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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezioni unite civili; sentenza 21 gennaio...

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sezioni unite civili; sentenza 21 gennaio 1988, n. 444; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. R. Sgroi, P.M. Virgilio (concl. parz. diff.); Comune di Roma (Avv. Lo Mastro) c. Soc. Costruzione gestione immobili (Avv. C.M. Barone). Conferma App. Roma 20 ottobre 1986 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1988), pp. 2625/2626-2635/2636 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23181438 . Accessed: 25/06/2014 02:40 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 02:40:56 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 21 gennaio 1988, n. 444; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. R. Sgroi,P.M. Virgilio (concl. parz. diff.); Comune di Roma (Avv. Lo Mastro) c. Soc. Costruzione gestioneimmobili (Avv. C.M. Barone). Conferma App. Roma 20 ottobre 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 2625/2626-2635/2636Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181438 .

Accessed: 25/06/2014 02:40

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ce le conseguenze tratte in conformità con quanto aveva ritenuto

il pretore). Va altresì precisato che il ricorrente non si duole perché il tri

bunale non lo ha considerato assicurato obbligatoriamente in Ita

lia o comunque perché non ha considerato utili i contributi figu rativi oltre ai contributi versati in Germania.

La tesi dell'Adriano è che sono utili i contributi versati in Ger

mania anche se egli non può vantare contributi utili in Italia (ob

bligatori). Senonché la questione, anche se prospettata sul presupposto

della mancanza di una «posizione contributiva maturata in Ita

lia» va ugualmente esaminata sotto il profilo accertato dal giudi ce d'appello che l'Adriano non poteva considerarsi assicurato ob

bligatoriamente in Italia; ed invero i due aspetti possono coinci

dere ed il ricorrente si duole comunque che il tribunale non abbia

considerato utili i contributi versati in Germania.

Le censure mosse sono infondate.

La norma, invocata, di cui all'art. 9 (ammissione all'assicura

zione volontaria o facoltativa continuata) n. 2 del regolamento del consiglio Cee n. 1408/71 e succ. modif. recita: «Se la legisla zione di uno Stato membro subordina l'ammissione all'assicura

zione volontaria o facoltativa continuata al compimento di perio di di assicurazione, i periodi di assicurazione o di residenza com

piuti sotto la legislazione di ogni altro Stato membro sono presi in considerazione, nella misura necessaria, come se si trattasse

di periodi di assicurazione compiuti sotto la legislazione del pri mo Stato». Orbene, la lettera della norma è chiara: prende in

considerazione i periodi compiuti al fine del cumulo e non anche

al fine di ritenere che i periodi di assicurazione maturati in altro

Stato membro valgano a far considerare il lavoratore assicurato

obbligatoriamente in Italia (dove chiede la prosecuzione volonta

ria) sicché i contributi versati in Germania possano considerarsi

utili per la prosecuzione, come versati in Italia. La norma cioè

non incide sui requisiti, richiesti dalla legge italiana per ottenere

la prosecuzione volontaria, diversi dal compimento di periodi di

assicurazione, sicché non viene a riguardare la condizione che

vi sia un versamento effettivo di contributi da parte di chi è assi

curato obbligatoriamente in Italia. È da notarsi che lo stesso rife

rimento al cumulo contengono altre norme del regolamento (fra le quali, l'art. 38, in tema di invalidità).

Del resto, l'art. 1 sub c) del medesimo regolamento dispone: Il termine «periodi di assicurazione» designa i periodi di contri

buzione o di occupazione (. . .).

Infine, l'art. 51 del trattato Cee recita: «Il consiglio (. . .) adotta

in materia di sicurezza sociale le misure necessarie (. . .) attuando

in particolare un sistema che consenta di assicurare ai lavoratori

migranti e ai loro aventi diritto: a) il cumulo di tutti i periodi

presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali sia per il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni sia per il calcolo di queste».

E che il regolamento in esame assicuri in genere solo il cumulo

si trae anche da quanto ha statuito la Corte di giustizia della

Comunità europea con sentenza del 10 marzo 1983 n. pos. 104758:

«Conformemente agli art. 48 e 51 del trattato, i regolamenti n.

1048/71 e 574/72 hanno in particolare lo scopo di evitare che

il lavoratore migrante spostandosi da uno Stato membro all'al

tro, perda le spettanze relative ai periodi di lavoro già maturati

e si trovi quindi svantaggiato rispetto alla situazione in cui si sa

rebbe trovato se avesse sempre lavorato nello Stato membro. A

questo scopo essi hanno istituito un sistema di cumulo di tutti

i periodi lavorativi di cui- quindi si può tener conto . . .».

Analogo principio è affermato dalla stessa Corte della sentenza

del 5 maggio 1977 n. pos. 102753. Sicché — osserva il collegio — si può concludere che opera solo il principio del cumulo e

non anche il principio che il lavoratore italiano può conseguire

la prestazione previdenziale o il beneficio dell'ammissione alla pro

secuzione volontaria, utilizzando il periodo di lavoro in altro Sta

to membro, senza essere soggetto alla assicurazione obbligatoria

in Italia. E trattandosi di principio che emerge chiaramente dalle

norme esaminate e che si trae pure dalle sentenze sopra richiama

te, questa corte non è tenuta ad investire della questione di inter

pretazione la Corte di giustizia in quanto le censure mosse non

pongono un dubbio interpretativo che raggiunga la soglia di opi

nabilità per assurgere al rango di «questione».

Il Foro Italiano — 1988.

È appena il caso, infine, di osservare che non giova il richiamo

del ricorrente (contenuto nella memoria) all'art. 3 d.p.r. n. 1432

del 1971, che riguarda (tra gli altri) i periodi di lavoro compiuti

all'estero, al fine del computo del quinquennio di cui all'art. 1

e non al fine del calcolo della contribuzione necessaria nel quin

quennio. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 21 gen naio 1988, n. 444; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. R. Sgroi, P.M. Virgilio (conci, parz. diff.); Comune di Roma (Aw. Lo

Mastro) c. Soc. Costruzione gestione immobili (Avv. C.M. Ba

rone). Conferma App. Roma 20 ottobre 1986.

Comune — Sindaco — Autorizzazione a stare in giudizio — Effi

cacia per tutti i gradi del giudizio — Fattispecie (Cod. proc.

civ., art. 75, 82, 83, 365; r.d. 30 dicembre 1923 n. 2839, rifor

ma della legge comunale e provinciale, art. 26; 1. 9 giugno 1947

n. 530, modificazioni al t.u. della legge comunale e provinciale

approvato con r.d. 3 marzo 1934 n. 383 e successive modifi

cazioni). Cosa giudicata civile — Difetto di giurisdizione del giudice ordi

nario dichiarato in precedente processo — Mancanza di effica

cia preclusiva nel successivo giudizio sulla stessa domanda —

Fattispecie (Cod. civ., art. 2909; cod. proc. civ., art. 37, 324).

