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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Sezione I penale; sentenza 13 giugno 1980; Pres. Fasani,...

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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Sezione I penale; sentenza 13 giugno 1980; Pres. Fasani, Est. Semeria, P. M. Folino (concl. parz. diff.); ric. Adrian e altri. Annulla Trib.

Sezione I penale; sentenza 13 giugno 1980; Pres. Fasani, Est. Semeria, P. M. Folino (concl. parz.diff.); ric. Adrian e altri. Annulla Trib. Milano 9 gennaio 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1982), pp.371/372-373/374Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174619 .

Accessed: 28/06/2014 09:37

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PARTE SECONDA

Il procuratore della repubblica di Roma ha proposto ricorso

per cassazione avverso la parte della predetta sentenza con la

quale il Martini Luigi è stato dichiarato non punibile per aver

agito per forza maggiore. Ad avviso del ricorrente il pretore avrebbe erroneamente e

contraddittoriamente ritenuto la sussistenza di un fatto assoluta

mente inevitabile ed irresistibile (impossibilità di reperimento di

risorse finanziarie per il pagamento dei contributi) senza tener

conto che lo stato deficitario del bilancio aziendale sostanzialmen

te squilibrato non può escludere la responsabilità per l'omesso

pagamento dei contributi previdenziali dovuti giacché il prose

guimento della attività, senza gli opportuni rimedi, importa la

libera decisione di non adempiere all'obbligo dei presunti versa

menti, come affermato dalla giurisprudenza per l'impresa privata. Dalla mancata supplenza degli stanziamenti comunali non può farsi discendere l'estraneità dell'omissione contributiva alla vo

lontà del legale rappresentante dell'azienda.

Il ricorso non è meritevole di accoglimento. 11 legislatore, allo scopo di razionalizzare i più elementari

servizi pubblici e di assicurarne l'espletamento con criteri econo

mici e con la finalità di servire la cittadinanza, ha predisposto una apposita normativa (r.d. 10 marzo 1904 n. 108 e t.u. 15 ot

tobre 1925 n. 2578) diretta a disciplinare tale materia, preveden

do — tra l'altro — la costituzione di aziende municipali, rette

e organizzate secondo un proprio regolamento. Il comune di Roma, con regolamento apposito, ha deliberato,

per quanto concerne il servizio dei trasporti pubblici urbani, la

costituzione di un'azienda speciale (A.t.a.c.) precisando che la

stessa « è azienda speciale del comune disciplinata dalle norme

dell'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni »; che la stessa A.t.a.c. ha « la capacità di predisporre e di com

piere tutti gli atti ed i negozi giuridici necessari per il raggiun

gimento del suo fine e di stare in giudizio per le azioni che ne

conseguono » ed ha quali suoi organi « la commissione ammini

stratrice, il presidente ed il direttore ».

La capacità negoziale e di stare in giudizio della azienda è,

perciò, limitata alle finalità istituzionali dell'azienda in quanto essa è un organo dell'amministrazione comunale e manca, quindi, di personalità giuridica.

L'autonomia patrimoniale e contabile dell'azienda è deducibile

dalla elaborazione dei bilanci preventivi e dei consuntivi.

I bilanci preventivi risultano però vincolati per quanto con

cerne le fonti di ricavo perché la determinazione del prezzo del

biglietto e degli abbonamenti imposti all'utente per il servizio di

trasporto a lui reso è di competenza, non degli amministratori

dell'azienda, ma esclusivamente dell'amministrazione comunale, la quale è portata a praticare prezzi politici, non certo adeguati al costo dei servizi, che perciò determinano un consistente squi librio tra le entrate e le spese (queste sempre crescenti) della

azienda dei trasporti. Stante tale situazione amministrativa - contabile, l'A.t.a.c., che

non è abilitata — data la carenza di personalità giuridica —

a reperire finanziamenti aliunde, non poteva che rappresentare — cosi come i suoi organi fecero ripetutamente — all'ammi

nistrazione comunale la sua situazione debitoria e chiedere che tale amministrazione provvedesse a sanare le perdite con appo siti stanziamenti del bilancio del comune, cosi come previsto dall'art. 36 del regolamento.

