi di atto recettizio) entro il ter

mine di decadenza stabilito dalla legge. Tale affermazione di principio, peraltro, concernente disposi

zioni peculiari della normativa in materia di lavoro subordinato,

non appare tuttavia convincente. Ed invero: a) anzitutto, il con

duttore destinatario della disdetta del contratto di locazione non

si può certo qualificare «terzo» rispetto a tale atto (v. in proposi

to, sia pure in riferimento ad un caso di disdetta ex art. 29 1.

392/78, Trib. Milano 30 maggio 1988, cit., ove si richiama l'ana

logo indirizzo della Cassazione riguardo alla posizione del lavo

ratore in relazione al recesso del datore di lavoro dal contratto

di lavoro con patto di prova); e, quindi, non sussiste impedimen

to alla retroattività della ratifica alla stregua del 2° comma del

l'art. 1399 c.c.; b) in secondo luogo, escludere la retroattività

della ratifica ex art. 1399 qualora al momento della ratifica stessa

sia già trascorso il termine perentorio o di decadenza previsto

(eventualmente) per il compimento dell'atto che si intende ratifi

care, significa in sostanza escludere in tali casi la ragione stessa

della ratifica dell'atto posto in essere dal falsus procurator, dal

momento che, se dovesse comunque rispettare i predetti termini,

l'avente diritto non avrebbe necessità, né utilità, di ricorrere alla

Il Foro Italiano — 1990.

ratifica ex art. 1399 c.c., essendo ancora in tempo a compiere direttamente l'atto di cui si discute (come del resto avverte, in

qualche modo, Cass. 21 maggio 1969, n. 1773, id., 1969, I, 3162, in tema di ratifica dell'atto interruttivo della prescrizione posto in essere da falsus procurator).

Pertanto, a meno che non si intenda contestare radicalmente

la ratificabilita della disdetta del contratto locativo, e più in gene rale degli atti unilaterali posti in essere per conto dell'interessato

da un soggetto privo del potere di rappresentarlo, bisogna am

mettere la piena operatività delle regole del 2° comma dell'art.

1399 c.c. Ciò non esclude naturalmente che, prima della ratifica, l'inte

ressato possa avere contraddetto, in modo espresso o per fatti

concludenti, la manifestazione di volontà (tesa, nella specie, ad

impedire la rinnovazione della locazione) posta per lui in essere

dal falsus procurator, nel qual caso, evidentemente, la ratifica

non potrebbe più operare alcun effetto (cosi come nel caso, pre visto dal 4° comma del citato art. 1399, che l'interessato non

risponda all'invito della controparte di pronunziarsi sulla ratifi

ca). Una tale eventualità, peraltro, non sembra essersi realizzata

nella fattispecie: in particolare, la comunicazione della propria intenzione di vendere l'immobile effettuata nell'ottobre 1987 (quin

di, prima della scadenza contrattuale) dalla s.p.a. Piemongest ai

sig. Danesi-Malfer ai fini della prelazione ex art. 2 1. 118/85, non implica alcuna volontà della società all'epoca locatrice di porre nel nulla la disdetta precedentemente comunicata a suo nome dal

dr. Butera.

In conclusione, la domanda degli attori appare fondata, ed in

fondata, per converso, la riconvenzionale della Malfer. Va conse

guentemente dichiarata cessata a far tempo dal 31 dicembre 1987

la locazione per cui è causa e condannata la convenuta al rilascio

dell'immobile sito in Milano-via Parmigianino n. 10. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 11 ottobre

1989, n. 4066; Pres. D'Alberto, Est. Alibrandi, P.M. De Tom

maso (conci, conf.); Barbera ed altri (Aw. Martano, Palmie

ri) c. Cassa centrale risparmio Vittorio Emanuele per le pro vince siciliane (Aw. M. Nigro, Equizzi) e altro. Conferma Trib.

Palermo 21 maggio 1986.

Previdenza sociale — Dipendenti della Cassa di risparmio Vitto

rio Emanuele delle province siciliane — Trattamento pensioni stico integrativo — Normativa di perequazione automatica del

le pensioni pubbliche e private — Applicabilità (L. 20 febbraio 1958 n. 55, estensione del trattamento di reversibilità ed altre

provvidenze in favore dei pensionati dell'assicurazione obbliga toria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, art. 15; d.l.