L'autorizzazione a stare in giudizio concessa al sindaco dal com

petente organo comunale (consiglio o giunta) attiene alla capa cità processuale dell'organo e io abilita a stare in giudizio fino alla definizione della lite in tutti i gradi, compreso il ricorso

per cassazione, a meno di espressa delimitazione (in motivazio

ne la corte ha precisato che ai fini dell'ammissibilità del ricorso

per cassazione il sindaco ben può rilasciare procura speciale ex art. 365 c.p.c., anche ove la sua legitimatio ad processum sia costituita in base ad una delibera autorizzativa anteriore

alla sentenza da impugnare). (1) La pronuncia con cui in un primo giudizio il giudice ordinario

di merito abbia (fra l'altro) declinato la propria giurisdizione e che, non essendo stata oggetto di specifica impugnazione, abbia dato luogo alla formazione di giudicato endoprocessuale, non spiega efficacia preclusiva in un successivo processo fra le medesime parti, con il quale sia stata riproposta la stessa

domanda (nella specie, domanda di risarcimento dei danni de

rivanti da illegittima sospensione della licenza edilizia). (2)

(1) Massima consolidata: cfr. Cass., sez. un., 2 aprile 1984, n. 2146, Foro it., Rep. 1984, voce Cassazione civile, n. 18, secondo la quale è necesaria una nuova autorizzazione per il ricorso per cassazione soltanto

quando quella precedente sia stata conferita limitatamente alle fasi di

merito; 21 novembre 1983, n. 6919, id., 1983,1, 2988, con nota di richia

mi, secondo cui l'autorizzazione a stare in giudizio deliberata in via d'ur

genza dalla giunta municipale diventa inefficace solo se al momento della decisione della causa non sia intervenuta la delibera consiliare di ratifica; 18 ottobre 1982, n. 5416, ibid., 1673, con ampia nota di richiami di dot trina e di giurisprudenza di C. Bendinelli. Cfr., inoltre, Cass. 28 gen naio 1985, n. 494, id., Rep. 1985, voce Procedimento civile, n. 36, e sez. un. 3 ottobre 1985, n. 4784, ibid., voce Cassazione civile, n. 76, le quali precisano che la deliberazione autorizzatoria integra un requisito di efficacia e non di validità della costituzione dell'ente pubblico, pertan to non considerata atto di carattere esterno rispetto al ricorso, e non

ricompresa tra gli atti da indicarsi a pena di inammissibilità con esso.

(2) I. - La massima — nella sua formulazione letterale — corrisponde alla giurisprudenza consolidata della Cassazione; cfr., da ultimo, Cass., sez. un., 28 maggio 1987, n. 4788, Foro it., Mass., 807, che, escludendo la vincolatività esterna della sentenza definitiva con cui il giudice ammini

strativo abbia declinato la propria giurisdizione, ha ritenuto potersi ripro porre la questione di giurisdizione davanti al giudice ordinario anche con ricorso per regolamento preventivo; e, in senso conforme, sez. un. 27

giugno 1986, n. 4275, id., 1987, I, 160, con nota di G. Giacaione, Tute

la giurisdizionale in materia di disciplina valutaria del commercio estero, e 23 ottobre 1986, n. 6221, id., 1986, I, 3009, con nota di A. Proto

Pisani, In tema di giudicato interno, giudicato esterno e preclusione, ed ivi ampi richiami di giurisprudenza e dottrina; v. pure sez. un. 24 feb braio 1986, n. 1090, ibid., con cui è stato ritenuto il formarsi del giudica to implicito endoprocessuale sulla giurisdizione a seguito della mancata

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2627 PARTE PRIMA 2628

Svolgimento del processo. — Con contratto del 22 ottobre 1959 il comune di Roma permutava con Angelo Casali un'area sita in Acilia con altra area da destinare a strada, con obbligo per il Casali di costruire entro due anni sul suolo trasferitogli un fab

bricato; con successivo contratto del 9 dicembre 1959 il Casali cedeva l'area alla società a r.l. Costruzione gestione immobili, la quale iniziava i lavori di edificazione dello stabile dopo la con

segna del suolo, avvenuta il 25 luglio 1962, in base a licenza edili

zia rilasciata il 13 ottobre 1962.

Il comune di Roma disponeva la sospensione dei lavori con

ordinanza 26 ottobre 1962, notificata il 15 novembre, ma il prov

vedimento, su ricorso della società, veniva annullato per eccesso

di potere dal Consiglio di Stato con decisione 26 settembre 1964, n. 1100 (Foro it., Rep. 1964, voce Piano regolatore, n. 459), la

quale osservava che il comune aveva esercitato il potere di so

spendere la licenza edilizia per la difesa dei suoi diritti al rispetto delle distanze che riteneva essere stati lesi dalla costru

impugnazione della sentenza non definitiva, con conseguente preclusione della rilevabilità d'ufficio della questione di giurisdizione nell'ulteriore corso del giudizio.

II. - La sentenza in rassegna costituisce l'epilogo di una vicenda giudi ziaria iniziata nel lontano 1962, nella quale la Suprema corte ha già avuto occasione di intervenire: v. la precedente sentenza sez. un. 23 giugno 1983, n. 4295, id., 1984, I, 198, con ampia nota di richiami di A. Pettini. Con questa sentenza, a conclusione del primo processo svoltosi fra le medesime parti, la Cassazione aveva ritenuto preclusa — a conferma del la sentenza emanata dalla Corte d'appello di Roma in sede di giudizio di rinvio — la domanda di risarcimento dei danni derivanti dalla illegitti ma sospensione di licenza edilizia, perché coperta da giudicato endopro cessuale sul difetto di giurisdizione: secondo la corte non aveva costituito

oggetto di specifica impugnazione la pronunzia con cui il tribunale aveva dichiarato l'improponibilità assoluta della domanda.

L'attuale sentenza conclusiva del secondo processo iniziato fra le stesse

parti sulla medesima domanda di risarcimento, si colloca nel medesimo solco giurisprudenziale della sentenza 4295/83, precisando che non ha efficacia preclusiva esterna, in un secondo processo, la pronunzia del giu dice di merito sulla giurisdizione.

La particolarità del caso di specie è che nelle more di questa lunghissi ma vicenda giudiziaria è mutata la giurisprudenza della Cassazione in tema di qualificazione delle situazioni giuridiche soggettive (diritto sog gettivo, interesse legittimo) esistenti a fronte della concessione o licenza, edilizia: cfr. Cass. 1° ottobre 1982, n. 5027, id., 1982, I, 2433, con nota di richiami di C.M. Barone (e Giur. it., 1982, I, 1, 1664, con nota di

Rosselli). Pertanto, dalla sentenza in epigrafe, pur situandosi nel solco della giuris

prudenza ormai consolidata in tema di efficacia preclusiva delle pronunce sulla giurisdizione, discende nella fattispecie concreta un ribaltamento del l'assetto sostanziale determinatosi a seguito del primo giudizio nel senso che viene considerata ammissibile, e accolta nella fattispecie, quella stessa

pretesa risarcitoria che la parte attrice aveva senza successo fatto valere

già nel 1973. III. - In motivazione la corte, ribadendo un consolidato orientamento

in tema di interpretazione dei limiti del giudicato esterno (su cui v., da

ultimo, Cass. 13 aprile 1987, n. 3689, Foro it., Mass., 624; 25 marzo

1987, n. 2392, ibid., 496; 21 giugno 1986, n. 4137, id., Rep. 1986, voce Cosa giudicata civile, n. 36; 9 febbraio 1985, n. 1091, id., Rep. 1985, voce cit., n. 22), ha ritenuto non ricorribile per cassazione, se non sotto il limitato profilo della esattezza del procedimento logico-giuridico segui to dal giudice di merito, la qualificazione (contenuta nella sentenza og getto del presente ricorso: App. Roma 20 ottobre 1986) del giudicato reso nel precedente processo in termini di giudicato dichiarativo del difet to di giurisdizione nei confronti della p.a. (questione di rito, suscettibile di giudicato solo endoprocessuale), anziché certativo della natura della situazione giuridica sostanziale — diritto soggettivo/interesse legittimo —

vantata dall'attore (questione di merito, idonea a dar luogo a cosa giudi cata sostanziale o giudicato esterno).

È evidente la delicatezza di questa operazione interpretativa condotta sul sottile discrimine tra profili processuali e profili di merito che spesso insolubilmente si intrecciano nelle questioni di giurisdizione: ciò soprat tutto in casi — come quello di specie — di giudicato di difetto di giurisdi zione per improponibilità assoluta della domanda, giudicato che nella so stanza è di merito, ma nella forma è qualificato dal nostro ordinamento come di giurisdizione: v. F. Cipriani, Il regolamento di giurisdizione, Napoli, 1977, passim-, M. Nigro, Giustizia amministrativa, 3a ed., Bolo

gna, 1983, 218 ss.; cfr. sul punto A. Proto Pisani, Problemi e prospetti ve in tema (di regolamenti) di giurisdizione e di competenza, in Foro it., 1984, V, 89.

