sezione distaccata di Rho; sentenza 29 giugno 1989; Giud. Cascini; imp. Ruzza e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1990), pp.525/526-531/532Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183669 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
biente 20 febbraio 1987 in G.U., n. 48 del 27 febbraio 1987 che
espressamente finalizza il riconoscimento all'esercizio delle facol
tà di cui all'art. 18, 4° e 5° comma) essendo stata promossa, in questo procedimento penale, l'azione civile risarcitoria per danno
ambientale sia dallo Stato che dagli enti territoriali richiamati sub
1).
Venendo, ora, al secondo quesito in precedenza prospettato, si ritiene ricorrano comunque altri profili in base ai quali giudica re sussistente la legittimazione delle predette associazioni a costi
tuirsi parte civile indipendentemente dalle questioni relative al ri
sarcimento del danno ambientale.
Invero, a sostegno della tesi affermativa militano innanzitutto
gli argomenti addotti dal Supremo collegio con la recentissima
pronunzia n. 2560 del 23 ottobre 1989 (Foro it., 1990, II, 169) con la quale, modificando precedenti indirizzi fondati su autore
voli pronunzie delle sezioni unite civili (sentenze 8 maggio 1978, n. 2207-2208, id., 1978, I, 1090 e id., Rep. 1978, voce Giustizia amministrativa, n. 69 a), si è desunta la legittimazione dal pregiu dizio derivante all'ente dalla frustrazione delle esigenze di svilup
po della personalità degli associati a causa della condotta lesiva
dell'ambiente e della sua salubrità intesa come attributo fonda
mentale della personalità umana (Cass. 6 ottobre 1979, n. 5172,
id., 1979, I, 2302). In secondo luogo, poi, si deve ritenere che esistano altri diritti
fondamentali (dei singoli e delle formazioni sociali in cui si svol ge la personalità umana) suscettibili di essere pregiudicati dalla
condotta criminosa descritta in alcune delle imputazioni oggetto del procedimento.
In particolare, deve essere ricordato il diritto all'informazione
sui dati relativi all'ambiente che è stato codificato da varie fonti
normative e che, per l'estensione che gli è stata attribuita, può ritenersi assistito dalla tutela costituzionale assicurata ai diritti
fondamentali ex art. 2 Cost.
Sarà sufficiente, in proposito, ricordare i principi cardine in
materia di «valutazione d'impatto ambientale» dettati dalla diret
tiva comunitaria del 27 giugno 1985 (85/337/Cee) che obbligano
gli Stati membri a vigilare affinché le domande di autorizzazione
per l'esecuzione di opere soggette a valutazione d'impatto am
bientale, nonché le informazioni ad esse relative siano messe a
disposizione del pubblico al quale deve anche essere data la possi bilità di esprimere il parere prima dell'avvio del progetto (art.
6, 2° comma). In attuazione anche delle indicazioni contenute in tale princi
pio, l'art. 14 1. 349/86 (legge che ha dettato una prima rudimen
tale disciplina per la valutazione d'impatto ambientale con l'art.
6 e che, significativamente, ha attribuito, sub art. 10, lett. c, ad
un unico servizio del ministero dell'ambiente tanto il compito della
valutazione dell'impatto ambientale quanto quello dell'informa
zione ai cittadini) ha contemplato una serie di casi nei quali viene
in rilievo il diritto alla pubblicità ed alla conoscibilità dei dati relativi all'ambiente attribuendo al ministro competente l'obbligo di assicurare la più ampia divulgazione delle informazioni sullo
stato dell'ambiente (1° comma), stabilendo criteri di pubblicità
per alcuni atti del consiglio nazionale per l'ambiente (2° comma)
ed attribuendo a qualsiasi cittadino il diritto di accesso alle infor
mazioni sullo stato dell'ambiente disponibili presso gli uffici del la pubblica amministrazione e la facoltà di estrarre copia degli atti esistenti presso gli uffici medesimi (ultimo comma).
Il diritto all'informazione, per le caratteristiche che lo contrad
distinguono, è diritto ad ottenere notizie veritiere, complete ed
accessibili concepito tanto in funzione di rendere trasparenti le
decisioni della pubblica amministrazione in materia di ambiente
quanto al fine di garantire un controllo diffuso dei cittadini e
delle formazioni sociali sulle questioni ambientali e sulla loro ge
stione.
È, dunque, un diritto strumentale all'esercizio di una serie no
tevole di altri diritti e libertà costituzionali (tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico: art. 9; libertà di riunione
e di associazione: art. 17-18; libertà di manifestazione del pensie ro: art. 21; diritto alla salute: art. 32; diritto alla sicurezza in
relazione ai possibili pregiudizi derivanti dall'iniziativa economi ca: art. 41; diritto ad associarsi per concorrere a determinare la
politica nazionale: art. 49), e, in quanto tale, costituisce patrimo nio non solo dei singoli ma anche delle formazioni sociali con
template dall'art. 2 Cost.