23 dicembre 1977 n. 942, provvedimenti in materia previden

ziale, art. 1; 1. 27 febbraio 1978 n. 41, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 23 dicembre 1977 n. 942, art. 1).

Ai dipendenti della Cassa centrale di risparmio Vittorio Emanue

le per le province siciliane non spetta l'integrazione del tratta

mento pensionistico, erogato dal fondo pensioni, secondo gli art. 24 e 26 dello statuto del fondo (che dispongono l'incre

mento del trattamento pensionistico secondo gli aumenti delle

retribuzioni dei dipendenti in servizio), attesa l'operatività della

normativa di perequazione automatica delle pensioni di cui al

l'art. 1 l. 27 febbraio 1978 n. 41. (1)

(1) In termini, Cass. 29 novembre 1988, n. 6450, Foro it., Rep. 1988, voce Previdenza sociale, n. 742; la normativa di perequazione delle pen sioni è stata riconosciuta legittima da Corte cost., ord. 23 giugno 1988, n. 712, Giur. costit., 1988, I, 3244 e 28 gennaio 1986 n. 12, Foro it.,

Rep. 1986, voce cit., n. 717; sulla contraria posizione assunta dalla Cas

sazione, a causa della diversità dei presupposti, per i dipendenti del Ban

co di Napoli, v. Cass. 11 aprile 1987, n. 3653, id., 1989, I, 861, con

nota di richiami anche sulla natura contrattuale delle disposizioni conte

nute negli statuti dei fondi integrativi di previdenza e sul loro assoggetta mento alle regole legali dell'ermeneutica contrattuale.

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1611 PARTE PRIMA 1612

Motivi della decisione. — Con il primo mezzo di annullamento — deducendo erronea e falsa applicazione dell'art. 1 d.l. 942/77,

convertito nella 1. 41/78, e violazione dell'art. 12 preleggi in rela

zione all'art. 112 e 360, nn. 3 e 5, c.p.c. — i ricorrenti sostengo

no che il tribunale erroneamente avrebbe applicato l'art. 1 d.l.

942/77 a fattispecie estranee alla previsione normativa, in concre

to attinente al trattamento aggiuntivo ed integrativo a carico del

datore di lavoro. Il tribunale, insistono i ricorrenti, avrebbe non

correttamente esteso l'ambito di applicazione della citata disposi

zione ai trattamenti aggiuntivi di natura privatistica, che invece

da quell'ambito erano esclusi. Il trattamento in esame, poi, se

condo i ricorrenti, si articolerebbe in due parti: l'una obbligato

ria, costituente il trattamento sostitutivo dell'assicurazione gene

rale obbligatoria, e l'altra integrativa, traente origine dall'auto

nomia privata posta a carico direttamente del datore di lavoro;

questa seconda parte del trattamento, che accordava la perequa

zione del trattamento sostitutivo obbligatorio, appunto perché di

origine privatistica, sarebbe fuori dall'ambito di applicazione del

più volte citato art. 1 d.l. 942/77.

Con il secondo mezzo — deducendo violazione e falsa applica

zione degli art. 1321 ss. c.c., in relazione all'art. 360, nn. 3 e

5, c.p.c., nonché omesso esame di documenti essenziali e difetto

di motivazione (art. 112 e 115 c.p.c.) in relazione all'art. 360,

nn. 3 e 5, c.p.c. — i ricorrenti sostengono ancora che il tratta

mento pensionistico in questione (per la parte relativa alla pere

quazione) avrebbe natura contrattuale, in quanto la ricezione di

norme contrattuali in deliberazioni o regolamenti di enti pubblici

0 privati non inciderebbe sulla natura delle norme stesse, cosi

come non inciderebbe su tale natura l'esistenza di controlli am

ministrativi attinenti ed atti privatistici. L'obbligazione della cas

sa, secondo i ricorrenti, avrebbe avuto origine da un accordo azien

dale e non sarebbe accessoria ed in proposito il tribunale avrebbe

omesso di valutare tutti gli elementi di fatto che avrebbero dovu

to portare all'affermazione dell'esistenza di un contratto e non

avrebbe tenuto conto di documenti decisivi in tal senso (verbale

di intesa del 28 maggio 1971, circolare n. 874 del 22 giugno 1982

del fondo, contratto sindacale aziendale pensionistico stipulato

tra la Cassa centrale di risparmio Vittorio Emanuele per le pro

vince siciliane e le organizzazioni sindacali il 12 maggio 1983,

verbale 6 luglio 1971 del consiglio di amministrazione della Cassa

centrale di risparmio Vittorio Emanuele per le province siciliane),

compresi i bilanci del fondo.

