sezione I penale; sentenza 4 dicembre 1987; Pres. Modigliani, Est. Valente, P.M. (concl. conf.);ric. P.m. c. Antonini. Annulla Trib. sorv. Roma, ord. 8 luglio 1987Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.149/150-165/166Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179639 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
radiotelevisive private con gli impianti di radiodiffusione già in
funzione alla data del 1° ottobre 1984, fermo restando il divieto
di determinare situazioni di incompatibilità con i pubblici servizi».
Tale decreto deve essere qui esaminato perché il procuratore
generale ricorrente — pur non essendo discusso che la soc. T.V.
Internationale abbia assolto agli adempimenti ivi previsti — lo
ha ritenuto inapplicabile al caso in esame, perché gli impianti sono ripetitori esteri e non emittenti locali e perché la sanatoria
è a termine, e questo è scaduto (il termine di sei mesi fissato
dall'art. 3, 1° comma, è stato prorogato al 31 dicembre 1985
dal d.l. 1° giugno 1985 n. 223, convertito in 1. 2 agosto 1985
n. 397). Conviene innanzi tutto fare due considerazioni di fondo. La
prima è che il legislatore deve essere stato mosso dalla convinzio
ne che le iniziative penali intraprese contro l'emittenza esistente
fossero illegittime, altrimenti avrebbe potuto interpretare la nor
ma incriminatrice, ma non certo consentire la prosecuzione di
una attività che avesse ritenuto illegittima. E ben a ragione per ché questa corte ha già rilevato che non commette il reato di
cui all'art. 195 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156 chi installi ed eserciti
un impianto di diffusione radiofonica e televisiva via etere di por tata non eccedente l'ambito locale (sez. Ili 13 giugno 1984, Gian
grisostomi, id., Rep. 1985, voce Radiotelevisione, n. 56), e qui si è esaminato perché tale reato non lo commette anche chi in
ambito locale ripeta programmi esteri. La seconda considerazio
ne è che l'ulteriore scopo del legislatore — questo dichiarato —
è stato quello di censire e razionalizzare l'esistente per la defini
zione del piano di assegnazione delle frequenze.
Orbene, il legislatore, che voleva troncare ogni possibile con
troversia su una situazione che ha ritenuto lecita, che voleva ra
zionalizzare l'esistente, non poteva ignorare che l'esistente, a
seguito dello spazio di libertà introdotto dalla sentenza n. 202
del 1976 della Corte costituzionale, nell'ambito locale era costi
tuito da emittenti in senso proprio, da emittenti c.d. miste, che
cioè nel proprio palinsesto inseriscono la ripetizione di program mi esteri, e da ripetitori esteri.
E se cosi è, non pare ragionevole ritenere che il legislatore ab
bia voluto esprimere il suo giudizio assolutorio nei confronti del
le sole emittenti in senso proprio, discriminando le altre.
Ecco perché, nell'art. 3, 1° comma, della legge, l'emittenza
privata, alla quale viene consentita la prosecuzione dell'attività
in essere alla data del 1° ottobre 1984, deve essere letta in senso
estensivo, comprensiva di ogni forma di diffusione radiotelevisi
va privata, anche mediante ripetitori esteri.
Né tale significato dell'espressione, riferito ad una disposizione base concernente la situazione televisiva privata esistente, e che
del resto corrisponde ad una espressione di uso comune per sinte
tizzare il fenomeno, può essere contraddetto dal fatto che i suc
cessivi commi dello stesso art. 3, relativi alla interconnessione
c.d. strutturale e funzionale degli impianti, usino la stessa parola «emittente» perché qui il significato proprio di essa si staglia nel
la situazione tecnica in cui è inserita ed è noto che una stessa
parola, una stessa espressione, possono assumere un diverso si
gnificato a seconda del contesto in cui sono poste. Del resto che il legislatore abbia voluto esprimere il suo assen
so a tutti gli impianti in funzione, compresi i ripetitori esteri,
purché censiti, ha la conferma dalla loro espressa menzione nella
scheda B allegata al d.m. 13 dicembre 1984 dettante norme tecni
che attuative per la comunicazione prevista nella legge. Perché
è ovvio che il censimento dell'esistente per l'assegnazione delle
frequenze non può prescindere dalla considerazione di quelle oc
cupate dai ripetitori esteri.
