sentenza 16 marzo 1987; Giud. Silva; Cornale ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.265/266-277/278Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179658 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
Ugualmente, tuttavia, l'effettuata oblazione estinguerebbe —
secondo le conclusioni della difesa dell'imputato — i reati con
travvenzionali ai sensi dell'art. 39 1. cit. — che nell'ipotesi che
«le opere non possano conseguire la concessione in sanatoria»
ricomprenderebbe non solo quelle (ultimate entro il 1° ottobre
1983, ma) in contrasto con i vincoli previsti dall'art. 33 1. cit., ma anche quelle ultimate dopo il termine indicato — o, in subor
dine, imporrebbe la sospensione ex art. 44 1. cit.
Questa interpretazione estensiva dell'inciso dell'art. 39 dimo
stra la persistente attualità dell'antica regola ermenenutica, se
condo cui incivile est, nisi tota lege perspecta, una aliqua particu la eius proposito iudicare vel respondere (Dig. 1,3, 24): sol, in
fatti, che si consideri che il capo quarto della 1. 47/85 riguarda esclusivamente la categoria delle opere abusive «ultimate entro
la data del 1° ottobre 1983», non può non ricollegarsi sistemati
camente il detto inciso alla sottocategoria delineata dall'art. 33,
comprendente le opere non suscettibili, in eccezione alla regola stabilita dall'art. 31, di sanatoria, pur risultando ultimate entro
il 1° ottobre 1983. Che solo a queste opere, delimitate tempora
neamente, l'art. 39 ricolleghi il citato effetto estintivo delle con
travvenzioni è confermato dalla «tabella di misura della oblazio
ne» che riguarda tutte le opere abusive per le quali è ammessa
l'oblazione (e non solo quelle suscettibili di sanatoria: questo,
infatti, è un giudizio discrezionale, formulato successivamente dalla
p.a. e non condizionante l'effetto estintivo delle contravvenzioni,
ricollegato al mero pagamento integrale dell'oblazione). Le coordinate di questa tabella sono rappresentate per un ver
so dal «tipo di abuso commesso» (in ordine decrescente di gravi tà: dalle opere prive di concessione e in contrasto con gli stru
menti urbanistici a quelle di manutenzione straordinaria) e peral tro verso dal «tempo in cui l'opera abusiva è stata ultimata» (art.
34), che si ferma al 1° ottobre 1983. Nessun riferimento trovano,
pertanto, in questa tabella le opere ultimate dopo la data indica
ta, per le quali, infatti, chi sostiene ugualmente la possibilità di
oblazione è costretto a ricorrere, con evidente incongruità logica e finanziaria, alla tabella delle opere ultimate entro il 1° ottobre
1983. Che questo sia il termine di applicazione della disciplina contenuta nel capo quarto della 1. 47/85 emerge, del resto, anche
attraverso l'utilizzazione — rilevante quando si tratti, come nella
specie, di leggi recenti — dell'argomento, cosiddetto psicologico, della volontà del legislatore, che risulta notoriamente e univoca
mente dai lunghi lavori preparatori della legge e dai ricorrenti
tentativi di gruppi politici e parlamentari di «allungare» il detto
termine fino, almeno, a farlo coincidere con la data di entrata
in vigore della legge: tentativi riproposti ancora recentemente in
sede di dibattito parlamentare per la conversione in legge del d.l.
9 dicembre 1986 n. 823.
Secondo un ultimo argomento — per vero funzionale, ove ri
sultasse fondato, ad un'eccezione di illegittimità costituzionale —
la proposta interpretazione estensiva eviterebbe un'ingiustificata
disparità di trattamento tra chi abbia costruito in zone inedifica
bili prima del 1° ottobre 1983, e chi, invece, successivamente a
tale data abbia costruito senza concessione un'opera conforme
agli strumenti urbanistici e quindi perfettamente inserita nel terri
torio: quest'ultimo, pur autore di una violazione meramente for
male, andrebbe per motivi puramente temporali soggetto a con
danna, mentre il primo, autore di una violazione urbanistica, ben
più grave perché sostanziale, conseguirebbe l'effetto estintivo pre visto dall'art. 39.
L'argomento non è posto correttamente, confrontandosi situa
zioni non omogenee. Invero, bisogna distinguere — sul comune
presupposto dell'assenza di concessione — tra opere conformi e
opere non conformi agli strumenti urbanistici.
Nel caso di opere conformi non v'è sostanziale disparità di trat
tamento tra chi abbia costruito prima e chi abbia costruito dopo il 1° ottobre 1983: se il primo può conseguire l'effetto estintivo,
procedendo all'oblazione, grazie all'art. 38, anche il secondo può
conseguirlo — ove abbia ottenuto il cosiddetto «accertamento di
conformità» ed effettuato il «pagamento, a titolo di oblazione,
del contributo di concessione in misura doppia» (art. 13) — gra zie all'art. 22. Questa norma, invero, per il principio di successio
ne delle leggi penali (art. 2, 2° cpv., c.p.) è applicabile anche
ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della 1. 47/85, es
sendo più favorevole all'imputato. La diversità di trattamento si profila soltanto nel caso di opere
in contrasto con gli strumenti urbanistici, potendo conseguire l'ef
fetto estintivo delle relative contravvenzioni esclusivamente (se condo l'interpretazione qui accolta) chi le abbia eseguite prece dentemente al 1° ottobre. Nessuna disuguaglianza costituzional
Ii Foro Italiano — 1988.
mente rilevante, tuttavia, si configura, trattandosi dell'effetto di
un atto di clemenza (una sorta di amnistia sottoposta alla condi
zione dell'effettuazione dell'oblazione), che rientra nell'assoluta
discrezionalità del legislatore fissare nel tempo, si che nessuna
doglianza può essere avanzata da chi abbia commesso un rado
dopo il termine entro il quale il legislatore ha deciso di usare
clemenza.
Quest'ultimo argomento finisce, peraltro, per gettare una luce
sinistra, sotto il profilo teleologico, sulla proposta interpretazio ne estensiva: piuttosto che, secondo le intenzioni dichiarate, ri
volta alla tutela degli autori di violazioni urbanistiche solo for
mali (in realtà, come s'è visto, tutelati direttamente dalla legge: art. 13 e 22 1. 47/85 e art. 2 c.p.), essa è funzionale agli interessi di chi ha costruito opere contrastanti con gli strumenti urbanistici
e, quindi, inedificabili: di chi, cioè, ha contribuito a devastare il territorio e l'ambiente, non di rado facendone scempio.
L'interpretazione estensiva dell'art. 39, già ermeneuticamente
improbabile, finisce cosi per favorire (per giunta, indiscriminata
mente: al di fuori, cioè, di singoli casi di provata necessità socia
le) questi interessi, del tutto immeritevoli di tutela, e non può,
quindi, non essere severamente disattesa.
Va, pertanto, pronunciata la condanna dell'imputato, sia pure
per la sola violazione urbanistica, non essendovi luogo a procede re in ordine a quelle relative al cemento armato, estinte per amni
stia.
Pena congrua, attesa la notevole entità del manufatto, è l'arre
sto per quattro mesi e quindici giorni e lire 4.500.000 di ammen
da, per ciascun imputato, che si riduce di un terzo per la conces
sione delle attenuanti generiche, di cui gli stessi appaiono merite
voli siccome incensurati. Per questo motivo si concede il benefi
cio della sospensione condizionale della pena. Delle opere abusivamente realizzate va ordinata la demolizio
ne, come disposto dall'art. 7, 9° comma, 1. 47/85. La natura
giuridica di tale provvedimento sembra essere, invero, quella (non di pena accessoria, ma) di misura di sicurezza volta ad eliminare
(come l'analogo ordine di demolizione previsto dall'art. 23, 2°
cpv., 1. 2 febbraio 1974 n. 64, rispetto alle esigenze dell'incolumi
tà pubblica nelle zone sismiche) le conseguenze dannose o perico lose del reato rispetto alle esigenze di tutela e governo del territo
rio (art. 1 1. 10/77). Poiché, «le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione» (art. 200
c.p.) e non della commissione del reato, va applicata nella specie la misura di sicurezza prevista dall'art. 7, 9° comma, 1. 47/85.
PRETURA DI VOLTRI; sentenza 16 marzo 1987; Giud. Silva; Cornale ed altri.
PRETURA DI VOLTRI;
Incolumità pubblica (reati contro la) — Getto pericoloso di cose — Emissioni di fumo — Attivazione irregolare — Rispetto dei
valori indicativi di inquinamento atmosferico — Reato — Sus
sistenza (Cod. pen., art. 674; 1. 13 luglio 1966 n. 615, provve dimenti contro l'inquinamento atmosferico; d.p.r. 10 settem
bre 1982 n. 915, attuazione delle direttive (Cee) n. 75/442, rela
tiva ai rifiuti, n. 76/403, relativa allo smaltimento dei policlo rodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319, relativa ai rifiuti
tossici e nocivi). Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Disciplina — Questione mani
festamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 10, 76, 117;
d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915). Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Rifiuto minerario — Nozione
(D.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, art. 2). Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Stoccaggio di rifiuti — Appli
cabilità della legge statale in carenza della legislazione regiona le di attuazione (D.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, art. 33).
Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Smaltimento di rifiuti — Atti
vità preesistente — Disciplina (D.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, art. 32).
Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Stoccaggio di rifiuti in azien
da — Autorizzazione — Obbligo (D.p.r. 10 settembre 1982 n.
915). Ambiente (tutela dell') — Danno ambientale — Enti territoriali
— Costituzione di parte civile — Ammissibilità — Risarcimen
to (L. 8 luglio 1986 n. 349, istituzione del ministero dell'am
biente e norme in materia di danno ambientale, art. 18).
Le emissioni di fumo attivate irregolarmente, ovvero al di fuori dei casi consentiti dalla legge (perché non denunciate o non
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PARTE SECONDA
autorizzate, o perché eccedenti i limiti di portata e concentra
zione indicati nei provvedimenti autorizzativi) sono punibili a
norma dell'art. 674 c.p., anche se non superano i valori che
la l. 615/66 e il d.p.r. 915/82 ritengono indicativi di inquina mento atmosferico. (1)
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzio nale del d.p.r. 915/82, sui rifiuti solidi, in riferimento agli art. 76, 117 e 10, 1° comma, Cost. (2)
Il concetto di rifiuto minerario, cui si riferisce l'art. 2, 7° com
ma, d.p.r. 915/82 al fine di escludere lo stesso dalla sfera di
efficacia del citato decreto, è limitato ai residuati di lavorazioni
che si risolvono nel trattare meccanicamente il minerale con
attività estrattive e non riguarda i casi in cui la lavorazione altera la composizione chimica delle materie prime lavorate. (3)
L'operatività del d.p.r. 915/82 può ritenersi sospesa fino all'ema
nazione delle leggi regionali, previste dall'art. 33 dello stesso, solo per le attività di smaltimento preesistenti al decreto in pa
rola, ai cui impianti le sopravvenute norme impongono modifi che; tale sospensione opera solo per il regime definitivo istitui
to dalla legge sui rifiuti, e non per gli obblighi vigenti nel regi me transitorio, che sono comunque vincolanti a partire dall'en
trata in vigore della legge stessa. (4)
(1) Il principio affermato trova conforto in giurisprudenza e dottrina, concordi nell'affermare l'autonoma operatività dell'art. 674 c.p. anche in assenza del superamento dei limiti tabellari: infatti, quest'ultimo è sol tanto uno dei molteplici modi attraverso cui è possibile provare l'attitudi ne dei fumi emessi a nuocere o molestare. Prescindendo da Cass. 29 apri le 1985, Diliberto, peraltro solo massimata in Foro it., Rep. 1986, voce Incolumità pubblica (reati), n. 37, dalla quale si evince, in contrario, che «l'art. 674 c.p. condiziona la punibilità ai casi non consentiti dalla
legge», si che «per le emissioni... nell'atmosfera da parte dell'industria deve tenersi presente la normativa di cui alla 1. 13 luglio 1966 n. 615», precedenti in senso conforme si rinvengono in Cass. 16 aprile 1985, Boni
Brivio, ibid., n. 38, e voce Sanità pubblica, n. 226, con nota di S. Ma
glia, Inquinamento atmosferico e getto pericoloso di cose, in Riv. pen., 1986, 51; 12 maggio 1983, Guzio, Foro it., Rep. 1984, Incolumità pubbli ca (reati), n. 47, con nota di F. Giampietro, Sul rapporto tra l'art. 674
c.p. e la normativa antismog, in Cass. pen., 1985, 1369; Pret. Menaggio 22 settembre 1982, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 27; Pret. Taranto 14 luglio 1982, ibid., n. 29, annotata da R. Fuzio, L'art. 674 c.p. e la rilevanza dei limiti della legislazione speciale antismog, in Giur. meri
to, 1983, 677; Pret. Pietrasanta 22 luglio 1982, Foro it., 1983, II, 101.
(2) I responsabili della società convenuta tentano, ancora una volta, la via difensiva già esperita senza successo nel precedente giudizio innanzi alla Pretura di Sestri Ponente, conclusosi con sentenza di condanna del 22 febbraio 1986 (Foro it., 1987, II, 742, e, con nota di G. Amendola, La sentenza Stoppani - Un punto di riferimento importante per la difesa dall'inquinamento da rifiuti, in Giur. merito, 1986, 886), in cui si eccepi va l'illegittimità costituzionale del d.p.r. 915/82 sotto vari profili: con riferimento all'art. 76 Cost., per aver ecceduto i limiti fissati nella legge di delega 9 febbraio 1982 n. 42, che imponeva il rispetto delle competenze regionali ex art. 6 d.p.r. 616/77, e per eccesso rispetto alla stessa delega, nella parte in cui imponeva di rispettare i principi della direttiva Cee
78/319; con riferimento all'art. 117 Cost., per aver invaso con norme di dettaglio la competenza legislativa regionale; per contrasto con l'art. 10 1° comma, Cost., in relazione agli art. 7 e 102 del trattato istitutivo
Cee, per aver dettato norme più severe di quelle contenute nelle conven zioni e direttive comunitarie.
Le eccezioni sono state nuovamente respinte: in merito al primo punto, per la facoltà, dalla stessa direttiva 78/319, art. 8, riconosciuta agli Stati membri di adottare, in materia, norme più rigorose, e per la natura sem
plicemente concorrente della competenza legislativa regionale nei confronti di quella statale; con riguardo all'art. 117 Cost., poiché né la materia
dell'inquinamento, né quella dei rifiuti rientrano tra quelle riservate alle
regioni; inutile poi il ricorso all'art. 10 Cost., non sussistendo alcuna violazione di norme di diritto internazionale, stante la previsione di cui all'art. 8 della direttiva 78/319 su menzionata.
(3) In senso conforme, v. Pret. Sestri Ponente 22 febbraio 1986, cit.
(4) Non si rinvengono precedenti. Il principio su esposto, però, ripete quello già enunciato in Pret. Sestri
Ponente 22 febbraio 1986, cit., al fine di precisare che lo smaltimento in mare dei rifiuti tossici è di per sé attività vietata in forza dell'art. 26 d.p.r. 915/82 e che tale normativa, anche in carenza di legislazione regionale, è sufficiente a determinare l'applicazione delle sanzioni penali ivi previste. Si rincarava, anzi, col rilevare che, quand'anche sopraggiun ga la prevista legge regionale, quella statale può essere invocata quale fonte integrativa per una completa disciplina della materia stessa.
Nel caso di specie, invece, essendo stata constatata un'attività di smal timento preesistente alla nuova legge sui rifiuti, non rientrante nel regime transitorio, e che non comportava la necessità di alcuna modificazione
agli impianti o attrezzature, ma solo il corretto utilizzo di quelle esistenti, non si sono rinvenute ragioni per escludere l'operatività dell'art. 27 d.p.r. 915/82.
In dottrina, v. F. Giampietro, Profili amministrativi e penali del d.p.r. 915/82 sullo smaltimento di rifiuti, in Nuovo dir., 1984, 454.
11 Foro Italiano — 1988.
L'art. 32 d.p.r. 915/82, che prescrive ai titolari di attività di smal
timento già esistenti di adottare tutte le misure necessarie ad
evitare un deterioramento della situazione ambientale fino al
l'entrata in vigore delle leggi regionali che conterranno norme
integrative e di attuazione del citato decreto in merito all'orga nizzazione dei servizi di smaltimento e alle procedure per lo
svolgimento dei controlli ed il rilascio delle autorizzazioni, pur essendo norma transitoria, opera anche nel caso in cui sia già
effettivo il regime definitivo; solo l'emanazione della normati
va regionale determina la decadenza del citato art. 32. (5) A norma del d.p.r. 915/82, lo stoccaggio in azienda dei materiali
di rifiuto va considerato fase di smaltimento soggetta all'obbli
go di autorizzazione. (6) Gli enti territoriali (regione e comune), costituitisi parti civili in
un giudizio per inquinamento, hanno diritto al risarcimento del
danno ambientale in concreto subito per la lesione della sfera
funzionale loro attribuita dall'ordinamento. (7)
(5) L'unico precedente è rappresentato da Pret. Rieti 16 marzo 1985, Foro it., 1986, II, 110. In dottrina, v. P. Giampietro, Le disposizioni transitorie sullo smaltimento dei rifiuti secondo il d.p.r. 915/82: regime amministrativo e sanzioni penali, in Foro amm., 1984, 1055; nonché [F. e] P. Giampietro, Lo smaltimento dei rifiuti. Commento al d.p.r. 915/82,
Maggioli, Rimini, 1985, 316 ss.
(6) Non constano precedenti. Tuttavia, il pretore si avvale, ancora una volta, di una nozione consoli
data di «rifiuto», intesa quale residuato che non può più essere riutilizza to dallo stesso produttore: cfr. Pret. Vicenza 27 settembre 1984, Foro
it., Rep. 1986, voce Sanità pubblica, n. 232; Pret. Asti 10 gennaio 1986, id., 1986, II, 443; in dottrina, v. F. Giampietro, Autorizzazione allo
stoccaggio provvisorio dei rifiuti tossici e nocivi all'interno dell'insedia mento produttivo: profili amministrativi e penali, in Trib. amm. reg., 1985, II, 301.