Per il recente revirement della giurisprudenza della Cassazione a pro posito della c.d. improponibilità assoluta della domanda fra privati, ora finalmente qualificata in termini di questione di merito anziché di giuris dizione, v. Cass., sez. un., 15 giugno 1987, n. 5256, id., 1987, I, 2015, con nota di richiami di F. Cipriani. [P. Palasclano]

Il Foro Italiano — 1988.

zione, e cioè per la tutela di diritti a difesa dei quali l'ordinamen

to appresta altri mezzi in via ordinaria, diversi dalla sospensione della licenza.

Nel frattempo la società con citazione del 22 febbraio 1962

conveniva il Casali ed il comune di Roma innanzi al tribunale

chiedendo che fossero dichiarati: a) l'inadempimento del comune

all'obbligo di consegnare l'area libera da persone e cose, con con

danna al risarcimento dei danni; b) l'inesistenza del diritto del

comune di impedire la costruzione in aderenza al fabbricato pree sistente di sua proprietà; c) la condanna al risarcimento dei danni

derivanti dall'attività spiegata per tale impedimento; d) la risolu

zione dei contratti di permuta e di compravendita, con condanna

dei convenuti Casali e comune di Roma al risarcimento dei danni.

Il comune eccepiva il difetto di giurisdizione in ordine ai danni

derivanti dal provvedimento di sospensione dei lavori; con sen

tenza del 21 settembre 1970 il tribunale, in accoglimento di tale

eccezione, dichiarava improponibile la domanda di risarcimento

dei danni che si assumevano conseguiti al provvedimento ammi

nistrativo dichiarato illetittimo. La corte d'appello confermava

la decisione di primo grado con sentenza del 15 ottobre 1973, su tale punto, in quanto la sospensione della licenza edilizia può avere come effetto non già la lesione di un diritto soggettivo, ma di un interesse legittimo.

Contro tale sentenza la società proponeva ricorso per cassazio

ne, non impugnando il suddetto punto ma altri due della decisione.

La Corte suprema con sentenza 16 dicembre 1977 accoglieva uno dei motivi, cassando parzialmente la sentenza e con atto del

17 gennaio 1979 la società riassumeva il giudizio, chiedendo che

fosse accertato il suo diritto di costruire in aderenza al fabbricato

del comune e che questo fosse condannato al risarcimento del

danno cagionato col suo comportamento, per aver ritardato l'uti

lizzazione dell'immobile.

La Corte d'appello di Roma con sentenza 4 novembre 1980

riconosceva il diritto della società di costruire in aderenza al fab

bricato del comune; ma affermava che sul capo relativo al risar

cimento del danno si era formato il giudicato sul difetto di giuri sdizione del giudice ordinario, in quanto col ricorso per cassazio

ne la società non aveva investito il capo della sentenza d'appello relativo al difetto di giurisdizione dell'a.g.o. in ordine alla do

manda di risarcimento dei danni derivanti dal comportamento del comune.

La società proponeva ricorso per cassazione, che veniva riget tato dalla Suprema corte con sentenza 23 giugno 1983, n. 4295

(id., 1984, I, 198), che affermava che sul punto si era formato

il giudicato formale endoprocessuale sulla giurisdizione. Con citazione notificata il 28-29 settembre 1983, la società con

veniva dinanzi al Tribunale di Roma il comune della stessa città

per sentirlo condannare ai danni subiti per effetto dell'illegittimo

provvedimento di sospensione dei lavori. Il Tribunale di Roma con sentenza 9 dicembre 1985 dichiarava improponibile la do

manda, perché la sospensione della licenza edilizia non concreta

la lesione di un diritto soggettivo, ma di un interesse legittimo. Su appello della società, la Corte d'appello di Roma con sen

tenza del 20 ottobre 1986 rimetteva la causa al tribunale, ai sensi

dell'art. 353 c.p.c., riconoscendo la giurisdizione dell'a.g.o. La corte d'appello, dopo aver affermato che il comune non

era decaduto dall'eccezione di giudicato, sollevata in primo gra do, la rigettava, osservando che la precedente pronuncia della

corte d'appello del 15 ottobre 1973 — con la quale era stato con

fermato il difetto di giurisdizione dell'a.g.o. in ordine alla do

manda di risarcimento dei danni — non tempestivamente impu

gnata, aveva prodotto un giudicato formale ex art. 324 c.p.c.

precludente la riproposizione della questione nello stesso proces so, ma non aveva l'effetto di un giudicato sostanziale in un altro

processo avente il medesimo oggetto, in quanto le sentenze che

statuiscono sulla competenza e sulla giurisdizione (tranne quelle della Cassazione in sede di regolamento) non sono suscettibili di

passare in cosa giudicata in senso sostanziale.

La corte d'appello osservava poi che nella specie doveva essere riconosciuta la giurisdizione dell'a.g.o., perché esisteva il diritto

soggettivo dell'appellante a costruire — una volta ottenuta la li

cenza — in aderenza al fabbricato di proprietà del comune, come

era stato già riconosciuto dalle sentenze citate in premessa. So

spendendo la licenza a tutela di suoi pretesi diritti e non già nel

l'interesse pubblico connesso con i poteri riconosciuti dall'art. 32

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

1. 1150 del 1942, il comune aveva inciso su quel diritto soggettivo e non già su un semplice interesse legittimo, esercitando un pote re di cui non disponeva. Ciò si evinceva dalla sentenza del Consi

glio di Stato del 26 settembre 1964, n. 1100 che aveva annullato

il provvedimento di sospensione in assenza di alcun potere in pro

posito, ledendo cioè quel diritto soggettivo. Ne conseguiva — con

cludeva la corte d'appello — la sussistenza della giurisdizione

dell'a.g.o. Avverso la suddetta sentenza il comune di Roma ha proposto

ricorso per cassazione. La soc. Costruzione gestione immobili ha

resistito con controricorso.

Motivi della decisione. — 1. - Nella discussione orale il difen sore della società controricorrente ha eccepito l'inammissibilità

del ricorso, per difetto dell'autorizzazione al sindaco di Roma

del competente organo collegiale del comune a conferire il man

dato speciale di cui all'art. 365 c.p.c. all'avvocato firmatario del

ricorso stesso, in quanto è stata prodotta in giudizio soltanto la

deliberazione della giunta comunale del novembre 1985 (anteriore alla sentenza della corte d'appello 20 ottobre 1986 qui impugna

ta) che autorizzava il sindaco al giudizio de quo. L'eccezione è infondata. Si premette (benché recezione non si

riferisca espressamente a questo profilo) che la deliberazione è

stata adottata dalla giunta comunale, in base ad una delega pre cedente e permanente del consiglio comunale, ai sensi dell'art.

26 r.d. 30 dicembre 1923 n. 2839, richiamato in vigore dalla 1.

9 giugno 1947 n. 530; delega in forza della quale la giunta comu

nale può deliberare sull'autorizzazione al sindaco a stare o resi

stere in giudizio, anche al di fuori delle azioni giudiziali attribuite

alla competenza primaria della giunta dall'art. 25, n. 1, r.d. n.

2839 del 1923 (Cass., sez. un., 14 aprile 1980, n. 2386, Foro it.,

Rep. 1980, voce Comune, n. 212; 23 febbraio 1981, n. 1099, id.,

Rep. 1981, voce cit., n. 132; 16 luglio 1981, n. 4642, ibid., n.

