sezioni unite civili; sentenza 21 gennaio 1988, n. 444; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. R. Sgroi,P.M. Virgilio (concl. parz. diff.); Comune di Roma (Avv. Lo Mastro) c. Soc. Costruzione gestioneimmobili (Avv. C.M. Barone). Conferma App. Roma 20 ottobre 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 2625/2626-2635/2636Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181438 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ce le conseguenze tratte in conformità con quanto aveva ritenuto
il pretore). Va altresì precisato che il ricorrente non si duole perché il tri
bunale non lo ha considerato assicurato obbligatoriamente in Ita
lia o comunque perché non ha considerato utili i contributi figu rativi oltre ai contributi versati in Germania.
La tesi dell'Adriano è che sono utili i contributi versati in Ger
mania anche se egli non può vantare contributi utili in Italia (ob
bligatori). Senonché la questione, anche se prospettata sul presupposto
della mancanza di una «posizione contributiva maturata in Ita
lia» va ugualmente esaminata sotto il profilo accertato dal giudi ce d'appello che l'Adriano non poteva considerarsi assicurato ob
bligatoriamente in Italia; ed invero i due aspetti possono coinci
dere ed il ricorrente si duole comunque che il tribunale non abbia
considerato utili i contributi versati in Germania.
Le censure mosse sono infondate.
La norma, invocata, di cui all'art. 9 (ammissione all'assicura
zione volontaria o facoltativa continuata) n. 2 del regolamento del consiglio Cee n. 1408/71 e succ. modif. recita: «Se la legisla zione di uno Stato membro subordina l'ammissione all'assicura
zione volontaria o facoltativa continuata al compimento di perio di di assicurazione, i periodi di assicurazione o di residenza com
piuti sotto la legislazione di ogni altro Stato membro sono presi in considerazione, nella misura necessaria, come se si trattasse
di periodi di assicurazione compiuti sotto la legislazione del pri mo Stato». Orbene, la lettera della norma è chiara: prende in
considerazione i periodi compiuti al fine del cumulo e non anche
al fine di ritenere che i periodi di assicurazione maturati in altro
Stato membro valgano a far considerare il lavoratore assicurato
obbligatoriamente in Italia (dove chiede la prosecuzione volonta
ria) sicché i contributi versati in Germania possano considerarsi
utili per la prosecuzione, come versati in Italia. La norma cioè
non incide sui requisiti, richiesti dalla legge italiana per ottenere
la prosecuzione volontaria, diversi dal compimento di periodi di
assicurazione, sicché non viene a riguardare la condizione che
vi sia un versamento effettivo di contributi da parte di chi è assi
curato obbligatoriamente in Italia. È da notarsi che lo stesso rife
rimento al cumulo contengono altre norme del regolamento (fra le quali, l'art. 38, in tema di invalidità).
Del resto, l'art. 1 sub c) del medesimo regolamento dispone: Il termine «periodi di assicurazione» designa i periodi di contri
buzione o di occupazione (. . .).
Infine, l'art. 51 del trattato Cee recita: «Il consiglio (. . .) adotta
in materia di sicurezza sociale le misure necessarie (. . .) attuando
in particolare un sistema che consenta di assicurare ai lavoratori
migranti e ai loro aventi diritto: a) il cumulo di tutti i periodi
presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali sia per il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni sia per il calcolo di queste».
E che il regolamento in esame assicuri in genere solo il cumulo
si trae anche da quanto ha statuito la Corte di giustizia della
Comunità europea con sentenza del 10 marzo 1983 n. pos. 104758:
«Conformemente agli art. 48 e 51 del trattato, i regolamenti n.
1048/71 e 574/72 hanno in particolare lo scopo di evitare che
il lavoratore migrante spostandosi da uno Stato membro all'al
tro, perda le spettanze relative ai periodi di lavoro già maturati
e si trovi quindi svantaggiato rispetto alla situazione in cui si sa
rebbe trovato se avesse sempre lavorato nello Stato membro. A
questo scopo essi hanno istituito un sistema di cumulo di tutti
i periodi lavorativi di cui- quindi si può tener conto . . .».
Analogo principio è affermato dalla stessa Corte della sentenza
del 5 maggio 1977 n. pos. 102753. Sicché — osserva il collegio — si può concludere che opera solo il principio del cumulo e
non anche il principio che il lavoratore italiano può conseguire
la prestazione previdenziale o il beneficio dell'ammissione alla pro
secuzione volontaria, utilizzando il periodo di lavoro in altro Sta
to membro, senza essere soggetto alla assicurazione obbligatoria
in Italia. E trattandosi di principio che emerge chiaramente dalle
norme esaminate e che si trae pure dalle sentenze sopra richiama
te, questa corte non è tenuta ad investire della questione di inter
pretazione la Corte di giustizia in quanto le censure mosse non
pongono un dubbio interpretativo che raggiunga la soglia di opi
nabilità per assurgere al rango di «questione».
Il Foro Italiano — 1988.
È appena il caso, infine, di osservare che non giova il richiamo
del ricorrente (contenuto nella memoria) all'art. 3 d.p.r. n. 1432
del 1971, che riguarda (tra gli altri) i periodi di lavoro compiuti
all'estero, al fine del computo del quinquennio di cui all'art. 1
e non al fine del calcolo della contribuzione necessaria nel quin
quennio. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 21 gen naio 1988, n. 444; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. R. Sgroi, P.M. Virgilio (conci, parz. diff.); Comune di Roma (Aw. Lo
Mastro) c. Soc. Costruzione gestione immobili (Avv. C.M. Ba
rone). Conferma App. Roma 20 ottobre 1986.
Comune — Sindaco — Autorizzazione a stare in giudizio — Effi
cacia per tutti i gradi del giudizio — Fattispecie (Cod. proc.
civ., art. 75, 82, 83, 365; r.d. 30 dicembre 1923 n. 2839, rifor
ma della legge comunale e provinciale, art. 26; 1. 9 giugno 1947
n. 530, modificazioni al t.u. della legge comunale e provinciale
approvato con r.d. 3 marzo 1934 n. 383 e successive modifi
cazioni). Cosa giudicata civile — Difetto di giurisdizione del giudice ordi
nario dichiarato in precedente processo — Mancanza di effica
cia preclusiva nel successivo giudizio sulla stessa domanda —
Fattispecie (Cod. civ., art. 2909; cod. proc. civ., art. 37, 324).
L'autorizzazione a stare in giudizio concessa al sindaco dal com
petente organo comunale (consiglio o giunta) attiene alla capa cità processuale dell'organo e io abilita a stare in giudizio fino alla definizione della lite in tutti i gradi, compreso il ricorso
per cassazione, a meno di espressa delimitazione (in motivazio
ne la corte ha precisato che ai fini dell'ammissibilità del ricorso
per cassazione il sindaco ben può rilasciare procura speciale ex art. 365 c.p.c., anche ove la sua legitimatio ad processum sia costituita in base ad una delibera autorizzativa anteriore
alla sentenza da impugnare). (1) La pronuncia con cui in un primo giudizio il giudice ordinario
di merito abbia (fra l'altro) declinato la propria giurisdizione e che, non essendo stata oggetto di specifica impugnazione, abbia dato luogo alla formazione di giudicato endoprocessuale, non spiega efficacia preclusiva in un successivo processo fra le medesime parti, con il quale sia stata riproposta la stessa
domanda (nella specie, domanda di risarcimento dei danni de
rivanti da illegittima sospensione della licenza edilizia). (2)
(1) Massima consolidata: cfr. Cass., sez. un., 2 aprile 1984, n. 2146, Foro it., Rep. 1984, voce Cassazione civile, n. 18, secondo la quale è necesaria una nuova autorizzazione per il ricorso per cassazione soltanto
quando quella precedente sia stata conferita limitatamente alle fasi di
merito; 21 novembre 1983, n. 6919, id., 1983,1, 2988, con nota di richia
mi, secondo cui l'autorizzazione a stare in giudizio deliberata in via d'ur
genza dalla giunta municipale diventa inefficace solo se al momento della decisione della causa non sia intervenuta la delibera consiliare di ratifica; 18 ottobre 1982, n. 5416, ibid., 1673, con ampia nota di richiami di dot trina e di giurisprudenza di C. Bendinelli. Cfr., inoltre, Cass. 28 gen naio 1985, n. 494, id., Rep. 1985, voce Procedimento civile, n. 36, e sez. un. 3 ottobre 1985, n. 4784, ibid., voce Cassazione civile, n. 76, le quali precisano che la deliberazione autorizzatoria integra un requisito di efficacia e non di validità della costituzione dell'ente pubblico, pertan to non considerata atto di carattere esterno rispetto al ricorso, e non
ricompresa tra gli atti da indicarsi a pena di inammissibilità con esso.