Un pregiudizio a siffatto diritto si traduce, pertanto, in una
indebita compressione di tutta una serie di altre situazioni giuri
li. Foro Italiano — 1990.
diche, costituzionalmente rilevanti, appartenenti sia ai singoli che
ai gruppi in cui gli stessi siano riuniti per perseguire finalità ri
conducibili a tali valori.
Nel presente procedimento, pertanto, si deve anche ravvisare
la facoltà delle associazioni in questione di costituirsi parte civile
per chiedere il risarcimento dei danni provocati o dal rifiuto di
fornire le informazioni specificamente richieste ai sensi dell'art.
14, ultimo comma, 1. 349/86 (fattispecie contestata al capo 27
in relazione alla posizione della Lega per l'ambiente) o, più in
generale, dalla diffusione di informazioni che si assumono false
in relazione alla qualità dell'acqua erogata dagli acquedotti pole sani (fattispecie contestata al capo 28) con conseguente diretta
compressione dei fondamentali diritti costituzionali propri sopra descritti e, in ogni caso, come opportunamente fatto rilevare dal
lo stesso pubblico ministero, con una frustrazione diretta della
possibilità di perseguire lo scopo statutario determinata proprio dall'artificiosa ed infedele diffusione sistematica delle notizie sul
la qualità della risorsa idrica. (Omissis)
PRETURA DI MILANO; sezione distaccata di Rho; sentenza 29
giugno 1989; Giud. Cascini; imp. Ruzza e altri.
PRETURA DI MILANO;
Parte civile — Reati contro l'ambiente — Enti territoriali — Am
missibilità (L. 8 luglio 1986 n. 349, istituzione del ministero
dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale, art. 18). Sanità pubblica — Rifiuti tossici e nocivi — Scarico incontrollato
di rifiuti — Inosservanza delle prescrizioni contenute nell'auto
rizzazione — Concorso di reati — Sussistenza (D.p.r. 10 set
tembre 1982 n. 915, attuazione delle direttive (Cee) n. 75/442
relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei poli clorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiu ti tossici e nocivi, art. 9, 27).
Danneggiamento — Bene ambientale — Cosa destinata a pubbli ca utilità — Reato — Configurabilità (Cod. pen., art. 625, 635).
Ambiente (tutela dell') — Danno ambientale — Liquidazione —
Criteri (L. 8 luglio 1986 n. 349, art. 18).
Gli enti territoriali sono legittimati a costituirsi come parti civili
nei processi per reati ambientali. (1) La contravvenzione di scarico incontrollato di rifiuti, di cui al
l'art. 9 d.p.r. 915/82, concorre con la contravvenzione di cui
all'art. 27 dello stesso d.p.r. che sanziona l'inosservanza delle
prescrizioni contenute nell'autorizzazione. (2) Ricorre l'ipotesi del danneggiamento aggravato, in quanto avve
nuto su cose destinate a pubblica utilità, ogniqualvolta l'agente deteriori un bene ambientale, anche in assenza di specifiche, concrete utilizzazioni economiche del bene stesso. (3)
(1) Sull'ammissibilità della costituzione come parti civili degli enti lo
cali territoriali, v. Cass. 8 marzo 1985, Bossi, Foro it., Rep. 1987, voce
Parte civile, n. 4; nonché, sia pure secondo diverse prospettive, Pret.
Lendinara 26 aprile 1988, id., 1989, II, 193; Pret. Voltri 16 marzo 1987,
id., 1988, II, 266; Pret. Pietrasanta 23 febbraio 1987, id., 1987, II, 74.
Più in generale, sul principio che l'art. 18 1. 349/86 non esclude che enti
o associazioni possano agire davanti al giudice civile e penale (attraverso la costituzione di parte civile) a tutela di un interesse proprio, v. Cass.
23 ottobre 1989, Cataldi id., 1990, II, 169. In argomento, da ultimo, Pret. Rovigo, ord. 4 dicembre 1989, che precede.
In dottrina, in generale, Grosso, Enti esponenziali ed esercizio dell'a
zione civile nel processo penale, in Giust. pen., 1987, III, 1.
(2) Non constano precedenti negli stessi termini. In dottrina, sul carat
tere di norma di chiusura dell'art. 9 d.p.r. 915/82 (che dovrebbe punire
ogni forma di smaltimento incontrollato e non regolamentato di rifiuti), v. Amendola, Smaltimento di rifiuti e legge penale, Napoli, 1985, 144.