(7) La sentenza in epigrafe fornisce una tra le prime indicazioni giuris
prudenziali sull'applicazione dei principi che — si sperava — potessero essere non solo sottesi, ma chiaramente enunciati dall'art. 18 1. 349/86
(v., da ultimo, Pret. Pietrasanta, 23 febbraio 1987, Foro it., 1987, II, 714, nonché Pret. Sestri Ponente 22 febbraio 1986, cit.). Il tentativo di rendere giustizia si scontra però, nel caso di specie, con l'angustia del
petitum e con le tassative previsioni della norma, peraltro indifferente al più consono livello organizzativo degli interessi realmente esistenti in favore dell'ambiente.
In apertura di dibattimento, il Pretore di Voltri ha ammesso la costitu
zione, come parti civili, della regione Liguria, del comune di Arenzano e del comune di Cogoleto (cfr. Pret. Sestri Ponente 22 febbraio 1986,
cit.) che assumevano di aver subito, in conseguenza dell'attività denun
ciata, un danno ravvisabilè nella «lesione della sfera funzionale loro attri buita dall'ordinamento, con specifico riguardo alle funzioni collegate al
l'integrità del territorio e dell'ambiente». Al fine di accertare se effettiva mente sussistesse un danno risarcibile per la regione e i due comuni inter
venuti, il pretore ha svolto la sua indagine prendendo le mosse da quanto stabilito nel citato art. 18 e dalla figura di «danno ambientale» in esso delineata. Dopo un breve excursus condotto tra le righe della norma, da cui argomentava — e non a torto — che «la natura dei soggetti titolari del diritto al risarcimento e del bene risarcibile» depone nel senso che «il danno che l'art. 18 fa oggetto di tutela è qualcosa di diverso dai danni tradizionalmente considerati risarcibili come conseguenze del rea
to», il giudice ha pronunciato, come richiesto — ma non senza forzature del dettato normativo — condanna generica al risarcimento in loro favo
re, avendo individuato la ricorrenza del danno nella compromissione del l'effettività dell'intervento pubblico, per avere, l'attività lesiva, impedito lo svolgimento di un controllo sulla stessa e perciò pregiudicato le funzio ni di tutela ambientale riservate agli enti pubblici intervenuti.
Preme preliminarmente osservare, al riguardo, che, seppure corretta
è, a norma del richiamato articolo, l'individuazione dell'oggetto di tutela in «beni immateriali... diversi da quelli tradizionalmente considerati ri
sarcibili», piuttosto azzardata appare l'identificazione dello stesso nel «pro ficuo esercizio delle funzioni pubbliche riconosciute agli enti territoriali». A tutto concedere, tale interesse, pur quando sia posto a tutela dell'am
biente, è diverso — ugualmente superindividuale e meritevole di tutela, ma di portata notevolmente più ristretta — rispetto a quello garantito dall'art. 18 cit., ravvisabile invece nelle qualità ed utilità delle cose di
godimento e fruizione dell'intera comunità espressa nello Stato. Sarebbe tra l'altro difficile, quando si andasse oltre la semplice condanna generi ca, applicare i rimedi risarcitori previsti dalla 1. 349/86 al caso di specie: non il ripristino dei luoghi, in primis perché gli enti intervenuti non de
nunciano, quale danno, il pregiudizio arrecato all'ambiente, ma adduco no invece di aver subito essi un danno per mancato espletamento delle funzioni loro attribuite; secondo, per incongruità logica tra la prospettiva legislativa e la necessità di supporre realizzabile l'esercizio, al passato, della funzione pubblica che si assume lesa. Neppure il risarcimento po trebbe essere disposto, non per la sempre ricorrente difficoltà di quantifi care il danno, ma perché, nel caso in esame, il rimedio non sarebbe diret to a ristorare il vero oggetto della tutela ex art. 18 cit., né avrebbero
comunque titolo alla riscossione dello stesso la regione e i comuni inter
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GIURISPRUDENZA PENALE
Svolgimento del processo. — Questo procedimento riguarda l'in
quinamento atmosferico e l'inquinamento da rifiuti determinato
dall'attività industriale svolta in Cogoleto dalla s.p.a. Stoppani.
Esso, quanto all'inquinamento da fumi, ha avuto origine da una
serie di segnalazioni pervenute a questa pretura dalla regione Li
guria (la prima delle quali datata 16 luglio 1984), dalle quali ri
sultava che in diverse occasioni alcune delle emissioni in atmosfera
dello stabilimento di Cogoleto, autorizzate con delibera regionale n. 6786 del 17 dicembre 1981, avevano superato i limiti di porta ta e concentrazione fissati nel provvedimento di autorizzazione.
Irregolarità delle emissioni venivano genericamente denunciate an
che in esposti di associazioni private e cittadini, nonché, più re
centemente, nella missiva del comune di Arenzano del 30 agosto
1986, con la quale si trasmettevano i risultati di indagini svolte
dall'istituto di chimica della facoltà di ingegneria dell'università
di Genova e di prelievi sulle polveri depositatesi in immediata
prossimità dello stabilimento, che evidenziavano un'elevata pre senza di cromo.
Nel corso del 1986 pervenivano a questa pretura diversi rap
porti che denunciavano, per le emissioni della Stoppani, numero
se contravvenzioni alla normativa antismog. Essi erano trasmessi
dalla provincia, cui erano state trasferite gran parte delle compe tenze in tema di inquinamento atmosferico dalla 1. reg. 12 marzo
1985 n. 11, la quale a sua volta aveva integrato e modificato
le disposizioni della 1. reg. 24 marzo 1980 n. 20, che aveva esteso
a tutti i comuni della regione Liguria l'applicabilità della norma
tiva della 1. 6 maggio 1966 e del d.p.r. 322/71.
Questo pretore disponeva pertanto accertamenti a mezzo degli ufficiali di polizia giudiziaria dell'Usi n. 12, che, nel gennaio 1987, consegnavano il proprio rapporto. Nello stesso mese il laborato
rio provinciale d'igiene trasmetteva i risultati dei prelievi su due
emissioni effettuati nei mesi dicembre 1986 e gennaio 1987.
I vari procedimenti venivano riuniti. Dagli stessi risultava una
serie di violazioni alla normativa sull'inquinamento atmosferico.
Tuttavia, non essendo configurabile il reato previsto dall'art. 20
1. 615/66, del quale mancavano alcuni presupposti formali, veni
va contestato il reato di cui all'art. 674 c.p. Conseguentemente, una parte del procedimento, riguardante fatti anteriori all'8 giu
gno 1986, rientranti nel provvedimento di amnistia introdotto con
d.p.r. 16 dicembre 1986 n. 865, veniva archiviata, e l'imputazio ne veniva mantenuta solo per i fatti posteriori a tale data.
Successivamente il procedimento relativo alle emissioni era riu
nito a quello concernente l'inquinamento da rifiuti. Questo a sua
volta prendeva origine da due sopralluoghi quasi contemporanei, il primo effettuato dal Pretore di Voltri unitamente a quello di
Sestri Ponente il 16 novembre 1985, il secondo effettuato dalla
provincia di Genova il 20 novembre 1985.
Ad essi facevano seguito una serie di rapporti trasmessi dalla
provincia, organo deputato al controllo sulle attività di smalti
mento dei rifiuti disciplinate dal d.p.r. 915/82. Dall'insieme di tali atti risultava una serie di violazioni alla normativa del d.p.r.
citato, per le quali venivano formulate diverse imputazioni. II 28 gennaio 1987 questo pretore effettuava un sopralluogo
presso lo stabilimento Stoppani di Cogoleto. Successivamente in
terrogava gli imputati contestando loro i reati specificamente in
dicati nel mandato di comparizione. Relativamente ad alcuni di
questi gli imputati erano prosciolti con sentenza istruttoria, per
gli altri invece veniva emesso decreto di citazione a giudizio. Il dibattimento aveva inizio il 9 marzo 1987. In esso si costitui
vano parti civili: la regione Liguria, il comune di Arenzano e
il comune di Cogoleto. Chiedevano inoltre di costituirsi parti ci
vili una serie di privati e 1'«Associazione amici della terra» della
provincia di Genova. Sull'ammissibilità della costituzione di tali
parti private sorgeva discussione: la difesa degli imputati si oppo neva alla costituzione come parte civile dell'«Associazione amici
della terra», il p.m. instava nello stesso senso. Il pretore decideva
con ordinanza dichiarando inammissibile la costituzione dei vari
soggetti privati. Il dibattimento proseguiva poi per diverse udienze con l'inter
venuti, stante la precisa lettera della norma che sancisce la spettanza del
risarcimento ad esclusivo favore della Stato, anche qualora il relativo giu dizio sia stato promosso dagli enti territoriali sui cui beni abbia inciso
l'attività lesiva. Si avverte, cosi, tutto il disagio di una norma che, nel tentativo di
meglio definire l'ampiezza dell'interesse, sacrifica in effetti il livello col
lettivo dello stesso, vanificando le concrete aspirazioni di tutela delle or
ganizzazioni sociali realmente in grado di controllare, prevenire e risanare
le realtà ambientali. [S. Amandonico]
Il Foro Italiano — 1988.
rogatorio degli imputati, l'esecuzione dei testi, la discussione del
le parti civili, del p.m. e dei difensori. All'udienza del 16 marzo 1987, dopo la replica dei difensori
delle parti civili, il pretore decideva e dava lettura del dispositivo. Motivi della decisione. — Premessa. Lo stabilimento della s.p.a.
