sezione lavoro; sentenza 11 ottobre 1989, n. 4066; Pres. D'Alberto, Est. Alibrandi, P.M. DeTommaso (concl. conf.); Barbera ed altri (Avv. Martano, Palmieri) c. Cassa centrale risparmioVittorio Emanuele per le province siciliane (Avv. M. Nigro, Equizzi) e altro. Conferma Trib.Palermo 21 maggio 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 1609/1610-1613/1614Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184687 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
IV
Motivi della decisione. — È pacifico tra le parti che la locazio
ne abitativa de qua, in corso dal 15 aprile 1975 e già soggetta a proroga legale, è pervenuta a scadenza il 31 dicembre 1987.
La controversia tra le parti verte esclusivamente sull'idoneità ad
impedire la tacita rinnovazione del contratto, ex art. 3 1. 392/78, della disdetta comunicata (tempestivamente) alla conduttrice con
lettera raccomandata 10-12 dicembre 1986 dal dr. Giovanni Bufe
ra, in mome e per conto della proprietà (di cui il predetto asseri
va di avere mandato).
Orbene, è fuori discussione che la disdetta ex art. 3 cit., come
ogni atto negoziale (anche unilaterale, secondo l'opinione domi
nante), possa essere validamente posta in essere da un mandata
rio appositamente incaricato dall'avente diritto, e cioè nella spe cie dal locatore. Peraltro, costituisce opinione consolidata in giuris
prudenza che la comunicazione di disdetta ex art. 3 1. 392/78,
ancorché eseguita per conto del locatore da un soggetto privo dei poteri di rappresentanza (ovvero da un falsus procurator),
possa essere comunque ratificata dal locatore ai sensi dell'art.
1399 c.c., con effetto ex tunc nei confronti del conduttore (che non è terzo rispetto alla disdetta in questione), attraverso l'atto
di intimazione di sfratto nel quale si faccia esplicito riferimento
alla comunicazione di disdetta di cui si intendano utilizzare gli effetti (v., specificamente: Trib. Milano 30 maggio 1988, Arch,
locazioni, 1989, 109; Trib. Verona 10 ottobre 1983, id., 1985,
302; Pret. Bergamo 30 giugno 1986, Foro it., Rep. 1986, voce
Locazione n. 25; Pret. Monza 13 novembre 1984, id., Rep. 1985,
voce cit., n. 327; Pret. Milano 15 settembre 1982, id., Rep. 1983,
voce Rappresentanza nei contratti, nn. 10, 11).
Orbene, nella specie, chi nel dicembre 1986 ha comunicato alla
Malfer (e al di lei coniuge, successivamente defunto) la disdetta
di cui innanzi, ancorché potesse non avere avuto alcun incarico
dal proprietario-locatore (dell'epoca) di compiere tale atto, ha co
munque agito espressamente «in nome e per conto» dello stesso.
E gli attuali locatori, espressamente avvalendosi nel presente giu dizio di quella disdetta l'hanno indiscutibilmente ratificata, a ciò
legittimati dall'art. 1602 c.c.: ed invero, poiché il terzo acquiren
te, dal giorno dell'acquisto del bene locato, diviene a pieno titolo
locatore, non sembra possa negarglisi la facoltà (riconosciuta
all'«interessato», e nella specie connessa appunto alla qualità di
locatore) di completare (di regola con effetto ex tunc, ex art.
1399 c.c.) la fattispecie negoziale posta in essere dal falsus procu rator del suo dante causa, attraverso la realizzazione della condi
cio iuris costituita dalla ratifica.
La difesa della convenuta obietta, peraltro, che per potere im
pedire la tacita rinnovazione del contratto di locazione, la ratifica
della disdetta avrebbe dovuto, comunque, essere comunicata alla
conduttrice entro il termine semestrale di cui all'art. 3 1. 392/78;
ed ha invocato a tale riguardo la sentenza 2 marzo 1987, n. 2180,
(id., Rep. 1987 voce Lavoro (rapporto), n. 2240) emessa dalla
Cassazione a sezioni unite, la quale, in tema di impugnazione
extragiudiziale del licenziamento individuale da parte del lavora
tore, ha affermato che, in caso di impugnazione effettuata da
rappresentante senza poteri, anche la ratifica ex art. 1399 c.c.
deve essere comunicata (trattandosi di atto recettizio) entro il ter
mine di decadenza stabilito dalla legge. Tale affermazione di principio, peraltro, concernente disposi
zioni peculiari della normativa in materia di lavoro subordinato,
non appare tuttavia convincente. Ed invero: a) anzitutto, il con
duttore destinatario della disdetta del contratto di locazione non
si può certo qualificare «terzo» rispetto a tale atto (v. in proposi
to, sia pure in riferimento ad un caso di disdetta ex art. 29 1.