188, che precisano che in tal caso non è necessaria la successiva

ratifica del consiglio comunale). La deliberazione contiene, oltre

l'attribuzione al sindaco del potere di costituirsi in giudizio nella

causa promossa dalla società Costruzione gestione immobili, an

che la facoltà di proporre impugnazioni. È giurisprudenza costante delle sezioni semplici e delle sezioni

unite che l'autorizzazione a stare in giudizio, concessa nelle for

me di legge ad un sindaco, deve considerarsi valida fino alla defi

nizione della lite in tutti i gradi, allorché non sia stata limitata

a determinati gradi del giudizio in maniera espressa. Tanto più il principio vale quando è espressamente prevista l'estensione del

l'autorizzazione alla facoltà di impugnare; facoltà che è compren siva di quella di proporre ricorso per cassazione.

Nel suddetto senso si sono pronunciate (a parte sentenze più

remote, come Cass., sez. un., 4 marzo 1950, n. 551, id., Rep.

1950, voce Amministrazione dello Stato, n. 40) Cass. 16 aprile

1953, n. 1023 (id., Rep. 1953, voce Liti comunali, n. 4), 28 mag

gio 1955, n. 1659 (ibid., voce Cassazione civile, n. 174), 30 giu gno 1955, n. 1999 (ibid., voce Liti comunali, n. 23), 17 settembre

1955, n. 2589 (id., 1955, I, 1437), sez. un. 23 febbraio 1956, n. 512 (id., Rep. 1956, voce Cassazione civile, n. 212) (per gli enti di beneficenza, per i quali vige un sistema uguale a quello concernente i comuni); 23 febbraio 1956, n. 527 (ibid., voce Cosa

giudicata civile, n. 34), 21 giugno 1957, n. 2360 (id., Rep. 1957, voce Liti comunali, n. 12), e 8 febbraio 1958, n. 398 (id., Rep.

1958, voce cit., n. 5) (che riguardano espressamente il giudizio di cassazione promosso dal sindaco in base ad autorizzazione ri

guardante un dato giudizio, non limitata a determinati gradi); Cass. 11 ottobre 1958, n. 3220 (id., 1959, I, 1876, che afferma

che la limitazione ad un determinato grado deve risultare in mo

do espresso dalla deliberazione); sez. un. 6 ottobre 1962, n. 2865

(id., 1962, I, 1871, che esclude soltanto l'estensione dell'autoriz

zazione al successivo diverso giudizio di opposizione all'esecuzio

ne iniziata in base alla sentenza emessa nel giudizio al quale si

riferisce l'autorizzazione); sez. un. 10 marzo 1965, n. 395 (id.,

1965, I, 1959, che ribadisce che l'autorizzazione al sindaco per

agire attivamente o passivamente in giudizio, allorché sia conces

sa senza limitazioni a determinati gradi del giudizio deve inten

dersi valida per tutti i gradi, ivi compreso quello di cassazione, come risulta dalla motivazione); sez. un. 20 ottobre 1965, n. 2145

(id., Rep. 1965, voce cit., n. 3), nel medesimo senso della prece

dente; sez. I 15 gennaio 1966, n. 225 (id., Rep. 1966, voce cit.,

n. 4), che afferma che la necessità dell'autorizzazione per i diver

si gradi non esclude che tale obbligo possa essere soddisfatto at

II Foro Italiano — 1988.

traverso l'autorizzazione iniziale, quando questa, non essendo li

mitata ad un singolo grado, possa ritenersi concessa anche per la fase di cassazione (in motivazione); sez. I 24 novembre 1966, n. 2798 (ibid., n. 4 bis), che fa salva l'espressa limitazione a de

terminati gradi; sez. I 19 giugno 1967, n. 1448 (id., Rep. 1967, voce cit., n. 4), nello stesso senso della precedente; sez. un. 9

ottobre 1967, n. 2345 (ibid., n. 5), che ribadisce la validità del l'autorizzazione per tutti i gradi del giudizio dell'autorizzazione

concessa senza espressa limitazione; sez. un. 20 aprile 1970, n.

1129 (id., Rep. 1970, voce Cassazione civile, n. 67, che pur riba

dendo il principio precedente, riguarda in concreto il giudizio d'ap

pello); sez. II 15 luglio 1972, n. 2449 (id., Rep. 1972, voce Co mune, n. 108), nel medesimo senso della precedente; sez. Ili 10

settembre 1976, n. 3138 (id., Rep. 1976, voce Procedimento civi

le, n. 33, che afferma che, in caso di dubbio circa l'estensione

dell'autorizzazione, vale il canone interpretativo dell'efficacia per l'intero processo, ove non si sia espressa limitazione a determina

ti gradi; sez. Ili 19 ottobre 1976, n. 3604, ibid., voce Comune, n. 283).

In sentenze più recenti il principio suddetto non è stato abban

donato, perché si è ribadita l'insufficienza, ai fini del ricorso per

cassazione, dell'autorizzazione a stare in giudizio limitatamente

alle pregresse fasi di merito (sez. I 23 novembre 1976, n. 4424,

ibid., voce Cassazione, n. 112; sez. I 8 marzo 1977, n. 944, id.,

Rep. 1977, voce cit., nn. 7, 10; sez. un. 14 febbraio 1980, n.

1057, id., Rep. 1980, voce Giurisdizione civile, n. 132, con ri

guardo ad un regolamento di giurisdizione, ritenuto inammissibi

le — in difetto di una nuova specifica autorizzazione quando quella data dal consiglio comunale ha esclusivo riguardo alla resistenza

in un procedimento; sez. I 19 aprile 1983, n. 2678, id., Rep. 1983, voce Cassazione civile, n. 16, secondo cui, in mancanza di limita

zioni, l'autorizzazione deve intendersi conferita fino alla defini

zione della lite; sez. un. 2 aprile 1984, n. 2146, id., Rep. 1984, voce cit., n. 18, che esige una nuova autorizzazione per il ricorso

per cassazione quando quella precedente è stata conferita limita

tamente alle fasi di merito). Si può concludere affermando che la deliberazione prodotta

dal comune, contenendo anche la facoltà per il sindaco di pro

porre il ricorso per cassazione (compreso fra i mezzi di impugna zione ivi espressamente previsti) autorizzava il sindaco a conferi

re il mandato speciale all'avvocato G. Lo Mastro a margine del

ricorso. La costanza dell'indirizzo consente di esaminare soltanto

l'argomentazione addotta dal difensore della società resistente sulla

base di alcune sentenze di questa corte (sez. un. 22 settembre

1984, n. 4817, ibid., n. 70; 21 novembre 1983, n. 6919, id., 1983, I, 2988; sez. I 20 gennaio 1982, n. 347, id., Rep. 1982, voce

cit., n. 151) le quali però non suffragano l'eccezione sollevata.

Il principio invocato nella discussione orale è quello secondo

cui, dovendo la procura speciale di cui all'art. 365 essere successi

va alla sentenza da impugnare (e precedente alla notifica del ri

corso) secondo un indirizzo assolutamente pacifico, non soddisfa

a tale requisito una procura conferita in base ad un'autorizzazio

ne anteriore del consiglio (o della giunta, quando è ammessa la

delibera di quest'organo) perché il collegio deliberante non è sta

to in grado di esaminare la sentenza che è oggetto di ricorso. Il collegio ritiene che l'argomento non possa condividersi. È

vero che esiste un collegamento fra l'autorizzazione e la procura, in quanto la mancanza della prima comporta la nullità della pro

cura, l'invalidità (rectius: iregolarità ex art. 182, 2° comma, che

può divenire definitiva inefficacia, in difetto di regolarizzazione) della costituzione del comune e, in sede di ricorso, l'inammissibi

lità dello stesso, non essendo applicabile il citato art. 182 (Cass. 30 marzo 1979, n. 1842, id., Rep. 1979, voce cit., n. 21, fra

le molte altre), ma è anche vero che i requisiti dell'una e dell'al

tra vanno determinati separatamente, senza la possibilità di esten

dere la disciplina specifica della procura (e della sottoscrizione

del ricorso ex art. 365 c.p.c.) alla disciplina della delibera colle

giale del comune, in quanto quest'ultima attiene alla legittimazio ne processuale del legale rappresentante dell'ente e la sua man

canza si risolve nel difetto di un presupposto necessario di effica

cia per la regolare costituzione del rapporto processuale (fra le

altre conformi, v. Cass. 20 maggio 1977, n. 2079, id., Rep. 1977, voce Procedimento civile, n. 39; 23 dicembre 1977, n. 5715, ibid., voce Cassazione civile, n. 8; 5 gennaio 1979, n. 31, id., Rep.