(2) I. - La massima — nella sua formulazione letterale — corrisponde alla giurisprudenza consolidata della Cassazione; cfr., da ultimo, Cass., sez. un., 28 maggio 1987, n. 4788, Foro it., Mass., 807, che, escludendo la vincolatività esterna della sentenza definitiva con cui il giudice ammini
strativo abbia declinato la propria giurisdizione, ha ritenuto potersi ripro porre la questione di giurisdizione davanti al giudice ordinario anche con ricorso per regolamento preventivo; e, in senso conforme, sez. un. 27
giugno 1986, n. 4275, id., 1987, I, 160, con nota di G. Giacaione, Tute
la giurisdizionale in materia di disciplina valutaria del commercio estero, e 23 ottobre 1986, n. 6221, id., 1986, I, 3009, con nota di A. Proto
Pisani, In tema di giudicato interno, giudicato esterno e preclusione, ed ivi ampi richiami di giurisprudenza e dottrina; v. pure sez. un. 24 feb braio 1986, n. 1090, ibid., con cui è stato ritenuto il formarsi del giudica to implicito endoprocessuale sulla giurisdizione a seguito della mancata
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2627 PARTE PRIMA 2628
Svolgimento del processo. — Con contratto del 22 ottobre 1959 il comune di Roma permutava con Angelo Casali un'area sita in Acilia con altra area da destinare a strada, con obbligo per il Casali di costruire entro due anni sul suolo trasferitogli un fab
bricato; con successivo contratto del 9 dicembre 1959 il Casali cedeva l'area alla società a r.l. Costruzione gestione immobili, la quale iniziava i lavori di edificazione dello stabile dopo la con
segna del suolo, avvenuta il 25 luglio 1962, in base a licenza edili
zia rilasciata il 13 ottobre 1962.
Il comune di Roma disponeva la sospensione dei lavori con
ordinanza 26 ottobre 1962, notificata il 15 novembre, ma il prov
vedimento, su ricorso della società, veniva annullato per eccesso
di potere dal Consiglio di Stato con decisione 26 settembre 1964, n. 1100 (Foro it., Rep. 1964, voce Piano regolatore, n. 459), la
quale osservava che il comune aveva esercitato il potere di so
spendere la licenza edilizia per la difesa dei suoi diritti al rispetto delle distanze che riteneva essere stati lesi dalla costru
impugnazione della sentenza non definitiva, con conseguente preclusione della rilevabilità d'ufficio della questione di giurisdizione nell'ulteriore corso del giudizio.
II. - La sentenza in rassegna costituisce l'epilogo di una vicenda giudi ziaria iniziata nel lontano 1962, nella quale la Suprema corte ha già avuto occasione di intervenire: v. la precedente sentenza sez. un. 23 giugno 1983, n. 4295, id., 1984, I, 198, con ampia nota di richiami di A. Pettini. Con questa sentenza, a conclusione del primo processo svoltosi fra le medesime parti, la Cassazione aveva ritenuto preclusa — a conferma del la sentenza emanata dalla Corte d'appello di Roma in sede di giudizio di rinvio — la domanda di risarcimento dei danni derivanti dalla illegitti ma sospensione di licenza edilizia, perché coperta da giudicato endopro cessuale sul difetto di giurisdizione: secondo la corte non aveva costituito
oggetto di specifica impugnazione la pronunzia con cui il tribunale aveva dichiarato l'improponibilità assoluta della domanda.
L'attuale sentenza conclusiva del secondo processo iniziato fra le stesse
parti sulla medesima domanda di risarcimento, si colloca nel medesimo solco giurisprudenziale della sentenza 4295/83, precisando che non ha efficacia preclusiva esterna, in un secondo processo, la pronunzia del giu dice di merito sulla giurisdizione.
La particolarità del caso di specie è che nelle more di questa lunghissi ma vicenda giudiziaria è mutata la giurisprudenza della Cassazione in tema di qualificazione delle situazioni giuridiche soggettive (diritto sog gettivo, interesse legittimo) esistenti a fronte della concessione o licenza, edilizia: cfr. Cass. 1° ottobre 1982, n. 5027, id., 1982, I, 2433, con nota di richiami di C.M. Barone (e Giur. it., 1982, I, 1, 1664, con nota di
Rosselli). Pertanto, dalla sentenza in epigrafe, pur situandosi nel solco della giuris
prudenza ormai consolidata in tema di efficacia preclusiva delle pronunce sulla giurisdizione, discende nella fattispecie concreta un ribaltamento del l'assetto sostanziale determinatosi a seguito del primo giudizio nel senso che viene considerata ammissibile, e accolta nella fattispecie, quella stessa
pretesa risarcitoria che la parte attrice aveva senza successo fatto valere
già nel 1973. III. - In motivazione la corte, ribadendo un consolidato orientamento
in tema di interpretazione dei limiti del giudicato esterno (su cui v., da
ultimo, Cass. 13 aprile 1987, n. 3689, Foro it., Mass., 624; 25 marzo
1987, n. 2392, ibid., 496; 21 giugno 1986, n. 4137, id., Rep. 1986, voce Cosa giudicata civile, n. 36; 9 febbraio 1985, n. 1091, id., Rep. 1985, voce cit., n. 22), ha ritenuto non ricorribile per cassazione, se non sotto il limitato profilo della esattezza del procedimento logico-giuridico segui to dal giudice di merito, la qualificazione (contenuta nella sentenza og getto del presente ricorso: App. Roma 20 ottobre 1986) del giudicato reso nel precedente processo in termini di giudicato dichiarativo del difet to di giurisdizione nei confronti della p.a. (questione di rito, suscettibile di giudicato solo endoprocessuale), anziché certativo della natura della situazione giuridica sostanziale — diritto soggettivo/interesse legittimo —
vantata dall'attore (questione di merito, idonea a dar luogo a cosa giudi cata sostanziale o giudicato esterno).
È evidente la delicatezza di questa operazione interpretativa condotta sul sottile discrimine tra profili processuali e profili di merito che spesso insolubilmente si intrecciano nelle questioni di giurisdizione: ciò soprat tutto in casi — come quello di specie — di giudicato di difetto di giurisdi zione per improponibilità assoluta della domanda, giudicato che nella so stanza è di merito, ma nella forma è qualificato dal nostro ordinamento come di giurisdizione: v. F. Cipriani, Il regolamento di giurisdizione, Napoli, 1977, passim-, M. Nigro, Giustizia amministrativa, 3a ed., Bolo
gna, 1983, 218 ss.; cfr. sul punto A. Proto Pisani, Problemi e prospetti ve in tema (di regolamenti) di giurisdizione e di competenza, in Foro it., 1984, V, 89.