Con il terzo mezzo — deducendo violazione delle norme sul

l'interpretazione del contratto ex art. 1362 s.s. cc., in relazione

all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. — i ricorrenti sostengono che il

tribunale non avrebbe ricercato la volontà effettiva delle parti,

violando il principio di disponibilità della prova e le norme sul

l'interpretazione, omettendo una sintesi logica che l'avrebbe in

dotto necessariamente a ritenere l'esistenza di un contratto nel

senso prospetato da essi ricorrenti.

Le tre censure, da esaminarsi congiuntamente, non appaiono

fondate.

La tesi dei ricorrenti, come appare evidente, si incentra tutta

sulla scissione che dovrebbe operarsi nel considerare il trattamen

to pensionistico da essi goduto: una parte costituirebbe tratta

mento obbligatorio previdenziale pubblicistico, sostitutivo dell'as

sicurazione generale obbligatoria; l'altra parte — relativa alla pre

requazione al costo della vita — costituirebbe trattamento

previdenziale privatistico, in quanto traente origine da norma con

trattuale, e come tale fuori dell'ambito di applicazione dell'art.

1 d.l. 942/77, che aveva unificato i sistemi di perequazione pre

detta limitando i relativi trattamenti pubblicistici. Ed i ricorrenti

indicano tale norma pattizia privatistica come contenuta nello sta

tuto del fondo (art. 24 e 26, in particolare) frutto di precedenti

trattative tra le parti. Il fondo erogatore del trattamento in esame è disciplinato, giu

sta il d.p.r. 9 novembre 1972 n. 1136, sulla base dell'art. 15 1.

20 febbraio 1958 n. 55; esso è esonerativo, nel senso che gli iscrit

ti al fondo sono esonerati dall'iscrizione all'assicurazione genera

le obbligatoria, si che il trattamento da esso erogato è sostitutivo

di quello relativo a detta assicurazione generale. Il fondo è persona giuridica di diritto pubblico

— istituto pre

videnziale, al pari dell'Inps — soggetta alla vigilanza del ministe

ro del lavoro e della previdenza sociale.

Il fondo, quindi, è persona giuridica distinta dalla cassa, dato

re di lavoro; esso è ente pubblico previdenziale, la cassa ente pub

blico economico.

Il Foro Italiano — 1990.

Il fondo è disciplinato, come già detto, per legge da uno statu

to, approvato con decreto del presidente della repubblica. Detto

statuto, pertanto, è fonte secondaria di diritto, manifestazione

della potestà autorganizzatoria dell'ente e disciplinante anche, per

specifica abilitazione legislativa, i rapporti tra l'ente stesso e i

soggetti del suo ordinamento, con previsione di obblighi giuridici

a carico di questi ultimi. In particolare lo statuto del fondo, per

quest'ultima parte, disciplina il trattamento previdenziale dei propri

iscritti e prevede obblighi giuridici a carico dei soggetti del pro prio ordinamento, cioè la cassa e detti iscritti, specialmente per

quanto concerne gli obblighi contributivi che consentono di ero

gare quel trattamento previdenziale. Ciò posto, si appalesa destituita di fondamento la tesi secondo

cui la norma pattizia privatistica — da cui dovrebbe trarre origi

ne il trattamento previdenziale privatistico non soggetto all'ambi

to di applicazione dell'art. 1 d.l. 942/77 — dovrebbe rinvenirsi

in un atto normativo — fonte secondaria di diritto — emanato

da un ente pubblico non economico; appare cioè, in radice, desti

tuita di fondamento la tesi secondo cui una norma pattizia priva

tistica — stipulata tra datore di lavoro (cassa) e lavoratori dipen

denti — possa poi essersi concretizzata, e, pertanto, rinvenirsi

in una norma dello statuto di un terzo soggetto, ente pubblico

non economico.

