sezione lavoro; setenza 22 dicembre 1987, n. 9530; Pres. Zappulli, Est. D'Alberto, P.M. Cecere(concl. conf.); De Vita (Avv. Caravita di Toritto) c. Cassa di risparmio di Roma (Avv.Scognamiglio). Conferma Trib. Roma 29 ottobre 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 1911/1912-1915/1916Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181324 .
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1911 PARTE PRIMA 1912
All'udienza di discussione del 6 gennaio 1978 previa riunione
delle cause e precisazione delle conclusioni in ordine ai conteggi
esposti, veniva discussa oralmente la causa e veniva decisa me
diante unica sentenza di accoglimento delle domande attrici.
Contro le due distinte sentenze la società Italia di navigazione e la società Lloyd triestino proponevano tempestivi appelli.
Gli appellati si costituivano a loro volta, resistendo alle impu
gnazioni avversarie e chiedendo, con appello incidentale, che le
due predette società fossero condannate al pagamento degli inte
ressi sulle somme rivalutate.
Il Tribunale di Genova, con sentenza 26 novembre 1979 respin
geva l'appello principale e accoglieva quello incidentale. (Omissis) Motivi della decisione. — (Omissis). Infondato è invece il se
condo mezzo. La motivazione della sentenza pur nella sua sinteti
cità è corretta. Ai fini della decisione occorre stabilire se, nella
specie, il rapporto di lavoro, tra marittimo «in regime di conti
nuità» ed impresa di navigazione, possa essere qualificato, anche
durante l'intervallo inoperoso tra ciascuno sbarco e l'imbarco im
mediatamente successivo, come rapporto speciale di lavoro ma
rittimo oppure come rapporto di lavoro comune.
Solo nel primo caso, infatti, troverebbe applicazione la disci
plina speciale, in tema di prescrizione dei crediti di lavoro marit
timo (art. 373 c. nav.). Ora connotato essenziale del rapporto speciale di lavoro marit
timo — come questa corte ha già avuto occasione di affermare
(vedi le sentenze n. 1900 del 15 luglio 1964, Foro it., 1964, I, 1338 e n. 3379 del 6 giugno 1985, id., Rep. 1985, voce Lavoro
(rapporto), n. 632) — è la destinazione della prestazione lavorati
va, che forma oggetto del rapporto, al «servizio della nave».
E tale connotato indubbiamente, ricorre nelle prestazioni lavo
rative durante il periodo d'imbarco.
La qualificazione giuridica, che ne discende, di rapporto spe ciale di lavoro marittimo si estende, ad avviso della corte, anche
all'intervallo inoperoso tra ciascun sbarco e l'imbarco immedia
tamente successivo del marittimo «in regime di continuità».
Infatti, il rapporto di lavoro tra marittimo ed impresa di navi
gazione — che, per quanto si è detto, permane durante l'interval
lo inoperoso — non può ritenersi finalizzato, in difetto di qualsiasi
prestazione lavorativa, ad attività dell'impresa diverse dal «servi
zio della nave» (quali, a titolo di esempio, le attività prese in
considrazione nella giurisprudenza da ultimo citata). Ne consegue che, durante l'intervallo inoperoso, il rapporto
di lavoro non può che conservare la stessa qualificazione giuridi ca (di rapporto speciale di lavoro marittimo) del pregresso perio do d'imbarco. Del resto, è quel che accade, in genere, nelle ipotesi di sospensione della prestazione lavorativa in pendenza del rap
porto di lavoro.
In tali casi, infatti, può subire, bensì modifiche il trattamento
economico e, in genere, il regime del rapporto, ma ne rimane
immutata, tuttavia, la natura giuridica. Né rileva, in contrario, la circostanza che, durante la sospen
sione della prestazione lavorativa, la retribuzione diretta, oltre
a subire riduzioni, possa essere sostituita, come nella specie, da
prestazioni previdenziali.
Esemplare, a tale proposito, risulta, infatti, la sospensione del
rapporto di lavoro — che permane, tuttavia, in una «situazione
di quiescenza» — con diritto del lavoratore alle integrazioni sala
riali, in sostituzione della retribuzione diretta.