(3) Non constano precedenti sulla specifica questione. La giurisprudenza ha spesso affermato la sussistenza del danneggiamento aggravato con ri
guardo all'inquinamento di beni ambientali, ritenendo non preclusivo il
riferimento contenuto nell'art. 625 c.p. a beni mobili: da ultimo, Cass.
10 febbraio 1984, Mento, Foro it., 1987, II, 708. In dottrina. Lembo, 11 danneggiamento aggravato ai sensi degli art. 635, n. 3, e 625, n. 7,
c.p., in Mass. pen., 1978, 651.
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527 PARTE SECONDA 528
La liquidazione del danno ambientale va effettuata, ove non sia
possibile una precisa quantificazione, alla stregua dei criteri in
dicati dal 6° comma dell'art. 18 l. 349/86. (4)
Fatto. — Nella notte sul 14 febbraio 1989, a seguito di segna
lazioni di cittadini che lamentavano odori molesti, su mandato
di perquisizione del Pretore di Rho, i carabinieri irrompevano all'interno della ditta Petrolcar e constatavano che due autoci
sterne, collegate con manichette al torrente Lura, scaricavano li
quidi nello stesso torrente.
Dopo poco sopraggiungeva il custode delle ditta Giuseppe Pa
rise che ammetteva di avere collegato le cisterne al torrente su
incarico di Marino Ruzza, titolare della società «Autoservizi in
dustriali» proprietaria delle cisterne stesse, dietro compenso di
300.000 lire.
(4) La pronuncia rappresenta, a quanto consta, la prima applicazione, da parte del giudice penale, dei criteri fissati dall'art. 18, 6° comma, 1. 349/86, al fine di determinare in via equitativa il risarcimento del dan
no ambientale. Le decisioni pretorili intervenute in materia di reati am
bientali successivamente alla 1. 349 avevano sinora recato condanne gene riche degli autori del fatto lesivo, in tal modo trasferendo il problema della quantificazione del danno nella sede civile. Il Pretore di Milano
con la sentenza in epigrafe ha condannato gli imputati a risarcire alle
parti civili (ministro per l'ambiente, provincia di Milano, comune e Usi
di Rho) la somma di 500 milioni di lire, facendo riferimento: 1) alla
particolare gravità della colpa, posto che si è aggirata la rigorosa norma
tiva legislativa e «si sono vanificati . . . tutti gli sforzi compiuti dalle
autorità statali e locali per tentare di arginare il fenomeno dell'inquina mento» in zone densamente popolate; 2) al costo per il ripristino valutato
in relazione al progetto esistente per la bonifica del torrente in cui erano
avvenuti gli scarichi; 3) al profitto conseguito, dal momento che gli agen ti avevano evitato i costi necessari per il regolare smaltimento di rifiuti.
Se l'ultimo parametro sembra correttamente applicato, qualche per
plessità sollevano le argomentazioni sub 1) e 2). Quanto alla gravità della
colpa, infatti, la valutazione del giudice si concentra sulla portata del
pregiudizio conseguente alla condotta illecita, sotto il profilo della lesione
del primario diritto alla salute, piuttosto che sull'intensità della colpevo lezza. La particolare considerazione riservata dal 6° comma dell'art. 18
a questo elemento è uno degli aspetti che hanno indotto la dottrina (Bi gliazzi Gerì, Quale futuro dell'art. 18 legge 8 luglio 1986, n. 3491, in
Riv. critica dir. privato, 1987, 686-7) a sottolineare l'accentuazione del
profilo sanzionatorio nella fattispecie di responsabilità delineata dal legis latore: nel sistema della legge è proprio la valutazione dell'elemento sog
gettivo e del suo concreto atteggiarsi che consente di calibrare il risarci
mento secondo una dimensione «personale», comune in genere alle misu
re sanzionatone. Se poi si considera il costo del ripristino, ci si accorge che il pretore ha assunto come punto di riferimento un progetto di boni
fica, approvato con il d.p.c.m. 29 luglio 1988 n. 363: precedente, perciò, di oltre sette mesi il momento in cui fu accertato lo scarico nel torrente Lura. È chiaro, invece, che il ripristino, il cui costo deve essere considera to ai fini della quantificazione del danno, è quello che si rende necessario a seguito del fatto lesivo.