Non par dubbio poi che l'assenso alla prosecuzione dell'attivi
tà, prestato per le emittenti con impianti già in funzione, non
sia a termine («Sino all'approvazione della legge generale sul si
stema radiotelevisivo e comunque non oltre sei mesi dalla data
di entrata in vigore del presente decreto, è consentita la prosecu
zione dell'attività delle singole emittenti . . . ») sicché, scaduto
questo, le emittenti si debbano ritenere non più assentite, ma che
il termine stesso sia riferito al legislatore che in tal modo ha volu
to autovincolarsi all'approvazione, in tempi brevi, della legge ge
nerale sul sistema radiotelevisivo.
Che questo sia il significato del termine apposto risulta in mo
do non equivoco dai successivi commi dello stesso art. 3. Non
tanto dal 2° comma («Ai fini di quanto previsto dal precedente I ° comma sono provvisoriamente consentiti, per ogni singola emit
tente, ponti radio tra i propri studi di emissione, i rispettivi tras
II Foro Italiano — 1988.
mettitori e tra gli stessi ed i ripetitori con le caratteristiche tecni
che in atto»), che ammette la c.d. interconnessione strutturale
degli impianti mediante ponti radio con carattere di provvisorie
tà, quanto dal 3° comma («È consentita la trasmissione ad opera di più emittenti dello stesso programma pre-registrato, indipen dentemente dagli orari prescelti»), che consente la c.d. intercon
nessione funzionale fra emittenti, senza alcun possibile riferimento
ad un termine, e quindi come disposizione di carattere stabile, e ancor più al 4° comma che, nell'imporre alle emittenti di riser
vare almeno il venticinque per cento del tempo destinato alla tra
smissione di film a opere italiane o di paesi della Cee, eleva tale
aliquota al quaranta, a partire al 1° luglio 1986, a partire cioè
da un momento che supera ampiamente, anche tenendo conto
della proroga al 31 dicembre 1985, il termine più volte ricordato.
Esso quindi non può essere riferito all'attività di emittenza di
cui viene consentita la prosecuzione, ma al legislatore per il rior
dino del sistema radiotelevisivo.
E infine che il termine non possa essere volto all'attività delle
emittenti che viene «consentita», si da farla divenire «non più consentita» alla sua scadenza, appare di estrema evidenza non
solo dalla irragionevolezza di far dipendere tale situazione non
da fatto delle emittenti ma dall'inadempienza del legislatore, ma
anche dallo scopo immediato del provvedimento tampone, che
è quello di troncare ogni iniziativa penale nei confronti dell'emit
tenza in atto ad una determinata data.
In conclusione, gli impianti sequestrati non rientrano nello sche
ma sanzionatorio di cui agli art. 38 1. n. 103/75 e 195 cod. posta le ed essi devono ritenersi consentiti ai sensi dell'art. 3 d.l. cit.
sussistendo le condizioni ivi previste. Ne consegue che il ricorso del procuratore generale presso la
corte di Genova deve essere rigettato, mentre quello del procura tore della repubblica di Genova, per quanto in precedenza espo
sto, deve essere dichiarato inammissibile.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 4 dicem
bre 1987; Pres. Modigliani, Est. Valente, P.M. (conci, conf.); ric. P.m. c. Antonini. Annulla Trib. sorv. Roma, ord. 8 luglio 1987.
Ordinamento penitenziario — Sorveglianza particolare — Proce
dimento — Pareri delle autorità giudiziarie — Omessa acquisi zione — Illegittimità (L. 26 luglio 1975 n. 354, norme
sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e limitative della libertà, art. 14 bis; 1. 10 ottobre 1986
n. 663, modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà,
art. 1). Ordinamento penitenziario — Sorveglianza particolare — Dete
nuti condannati e imputati — Pareri delle autorità giudiziarie — Necessità — Esclusione (L. 26 luglio 1975 n. 354, art. 14
bis; 1. 10 ottobre 1986 n. 663, art. 1).
Nel procedimento volto all'adozione del provvedimento di sorve
glianza particolare, i pareri del consiglio di disciplina e quelli delle autorità giudiziarie, nei confronti degli imputati, devono
essere acquisiti, non solo richiesti, da parte dell'amministrazio
ne penitenziaria. (1) I pareri delle autorità giudiziarie procedenti, ai fini dell'adozione
del provvedimento di sorveglianza particolare, non sono neces
sari quando il detenuto è ristretto sia nella qualità di condan
nato, in esecuzione di pena, che di imputato, in custodia
cautelare. (2)
(1-2, 6, 14) Non constano precedenti editi in termini.