392/78, Trib. Milano 30 maggio 1988, cit., ove si richiama l'ana
logo indirizzo della Cassazione riguardo alla posizione del lavo
ratore in relazione al recesso del datore di lavoro dal contratto
di lavoro con patto di prova); e, quindi, non sussiste impedimen
to alla retroattività della ratifica alla stregua del 2° comma del
l'art. 1399 c.c.; b) in secondo luogo, escludere la retroattività
della ratifica ex art. 1399 qualora al momento della ratifica stessa
sia già trascorso il termine perentorio o di decadenza previsto
(eventualmente) per il compimento dell'atto che si intende ratifi
care, significa in sostanza escludere in tali casi la ragione stessa
della ratifica dell'atto posto in essere dal falsus procurator, dal
momento che, se dovesse comunque rispettare i predetti termini,
l'avente diritto non avrebbe necessità, né utilità, di ricorrere alla
Il Foro Italiano — 1990.
ratifica ex art. 1399 c.c., essendo ancora in tempo a compiere direttamente l'atto di cui si discute (come del resto avverte, in
qualche modo, Cass. 21 maggio 1969, n. 1773, id., 1969, I, 3162, in tema di ratifica dell'atto interruttivo della prescrizione posto in essere da falsus procurator).
Pertanto, a meno che non si intenda contestare radicalmente
la ratificabilita della disdetta del contratto locativo, e più in gene rale degli atti unilaterali posti in essere per conto dell'interessato
da un soggetto privo del potere di rappresentarlo, bisogna am
mettere la piena operatività delle regole del 2° comma dell'art.
1399 c.c. Ciò non esclude naturalmente che, prima della ratifica, l'inte
ressato possa avere contraddetto, in modo espresso o per fatti
concludenti, la manifestazione di volontà (tesa, nella specie, ad
impedire la rinnovazione della locazione) posta per lui in essere
dal falsus procurator, nel qual caso, evidentemente, la ratifica
non potrebbe più operare alcun effetto (cosi come nel caso, pre visto dal 4° comma del citato art. 1399, che l'interessato non
risponda all'invito della controparte di pronunziarsi sulla ratifi
ca). Una tale eventualità, peraltro, non sembra essersi realizzata
nella fattispecie: in particolare, la comunicazione della propria intenzione di vendere l'immobile effettuata nell'ottobre 1987 (quin
di, prima della scadenza contrattuale) dalla s.p.a. Piemongest ai
sig. Danesi-Malfer ai fini della prelazione ex art. 2 1. 118/85, non implica alcuna volontà della società all'epoca locatrice di porre nel nulla la disdetta precedentemente comunicata a suo nome dal
dr. Butera.
In conclusione, la domanda degli attori appare fondata, ed in
fondata, per converso, la riconvenzionale della Malfer. Va conse
guentemente dichiarata cessata a far tempo dal 31 dicembre 1987
la locazione per cui è causa e condannata la convenuta al rilascio
dell'immobile sito in Milano-via Parmigianino n. 10. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 11 ottobre
1989, n. 4066; Pres. D'Alberto, Est. Alibrandi, P.M. De Tom
maso (conci, conf.); Barbera ed altri (Aw. Martano, Palmie
ri) c. Cassa centrale risparmio Vittorio Emanuele per le pro vince siciliane (Aw. M. Nigro, Equizzi) e altro. Conferma Trib.
Palermo 21 maggio 1986.
Previdenza sociale — Dipendenti della Cassa di risparmio Vitto
rio Emanuele delle province siciliane — Trattamento pensioni stico integrativo — Normativa di perequazione automatica del
le pensioni pubbliche e private — Applicabilità (L. 20 febbraio 1958 n. 55, estensione del trattamento di reversibilità ed altre
provvidenze in favore dei pensionati dell'assicurazione obbliga toria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, art. 15; d.l.
