RIVISTA DI GIURISPRUDENZA PENALESource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.469/470-479/480Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084885 .
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469 GIURISPRUDENZA PENALE 470
Attesoché, esposti questi fatti urgentissimi, è difficile a comprendersi come possa appuntarsi d'imprudenza,
di leggerezza l'amministrazione del Fondo pel culto
per aver assunta la qualità di parte civile nella causa
penale promossa dal P. M. contro i fratelli Branchini
e l'avv. N. N. Sia pure che al fatto formante subbietto
di quel giudizio fosse malamente qualificato per truffa
e quindi il Tribunale dichiarasse non farsi luogo a pro
cedere contro gli imputati. Ma presunzioni gravi di
colpa stavano contro di essi. Ed è troppo evidente,
per non doversi fermare a dimostrarlo, che grande
mente irrazionale sarebbe il concetto che per ciò che
un procedimento penale non fu coronato da un suc
cesso corrispondente all' imputazione, venisse senz'altro
conferito all'imputato assoluto il diritto indiscutibile
a chiedere la condanna della parte civile al risarci
mento dei danni. Con questo concetto si verrebbe a
sanzionare la massima che la semplice dubbiezza delle
prove, che fa obbligo al magistrato di assolvere l'im
putato, imprime necessariamente sulla parte civile la
colpa di una impudenza, di una leggerezza per cui è
obbligata a indennizzare l'imputato assoluto che può
essere un colpevole fortunato. Una siffatta massima
esorbitante viene respinta dal comune buon senso;
Attesoché la sapienza legislativa, a prevenire una sì
flagrante deviazione da ogni principio di ragione, fu
sollecita di disporre che nel caso di assoluzione di un
imputato, la parte civile debba essere tenuta verso il
medesimo al risarcimento dei danni ove occorra (art.
570) ; giustissima riserva la quale, com'è manifesto, ab
braccia non tanto il caso che l'imputato non abbia ri
sentito alcun danno dalla costituzione di parte civile,
per essersi questa limitata ad accettare puramente le
ragioni del P. M. ed a conchiudere per la condanna
dell' imputato al rifacimento dei danni ; quanto l'altro
in cui l'imputato assoluto, stante la costituzione della
parte civile, abbia dovuto più energicamente provve
dere alla sua difesa e sortirne qualche pregiudizio,
jtoichè, anche in questo caso la parte civile non sarà
tenuta a risarcirlo ogni volta sia manifesto che essa,
lungi dall'aver proceduto con imprudenza o leggerezza,
non fece che far valere un diritto sorretto da plausi
bili ragioni, sebbene queste non riuscissero a convin
cere i magistrati della reità dell'imputato. Il quale
precetto di ragione e di giustizia era pure insegnato
dalla legge romana, la quale, per quanto punisse con
severità il calunniatore, dettava questo consiglio ai
giudici: Sed non utique qui non probat quod intendit,
potius calumniari videtur; onde essi, assoluto l'im
putato, dovevano indagare, qua mente accusator pro
cessit, et si quidem juslum ejus error em repererit,
absolvit eum (Leg. I, § 3, Dig. ad S. C. Turpillianum).
Se il Tribunale avesse richiamato alla sua mente questi
precetti della nuova e dell'antica legislazione nostra,
certamente'non avrebbe addebitata l'amministrazione
del Fondo pel culto della colpa d'imprudenza e leg
gerezza in danno degli imputati; poiché se esso avvisò
che fosse a dichiararsi non farsi luogo a procedere
contro gli imputati per il reato del quale erano stati
chiamati a rispondere, da ciò non conseguiva che la
parte civile dovesse venir condannata necessariamente
alla rifazione dei danni, a favore di essi imputati ; av
vegnaché i fatti gravi che la sentenza riferisce contro
di loro stavano a purgare l'amministrazione del Fondo
pel culto dalla colpa d'imprudenza e di leggerezza nel
fare quanto fece in difesa delle sue ragioni;
Attesoché adunque per moltissime considerazioni la
amministrazione del Fondo per il culto vuol essere li
berata dalla condanna in rifacimento di danni contro
lei pronunciata; Per questi motivi, ecc.
RIVISTA DI GIURISPRUDENZA PENALE
iDibattiisaento — Online «Iella discussione — Lettura
■li documenti (Cod. proc. pen., art. 281 e 311).
Verbale ili ilihattimento — <Uìh«Iì/.ìo <li appello —
Esposizioni testimoniali (Cod. proc. pen., art. 317).
■SiliattimcEito — Porte chiuse — l'iù imputazioni
(Cod. proc. pen., art. 268).
Non vi ha nullità se ai periti il giuramento è defe
rito prima d'essere sentiti e non in principio del di
battimento.
L'ordine della discussione, di cui l'art. 281 cod. proc.
pen. non è tassativo in tutte le sue parti. (1)
Trattandosi della lettura dei documenti, il giudicare
del tempo opportuno per leggerli è rimesso al pru
dente arbitrio del presidente.
I rapporti medici che indicano le lesioni riscontrate
sopra una persona e i verbali e rapporti degli ufficiali
di polizia giudiziaria si riguardano come documenti e
non come deposti testimoniali. Solamente quando con
tengano deposizioni dei testimoni o dichiarazioni rela
tive alla prova specifica del reato, non si possono
leggere nelle sole parti in cui contengono tali deposi
zioni o dichiarazioni.