Pertanto, anche nell'intervallo inoperoso tra ciascuno sbarco
e l'imbarco immediatamente successivo, il rapporto di lavoro del
l'impresa di navigazione con il marittimo «in regime di continui
tà» conserva la natura di rapporto speciale di lavoro marittimo
e, come tale, è soggetto alla disciplina speciale (anche) in tema
di prescrizione (373 c. nav.). Ne consegue che il previsto termine prescrizionale decorre sol
tanto dalla cessazione del rapporto di lavoro marittimo «in regi me di continuità», che coincide con la cancellazione del marittimo
dai c.d. «turni particolari».
Consegue a quanto esposto l'accoglimento del primo e del ter
zo motivo del ricorso ed il rigetto del secondo, la cassazione della
sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti ed il rinvio al
Tribunale di Chiavari per nuovo esame dell'appello.
Il Foro Italiano — 1988.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; setenza 22 dicembre
1987, n. 9530; Pres. Zappuili, Est. D'Alberto, P.M. Cecere
(conci, conf.); De Vita (Avv. Cara vita di Toritto) c. Cassa
di risparmio di Roma (Avv. Scognamiglio). Conferma Trib.
Roma 29 ottobre 1983.
Lavoro (rapporto) — Casse di risparmio — Promozione per scel
ta — Violazione dei criteri — Diritto alla promozione — Insus
sistenza (Cost., art. 97; cod. civ., art. 1175, 1375).
È correttamente motivata la sentenza del giudice di merito che
abbia considerato inammissibile la domanda di un lavoratore
dipendente da una cassa di risparmio diretta all'accertamento
del diritto alla promozione a dirigente, sul presupposto della
violazione da parte del datore di lavoro dei criteri di scelta
nell'ambito di una procedura promotiva, posto che il sindacato
giudiziale non può che sfociare — senza alcuna possibilità per
il giudice di sostituirsi all'ente pubblico nel compimento delle
operazioni di scelta — nell'eventuale pronuncia di nullità degli
atti relativi alle operazioni, in dipendenza dell'inosservanza delle
norme procedimentali, ovvero nel rimedio risarcitorio in dipen
denza dell'accertato illecito contrattuale. (1)
Svolgimento del processo. - Con ricorso al Pretore di Roma,
in data 5 luglio 1974, Manlio De Vita, dipendente della Cassa
di risparmio di Roma, quale funzionario, assumeva che la detta
cassa, propria datrice di lavoro fin dall'anno 1967, aveva ingiu
stamente sacrificato i suoi interessi di carriera, in occasione delle
promozioni, posponendolo ad altri colleghi, di lui pur meno me
ritevoli.
Il ricorrente soggiungeva che, in occasione delle successive pro
mozioni, del 1971 e del 1973, rispettivamente a funzionario di
1° grado e a dirigente, egli era stato ingiustamente escluso; soste
neva, quindi, l'illegittimità dei provvedimenti aziendali, perché
adottati in violazione dell'art. 56 del ccnl 16 dicembre 1953 (reso
obbligatorio erga omnes), sotto i profili seguenti; A) per la im
motivata preferenza attribuita al criterio della scelta anziché a
quello del concorso; B) per la mancata predeterminazione, in se
de di scelta dei provvedimenti, del punteggio dato ai singoli re
quisiti ed elementi di valutazione, così da permettere l'assoluta
imparzialità della scelta; C) per il ruolo preminente erroneamente
attribuito nella scelta dei promovendi al criterio della preparazio
ne culturale relativa al posto da ricoprire come da ammissione
della stessa cassa.
Tanto premesso, M. De Vita chiedeva l'accertamento del dirit
to all'inquadramento fra i dirigenti della Cassa di risparmio di
Roma, a far tempo dal 1972, ovvero, in subordine, dal 1974,
con tutte le coseguenze, anche economiche.
Nel costituirsi in giudizio, la convenuta cassa dichiarava che
— avendo frattanto De Vita proposto analogo ricorso, anche da
vanti al giudice amministrativo — essa aveva adito la Suprema corte di cassazione per il regolamento di giurisdizione; e ai sensi
del 1° comma dell'art. 367 c.p.c., il pretore sospendeva il processo. Con sentenza 6 febbraio 1978, n. 530 (Foro it., Rep. 1978,
voce Giurisdizione civile, n. 174), le sezioni unite della Corte su
prema dichiaravano la giurisdizione dell'a.g.o. Con ricorso in riassunzione del 7 marzo 1988, Manlio De Vita
chiedeva l'accoglimento dell'originaria domanda, della quale la
resistente cassa contestava la fondatezza, sostenendo la legittimi tà delle dedotte promozioni dei dipendenti effettuate con il siste
ma della scelta.