In proposito appare opportuno segnalare l'equivoco in cui sem

bra siano caduti i ricorrenti — citando copiosa giurisprudenza — secondo i quali una norma pattizia privatistica non perde la

propria natura anche se recepita in deliberazioni o regolamenti

di enti pubblici e secondo i quali questa corte avrebbe ripetuta

mente ammesso la scindibilità di un trattamento pensionistico in

una parte obbligatoria a carico di un fondo pensionistico e l'altra

integrativa la cui erogazione costituisce obbligo contrattuale del

datore di lavoro. In proposito, deve rilevarsi che non può riguar

dare la presente fattispecie la situazione, e la giurisprudenza rela

tiva, del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia ed in particolare

il trattamento previdenziale da detti banchi erogato: tale tratta

mento è erogato direttamente dal banco quale datore di lavoro

e non già da un terzo, istituto previdenziale; il trattamento in

questione, conseguentemente, è stato ritenuto di natura previden

ziale al pari del trattamento previdenziale erogato in virtù di una

pattuizione (contrattazione aziendale per lo più) tra datore di la

voro e lavoratore (v. Cass. 20 marzo 1985, n. 2052, Foro it.,

Rep. 1985, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 324; 11

aprile 1987, n. 3653, id., 1989, I, 861 ed altre). E, sempre conseguentemente, soltanto a proposito dei regola

menti del personale di detti enti pubblici economici, disciplinanti

il rapporto di lavoro con il personale dipendente ed il trattamen

to di previdenza è stata ritenuta la natura privatistica (di contrat

tazione collettiva), ancorché poi di tali regolamenti è prevista l'ap

provazione con decreto ministeriale (peraltro, del tesoro, non già

del lavoro e della previdenza sociale, in quanto istituti di credito).

Nel caso di specie il trattamento previdenziale degli attuali ri

correnti trova la propria esclusiva fonte nello statuto di un ente

pubblico previdenziale (e quindi non economico), terzo, rispetto

al datore di lavoro ed ai lavoratori.

Sono, pertanto, dissipati i dubbi avanzati circa un presunto

esistente contrasto di giurisprudenza di questa corte: ed infatti

le sentenze citate riguardano tutte trattamenti di previdenza ero

gati direttamente dal datore di lavoro (e i cui crediti sono consi

derati crediti di lavoro), non già da terzi, quali gli istituti previ

denziali (v. in tal senso, puntualmente, Cass. 13 ottobre 1987,

n. 7564, id., Rep. 1988, voce cit., n. 204).

La scissione del trattamento in due parti si appalesa, quindi,

per definizione impossibile; né al riguardo hanno rilevanza even

tuali trattative che comunque rimangono a monte dell'atto nor

mativo — fonte secondaria di diritto — disciplinante il tratta

mento, qualora tali trattative non si siano concretizzate in pattui

zioni dirette tra datore di lavoro — cassa — e lavoratori, soggetti

entrambi facenti parte dell'ordinamento del fondo ed assoggettati

al suo statuto.

L'impugnata sentenza si è attenuta a tali principi nella parte

principale della motivazione per cui si sottrae all'ulteriore censu

ra di non aver valutato la documentazione sottposta all'esame

del tribunale: di essa documentazione (per di più in gran parte

di data posteriore al collocamento a riposo degli attuali ricorren

ti) il tribunale ha tenuto conto, ritenendola irrilevante, in quanto

priva di mere trattative rimaste a monte dell'atto unilaterale —

statuto del fondo — disciplinante in modo esclusivo il rapporto.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

E l'impugnata sentenza, infine, si sottrae anche all'ulteriore cen sura di non aver ricercato la comune volontà delle parti nell'in

terpretare gli art. 24 e 26 dello statuto.

Questa corte ha ripetutamente precisato come gli statuti degli enti pubblici — esaurendo la loro efficacia e la loro operatività nell'ambito dell'attività interna degli enti medesimi (e, dunque, con riguardo ai soli soggetti che trovansi in un rapporto di supre mazia speciale con l'ente) — non assumono il valore di norme

giuridiche, anche se costituiscono indiretta promanazione della volontà dello Stato che nell'ente pubblico ha provveduto a disci

plinare le finalità, l'organizzazione e le forme di attività, si che la violazione o falsa interpretazione di disposizioni in esse conte nute non sono deducibili come motivo di ricorso per cassazione, risolvendosi l'indagine sul loro contenuto e sulla loro eventuale inosservanza in una indagine di fatto non sindacabile in sede di