Stoppani opera fin dal 1900 in località sita al confine tra il comu
ne di Cogoleto e quello di Arenzano, in corrispondenza della val
le ove scorre il torrente Lerone e a immediato ridosso del litorale
marino. È la sola industria italiana, e una delle tre europee, che
effettua la lavorazione dei sali di cromo, e fabbrica prodotti che
vengono impiegati nell'industria conciaria, in quella galvano
tecnica, in quella delle vernici, ed in altre industrie chimiche. Le
produzioni che in essa si svolgono si basano sulla lavorazione
del minerale di cromo (cromite) che viene trattato in modo da
trasformare, tramite un processo di ossidazione ottenuto col suo
surriscaldamento, il cromo trivalente (Cr III) in essa contenuto
in cromo esavalente (Cr VI).
Questa sostanza, sia perché solubile, sia perché avente caratte
ristiche tali da consentirne la facile penetrazione nell'organismo, si è rivelata particolarmente nociva; studi medici aggiornati han
no dimostrato i rischi che essa comporta per i soggetti esposti alla sua azione: effetti cancerogeni specie sui polmoni, ed effetti
nocivi secondari, quali dermatiti da contatto, dermatiti allergi
che, azione irritativa sulle mucose nasali che può arrivare fino
alla perforazione del setto nasale, effetti embriotossici, ecc. È
inoltre povata la nocività del Cr VI per l'ambiente a causa della
sua influenza negativa sulla sopravvivenza della flora e della fau
na naturali.
I processi produttivi che si svolgono nello stabilimento della
Stoppani possono essere cosi ricostruiti: la cromite viene miscela
ta con altre materie prime (in particolare con della calce), e viene
surriscaldata in appositi forni, dove, sotto l'azione del calore,
gran parte del cromo trivalente insolubile (Cr III) in essa conte
nuto si trasforma in Cr VI solubile.
La miscela arrostita nei forni (definita in gergo «fritta») è dila
vata in una serie di vasche tramite un procedimento definito di
lisciviazione, con cui viene asportata dalle terre la maggior quan tità possibile di cromati solubili, e perciò di Cr VI.
Con successive e distinte lavorazioni dalla soluzione di croma
to di sodio si estraggono tre sostanze, che costituiscono altrettan
ti prodotti finali destinati alla commercializzazione: l'acido cro
mico, il salcromo ed il solfato bianco. Ognuna di tali lavorazioni
è svolta in appositi impianti, che immettono in atmosfera sostan
ze diverse, più o meno nocive, a seconda del tipo di attività che
in essi si svolge. Oltre alla mulineria, dopo viene macinata la
miscela che è poi introdotta nei forni, e a questi ultimi, si posso no ricordare: l'impianto di acidificazione, l'impianto acido cro
mico, l'impianto salcromo, le emissioni delle varie caldaie utiliz
zate per attivare i forni o come generatrici di vapore, nonché
quelle dell'impianto trattamento terre. Ogni emissione è dotata
di un proprio impianto di abbattimento, avente lo scopo di attu
tire la nocività dei fumi in uscita. Tali impianti possono consiste
re in un semplice camino, che ha il solo effetto di innalzare il
punto di uscita dei fumi, o in attrezzature più sofisticate, che
depurano in parte i fumi dalle sostanze tossiche in essi contenute.
Le varie emissioni sono numerate con cifre progressive alfanu
meriche che vengono usate comunemente per identificarle
(E1-E2-E3, ecc.). Tra i diversi impianti dove si svolgono le lavo
razioni su menzionate merita ancora qualche cenno l'impianto trattamento terre.
Le terre sottoposte alla lisciviazione, consistenti in scorie non
più utilizzabili dall'azienda, sono costituite da una miscela com
posta in modesta percentuale dalla cromite non trasformatasi nella
fase di arrostimento, dalla calce e da altre sostanze inerti in origi ne miscelate al minerale, e da alcuni prodotti di reazione non
asportati dalle successive eluizioni. Esse costituiscono le cosiddet
te terre esauste che contengono ancora quantità di Cr III e di
Cr VI.
Scopo dell'impianto di trattamento è quello di intervenire sulle
terre esauste in modo da ritrasformare il più possibile il Cr VI
in esse contenuto, e non più asportabile, in Cr III, che si è visto
essere meno nocivo, cosi da rendere al massimo grado inerti le
terre di risulta. Lo smaltimento di queste infatti costituisce un
serio problema per l'azienda, sia perché, in regime di normale
produttività, il loro quantitativo è assai ingente (mediamente 70.000
tonnellate all'anno), sia per le sostanze tossiche in esse contenute.
Brevemente si può ricordare che già nel 1982 il Pretore di Vol
tri, nel presupposto che le terre lisciviate costituissero fanghi in
dustriali, assoggettabili alla disciplina della 1. 319/76 contro l'in
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PARTE SECONDA
quinamento delle acque, vietò all'azienda di continuare a smalti
re tali terre come aveva fatto fino ad allora, e cioè ammassandole
sulla battigia e facendole asportare dalle mareggiate. La Stoppani allora chiese ed ottenne dal consorzio del porto di Genova l'auto
rizzazione a scaricare le terre nell'area di riempimento del porto di Voltri, dove potè trasportarle fino al maggio 1983, data in
cui, a causa dell'opposizione della popolazione locale, recepita
dagli enti pubblici competenti, il consorzio non rinnovò più l'au
torizzazione.
In seguito a ciò, grazie all'autorizzazione concessa dal ministe
ro della marina mercantile, le terre presero ad essere scaricate
in mare aperto, dove venivano trasportate tramite bettoline. Ma
anche questa strada si bloccò con il procedimento penale avviato
dal Pretore di Sestri Ponente, che dapprima sequestrò le bettoline
che scaricavano al largo le terre, e quindi, ritenendo illegittima l'autorizzazione ministeriale, la disapplicò, condannando i diri
genti della Stoppani tra l'altro per violazione dell'art. 2 1. 319/76
e dell'art. 24 d.p.r. 915/82 (sent. n. 40 del 22 febbraio 1986, Foro it., 1987, II, 742).
A tale condanna consegui la definitiva revoca della autorizza
zione da parte del ministero della marina mercantile. Da allora
le terre di rifiuto prodotte dalla Stoppani non sono state più av
viate ad alcuna discarica, ma sono state stoccate provvisoriamen te in piazzali interni allo stabilimento, in attesa di individuare
un altro possibile smaltimento finale.
Per completare l'esposizione di queste premesse, necessaria alla
comprensione dei fatti oggetto del procedimento, si deve ancora
aggiungere che nel corso del 1986 la Stoppani ha messo a punto un nuovo sistema di trattamento che è in grado di asportare nella
quasi totalità il Cr VI contenuto nelle terre di rifiuto.
Mentre queste infatti, fino alla fine del 1985, contenevano an
cora una percentuale di Cr VI pari allo 0,5%, e dovevano perciò essere classificate come rifiuti tossici e nocivi in quanto superava no di ben cinque volte la percentuale massima di Cr VI fissata
nelle tabelle allegate alla delibera del comitato interministeriale
del 27 luglio 1984 (pari allo 0,01%), attualmente il Cr VI conte
nuto nelle terre di rifiuto accumulate nei primi mesi del 1986 è
inferiore a tale limite, ed esse perciò non sono più classificabili
come rifiuti tossici ma come rifiuti speciali. Le terre residuate dal vecchio tipo di trattamento sono state
accumulate sul piazzale interno dello stabilimento sito nel comu
ne di Arenzano località Val Lerone, esse costituiscono l'oggetto dei capi d'imputazione B) e D). Per le terre sottoposte al nuovo
trattamento è stato invece attrezzato un nuovo sito di stoccaggio in località Pian Masino. In esso sono confluite, dopo essere state
opportunamente trattate e innocuizzate, le 4.000 tonnellate di terre
residuate dalla lisciviazione, che erano state prima stoccate nel
piazzale dello stabilimento lato Cogoleto, e oggetto del capo C)
d'imputazione.
Dopo avere illustrato le fasi dell'attività della Stoppani che as
sumono rilievo nel presente procedimento, è possibile passare al
l'esposizione dei motivi della decisione adottata, che sarà divisa in varie parti, una relativa al reato di cui al capo A) della rubri
ca, e perciò all'inquinamento provocato dalle emissioni in atmo
sfera, un'altra relativa ai capi B), C) e D), e cioè all'inquinamen to da rifiuti, una terza in cui verrà esaminata la posizione dei vari imputati, e una quarta infine relativa alla posizione delle
parti civili.
1) Capo A): Inquinamento atmosferico. Dalle diverse relazioni trasmesse dal servizio di tutela ambientale della provincia nel cor
so del 1986, e dal rapporto della Usi 12, datato 8 gennaio 1987, nonché dalla dettagliata deposizione resa dal dott. Agnese (ad detto al servizio tutela ambiente della provincia di Genova) all'u
dienza del 9 marzo 1987, risulta che diverse fonti di emissione
dello stabilimento Stoppani non sono in regola con la legislazione
antismog (contenuta nella 1. 13 luglio 1966 n. 615, e nel d.p.r. n. 322 del 15 aprile 1971, applicabili allo stabilimento di Cogole to a seguito della 1. reg. 24 marzo 1980 n. 20, integrata e modifi cata dalla successiva 1. reg. 12 marzo 1985 n. 11).