(1) La sentenza merita di essere segnalata in negativo per il «ritorno»
a prospettive ricostruttive che sembravano essere state abbandonate a se
guito della recente ed articolata presa di posizione di cui a Cass. 10 ago sto 1987, n. 6864, Foro it., 1987, I, 2990, con nota di O. Mazzotta, La Cassazione e i concorsi privati: cosa c'è dietro l'angolo?, alla quale si rinvia per i richiami (cui adde in dottrina: P. Tullini, Buona fede e correttezza nell'amministrazione del rapporto di lavoro (spunti per una
ricerca), in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1987, 870; C. Zoli, La tutela
delle posizioni «strumentali» del lavoratore. Dagli interessi legittimi all'u
so delle clausole generali, Milano, 1988, spec. cap. IV). Non resta che affidarsi alla speranza che si tratti di «vischiosità» adde
bitabili non tanto alla mancanza di informazione sull'esistenza del prece dente quanto ai tempi tecnici intercorrenti fra la deliberazione, risalente
all'ottobre 1986, e la pubblicazione di oltre un anno successiva. [O.
Mazzotta]
all'ottobre 1986, e la pubblicazione di oltre un anno successiva. [O.
Mazzotta]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
L'adito pretore, disposta l'esibizione, da parte della cassa, del
la documentazione concernente le contestate promozioni (da fun
zionario di I a dirigente di IV) deliberate nel 1973, rigettava la
domanda con sentenza 23 marzo-3 maggio 1982, la quale, a se
guito di appello proposto da M. De Vita e contrastato dalla cas
sa, era indi confermata dal Tribunale di Roma. Osservava, tra
l'altro, il giudice d'appello, nella sua sentenza 21 — 29 ottobre
1983: che in base all'art. 56 del ccnl 16 dicembre 1953 (reso effi
cace erga omnes con d.p.r. 2 gennaio 1962 n. 510), l'istituto di
credito ha la piena facoltà di decidere se la promozione debba
avvenire a scelta fra il personale oppure mediante concorso, e
che, «se la cassa preferisce la prima alternativa, pur essendo te
nuta per contratto a valutare determinati elementi, conserva, non
dimeno, un ampio margine di descrezionalità nella designazione dei promovendi»; che siffatta portata della indicata norma con
trattuale, esattamente delineata dal pretore, «non solo lascia, al
l'arbitrio dell'istituto la decisione sull'eventuale utilizzo del
concorso, consentendo, in alternativa, la promozione mediante
scelta (senza che, al riguardo, la preferenza della cassa per que
st'ultima via esiga anche solo una partenza di motivazione . . . ),
ma impone alla cassa, nell'atto della scelta . . . esclusivamente
l'apprezzamento di talune circostanze ed elementi, fra cui la pre
parazione culturale relativa al posto da coprire»; che non a caso
a M. De Vita, il quale «ebbe a dolersi dell'esclusione dalla pro
mozione, la direzione aziendale replicò che nella scelta del perso
nale da promuovere si era tunuto conto preminente di quella
preparazione culturale»; che l'esame concreto della documenta
zione inerente alle dedotte promozioni è stato esattamente repu
tato ininfluente dal primo giudice, non potendo, nel caso di specie,
il lavoratore ottenere la chiesta promozione «in via giudiziale»;
promozione che peraltro non è concepibile, si precisa, senza il
contraddittorio di tutti gli aspiranti alla promozione. Di questa sentenza M. De Vita chiede la cassazione per tre
motivi. La Cassa di risparmio di Roma resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
Motivi della decisione. — Con i tre mezzi di ricorso sono stati
ascritti al giudice di appello i seguenti errori:
I - Violazione e falsa applicazione dell'art. 56 del contratto
collettivo del settore, obbligatorio erga omnes, nonché omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo
della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), per avere addotto
una motivazione, che, trascritta in gran parte nel ricorso, non
ha, ad avviso di De Vita, «nemmeno bisogno di commenti», aven
do detto giudice pretermesso l'esame di situazioni particolari ve
nute ad essere nello specifico processo» ed essendo pervenuto
«persino a codificare . . . l'arbitrio . . . della p.a.»; e ciò senza
considerare, si soggiunse, che, in base al disposto dell'art. 56 del
citato ccnl, la scelta del sistema di promozione deve essere moti
vata, e che nella sentenza impugnata, inspiegabilmente, non sono
esaminati: A) «i fatti del 1967 (violazione dell'art. 60 del ccnl
del 16 dicembre 1963), che infirmarono la legittimità di tutte le
promozioni successive»; B) le sole promozioni del 1971, «del 2°
e 1° grado del ruolo funzionari»; C) le promozioni «a dirigente
di 4° grado del 1972, per le quali il De Vita . . . aveva la prepa razione culturale relativa al posto da capire».