L'art. 317 cod. proc. pen. non distingue il caso in cui
la Corte giudichi sul verbale o sugli atti del primo
giudizio o sulle prove raccolte in un giudizio rinnovato
per dichiarata nullità degli atti e della sentenza di
prima istanza. (2) Nel caso di un imputato di due reati (percosse vo
lontarie ed eccitamento alla corruzione) in danno di
una stessa persona, ove si ritenga necessario per l'un
(1) V. sent, della Cass. Torino e relativa nota a col. 349 del Foro, 1879.
(2) Infatti l'art. 317 cod. proc. pen., statuisce che « nei dibattimenti
avanti la Corte, il cancelliere non dovrà enunciare nel verbale le de
posizioni o dichiarazioni dei testimoni o dei periti ». Esso non distingue, osservò la Cassazione « il caso in cui la Corte giudichi sul verbale o
sugli atti del primo giudizio, o sulle prove raccolte in un giudizio rin
novato per dichiarata nullità degli atti e della sentenza di prima
istanza, imperocché la ragione animatrice di questa disposizione di
legge è comune ad ambidue i casi, non essendovi alcun Tribunale su
periore che riveda, in fatto, il giudizio pronunziato dalla Corte d'ap
pello », e quindi in nessun caso può farsi rimprovero al verbale di
dibattimento per non aver enunciato il deposto dei testimoni e le ri
sposte dei periti.
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471 PARTE SECONDA 472
reato di trattare la causa a porte chiuse, bisogna se
guire lo stesso procedimento per il reato connesso. (1)
L'errore materiale del verbale nell'indicare il co
gnome di un testimone non lo vizia, quando dall'in
sieme di esso se ne accerti la identità. (2)
(Cassazione Firenze, 15 novembre 1879, Pres. Poggi, Est. Banti — Ric. Lazzerini — Mon. giud., Venezia,
1879, 525).
Giuri — Omicidio con brutale malvagità — Unico
«{«esito (Cod. pen. toscano, art. 309, n. 3).
Giurì — Capo — Surrogazione — I'orte aperte (Cod.
proc. pen., art. 501; Reg. gen. giudiz., art. 364).
Corte (l'assise — Funzioni ili cancelliere — Comune
ove non risiede Corte d'appello (L. sull'ordin. giud., art. 82).
Patrocinio gratuito — l*arte lesa — Corte d'assise — Facoltà del presidente (L. 21 novembre 1865 sul
gratuito patrocinio, art. 9).
L'impulso di brutale malvagità non è circostanza ag
gravante, ma elemento costitutivo dell'omicidio per
impulso di brutale malvagità, e quindi è regolarmente
compreso nella questione relativa al fatto materiale. (1) La surrogazione del capo dei giurati può farsi a porte
aperte e presente il pubblico. (2) Nei Comuni, ove non risiede Corte d'appello, le fun
zioni di cancelliere presso la Corte di assise sono eser
citate dal cancelliere e dai vicecancellieri del Tribu
nale civile e correzionale. (3)
La parte lesa, costituendosi parte civile innanzi la
Corte d'assise, deve ripetere l'ammissione del gratuito
patrocinio dal presidente della Corte d'assise, non dalla
Commissione presso la Corte d'appello. (4)
(Cassazione Firenze, 3 maggio 1879. Pres. Poggi, Est. Ferrari, P. M. Trecci — Ric. Balleri — Giorn. trib.,
Milano, 1879, 825; Mon. giud-, Venezia, 1879, 349).
■Sbattimento — Letture (Cod. proc. pen., art 311). Corruzione di minorenni — Aggravante della sor
veglianza (Cod. pen., art. 422).
(1) « La Corte, ecc. — Considerando sul quinto mezzo, col quale si afferma violato l'art. 268 del suddetto codice, che sanziona il principio della pubblicità dei giudizi ed il principio sulla non estendibilità delle
leggi restrittive contenute nell'art. 4 delle disposizioni preliminari cod. civ., che l'indicato articolo, mentre stabilisce come massima ge nerale la pubblicità delle udienze, soggiunge : - ivi « Nondimeno se la pubblicità può essere pericolosa per la morale e pel buon ordine, a
cagione della natura dei fatti, la Corte, il Tribunale o il pretore potrà, sulla richiesta del P. M. ed anche d'uffizio, ordinare che il dibatti mento abbia luogo a porte chiuse » ;
« Che nel caso concreto il Lazzerini fu tradotto in giudizio sotto la
duplice imputazione di percosse volontarie e di eccitamento alla cor ruzione in danno di Luigia Rango ;
« Che dal verbale di udienza si rileva che il P. M. domandò che il dibattimento fosse fatto a porte chiuse per la ragione che la pubbli cità poteva essere pericolosa per la morale ;
« Che la Corte con apposita ordinanza, ritenuto che la pubblicità poteva essere pericolosa, ordinò che la causa fosse discussa a porte chiuse ;
« Che in questo stato di cose è incivile, come fa il ricorso, distin
guere la imputazione di percosse volontarie dall'altra di eccitamento alla corruzione, e sostenere che dovevasi fare il giudizio pubblico per la prima, ed a porte chiuse per la seconda. In primo luogo tanto il P. M. quanto l'ordinanza della Corte ritennero pericolosa per la pub blica morale la pubblicità per ambedue le imputazioni, e questo è un
giudizio di fatto insindacabile in Cassazione; in secondo luogo, si trat tava di una causa unica contro un solo imputato a cui si davano due addebiti commessi in danno di una stessa persona ; e quindi è assurdo il pretendere che in parte dovesse trattarsi a porte aperte, ed in parte a porte chiuse ».