Le decisioni sopra riportate affrontano una delle problematiche più interessanti poste dalla nuova disciplina dell'istituto della sorveglianza par
ticolare, quella degli effetti determinati dal mancato rispetto, da parte dell'amministrazione penitenziaria, dell'iter procedurale di formazione del
provvedimento, ed in particolare della fase di «acquisizione» dei pareri delle autorità giudiziarie disciplinata dal 4° comma dell'art. 14 bis 1. 354/75.
Nel senso che tali pareri devono essere acquisiti e non solo richiesti, si
sono pronunciati: Cass., sez. feriale, 22 luglio 1987, Bono, e Trib. sorv.
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PARTE SECONDA
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 7 ottobre
1987; Pres. Carnevale, Est. Papadia, P.M. (conci, conf.); ric.
Piunti. Conferma Trìb. sorv. Roma, ord. 29 aprile 1987.
Ordinamento penitenziario — Sorveglianza particolare — Recla
mo — Accertamento dei presupposti — Legittimità del provve dimento — Poteri del tribunale — Limiti (L. 26 luglio 1975
n. 354, art. 14 ter, 14 quater, 1. 10 ottobre 1986 n. 663, art. 2, 3). Ordinamento penitenziario —
Sorveglianza particolare — Presup
posti — Attualità di determinate condotte — Esclusione — Va
lutazione di fatti anteriori — Probabilità di comportamenti destabilizzanti — Legittimità (L. 26 luglio 1975 n. 354, art.
14 bis; 1. 10 ottobre 1986 n. 663, art. 1).
I poteri del tribunale di sorveglianza in sede di reclamo avverso
i provvedimenti di sorveglianza particolare si devono ritenere
limitati alla verifica della sussistenza della particolare pericolo sità dei condannati, internati e imputati, nonché della eventua
le violazione delle tassative limitazioni di detto regime che non
può riguardare alcuni diritti del detenuto espressamente consi
derati dal legislatore non comprimibili. (3)
Nell'ipotesi di sottoposizione a! regime di sorveglianza particola re prevista dal 5° comma dell'art. 14 bis /. 354/75, applicabile anche fin dal momento di ingresso in istituto, il legislatore ha
disancorato dal requisito dell'attualità le manifestazioni idonee
a porre in pericolo l'ordine e la sicurezza negli istituti, permet tendo di valutare la probabilità di comportamenti destabiliz
zanti, basandosi su fatti anteriori e pregressi, con l'unica
limitazione consistente nell'esclusione del mero riferimento alla
natura del reato commesso. (4)
III
CORTE DI CASSAZIONE; sezione feriale; sentenza 5 agosto
1987; Pres. Battimelli, Est. Zingale, P.M. (conci, conf.); ric.
Amministrazione penitenziaria, detenuto Senzani. Conferma Trib. sorv. Roma, ord. 20 marzo 1987.
Ordinamento penitenziario — Tribunale di sorveglianza — As
senza o impedimento del presidente — Sostituzione del magi strato di sorveglianza anziano — Omesso decreto del presidente della corte d'appello — Irrilevanza (L. 26 luglio 1975 n. 354, art. 68, 70; 1. 10 ottobre 1986 n. 663, art. 20, 22).
Ordinamento penitenziario — Sorveglianza particolare — Proce
dimento — Pareri delle autorità giudiziarie — Omessa acquisi zione — Illegittimità (L. 26 luglio 1975 n. 354, art. 14 bis; 1. 10 ottobre 1986 n. 663, art. 1).
Non è configurabile la violazione dell'art. 185, 1 ° comma, c.p.p.
nell'ipotesi in cui, per l'assenza o l'impedimento del presiden te, il tribunale di sorveglianza sia stato presieduto dal magistra to di sorveglianza che lo segue nell'ordine delle funzioni
giudiziarie e, a parità di funzioni, nell'anzianità, senza che sia
stata disposta la sostituzione con decreto del presidente della
corte d'appello. (5) È illegittimo il provvedimento di sorveglianza particolare adotta
to dall'amministrazione penitenziaria senza che siano stati ac
quisiti i pareri delle autorità giudiziarie prima dell'emanazione del provvedimento definitivo. (6)
Roma, ord. 8 luglio 1987, pres. Figliuzzi, est. Monteleone, Ricciardi, en trambe inedite.