Un'ultima notazione. La condanna disposta anche a favore della pro vincia, del comune e della Usi (in quest'ultimo caso limitatamente al cor
rispettivo per le prestazioni straordinarie rese dai dipendenti all'epoca dei
fatti) trova nella sentenza del giudice lombardo sostegno in alcune pro nunce della Cassazione che hanno deciso per l'ammissibilità della costitu zione di parte civile degli enti territoriali, in quanto enti esponenziali de
gli interessi delle collettività. Ma il quadro normativo è stato innovato
(o almeno reso più problematico) dalla 1. 349/86, che opera nell'art. 18 una dissociazione fra soggetti legittimati all'azione di risarcimento e sog getto titolare del diritto al risarcimento, che è sempre lo Stato. In dottri na (Costanzo-Verardi, La responsabilità per danno ambientale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1988, 738), sono stati avanzati dubbi sulla raziona lità e legittimità costituzionale della possibile divergenza fra autorità com
petente al ripristino ed ente creditore. Vi è, anzi, chi ha ritenuto che il risarcimento spetti all'ente che ha provveduto al ripristino (o che co
munque dovrebbe provvedervi), anche se non si tratti dello Stato (P. Tri
marchi, La responsabilità civile per danni all'ambiente, in Amministrare, 1987, 194; Taruffo, La legittimazione ad agire e le tecniche di tutela nella nuova disciplina del danno ambientale, in Riv. critica dir. privato, 1987, 433).
In giurisprudenza, il tentativo di aggirare le strettoie dell'art. 18 è pas sato o attraverso il riconoscimento di una lesione della «sfera funzionale» attribuita agli enti territoriali, con specifico riguardo alle funzioni colle
gate all'integrità del territorio e dell'ambiente (Pret. Voltri 16 marzo 1987,
cit.); ovvero riconoscendo ai comuni la legittimazione ad esperire un'or dinaria azione di risarcimento dei danni (Pret. Lendinara 26 aprile 1988,
cit.). [G. De Marzo]
Il Foro Italiano — 1990.
La «Autoservizi industriali» risultava titolare di autorizzazione
al trasporto di rifiuti tossico-nocivi rilasciata dalla regione Lom
bardia.
I verbalizzanti constatavano inoltre su indicazione del Parise
che nell'area della società «Petrolcar» (di cui è titolare Adelmo
Simoncini) e presso la società «Ecotrans» (di cui è titolare Giu
seppe Brambilla) erano parcheggiate altre autocisterne cariche di
rifiuti. Dai prelievi effettuati con le garanzie previste dalla sentenza
della Corte costituzionale n. 248/83 (Foro it., 1984, I, 375) risul
tava che tutte le cisterne (sia quelle che scaricavano sia quelle
parcheggiate) contenevano rifiuti tossico-nocivi, come emerso dalle
analisi effettuate presso il presidio multizonale di igiene e profi
lassi di Milano. II pretore disponeva il sequestro dei veicoli, concedendo poi
su istanza della difesa il dissequestro del contenuto di essi condi
zionato al regolare smaltimento.
Procedeva poi con giudizio diretto, contestando le violazioni
al d.p.r. 915/82 in concorso formale, per gli autori dello sversa
mento, con il reato di danneggiamento ambientale.
Si costituivano parti civili il ministro per l'ambiente, la provin
cia di Milano, il comune di Rho e la Usi di Rho, che rivolgevano
le proprie richieste di risarcimento sia contro gli imputati sia con
tro le società di cui essi sono titolari, quali responsabili civili per il fatto degli imputati.
Al dibattimento celebrato il 29 giugno 1989 venivano ammesse
le parti civili costituite, assunte le testimonianze dei verbalizzanti,
del sindaco di Rho, del prof. Cavallaro, del p.m.i.p. di Milano
e del dr. Pellino della Usi di Rho. Gli imputati ammettevano i fatti contestati e i testi conferma
vano il rapporto di polizia giudiziaria. Diritto. — Preliminarmente si osserva che si è ritenuto di con
testare le violazioni relative al d.p.r. 915/82 anziché quelle ine
renti alla legge Merli ai sensi dell'art. 2, 6° comma, stesso d.p.r.
915 il quale fa salva l'applicazione di tale normativa nel caso
che i rifiuti sversati, se pure liquidi, risultino tossico-nocivi.
Nessun dubbio sussiste sul punto, data la chiarezza della nor
ma e il pacifico orientamento della dottrina (in claris non fit in
terprete io).
Sempre in via preliminare e quanto all'ammissibilità delle parti civili costituite, va rilevato che il ministero per l'ambiente è legit
timato alla costituzione in base alla legge istitutiva che ne defini
sce i compiti istituzionali (1. 349/86) con particolare riferimento
all'art. 18 dal quale si inferisce che il danno all'ambiente è consi
derato come danno diretto allo Stato.