(2) « La Corte, ecc. — Considerando che col sesto mezzo si dice violato l'art. 281, n. 3, cod. proc. pen., perchè all'appello dei testi moni rispose Elena Mian, che di poi non trovasi indicata fra i testi moni esaminati ;
« Che fra i testimoni, di cui il P. M. e l'imputato domandarono la
citazione, nessun testimone si trovò di cognome Mian, ed una sola te stimone fra quelle fu indicata col nome dil Eena. che è Elena Stivan, la di cui citazione fu richiesta da Lazzerini, con la istanza defensio nale del 2 settembre 1879, dove la detta testimone è indicata la ul tima fra i testimoni a difesa.
« Ora se si avverte che 19 furono i testimoni che oltre il perito ri
sposero all'appello, e 19 furono i testimoni esaminati, e che la ultima testimone appellata fu di nome Elena, e che fu indicata ivi col co
gnome di Mian, ma che fra i testimoni sentiti vi fu una sola testi mone di nome Elena che fu sentita l'ultima, e questa è Elena Stivan, facilmente si comprende che il cognome Mian scritto nella sede del verbale dove si indicano i testimoni chiamati all' udienza, fu un er rore materiale derivato dall'essere scritto male il cognome Stivan nella istanza defensionale del 2 settembre; ma che la testimone, che fu citata, che rispose all'udienza, e che fu esaminata, fu Elena Stivan, e che perciò manca di base il sesto ed ultimo mezzo di ricorso, che
immagina che all' appello dei testimoni si presentasse una persona, e
dipoi ne fosse interrogata un'altra; dovendosi osservare che l'error materiale del verbale nell' indicare il cognome di un testimone, non lo vizia, quando dall'insieme di esso se ne accerta la identità come in atti ».
(1-4) « La Corte, ecc. — Considerando, che l'impulso di brutale mal
vagità è, secondo fu costantemente deciso, elemento costitutivo del l'omicidio previsto dall'art. 309, n. 3, cod. pen. tose., e non circostanza
aggravante, e quindi è regolarmente compreso nella stessa questione relativa al fatto materiale ;
« Considerando, che se p3rciò non ha valore il primo motivo, non
regge meglio il secondo, avvegnaché, prescindendo dall'osservare che sono causa di nullità la violazione degli articoli della legge, e per conseguenza del codice, non quelle del regolamento, nè questo, nè l'art. 501 cod. proc. pen. comminano la nullità in quanto la surroga zione del capo dei giurati sia stata fatta a porte aperte e presente il
pubblico, e non ha d'uopo di essere ricordato che le irregolarità delle forme di procedura non importano nullità, se non quando sia espres samente dichiarato dalla legge, o violino una legge generale d'ordine
pubblico ; « Considerando, che il terzo motivo è espressamente confutato dal
l'art. 82 della legge 6 dicembre 1865 per l'ordinamento giudiziario, il
quale dispone che le funzioni di cancelliere delle Corti d'assise sono esercitate nei Comuni, ove non ha sede una Corte d'appello, dal can celliere o dai vicecancellieri del Tribunale civile e correzionale;
« Considerando, che del quarto motivo esclude qualsiasi efficacia l'art. 9 della legge 21 novembre 1865 sul gratuito patrocinio, nel quale è detto, che nelle materie penali l'ammissione al gratuito patrocinio si fa dal capo della magistratura innanzi alla quale deve trattarsi la
causa, e dal presidente della Corte d'assise. « Imperocché, quantunque sia vero che la parte lesa e dolente è
ammessa a costituirsi parte civile per il suo interesse civile, è sempre vero che la materia del giudizio è penale, e quindi dal presidente della Corte d'assise doveva la parte dolente essere ammessa al gra tuito patrocinio, non dalla Commissione.
« La quale conclusione d'altra parte si ravvisa più giusta, se si rifletta che in caso diverso dovrebbesi, perchè la Commissione po tesse giudicare re cognita, amuovere contro ogni regola di ordine
pubblico il processo, nel quale soltanto sono raccolte le prove dal l'autorità giudiziaria per sottoporlo al di lei esame ».
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473 GIURISPRUDENZA PENALE 474
Testimone Imperfettamente indicato (Cod. proc. peil.,
art. 469).
Btibattimento criminale — Presenza dell'accusato
(Cod. proc. pen., art. 271, n. 1 e 2, 629 e 630).
Oiiirì — Questioni — Subordinate — facoltà del
presidente —
Complessità — Varie circostanze
conducenti alla stessa responsabilità (Cod. prOC.
pen., art. 494).
Non può leggersi al dibattimento una dichiarazione
scritta relativa alla moralità dell'accusato, Armata da
parecchi concittadini senza alcuna autenticità di forma,
non potendo ad essa attribuirsi la qualifica di docu
mento, ma dovendo equipararsi ad un complesso di de
posizioni testimoniali.
La sorveglianza, di cui parla l'art. 422 del cod. pen.,
può essere permanente pel vincolo civile donde deriva,
e può essere anche transitoria, quando, per un con
corso di circostanze, la persona minorenne si trova
momentaneamente confidata alla cura di persona, a cui
deve deferenza e subordinazione. (1)
Se un tale vincolo di deferenza derivi unicamente
dalla credenza religiosa, non isfugge per ciò alle dispo
sizioni della legge positiva. (2) È quindi applicabile l'art. 422 cod. pen. al sacerdote
il quale abbia eccitata la corruzione di fanciulle minori
degli anni 21, che si erano a lui rivolte per la confes
sione. (3) Se per la imperfetta indicazione fatta nella lista dei
testi a difesa sia stato citato un testimonio, che non
era quello voluto dall'accusato, ed in seguito alle spie
gazioni di questo il presidente, pel suo potere discre
zionale, abbia fatto comparire quello che l'accusato
desiderava, rettamente quest'ultimo fu assunto senza
giuramento.