legittimità che in relazione alla violazione o alla falsa applicazio ne delle norme sull'interpretazione dei contratti, che, in quanto applicabili, si estendono anche all'interpretazione degli atti am

ministrativi, oppure ai vizi di motivazione (Cass. 15 maggio 1976, n. 1723, id., Rep. 1976, voce Atto amministrativo, n. 76; 17 mag gio 1965, n. 926, id., Rep. 1965, voce Cassazione civile, n. 104; 7 ottobre 1972, n. 2927, id., Rep. 1972, voce cit., n. 124; 7 mag gio 1984, n. 2778, id., Rep. 1984, voce cit., n. 43; 16 dicembre

1981, n. 6651, id., Rep. 1981, voce Atto amministrativo, n. 14). Tale orientamento può essere anche in questa sede seguito, tra

lasciando di affrontare la questione in ordine ai profili di «etero nomia» che, conformemente a quanto considerato dalla dottrina, sono ravvisabili negli statuti di determinati enti pubblici — ed il fondo in esame è tra questi come all'inizio posto in rilievo — accanto agli aspetti propri dell'«autonomia» in senso stretto, con possibilità quindi per essi di avere l'efficacia propria di fonte di diritto, il che, in tali ipotesi, potrebbe avere rilevanza ai fini della proponibilità in questa sede di legittimità del ricorso per violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero, con

seguentemente, ai fini della diretta interpretazione da parte di

questa corte di legittimità delle norme in esame (v., per tale pos sibile problematica, Cass. 7 maggio 1984, n. 2778, cit.).

Ciò premesso e pur rimanendo, come detto, nel solco dell'o rientamento giurisprudenziale sopra ricordato, è evidente come il richiamo alla volontà «delle parti» sia fuori luogo, trattandosi nella specie di atto unilaterale e non già convenzionale, per cui deve farsi riferimento alla volontà, come si è tradotta nel testo

normativo, dell'organo legittimato a formare quella volontà del

l'ente (v. Cass. 17 luglio 1973, n. 2081, id., Rep. 1973, voce Con

tratto in genere, nn. 185, 226). I ricorrenti, infine, ritengono che il tribunale abbia omesso di

procedere ad una lettura coordinata delle norme statutarie ed in

particolare degli art. 24 e 26. Ma anche tale censura non ha fon

damento.

In relazione all'art. 24 il tribunale, come già rilevato, ha preci sato come tale norma preveda il meccanismo di perequazione,

ponendo a carico della cassa datore di lavoro l'onere; previsione

questa consentita dato che la legge (art. 15 1. 55/58) abilita lo

statuto del fondo a disciplinare anche i rapporti con i soggetti dell'ordinamento, a nulla rilevando le trattative relative all'impe gno di tale onere, che rimangono a monte della norma, cioè della fonte normativa che quell'onere prevede.

In relazione all'art. 26 è da rilevare che — di fronte ad una

norma invocata dalla parte come rilevante ai fini del decidere, tanto più se si tratta, come nella specie, di norma non pattizia, bensì di uno statuto di un ente pubblico — è potere dovere della

corte di legittimità riscontrare se il contenuto della detta norma,

quale indicato dalla fonte che lo invoca, sia fedelmente riportato. Nella specie ciò non è: l'art. 24 dello statuto infatti si limita a

disporre che le pensioni dirette, per la parte eccedente quella che

sarebbe spettata agli iscritti dell'assicurazione generale obbligato

ria, sono vincolate a favore della cassa per il risarcimento dei

danni causati alla stessa dall'iscritto nell'esercizio delle sue fun

zioni. Disposizione, questa, ben diversa da quella riportata, ed

invocata, dai ricorrenti, secondo i quali la stessa norma prevede rebbe che la cassa, titolare di un credito al risarcimento dei danni

nei confronti del pensionato cagionati in attività di servizio, può

opporre a quest'ultimo la compensazione del detto credito con

il suo debito verso di lui per la prestazione della parte integrativa della pensione.

E, d'altra parte, tutta l'impostazione della censura appare non

fondata in quanto si basa sempre sul presupposto della sussisten

II Foro Italiano — 1990.

za di violazione di regole di ermeneutica di norme ritenute patti zie, il che invece non è.