II - Violazione e falsa applicazione degli art. 1175 e 1375 c.c.,
dell'art. 97 Cost., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della vertenza, per non avere
il giudice a quo tenuto conto delle regole di correttezza e del
principio di buona fede dettati dai citati articoli del codice civile,
oltreché del buon andamento e della attività della p.a., sia «par
lando di arbitrio e di scelta insindacabile», sia facendo illegitti
mamente riferimento alla preparazione culturale come elemento
di valutazione necessariamente soggettiva e discrezionale, laddo
ve nella lettera del 24 gennaio 1974, inviata a M. De Vita la dire
zione generale della cassa dichiara che «particolare importanza
è stata attribuita ai titoli culturali intesi come complesso di requi
siti di preparazione e di attitudine a svolgere funzioni superiori»;
una volta adottato un metodo, si soggiunge, esso si deve applica
re a tutti i candidati e «gli elementi contrattuali presi in conside
razione . . . non possono essere stravolti nel loro significato
letterale».
Ili - Ancora violazione e falsa applicazione degli art. 1175 e
1375 c.c., violazione dell'art. 97 Cost., nonché «violazione e fal
sa applicazione dei poteri del giudice di lavoro, che può sostituir
si alle determinazioni della p.a.», in quanto nella impugnata
Il Foro Italiano — 1988.
sentenza si parla di contraddittorio con altri interessati, si affer
ma che l'inottemperanza della cassa avrebbe potuto determinare
soltanto il diritto del dipendente al risarcimento dei danni e si
nega «la possibilità che la posizione del dipendente che aspiri alla
promozione non assurga mai a diritto soggettivo»; e ciò senza
dire, si soggiunge, «che il De Vita, fra l'altro, aveva chiesto de
claratoria di illegittimità dell'operato della cassa».
I tre mezzi del ricorso — i quali, involgendo questioni connesse
e/o interdipendenti, possono essere congiuntamente esaminati an
che per organicità della trattazione — non meritano accogli mento.
Giova rimarcare, innanzi tutto, che, come è stato già accenna
to nella premessa narrativa, il suindicato contratto collettivo na
zionale di lavoro, relativo a norme sul trattamento economico
e normativo dei dirigenti e funzionari delle casse di risparmio,
reso efficace erga omnes dal d.p.r. n. 510 del 1962, conferisce
all'azienda, con l'art. 56, secondo l'inequivoca interpretazione da
tane dal giudice a quo nella parte motiva della sua sentenza, non
solo «a piena facoltà di decidere» se la promozione debba avve
nire a scelta fra il personale oppure mediante concorso — «senza
che, al riguardo, la preferenza della cassa per quest'ultima via
esiga anche solo una parvenza di motivazione, potendo, anzi es
sere manifestata per facta» — ma impone alla cassa, nell'atto
della scelta «(che è per definizione, attività autonoma ed infungi
bile di colui che è chiamato a scegliere), esclusivamente l'apprez
zamento di talune circostanze ed elementi, fra cui la preparazione
culturale . . . che è elemento di valutazione necessariamente sog
gettiva e discrezionale».
Ora, siffatto convincimento, esplicitato dal giudice di appello
negli articolati termini su trascritti, oltre a palesare l'insussistenza
degli errori di attività denunciati con il primo mezzo dell'impu
gnazione — risolvendosi le censure in esso proposte, correlativa
mente in inammissibili critiche frammentarie, in mere preposizioni
assertive nonché in non pertinenti deduzioni di elementi di fatto
privi di rilevanza — è da ritenere informato ad esatti criteri giuri
dici e, secondo quel che maggiormente rileva, rispondente, sia
a corretta interpretazione, sia a conseguente legittima applicazio
ne della clausola contrattuale dettata dal citato art. 56; del cui
testo non appare superfluo riportare qui l'essenziale contenuto,
costituito dal 3° e dal 4° comma, di per sé dimostrativi — per
le chiare espressioni letterali che li contraddistinguono — della
comune volontà delle organizzazioni contraenti in essi obicttiva
ta, siccome delineata nella inpugnata decisione:
. . . «Per le promozioni o i passaggi al grado o alla categoria
superiore, è in facoltà dell'istituto di stabilire, di volta in volta,
se le promozioni o i passaggi debbono avvenire mediante scelta
fra il personale in pianta stabile in possesso dei requisiti richiesti
per il posto da ricoprire oppure in seguito a concorso tra il perso
nale in servizio, secondo le norme dell'art. 4».