La nostra legge processuale non riconosce nello im
putato il diritto di non comparire all'udienza se non
nei casi contemplati espressamente nell'art. 271, n. 1
e 2 cod. di proc. pen. e quindi mai quando si tratta di
crimini. (4) Gli art. 629 e 630 detto codice, lungi dal riconoscere
un tale diritto, provvedono invece al modo di far pro
gredire l'udienza, quando l'imputato voglia turbarne lo
andamento. (5) Non eccede i propri poteri il presidente, che abbia
ordinata la traduzione forzata dell'imputato al dibat
timento, trattandosi di crimine. (6) Le dimostrazioni ostili cui sia stato soggetto l'impu
tato da parte del pubblico per l'indole brutale del com
messo reato, non autorizzano la continuazione del di
battimento fuori della presenza dell'imputato stesso.
Il presidente ha l'obbligo di porre le questioni sul
fatto principale, sulle circostanze aggravanti e sui fatti
che, a termini di legge, scusano l'imputabilità, quando
ne sia richiesto, ma non ha obbligo di proporre que
stioni subordinate e molto meno quelle tendenti a mu
tare la figura giuridica del fatto.
È viziato di complessità il verdetto solo allora, che
le diverse circostanze di fatto, comprese nella questione,
potessero condurre a diversa responsabilità, ma non
già quando la responsabilità penale resterebbe sempre
identica, sia che tutte o parte di esse fossero affermate,
od anche una sola, restando a priori esclusa in tal
caso ogni incertezza. (7)
(1-3) Osservò la Corte che « la sorveglianza della quale parla l'art. 422 del cod. pen., può essere permanente per il vincolo civile donde deriva, e può essere anche transitoria, quando per un concorso di circostanze la persona minorenne si trova momentaneamente confidata alla cura di persone a cui deve deferenza e subordinazione, e che un tale vin colo di deferenza, se deriva unicamente dalla credenza religiosa, non
isfugge per tal motivo alle disposizioni della legge positiva; e che sebbene nella più parte dei casi l'eccitamento a corruzione derivi da atti reiterati con pertinace proposito, pur non di meno non può non riscontrarsi in atti quali furono quelli affermati dai giurati, e che par tivano da persona le cui parole, i cui suggerimenti, le cui opere ave vano (per il complesso delle circostanze riunite nel fatto concreto) una efficacia di autorità da rimanere impresse nelle menti delle persone, che ne furono la vittima, e da influire anche per l'avvenire sulla ret titudine del loro giudizio nel valutare l'importanza morale di quei fatti ».
(4-6) « La Corte, ecc. — Considerando che l'obbligo di comparire personalmente all'udienza nelle cause, che si trattano in contraddit
torio, costituisce la regola dei penali giudizi, e questa regola è tanto severa da aver motivato le disposizioni del n. 2, dell'art. 271 di pro cedura penale, che non consente la comparsa per mezzo di procura tore anche nei delitti quando il reato è punibile con pena corporale, ed anche in questa ipotesi nella quale solamente è data facoltà allo
imputato di farsi rappresentare da un procuratore, è detto che col decreto di citazione, questa facoltà può essere tolta. • « Questa speciale disposizione del n. 2 del citato articolo spiega il
concetto, che nel n. 3 debbe attribuirsi alle espressioni « deve sempre « comparire all'udienza ».
« Gli articoli 629 e 630, subordinati a questo concetto fondamentale, dunque, non riconoscono nell'imputato il diritto di non comparire, perchè questa facoltà a lui non appartiene, massime nei giudizi per crimine; essi si limitano a provvedere sul modo di procedere allor
quando l'imputato si ostini a non stare all'udienza. E trattandosi in
quelle disposizioni legislative d'imputato che è in arresto, e sul quale in conseguenza la forza può sempre esplicarsi, è facile comprendere, che il legislatore *si è preoccupato non di una facoltà dell'imputato a non comparire (che questa facoltà egli non ha), ma degli inconvenienti che potessero derivare dal contegno che fosse per tenere all'udienza un imputato che non ci volesse stare ; ed ecco perchè gli art. 628, 629, 630 e 631 stanno riuniti e scritti con una successione progressiva, che chiarisce il concetto del legislatore, e stanno scritti sotto il tit. 8, lib. II, dove si tratta della polizia dell'udienza; quelle disposizioni non ri
guardano atti della procedura, ma i poteri dati al presidente per man tenere la polizia dell'udienza.
« Può stare che l'imputato, pur volendo rimanere all'udienza, in
giuri i testi, o turbi il buon ordine, ed allora potrà d'ordine del pre sidente essere allontanato ; può stare che non voglia comparire, ed allora comanda la legge, che preceda un' intimazione, dietro la quale è lasciata facoltà al presidente o di far tradurre l'imputato colla forza, o di ordinare che si proceda senza di lui alla discussione della causa.
Insomma, quelle disposizioni non sono dettate per dare una facoltà al l' imputato, ma per dare a chi dirige l'udienza le necessarie facoltà onde farla progredire, allorché l'imputato, la cui presenza è procla mata necessaria dall'art. 271, n. 3, volesse turbarne l'andamento.
« Nel provvedimento impugnato non si è dunque violato l'art. 640, perchè avendo il presidente il potere di ordinare la traduzione colla forza dell'imputato, non eccedette ordinandola; non s'impedì all'im
putato di valersi di una facoltà concessagli dalla legge, perchè la fa coltà di far procedere il dibattimento senza la comparsa dell' imputato arrestato in materia criminale, non solamente non era conceduta al
ricorrente, ma gli era interdetta dall'art. 271, n. 3, proc. pen ».