Per il recente revirement della giurisprudenza della Cassazione a pro posito della c.d. improponibilità assoluta della domanda fra privati, ora finalmente qualificata in termini di questione di merito anziché di giuris dizione, v. Cass., sez. un., 15 giugno 1987, n. 5256, id., 1987, I, 2015, con nota di richiami di F. Cipriani. [P. Palasclano]
Il Foro Italiano — 1988.
zione, e cioè per la tutela di diritti a difesa dei quali l'ordinamen
to appresta altri mezzi in via ordinaria, diversi dalla sospensione della licenza.
Nel frattempo la società con citazione del 22 febbraio 1962
conveniva il Casali ed il comune di Roma innanzi al tribunale
chiedendo che fossero dichiarati: a) l'inadempimento del comune
all'obbligo di consegnare l'area libera da persone e cose, con con
danna al risarcimento dei danni; b) l'inesistenza del diritto del
comune di impedire la costruzione in aderenza al fabbricato pree sistente di sua proprietà; c) la condanna al risarcimento dei danni
derivanti dall'attività spiegata per tale impedimento; d) la risolu
zione dei contratti di permuta e di compravendita, con condanna
dei convenuti Casali e comune di Roma al risarcimento dei danni.
Il comune eccepiva il difetto di giurisdizione in ordine ai danni
derivanti dal provvedimento di sospensione dei lavori; con sen
tenza del 21 settembre 1970 il tribunale, in accoglimento di tale
eccezione, dichiarava improponibile la domanda di risarcimento
dei danni che si assumevano conseguiti al provvedimento ammi
nistrativo dichiarato illetittimo. La corte d'appello confermava
la decisione di primo grado con sentenza del 15 ottobre 1973, su tale punto, in quanto la sospensione della licenza edilizia può avere come effetto non già la lesione di un diritto soggettivo, ma di un interesse legittimo.
Contro tale sentenza la società proponeva ricorso per cassazio
ne, non impugnando il suddetto punto ma altri due della decisione.
La Corte suprema con sentenza 16 dicembre 1977 accoglieva uno dei motivi, cassando parzialmente la sentenza e con atto del
17 gennaio 1979 la società riassumeva il giudizio, chiedendo che
fosse accertato il suo diritto di costruire in aderenza al fabbricato
del comune e che questo fosse condannato al risarcimento del
danno cagionato col suo comportamento, per aver ritardato l'uti
lizzazione dell'immobile.
La Corte d'appello di Roma con sentenza 4 novembre 1980
riconosceva il diritto della società di costruire in aderenza al fab
bricato del comune; ma affermava che sul capo relativo al risar
cimento del danno si era formato il giudicato sul difetto di giuri sdizione del giudice ordinario, in quanto col ricorso per cassazio
ne la società non aveva investito il capo della sentenza d'appello relativo al difetto di giurisdizione dell'a.g.o. in ordine alla do
manda di risarcimento dei danni derivanti dal comportamento del comune.
La società proponeva ricorso per cassazione, che veniva riget tato dalla Suprema corte con sentenza 23 giugno 1983, n. 4295
(id., 1984, I, 198), che affermava che sul punto si era formato
il giudicato formale endoprocessuale sulla giurisdizione. Con citazione notificata il 28-29 settembre 1983, la società con
veniva dinanzi al Tribunale di Roma il comune della stessa città
per sentirlo condannare ai danni subiti per effetto dell'illegittimo
provvedimento di sospensione dei lavori. Il Tribunale di Roma con sentenza 9 dicembre 1985 dichiarava improponibile la do
manda, perché la sospensione della licenza edilizia non concreta
la lesione di un diritto soggettivo, ma di un interesse legittimo. Su appello della società, la Corte d'appello di Roma con sen
tenza del 20 ottobre 1986 rimetteva la causa al tribunale, ai sensi
dell'art. 353 c.p.c., riconoscendo la giurisdizione dell'a.g.o. La corte d'appello, dopo aver affermato che il comune non
era decaduto dall'eccezione di giudicato, sollevata in primo gra do, la rigettava, osservando che la precedente pronuncia della
corte d'appello del 15 ottobre 1973 — con la quale era stato con
fermato il difetto di giurisdizione dell'a.g.o. in ordine alla do
manda di risarcimento dei danni — non tempestivamente impu
gnata, aveva prodotto un giudicato formale ex art. 324 c.p.c.
precludente la riproposizione della questione nello stesso proces so, ma non aveva l'effetto di un giudicato sostanziale in un altro
processo avente il medesimo oggetto, in quanto le sentenze che
statuiscono sulla competenza e sulla giurisdizione (tranne quelle della Cassazione in sede di regolamento) non sono suscettibili di
passare in cosa giudicata in senso sostanziale.
La corte d'appello osservava poi che nella specie doveva essere riconosciuta la giurisdizione dell'a.g.o., perché esisteva il diritto
soggettivo dell'appellante a costruire — una volta ottenuta la li
cenza — in aderenza al fabbricato di proprietà del comune, come
era stato già riconosciuto dalle sentenze citate in premessa. So
spendendo la licenza a tutela di suoi pretesi diritti e non già nel
l'interesse pubblico connesso con i poteri riconosciuti dall'art. 32
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1. 1150 del 1942, il comune aveva inciso su quel diritto soggettivo e non già su un semplice interesse legittimo, esercitando un pote re di cui non disponeva. Ciò si evinceva dalla sentenza del Consi
glio di Stato del 26 settembre 1964, n. 1100 che aveva annullato
il provvedimento di sospensione in assenza di alcun potere in pro
posito, ledendo cioè quel diritto soggettivo. Ne conseguiva — con
cludeva la corte d'appello — la sussistenza della giurisdizione
dell'a.g.o. Avverso la suddetta sentenza il comune di Roma ha proposto
ricorso per cassazione. La soc. Costruzione gestione immobili ha
resistito con controricorso.
Motivi della decisione. — 1. - Nella discussione orale il difen sore della società controricorrente ha eccepito l'inammissibilità
del ricorso, per difetto dell'autorizzazione al sindaco di Roma
del competente organo collegiale del comune a conferire il man
dato speciale di cui all'art. 365 c.p.c. all'avvocato firmatario del
ricorso stesso, in quanto è stata prodotta in giudizio soltanto la
deliberazione della giunta comunale del novembre 1985 (anteriore alla sentenza della corte d'appello 20 ottobre 1986 qui impugna
ta) che autorizzava il sindaco al giudizio de quo. L'eccezione è infondata. Si premette (benché recezione non si
riferisca espressamente a questo profilo) che la deliberazione è
stata adottata dalla giunta comunale, in base ad una delega pre cedente e permanente del consiglio comunale, ai sensi dell'art.
26 r.d. 30 dicembre 1923 n. 2839, richiamato in vigore dalla 1.
9 giugno 1947 n. 530; delega in forza della quale la giunta comu
nale può deliberare sull'autorizzazione al sindaco a stare o resi
stere in giudizio, anche al di fuori delle azioni giudiziali attribuite
alla competenza primaria della giunta dall'art. 25, n. 1, r.d. n.
2839 del 1923 (Cass., sez. un., 14 aprile 1980, n. 2386, Foro it.,
Rep. 1980, voce Comune, n. 212; 23 febbraio 1981, n. 1099, id.,
Rep. 1981, voce cit., n. 132; 16 luglio 1981, n. 4642, ibid., n.