Quanto alla provincia di Milano e al comune di Rho si rinvia
alla giurisprudenza della Corte suprema sul punto che ne ammet
te pacificamente l'ammissibilità quali parti civili, ed in particola re alla sentenza 8 febbraio 1984, sez. Ili, in cui si legge: «tali
enti territoriali, assumendo la veste di danneggiati direttamente
in forza dello ius gestionis dell'assetto ecologico del territorio,
sono legittimati a costituirsi parti civili nei confronti di chi effet
tua scarichi inquinanti». Tale orientamento si riconduce al leading case di cui alle sez.
un. pen. 21 aprile 1979 (id., 1979, II, 402) in tema di ammisibili tà della costituzione di parte civile del comune quale «ente espo
neziale» rappresentante gli interessi della collettività.
Quanto infine alla Usi — che pure è ente territoriale in quanto
consorzio di comuni — si è ritenuto di ammettere la relativa co
stituzione, anche in carenza di eccezione, ai soli fini del petitum limitato alle prestazioni straordinarie erogate ai dipendenti in con
seguenza degli interventi in loco all'epoca dei fatti.
Si rileva poi che la 1. 833/78 ha attribuito alle Usi compiti specifici in materia di inquinamento (art. 4).
Prima di passare alla parte di motivazione relativa alle singole,
specifiche responsabilità, pare opportuno accennare al tipo di im
pugnazione contestata, in quanto in tale fattispecie di processo
penale la contestazione prospettata non si poneva come unica pos sibile.
Va, pertanto, evidenziato che le violazioni al d.p.r. 915/82 at
tengono in primis allo scarico incontrollato di rifiuti (art. 9, reato
contestato ai primi due imputati), in relazione alla condotta de
scritta nello svolgimento del processo consistente nello sversamento
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529 GIURISPRUDENZA PENALE 530
di rifiuti tossico-nocivi in carenza dell'autorizzazione regionale
prevista per tale fase dello smaltimento.
Tale contravvenzione concorre, secondo la dottrina più autore
vole in virtù della diversa oggettività giuridica dei reati, con la
contravvenzione di cui all'art. 27 stesso d.p.r., che sanziona la
violazione delle prescrizioni stabilite nell'autorizzazione; sotto ta
le profilo si osserva che la «Autoservizi» era titolare di autorizza
zione regionale limitata alla fase del trasporto di rifiuti tossico
nocivi, nel quale provvedimento erano contenute modalità relati
ve al tipo di cisterna (punti 1 e 2), alle carateristiche di sicurezza
(punto 8) e, soprattutto, all'obbligo di «evitare ogni rischio di
inquinamento dell'acqua, ogni inconveniente derivante da odori,
ogni degrado dell'ambiente e del paessaggio» (punto 8, parte I,
II e III, dell'autorizzazione rilasciata dalla regione Lombardia in
data 3 marzo 1988, deliberazione n. 29821, agli atti del processo). Con la violazione dell'art. 26 d.p.r. 915, contestata agli altri
due imputati, si fa carico ad essi di avere effettuato stoccaggio
provvisorio di rifiuti tossico-nocivi senza la prevista autorizzazio
ne: a tale proposito va rilevato che la giurisprudenza ritiene la
sussistenza dello stoccaggio provvisorio anche in fattispecie di de
posito temporaneo di rifiuti presso aziende, e che il requisito for
male del fatto di reato viene integrato mediante la sola effettua
zione di tale deposito, sussistendo l'elemento soggettivo del reato
anche in semplice colpa in quanto si tratta di contravvenzione
(come si dirà oltre in ordine alla sussistenza dell'elemento psico
logico). Quanto infine al delitto di cui all'art. 635 c.p., si osserva:
1) che tale reato può ritenersi realizzato in fattispecie, come
quella de qua, in cui venga danneggiato un bene pubblico sotto
il profilo dell'ulteriore deterioramento in relazione ad una res fa
cente parte di un complesso bene ambientale, anche in carenza
di specifiche, concrete utilizzazioni di tale bene per usi agricoli o economici.
Infatti, si ritiene che, ove il legislatore adotta nella formulazio
ne della norma la dizione «distrugge, disperde o deteriora», il
termine deteriorare vada inteso nell'accezione linguisticamente pro
pria della parola, semantica di un ulteriore pregiudizio recato a
un bene anche già compromesso (come si deduce anche dal suf
fisso comparativo di derivazione latina ior, come in peior, dete
rior), cosi che si ritiene potersi verificare danneggiamento sia me
diante la condotta di chi cagioni danno a un bene precedente
mente integro, sia con quella di chi arrechi ulteriore nocumento
a una situazione già compromessa, in quanto non pare sia confi
gurabile un limite al peggioramento di un bene ambientale.