1979, voce Procedimento civile, n. 87), mentre la procura di cui

all'art. 365 c.p.c., attiene allo ius postulandi (vedi Cass. 347 del

1982, cit., che ne deduce correttamente l'insufficienza della deli

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2631 PARTE PRIMA 2632

bera della giunta, in mancanza della procura rilasciata dal sinda

co). In altri termini, nel primo caso viene in rilievo la normativa

dell'art. 75 c.p.c.; nel secondo, quella degli art. 82 ed 83 c.p.c. Soltanto il sindaco può rilasciare la procura di cui all'art. 365

(ovvero un assessore vice-sindaco Cass. n. 7299 del 1983, id.,

Rep. 1983, voce Comune, n. 157; n. 7300 del 1983, ibid., n. 158),

perché soltanto quell'organo ha la rappresentanza in giudizio (art.

151, n. 9, t.u. 148 del 1915) e tale potere rappresentativo postula l'esercizio del corrispondente potere deliberativo del consiglio (o

della giunta, nei casi previsti) con rilevanza esterna (Cass. n. 6919

del 1983, cit.). Pertanto, l'organo deliberativo può confermare

il contenuto di quel potere rappresentativo, segnandone i confini,

senza che si faccia luogo al concetto di «delega». Invero, nell'or

dinamento amministrativo l'organo competente non può delegare ad altro organo dell'ente (o dell'apparato amministrativo) l'eser

cizio di un potere o di una facoltà (Cons. Stato, sez. VI, 26 gen naio 1979, n. 20, id., Rep. 1979, voce Atto amministrativo, n.

36; sez. IV 28 luglio 1978, n. 758, id., Rep. 1978, voce Giustizia

amministrativa, n. 272), in difetto di un'espressa previsione di

un atto normativo di grado pari a quello attributivo della compe

tenza primaria, essendo la competenza amministrativa indisponi bile. Diversa dalla delega è però la sequenza procedimentale fra

atto deliberativo ed atto esecutivo. L'organo deliberante conferi

sce al sindaco il potere di manifestare all'esterno un certo conte

nuto della volontà dell'ente, impegnandolo a rispettare i limiti

posti con la deliberazione. Il sindaco, a sua volta, impegna il

comune nei limiti dei propri poteri di esecuzione delle delibera

zioni del consiglio o della giunta, in quanto rappresentante del

comune (art. 151, n. 4, e n. 9, citati); in queste norme, attributi

ve di una competenza propria ed esclusiva del sindaco, si ritrova

il fondamento legislativo di un atto che — in difetto dell'esterna

zione — non avrebbe rilievo nel processo. Il potere di rappresen tanza e di esecuzione implica una determinazione volitiva ulterio

re, condizionata dalla deliberazione dell'organo collegiale, in quan

to deve rispettarne e ripeterne il contenuto; tuttavia, è proprio dell'attività esecutiva e di rappresentanza, una certa autonomia

strutturale dell'atto (si pensi — in altro campo — alla sequenza

fra autorizzazione al contratto e stipulazione del medesimo), re

golato da norme apposite. Se l'organo collegiale delibera in ordine all'impugnazione an

cora prima che essa sia divenuta esperibile (a seguito dell'emana

zione della sentenza da impugnare) ma in previsione di essa, e

conferisce al sindaco la facoltà di proporla, l'esecuzione di tale

deliberazione appartiene in via esclusiva al sindaco. La prima de

liberazione deve esaminarsi alla stregua della normativa ammini

strativa, che non la vieta affatto (art. 288 t.u. 383 del 1934 ed

art. 326 t.u. del 1915); normativa a sua volta richiamata dall'art.

75 c.p.c., per cui la legittimazione processuale del sindaco è vali

da ed efficace perché il contenuto dell'atto con cui egli «sta in

giudizio» per il comune è conforme alla volontà dell'ente pubblico. L'atto predetto è poi regolato anche da una diversa norma pro

cessuale (art. 365 c.p.c.) che riguarda soltanto l'organo esecutivo

e rappresentativo in quanto lo obbliga a conferire un mandato

speciale all'avvocato, soltanto se ed in quanto eserciti quella fa

coltà di impugnare che è contenuta nell'autorizzazione, nell'am

bito di quella discrezionalità che caratterizza l'esercizio del potere dovere (o funzione) di rappresentanza.

Il criterio di imputabilità dell'azione in giudizio all'ente attiene

al requisito della legittimazione processuale propria dello stesso

ente ed è sufficiente che vi sia corrispondenza fra la delibera col

legiale e l'atto esecutivo del sindaco (art. 75 c.p.c.). Il patrocinio obbligatorio (art. 82, 83 e 365) attiene ad un mo

mento distinto in quanto la parte (tramite il rappresentante o l'or

gano) non può compiere gli atti del processo personalmente ma

può esercitare il potere di compierli soltanto per mezzo del difen

sore o procuratore. La procura che designa quest'ultimo ad eser

citare il ministero ed i poteri di cui all'art. 84 c.p.c. nel giudizio di Cassazione deve essere speciale, e tale esigenza è soddisfatta

quando, nel momento della designazione, è possibile identificare

la decisione da impugnare. Tale atto di designazione è compiuto in via esclusiva dal sindaco, munito della rappresentanza e della

legittimazione processuale in forza della delibera dell'organo col

legiale e pertanto l'art. 365 c.p.c. è osservato quando la procura, come nella specie, è contenuta a margine del ricorso.

Nessun principio contrario può trarsi da Cass. n. 4817 del 1984

(id., Rep. 1984, voce Comune, n. 180) citata dal resistente, sia

perché il caso ivi deciso riguarda una fattispecie opposta (autoriz

Ii Foro Italiano — 1988.

zazione della giunta, in data posteriore al conferimento del man

dato, seguita da ratifica) sia perché il quesito in ordine all'effica

cia del mandato speciale anteriore alla delibera della giunta fu

posto in modo problematico, in quanto la ratio decidendi espres

sa dalla sentenza riguardò l'identificazione del momento (notifica

del ricorso) in cui il mandato aveva esplicato i suoi effetti. Per

il resto, la sentenza citata ha confermato l'indirizzo secondo cui

l'autorizzazione è un requisito di efficacia e non di validità della

costituzione dell'ente pubblico; il che comporta la sua collocazio

ne, nell'ambito della categoria delle «condizioni legali» esterne

all'atto e non fra i suoi requisiti interni di validità (cfr. Cass.

n. 494 del 1985, id., Rep. 1985, voce Procedimento civile, n. 36;

sez. un. 4784 del 1985, ibid., voce Cassazione civile, n. 76), che

precisa che le deliberazioni inerenti all'autorizzazione al ricorso

non rientrano fra gli atti da indicarsi a pena di inammissibilità

ex art. 366 c.p.c., confermando anche da questo profilo il loro

carattere «esterno» rispetto a! ricorso ed al mandato).