188, che precisano che in tal caso non è necessaria la successiva
ratifica del consiglio comunale). La deliberazione contiene, oltre
l'attribuzione al sindaco del potere di costituirsi in giudizio nella
causa promossa dalla società Costruzione gestione immobili, an
che la facoltà di proporre impugnazioni. È giurisprudenza costante delle sezioni semplici e delle sezioni
unite che l'autorizzazione a stare in giudizio, concessa nelle for
me di legge ad un sindaco, deve considerarsi valida fino alla defi
nizione della lite in tutti i gradi, allorché non sia stata limitata
a determinati gradi del giudizio in maniera espressa. Tanto più il principio vale quando è espressamente prevista l'estensione del
l'autorizzazione alla facoltà di impugnare; facoltà che è compren siva di quella di proporre ricorso per cassazione.
Nel suddetto senso si sono pronunciate (a parte sentenze più
remote, come Cass., sez. un., 4 marzo 1950, n. 551, id., Rep.
1950, voce Amministrazione dello Stato, n. 40) Cass. 16 aprile
1953, n. 1023 (id., Rep. 1953, voce Liti comunali, n. 4), 28 mag
gio 1955, n. 1659 (ibid., voce Cassazione civile, n. 174), 30 giu gno 1955, n. 1999 (ibid., voce Liti comunali, n. 23), 17 settembre
1955, n. 2589 (id., 1955, I, 1437), sez. un. 23 febbraio 1956, n. 512 (id., Rep. 1956, voce Cassazione civile, n. 212) (per gli enti di beneficenza, per i quali vige un sistema uguale a quello concernente i comuni); 23 febbraio 1956, n. 527 (ibid., voce Cosa
giudicata civile, n. 34), 21 giugno 1957, n. 2360 (id., Rep. 1957, voce Liti comunali, n. 12), e 8 febbraio 1958, n. 398 (id., Rep.
1958, voce cit., n. 5) (che riguardano espressamente il giudizio di cassazione promosso dal sindaco in base ad autorizzazione ri
guardante un dato giudizio, non limitata a determinati gradi); Cass. 11 ottobre 1958, n. 3220 (id., 1959, I, 1876, che afferma
che la limitazione ad un determinato grado deve risultare in mo
do espresso dalla deliberazione); sez. un. 6 ottobre 1962, n. 2865
(id., 1962, I, 1871, che esclude soltanto l'estensione dell'autoriz
zazione al successivo diverso giudizio di opposizione all'esecuzio
ne iniziata in base alla sentenza emessa nel giudizio al quale si
riferisce l'autorizzazione); sez. un. 10 marzo 1965, n. 395 (id.,
1965, I, 1959, che ribadisce che l'autorizzazione al sindaco per
agire attivamente o passivamente in giudizio, allorché sia conces
sa senza limitazioni a determinati gradi del giudizio deve inten
dersi valida per tutti i gradi, ivi compreso quello di cassazione, come risulta dalla motivazione); sez. un. 20 ottobre 1965, n. 2145
(id., Rep. 1965, voce cit., n. 3), nel medesimo senso della prece
dente; sez. I 15 gennaio 1966, n. 225 (id., Rep. 1966, voce cit.,
n. 4), che afferma che la necessità dell'autorizzazione per i diver
si gradi non esclude che tale obbligo possa essere soddisfatto at
II Foro Italiano — 1988.
traverso l'autorizzazione iniziale, quando questa, non essendo li
mitata ad un singolo grado, possa ritenersi concessa anche per la fase di cassazione (in motivazione); sez. I 24 novembre 1966, n. 2798 (ibid., n. 4 bis), che fa salva l'espressa limitazione a de
terminati gradi; sez. I 19 giugno 1967, n. 1448 (id., Rep. 1967, voce cit., n. 4), nello stesso senso della precedente; sez. un. 9
ottobre 1967, n. 2345 (ibid., n. 5), che ribadisce la validità del l'autorizzazione per tutti i gradi del giudizio dell'autorizzazione
concessa senza espressa limitazione; sez. un. 20 aprile 1970, n.
1129 (id., Rep. 1970, voce Cassazione civile, n. 67, che pur riba
dendo il principio precedente, riguarda in concreto il giudizio d'ap
pello); sez. II 15 luglio 1972, n. 2449 (id., Rep. 1972, voce Co mune, n. 108), nel medesimo senso della precedente; sez. Ili 10
settembre 1976, n. 3138 (id., Rep. 1976, voce Procedimento civi
le, n. 33, che afferma che, in caso di dubbio circa l'estensione
dell'autorizzazione, vale il canone interpretativo dell'efficacia per l'intero processo, ove non si sia espressa limitazione a determina
ti gradi; sez. Ili 19 ottobre 1976, n. 3604, ibid., voce Comune, n. 283).
In sentenze più recenti il principio suddetto non è stato abban
donato, perché si è ribadita l'insufficienza, ai fini del ricorso per
cassazione, dell'autorizzazione a stare in giudizio limitatamente
alle pregresse fasi di merito (sez. I 23 novembre 1976, n. 4424,
ibid., voce Cassazione, n. 112; sez. I 8 marzo 1977, n. 944, id.,
Rep. 1977, voce cit., nn. 7, 10; sez. un. 14 febbraio 1980, n.
1057, id., Rep. 1980, voce Giurisdizione civile, n. 132, con ri
guardo ad un regolamento di giurisdizione, ritenuto inammissibi
le — in difetto di una nuova specifica autorizzazione quando quella data dal consiglio comunale ha esclusivo riguardo alla resistenza
in un procedimento; sez. I 19 aprile 1983, n. 2678, id., Rep. 1983, voce Cassazione civile, n. 16, secondo cui, in mancanza di limita
zioni, l'autorizzazione deve intendersi conferita fino alla defini
zione della lite; sez. un. 2 aprile 1984, n. 2146, id., Rep. 1984, voce cit., n. 18, che esige una nuova autorizzazione per il ricorso
per cassazione quando quella precedente è stata conferita limita
tamente alle fasi di merito). Si può concludere affermando che la deliberazione prodotta
dal comune, contenendo anche la facoltà per il sindaco di pro
porre il ricorso per cassazione (compreso fra i mezzi di impugna zione ivi espressamente previsti) autorizzava il sindaco a conferi
re il mandato speciale all'avvocato G. Lo Mastro a margine del
ricorso. La costanza dell'indirizzo consente di esaminare soltanto
l'argomentazione addotta dal difensore della società resistente sulla
base di alcune sentenze di questa corte (sez. un. 22 settembre
1984, n. 4817, ibid., n. 70; 21 novembre 1983, n. 6919, id., 1983, I, 2988; sez. I 20 gennaio 1982, n. 347, id., Rep. 1982, voce
cit., n. 151) le quali però non suffragano l'eccezione sollevata.
Il principio invocato nella discussione orale è quello secondo
cui, dovendo la procura speciale di cui all'art. 365 essere successi
va alla sentenza da impugnare (e precedente alla notifica del ri
corso) secondo un indirizzo assolutamente pacifico, non soddisfa
a tale requisito una procura conferita in base ad un'autorizzazio
ne anteriore del consiglio (o della giunta, quando è ammessa la
delibera di quest'organo) perché il collegio deliberante non è sta
to in grado di esaminare la sentenza che è oggetto di ricorso. Il collegio ritiene che l'argomento non possa condividersi. È
vero che esiste un collegamento fra l'autorizzazione e la procura, in quanto la mancanza della prima comporta la nullità della pro
cura, l'invalidità (rectius: iregolarità ex art. 182, 2° comma, che
può divenire definitiva inefficacia, in difetto di regolarizzazione) della costituzione del comune e, in sede di ricorso, l'inammissibi
lità dello stesso, non essendo applicabile il citato art. 182 (Cass. 30 marzo 1979, n. 1842, id., Rep. 1979, voce cit., n. 21, fra
le molte altre), ma è anche vero che i requisiti dell'una e dell'al
tra vanno determinati separatamente, senza la possibilità di esten
dere la disciplina specifica della procura (e della sottoscrizione
del ricorso ex art. 365 c.p.c.) alla disciplina della delibera colle
giale del comune, in quanto quest'ultima attiene alla legittimazio ne processuale del legale rappresentante dell'ente e la sua man
canza si risolve nel difetto di un presupposto necessario di effica
cia per la regolare costituzione del rapporto processuale (fra le
altre conformi, v. Cass. 20 maggio 1977, n. 2079, id., Rep. 1977, voce Procedimento civile, n. 39; 23 dicembre 1977, n. 5715, ibid., voce Cassazione civile, n. 8; 5 gennaio 1979, n. 31, id., Rep.