23 dicembre 1977 n. 942, provvedimenti in materia previden
ziale, art. 1; 1. 27 febbraio 1978 n. 41, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 23 dicembre 1977 n. 942, art. 1).
Ai dipendenti della Cassa centrale di risparmio Vittorio Emanue
le per le province siciliane non spetta l'integrazione del tratta
mento pensionistico, erogato dal fondo pensioni, secondo gli art. 24 e 26 dello statuto del fondo (che dispongono l'incre
mento del trattamento pensionistico secondo gli aumenti delle
retribuzioni dei dipendenti in servizio), attesa l'operatività della
normativa di perequazione automatica delle pensioni di cui al
l'art. 1 l. 27 febbraio 1978 n. 41. (1)
(1) In termini, Cass. 29 novembre 1988, n. 6450, Foro it., Rep. 1988, voce Previdenza sociale, n. 742; la normativa di perequazione delle pen sioni è stata riconosciuta legittima da Corte cost., ord. 23 giugno 1988, n. 712, Giur. costit., 1988, I, 3244 e 28 gennaio 1986 n. 12, Foro it.,
Rep. 1986, voce cit., n. 717; sulla contraria posizione assunta dalla Cas
sazione, a causa della diversità dei presupposti, per i dipendenti del Ban
co di Napoli, v. Cass. 11 aprile 1987, n. 3653, id., 1989, I, 861, con
nota di richiami anche sulla natura contrattuale delle disposizioni conte
nute negli statuti dei fondi integrativi di previdenza e sul loro assoggetta mento alle regole legali dell'ermeneutica contrattuale.
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1611 PARTE PRIMA 1612
Motivi della decisione. — Con il primo mezzo di annullamento — deducendo erronea e falsa applicazione dell'art. 1 d.l. 942/77,
convertito nella 1. 41/78, e violazione dell'art. 12 preleggi in rela
zione all'art. 112 e 360, nn. 3 e 5, c.p.c. — i ricorrenti sostengo
no che il tribunale erroneamente avrebbe applicato l'art. 1 d.l.
942/77 a fattispecie estranee alla previsione normativa, in concre
to attinente al trattamento aggiuntivo ed integrativo a carico del
datore di lavoro. Il tribunale, insistono i ricorrenti, avrebbe non
correttamente esteso l'ambito di applicazione della citata disposi
zione ai trattamenti aggiuntivi di natura privatistica, che invece
da quell'ambito erano esclusi. Il trattamento in esame, poi, se
condo i ricorrenti, si articolerebbe in due parti: l'una obbligato
ria, costituente il trattamento sostitutivo dell'assicurazione gene
rale obbligatoria, e l'altra integrativa, traente origine dall'auto
nomia privata posta a carico direttamente del datore di lavoro;
questa seconda parte del trattamento, che accordava la perequa
zione del trattamento sostitutivo obbligatorio, appunto perché di
origine privatistica, sarebbe fuori dall'ambito di applicazione del
più volte citato art. 1 d.l. 942/77.
Con il secondo mezzo — deducendo violazione e falsa applica
zione degli art. 1321 ss. c.c., in relazione all'art. 360, nn. 3 e
5, c.p.c., nonché omesso esame di documenti essenziali e difetto
di motivazione (art. 112 e 115 c.p.c.) in relazione all'art. 360,
nn. 3 e 5, c.p.c. — i ricorrenti sostengono ancora che il tratta
mento pensionistico in questione (per la parte relativa alla pere
quazione) avrebbe natura contrattuale, in quanto la ricezione di
norme contrattuali in deliberazioni o regolamenti di enti pubblici
0 privati non inciderebbe sulla natura delle norme stesse, cosi
come non inciderebbe su tale natura l'esistenza di controlli am
ministrativi attinenti ed atti privatistici. L'obbligazione della cas
sa, secondo i ricorrenti, avrebbe avuto origine da un accordo azien
dale e non sarebbe accessoria ed in proposito il tribunale avrebbe
omesso di valutare tutti gli elementi di fatto che avrebbero dovu
to portare all'affermazione dell'esistenza di un contratto e non
avrebbe tenuto conto di documenti decisivi in tal senso (verbale
di intesa del 28 maggio 1971, circolare n. 874 del 22 giugno 1982
del fondo, contratto sindacale aziendale pensionistico stipulato
tra la Cassa centrale di risparmio Vittorio Emanuele per le pro
vince siciliane e le organizzazioni sindacali il 12 maggio 1983,
verbale 6 luglio 1971 del consiglio di amministrazione della Cassa
centrale di risparmio Vittorio Emanuele per le province siciliane),
compresi i bilanci del fondo.