2. - Il controricorso contiene un'eccezione di inammissibilità,

sotto il diverso profilo secondo il quale il comune, avendo impu

gnato soltanto la statuizione riguardante l'inesistenza del giudica

to sostanziale, mentre non ha impugnato quella che ha affermato

l'esistenza del diritto soggettivo in capo alla società C.G.I., non

avrebbe di conseguenza impugnato una delle due autonome e suf

ficienti giustificazioni del decisum, per cui il ricorso sarebbe ini

doneo a determinare l'annullamento della sentenza impugnata,

anche se fosse accolto.

L'eccezione è infondata, perché la giurisprudenza (pacifica: v.,

fra le molte conformi, Cass. 18 febbraio 1983, n. 1248, id., Rep.

1983, voce Impiegato dello Stato, n. 124) implicitamente richia

mata non si applica quando la ratio decidendi non impugnata

trova un presupposto logico e giuridico nell'altra, investita dal

l'impugnazione, si da restare automaticamente caducata per ef

fetto dell'eventuale erroneità di quest'ultima (Cass. 29 giugno 1981,

n. 4211, id., Rep. 1981, voce Cassazione civile, n. 10; 26 marzo

1981, n. 1771, ibid., voce Esecuzione forzata in genere, n. 81).

Invero, la pronuncia positiva della corte d'appello sull'esisten

za del diritto dipende dalla negazione del giudicato; per conver

so, se il giudicato fosse affermato, la posizione giuridica della

parte privata dovrebbe essere necessariamente qualificata di inte

resse legittimo. Il ricorso, rivolto contro la negazione del giudicato sostanziale,

se fosse accolto, travolgerebbe l'intera decisione perché, alla stre

gua del giudicato, dovrebbe negarsi la giurisdizione dell'a.g.o.

sulla tutela della posizione soggettiva, da qualificare come inte

resse legittimo; ai sensi dell'art. 336, 1° comma, c.p.c. l'annulla

mento parziale della sentenza sul punto del giudicato avrebbe ef

fetto sull'altro punto, riguardante detta qualificazione e la conse

guente affermazione autonoma della giurisdizione dell'a.g.o.,

perché questo secondo punto (pur essendo in sé poggiato su un'au

tonoma ratio decidendi, appunto per effetto della negazione del

giudicato) perderebbe tale autonomia, prospettandosi come di

pendente dall'affermazione del giudicato. Per converso, una volta rigettato il ricorso (vedi infra) la corte

non dovrà riesaminare tale parte non impugnata, perché — risol

to il punto pregiudiziale in modo conforme alla decisione impu

gnata — la parte non impugnata (non più condizionata dal giudi

cato) resterà sorretta da quell'autonoma ratio, svincolata dalla

negazione del giudicato. 3. - Passando all'esame del ricorso, si rileva che con esso il

comune deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2909

c.c. e dei principi in tema di giudicato (art. 360 c.p.c.), osservan

do che si era verificato il giudicato sull'inesistenza del diritto sog

gettivo a favore dell'attore, mentre la decisione impugnata affer

ma l'esistenza di un diritto soggettivo e che la confusione fra

profili processuali e profili sostanziali del precedente giudicato non poteva negare l'esistenza di una sentenza passata in giudica

to che negava l'esistenza di un diritto soggettivo perfetto; invero,

la pronuncia precedente aveva negato la giurisdizione dell'a.g.o. come conseguenza di un'accertata inesistenza di danno risarcibi

le, in quanto il giudicato si era formato sulla situazione giuridica

soggettiva prospettata dall'attrice e cioè su una pronuncia di me

rito, rispetto alla quale non era possibile un diverso giudizio. La

pronuncia aveva dichiarato l'improponibilità assoluta della do

manda di risarcimento danni conseguente alla lesione di un inte

resse legittimo, trattandosi di una situazione soggettiva non com

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

portante diritto a risarcimento, con l'affermazione che l'ordina

mento non riconosce che la violazione dell'interesse legittimo possa

originare una pretesa di danni e che non esisteva il presupposto sostanziale della domanda, e con il corollario della pronuncia di

difetto di giurisdizione. Pertanto, conclude il ricorrente, alla sen

tenza della corte d'appello del 15 ottobre 1973 devono ricollegar

si effetti giuridici sostanziali, consistenti nella definitiva qualifi

cazione di interesse legittimo della posizione giuridica soggettiva facente capo al ricorrente, con conseguente improponibilità asso

luta della domanda.

Il ricorso è infondato. Il primo problema che esso pone è quel lo dell'interpretazione del giudicato esterno, devoluto all'insinda

cabile apprezzamento del giudice del merito, perché il comune

di Roma implicitamente — ma chiaramente — contesta quell'in

terpretazione nel punto in cui afferma che il giudicato formatosi

sulla sentenza del 1973 è consistito in una pronuncia di merito

sull'inesistenza di un diritto al risarcimento e di un danno risarci

bile, in quanto la pronuncia stessa ha dichiarato l'improponibili

tà assoluta della domanda di risarcimento danni conseguente alla

lesione di un interesse legittimo, trattandosi di una situazione giu ridica soggettiva non comportante diritto a risarcimento, dato che

l'ordinamento non riconosce che la violazione dell'interesse legit timo possa originare una pretesa di danni, della quale pertanto non esisteva il presupposto sostanziale.

Il collegio intende sottolineare tre punti: a) che l'interpretazio ne del precedente giudicato non può essere condotta direttamente

da questa corte, la quale può controllare soltanto l'esattezza del

procedimento logico-giuridico che ha portato la corte d'appello, nella sentenza impugnata, a qualificare il precedente giudicato come dichiarativo del difetto di giurisdizione nei confronti della

p.a.; b) che la suddetta interpretazione non è vincolata (appunto

perché trattasi di giudicato esterno, in diverso processo) dalla sen

tenza Cass. n. 4295 del 1983 (id., 1984, I, 198), ma che può tro

varsi in essa soltanto un criterio direttivo per l'interpretazione della sentenza d'appello del 1973; c) che l'interpretazione del giu dicato esterno non può obbedire a criteri astratti di configurazio

ne di un certo tipo di dispositivo (nella specie, il tipo di pronun

cia che può essere emesso nei confronti della p.a.), ma deve ade

guarsi al concreto decisum, a prescindere da ogni possibile critica

che di esso possa farsi.

Partendo proprio dall'ultimo rilievo, la corte osserva che sono

state avanzate, in dottrina e giurisprudenza, due configurazioni

possibili della pronuncia con la quale il giudice ordinario dichiara

l'improponibilità della domanda nei confronti della p.a.: una, se

condo la quale si tratta di pronuncia di merito concretata dall'af

fermazione dell'inesistenza del diritto soggettivo fatto valere; l'al

tra, secondo il quale si tratta di una pronuncia processuale, atti

nente al difetto di giurisdizione, in cui si converte il difetto di

tutela giuridica nei confronti della p.a. (o improponibilità della

domanda; vedi, da ultimo, in motivazione, sez. un. 15 giugno

1987, n. 5256, id., 1987, I, 2015). Nella specie, la sentenza del 1986 qui impugnata ha interpreta

to la sentenza del 1973 come dichiarativa del difetto di giurisdi

zione; e tale interpretazione è corretta, perché giustificata dal te

nore della precedente sentenza (essa non è stata prodotta, ma

la sua motivazione è contenuta nel ricorso), la quale ha dichiara

to il difetto di giurisdizione, perché il privato lamentava la lesio

ne di un interesse legittimo, non tutelabile come tale dinanzi al

giudice ordinario. Della correttezza dell'interpretazione si ha con

ferma in base alla sentenza di questa corte n. 4295 del 1983, la

quale, interpretando il giudicato formatosi su tale pronuncia (giu

dicato che allora era «interno»), lo ha qualificato a chiare note,

con ampia motivazione, giudicato sulla giurisdizione. Non vi è

alcuna censura, nel ricorso del comune, che valga a far ritenere

erronea quell'interpretazione, autonomamente riconfermata dalla

più recente sentenza della corte d'appello in base ai medesimi

elementi, sia pure succintamente esposti.