1979, voce Procedimento civile, n. 87), mentre la procura di cui
all'art. 365 c.p.c., attiene allo ius postulandi (vedi Cass. 347 del
1982, cit., che ne deduce correttamente l'insufficienza della deli
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2631 PARTE PRIMA 2632
bera della giunta, in mancanza della procura rilasciata dal sinda
co). In altri termini, nel primo caso viene in rilievo la normativa
dell'art. 75 c.p.c.; nel secondo, quella degli art. 82 ed 83 c.p.c. Soltanto il sindaco può rilasciare la procura di cui all'art. 365
(ovvero un assessore vice-sindaco Cass. n. 7299 del 1983, id.,
Rep. 1983, voce Comune, n. 157; n. 7300 del 1983, ibid., n. 158),
perché soltanto quell'organo ha la rappresentanza in giudizio (art.
151, n. 9, t.u. 148 del 1915) e tale potere rappresentativo postula l'esercizio del corrispondente potere deliberativo del consiglio (o
della giunta, nei casi previsti) con rilevanza esterna (Cass. n. 6919
del 1983, cit.). Pertanto, l'organo deliberativo può confermare
il contenuto di quel potere rappresentativo, segnandone i confini,
senza che si faccia luogo al concetto di «delega». Invero, nell'or
dinamento amministrativo l'organo competente non può delegare ad altro organo dell'ente (o dell'apparato amministrativo) l'eser
cizio di un potere o di una facoltà (Cons. Stato, sez. VI, 26 gen naio 1979, n. 20, id., Rep. 1979, voce Atto amministrativo, n.
36; sez. IV 28 luglio 1978, n. 758, id., Rep. 1978, voce Giustizia
amministrativa, n. 272), in difetto di un'espressa previsione di
un atto normativo di grado pari a quello attributivo della compe
tenza primaria, essendo la competenza amministrativa indisponi bile. Diversa dalla delega è però la sequenza procedimentale fra
atto deliberativo ed atto esecutivo. L'organo deliberante conferi
sce al sindaco il potere di manifestare all'esterno un certo conte
nuto della volontà dell'ente, impegnandolo a rispettare i limiti
posti con la deliberazione. Il sindaco, a sua volta, impegna il
comune nei limiti dei propri poteri di esecuzione delle delibera
zioni del consiglio o della giunta, in quanto rappresentante del
comune (art. 151, n. 4, e n. 9, citati); in queste norme, attributi
ve di una competenza propria ed esclusiva del sindaco, si ritrova
il fondamento legislativo di un atto che — in difetto dell'esterna
zione — non avrebbe rilievo nel processo. Il potere di rappresen tanza e di esecuzione implica una determinazione volitiva ulterio
re, condizionata dalla deliberazione dell'organo collegiale, in quan
to deve rispettarne e ripeterne il contenuto; tuttavia, è proprio dell'attività esecutiva e di rappresentanza, una certa autonomia
strutturale dell'atto (si pensi — in altro campo — alla sequenza
fra autorizzazione al contratto e stipulazione del medesimo), re
golato da norme apposite. Se l'organo collegiale delibera in ordine all'impugnazione an
cora prima che essa sia divenuta esperibile (a seguito dell'emana
zione della sentenza da impugnare) ma in previsione di essa, e
conferisce al sindaco la facoltà di proporla, l'esecuzione di tale
deliberazione appartiene in via esclusiva al sindaco. La prima de
liberazione deve esaminarsi alla stregua della normativa ammini
strativa, che non la vieta affatto (art. 288 t.u. 383 del 1934 ed
art. 326 t.u. del 1915); normativa a sua volta richiamata dall'art.
75 c.p.c., per cui la legittimazione processuale del sindaco è vali
da ed efficace perché il contenuto dell'atto con cui egli «sta in
giudizio» per il comune è conforme alla volontà dell'ente pubblico. L'atto predetto è poi regolato anche da una diversa norma pro
cessuale (art. 365 c.p.c.) che riguarda soltanto l'organo esecutivo
e rappresentativo in quanto lo obbliga a conferire un mandato
speciale all'avvocato, soltanto se ed in quanto eserciti quella fa
coltà di impugnare che è contenuta nell'autorizzazione, nell'am
bito di quella discrezionalità che caratterizza l'esercizio del potere dovere (o funzione) di rappresentanza.
Il criterio di imputabilità dell'azione in giudizio all'ente attiene
al requisito della legittimazione processuale propria dello stesso
ente ed è sufficiente che vi sia corrispondenza fra la delibera col
legiale e l'atto esecutivo del sindaco (art. 75 c.p.c.). Il patrocinio obbligatorio (art. 82, 83 e 365) attiene ad un mo
mento distinto in quanto la parte (tramite il rappresentante o l'or
gano) non può compiere gli atti del processo personalmente ma
può esercitare il potere di compierli soltanto per mezzo del difen
sore o procuratore. La procura che designa quest'ultimo ad eser
citare il ministero ed i poteri di cui all'art. 84 c.p.c. nel giudizio di Cassazione deve essere speciale, e tale esigenza è soddisfatta
quando, nel momento della designazione, è possibile identificare
la decisione da impugnare. Tale atto di designazione è compiuto in via esclusiva dal sindaco, munito della rappresentanza e della
legittimazione processuale in forza della delibera dell'organo col
legiale e pertanto l'art. 365 c.p.c. è osservato quando la procura, come nella specie, è contenuta a margine del ricorso.
Nessun principio contrario può trarsi da Cass. n. 4817 del 1984
(id., Rep. 1984, voce Comune, n. 180) citata dal resistente, sia
perché il caso ivi deciso riguarda una fattispecie opposta (autoriz
Ii Foro Italiano — 1988.
zazione della giunta, in data posteriore al conferimento del man
dato, seguita da ratifica) sia perché il quesito in ordine all'effica
cia del mandato speciale anteriore alla delibera della giunta fu
posto in modo problematico, in quanto la ratio decidendi espres
sa dalla sentenza riguardò l'identificazione del momento (notifica
del ricorso) in cui il mandato aveva esplicato i suoi effetti. Per
il resto, la sentenza citata ha confermato l'indirizzo secondo cui
l'autorizzazione è un requisito di efficacia e non di validità della
costituzione dell'ente pubblico; il che comporta la sua collocazio
ne, nell'ambito della categoria delle «condizioni legali» esterne
all'atto e non fra i suoi requisiti interni di validità (cfr. Cass.
n. 494 del 1985, id., Rep. 1985, voce Procedimento civile, n. 36;
sez. un. 4784 del 1985, ibid., voce Cassazione civile, n. 76), che
precisa che le deliberazioni inerenti all'autorizzazione al ricorso
non rientrano fra gli atti da indicarsi a pena di inammissibilità
ex art. 366 c.p.c., confermando anche da questo profilo il loro
carattere «esterno» rispetto a! ricorso ed al mandato).
2. - Il controricorso contiene un'eccezione di inammissibilità,
sotto il diverso profilo secondo il quale il comune, avendo impu
gnato soltanto la statuizione riguardante l'inesistenza del giudica
to sostanziale, mentre non ha impugnato quella che ha affermato
l'esistenza del diritto soggettivo in capo alla società C.G.I., non
avrebbe di conseguenza impugnato una delle due autonome e suf
ficienti giustificazioni del decisum, per cui il ricorso sarebbe ini
doneo a determinare l'annullamento della sentenza impugnata,
anche se fosse accolto.