Con il terzo mezzo — deducendo violazione delle norme sul
l'interpretazione del contratto ex art. 1362 s.s. cc., in relazione
all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. — i ricorrenti sostengono che il
tribunale non avrebbe ricercato la volontà effettiva delle parti,
violando il principio di disponibilità della prova e le norme sul
l'interpretazione, omettendo una sintesi logica che l'avrebbe in
dotto necessariamente a ritenere l'esistenza di un contratto nel
senso prospetato da essi ricorrenti.
Le tre censure, da esaminarsi congiuntamente, non appaiono
fondate.
La tesi dei ricorrenti, come appare evidente, si incentra tutta
sulla scissione che dovrebbe operarsi nel considerare il trattamen
to pensionistico da essi goduto: una parte costituirebbe tratta
mento obbligatorio previdenziale pubblicistico, sostitutivo dell'as
sicurazione generale obbligatoria; l'altra parte — relativa alla pre
requazione al costo della vita — costituirebbe trattamento
previdenziale privatistico, in quanto traente origine da norma con
trattuale, e come tale fuori dell'ambito di applicazione dell'art.
1 d.l. 942/77, che aveva unificato i sistemi di perequazione pre
detta limitando i relativi trattamenti pubblicistici. Ed i ricorrenti
indicano tale norma pattizia privatistica come contenuta nello sta
tuto del fondo (art. 24 e 26, in particolare) frutto di precedenti
trattative tra le parti. Il fondo erogatore del trattamento in esame è disciplinato, giu
sta il d.p.r. 9 novembre 1972 n. 1136, sulla base dell'art. 15 1.
20 febbraio 1958 n. 55; esso è esonerativo, nel senso che gli iscrit
ti al fondo sono esonerati dall'iscrizione all'assicurazione genera
le obbligatoria, si che il trattamento da esso erogato è sostitutivo
di quello relativo a detta assicurazione generale. Il fondo è persona giuridica di diritto pubblico
— istituto pre
videnziale, al pari dell'Inps — soggetta alla vigilanza del ministe
ro del lavoro e della previdenza sociale.
Il fondo, quindi, è persona giuridica distinta dalla cassa, dato
re di lavoro; esso è ente pubblico previdenziale, la cassa ente pub
blico economico.
Il Foro Italiano — 1990.
Il fondo è disciplinato, come già detto, per legge da uno statu
to, approvato con decreto del presidente della repubblica. Detto
statuto, pertanto, è fonte secondaria di diritto, manifestazione
della potestà autorganizzatoria dell'ente e disciplinante anche, per
specifica abilitazione legislativa, i rapporti tra l'ente stesso e i
soggetti del suo ordinamento, con previsione di obblighi giuridici
a carico di questi ultimi. In particolare lo statuto del fondo, per
quest'ultima parte, disciplina il trattamento previdenziale dei propri
iscritti e prevede obblighi giuridici a carico dei soggetti del pro prio ordinamento, cioè la cassa e detti iscritti, specialmente per
quanto concerne gli obblighi contributivi che consentono di ero
gare quel trattamento previdenziale. Ciò posto, si appalesa destituita di fondamento la tesi secondo
cui la norma pattizia privatistica — da cui dovrebbe trarre origi
ne il trattamento previdenziale privatistico non soggetto all'ambi
to di applicazione dell'art. 1 d.l. 942/77 — dovrebbe rinvenirsi
in un atto normativo — fonte secondaria di diritto — emanato
da un ente pubblico non economico; appare cioè, in radice, desti
tuita di fondamento la tesi secondo cui una norma pattizia priva
tistica — stipulata tra datore di lavoro (cassa) e lavoratori dipen
denti — possa poi essersi concretizzata, e, pertanto, rinvenirsi
in una norma dello statuto di un terzo soggetto, ente pubblico
non economico.