In particolare è emerso che: l'emissione della caldaia 62, an nessa a uno dei forni, a sua volta dotato di una propria emissio ne ordinaria (E 13), e di uno scarico di emergenza, che viene atti
vato in caso di guasti alla prima (E17), non è mai stata denuncia
ta, nonostante sia in funzione dalla data di costruzione dell'im
pianto, e così dal 1962 (v. rapporto Usi dell'8 gennaio 1987 e
interrogatorio del 31 gennaio 1987 di Vasuri Sebastiano); due delle
emissioni dell'impianto acido cromico (E33 bis ed E34 bis) che, secondo quanto accertato nella ispezione compiuta il 28 gennaio
1987, sono state attivate verso la fine del 1985, sono state trovate
Il Foro Italiano — 1988.
in funzione all'atto del sopralluogo effettuato dalla provincia il
7 agosto 1986, nonostante non fossero state denunciate al mo
mento della loro installazione; per esse è stata richiesta l'autoriz
zazione solo il 23 ottobre 1986 a seguito delle specifiche contesta
zioni mosse dalla provincia; un'altra emissione dello stesso im
pianto (E34) era stata denunciata alla regione nel febbraio 1984, e da allora funziona normalmente nonostante la regione non ab
bia a tutt'oggi rilasciato alcuna autorizzazione (v. verbale di so
pralluogo della provincia del 7 agosto 1986); nel corso dei prelie vi effettuati dal laboratorio provinciale fra il dicembre 1986 e
il gennaio 1987 (trasmessi a questo pretore il 19 gennaio 1987) si sono constatati dei superi per i limiti di portata e concentrazio
ne fissati all'emissione della caldaia 75 (E18) nell'autorizzazione
rilasciata con delibera regionale n. 6786 del 17 dicembre 1981; dalla relazione trasmessa dalla Stoppani alla provincia il 16 otto
bre 1986 risulta che, da prelievi fatti effettuare dall'azienda, sono
stati constatati superi dei limiti prescritti per alcune emissioni;
precisamente un'emissione dell'impianto solfitazione (E35), nei
prelievi effettuati il 1° settembre 1986 risultava superare i limiti
di portata, due emissioni dell'impianto salcromo (E36 ed E37), nei prelievi effettuati il 2 luglio 1987 risultavano superare i limiti
di portata e di concentrazione.
Questi gli episodi sulla base dei quali è stata contestata la vio
lazione dell'art. 674 c.p. Tale norma ha avuto con gli anni uno sviluppo abnorme, in
quanto, chiamata originariamente a sanzionare una fattispecie con
travvenzionale di modesta entità, quale il «getto pericoloso di
cose», è stata in realtà utilizzata per sopperire alle lacune della
legislazione antinquinamento, colmando dapprima l'assoluta ca
renza di una normativa specifica di settore, e, successivamente, i vuoti e le incongruenze proprie della disciplina speciale vigente.
Essa prevede due distinte figure di reato; nel caso di specie viene in rilievo la seconda, che, punendo colui che, «nei casi non
consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di
fumo, atti a offendere o imbrattare o molestare persone» è servi
ta normalmente a sanzionare l'inquinamento atmosferico provo cato da emissioni di impianti industriali (giurisprudenza costante
della Cassazione v. per tutte sez. Ili novembre 1982 Amerio,
id., Rep. 1985, voce Incolumità pubblica (reati), n. 36).
L'interpretazione dell'inciso «nei casi non consentiti dalla leg
ge» è stata oggetto di approfondite discussioni in dottrina e in
giurisprudenza. Si è iniziato cosi col sostenere che la norma vieta
va tutte le emissioni di origine industriale ad eccezione di quelle derivanti da un'attività autorizzata (v. Cass. 28 aprile 1951, Gor
lani, id., Rep. 1951, voce cit., n. 21), precisando in seguito che, nonostante l'autorizzazione, sussisteva comunque l'obbligo di do
tare gli impianti dei dispositivi tecnici più adeguati, e infine che
la liceità dell'emissione doveva essere valutata alla stregua di cri
teri fissati dall'art. 844 c.c., che si richiama alla «normale tollera
bilità» delle stesse (cosi Cass. 17 ottobre 1961, Sauli, id., Rep. 1962, voce Circostanze di reato, n. 149). Una svolta decisiva, nel senso di eliminare la discrezionalità insita in qualunque giudi zio di normalità, si è avuta con l'introduzione della normativa
antismog contenuta nella 1. 615/66, e nel regolamento di attua
zione approvato con d.p.r. 322/71, che ha consentito di indivi duare i «casi non consentiti dalla legge» nelle emissioni attivate in violazione di tale normativa e perciò non denunciate all'autori tà amministrativa competente, o da questa non autorizzate, o fun zionanti in contrasto con le prescrizioni impartite con l'autorizza zione (v. in proposito Pret. Napoli 6 novembre 1979, id., Rep. 1981, voce Incolumità pubblica (reati), n. 29; Trib. Vicenza 16
maggio 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 22; nonché Pret. Ta ranto 14 luglio 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 29).
Nel caso di specie è incontestato che alcune delle emissioni del
lo stabilimento della Stoppani siano state attivate al di fuori dei casi consentiti dalla legge, perché non denunciate, o denunciate ma non autorizzate, o, infine, per avere superato i limiti di por tata e concentrazione indicati nei singoli provvedimenti autoriz zativi.
L'accertata irregolarità delle emissioni non è tuttavia sufficien te ad integrare la fattispecie vietata dalla norma, per la cui sussi stenza è pure necessario che ricorra la pericolosità delle emissioni di fumo, consistente nella loro attitudine a «offendere, imbratta re o molestare persone».
Secondo la difesa degli imputati tale requisito mancherebbe nel
caso di specie (o comunque ne mancherebbe la prova) in quanto, non essendo mai stati superati i valori che la legge ritiene indica
tivi di un inquinamento atmosferico all'esterno dello stabilimen
to, la salubrità dell'aria non sarebbe stata compromessa, e nes
sun pericolo sussisterebbe per le persone.
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GIURISPRUDENZA PENALE
In effetti né i dati trasmessi dalla provincia, né quelli trasmessi
dalla Stoppani (ognuna delle quali ha collocato una propria sta
zione di rilevamento in prossimità del perimetro dello stabilimen
to), attestano un superamento dei c.d. standard di qualità dell'a
ria fissati nel d.p.c.m. del 28 marzo 1983 (che ha sostituito i
limiti alle immissioni stabiliti dal d.m. 322/71). Tale tesi non può tuttavia essere accolta. La norma contenuta
nell'art. 674 c.p. infatti richiede, perché il reato sussista, che i
fumi considerati presentino un'attitudine a nuocere o a molestare
le persone. Nel caso delle emissioni di uno stabilimento industriale pertan
to, naturalmente se attivate irregolarmente, e cioè al di fuori dei
casi consentiti dalla legge, il superamento dei limiti prescritti per le immissioni non sarà che uno dei molteplici modi attraverso
cui provare la loro possibilità di nuocere o molestare.
Anzi si è addirittura sostenuto che tale attitudine debba rite
nersi presunta dalla legge, in quanto l'art. 1 1. 615/66 ritiene che
i fumi provenienti da impianti industriali siano comunque tali
da «... costituire pregiudizio diretto o indiretto alla salute dei
cittadini».
Ma anche aderendo alla tesi che fa dell'art. 674 c.p. un reato
di pericolo concreto e non presunto, nulla impone di circoscrive
re la prova del pericolo al superamento dei limiti stabiliti per le immissioni.
Nel caso di specie esistono numerosi elementi che attestano l'e
sistenza di esalazioni moleste e nocive.
II sindaco di Arenzano ha ricordato nella deposizione resa al
dibattimento come, nel corso del 1986, siano pervenuti al comu
ne diversi esposti di cittadini, che lamentavano di essere «affumi
cati» dalla Stoppani. Gli accertamenti disposti dal comune in pro
posito, svolti dall'istituto di chimica della facoltà di ingegneria dell'università di Genova, riscontrarono in campioni di polveri
prelevate in immediata prossimità dello stabilimento la presenza di polveri di cromo, sicuramente emesse dalla Stoppani, in per centuali oscillanti dal 21 al 35%.
A ciò si può aggiungere che il d.m. 23 dicembre 1976 integrati vo dell'art. 216 t.u.l.s., elenca tra le industrie nocive che devono
sorgere in posizione isolata e lontano dalle abitazioni (industrie nocive di 1a classe) quelle che producono anidride cromica e cro
mati, e quelle che, lavorando il cromo e i suoi composti, impie
gano Cr VI, e individua la causa della loro nocività proprio nel
tipo di esalazioni che immettono in atmosfera. E che nei fumi
emessi dalla Stoppani fosse presente un'alta percentuale di polve ri di cromo risulta dalla deposizione del dott. Agnese, che ha
precisato che, delle emissioni riscontrate irregolari, quelle dell'im
pianto salcromo (E36 ed E37) esalano solfato di cromo contenen
te Cr III in percentuale del 18% del totale delle polveri in uscita,
e quelle dell'impianto acido cromico (E34 ed E34 bis) emettono
polveri di Cr VI in percentuale del 50%.