Tutto ciò premesso, si osserva che per quanto concerne il pa

gamento dei contributi previdenziali non è possibile — cosi com'è stato prospettato dal p.m. ricorrente — paragonare l'A.t.a.c. ad una impresa privata giacché quest'ultima, che — al contrario del

l'A.t.a.c. — o è una persona giuridica o è una persona fisica, ha

la possibilità sia di predisporre il proprio bilancio in modo da

far fronte alle spese con le proprie entrate, sia di procurarsi i

finanziamenti necessari per pagare i contributi previdenziali do

vuti e, se necessario, di limitare la propria attività per proporzio nare le spese alle entrate o, in ultima ipotesi, di cessare l'attività

stessa e di liquidare le proprie attività per estinguere i debiti.

Tutto ciò non è possibile per un'azienda municipale quale l'A.t.a.c. perché essa deve provvedere ad un servizio pubblico che — ai sensi dell'art. 331 c.p. — non può essere interrotto e, al contrario, doveva essere potenziato per sopperire alle neces

sità sempre crescenti della popolazione, sia perché la propria situazione debitoria, che è da attribuirsi esclusivamente ai prezzi del servizio imposti dagli organi comunali, doveva essere sanata

da appositi stanziamenti del bilancio del comune che tale situa

zione aveva determinato. E tra tali organi del comune di Roma

avrebbe dovuto ricercarsi il responsabile del mancato pagamento dei contributi previdenziali dovuti giacché alla colpevole con

dotta di tali organi, concretatasi nel praticare prezzi politici non

proporzionati al costo del servizio e nell'omettere di stanziare le

somme necessarie per ripianare il bilancio dell'A.t.a.c., e non alla volontà degli amministratori dell'A.t.a.c., deve attribuirsi il man cato pagamento dei contributi previdenziali.

L'omesso ripianamento della gestione di esercizio dell'azienda

municipale da parte degli amministratori comunali, l'impossibi lità da parte degli amministratori dell'azienda di adeguare le sue entrate (prezzo del biglietto) alle spese sempre crescenti o di

procurarsi in altro modo dei finanziamenti, nonché la necessità,

imposta anche dalla legge (art. 331 c.p.), di garantire il servizio di trasporto pubblico alla cittadinanza costituiscono, nel loro com

plesso, quella situazione che — inevitabilmente ed irresistibil mente — costrinse quegli amministratori dell'A.t.a.c. ad omet

tere il pagamento dei contributi previdenziali. Di conseguenza il ricorso del p.m. va rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I penale; sentenza 13 giu gno 1980; Pres. Fasani, Est. Semeria, P. M. Folino (conci,

parz. diff.); ric. Adrian e altri. Annulla Trib. Milano 9 gennaio 1979.

Misure di prevenzione — Rimpatrio obbligatorio — Ordine del

questore nei confronti di straniero non residente in Italia —

Inosservanza — Reato — Insussistenza (L. 27 dicembre 1956 n. 1423, misure di prevenzione nei confronti delle persone pe ricolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, art. 2).

Poiché l'ordine di rimpatrio, con il connesso divieto di ritorno, senza autorizzazione, nel comune dal quale viene disposto l'al

lontanamento, può essere emesso dal questore soltanto nei

confronti di coloro che, cittadini o stranieri, abbiano residen za in un comune dello Stato, dev'essere assolto, perché il fatto non costituisce reato, lo straniero non residente in Italia che

non abbia ottemperato all'ordine. (1)

Fatto. — Con sentenza 27 ottobre 1978 il Pretore di Milano

(Foro it., Rep. 1979, voce Misure di prevenzione, n. 7) dichia

rava Adrian Rianas Carlos Alfonso, Lojola Bustos Carlos Um

berto, Cortes Cortes Ramon Miguel, Vidal Reyes Mauricio En

rique, Alfaro Moran Luis Abel colpevoli del reato d'inosser vanza al provvedimento del questore di fare ritorno a Milano

senza autorizzazione (art. 2 1. 27 dicembre 1956 n. 1423), Alfaro Moran Luis anche del reato d'inosservanza all'ordine del prefetto di presentarsi al posto di frontiera (art. 152 r.d. 18 giugno 1931

n. 773) e condannava i primi quattro alla pena di mesi due giorni quindici d'arresto ciascuno, il quinto, ritenuta la contestata con

tinuazione, alla pena di mesi tre d'arresto. Ordinava che, scon

tata la pena, fossero tradotti al luogo di rimpatrio.