A tale proposito si rileva che il paragone col «cadavere», pro
posto dalla difesa, non appare conferente in quanto trattandosi
di beni ambientali non può mai verificarsi uno stato di definitiva
e irreversibile estinzione quale quello in cui si è fatto il macabro
riferimento;
2) che il delitto de quo non è assorbito dalla successiva norma
tiva in materia ambientale, data la diversa oggettività giuridica,
come rilevato dalla più acuta dottrina cui si rinvia, cosi che sussi
ste concorso formale tra il delitto e la contravvenzione (sulla non
configurabilità della continuazione v. infra)-,
3) che la sentenza della Corte costituzionale n. 641/87 (id.,
1988, I, 694) ha definito l'ambiente come bene giuridico unitario
e indivisibile, con all'interno diverse regolamentazioni giuridiche
relative all'acqua, all'aria e al suolo, configurandosi tale bene
come oggetto di fruizione non solo da parte dello Stato ma nella
disponibilità della comunità; poiché, pertanto, si tratta di bene
materiale giuridicamente tutelato ne consegue l'applicabilità della
norma di cui all'art. 635 c.p., posta dal legislatore a tutela di
ogni bene sia mobile che immobile.
Quanto poi alla utilizzazione del torrente, si ritiene che il fatto
di non essere sfruttato a fini economici non determini la carenza
di pubblica utilità del bene ai sensi dell'art. 635, 2° comma, n.
3, c.p., sussistendo comunque la fruibilità del bene ambientale
da parte della comunità in base alle considerazioni sopra svolte
in ordine al concetto di bene ambientale.
Sulla configurabilità del danneggiamento in fattispecie di in
quinamento di acque si rinvia comunque in particolare a Cass.
sez. II, 12383/75 (id., Rep. 1977, voce Danneggiamento, nn. 2-6),
tra le altre, nonché Pret. Milano 2 ottobre 1984, Zavoli).
Il Foro Italiano — 1990.
Sulla responsabilità penale. Tutto ciò premesso, venendo alle
valutazioni relative alla responsabilità penale degli imputati, si
osserva che essi hanno sostanzialmente ammesso i fatti contesta
ti, e che tali ammissioni trovano puntuale e specifico riscontro
oggettivo nel rapporto di polizia giudiziaria. La quantità di liquido sversato, risultato inequivocabilmente
tossico-nocivo dalle analisi effettuate, non pare essere oltremodo
rilevante, trattandosi comunque di ingente quantità (40.000 litri
secondo i verbalizzanti, 20.000 secondo gli imputati; il Parise ha
inoltre dichiarato di avere lasciato scaricare le cisterne fino alla
mattina per consentire che si svuotassero). Sul dolo del danneggiamento vale quanto ritenuto dalla Supre
ma corte, secondo la quale il dolo è integrato con il solo atto
di deterioramento unito alla consapevolezza delle possibili conse
guenze (Cass. 17 giugno 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 3)
(eventualmente — si osserva — anche sotto il profilo del dolo
eventuale), senza che sia necessario il dolo specifico. Sulle conseguenze del fatto de quo valgono le dichiarazioni re
se dal prof. Cavallaro in dibattimento, alle quali ci si attiene in
relazione alla competenza specifica del teste e alla autorevolezza
delle valutazioni scientifiche da lui espresse sulla alterazione della
composizione biochimica delle acque per effetto del fatto con
testato.
La violazione delle prescrizioni stabilite dalla autorizzazione re
gionale da parte di Marino Ruzza e Giuseppe Parise risulta per
tabulas, rinviandosi a quanto sopra considerato preliminarmente e a quanto accertato dal rapporto di polizia giudiziaria con il
particolare valore probatorio di cui all'art. 158 c.p.p. Tanto vale anche per la contestazione relativa all'art. 26 d.p.r.
915 rivolta al Giuseppe Brambilla e Adelmo Simoncini, che han
no confermato la loro disponibilità ad ospitare le cisterne presso le proprie aziende.
A tale proposito, relativamente alla versione difensiva del Bram
billa, si osserva che trattandosi di contravvenzione è sufficiente
la semplice colpa, e che tale elemento è certamente sussistente
nella condotta dei due imputati citati sia sotto il profilo della
generica negligenza nel consentire il deposito dei veicoli (che essi
sapevano, per il rapporto di conoscenza tra gli imputati, essere
adibiti al trasporto di rifiuti), sia sotto quello della specifica vio lazione delle norme inerenti alla necessità di autorizzazione.
Ad abundantiam, si osserva poi il fatto che il Parise lavorasse
da tempo per conto del Simoncini, titolare della Petrolcar, e che
la Ecotrans, società di cui è titolare il Brambilla, avesse in passa
to avuto la stessa sede della Autoservizi, sono ulteriori indizi che
uniti alle modalità con cui si sono verificati i fatti rendono logi
camente provata oltre ogni ragionevole dubbio la responsabilità,
quanto meno a titolo di colpa, del Brambilla e del Simoncini,
individui, peraltro, dotati di certificati penali particolarmente ric
chi ed eloquenti, tali, pertanto, da ingenerare dubbi in ordine
alla credibilità delle versioni da essi fornite.