In proposito appare opportuno segnalare l'equivoco in cui sem
bra siano caduti i ricorrenti — citando copiosa giurisprudenza — secondo i quali una norma pattizia privatistica non perde la
propria natura anche se recepita in deliberazioni o regolamenti
di enti pubblici e secondo i quali questa corte avrebbe ripetuta
mente ammesso la scindibilità di un trattamento pensionistico in
una parte obbligatoria a carico di un fondo pensionistico e l'altra
integrativa la cui erogazione costituisce obbligo contrattuale del
datore di lavoro. In proposito, deve rilevarsi che non può riguar
dare la presente fattispecie la situazione, e la giurisprudenza rela
tiva, del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia ed in particolare
il trattamento previdenziale da detti banchi erogato: tale tratta
mento è erogato direttamente dal banco quale datore di lavoro
e non già da un terzo, istituto previdenziale; il trattamento in
questione, conseguentemente, è stato ritenuto di natura previden
ziale al pari del trattamento previdenziale erogato in virtù di una
pattuizione (contrattazione aziendale per lo più) tra datore di la
voro e lavoratore (v. Cass. 20 marzo 1985, n. 2052, Foro it.,
Rep. 1985, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 324; 11
aprile 1987, n. 3653, id., 1989, I, 861 ed altre). E, sempre conseguentemente, soltanto a proposito dei regola
menti del personale di detti enti pubblici economici, disciplinanti
il rapporto di lavoro con il personale dipendente ed il trattamen
to di previdenza è stata ritenuta la natura privatistica (di contrat
tazione collettiva), ancorché poi di tali regolamenti è prevista l'ap
provazione con decreto ministeriale (peraltro, del tesoro, non già
del lavoro e della previdenza sociale, in quanto istituti di credito).
Nel caso di specie il trattamento previdenziale degli attuali ri
correnti trova la propria esclusiva fonte nello statuto di un ente
pubblico previdenziale (e quindi non economico), terzo, rispetto
al datore di lavoro ed ai lavoratori.
Sono, pertanto, dissipati i dubbi avanzati circa un presunto
esistente contrasto di giurisprudenza di questa corte: ed infatti
le sentenze citate riguardano tutte trattamenti di previdenza ero
gati direttamente dal datore di lavoro (e i cui crediti sono consi
derati crediti di lavoro), non già da terzi, quali gli istituti previ
denziali (v. in tal senso, puntualmente, Cass. 13 ottobre 1987,
n. 7564, id., Rep. 1988, voce cit., n. 204).
La scissione del trattamento in due parti si appalesa, quindi,
per definizione impossibile; né al riguardo hanno rilevanza even
tuali trattative che comunque rimangono a monte dell'atto nor
mativo — fonte secondaria di diritto — disciplinante il tratta
mento, qualora tali trattative non si siano concretizzate in pattui
zioni dirette tra datore di lavoro — cassa — e lavoratori, soggetti
entrambi facenti parte dell'ordinamento del fondo ed assoggettati
al suo statuto.
L'impugnata sentenza si è attenuta a tali principi nella parte
principale della motivazione per cui si sottrae all'ulteriore censu
ra di non aver valutato la documentazione sottposta all'esame
del tribunale: di essa documentazione (per di più in gran parte
di data posteriore al collocamento a riposo degli attuali ricorren
ti) il tribunale ha tenuto conto, ritenendola irrilevante, in quanto
priva di mere trattative rimaste a monte dell'atto unilaterale —
statuto del fondo — disciplinante in modo esclusivo il rapporto.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
E l'impugnata sentenza, infine, si sottrae anche all'ulteriore cen sura di non aver ricercato la comune volontà delle parti nell'in
terpretare gli art. 24 e 26 dello statuto.