(1) Non risultano precedenti in termini. Da Cass. 22 febbraio 1979, Casablanca, Foro it., Rep. 1979, voce Misure di prevenzione, n. 36, è stato ritenuto che l'espulsione dello straniero dal territorio della re pubblica ed il divieto di rientrarvi previsti dagli art. 150 e 151 del t. u. leggi di p. s., sono provvedimenti ben distinti dalla diffida di pubblica sicurezza con cui il questore, nei confronti di chiunque, an che non cittadino italiano, che si trovi nelle condizioni previste dalla legge, inibisce solamente il ritorno non autorizzato nel comune dal quale il soggetto viene allontanato. In senso conforme alla sentenza che si riporta, Cass. 18 novembre 1972, Chessa, id., Rep. 1973, voce cit., n. 78, ha ritenuto che, ai fini dell'art. 2 legge n. 1423/1956, il luogo di residenza va individuato ai sensi dell'art. 43 c. c. quale luogo di abituale dimora, intesa come situazione di fatto cui per legge deve adeguarsi la iscrizione anagrafica, la quale, pertanto, ha un va lore puramente indicativo. Sull'avviamento obbligatorio alla frontiera

degli stranieri, disposto dal prefetto ai sensi dell'art. 152 t. u. leggi di p. s., v. Cass. 16 maggio 1977, Moschin, id., Rep. 1978, voce Stranie ro, n. 12; Pret. Roma 20 aprile 1978, id., 1978, II, 310, con nota di R. Moretti.

Sull'obbligo di motivazione del foglio di via obbligatorio, v., da ulti

mo, Trib. Trento 23 ottobre 1979, >Pret. Roma 24 settembre 1979 e Pret. Trento 21 gennaio 1978, id., 1980, II, 255, con ampia nota di richiami in dottrina e giurisprudenza.

In dottrina, v. oltre a iMazzara, in nota alla sentenza in epigrafe, in Giur. it., 1981, II, 209: Di Noto, Le misure di polizia nei con

fronti delle persone socialmente pericolose per la sicurezza pubblica e la pubblica moralità: diffida, rimpatrio con foglio di via obbligatorio, espulsione ed allontanamento dello straniero, in Riv. polizia, 1974, 711; Galterio, Lo straniero nei confronti della giurisdizione penale e i

provvedimenti di polizia, in Giust. pen., 1976, il, 260; Quaranta, Osservazioni su alcune lacune delle misure di polizia nei confronti di elementi stranieri, in Riv. polizia, 1976, 406; Sabatini, Stranieri

(espulsione degli), voce del Novissimo digesto, 1971, XVIII, 543; Zazzera, Il rimpatrio dello straniero con foglio di via obbligatorio, in Mon. trib., 1975, 353.

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GIURISPRUDENZA PENALE

Con sentenza 9 gennaio 1979 il Tribunale di Milano, in rifor ma di quella 27 ottobre 1978 del pretore, tra l'altro, assolveva Adrian Rianas Carlos Alfonso, Cortes Cortes Ramon Miguel, Vidal Reges Mauricio Enrique, Alfaro Moran Luis Abel, Lojola Bustos Carlos Umberto dal reato loro ascritto perché il fatto non

sussiste; dichiarava l'illegittimità dei provvedimenti di diffida emessi nei confronti dei predetti dal questore di Milano rispetti vamente in data 1° aprile 1978, 4 marzo 1978, 3 marzo 1978, 22

novembre 1977, 13 dicembre 1975.

Secondo quanto ritenuto nel giudizio di merito era stato ini bito ad Adrian Rianas Carlos Alfonso, Lojola Bustos Carlos

Umberto, Cortes Cortes Ramon Miguel, Vidal Reyes Mauricio

Enrique, Alfaro Moran Luis Abel dal questore di Milano rispet tivamente con provvedimenti 1° aprile 1978. 13 dicembre 1975, 4 marzo 1978, 3 marzo 1978, 22 novembre 1977 di fare ritorno a Milano senza autorizzazione. I predetti Adrian Rianas Carlos

Alfonso, Lojolo Bustos Carlos Umberto, Cortes Cortes Ramon

Miguel, Vidal Reyes Mauricio Enrique, Alfaro Moran Luis Abel erano stati sorpresi in Milano il 20 ottobre 1978. Alfaro Moran Luis Abel non aveva inoltre osservato l'ordine del prefetto di Milano di presentarsi al posto di frontiera di Ventimiglia entro il 26 settembre 1978. Secondo quanto ritenuto dal tribunale, i

provvedimenti del questore erano stati emessi illegalmente. Avverso la predetta sentenza 9 gennaio 1979 del tribunale ha

proposto ricorso per cassazione il p.g. presso la Corte d'appello di Milano, deducendo erronea applicazione della norma giuri dica 1) per avere il tribunale a seguito delle considerazioni fatte circa la competenza del questore, assolto gli imputati perché il

fatto non sussiste e non già perché il fatto non costituisce reato, sebbene fosse stato accertato nella sua materialità il ritorno a