(7) L'imputazione del ricorrente era di eccitamento a corruzione, coll'aggravante dell'art. 422, perchè operata sopra fanciulle riunite
per confessarsi da lui e che non avevano oltrepassato gli anni 15. Il
Il Foro Italiano. — Volume IV. - Parle II. — 33.
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475 PARTE SECONDA 476
(Cassazione Torino, 17 luglio 1879, Pres. Enrico, Est.
Marini, P. M. Gambara (conci, conf.) — Ric. Borasi
Don Luigi Alberto — Giorn. trib., Milano, 1879, 783;
Mon. trib., Milano, 1879, 847).
Baimi — Sion luogo a procedere per mancanza di
dolo — Competenza del giudice penale (Cod. proc.
pen., art. 6).
L'azione civile non può più essere esercitata quando
venga dichiarato non farsi luogo a procedere per non
essere avvenuto il fatto addebitato, o quando l'impu tato venga assoluto per non aver egli commesso il
reato o preso parte allo stesso. (1)
Quando invece venga assodato che il fatto avvenne,
e che ne è autore l'imputato, la pronunzia di non farsi
luogo a procedere per mancanza di dolo, non toglie che il magistrato possa aggiudicare i danni derivati
dal reato alla parte civile. (2)
(Cassazione Torino, 13 marzo 1879, Pres. D'Agliano,
Est. Pasini, P. M. Gambara (Conci, conf.) — Ric. Bo
veri, parte civile, c. Daglio, imputato di danneggia mento mediante recisione di piante — Giorn. trib.,
Milano, 1879, 348; Mon. trib., Milano, 1879, 339; Legge,
1879, I, 863).
fatto era succeduto in una continuazione della medesima seduta, e ri
petuto con parecchie di quelle fanciulle. Sul dedotto vizio di complessità, la Corte suprema osservò che « i
fatti ripetuti con le diverse ragazze cadevano tutti sotto un'unica definizione di legge.
« Laonde, sia che si fossero operati a danno di una sola tra le ra
gazze, o a danno di tutte, il reato sempre esiste ; pertanto nella for mola della questione e nei capoversi A e B, ove ai giurati fu espresso il fatto perpetrato a danno delle fanciulle, che si nominavano, non si omise di dire a danno di entrambe o di una di esse.
« I giurati affermarono, scrivendo l'affermazione a fronte della que stione, sicché per la risposta data, i fatti debbono ritenersi affermati.
« Nè per questo si può dire che la questione sia viziata di comples sità. Questa vizia il verdetto, quando le circostanze diverse di fatto
comprese nella questione menerebbero a diversa responsabilità perso nale ; ma quando la responsabilità penale è identica, sia che tutti i fatti si fossero operati a danno di tutte, sia che una porzione di quegli atti turpi soltanto si fosse compiuta, la responsabilità penale, che de rivò dal verdetto, non può essere annullata per vizio di complessità; imperciocché, nè nell'animo dei giurati quella formo la ha potuto su scitare incertezze, nè la risposta di essi ha potuto lasciare dubbio sul convincimento della reità dell'imputato per le azioni produttrici della condanna.
« L'allegare incertezza nelle risultanze dei danni-interessi, quando anche questa incertezza fosse sostenibile, non sarebbe argomento per annullare La sentenza la quale ha pronunciato la condanna penale e la rivalsa, che di ragione, senza liquidare o attribuire danni-interessi; imperciocché la risultanza penale deriva dal fatto legittimamente af
fermato, e contro cui non si può discettare d'incertezza, e deriva per la forza di una questione formulata sovra richiesta della parte con deliberazione per questo capo non protestato. Nella causa non vi fu costituzione di parte civile, non liquidazione o attribuzione di danni, sicché non vi fu discussione nè ripartizione d'indennizzo da potersi qualificare ingiusta ».