Questa corte ha ripetutamente precisato come gli statuti degli enti pubblici — esaurendo la loro efficacia e la loro operatività nell'ambito dell'attività interna degli enti medesimi (e, dunque, con riguardo ai soli soggetti che trovansi in un rapporto di supre mazia speciale con l'ente) — non assumono il valore di norme
giuridiche, anche se costituiscono indiretta promanazione della volontà dello Stato che nell'ente pubblico ha provveduto a disci
plinare le finalità, l'organizzazione e le forme di attività, si che la violazione o falsa interpretazione di disposizioni in esse conte nute non sono deducibili come motivo di ricorso per cassazione, risolvendosi l'indagine sul loro contenuto e sulla loro eventuale inosservanza in una indagine di fatto non sindacabile in sede di
legittimità che in relazione alla violazione o alla falsa applicazio ne delle norme sull'interpretazione dei contratti, che, in quanto applicabili, si estendono anche all'interpretazione degli atti am
ministrativi, oppure ai vizi di motivazione (Cass. 15 maggio 1976, n. 1723, id., Rep. 1976, voce Atto amministrativo, n. 76; 17 mag gio 1965, n. 926, id., Rep. 1965, voce Cassazione civile, n. 104; 7 ottobre 1972, n. 2927, id., Rep. 1972, voce cit., n. 124; 7 mag gio 1984, n. 2778, id., Rep. 1984, voce cit., n. 43; 16 dicembre
1981, n. 6651, id., Rep. 1981, voce Atto amministrativo, n. 14). Tale orientamento può essere anche in questa sede seguito, tra
lasciando di affrontare la questione in ordine ai profili di «etero nomia» che, conformemente a quanto considerato dalla dottrina, sono ravvisabili negli statuti di determinati enti pubblici — ed il fondo in esame è tra questi come all'inizio posto in rilievo — accanto agli aspetti propri dell'«autonomia» in senso stretto, con possibilità quindi per essi di avere l'efficacia propria di fonte di diritto, il che, in tali ipotesi, potrebbe avere rilevanza ai fini della proponibilità in questa sede di legittimità del ricorso per violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero, con
seguentemente, ai fini della diretta interpretazione da parte di
questa corte di legittimità delle norme in esame (v., per tale pos sibile problematica, Cass. 7 maggio 1984, n. 2778, cit.).
Ciò premesso e pur rimanendo, come detto, nel solco dell'o rientamento giurisprudenziale sopra ricordato, è evidente come il richiamo alla volontà «delle parti» sia fuori luogo, trattandosi nella specie di atto unilaterale e non già convenzionale, per cui deve farsi riferimento alla volontà, come si è tradotta nel testo
normativo, dell'organo legittimato a formare quella volontà del
l'ente (v. Cass. 17 luglio 1973, n. 2081, id., Rep. 1973, voce Con
tratto in genere, nn. 185, 226). I ricorrenti, infine, ritengono che il tribunale abbia omesso di
procedere ad una lettura coordinata delle norme statutarie ed in
particolare degli art. 24 e 26. Ma anche tale censura non ha fon
damento.
In relazione all'art. 24 il tribunale, come già rilevato, ha preci sato come tale norma preveda il meccanismo di perequazione,
ponendo a carico della cassa datore di lavoro l'onere; previsione
questa consentita dato che la legge (art. 15 1. 55/58) abilita lo
statuto del fondo a disciplinare anche i rapporti con i soggetti dell'ordinamento, a nulla rilevando le trattative relative all'impe gno di tale onere, che rimangono a monte della norma, cioè della fonte normativa che quell'onere prevede.
In relazione all'art. 26 è da rilevare che — di fronte ad una
norma invocata dalla parte come rilevante ai fini del decidere, tanto più se si tratta, come nella specie, di norma non pattizia, bensì di uno statuto di un ente pubblico — è potere dovere della
corte di legittimità riscontrare se il contenuto della detta norma,
quale indicato dalla fonte che lo invoca, sia fedelmente riportato. Nella specie ciò non è: l'art. 24 dello statuto infatti si limita a
disporre che le pensioni dirette, per la parte eccedente quella che
sarebbe spettata agli iscritti dell'assicurazione generale obbligato
ria, sono vincolate a favore della cassa per il risarcimento dei
danni causati alla stessa dall'iscritto nell'esercizio delle sue fun
zioni. Disposizione, questa, ben diversa da quella riportata, ed
invocata, dai ricorrenti, secondo i quali la stessa norma prevede rebbe che la cassa, titolare di un credito al risarcimento dei danni
nei confronti del pensionato cagionati in attività di servizio, può
opporre a quest'ultimo la compensazione del detto credito con
il suo debito verso di lui per la prestazione della parte integrativa della pensione.
E, d'altra parte, tutta l'impostazione della censura appare non
fondata in quanto si basa sempre sul presupposto della sussisten
II Foro Italiano — 1990.
za di violazione di regole di ermeneutica di norme ritenute patti zie, il che invece non è.