In merito appaiono interessanti le argomentazioni svolte dal procurato re generale, condivise dalla corte con la sentenza sopra riportata sub III:
«Con il secondo motivo la ricorrente amministrazione penitenziaria de duce violazione di legge assumendo, per un verso, che la richiesta dei
pareri obbligatori e non vincolanti alle autorità giudiziarie procedenti es sendo stata tempestivamente formulata in modo che la mancata risposta doveva qualificarsi come silenzio-assenso, era sufficiente perché potesse considerarsi assolto l'obbligo di «sentire» le stesse nel perentorio termine di giorni dieci (art. 14 bis, 3° e 4° comma).
«Anche tale censura è infondata. Invero, la procedura adottata si pale sa in evidente contrasto con le disposizioni da ultimo citate in quanto sostanzialmente elusiva del dato normativo che impone l'acquisizione dei
«pareri prescritti» — tali dovendosi ritenere quello del consiglio di disci
plina integrato (art. 14 bis, 2° comma) e quelli delle autorità giudiziarie procedenti per gli imputati — nel termine di giorni dieci dalla data del
Il Foro Italiano — 1988.
IV
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 11 giugno
1987; Pres. Vella, Est. La Cava, P.M. (conci, conf.); ric. Proc.
gen. App. Bologna, detenuto Mambro. Conferma Trib. sorv.
Bologna, ord. 7 aprile 1987.
Ordinamento penitenziario — Sorveglianza particolare — Condi
zioni — Accertamento di fatti specifici — Valutazione di meri
to — Legittimità (L. 26 luglio 1975 n. 354, art. 14 bis, 14 ter; 1. 10 ottobre 1986 n. 663, art. 1, 2).
Ordinamento penitenziario — Sorveglianza particolare — Deci
sione del tribunale di sorveglianza — Ricorso per cassazione — Sindacato — Limiti — Fattispecie (L. 26 luglio 1975 n. 354, art. 14 ter, 71 ter; 1. 10 ottobre 1986 n. 663, art. 2, 26).
Ordinamento penitenziario — Sorveglianza particolare — Condi
zioni — Stato di soggezione degli altri detenuti — Accertamen
to — Riferimento ai reati commessi — Illegittimità (L. 26 luglio 1975 n. 354, art. 14 bis; 1. 10 ottobre 1986 n. 663, art. 1).
La sorveglianza particolare deve essere fondata su fatti e circo
stanze specifici inerenti al comportamento del detenuto all'in
terno degli istituti di pena, dai quali l'amministrazione
penitenziaria prima ed il tribunale poi, in caso di reclamo, ri
tengono, con insindacabile valutazione dì merito, che possa es
sere desunta la sussistenza di almeno una delle situazioni
contemplate nell'art. 1, lett. a), b) e c), n. 663/86. (7) In sede di ricorso avverso l'ordinanza con la quale il tribunale
di sorveglianza decide sul reclamo in materia di sorveglianza
particolare, il sindacato della Cassazione è limitato al controllo
circa l'avvenuta valutazione da parte del tribunale di tutti gli elementi rilevanti nonché della correttezza logico-giuridica di
detta valutazione, e quindi della motivazione, senza che sia pos sibile entrare nel merito della medesima (nella specie, si è rite
nuto non inficiato da vizio di legittimità il provvedimento con
cui il tribunale, sottoponendo al vaglio di rilevanza e attendibi
lità i fatti addebitati, ed in particolare l'aggressione ad una vi
gilatrice, eposodio isolato e risalente nel tempo, e due progetti di evasione, fondati su confidenze, prive del carattere della cer
tezza, ha escluso che la detenuta compromettesse con il proprio
comportamento la sicurezza o turbasse l'ordine degli istituti). (8) La condizione del detenuto che nella vita penitenziaria si avvale
dello stato di soggezione degli altri nei suoi confronti, deve
essere affermata in termini di certezza, non potendo essere de
sunta da generiche affermazioni di pericolosità fondate sui rea
ti di cui il detenuto è stato riconosciuto colpevole o per i quali si procede nei suoi confronti, cui si può fare riferimento per una più completa comprensione della sua personalità ma che
non possono assumere rilevanza decisiva ai fini dell'adozione del regime di sorveglianza particolare. (9)
provvedimento provvisorio stabilendo espressamente che, decorso il deci mo giorno senza che sia intervenuta la decisione definita, il provvedimen to provvisorio decade.