Quanto poi al fatto che il Simoncini si trovasse in stato di
arresto al momento del fatto non rileva in quanto l'arresto è av
venuto solo due giorni prima, e, comunque, il rapporto di colla
borazione tra il Simoncini e il Parise perdurava da tempo.
Si ritiene che le contravvenzioni di cui agli art. 9 e 27 d.p.r.
915, contestate a Marino Ruzza e Giuseppe Parise, siano state
commesse nell'esecuzione di un identico disegno criminoso, men
tre il concorso di persone consegue al previo accordo tra loro,
ammesso dai due imputati che — viribus unitis — hanno reso
più agevole la consumazione del reato.
Non si ritiene invece possibile configurare la continuazione tra
le contravvenzioni e il delitto, in primo luogo perché (come valu
tazione in fatto) non risulta che vi fosse un disegno criminoso
che collegasse la commissione dei due fatti di reato, e comunque
(in diritto) perché non si ritiene applicabile alla fattispecie l'istitu to della continuazione data l'eterogeneità delle pene, secondo il
costante (anche se non più univoco) orientamento della Cassazio
ne basato sul principio di legalità della pena (Cass. 23 ottobre
1976, id., Rep. 1977, voce Reato continuato, n. 26; 25 gennaio
1982, id., Rep. 1983, voce cit. n. 53; Corte cost. 18 gennaio 1977,
n. 34, id., 1977, I, 776). Non si ritiene di concedere le attenuanti generiche limitatamen
te alle contravvenzioni contestate al Ruzza e al Parise in conside
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531 PARTE SECONDA 532
razione dell'affidamento che si era ingenerato per effetto del
rilascio di autorizzazione ad hoc da parte della pubblica ammini
strazione, cosi che il reato è stato commesso avvalendosi di tale
provvedimento e aggirando fraudolentemente tutta la normativa
che il legislatore ha adottato proprio per impedire la consuma
zione di tali fatti di reato.
Le stesse attenuanti possono essere concesse in relazione al
delitto in considerazione della condotta processuale degli im
putati. Per il Ruzza e il Parise la pena andrà, pertanto, commisurata
ai sensi dell'art. 133 c.p.c. in mesi due di arresto e lire 1.000.000
di ammenda per le contravvenzioni (p.b. mesi uno giorni 15
e lire 800.000, cosi aumentata ex art. 81 c.p.), e in mesi quattro
di reclusione per il delitto (p.b. mesi sei, cosi ridotta ex art.
62 bis c.p.). Agli stessi imputati può essere concessa la sospensione condi
zionale, data l'incensuratezza.
Quanto al Brambilla e al Simoncini, si ritiene di concedere
le attenuanti generiche in relazione alla condotta processuale,
commisurando cosi la pena ex art. 133 c.p. in mesi quattro
di arresto e lire 1.000.000 di ammenda (p.b. mesi sei lire
2.000.000, cosi ridotta ex art. 62 c.p.). Non si ritiene di concede
re la sospensione condizionale a tali imputati in relazione ai
numerosi precedenti penali, dai quali non si può certamente de
sumere che essi si asterranno in futuro dal commettere ulteriori
reati.
Va ordinata la confisca dei veicoli in sequestro, che servirono
per la commissione del reato.
Sul risarcimento del danno. Va innanzitutto rilevato che la
Corte di cassazione con sentenza 12383/75 ha ritenuto che nelle
fattispecie di inquinamento ambientale il danno sia configurabile
sia sotto il profilo della ridotta utilizzazione del corso d'acqua,
sia sotto il profilo del costo necessario per spese di bonifica
e depurazione (Cass. 28 aprile 1975).
Va poi evidenziato che il consiglio della Comunità economica
europea ha approvato il 17 maggio 1977 una risoluzione che
nel titolo I stabilisce: «le spese per la prevenzione e per l'elimi
nazione delle perturbazioni ambientali sono a carico dell'inqui
natore».
Tale principio è divenuto legge interna dello Stato nel 1986,
con l'approvazione della 1. 8 luglio 1986 n. 349 istitutiva del
ministero per l'ambiente, il cui art. 18, 1° comma, cosi recita:
«qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge che comprometta l'ambiente ad esso arrecando danno,
alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte
obbliga l'autore del fatto al risarcimento in favore dello Stato»;
il 2° e il 3° comma dello stesso articolo dispongono che la
giurisdizione appartiene al giudice ordinario e che l'azione di
risarcimento, anche se esercitata in sede penale, è promossa dal
lo Stato e dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetti di atto lesivo. In paticolare, il giudice ordinario civile o penale ha facoltà di determinare l'ammontare del danno risarcibile in
via equitativa qualora non sia possibile una precisa quantifica
zione, e nell'uso di tale potere deve tenere conto della gravità della colpa individuale, del costo necessario per il ripristino e
del profitto conseguito dal trasgressore.