(1-2) « La Corte, ecc. — Considerando, che se è vero che ove non esiste reato, non vi può essere esercizio d'azione penale, e quindi nem meno esercizio d'azione civile dinanzi al giudice penale, tale principio è soltanto applicabile nel caso in cui l'inesistenza del reato sia rico
nosciuta, prima che l'azione penale sia portata alla cognizione del
giudice stesso ; ma quando il fatto denunciato presenta i caratteri
giuridici d'un reato, e l'azione penale è promossa, e così quando si è verificata la condizione da cui dipende l'esercizio dell'azione civile dinanzi al giudice penale, e quando infine con la costituzione di parte civile si è compiuto il fatto, onde il giudice stesso è investito della
giurisdizione per conoscere dell'una e dell'altra azione, l'accennato
principio non può più ricevere alcuna applicazione, sottentrando l'altro
regolatore della giurisdizione, proclamato dalla legge 30, ff. clejudicis, per la quale è stabilito che : « ubi acceptum est sem et judicium, ibi « et fìnem accipere debet » ;
« Che d'altronde introdotta, accessoriamente alla penale, l'azione
civile, nasce tra le parti il contratto giudiziario in forza di cui cia scuna delle parti intende ad aver ragione, nella sede penale, delle ri
spettive domande relative ai loro interessi civili ; ed il far dipendere dall'esito del giudizio penale, l'esercizio dell'azione civile già speri mentata nel giudizio stesso, importerebbe la violazione del contratto
medesimo, non che della legge, la quale non può aver dato diritto al
danneggiato "d'esercitare la sua azione civile nel giudizio penale senza
assicurarlo in pari tempo che sulle sue domande sarebbe pronunziato; altrimenti ne avverrebbe che la parte civile, dopo aver sostenuto le
spese del giudizio in sede penale, sarebbe costretta a novello dispendio dinanzi al giudice civile, per ciò solo che fosse dichiarato non esservi
reato ; il che ripugna a ragione e ad una ben ordinata amministra
zione della giustizia; « Che quindi l'esito del giudizio potrà bensì influire sul merito del
l'azione civile, ma non può far cessare la giurisdizione del giudice, che ne fu legittimamente investito, e che in lui non vien meno, se
non se con la pronuncia della sentenza, la quale deve far ragione alle
parti, che hanno invocato la sua autorità per risolvere la controversia
tra essi esistente; « Considerando che ciò è tanto vero, che se noi fosse mal si com
prenderebbe come il legislatore con gli art. 570 e 577 cod. proc. pen., nel caso d'assoluzione dell'imputato, avesse autorizzato il giudice pe nale a condannare la parte civile al risarcimento dei danni verso il
medesimo e persino alla restituzione di quanto questi avesse pagato alla
parte civile a titolo di danni, poiché se per l'assoluzione dell'impu tato il giudice rimanesse spogliato della sua giurisdizione a pronun ciare in ordine alle conseguenze civili del giudizio penale, quegli non
potrebbe certamente occuparsene, e l'imputato dovrebbe agire in via
civile dinanzi al giudice competente ; « Che d'altra parte, nel caso di condanna della parte civile all'in
dennità in favore dell' imputato assoluto, il fatto generatore del danno
da questo subito non è già quello che formò l'oggetto dell'imputa
zione, e che sotto le forme del reato investì il giudice penale della
cognizione di esso, ma la temerità, la colpa, l'imprudenza della parte
civile, che con la sua querela fece luogo all'ingiusto procedimento
penale, mentre la condanna dell' imputato assoluto al risarcimento del
danno verso la parte civile, ha la sua base giuridica nel fatto, che fu
l'oggetto dell'imputazione e del giudizio; di che consegue come a
maggior ragione debbasi in questo caso mantenere nel giudice penale la giurisdizione di cui fu investito pel contemporaneo esercizio del
l'azione penale e dell'azione civile, e quindi il diritto in lui ed il do
vere di pronunciare sopra entrambe; « Che un'eccezione a siffatta norma giurisdizionale è fatta dall'art. 5
cod. proc. pen., soltanto nell'ipotesi in cui l'imputato muoia prima d'esser definitivamente giudicato, per l'evidente ragione, che l'esercizio
dell'azione civile non può aver luogo, che come accessorio di quello dell'azione penale, la quale, come non può intentarsi, così non può con
tinuarsi contro una persona, che ha cessato di vivere ; e però nell' ipotesi sovra indicata è applicabile tanto il principio preaccennato relativo allo
esercizio dell'azione penale, quanto l'altro regolatore della giurisdizione, in quanto che, venuta meno per morte la persona che doveva essere
giudicata, vien anche a cessare la giurisdizione penale, e per giuridica
conseguenza la giurisdizione in ordine all'azione civile, che si basava
sull'esistenza del giudizio penale, che non può più aver luogo; « Che non vale poi l'opporre le disposizioni degli art. 569, 570 e 571
cod. proc. pen., dei quali si denuncia la violazione, e che non possono essere stati violati, perchè non recano divieto al giudice penale di
pronunciare nel caso di assoluzione dell' imputato sui danni chiesti
dalla parte civile; avvegnaché se in essi articoli non è configurata
l'ipotesi or accennata, 1' unica conseguenza che se ne possa derivare
quella si è che la legge non ha per questo caso provveduto ; il che
non importa impedimento al giudice di far ragione alle parti, secondo
i principi generali del diritto ».
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477 GIURISPRUDENZA PENALE 478
Verbale «li dibattimento — Firma «lei cancelliere
(Cod. proc. pen., art. 316). È nullo il verbale di dibattimento se vi manchi la
firma del cancelliere, quantunque vi sia quella del pre
sidente. (1) Tale nullità trae seco la nullità della sentenza. (2)
(Cassazione Torino, 28 luglio 1879, Pres. Montagnini,
Est. Malagoli, P. M. Gambara (Conci, conf.) — Ric. 01
cese — Mon. trib., Milano, 1879, 892; Gior. trib., Mi
lano, 1879, 841).
Appello —
Oltraggio alla forza pubblica — Parole
ritenute «lai pretore — Qualificazione in appello
(Cod. proc. pen., art. 353).
Se il pretore giudicando intorno ad un reato di ol
traggio verso un agente della forza pubblica, fondi la
sua sentenza sopra alcune espressioni, riconoscendo
però che anche altre furono pronunciate, il Tribunale,
investito della causa per appello del solo condannato,
ha facoltà di fondare il suo giudizio anche su quelle
altre espressioni. (2)
(Cassazione Torino, 5 giugno 1879, Pres. Montagnini,
Est. Longhi, P. M. Gambara (Conci, contr.) — Ric. Pai
meri— Mon. trib., Milano, 1879,647; Giorn. trib., Mi
lano, 1879, 621).
Itagione fattasi — Estremi — Aggravante «Ielle armi
— Comunicabilità ai'correl (Cod. pen., art. 286, n. 2,
e 288).