«Orbene, se può condividersi la considerazione espressa dalla ricorren te circa le evidenti difficoltà di rispettare il breve termine quando, come nella specie, il detenuto sia imputato in numerosi procedimenti presso varie autorità giudiziarie, non può certamente ritenersi legittimo il ricorso
analogico a procedure amministrative che non si accordano con il chiaro
disposto della norma menzionata che impone non già di informare l'au torità giudiziaria, ma di sentirla con l'evidente finalità di acquisirne il
prescritto parere (art. 14 bis, 4° comma) costituente atto preparatorio per l'emanazione del provvedimento definitivo. E poiché nel caso in esa me alcuni di detti pareri sono stati acquisiti dopo che era stato pronun ziato il definitivo provvedimento, si deve concludere che il provvedimento oggetto del reclamo è stato illegittimamente adottato».
Per quanto riguarda le ragioni sostanziali sulle quali sarebbe fondata la necessità della acquisizione dei pareri delle autorità procedenti, prima dell'adozione del provvedimento di sorveglianza particolare definitivo, nel l'ordinanza del Tribunale di Roma, da ultimo citata, si sottolinea quanto segue:
«Come è noto il regime penitenziario del soggetto imputato, non essen do nei suoi confronti ipotizzabili interventi trattamentali con finalità rie ducative (art. 1 e 15 1. 354/75), è sostanzialmente finalizzato ad assicurare lo stato di custodia cautelare, spesso pertanto limitati sono gli elementi di giudizio a disposizione degli operatori penitenziari.
«Rilevante appare, sia pure ai soli fini di determinare il regime detenti vo adottabile, il giudizio e l'apporto conoscitivo che possono fornire le auto
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GIURISPRUDENZA PENALE
V
TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI ROMA; ordinanza 29
aprile 1987; Pres. ed est. Vittozzi; detenuto Piunti.
Ordinamento penitenziario — Sorveglianza particolare — Recla
mo — Controllo giurisdizionale — Natura (L. 26 luglio 1975
n. 354, art. 14 ter, 1. 10 ottobre 1986 n. 663, art. 2). Ordinamento penitenziario — Sorveglianza particolare — Condi
zioni — Pericolosità penitenziaria — Capacità e probabilità di
comportamenti destabilizzanti — Legittimità — Fattispecie (L. 26 luglio 1975 n. 354, art. 14 bis; 1. 10 ottobre 1986 n. 663, art. 1).
Ordinamento penitenziario — Sorveglianza particolare — Prescri
zioni — Limitazione dei colloqui telefonici — Legittimità —
Colloqui con i difensori — Mancata previsione — Irrilevanza
(L. 26 luglio 1975 n. 354, art. 14 quater, 1. 10 ottobre 1986
n. 663, art. 3).
Il regime di sorveglianza particolare è un istituto del trattamento
penitenziario sottoposto a controllo giurisdizionale di legalità e di merito in ordine ai presupposti ed ai contenuti di tale regi me che sul piano processuale si inquadra ne! sistema processual
penalistico de! procedimento di sorveglianza cui sono estranee
le tematiche, le forme e le preclusioni proprie della giurisdizio ne amministrativa. (10)
Il fondamento del regime di sorveglianza particolare va ravvisato
nella «pericolosità penitenziaria» che deve essere presente ed
attuale ma non desumibile necessariamente da manifestazioni e comportamenti attuali o recenti, potendo tale giudizio di ca
pacità e probabilità di comportamento compromissivo e desta
bilizzante poggiare su fatti anteriori e pregressi, trattandosi di
valutare la permanenza nel soggetto di una certa capacità e
probabilità di comportamento (nella specie, si è ritenuta legitti ma la sottoposizione a sorveglianza particolare tenuto conto
dei fatti gravissimi per i quali il detenuto era stato più volte
condannato all'ergastolo e dei dati penitenziari allarmanti non
contrastati dal mantenimento di condotta esente da rilievi di
sciplinari negli ultimi tempi). (11) Deve essere confermato il provvedimento di sorveglianza partico
lare anche nella parte relativa alle prescrizioni con le quali si
limitano le conversazioni telefoniche con i familiari, mentre i
colloqui con il difensore, sebbene non espressamente menzio
nati tra quelli consentiti, devono ritenersi non oggetto del prov vedimento restrittivo. (12)
rità giudiziarie procedenti, anche con riferimento alla condotta proces suale dell'interessato, spesso più sintomatica di determinate posizioni di
quanto non possa essere quella penitenziaria. «È parimenti significativo che con riferimento alla possibilità di sotto
porre a sorveglianza particolare un soggetto fin dal suo ingresso in istitu
to, la legge preveda che le autorità giudiziarie debbano segnalare gli 'eventuali elementi a sua conoscenza' alla amministrazione penitenziaria.