Milano senza autorizzazione prima del termine fissato, 2) per avere il tribunale erroneamente ritenuto complementari il divie to di fare ritorno nel comune dal quale è effettuato l'allontana mento ed il rimpatrio nel luogo di residenza con foglio di via

obbligatorio; per avere inoltre erroneamente ritenuto inapplica bile agli stranieri l'inibizione da parte del questore di non ritor nare nel comune, dal quale vengono allontanati.

Diritto. — Non sussistono elementi i quali facciano ritenere che l'art. 2 1. 27 dicembre 1956 n. 1423 (misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la

pubblica moralità) non sia applicabile anche agli stranieri: ap punto ai sensi dell'art. 3 c.p. la legge penale italiana obbliga tutti coloro che cittadini o stranieri si trovano nel territorio dello

Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno. Il

predetto art. 2 1. 1423/1956 stabilisce che se le persone indicate dall'art. 1 siano pericolose per la sicurezza pubblica o per la pubblica moralità e si trovino fuori dei luoghi di residenza, il

questore può rimandarvele con provvedimento motivato e con

foglio di via obbligatorio, inibendo loro di ritornare senza pre ventiva autorizzazione ovvero per un periodo superiore a tre anni nel comune dal quale sono allontanate. Dalla stessa espres sione letterale dell'articolo risulta che per l'emissione del prov vedimento occorre tra l'altro che la persona nei cui riguardi il

provvedimento stesso è preso abbia residenza in un comune del lo Stato (« persone ... si trovino fuori dei luoghi di residenza »). La residenza anche nei confronti degli stranieri va intesa ai sensi dell'art. 43 c.c. quale luogo di dimora abituale individuante una situazione di fatto cui deve adeguarsi l'iscrizione anagrafica ai sensi della 1. 24 dicembre 1954 n. 1228, iscrizione che ha per tanto valore indicativo. Se il provvedimento riguarda persona la

quale non ha titolo di residenza in un comune, esso è illegittimo appunto per mancanza di uno degli elementi previsti dalla legge ai fini della sua emissione: la illegittimità riguarda anche il di vieto alla persona di ritornare nel comune, dal quale è allonta

nata; i due ordini contenuti nel provvedimento medesimo sono

interdipendenti. Il rilascio del foglio di via obbligatorio con re lativa indicazione della destinazione permette inoltre d'accertare se la persona si sia allontanata effettivamente dal comune in cui la sua presenza è particolarmente pericolosa ed è garanzia per la

stessa persona nei cui confronti è stato emesso il provvedimento; con il rimpatrio può essere favorito il recupero di essa, ricon

ducendola nel proprio ambiente e togliendola da quello in cui

aveva manifestato particolare pericolosità. Nel caso risulta dagli stessi singoli provvedimenti del questo

re che gli stranieri (attualmente imputati) nei cui confronti sono

stati emessi non hanno residenza nel territorio dello Stato, ma

all'estero. Infatti con tali provvedimenti del questore è ordinato

il rimpatrio senza foglio di via obbligatorio ed è inibito di fare

ritorno a Milano senza autorizzazione per un periodo di tre anni.

Consegue l'impossibilità di rimandare le singole persone ai ri

spettivi luoghi di residenza non soggetti alla sovranità italiana; è comunque impossibile da parte dell'autorità italiana impedire

che tali persone, varcata la frontiera, non si rechino al luogo di

residenza; è pure escluso che esse si siano allontanate da un co

mune di residenza in Italia, recandosi a Milano.