Quando una cosa è posseduta da taluno animo et
corpore ed in forza di giusto titolo, qual è un acquisto fatto in buona fede, la turbativa di tale possesso sotto
pretesto di un prevalente diritto di proprietà costi
tuisce il reato di esercizio arbitrario delle proprie
ragioni. (1) La circostanza aggravante, costituita dall'essere stata
commessa violenza con armi, si comunica a tutti gli
autori, e quindi anche a chi effettivamente non fosse
stato munito di quelle. (2)
(Cassazione Torino, 26 giugno 1879, Pres. Enrico, Est. Malagoli, P. M. Pozzi (Conci, conf.) — Ric. Im
berti Ferdinando e Giovanni — Giorn. trib., Milano,
(1-2) « La Corte ecc. — Attesoché sta in fatto che il verbale del dibattimento della causa in'esame davanti la Corte d'assise è bensì firmato dal presidente della medesima, ma non vi si riscontra la sot toscrizione ad un tempo del cancelliere che avrebbe avuto a redigere detto verbale. E ne apparirebbe che sarebbe stato tal funzionario certo
Agostino Mongiardini, vicecancelliere, che ora non è più tra i viventi ; « Attesoché è una necessità giuridica l'esistenza del verbale di dibat
timento. Somministra il verbale la prova solenne ed autentica che la sentenza fu preceduta dal dibattimento, che vennero osservate tutte le forme prescritte dalla legge a pena di nullità, e costituisce quindi per tal modo la base legale della sentenza, di guisa che non può questa reggersi, quando il verbale sia radicalmente difettivo. E non può esi tarsi poi a riguardarlo tale ove manchi nel medesimo la firma del
cancelliere, sebbene ne appaia quella del presidente, perchè non si ha
più quel verbale d'udienza compiuto e perfetto che è dalla legge pre scritto. E adunque manifesta la nullità del verbale nella specie, e in
conseguenza nulla è altresì la sentenza che ebbe sul medesimo a fon darsi ; ed è in questo senso costante la giurisprudenza ».
(2) « La Corte, ecc. — Attesoché se è vero che il pretore ebbe a di chiarare convinto il Palmeri del reato d'oltraggio sul fondamento della sola parola imbecille diretta allo Scrigna, agente manuale ferroviario, è altresì costante che nei motivi della sua sentenza ebbe ben anco a ritenere che lo stesso Palmeri ebbe pure ad ingiuriarlo colla parola di balordo, la quale, se egualmente non la pose a base del suo giu dicato, fu però ben lungi dall'escluderla come offensiva, avendo sol tanto premesso in via d'ipotesi che, ove pure l'epiteto balordo non valesse offesa, vi era però sempre quello d'imbecille ;
« Che a fronte di queste circostanze di fatto, fuori di proposito si sostiene dal ricorrente che non potesse più il Tribunale senza l'appello del P. M. fondare l'imputazione d'oltraggio sulla parola suddetta di
balordo, dacché come si disse, essendo stata ritenuta dal pretore come
proferta, e non escluso in termini positivi che fosse offensiva, ha po tuto legalmente il Tribunale prenderla ad esame, e riconosciuta ol
traggiosa, fondare su di essa il suo giudicato ; « Che a viepiù dimostrare che la parola balordo non era stata
esclusa dal pretore come altra delle parole offensive, concorre il si stema di difesa tenutosi avanti il Tribunale, dove si assunse di pro posito a dimostrare che non fu intenzione del Palmeri di offendere il guardiano Scrigna colla parola suddetta ».
(1) « La Corte, ecc. — Attesoché è in modo incensurabile posto dalla denunziata sentenza, che insorta controversia tra Nicola Peliz zari ed i ricorrenti, a chi di loro a preferenza avessero a spettare le piante travolte dal torrente Roruna, e abbandonate nel canale del medesimo in vicinanza delle loro terre, il sindaco, a possibilmente comporli, mandò sul luogo i reali carabinieri, i quali, nella inutilità di ogni tentativo d'accordo, ordinarono, che le piante avessero a ri manere là ove giacevano, fintantoché la competente autorità, a cura di essi pretendenti, avesse a definire la vertenza.
« Cotesto provvedimento, qualunque ne sia la natura, manifesta mente lasciava intatti i diritti delle parti, senza che frattanto, l'una avesse a preferenza dell'altra a conseguire il possesso delle contese piante. In tale stato di cose, il Pelizzari si fece lecito senz'altro d'im
possessarsi di queste piante, e, ridottele sulle proprie ragioni, quivi ne fece poi vendita a Giuseppe Martinelli, che in buona fede le avrebbe acquistate.
« Senonchè, nella notte imminente, le piante vennero di là rimosse e
trasportate - e non risulterebbe da chi, e come - non già sulle ragioni di essi ricorrenti, come vorrebbero coloro far credere, ma solo in vi cinanza delle medesime. Ma il Martinelli, il domani subito, con operai recatosi sul luogo per metter mano alle piante, e là, dove le aveva
comprate non rinvenutele, le andò a rintracciare ove erano state tra
sportate, e diede incominciamento a ridurle in pezzi ed a passarle dove aveva pronto il mezzo di trasporto.
« Ora, lasciando di scrutare la natura della detenzione del Peliz zari, non si può esitare, dopo tutto ciò a riconoscere che il Martinelli fosse nel legittimo possesso di coteste piante animo et corpore, e in forza di giusto titolo.
« E fu a questo punto, che si presentarono i ricorrenti con mi nacce; e PImberti seniore armato di falce, poscia di scure; costrinsero il Martinelli e gli operai a desistere dal lavoro, ed anzi il Martinelli, che reclamava i suoi diritti, ebbe dall'Imberti stesso seniore ad es sere inseguito colla scure e minacciato, senza però essere raggiunto od offeso.