Appare inoltre opportuno rilevare ancora come la solidarietà della cassa con il fondo discende direttamente dalla legge (art. 15 1. 55/58), non già da pattuizioni tra le parti e riguarda tutto il trattamento pensionistico, non già soltanto la quota di esso derivante dal meccanismo di perequazione: cade cosi' un altro ar
gomento a favore della necessaria scissione del detto trattamento tra quota a carico del fondo — minimo legale — per la quale il fondo sarebbe obbligato in via principale ed in via solidale la
cassa, e quota integrativa — derivante dalla perequazione — per la quale obbligata principale sarebbe la cassa ed obbligato in via cumulativa il fondo, deputato al pagamento; artificiosa costru zione che non trova alcun riscontro normativo, essendo per l'in tero trattamento obbligati il fondo ed in via solidale la cassa.
E l'artificiosità della costruzione dei ricorrenti si rileva anche in base ad un'ultima considerazione: anche le pensioni dell'assi curazione generale obbligatoria godono di un meccanismo di pe requazione, quello appunto esteso a tutti i trattamenti pensioni stici pubblici col d.l. 942/77, per cui il minimo legale cui i ricor renti accennano dovrebbe comprendere una quota di trattamento base più una quota derivante dal perequamento computata in ba se alla normativa generale, costituendo la quota integrativa sol tanto la quota derivante dal perequamento di cui all'art. 24 sol tanto però per la parte eccedente il trattamento di perequazione generale. È facile osservare, pertanto, come tutta tale interpreta zione del sistema pensionistico in esame è destituita da qualsiasi fondamento.
Alla stregua delle suesposte considerazioni il ricorso va rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 4 ottobre
1989, n. 3980; Pres. Maltese, Est. Vignale, P.M. Lo Cascio
(conci, parz. diff.); Soc. Cerealmangimi (Aw. Antonelli) c. Min. finanze (Aw. dello Stato Braguglia). Cassa App. Geno
va 3 luglio 1987.
Dogana — Obbligazione tributaria — Erronea applicazione tarif faria — Conguaglio — Accertamento suppletivo — Termine di prescrizione — Fattispecie (D.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, testo unico delle disposizioni in materia doganale, art. 74, 84).
Dogana — Diritti di prelievo — Operazioni anteriori all'11 set
tembre 1976 — Aliquota applicabile — «Ius superveniens» —
Effetti (D.p.r. 22 settembre 1978 n. 695, modificazioni alle di sposizioni preliminari alla tariffa dei dazi doganali di importa zione della repubblica italiana, art. 3; 1. 19 luglio 1988 n. 308,
interpretazione autentica degli art. 1, n. 3, e 3 d.p.r. 22 settem
bre 1978 n. 695).
Nell'ipotesi di nuova determinazione di tributi doganali da parte dell'amministrazione, per erronea applicazione della tariffa (nella specie, misura dei diritti di prelievo sui prodotti agricoli ai sen si del d.p.r. 695/78), la pretesa fiscale è fondata sul potere di accertamento suppletivo, e non già sul potere di revisione
dell'accertamento, sicché essa si prescrive nel termine quinquen nale indicato dall'art. 84 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43. (1)
Per le importazioni di prodotti agricoli nell'ambito della Cee ef fettuate prima dell'I 1 settembre 1976, l'amministrazione finan ziaria, che abbia applicato all'importatore la tariffa più favore vole risultante tra quelle vigenti al momento della dichiarazio
ne di importazione e quella operante al momento dello
sdoganamento, non può pretendere — alla stregua della l. 19
(1) Giurisprudenza costante: v. Cass. 17 febbraio 1989, n. 948, Foro
it., Mass., 160, in tema di erronea concessione del beneficio dell'aliquota più favorevole per i prelievi agricoli; Cass. 2 giugno 1988, n. 3739, id., 1989, I, 2283, con ampia nota di richiami, anche sul profilo, in esame, relativo all'erronea applicazione dell'esenzione dettata dalla 1. 9 ottobre 1957 n. 976 per le iniziative imprenditoriali nelle città e nel territorio di Assisi; Cass. 26 marzo 1986, n. 2138, id., 1986, I, 1547, con nota di richiami, per un'ipotesi di inquadramento tariffario erroneo.
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