In presenza di una tale concordanza di elementi probatori ap
pare irrilevante che ad essi non si aggiunga anche il superamento dei limiti che la legge prescrive per le immissioni, in quanto il
reato sussiste certamente a prescindere dal verificarsi di quest'ul tima condizione.
Al contrario circoscrivere, secondo quanto sostenuto dalla di
fesa, la prova dell'attitudine dei fumi industriali a nuocere o a
molestare alla violazione dei limiti fissati per le immissioni con
trasterebbe con l'essenza stessa del reato considerato dall'art. 674.
Esso, a ben vedere, costituisce una contravvenzione assai bana
le; «reato del pitale» l'ha definito uno dei membri del collegio
di difesa, e davvero non si riuscirebbe a comprendere perché,
se in un caso avente un potere offensivo cosi modesto il reato
dovesse sussistere, nel caso dei fumi provenienti da un'industria
la sua esistenza dovrebbe essere ancorata a una prova cosi rigida
e difficoltosa, quale quella del superamento dei limiti alle immis
sioni.
Oltre che per ragioni di comune buon senso tuttavia, l'inter
pretazione propugnata dalla difesa è giuridicamente errata; se in
fatti davvero l'art. 674 c.p. richiedesse, per il perfezionamento
della fattispecie considerata, che i limiti alle immissioni risulta.s
sero violati, con un conseguente danneggiamento delle qualità del
l'aria, il reato dovrebbe essere definito «di danno» e non già «di
pericolo», e ciò in contrasto con tutta l'elaborazione dottrinale
e giurisprudenziale che su di esso è maturata (v. per tutti: Manzi
ni, Trattato di diritto penale, V ed., X, 395, e Cass. 16 maggio
1980, Biasin, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 28). Infine la tesi
difensiva non appare accettabile perché, rimettendosi totalmente
alle prescrizioni della normativa antismog relativa alle immissio
ni, non tiene conto delle gravi lacune e delle incongruenze esi
li. Foro Itaiiano — 1988.
stenti all'interno di essa. Ad esempio del fatto che essa fissa limi
ti alle immissioni solo con riguardo ad un numero limitato di
sostanze (11 nel d.p.r. del 1971 e 8 nel d.p.c.m. del 1983), e
delle difficoltà tecniche di effettuare rilevazioni significative ed
attendibili, in quanto esse sono influenzate dalle condizioni at
mosferiche e dall'andamento dei venti, cosicché dati significativi si potrebbero ottenere solo se fosse possibile installare una stazio
ne di rilevamento in posizione ottimale.
Basti pensare, ai fini che qui interessano, che per le polveri di cromo (che si è visto essere le più nocive tra quelle che la
Stoppani immette in atmosfera) la legge non fissa alcun limite
specifico, e che sia la stazione di rilevamento della Stoppani, che
quella della provincia, hanno dato dei problemi per la loro collo
cazione, cosicché i dati da queste forniti non possono ritenersi
senz'altro significativi. È emerso infatti che la stazione della provincia dovette essere
spostata dopo circa sei mesi dalla sua installazione perché collo
cata in posizione errata, e la stazione della Stoppani è tutt'ora
mal posizionata, tant'è che più volte le è stato ordinato di spo starla (da ultimo con la prescrizione contenuta nella delibera re
gionale n. 1112 del 2 aprile 1986, che avrebbe dovuto essere ese
guita entro l'ottobre 1986, se la Stoppani non avesse presentato richiesta di proroga).
Per la serie di considerazioni che precedono la tesi difensiva
deve perciò essere respinta, essa verrebbe in sostanza a svuotare
di contenuto il precetto dell'art. 674 c.p., e ad eliminare cosi l'u
nica difesa normativa contro l'inquinamento atmosferico, che al
momento è costituita solo dall'art. 674 c.p., in quanto la 1. 615/66
si è rivelata, alla prova dei fatti, inutilizzabile dal giudice penale.
Analogamente deve essere respinta la richiesta subordinata di
un'assoluzione per insufficienza di prove in quanto si è visto co
me gli elementi probatori raccolti siano più che sufficienti a rite
nere sussistente il reato contestato al capo A) della rubrica.
Un'ultima precisazione va riservata all'istanza istruttoria for
mulata dalla difesa nel corso della udienza del 9 marzo 1987,
diretta ad acquisire copia del parere del Cta recepito nell'ordi
nanza del sindaco n. 47/79, al fine di inquadrare la situazione
autorizzatoria della E36; essa deve essere ritenuta irrilevante poi
ché per l'emissione in questione risultano incontestabilmente su
perati, sulla base dei prelievi fatti fare dalla Stoppani il 2 luglio
1986 (trasmessi alla provincia il 16 ottobre 1986), i limiti di por
tata e concentrazione fissati nella delibera regionale autorizzativa
n. 6786 del 17 dicembre 1981.
2) Capi B), C), D): Inquinamento da rifiuti solidi. Alla tratta zione delle singole fattispecie di reato contestate ai capi B), C)
e D) della rubrica la difesa degli imputati ha fatto precedere alcu
ne eccezioni relative all'applicabilità del d.p.r. 915/82 che convie
ne esaminare preliminarmente:
Questioni di legittimità costituzionale. Il d.p.r. 915/82 sarebbe
da ritenere costituzionalmente illegittimo sotto i seguenti profili: — contrasto con l'art. 76 Cost, per avere ecceduto i limiti fis
sati nella legge di delega 9 febbraio 1982 n. 42, che imponeva
il rispetto delle competenze regionali, come ridefinite dall'art. 6
d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, e dei principi contenuti nella diretti
va Cee 78/319; — contrasto con l'art. 117 Cost, per avere invaso con norme
di dettaglio la sfera di competenza legislativa riservata alle regioni; — contrasto con l'art. 10, 1° comma, Cost, in relazione agli
art. 7 e 101 trattato istitutivo Cee per avere dettato norme più
severe di quelle contenute nelle direttive Cee 75/442 e 78/319,
che pertanto discriminano negativamente le industrie italiane ri
spetto a quelle europee e falsano le condizioni della libera con
correnza tra le imprese operanti negli Stati membri.
Ognuna delle questioni di costituzionalità sollevata appare ma
nifestamente infondata.
Quella relativa all'art. 76 Cost, da un lato perché l'art. 8 della
direttiva Cee n. 78/319 accorda agli Stati membri la facoltà di
adottare per i rifiuti tossici e nocivi disposizioni più rigorose di
quelle in essa contenute; dall'altro perché la competenza attribui
ta alle regioni dall'art. 6 d.p.r. 616/77 viene comunemente intesa
come una competenza concorrente con quella statuale (v. per un
caso analogo Corte cost. 27 giugno 1986, n. 151, id., 1986, I,
2690) che non priva lo Stato del potere di dettare in materia nor
me anche di dettaglio.
Quella relativa all'art. 117 Cost, perché né la materia dell'in
quinamento, né quella dei rifiuti rientrano tra quelle per cui l'art.
117 Cost, ripartisce la competenza fra lo Stato e le regioni.
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PARTE SECONDA
Quella relativa all'art. 10 Cost, perché, come già visto, tra i
principi fissati dalle direttive comunitarie sullo smaltimento dei
rifiuti vi è quello dell'art. 8 della direttiva 78/319, secondo cui
gli Stati membri della Cee sono liberi di adottare nella materia
prescrizioni più rigide di quelle contenute nelle direttive, cosicché
non può ravvisarsi alcuna violazione di norme di diritto interna
zionale da parte del d.p.r. 915/82.
Inapplicabilità del d.p.r. 915/82 per essere le terre residuate
dalla lavorazione rifiuti minerari, esclusi dall'art. 2, 7° comma, lett. b), stesso d.p.r., dalla sua sfera di efficacia. Ha sostenuto
la difesa degli imputati che le terre residuate dal processo di arro
stimento delle cromite sarebbero rifiuti minerari, esclusi dalla di
sciplina del d.p.r. 915/82. Più precisamente, l'attività di essicca
mento del minerale di cromo negli appositi forni sarebbe da con
siderare un trattamento di risorse minerarie, e i residuati di tale
lavorazione costituirebbero rifiuti esclusi dalla disciplina del cita
to d.p.r. in base all'art. 2, 7° comma, lett. b), stesso d.p.r., se
condo cui: «Le disposizioni del presente decreto non si applica no ... ai rifiuti risultanti dalla prospezione, estrazione, trattamen
to e ammasso di risorse minerali e dallo sfruttamento delle cave».
La norma appena trascritta riprende testualmente quella conte
nuta all'art. 2, lett. b), della direttiva Cee 15 luglio 1975 n. 442, relativa ai rifiuti, e richiama quella contenuta nell'art. 3, lett.
h), della direttiva Cee 20 marzo 1978 n. 319, relativa ai rifiuti
tossici e nocivi, che esclude dal suo campo di applicazione «i
rifiuti minerari».
Poiché tutte e tre le disposizioni appena citate escludono espres samente i rifiuti minerari dalla generale disciplina istituita per i rifiuti solidi, è necessario definire il concetto di rifiuto minera
rio per poter tracciare i confini di una siffatta esclusione.