« E adunque manifesto, che in cotesta esatta condizione di cose, accertata dalla sentenza impugnata, i ricorrenti lungi dal difendersi nel possesso delle piante, di cui ne manca ogni elemento, turbarono invece quello legittimamente acquisito dal Martinelli, e lo turbarono con violenze verso le persone ampiamente dimostrate da quel loro ir rompere con minacce, e il padre armato. E come agivano al solo og getto di esercitare un preteso diritto, vero od in buona fede opinato, è irrecusabile l'applicazione dell'art. 286, n. 2, cod. pen. »
(2) « Riguardo a questo punto osservò la suprema Corte che la con correnza attiva ed immediata dell'Imberti figlio alla esecuzione del reato, lo costituiva nella identica condizione giuridica del proprio padre, e perciò lo rendeva egualmente imputabile. Epperò era irrilevante che, a differenza del padre, non avess'egli ad essere armato; imperocché, è circostanza cotesta incontestabilmente comunicabile, siccome si uni fica al fatto, e ne costituisce circostanza materiale, e per ciò non può il ricorrente sottrarsene per essere stata essa un mezzo cui ben sa peva diretto, almeno all'atto del reato, alla esecuzione del medesimo ».
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479 PARTE SECONDA 480
1879,724 ; ilIon. trib., Milano, 1879, 806; Riv. pen., XI, 29;
Legge, 1879, I, 85; Bettini, 1879, 1010).
Dibattimento — Letture — Interrogatori di coim
fiutati prosciolti.
Gl'interrogatori degl'imputati rispetto ai quali fu
dichiarato non esser luogo a procedimento, costitui
scono un documento del processo, la cui lettura non è
vietata da alcuna disposizione di legge, e le parti hanno
il diritto di domandarla. (1)
Epperò è nullo il dibattimento, se la Corte abbia re
spinta la domanda della difesa, tendente a far dare
lettura di uno dei detti interrogatori.
(Cassazione Torino, 26 luglio 1879, Pres. Montagnini, Est. Pasini, P. M. Gambara (Conci, pel rigetto della do
manda) — Ric. Piccioli e Lombardini — Giorn. trib.,
Milano, 1879, 1018, Mon. trib., Milano, 1879, 1076; Bet
tini, 1879, 1137).
Furto ali fucile — l'orto «l'arimi — l&eato sinico.
Il furto di uno schioppo non può costituire nel me
desimo tempo due reati distinti, cioè il furto ed il porto d'arma lunga da fuoco. (1)
(Appello Catanzaro, 6 agosto 1879, Pres. ed Est.
Collenza — Causa De Vito Gregorio — Foro calabrese,
I, 46).
(1) Considerò la suprema Corte che contro il principio contenuto nella massima « non vale l'obbiettare, che una volta che, in ordine
all'imputato, è intervenuta ordinanza che disse non essere luogo a
procedere contro di lui, le cose dal medesimo esposte nel suo inter
rogatorio devono considerarsi come la deposizione di un testimonio. E invero, le dichiarazioni di una. persona intesa come imputato, non
possono assumere il carattere giuridico di una deposizione di testi monio perciò solo, che la persona stessa cessò di essere nella condi zione di imputato, non potendo questo fatto, postumo alle sue dichia
razioni, far venir meno l'indole peculiare ed intrinseca, che esse
avevano, allorché furono fatte, inquantochè nella condizione d'impu tato, era lecito alla persona preaccennata di dire ciò solo, che essa credeva poter giovare alla sua difesa. E deposizioni di testimonio non
possono poi essere fuor quelle che emanano da persona che poteva
essere assunta a fare testimonianza, e che per non essere imputata, le fece con piena libertà della sua coscienza ».
La sentenza accenna inoltre alla sua conforme costante giurispru denza. V. infatti, in senso conforme, stessa Corte, 10 aprile 1878
(Foro it., 1878, II, 325) ed altre. Per la giurisprudenza delle altre
Corti, vedi la nota a col. 156 del Foro it., 1878.
(1) «L'invocato art. 105 del Cod. pen. non offre argomento di sorta
per affermare la contraria tesi, riflettendo esso le circostanze e le
qualità o permanenti o accidentali inerenti alla persona, e per le quali o si toglie o si diminuisce o si aggrava la pena di taluni degli autori od agenti principali, o de' complici. Codeste circostanze e qualità, come l'età minore, il vizio totale o parziale di mente, le scuse, eccetto in taluni casi ed altre contingenze personali, non si calcolano per esclu
dere, diminuire od aumentare la pena riguardo agli altri autori od
agenti principali o complici nel medesimo reato ; come le circostanze materiali che aggravano la pena del reato non nuocciono che agli autori, o a coloro tra i complici i quali ne avessero avuto la scienza nel momento dell'azione o della cooperazione costituitiva della loro reità.
« Il fucile costituisce il compendio furtivo non potendosi separare dal furto nella contingenza di tempo e di luogo del reato, non può ad un tempo essere obbietto di due reati e di due penalità. Nelle materie
penali non è permesso argomentare per analogia, ma vuoisi un testo che ipotizzi il fatto e lo punisca, ed ove vi sia luogo ad interpreta zione è ben nota la regola che in poenalibus causis benignius inter
pretandum est - facta quae dubium est, quo animo fìant, in meliorem
partem interpretando, sunt. Ed è notissimo l'aforismo di Bacone: Durum est torquere leges ad hoc ut torquant homines. Non placet igitur estendi leges poenales ».
Fine della Parte Seconda.
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