Concludendo, si deve rilevare che la corte d'appello, nella sen

tenza del 1986, non doveva ricercare quale è il tipo di pronuncia

di merito o processuale che il giudice ordinario deve in astratto

emettere nei confronti del privato che chieda il risarcimento del

danno per la lesione di una posizione giuridica soggettiva qualifi

cata dal medesimo giudice come «interesse legittimo», ma doveva

soltanto interpretare la precedente pronuncia già emessa; e —

una volta stabilito correttamente che detta pronuncia era di ca

rattere processuale («difetto di giurisdizione») — doveva poi pro

li. Foro Italiano — 1988.

cedere all'ulteriore indagine circa gli effetti «panprocessuali» o

meno di detta pronuncia.

Questo secondo problema è stato risolto esattamente, alla stre

gua della costante giurisprudenza e della più qualificata dottrina.

In tema di giudicato sulla giurisdizione questa corte ha sempre

operato una distinzione fra il giudicato endoprocessuale e quello

formatosi al di fuori del processo nell'ambito del quale il giudica to è invocato da una delle parti. Riguarda il primo caso (giudica to endoprocessuale) l'affermazione dell'efficacia preclusiva di es

so (fra le altre, v. Cass. 2 febbraio 1963, n. 180, id., Rep. 1963,

voce Competenza civile, n. 393; 11 febbraio 1982, n. 840, id.,

Rep. 1982, voce Giurisdizione civile, n. 144; 9 ottobre 1984, n.

5027, id., Rep. 1984, voce cit., n. 91; 4 luglio 1981, n. 4356,

id., Rep. 1981, voce cit., n. 296; 6 novembre 1981, n. 5850, ibid.,

n. 300; 16 aprile 1984, n. 2428, id., Rep. 1984, voce cit., n. 93;

25 marzo 1986, n. 2100, id., Rep.1986, voce cit., n. 161, nonché

la più volte citata sent. n. 4295 del 1983).

Diverso è il problema che si pone quando il giudicato sulla

giurisdizione si è formato in un diverso processo fra le parti, svol

tosi dinanzi ad altro ordine giurisdizionale (per esempio, dinanzi

al giudice amministrativo) ovvero dinanzi al medesimo ordine,

ma non definito con sentenza di merito, bensì' con sentenza mera

mente processuale o con estinzione. In questo caso, la giurispru denza ha sempre affermato che, nel successivo diverso processo

tra le medesime parti, non può derivare alcun effetto preclusivo da una decisione resa soltanto sulla giurisdizione; al di fuori del

caso in cui sia passata in giudicato una pronuncia — anche par ziale — sul merito (che presupponga l'affermazione positiva della

giurisdizione del giudice che l'ha emessa), nonché all'infuori del

caso in cui la pronuncia sulla giurisdizione (cfr. Cass. 23 giugno

1983, n. 4307) sia stata emessa dalla Corte di cassazione. Pertan

to, il giudice successivamente adito può riesaminare la questione,

senza essere vincolato dal precedente giudicato formale extrapro

cessuale (cfr. sez. un. 30 maggio 1958, n. 1920, id., Rep. 1959,

voce Competenza civile, n. 72; 22 maggio 1959, n. 1573, ibid.,

n. 330; 21 ottobre 1961, n. 2315, id., Rep. 1961, voce cit., n.

306; 30 giugno 1960, n. 1725, id., Rep. 1960, voce cit., n. 46;

6 aprile 1962, n. 728, id., Rep. 1962, voce Cosa giudicata civile,

n. 41; 20 febbraio 1965, n. 284, id., Rep. 1965, voce cit., n.

55; 10 ottobre 1962, n. 2930, id., Rep. 1962, voce cit., n. 46;

4 gennaio 1979, n. 4, in motivazione, id., Rep. 1979, voce Giuris

dizione civile, n. 147; 20 luglio 1971, n. 2362, id., Rep. 1971, voce cit., n. 128; 28 aprile 1976, n. 1506, in motivazione, id.,

1976, I, 2674; 2 maggio 1983, n. 3006, id., 1983 I, 1852; 27 giu

gno 1986, n. 4275, id., 1987, I, 160; 23 ottobre 1986, n. 6221,

id., 1986, I, 3008; 5 novembre 1984, n. 5579, id., Rep. 1984,

voce cit., n. 81; 28 maggio 1987, n. 4788, id., Mass., 807).

È appena il caso di osservare che l'eccezione al principio (sen

tenza emessa sulla giurisdizione dalla Cassazione) non riguarda

il presente processo, in quanto nel precedente processo fra le par

ti la Suprema corte, con la sent. n. 4295 del 1983, non ha statuito

sulla giurisdizione, ma ha rilevato la preclusione per il giudicato

endoprocessuale su di essa, pronuncia la cui diversità radicale

dalla precedente non è necessario sottolineare (cfr., comunque,

Cass. 8 aprile 1981, n. 2010, id., Rep. 1981, voce Cassazione

civile, n. 13; 12 aprile 1984, n. 2377, id., Rep. 1984, voce Giuris

dizione civile, n. 74). La costanza dell'indirizzo consente di accennare soltanto bre

vemente alle ragioni che lo sorreggono, discendenti dalla regola

degli art. 37, 310 e 362, 2° comma, n. 1, c.p.c. nonché da altre

norme positive.

Invero, contro le sentenze non definitive sulla giurisdizione non

può proporsi impugnazione dopo l'estinzione perché l'art. 129,

3° comma, disp. att. c.p.c. — richiamato dall'art. 133 — con

templa lo scioglimento della riserva di impugnazione per le sole

sentenze di merito, dal che si deve dedurre che il divieto di impu

gnazione a seguito dell'estinzione non può che essere collegato

all'inefficacia della sentenza sulla giurisdizione, che vengono tra

volte dall'estinzione. Sarebbe, infatti, assurdo, ammettere che di

ventino inefficaci solo le sentenze non definitive sulla giurisdizio

ne contro le quali è stata fatta la riserva di impugnazione e, inve

ce, passino in giudicato quelle per le quali i mezzi di impugnazione

sono preclusi. Come ha osservato Cass. n. 6221 del 1986, cit., è estranea al

diritto positivo una concezione dell'azione intesa come potere ri

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2635 PARTE PRIMA . 2636

volto ad ottenere una qualsiasi pronuncia, anche solo di rito. Le

questioni di giurisdizione non possono formare oggetto di una

domanda introduttiva di un giudizio, per cui quello che non può essere autonomamente domandato è soltanto strumentale rispetto al bene domandato. La regola dell'art. 112 c.p.c., riferita alla

domanda, individua il contenuto minimo di una pronuncia che

soddisfi l'obbligo di giudicare costituito dalla proposizione della

domanda stessa; e qualsiasi pronuncia che non tocchi il contenu to minimo della domanda (cioè il bene della vita domandato) non soddisfa la funzione del processo, che è quella di consentire l'emanazione di un provvedimento che consumi definitivamente

l'azione. Se giudicato e consumazione dell'azione si identificano,

quando la risoluzione di una questione pregiudiziale di rito non

abbia tale effetto, non può parlarsi di giudicato con effetti extra

processuali. Diverso è il caso delle sentenze della Cassazione, da

ta la sua posizione di organo regolatore della giurisdizione (art. 362 c.p.c.).

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 11 gen naio 1988, n. 22; Pres. Bile, Est. Vizza, P.M. Scala (conci, conf.); Soc. Realizzazione Budget Pubblicità (Avv. Canevac

ci) c. Carioti e altri (Avv. Valente). Cassa Trib. Roma 13

luglio 1985.

Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso

dall'abitazione — Indennità di avviamento — Limiti — Attivi tà comportanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori — Nozione (L. 27 luglio 1978 n. 392, discipli na delle locazioni di immobili urbani, art. 35).