Tale operazione ermeneutica, e, in particolare, con riferimento
all'art. 2, 7° comma, lett. b), d.p.r. 915, va svolta tenendo pre sente la ratio della legge, che è di salvaguardare l'ambiente dal
l'inquinamento provocato dai rifiuti, specialmente da quelli di
origine industriale, che spesso, a causa della loro composizione
chimica, hanno un potenziale nocivo ben superiore a quello di
altre sostanze.
Ne consegue che l'esclusione dei rifiuti derivanti da attività mi
nerarie è ammissibile solo in quanto essi comportano per l'am
biente rischi peculiari, piuttosto estetici e geomorfici che non d'in
quinamento. Per tale ragione essa non potrà che essere limitata
ai residuati di lavorazione che si risolvono nel trattare meccanica
monete il minerale che restituiscono perciò all'ambiente un pro dotto ad esso affine, e non opererà invece nei casi in cui la lavo
razione alteri la stessa composizione chimica delle materie prime lavorate.
In questo senso si è espresso recentemente il T.A.R. Lombar
dia, con sentenza del 13 dicembre 1985, in cui ha ritenuto che
i materiali residuati da prospezioni geotermiche dovute alla ricer
ca di idrocarburi rientrano nella nozione di rifiuto speciale conte
nuta nell'art. 2 d.p.r. del 1982, «non trattandosi di materiali inerti
(i quali conservano inalterate le proprie caratteristiche naturali
a seguito di procedimenti estrattivi) esenti dall'applicazione della
norma di questione ai sensi dell'art. 2, 7° comma, lett. b), d.p.r. n. 915 citato».
Non ha senso quindi sostenere, come ha fatto la diffesa degli
imputati, che, se si escludesse la lavorazione della cromite effet
tuata dalla Stoppani dal novero delle attività minerarie, si arrive
rebbe all'assurda conclusione di considerare minerarie solo le at tività di trattamento di materie prime effettuate in prossimità di
giacimenti e non le stesse attività svolte però a distanza dal luogo di estrazione. Il trattamento di risorse minerarie che l'art. 2, 7°
comma, lett. b), esclude dalla sfera di applicazione del d.p.r. non
è infatti quello che si svolge vicino al giacimento, ma quello che
non altera le caratteristiche naturali del minerale estratto. Né ha
senso richiamarsi ad elencazioni di attività nate per scopi diversi,
quale ad esempio quella contenuta nell'allegato II alla direttiva
Cee del 27 giugno 1985 n. 337 (contenente una regolamentazione
per i progetti di impianti industriali che presentano problemi per l'impatto con l'ambiente naturale). Essa infatti è stata emanata con riguardo a problemi sostanzialmente diversi da quelli dell'in
quinamento provocato da rifiuti, cosicché nessuna conseguenza
può desumersi dal tipo di elencazione che essa fa delle attività
industriali, e in particolare dal fatto che essa inserisce tra le indu
strie estrattive anche le cokerie e i cementifici, in cui si svolgono lavorazioni che danno luogo a prodotti con caratteristiche so
stanzialmente diverse da quelli originari.
Il Foro Italiano — 1988.
La chiarezza della soluzione interpretativa indicata in prece
denza, che limita il concetto di rifiuti minerari solo a quelli deri
vati da attività estrattive o comunque da lavorazioni che non al
terino la composizione chimica del minerale trattato, e la piena
rispondenza dell'art. 2, 7° comma, lett. b), del d.p.r. alle disposi zioni contenute negli art. 2, lett. b), e 3, lett. h), delle direttive
Cee n. 75/442 e 78/319, induce ad escludere l'opportunità che
la Corte di giustizia della Comunità europea venga investita della
interpretazione di tale normativa, e a rigettare l'istanza in tal sen
so presentata dalla difesa.
Inapplicabilità del d.p.r. 915/82 fino all'entrata in vigore della
normativa regionale integrativa. Ulteriore tesi prospettata dalla
difesa dei ricorrenti è che, poiché l'art. 33, penultimo comma,
d.p.r. 915/82 prevede che le regioni devono fissare i termini en
tro cui «gli impianti e le attrezzature esistenti debbono adeguarsi alle disposizioni previste dal presente decreto», e poiché l'art. 7
della deliberazione del comitato interministeriale del 27 luglio 1984
stabilisce che per quanto riguarda le attività e gli impianti esisten
ti «l'adeguamento alle disposizioni del d.p.r. n. 915/82 e a quelle della presente delibera dovrà essere attuato entro i termini che
saranno fissati dalle regioni ai sensi dell'art. 33, 3° e 4° comma,
d.p.r. n. 915/82 . . .» l'intera normativa del d.p.r. 915/82 non
sarebbe applicabile alle attività di smaltimento esistenti, e quindi alla Stoppani, fino all'entrata in vigore della legislazione integra tiva regionale.
Tale tesi, che costringerebbe il d.p.r. 915/82 al ruolo di una
semplice «legge cornice», assegnando alle regioni il potere di ren
dere effettivamente operativa, quanto meno per le attività già esi
stenti, la disciplina sullo smaltimento dei rifiuti, non può essere
accolta.
Essa, oltre che con ogni criterio di elementare logica giuridica, che induce a ritenere le leggi dello Stato non mere elencazioni
d'intenti di incerta realizzazione, ma insieme di prescrizioni im
perative, contrasta poi con le svariate (anche se spesso imprecise) indicazioni che il legislatore ha dato circa l'operatività del siste
ma normativo introdotto col d.p.r. 915/82.
Questo stabilisce infatti fasi temporali diverse per l'applicazio ne delle prescrizioni in esso contenute, e cioè un sistema graduato alla sua effettiva operatività, distinguendo tra nuove attività di
smaltimento e attività già esistenti.
Per queste ultime l'art. 31 fissa i tempi per presentare la richie
sta di autorizzazione allo smaltimento, e per la relativa delibera
regionale. Decorso tale fase preliminare sarà applicabile il regime sanzionatorio contenuto negli art. 25 e 55 dello stesso d.p.r.
L'art. 33, 3° e 4° comma, del d.p.r. stabilisce poi che, nel
caso in cui le attività di smaltimento esistenti abbiano impianti o attrezzature che devono essere adeguati a quanto prescritto nel
le norme in esso contenute, le regioni sono tenute a fissare i ter
mini entro cui operare le necessarie modifiche. Ciò infatti è quanto si limita a prescrivere l'art. 33 citato, alla luce del quale va inter
pretata anche la norma contenuta nell'art. 7, 2° comma, della
delibera ministeriale, che, essendo norma di rango inferiore, non
può derogare ai contenuti di una legge statuale, né in alcun modo
sospenderne l'operatività. In definitiva per le attività di smaltimento dei rifiuti già in atto
alla data di entrata in vigore del d.p.r. 915/82 (e perciò al 16
dicembre 1982) sono fissati termini diversi con riguardo: a) al
l'obbligo della richiesta di autorizzazione (art. 31, 1° comma);
b) all'obbligo della regione di pronunciarsi in proposito (art. 31, 4° comma); c) alla vigenza del sistema sanzionatorio; d) all'ade
guatamento di impianti e attrezzature (rimesso alle regioni dal
l'art. 33, 3° e 4° comma). Solo in quest'ultimo caso quindi, e cioè per le attività di smal
timento preesistenti al d.p.r. 915, ai cui impianti siano imposte delle modifiche dalle norme del d.p.r. e, più ancora, da quelle della delibera del luglio 1984 (che dettano in proposito prescirzio ni più minuziose), l'operatività del d.p.r. 915/82 può ritenersi
sospesa fino alla emanazione delle leggi regionali previste dal
l'art. 33 citato, e naturalmente tale sospensione opererà solo per il regime definitivo istituito dalla legge sui rifiuti, e non per gli
obblighi vigenti nel regime transitorio, che saranno comunque vin
colati a partire dall'entrata in vigore della legge. Poiché nella specie fra i reati contestati agli imputati il solo
che riguardi un'attività di smaltimento preesistente alla nuova legge sui rifiuti, e che non attenga al regime transitorio, è quello relati
vo allo stoccaggio effettuato in Val Lerone, contestato sub B), e poiché in questo caso il comportamento che era loro richiesto
non comportava alcuna modifica di impianti o attrezzature ma
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GIURISPRUDENZA PENALE
solo il corretto utilizzo di quelle esistenti, non vi è ragione per ritenere inoperante la prescrizione dell'art. 27 del d.p.r.
Inapplicabilità dell'art. 32 d.p.r. 915/82. Ancora si è sostenuto
dalla difesa che una conclusione quale quella cui si è appena per venuti escluderebbe l'applicabilità dell'art. 32, che, essendo nor
ma transitoria, non dovrebbe operare laddove operi già il regime definitivo.
Anche questa tesi deve essere rigettata. Si è visto infatti come
l'applicazione della norma del d.p.r. 915/82 sia scaglionata in
tempi diversi a seconda del tipo di attività e del tipo di prescrizio ne che viene di volta in volta in rilievo. Non è esatto quindi soste
nere che esso contenga un regime transitorio che è alternativo
al regime definitivo, ma è vero invece che il titolo VI del d.p.r. contiene una serie di norme che si propongono di coordinare gli interventi delle varie autorità amministrative (Stato e regione) chia
mate ad attivarsi, ed a imporre ai privati specifici adempimenti diretti a non vanificare gli intenti perseguiti dalla legge in attesa
della sua completa applicazione. Tra questi rientrano quelli men
zionati al 2° comma dell'art. 32, che prescrive ai titolari di attivi
tà di smaltimento già esistenti di adottare tutte le misure necessa
rie ad evitare un deterioramento della situazione ambientale, fino
all'entrata in vigore delle leggi regionali che conterranno norme
integrative e di attuazione del d.p.r. in merito all'organizzazione dei servizi di smaltimento e alle procedure per lo svolgimento dei controlli ed il rilascio delle autorizzazioni. Bisognerà attende
re pertanto l'emanzione di tale normativa perché l'art. 32 deca
da, ed è evidente la ratio di un tale sistema, che impone ai privati di attivarsi autonomamente finché la regione non sia in grado di rilasciare provvedimenti autorizzatori contenenti prescrizioni
adeguate, e di effettuare i relativi controlli.