. . . «Agli effetti delle promozioni il merito è determinato, com
plessivamente, oltre che dalla qualifica, dai precedenti di carrie
ra, dai gradi ed uffici ricoperti, dall'anzianità di servizio, dai titoli di studio e dalla preparazione culturale relativa al posto da
coprire». Ciò posto, deve sottolinearsi in particolare che, come ha esat
tamente eccepito la controricorrente, nulla risulta specificamente dedotto nel ricorso circa l'errore che avrebbe commesso il giudice
a quo reputando che la cassa di risparmio può adottare a suo
criterio la procedura del concorso o quella della promozione a
scelta, quando la clausola contrattuale dice proprio cosi e nulla
peraltro dice circa un obbligo dell'istituto di motivare la sua deci
sione in un senso o nell'altro. (Omissis) Alla luce delle osservazioni esposte sin qui, le altre surriferite
critiche, mosse alla sentenza del giudice a quo con il secondo
ed il terzo mezzo, appaiono derivare, oltre che da una incompleta
e/o inesatta lettura delle ragioni in essa esplicitate, da un frain
tendimento dell'indirizzo giurisprudenziale, da anni costantemen
te espresso da questa Suprema corte, in ordine alle questioni in
esame nei seguenti termini di cui si dirà: indirizzo, dal quale non
sussiste valido motivo di dissentire e che non contrasta — essen
do ad esso, anzi, armonizzata — la stessa sentenza n. 3674/83
(id., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 1131) di questa sezio
ne, citata dal ricorrente nella sua memoria difensiva.
Innanzi tutto, nel rapporto d'impiego privato — al di fuori
di specifiche situazioni regolate dalla legge (art. 13 1. 300 del 1970) — non sussiste un diritto del dipendente alla carriera, e,
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1915 PARTE PRIMA 1916
in particolare, per la configurabilità di un diritto soggettivo per
fetto del dipendente di un ente pubblico economico alla promo zione a categoria, grado o classe superiore, è necessario che la
disciplina del relativo rapporto garantisca l'avanzamento come
effetto diretto ed immediato dell'accertato verificarsi di determi
nati presupposti di fatto, indipendentemente da ogni indagine va
lutativa da parte del datore di lavoro (v. Cass. 21 agosto 1982,
n. 4699, id., Rep. 1982, voce cit., n. 611; 27 luglio 1983, n. 5169,
id., Rep. 1983, voce cit., n. 1136; 5 agosto 1983, n. 5252, ibid.,
1134). E le sezioni unite di questa Suprema corte hanno più volte af
fermato che i provvedimenti degli enti pubblici economici in ma
teria di rapporto di lavoro configurano espressioni non di un potere
amministrativo, collegato con la tutela di superiori interessi di
ordine generale, ma di un potere privatistico, del tutto analogo
a quello spettante a qualsiasi imprenditore nel settore privato,
precisando che, qualora le scelte dell'ente pubblico economico
debbano avvenire nel preminente interesse dei lavoratori per la
soluzione di un conflitto di interessi fra più lavoratori aspiranti ad una promozione, da attuare mediante un meccanismo contrat
tuale, prevale la tecnica giuridica del rapporto e cioè una tecnica
caratterizzata dall'attribuzione alle parti di situazioni attive e pas sive pariteticamente contrapposte, nel cui ambito l'attività del da
tore di lavoro è concepita come oggetto di una obbligazione verso
il lavoratore in conflitto d'interessi con lui e con altri aspiranti alla promozione; in tali casi gli elementi della valutazione e della
discrezionalità sono connessi ai caratteri peculiari della prestazio ne dovuta, la quale consiste, tra l'altro, nel compimento di tutte
le operazioni necessarie all'esame e alla valutazione dei requisiti di ciascun aspirante secondo i meccanismi procedimentali preco stituiti e, in ogni caso, alla stregua dei principi di correttezza e
di buona fede (v. sent. 2 novembre 1979, n. 5688, id., 1979, I,
2548; 4 gennaio 1980, n. 1, id., Rep. 1980, voce Impiegato dello
Stato, n. 329; 3 giugno 1981, n. 3569, id., Rep. 1981, voce cit.,
n. 243). Ove, quindi, le norme della contrattazione collettiva o regola
mentare affidino, come nella fattispecie, alla discrezionalità del
datore di lavoro la concreta valutazione di alcuni dei requisiti
prescritti per la promozione dei dipendenti alla qualifica superio
re, siffatta circostanza non esclude che tale potere discrezionale
si inserisca nell'ambito del rapporto contrattuale, quale oggetto
di una prestazione dovuta, e resti regolato dai principi generali
di correttezza e di buona fede di cui agli art. 1175 e 1375 c.c.,
implicanti, in particolare, l'imparzialità della stima comparativa
degli aspiranti alla promozione.