«Ciò sta a significare che viene posto a loro carico un obbligo di 'colla
borazione', pur nel rispetto delle reciproche sfere di attribuzioni e compe tenze, finalizzato a garantire che la custodia in carcere dell'imputato avvenga nel rispetto dei propri e degli altrui diritti, e che ogni limitazione trovi fondamento in decisioni validamente adottate. Deve peraltro riflet tersi che l'acquisizione 'dei pareri prescritti' appare necessaria ed oppor tuna anche ai fini della individuazione delle restrizioni che è doveroso
determinare, le quali, pur nel rispetto del disposto dell'art. 14 quater, come è intuibile possono variare da un minimo ad un massimo di impo sizione».
In dottrina si registrano le seguenti tesi: secondo Di Gennaro - Bono mo - Breda, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla deten
zione, Giuffrè, Milano, 1987, 117, la mancata acquisizione dei pareri, in assenza di previsione legislativa, dovrebbe avere come conseguenza «la
perdita di efficacia» del provvedimento provvisorio; in Fassone - Basile - Tuccillo, La riforma penitenziaria, Jovene, Napoli, 1987, 17, si affer
ma che se entro dieci giorni dal provvedimento provvisorio i pareri non
giungono «il provvedimento provvisorio deve decadere». Più generica mente, F.C. Palazzo, in Legislazione pen., 1987, 111, afferma che se
il provvedimento definitivo non è preceduto dai prescritti pareri «è evi
dentemente illegittimo», e quindi giustifica la proposizione del reclamo.
(3) Nulla in termini. Per quanto riguarda i poteri di intervento del tribunale di sorveglianza
sul provvedimento di sorveglianza particolare, vedi nota 10.
Con riferimento invece all'accertamento dei presupposti sui quali deve
essere fondata l'imposizione di tale regime speciale, cfr. nota 4.
(4, 7, 9, 11, 15) Nulla in termini. L'interesse per i provvedimenti che si riportano è di particolare rilievo
perché affrontano il delicato problema della individuazione dei presuppo
II Foro Italiano — 1988.
VI
TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI ROMA; ordinanza 20
marzo 1987; Pres. ed est. G. Borsini; detenuto Senzani.
Ordinamento penitenziario — Sorveglianza particolare — Recla
mo — Dissaplicazione del provvedimento — Esclusione — An
nullamento o modifica — Legittimità (L. 20 marzo 1865 n.
2248, ali. E, sul contenzioso amministrativo, art. 4, 5; 1. 26
luglio 1975 n. 354, art. 14 ter, 1. 10 ottobre 1986 n. 663, art. 2). Ordinamento penitenziario — Sorveglianza particolare — Proce
dimento — Vizi degli atti preparatori ■— Rilevanza (L. 26 lu
glio 1975 n. 354, art. 14 bis; 1. 10 ottobre 1986 n. 663, art. 1). Ordinamento penitenziario — Sorveglianza particolare — Condi
zioni — Ordine e sicurezza dell'istituto — Stato di soggezione di altri detenuti — Attualità — Esclusione — Illegittimità (L. 26 luglio 1975 n. 354, art. 14 bis; 1. 10 ottobre 1986 n. 663, art. 1).
In sede di reclamo avverso il provvedimento di sorveglianza par ticolare il tribunale di sorveglianza non deve limitarsi a disap
plicare l'atto ritenuto illegittimo, secondo il disposto dell'art.