Appare inoltre opportuno rilevare ancora come la solidarietà della cassa con il fondo discende direttamente dalla legge (art. 15 1. 55/58), non già da pattuizioni tra le parti e riguarda tutto il trattamento pensionistico, non già soltanto la quota di esso derivante dal meccanismo di perequazione: cade cosi' un altro ar

gomento a favore della necessaria scissione del detto trattamento tra quota a carico del fondo — minimo legale — per la quale il fondo sarebbe obbligato in via principale ed in via solidale la

cassa, e quota integrativa — derivante dalla perequazione — per la quale obbligata principale sarebbe la cassa ed obbligato in via cumulativa il fondo, deputato al pagamento; artificiosa costru zione che non trova alcun riscontro normativo, essendo per l'in tero trattamento obbligati il fondo ed in via solidale la cassa.

E l'artificiosità della costruzione dei ricorrenti si rileva anche in base ad un'ultima considerazione: anche le pensioni dell'assi curazione generale obbligatoria godono di un meccanismo di pe requazione, quello appunto esteso a tutti i trattamenti pensioni stici pubblici col d.l. 942/77, per cui il minimo legale cui i ricor renti accennano dovrebbe comprendere una quota di trattamento base più una quota derivante dal perequamento computata in ba se alla normativa generale, costituendo la quota integrativa sol tanto la quota derivante dal perequamento di cui all'art. 24 sol tanto però per la parte eccedente il trattamento di perequazione generale. È facile osservare, pertanto, come tutta tale interpreta zione del sistema pensionistico in esame è destituita da qualsiasi fondamento.

Alla stregua delle suesposte considerazioni il ricorso va rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 4 ottobre

1989, n. 3980; Pres. Maltese, Est. Vignale, P.M. Lo Cascio

(conci, parz. diff.); Soc. Cerealmangimi (Aw. Antonelli) c. Min. finanze (Aw. dello Stato Braguglia). Cassa App. Geno

va 3 luglio 1987.

Dogana — Obbligazione tributaria — Erronea applicazione tarif faria — Conguaglio — Accertamento suppletivo — Termine di prescrizione — Fattispecie (D.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, testo unico delle disposizioni in materia doganale, art. 74, 84).

Dogana — Diritti di prelievo — Operazioni anteriori all'11 set

tembre 1976 — Aliquota applicabile — «Ius superveniens» —

Effetti (D.p.r. 22 settembre 1978 n. 695, modificazioni alle di sposizioni preliminari alla tariffa dei dazi doganali di importa zione della repubblica italiana, art. 3; 1. 19 luglio 1988 n. 308,

interpretazione autentica degli art. 1, n. 3, e 3 d.p.r. 22 settem

bre 1978 n. 695).

Nell'ipotesi di nuova determinazione di tributi doganali da parte dell'amministrazione, per erronea applicazione della tariffa (nella specie, misura dei diritti di prelievo sui prodotti agricoli ai sen si del d.p.r. 695/78), la pretesa fiscale è fondata sul potere di accertamento suppletivo, e non già sul potere di revisione

dell'accertamento, sicché essa si prescrive nel termine quinquen nale indicato dall'art. 84 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43. (1)

Per le importazioni di prodotti agricoli nell'ambito della Cee ef fettuate prima dell'I 1 settembre 1976, l'amministrazione finan ziaria, che abbia applicato all'importatore la tariffa più favore vole risultante tra quelle vigenti al momento della dichiarazio

ne di importazione e quella operante al momento dello

sdoganamento, non può pretendere — alla stregua della l. 19

(1) Giurisprudenza costante: v. Cass. 17 febbraio 1989, n. 948, Foro

it., Mass., 160, in tema di erronea concessione del beneficio dell'aliquota più favorevole per i prelievi agricoli; Cass. 2 giugno 1988, n. 3739, id., 1989, I, 2283, con ampia nota di richiami, anche sul profilo, in esame, relativo all'erronea applicazione dell'esenzione dettata dalla 1. 9 ottobre 1957 n. 976 per le iniziative imprenditoriali nelle città e nel territorio di Assisi; Cass. 26 marzo 1986, n. 2138, id., 1986, I, 1547, con nota di richiami, per un'ipotesi di inquadramento tariffario erroneo.

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