Nei confronti degli stranieri pericolosi sono previsti, indipen dentemente dalla loro residenza, altri provvedimenti ai fini di

espellerli o respingerli dallo Stato in quanto ricorrano partico lari condizioni. Tali provvedimenti sono appunto distinti da

quelli con i quali il questore nei confronti di chiunque anche non

cittadino italiano inibisce solamente il ritorno non autorizzato

nel comune, dal quale il soggetto viene allontanato ai fini della

sicurezza e della pubblica moralità. L'art. 150 r.d. 18 giugno 1931

n. 773 dispone infatti, salvo quanto stabilito dal codice penale, che gli stranieri condannati per delitto possono essere espulsi dal

lo Stato ed accompagnati alla frontiera; il ministro dell'interno,

per motivi d'ordine pubblico, può pronunciare decreto ai sensi di

legge d'espulsione e d'accompagnamento alla frontiera dello stra

niero di passaggio o residente nel territorio dello Stato; possono altresì essere espulsi gli stranieri denunciati per contravvenzioni

alle disposizioni del capo I titolo V stesso r.d. L'art. 152 fra

l'altro dà facoltà ai prefetti per motivi d'ordine pubblico d'av

viare alla frontiera mediante foglio di via obbligatorio gli stra

nieri che si trovano nelle rispettive province. Pertanto i prov vedimenti in questione del questore di Milano sono illegittimi non perché emessi nei confronti di stranieri, ma perché emessi

nei confronti di non residenti in Italia. L'assoluzione degli im

putati va però pronunciata (in parziale accoglimento del ricorso

del p.g.) « perché non punibili perché il fatto non costituisce rea

to » e non « perché il fatto non sussiste ». Appunto il fatto è

stato commesso dagli imputati (intendendosi per « fatto » la con

dotta e l'evento quali elementi obiettivi di un determinato reato

collegati da rapporto causale materiale), ma difetta la legittimità dei singoli provvedimenti del questore, con i quali era stato ini

bito loro il ritorno a Milano.

CORTE DI CASSAZIONE', Sezione II penale; sentenza 18 gen naio 1978; Pres. Siotto, Est. Benedetti, P. M. (conci, conf.); ric. Locatelli. Conferma App. Milano 6 luglio 1977.

Estradizione — Estradizione del cittadino — Ammissibilità —

Limiti — Fatispeeie {Cost., art. 26; cod. pen., art. 13; 1. 30

gennaio 1963 n. 300, ratifica ed esecuzione della convenzione

europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957, art. 1, 2; convenzione: art. 6).

L'estradizione del cittadino, a condizione che sia espressamente

prevista dalle convenzioni internazionali approvate nello Sta

to, è sempre ammessa (nella specie, la estradabilità del citta

dino è stata ritenuta la regola ed il rifiuto l'eccezione). ( 1 )

(1) Sull'estradizione del cittadino ai sensi dell'art. 6, alinea 1, della convenzione europea del 13 dicembre 1957.

1. - Nella sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione (1) — chia mata a pronunciarsi (a quanto risulta, per la prima volta) sulla por tata dell'art. 6, alinea 1, della convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, a termini del quale « toute partie contractante aura la facilito de refuser l'extradition de ses ressortissants » — ha affermato che « la corretta interpretazione di tale norma, contraria mente a quanto sostiene la difesa del ricorrente, che vede in essa un divieto generale di estradizione del cittadino, conduce a rite nere la estradabilità come la regola e il rifiuto come la eccezione ». A sostegno di tale affermazione — premettendo che «... il codice vigente ha accolto con l'art. 13 il principio della estradabilità del cittadino, sia pure alla condizione che essa sia espressamente con sentita dalle convenzioni internazionali ...» — ha osservato che « il moderno fondamento dell'istituto di estradizione consiste... nel riconoscimento internazionale del dovere reciproco degli Stati di consegnare gli imputati o i condannati che si trovano nel loro ter ritorio a quello Stato che ha il maggior interesse alla punizione del colpevole, la cui giurisdizione si presenta cioè principale nel caso concreto » (nella specie, i reati ascritti all'estradando erano stati commessi in Svizzera, Stato richiedente). Inoltre, ha rilevato: « l'adem

pimento di questo dovere, tipica espressione di collaborazione inter

nazionale, non implica una menomazione di sovranità, sia perché l'obbligo è reciproco, sia perché viene riconosciuto ed osservato per rendere possibile l'esercizio della giurisdizione penale a quello Stato che ha maggiore ragione dì esercitarla ». A conferma ulteriore della validità della soluzione adottata, la corte ha fatto quindi valere che tale soluzione è conforme alla propria giurisprudenza «... secondo la quale l'art. 26 della Carta costituzionale, che ha inteso limitare l'estradabilità del cittadino italiano con una precisa garanzia formale

(1) La sentenza può leggersi anche in Mass. pen., 1979, 540, con nota critica di Delogu, L'estradizione passiva del cittadino.

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