Ma, quanto alla tutela della violazione delle suddette regole di comportamento, l'esercizio del sindacato del giudice non può
che sfociare — senza alcuna possibilità di sostituirsi all'ente pub
blico nel compimento delle operazioni di scelta allo stesso riser
vate, e, in mancanza di una specifica previsione di tutela
eccezionale per le prestazioni di carattere infungibile — nell'even
tuale pronuncia di nullità degli atti relativi alle dette operazioni, in dipendenza dell'inosservanza delle norme procedimentali, ov
vero nel rimedio risarcitorio in dipendenza dell'accertato illecito
contrattuale, assumendo rilevanza, nel primo caso, la presenza in giudizio degli altri interessati o cointeressati (v. Cass. 27 mag
gio 1983, n. 3674, cit.; 22 febbraio 1985, n. 1603, id., Rep. 1985,
voce Lavoro (rapporto), n. 822; 23 aprile 1986, n. 2872, id., Rep.
1986, voce cit., n. 87). In concorrenza con i summenzionati principi, adunque, il giu
dice a quo, dopo avere delineato nei corretti sensi suaccennati
la portata della clausola contrattuale di cui all'art. 66 della citata
contrattazione collettiva, ha legittimamente affermato — stante
l'esplicita domanda proposta da M. De Vita, intesa ad ottenere
solo la declaratoria del suo diritto «alla promozione a dirigente
di 4a classe» e le conseguenziali pronunzie, anche economiche,
di cui si è già detto — l'inammissibilità di una surrogazione alla
cassa di risparmio per l'attribuzione, in via giudiziale, della qua lifica o grado superiore dello stesso ricorrente.
Dal che consegue l'esattezza della decisione impugnata, la qua
le, quindi, non può essere cassata a prescindere da qualsiasi altro
rilievo.
Il Foro Italiano — 1988.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 22 dicem
bre 1987, n. 9527; Pres. Matttello, Est. Schermi, P.M. Sca
la (conci, conf.); Banco di Santo Spirito (Aw. Carboni ) c.
De Vecchi, Corso e Pagano (Avv. Barcellona), Min. tesoro.
Cassa Pret. Roma 10 marzo 1983.
Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie — Espropriazione
presso terzi — Ordinanza dichiarativa di inefficacia del pigno
ramento — Liberazione del terzo — Opposizione — Partecipa
zione necessaria del terzo (Cod. proc. civ., art. 101, 102, 617,
618).