L'eccezione è infondata, perché la giurisprudenza (pacifica: v.,
fra le molte conformi, Cass. 18 febbraio 1983, n. 1248, id., Rep.
1983, voce Impiegato dello Stato, n. 124) implicitamente richia
mata non si applica quando la ratio decidendi non impugnata
trova un presupposto logico e giuridico nell'altra, investita dal
l'impugnazione, si da restare automaticamente caducata per ef
fetto dell'eventuale erroneità di quest'ultima (Cass. 29 giugno 1981,
n. 4211, id., Rep. 1981, voce Cassazione civile, n. 10; 26 marzo
1981, n. 1771, ibid., voce Esecuzione forzata in genere, n. 81).
Invero, la pronuncia positiva della corte d'appello sull'esisten
za del diritto dipende dalla negazione del giudicato; per conver
so, se il giudicato fosse affermato, la posizione giuridica della
parte privata dovrebbe essere necessariamente qualificata di inte
resse legittimo. Il ricorso, rivolto contro la negazione del giudicato sostanziale,
se fosse accolto, travolgerebbe l'intera decisione perché, alla stre
gua del giudicato, dovrebbe negarsi la giurisdizione dell'a.g.o.
sulla tutela della posizione soggettiva, da qualificare come inte
resse legittimo; ai sensi dell'art. 336, 1° comma, c.p.c. l'annulla
mento parziale della sentenza sul punto del giudicato avrebbe ef
fetto sull'altro punto, riguardante detta qualificazione e la conse
guente affermazione autonoma della giurisdizione dell'a.g.o.,
perché questo secondo punto (pur essendo in sé poggiato su un'au
tonoma ratio decidendi, appunto per effetto della negazione del
giudicato) perderebbe tale autonomia, prospettandosi come di
pendente dall'affermazione del giudicato. Per converso, una volta rigettato il ricorso (vedi infra) la corte
non dovrà riesaminare tale parte non impugnata, perché — risol
to il punto pregiudiziale in modo conforme alla decisione impu
gnata — la parte non impugnata (non più condizionata dal giudi
cato) resterà sorretta da quell'autonoma ratio, svincolata dalla
negazione del giudicato. 3. - Passando all'esame del ricorso, si rileva che con esso il
comune deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2909
c.c. e dei principi in tema di giudicato (art. 360 c.p.c.), osservan
do che si era verificato il giudicato sull'inesistenza del diritto sog
gettivo a favore dell'attore, mentre la decisione impugnata affer
ma l'esistenza di un diritto soggettivo e che la confusione fra
profili processuali e profili sostanziali del precedente giudicato non poteva negare l'esistenza di una sentenza passata in giudica
to che negava l'esistenza di un diritto soggettivo perfetto; invero,
la pronuncia precedente aveva negato la giurisdizione dell'a.g.o. come conseguenza di un'accertata inesistenza di danno risarcibi
le, in quanto il giudicato si era formato sulla situazione giuridica
soggettiva prospettata dall'attrice e cioè su una pronuncia di me
rito, rispetto alla quale non era possibile un diverso giudizio. La
pronuncia aveva dichiarato l'improponibilità assoluta della do
manda di risarcimento danni conseguente alla lesione di un inte
resse legittimo, trattandosi di una situazione soggettiva non com
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
portante diritto a risarcimento, con l'affermazione che l'ordina
mento non riconosce che la violazione dell'interesse legittimo possa
originare una pretesa di danni e che non esisteva il presupposto sostanziale della domanda, e con il corollario della pronuncia di
difetto di giurisdizione. Pertanto, conclude il ricorrente, alla sen
tenza della corte d'appello del 15 ottobre 1973 devono ricollegar
si effetti giuridici sostanziali, consistenti nella definitiva qualifi
cazione di interesse legittimo della posizione giuridica soggettiva facente capo al ricorrente, con conseguente improponibilità asso
luta della domanda.
Il ricorso è infondato. Il primo problema che esso pone è quel lo dell'interpretazione del giudicato esterno, devoluto all'insinda
cabile apprezzamento del giudice del merito, perché il comune
di Roma implicitamente — ma chiaramente — contesta quell'in
terpretazione nel punto in cui afferma che il giudicato formatosi
sulla sentenza del 1973 è consistito in una pronuncia di merito
sull'inesistenza di un diritto al risarcimento e di un danno risarci
bile, in quanto la pronuncia stessa ha dichiarato l'improponibili
tà assoluta della domanda di risarcimento danni conseguente alla
lesione di un interesse legittimo, trattandosi di una situazione giu ridica soggettiva non comportante diritto a risarcimento, dato che
l'ordinamento non riconosce che la violazione dell'interesse legit timo possa originare una pretesa di danni, della quale pertanto non esisteva il presupposto sostanziale.
Il collegio intende sottolineare tre punti: a) che l'interpretazio ne del precedente giudicato non può essere condotta direttamente
da questa corte, la quale può controllare soltanto l'esattezza del
procedimento logico-giuridico che ha portato la corte d'appello, nella sentenza impugnata, a qualificare il precedente giudicato come dichiarativo del difetto di giurisdizione nei confronti della
p.a.; b) che la suddetta interpretazione non è vincolata (appunto
perché trattasi di giudicato esterno, in diverso processo) dalla sen
tenza Cass. n. 4295 del 1983 (id., 1984, I, 198), ma che può tro
varsi in essa soltanto un criterio direttivo per l'interpretazione della sentenza d'appello del 1973; c) che l'interpretazione del giu dicato esterno non può obbedire a criteri astratti di configurazio
ne di un certo tipo di dispositivo (nella specie, il tipo di pronun
cia che può essere emesso nei confronti della p.a.), ma deve ade
guarsi al concreto decisum, a prescindere da ogni possibile critica
che di esso possa farsi.
Partendo proprio dall'ultimo rilievo, la corte osserva che sono
state avanzate, in dottrina e giurisprudenza, due configurazioni
possibili della pronuncia con la quale il giudice ordinario dichiara
l'improponibilità della domanda nei confronti della p.a.: una, se
condo la quale si tratta di pronuncia di merito concretata dall'af
fermazione dell'inesistenza del diritto soggettivo fatto valere; l'al
tra, secondo il quale si tratta di una pronuncia processuale, atti
nente al difetto di giurisdizione, in cui si converte il difetto di
tutela giuridica nei confronti della p.a. (o improponibilità della
domanda; vedi, da ultimo, in motivazione, sez. un. 15 giugno
1987, n. 5256, id., 1987, I, 2015). Nella specie, la sentenza del 1986 qui impugnata ha interpreta
to la sentenza del 1973 come dichiarativa del difetto di giurisdi
zione; e tale interpretazione è corretta, perché giustificata dal te
nore della precedente sentenza (essa non è stata prodotta, ma
la sua motivazione è contenuta nel ricorso), la quale ha dichiara
to il difetto di giurisdizione, perché il privato lamentava la lesio
ne di un interesse legittimo, non tutelabile come tale dinanzi al
giudice ordinario. Della correttezza dell'interpretazione si ha con
ferma in base alla sentenza di questa corte n. 4295 del 1983, la
quale, interpretando il giudicato formatosi su tale pronuncia (giu
dicato che allora era «interno»), lo ha qualificato a chiare note,
con ampia motivazione, giudicato sulla giurisdizione. Non vi è
alcuna censura, nel ricorso del comune, che valga a far ritenere
erronea quell'interpretazione, autonomamente riconfermata dalla
più recente sentenza della corte d'appello in base ai medesimi
elementi, sia pure succintamente esposti.