Ora, si ritiene, concordando con la tesi espressa dall'avvocatu
ra dello Stato, che tale tipo di norma esprima un'applicazione
particolare del principio generale del neminem laedere sancito
dall'art. 2043 c.c. in materia di danno ingiusto all'ambiente,
inteso come ripristino dello stato dei luoghi o, se esso non sia
possibile materialmente, come risarcimento per il danno ingiusto arrecato. Qualora, come nella fattispecie, una precisa quantifica zione non sia possibile, la norma pone a disposizione del giudice anche penale un criterio equitativo di liquidazione del danno,
ove per «equitativo» non si intende un criterio casuale bensì'
legato a parametri predeterminati. In relazione ai tre parametri sopra citati, si ritiene che la gra
vità della colpa sia in questo caso massima, posto che si è aggi rata la normativa rigorosa stabilita dal legislatore, e si sono va
nificati con un solo fatto e senza la minima difficoltà tutti gli
sforzi compiuti dalle autorità statali e locali per tentare di argi nare il fenomeno dell'inquinamento in zone densamente popola
li Foro Italiano — 1990.
te nelle quali le condizioni di vita della popolazione sono già
precarie sotto il profilo del diritto primario alla salute, costitu
zionalmente tutelato.
Il secondo parametro (costo necessario per il ripristino) va
valutato in relazione al progetto esistente per la bonifica del
bacino di cui fa parte il torrente Lura, approvato con d.p.c.m.
in data 29 luglio 1988 n. 363, al cui paragrafo 11.2 si fa espresso
riferimento alla tutela delle acque ed al disinquinamento delle
acque superficiali. Per i soli interventi relativi al torrente Lura
risulta siano stati stanziati circa 42 miliardi, ciò che induce a
valutare l'entità del danno risarcibile nella fattispecie de qua
in misura proporzionale — seppure ridotta in relazione alla par
te di danno arrecato — a tale cifra.
Quanto al terzo parametro (profitto conseguito), si osserva
che lo smaltimento regolare dei rifiuti avrebbe comportato costi
certamente molto elevati in considerazione dell'estrema scarsità
dell'attuale offerta di mercato relativa allo smaltimento regolare
di rifiuti tossico-nocivi e del notevole quantitativo di rifiuti da
smaltire.
Da quanto sopra non emerge comunque la determinabilità di
una somma precisa nel suo ammontare, né si potrebbe addiveni
re a determinare una più precisa quantificazione mediante una
eventuale successiva causa civile, nella quale malgrado i tempi
estremamente lunghi non si potrebbe acquisire alcun ulteriore
elemento, né stabilire alcun diverso criterio ai fini di quantifica
re il danno risarcibile.
Si ritiene, pertanto, più opportuno quantificare in questa sede
il danno, usufruendo dello strumento normativo ad hoc che
l'art. 18 1. 349/86 ha posto a disposizione del giudice ordinario
anche penale. Tutto ciò ritenuto, e tenuto in particolare considerazione il
secondo parametro descritto, anche in relazione al petitum ri
chiesto dal ministero per l'ambiente, ritiene questo giudice di
quantificare in via equitativa il danno risarcibile nella misura
di lire 500 milioni, assegnando provvisionale per la somma di
lire 50 milioni. L'obbligazione risarcitoria va posta a carico di tutti gli impu
tati, sia di quelli tra essi che hanno materialmente provocato con il loro accordo lo sversamento (Ruzza e Parise) sia dei tito
lari delle aree ove erano posizionate le cisterne (Simoncini e
Brambilla), i quali consentendo l'uso delle proprie ditte hanno
contribuito a rendere possibile l'inquinamento, a prescindere dalla diversa configurazione della responsabilità penale in capo
agli imputati. Si osserva infine che la cifra liquidata, se pure possa costituire
un precedente in materia, non va intesa tanto quanto «danno
punitivo» secondo l'orientamento della giurisprudenza di com
mon law, quanto come applicazione pratica dello specifico crite
rio di liquidazione previsto dall'art. 18 1. 349/86, valutato alla
stregua dei parametri in esso previsti in carenza di altro possibile criterio per determinare il danno ingiusto cagionato dagli impu
tati mediante la violazione della normativa in materia am
bientale.
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