In tema di indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 35 l. 392/78, attività che com

portano contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consu

matori vanno intese non solo le attività rivolte ad una generali tà indiscriminata di persone, bensì anche quelle cui è interessa

ta una cerchia limitata di soggetti individuabili attraverso il comune riferimento a situazioni specifiche (nella specie, si è escluso che l'esercizio da parte del conduttore di attività di rea

lizzazione di budgets pubblicitari mediante affissioni impedisca di per sé di riconoscergli il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale). (1)

(1, 3) Nel senso di Cass. 22/88, v . Pret. Milano 28 giugno 1985, Foro it., 1986, I, 1919, con ampia nota di richiami, specificamente in tema di locazione di immobile adibito a sede di agenzia pubblicitaria. Per il

contrapposto orientamento sostenuto da Cass. 7229/87, v., invece, Cass. 10 luglio 1986, n. 4486, id., 1987, I, 1523, con nota di richiami, nonché Trib. Milano 15 maggio 1986, 15 aprile 1985 e, nella motivazione, Trib. Trani 13 febbraio 1985, id., 1986, I, 1917. Per l'esclusione del diritto di prelazione del conduttore di immobile adibito ad attività pubblicitaria, v., in particolare, App. Bologna 12 luglio 1985, id., Rep. 1986, voce Locazione, n. 250, e Trib. Piacenza 23 maggio 1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 985. Conformemente a Cass. 7229/87, adde Trib. Milano 19 giugno 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 625, dalla quale risulta, peraltro, puntualizzato che la spettanza dell'indennità di avviamento al conduttore che eserciti attività di mediazione (genericamente affermata da Cass. 9 marzo 1984, n. 1637, id., Rep. 1984, voce cit. n. 822, sul presupposto della natura imprenditoriale e non professionale dell'attività del mediatore) non si verifica in assoluto, ma soltanto quando sia riscon trabile in concreto che l'attività medesima sia esercitata con modalità atte a garantire un'attrazione di clientela ratione loci. Con riguardo ad una locazione avente ad oggetto un immobile adibito a studio fotografico, v. altresì' Trib. Milano 9 maggio 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 605 (riportata in Giur it., 1987, I, 2, 281, con nota adesiva di S. Giove, A proposito del compenso per l'avviamento e della nozione di «pubblico degli utenti e dei consumatori», recante un'interessante analisi della pro blematica con riguardo alle attività del «terziario avanzato»).

In dottrina, v. inoltre, per lo stesso orientamento, M. Eroli, nota a Trib. Milano 15 aprile 1985 e 21 gennaio 1986 (riportata in Foro it., 1986, I, 1917, sotto la data di deposito 15 maggio 1986), in Giur. it., 1986, I, 2, 736; per l'indirizzo opposto, v. S. Benini, Sull'indennità di

Il Foro Italiano — 1988.

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 8 settem

bre 1987, n. 7229; Pres. Colesanti, Est. Rebuffat, P.M. Ma

rinelli (conci, conf.); Soc. I.C.I. (Avv. Giorgianni, Puppini) c. Setta (Avv. Della Lunga), Baldasano Montanari (Avv. Ma

strangeli, Canella), Cenacchi (Avv. Sabatello, Monzoni).

Conferma App. Bologna 19 giugno 1984.

Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso

dall'abitazione — Trasferimento a titolo oneroso — Prelazione

del conduttore — «Denuntiatio» del locatore — Natura (L. 27 luglio 1978 n. 392, art. 38).

Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso

dall'abitazione — Trasferimento a titolo oneroso — Prelazione

del conduttore — Limiti — Attività comportanti contatti diret

ti con il pubblico degli utenti e dei consumatori — Nozione

(L. 27 luglio 1978 n. 392, art. 35, 38, 41).

La denuntiatio del locatore prevista dall'art. 38 I. 392/78 per il

caso di trasferimento oneroso dell'immobile adibito ad uso di

verso dall'abitazione non costituisce atto negoziale in senso pro

prio bensì atto dovuto di interpello diretto a mettere il condut

tore in grado di esercitare, ove ne ricorrano i presupposti, il

diritto potestativo di prelazione. (2)

avviamento alla fine del regime transitorio, in particolare sul concetto di «pubblico degli utenti» (nota a Trib. Milano 9 maggio 1985), in Giur.

merito, 1987, 387. Nel senso che il diritto di prelazione previsto dall'art. 38 1. 392/78

sussiste anche nel caso che l'immobile locato sia utilizzato per l'esercizio in forma di società di capitali di un'attività intrinsecamente professiona le, v. App. Roma 13 maggio 1986, Foro it., 1987, I, 1524, con nota di richiami.

Per la ricorrenza del requisito dei contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori anche nell'ipotesi che l'immobile locato sia adi bito ad esposizione con possibilità di accesso da parte del pubblico, pur ché l'immobile risulti obiettivamente inserito nell'organizzazione azienda le del conduttore la cui attività di vendita sia svolta in locali vicini, cfr. Cass. 28 gennaio 1987, n. 810, Arch, locazioni, 1987, 315.

Per il caso di immobile solo parzialmente destinato ad attività compor tante contatti diretti con il pubblico, v. Pret. Monza 11 febbraio 1988, in questo fascicolo, I, 2724.

È opportuno rilevare che il d.l. 832/86, convertito in 1. 15/87 — inter

venendo, tuttavia, sulle sole locazioni già in corso all'atto dell'entrata in vigore della 1. 392/78 — ha esteso, seppure entro più ristretti limiti

quantitativi, il diritto al compenso per la perdita dell'avviamento (nonché complementarmente il diritto di prelazione in caso di nuova locazione, ma non anche quello di prelazione in caso di trasferimento oneroso del l'immobile locato), anche ai conduttori di immobili adibiti ad attività commerciali prive di contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, ad attività professionali e, finanche, alle particolari attività

previste dall'art. 42 1. 392/78. Sulla relativa problematica, cfr., da ulti

mo, Cass. 28 novembre 1987, n. 8876, Pret. Milano 15 dicembre 1987 e Pret. Rimini 20 ottobre 1987, Foro it., 1988, I, 711, con osservazioni di D. Piombo, nonché A. Cappabianca, La disciplina delle locazioni di immobili urbani: il dominio delle incertezze (a proposito del d.l. 9 dicem bre 1987 n. 832), id., 1987, I, 1315.

(2) Nello stesso senso, v. Cass. 7 novembre 1987 n. 8247, Foro it., 1988, I, 1149, con ampia nota di osservazioni e richiami di D. Piombo. Adde, nella motivazione, Cass. 14 marzo 1988, n. 2427, Rass. equo cano ne, 1988.

In tema di proroga del termine per l'esercizio della prelazione, v., al

tresì, Cass. 30 ottobre 1987, n. 8027, Arch, locazioni, 1988, 63.

* * *

Letto a contrario, in positivo, l'art. 35 1. 392/78 circoscrive l'ambito di applicazione dell'istituto dell'indennità per la perdita dell'avviamento :ommerciale — e, in forza del richiamo contenuto nell'art. 41 della legge stessa, degli istituti della prelazione in caso di nuova locazione e della prelazione in caso di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato — alle sole locazioni aventi ad oggetto immobili adibiti ad attività lata mente commerciale (industriale, commerciale, artigianale o di lavoro au

:onomo) che, peraltro, comporti «contatti diretti con il pubblico degli atenti e dei consumatori» (per la disciplina parzialmente diversa introdot

:a, per le sole locazioni «di regime transitorio», dal d.l. 832/86, converti :o in 1. 15/87, cfr. la nota redazionale).

La copiosa produzione giurisprudenziale di merito sulla relativa nozio le (cfr. le pronunzie citate in precedenza ed i richiami di cui alle rispetti

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