Concludendo, si deve rilevare che la corte d'appello, nella sen
tenza del 1986, non doveva ricercare quale è il tipo di pronuncia
di merito o processuale che il giudice ordinario deve in astratto
emettere nei confronti del privato che chieda il risarcimento del
danno per la lesione di una posizione giuridica soggettiva qualifi
cata dal medesimo giudice come «interesse legittimo», ma doveva
soltanto interpretare la precedente pronuncia già emessa; e —
una volta stabilito correttamente che detta pronuncia era di ca
rattere processuale («difetto di giurisdizione») — doveva poi pro
li. Foro Italiano — 1988.
cedere all'ulteriore indagine circa gli effetti «panprocessuali» o
meno di detta pronuncia.
Questo secondo problema è stato risolto esattamente, alla stre
gua della costante giurisprudenza e della più qualificata dottrina.
In tema di giudicato sulla giurisdizione questa corte ha sempre
operato una distinzione fra il giudicato endoprocessuale e quello
formatosi al di fuori del processo nell'ambito del quale il giudica to è invocato da una delle parti. Riguarda il primo caso (giudica to endoprocessuale) l'affermazione dell'efficacia preclusiva di es
so (fra le altre, v. Cass. 2 febbraio 1963, n. 180, id., Rep. 1963,
voce Competenza civile, n. 393; 11 febbraio 1982, n. 840, id.,
Rep. 1982, voce Giurisdizione civile, n. 144; 9 ottobre 1984, n.
5027, id., Rep. 1984, voce cit., n. 91; 4 luglio 1981, n. 4356,
id., Rep. 1981, voce cit., n. 296; 6 novembre 1981, n. 5850, ibid.,
n. 300; 16 aprile 1984, n. 2428, id., Rep. 1984, voce cit., n. 93;
25 marzo 1986, n. 2100, id., Rep.1986, voce cit., n. 161, nonché
la più volte citata sent. n. 4295 del 1983).
Diverso è il problema che si pone quando il giudicato sulla
giurisdizione si è formato in un diverso processo fra le parti, svol
tosi dinanzi ad altro ordine giurisdizionale (per esempio, dinanzi
al giudice amministrativo) ovvero dinanzi al medesimo ordine,
ma non definito con sentenza di merito, bensì' con sentenza mera
mente processuale o con estinzione. In questo caso, la giurispru denza ha sempre affermato che, nel successivo diverso processo
tra le medesime parti, non può derivare alcun effetto preclusivo da una decisione resa soltanto sulla giurisdizione; al di fuori del
caso in cui sia passata in giudicato una pronuncia — anche par ziale — sul merito (che presupponga l'affermazione positiva della
giurisdizione del giudice che l'ha emessa), nonché all'infuori del
caso in cui la pronuncia sulla giurisdizione (cfr. Cass. 23 giugno
1983, n. 4307) sia stata emessa dalla Corte di cassazione. Pertan
to, il giudice successivamente adito può riesaminare la questione,
senza essere vincolato dal precedente giudicato formale extrapro
cessuale (cfr. sez. un. 30 maggio 1958, n. 1920, id., Rep. 1959,
voce Competenza civile, n. 72; 22 maggio 1959, n. 1573, ibid.,
n. 330; 21 ottobre 1961, n. 2315, id., Rep. 1961, voce cit., n.
306; 30 giugno 1960, n. 1725, id., Rep. 1960, voce cit., n. 46;
6 aprile 1962, n. 728, id., Rep. 1962, voce Cosa giudicata civile,
n. 41; 20 febbraio 1965, n. 284, id., Rep. 1965, voce cit., n.
55; 10 ottobre 1962, n. 2930, id., Rep. 1962, voce cit., n. 46;
4 gennaio 1979, n. 4, in motivazione, id., Rep. 1979, voce Giuris
dizione civile, n. 147; 20 luglio 1971, n. 2362, id., Rep. 1971, voce cit., n. 128; 28 aprile 1976, n. 1506, in motivazione, id.,
1976, I, 2674; 2 maggio 1983, n. 3006, id., 1983 I, 1852; 27 giu
gno 1986, n. 4275, id., 1987, I, 160; 23 ottobre 1986, n. 6221,
id., 1986, I, 3008; 5 novembre 1984, n. 5579, id., Rep. 1984,
voce cit., n. 81; 28 maggio 1987, n. 4788, id., Mass., 807).
È appena il caso di osservare che l'eccezione al principio (sen
tenza emessa sulla giurisdizione dalla Cassazione) non riguarda
il presente processo, in quanto nel precedente processo fra le par
ti la Suprema corte, con la sent. n. 4295 del 1983, non ha statuito
sulla giurisdizione, ma ha rilevato la preclusione per il giudicato
endoprocessuale su di essa, pronuncia la cui diversità radicale
dalla precedente non è necessario sottolineare (cfr., comunque,
Cass. 8 aprile 1981, n. 2010, id., Rep. 1981, voce Cassazione
civile, n. 13; 12 aprile 1984, n. 2377, id., Rep. 1984, voce Giuris
dizione civile, n. 74). La costanza dell'indirizzo consente di accennare soltanto bre
vemente alle ragioni che lo sorreggono, discendenti dalla regola
degli art. 37, 310 e 362, 2° comma, n. 1, c.p.c. nonché da altre
norme positive.
Invero, contro le sentenze non definitive sulla giurisdizione non
può proporsi impugnazione dopo l'estinzione perché l'art. 129,
3° comma, disp. att. c.p.c. — richiamato dall'art. 133 — con
templa lo scioglimento della riserva di impugnazione per le sole
sentenze di merito, dal che si deve dedurre che il divieto di impu
gnazione a seguito dell'estinzione non può che essere collegato
all'inefficacia della sentenza sulla giurisdizione, che vengono tra
volte dall'estinzione. Sarebbe, infatti, assurdo, ammettere che di
ventino inefficaci solo le sentenze non definitive sulla giurisdizio
ne contro le quali è stata fatta la riserva di impugnazione e, inve
ce, passino in giudicato quelle per le quali i mezzi di impugnazione
sono preclusi. Come ha osservato Cass. n. 6221 del 1986, cit., è estranea al
diritto positivo una concezione dell'azione intesa come potere ri
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2635 PARTE PRIMA . 2636
volto ad ottenere una qualsiasi pronuncia, anche solo di rito. Le
questioni di giurisdizione non possono formare oggetto di una
domanda introduttiva di un giudizio, per cui quello che non può essere autonomamente domandato è soltanto strumentale rispetto al bene domandato. La regola dell'art. 112 c.p.c., riferita alla
domanda, individua il contenuto minimo di una pronuncia che
soddisfi l'obbligo di giudicare costituito dalla proposizione della
domanda stessa; e qualsiasi pronuncia che non tocchi il contenu to minimo della domanda (cioè il bene della vita domandato) non soddisfa la funzione del processo, che è quella di consentire l'emanazione di un provvedimento che consumi definitivamente
l'azione. Se giudicato e consumazione dell'azione si identificano,
quando la risoluzione di una questione pregiudiziale di rito non
abbia tale effetto, non può parlarsi di giudicato con effetti extra
processuali. Diverso è il caso delle sentenze della Cassazione, da
ta la sua posizione di organo regolatore della giurisdizione (art. 362 c.p.c.).
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 11 gen naio 1988, n. 22; Pres. Bile, Est. Vizza, P.M. Scala (conci, conf.); Soc. Realizzazione Budget Pubblicità (Avv. Canevac
ci) c. Carioti e altri (Avv. Valente). Cassa Trib. Roma 13
luglio 1985.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Indennità di avviamento — Limiti — Attivi tà comportanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori — Nozione (L. 27 luglio 1978 n. 392, discipli na delle locazioni di immobili urbani, art. 35).