Nella espropriazione presso terzi, dichiarata con ordinanza del
giudice dell'esecuzione la inefficacia dell'eseguito pignoramen
to, con la conseguente liberazione del terzo pignorato da ogni
vincolo sulle somme oggetto del suo debito verso il debitore
esecutato, per ritenuta non esercitabilità attuale dell'azione ese
cutiva, ed insorta controversia su tale punto con l'instaurazio
ne, su iniziativa del creditore pignorante, di un processo
cognitivo, il terzo pignorato è litisconsorte necessario di tale
giudizio (in applicazione di tale principio è stata affermata la non opponibilità al terzo pignorato della sentenza con cui, in
sua assenza, era stata revocata l'ordinanza predetta, e il conse
guente venir meno del vincolo sui crediti del debitore esecutato
verso il terzo). (1)
(1) In termini, nel senso di ritenere il terzo pignorato litisconsorte ne
cessario del processo cognitivo instaurato ex art. 617 c.p.c. dal debitore
esecutato per far valere la nullità del pignoramento, Cass. 7 settembre
1977, n. 3899, Foro it., Rep. 1977, voce Esecuzione forzata in genere, n. 86. Si veda inoltre Cass. 9 luglio 1969, n. 2521, id., Rep. 1969, voce
cit., n. 100, dove, con riferimento ad una fattispecie in cui si discuteva
se doveva essere seguita la forma dell'espropriazione presso il debitore
oppure quella presso il terzo, la Suprema corte ha ritenuto che il terzo
pignorato «è litisconsorte necessario perché soltanto dalla validità o con
gruità della forma di pignoramento adottata sorge la soggezione del terzo
all'esecuzione».
Contra, Cass. 13 gennaio 1983, n. 249, id., Rep. 1983, voce Esecuzione
forzata per obbligazioni pecuniarie, n. 21, dove si rileva invece che il
terzo pignorato, ove abbia reso la dichiarazione senza che siano insorte
contestazioni, rimane estraneo al rapporto processuale e pertanto non
può essere considerato litisconsorte necessario; aggiunge la corte che la
sua partecipazione al processo è soltanto possibile in via di intervento
volontario ad adiuvandum. Pur non riferendosi esplicitamente al terzo pignorato Cass. 24 marzo
1986, n. 2060, id., Rep. 1986, voce Esecuzione forzata in genere, n. 47, afferma che «nelle cause di opposizione agli atti esecutivi sono legittimati e litisconsorti necessari tutti i soggetti del processo esecutivo indicati dal
l'art. 485, 1° comma, c.p.c. e cioè il creditore procedente, il debitore
esecutato, i creditori intervenuti e gli altri eventuali interessati»; alla luce
di questa massima (della quale va tuttavia sottolineata la genericità) sem
brerebbe possibile configurare anche nel terzo pignorato un litisconsorte
necessario del giudizio relativo alla validità del pignoramento, dipenden do dall'esito di tale giudizio la sua liberazione dal vincolo prodotto dal
pignoramento stesso.
Sempre con riferimento al giudizio di opposizione agli atti esecutivi, Cass. 7 ottobre 1985, n. 4840, id., Rep. 1985, voce cit., n. 43, e 18 gen naio 1983, n. 413, id., Rep. 1983, voce cit., n. 45, e in Giust. civ., 1983,
I, 1506 (in motivazione), attribuiscono la qualità di litisconsorte necessa
rio ad ogni soggetto del processo esecutivo che sia legittimato a proporre
opposizione ex art. 617 c.p.c. In questa prospettiva il terzo pignorato diventa litisconsorte necessario soltanto in quei giudizi nei quali sia confi
gurabile una propria autonoma legittimazione a proporre opposizione ex
art. 617 c.p.c. A tal proposito va comunque rilevato che la giurispruden za non sembra riconoscere al terzo pignorato la legittimazione a proporre
opposizione agli atti, se non contro l'ordinanza di assegnazione (cfr. R.
Oriani, L'opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 329 ss.). La dot
trina è divisa sulla configurabilità di una legittimazione del terzo pignora to ad avvalersi della opposizione ex art. 617: v'è chi la esclude decisamente
(Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1966, III,
328; Bonsignori, Assegnazione forzata e distribuzione del ricavato, Mila
no, 1962, 127), chi invece la ammette (Bucoio, Il pignoramento ed il
sequestro presso il terzo, Padova, 1986, 39 ss.), chi infine esclude solu
zioni aprioristiche e ritiene che il terzo pignorato possa proporre opposi zione ex art. 617 c.p.c. per lamentare la violazione di norme dettate (anche) nel suo interesse (Oriani, op. loc. cit.)
In dottrina P. Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto prati co, Milano, 1979, 619, afferma che «nel caso di opposizione agli atti
esecutivi, fondata su irregolarità formali dell'espropriazione presso terzi, il terzo pignorato è litisconsorte necessario nei cui confronti va integrato, occorrendo, il contraddittorio». Oriani, op. cit., 331, nota 8, afferma
invece che nel giudizio di opposizione agli atti «il litisconsorzio è necessa
rio allorquando i motivi dedotti potrebbero giustificare anche un'opposi
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