Inapplicabilità del d.p.r. 915/82 allo stoccaggio provvisorio ef
fettuato dalla Stoppani all'interno dello stabilimento di Cogole to. Il nucleo centrale della tesi difensiva relativa ai capi B), C), e D), della rubrica è consistito nel sostenere che allo stoccaggio delle terre di risulta effettuato dalla Stoppani nello stabilimento
di Cogoleto non sarebbe applicabile la disciplina del d.p.r. 915/82
sia perché tali residui di lavorazioni non potrebbero essere consi
derati rifiuti, sia perché l'accumulo degli stessi all'interno dello
stabilimento non sarebbe ricompreso nelle fasi di smaltimento sog
gette ad autorizzazione.
Vari gli argomenti addotti dalla difesa a sostegno della propria tesi.
Si è detto che il legislatore del 1982 ha utilizzato per la defini
zione dei rifiuti un criterio soggettivo (è rifiuto ciò che è destina
to ad essere abbandonato), e oggettivo (è rifiuto ciò che è abban
donato), richiamandosi sia all'intenzione del proprietario di di
sfarsi della cosa sia a una caratteristica propria della cosa.
Si è sostenuto però che nei numerosissimi casi dubbi, in cui
la definizione di un oggetto come rifiuto è incerta, si debba privi
legiare il criterio soggettivo, perché questo è quello recepito dalle
direttive comunitarie n. 75/442 e 78/319 in tema di smaltimento
di rifiuti. Si è aggiunto che nel caso di specie non poteva parlarsi di rifiu
ti né in senso soggettivo, perché non vi è prova che la Stoppani intendesse disfarsi delle terre, né in senso oggettivo, perché esse
dovevano essere sottoposte a ulteriori trattamenti, e in parte riu
tilizzate prima di essere avviate allo smaltimento finale.
Si è osservato infine che, se anche lo stoccaggio all'interno del
lo stabilimento dovesse essere assoggettato all'obbligo dell'auto
rizzazione, si arriverebbe a conseguenze assurde, quali quelle di
imporre l'autorizzazione per ogni movimentazione del prodotto all'interno dell'area di produzione.
I due ordini di eccezioni, e cioè quello relativo all'insussistenza
della qualifica di rifiuto, e quello relativo all'esclusione dello stoc
caggio in azienda dalle fasi di smaltimento soggette all'obbligo di autorizzazione, vanno distintamente esaminati.
II primo propone un argomento ricorrente nelle costruzioni di
fensive in materia. Di fronte a una definizione di rifiuto, che,
soprattutto in fase di prima applicazione della legge, può dare
adito a incertezze, è evidente l'interesse dei prevenuti a contestare
la qualità di rifiuto. Al fine di raggiungere una migliore chiarezza sull'argomento
è opportuno quindi soffermarsi sulla definizione del concetto di
rifinto, e sui criteri cui fare riferimento per dare allo stesso un
contenuto meno incerto.
Innanzitutto si deve osservare che molto opportunamente il
d.p.r. 915/82, nel definire il rifiuto, non si limita ad indicare
solo un criterio soggettivo, che, imponendo complicate indagini sulla volontà del proprietario della cosa, fornirebbe numerose pos sibilità di eludere la normativa del settore.
Il Foro Italiano — 1988.
Esso, si è visto, affianca a tale criterio un secondo che attiene
a una caratteristica obiettiva della cosa.
Poiché tuttavia in entrambi i casi ci si richiama a un abbando
no della cosa, usando cosi un termine che ha evidenti implicazio ni volontaristiche, è bene precisare che tale termine andrà inteso
non tanto come mancanza di una volontà del proprietario di trat
tenere la cosa presso di sé, ma come caratteristica della cosa do
vuta a una sua assenza di utilità per il proprietario. In questo modo sembra possibile pervenire a una corretta con
temperazione dei due criteri interpretativi del termine rifiuto, in
cui quello soggettivo sia ammorbidito dalla necessità di provarlo non attraverso una difficoltosa indagine sulle reali intenzioni del
proprietario, ma desumendolo da elementi di fatto, quali quelli di una carenza di utilità della cosa per chi la detiene. Ne conse
gue che i residuati di attività industriale potranno essere conside
rati rifiuti qualora essi non possano più essere riutilizzati dal pro
duttore, che non può quindi da essi derivare altri utili.
Nel caso della Stoppani le terre uscite dai forni e sottoposte al processo di lisciviazione, con cui veniva estratto il cromato
solubile, si trovavano esattamente in questa situazione, ad ecce
zione della minima parte che veniva riutilizzata nella lavorazione.
L'azienda cioè non aveva ormai alcun interesse a trattenerle
presso di sé, perché da esse non avrebbe ormai ricavato alcun utile.
Non è possibile sostenere che esse non erano rifiuti perché do
vevano essere sottoposte ad un ulteriore trattamento, questo in
fatti era finalizzato esclusivamente ad abbattere la percentuale di Cr VI in esse contenuto, per consentire cosi all'azienda di di
sfarsene più agevolmente, e si risolveva pertanto in un processo di innocuizzazione dei rifiuti che, secondo quanto previsto dagli art. 1 e 16 d.p.r. 915, rientrava nelle fasi di smaltimento degli stessi.
Ciò vale per i cumuli di terre depositati sul piazzale sito in
Val Lerone, nel territorio del comune di Arenzano, i quali, risi
stemati secondo le previsioni del progetto presentato dalla Stop
pani il 16 giugno 1986, e approvato dalla giunta regionale con
delibera n. 2701 dell'8 luglio 1986, giacciono li da oltre un anno
in attesa di essere avviati ad una discarica, e che, a quanto risul
ta, non debbono essere più sottoposti ad alcun trattamento di
innocuizzazione, tranne quelli resi eventualmente necessari dal ti
po di smaltimento finale che verrà in futuro autorizzato.
Ciò vale altresì per le 4.000 tonnellate di terre tossiche stoccate
nella primavera dell'86 sul piazzale dello stabilimento sito in co
mune di Cogoleto, che sono state poi trattate durante l'estate, e trasformate in rifiuti speciali ma non più tossici, al solo fine di
consentire all'azienda di smaltirle più agevolmente, ad esempio non
richiedendo un'autorizzazione per il loro stoccaggio provvisorio. Circa il secondo ordine di eccezioni sollevato dalla difesa, atti
nente all'esonero dello stoccaggio di rifiuti all'interno dello stabi
limento dalla normativa del d.p.r. 915, si può osservare come
esso non si fondi su alcun argomento giuridico, ma solo sulle
asserite difficoltà che un'interpretazione diversa della norma com
porterebbe per l'organizzazione aziendale. Al contrario sussisto
no argomenti testuali, oltre che di logica interpretativa, per rite
nere il d.p.r. 915 applicabile anche a tale fattispecie. I primi consistono nell'ampiezza del concetto di smaltimento
desumibile dall'art. 1 della legge, secondo cui è smaltimento di
rifiuti la fase di «raccolta, spostamento, cernita, trasporto, trat
tamento, inteso questo come operazione di trasformazione neces
saria per il riutilizzo, la rigenerazione, il recupero, il riciclo e
l'innocuizzazione dei medesimi, nonché l'ammasso, il deposito e la discarica sul suolo ...», nonché dal successivo art. 16, che
individua le fasi dello smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi sog
gette ad autorizzazione nelle seguenti: «a) la raccolta e il traspor
to; b) lo stoccaggio provvisorio; c) il trattamento; d) lo stoccag
gio definitivo in discarica controllata.
I secondi nel richiamo ai principi ispiratori e agli scopi perse
guiti dalla legge, che, essendo diretta a scongiurare i rischi provo cati all'ambiente dallo smaltimento incontrollato dei rifiuti, in
special modo tossici e nocivi, non potrebbe escludere dal suo am
bito di applicazione una forma di smaltimento, quale lo stoccag
gio all'interno dello stabilimento, che comporta rischi in tutto
identici alle altre fasi soggette ad autorizzazione.
Ciò a maggior ragione quando, come nel caso della Stoppani, lo stoccaggio di rifiuti tossici si protrae per mesi o per anni deter
minando infiltrazioni di sostanze tossiche nel terreno e scarico
di elementi inquinanti nelle acque superficiali, con conseguenze
nocive per l'ambiente che è facile presumere e sarebbe facile di
mostrare.
Sulla base di quanto fin qui osservato si deve quindi conclude
re che i fatti contestati agli imputati ai punti B), C) e D) della
rubrica sono sicuramente ricompresi nell'ambito normativo del
d.p.r. 915/82. (Omissis)
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