In tema di indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 35 l. 392/78, attività che com
portano contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consu
matori vanno intese non solo le attività rivolte ad una generali tà indiscriminata di persone, bensì anche quelle cui è interessa
ta una cerchia limitata di soggetti individuabili attraverso il comune riferimento a situazioni specifiche (nella specie, si è escluso che l'esercizio da parte del conduttore di attività di rea
lizzazione di budgets pubblicitari mediante affissioni impedisca di per sé di riconoscergli il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale). (1)
(1, 3) Nel senso di Cass. 22/88, v . Pret. Milano 28 giugno 1985, Foro it., 1986, I, 1919, con ampia nota di richiami, specificamente in tema di locazione di immobile adibito a sede di agenzia pubblicitaria. Per il
contrapposto orientamento sostenuto da Cass. 7229/87, v., invece, Cass. 10 luglio 1986, n. 4486, id., 1987, I, 1523, con nota di richiami, nonché Trib. Milano 15 maggio 1986, 15 aprile 1985 e, nella motivazione, Trib. Trani 13 febbraio 1985, id., 1986, I, 1917. Per l'esclusione del diritto di prelazione del conduttore di immobile adibito ad attività pubblicitaria, v., in particolare, App. Bologna 12 luglio 1985, id., Rep. 1986, voce Locazione, n. 250, e Trib. Piacenza 23 maggio 1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 985. Conformemente a Cass. 7229/87, adde Trib. Milano 19 giugno 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 625, dalla quale risulta, peraltro, puntualizzato che la spettanza dell'indennità di avviamento al conduttore che eserciti attività di mediazione (genericamente affermata da Cass. 9 marzo 1984, n. 1637, id., Rep. 1984, voce cit. n. 822, sul presupposto della natura imprenditoriale e non professionale dell'attività del mediatore) non si verifica in assoluto, ma soltanto quando sia riscon trabile in concreto che l'attività medesima sia esercitata con modalità atte a garantire un'attrazione di clientela ratione loci. Con riguardo ad una locazione avente ad oggetto un immobile adibito a studio fotografico, v. altresì' Trib. Milano 9 maggio 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 605 (riportata in Giur it., 1987, I, 2, 281, con nota adesiva di S. Giove, A proposito del compenso per l'avviamento e della nozione di «pubblico degli utenti e dei consumatori», recante un'interessante analisi della pro blematica con riguardo alle attività del «terziario avanzato»).
In dottrina, v. inoltre, per lo stesso orientamento, M. Eroli, nota a Trib. Milano 15 aprile 1985 e 21 gennaio 1986 (riportata in Foro it., 1986, I, 1917, sotto la data di deposito 15 maggio 1986), in Giur. it., 1986, I, 2, 736; per l'indirizzo opposto, v. S. Benini, Sull'indennità di
Il Foro Italiano — 1988.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 8 settem
bre 1987, n. 7229; Pres. Colesanti, Est. Rebuffat, P.M. Ma
rinelli (conci, conf.); Soc. I.C.I. (Avv. Giorgianni, Puppini) c. Setta (Avv. Della Lunga), Baldasano Montanari (Avv. Ma
strangeli, Canella), Cenacchi (Avv. Sabatello, Monzoni).
Conferma App. Bologna 19 giugno 1984.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Trasferimento a titolo oneroso — Prelazione
del conduttore — «Denuntiatio» del locatore — Natura (L. 27 luglio 1978 n. 392, art. 38).
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Trasferimento a titolo oneroso — Prelazione
del conduttore — Limiti — Attività comportanti contatti diret
ti con il pubblico degli utenti e dei consumatori — Nozione
(L. 27 luglio 1978 n. 392, art. 35, 38, 41).
La denuntiatio del locatore prevista dall'art. 38 I. 392/78 per il
caso di trasferimento oneroso dell'immobile adibito ad uso di
verso dall'abitazione non costituisce atto negoziale in senso pro
prio bensì atto dovuto di interpello diretto a mettere il condut
tore in grado di esercitare, ove ne ricorrano i presupposti, il
diritto potestativo di prelazione. (2)
avviamento alla fine del regime transitorio, in particolare sul concetto di «pubblico degli utenti» (nota a Trib. Milano 9 maggio 1985), in Giur.
merito, 1987, 387. Nel senso che il diritto di prelazione previsto dall'art. 38 1. 392/78
sussiste anche nel caso che l'immobile locato sia utilizzato per l'esercizio in forma di società di capitali di un'attività intrinsecamente professiona le, v. App. Roma 13 maggio 1986, Foro it., 1987, I, 1524, con nota di richiami.
Per la ricorrenza del requisito dei contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori anche nell'ipotesi che l'immobile locato sia adi bito ad esposizione con possibilità di accesso da parte del pubblico, pur ché l'immobile risulti obiettivamente inserito nell'organizzazione azienda le del conduttore la cui attività di vendita sia svolta in locali vicini, cfr. Cass. 28 gennaio 1987, n. 810, Arch, locazioni, 1987, 315.
Per il caso di immobile solo parzialmente destinato ad attività compor tante contatti diretti con il pubblico, v. Pret. Monza 11 febbraio 1988, in questo fascicolo, I, 2724.
È opportuno rilevare che il d.l. 832/86, convertito in 1. 15/87 — inter
venendo, tuttavia, sulle sole locazioni già in corso all'atto dell'entrata in vigore della 1. 392/78 — ha esteso, seppure entro più ristretti limiti
quantitativi, il diritto al compenso per la perdita dell'avviamento (nonché complementarmente il diritto di prelazione in caso di nuova locazione, ma non anche quello di prelazione in caso di trasferimento oneroso del l'immobile locato), anche ai conduttori di immobili adibiti ad attività commerciali prive di contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, ad attività professionali e, finanche, alle particolari attività
previste dall'art. 42 1. 392/78. Sulla relativa problematica, cfr., da ulti
mo, Cass. 28 novembre 1987, n. 8876, Pret. Milano 15 dicembre 1987 e Pret. Rimini 20 ottobre 1987, Foro it., 1988, I, 711, con osservazioni di D. Piombo, nonché A. Cappabianca, La disciplina delle locazioni di immobili urbani: il dominio delle incertezze (a proposito del d.l. 9 dicem bre 1987 n. 832), id., 1987, I, 1315.
(2) Nello stesso senso, v. Cass. 7 novembre 1987 n. 8247, Foro it., 1988, I, 1149, con ampia nota di osservazioni e richiami di D. Piombo. Adde, nella motivazione, Cass. 14 marzo 1988, n. 2427, Rass. equo cano ne, 1988.
In tema di proroga del termine per l'esercizio della prelazione, v., al
tresì, Cass. 30 ottobre 1987, n. 8027, Arch, locazioni, 1988, 63.
* * *
Letto a contrario, in positivo, l'art. 35 1. 392/78 circoscrive l'ambito di applicazione dell'istituto dell'indennità per la perdita dell'avviamento :ommerciale — e, in forza del richiamo contenuto nell'art. 41 della legge stessa, degli istituti della prelazione in caso di nuova locazione e della prelazione in caso di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato — alle sole locazioni aventi ad oggetto immobili adibiti ad attività lata mente commerciale (industriale, commerciale, artigianale o di lavoro au
:onomo) che, peraltro, comporti «contatti diretti con il pubblico degli atenti e dei consumatori» (per la disciplina parzialmente diversa introdot
:a, per le sole locazioni «di regime transitorio», dal d.l. 832/86, converti :o in 1. 15/87, cfr. la nota redazionale).
La copiosa produzione giurisprudenziale di merito sulla relativa nozio le (cfr. le pronunzie citate in precedenza ed i richiami di cui alle rispetti
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