4 l. 2248/1865, ali. E, ma può annullarlo o modificarlo. (13) I vizi che riguardano gli atti preparatori del procedimento volto
all'adozione del provvedimento di sorveglianza particolare (pro cedura posta in essere per qualificare il silenzio delle autorità
procedenti sulla richiesta di parere, mancata acquisizione di al
cuni pareri, pareri senza motivazione, pareri adottati dai presi denti degli organi collegiali) sono suscettibili di ripercuotersi sull'atto definitivo sotto il profilo della insufficienza e contrad
dittorietà della motivazione. (14) È viziato da eccesso di potere, e quindi deve essere annullato,
il provvedimento di sorveglianza particolare quando è fondato su comportamenti passati del detenuto, alcuni dei quali solo
indiziari o rilevanti disciplinarmente, se non risulta l'attualità
di comportamenti tali da compromettere la sicurezza e turbare
l'ordine dell'istituto, e che il detenuto si avvalga dello stato
di soggezione degli altri nei suoi confronti o che con violenza
impedisca l'attività degli altri, e quando non modifica sostan
zialmente il regime detentivo del reclamante, risolvendosi in con
creto in una ingiustificata limitazione dell'esercizio di taluni
diritti. (15)
sti e delle condizioni che legittimano la sottoposizione di un detenuto
al regime speciale della sorveglianza particolare. Si sottolinea la sostanziale difformità delle decisioni, rilevato che, men
tre in alcune viene accolto il principio che le situazioni previste nel 1° comma dell'art. 14 bis 1. 354/75, devono essere accertate con riferimento a fatti e circostanze determinati, riferibili al comportamento del detenuto all'interno degli istituti di pena, e comunque devono avere il carattere
dell'attualità, diverse sono le affermazioni contenute negli altri provvedi menti che introducono il concetto di «pericolosità penitenziaria» e di «par ticolare pericolosità».
In dottrina, v. Palazzo, op. cit., 102 ss.; Di Gennaro - Bonomo -
Breda, op. cit., Ili; Torrebruno, La riforma dell'ordinamento peniten ziario, Il nuovo diritto, 1987, 31. Sulla valutazione dei dati giudiziari, in assenza di quelli penitenziari di un certo rilievo, ai fini dell'accerta mento dei presupposti di cui all'art. 14 bis, 1° comma, v. Trib. sorv.
Firenze, ord. 25 marzo 1987, Foro it., 1987, li, 596.
(5) Nulla in termini. Merita di essere citata la sentenza della Corte di cassazione (sez. I pe
nale 20 giugno 1987, n. 1821, pres. Dolce, est. Papadia, p.m. conci, conf., Tartaglia, inedita) con la quale è stata annullata per violazione dell'art.
185, n. 1, c.p.p. l'ordinanza emessa dal tribunale di sorveglianza che, in violazione del disposto dell'art. 70 bis 1. 354/75, introdotto dall'art. 23 1. 663/86, non era presieduto da un magistrato di cassazione bensì' da uno di appello e poiché gli esperti, componenti del collegio, non erano stati nominati dal Consiglio superiore della magistratura ma, su delega, dal presidente della corte d'appello.
In argomento, v. Cass. 10 ottobre 1979, Lefébvre D'Ovidio, Foro it., 1979, II, 481, con nota di richiami, che ha annullato per illegittima com
posizione del collegio la decisione della sezione (oggi: tribunale) di sorve
glianza formata con due magistrati supplenti, presieduta da un consigliere di corte d'appello non ancora investito delle relative funzioni e priva del
magistrato appartenente all'ufficio di sorveglianza sotto la cui giuris dizione era posto il condannato.
Per quanto riguarda le innovazioni che la 1. 10 ottobre 1986 n. 663
ha introdotto sulla composizione e sul funzionamento del tribunale di
sorveglianza, v. il commento agli art. 20 e 22 di Pepino, in Legislazione pen., 1987, 207 ss.; nonché Dì Gennaro - Bonomo - Breda, op. cit., 382 ss. Si afferma, tra l'altro, che ai fini della individuazione del ma
gistrato chiamato a sostituire il presidente, in caso di assenza o di
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PARTE SECONDA
I
Con provvedimento in data 9 giugno 1987, confermativo di
quello adottato in via provvisoria il 25 maggio 1987, l'ammini
strazione penitenziaria sottoponeva il detenuto Antonini Vittorio
al regime di sorveglianza speciale di cui all'art. 14 bis 1. 354/75, inserito dall'art. 1 1. 10 ottobre 1986 n. 663.
Avverso detto provvedimento, ha proposto reclamo, a seguito del quale, il Tribunale di sorveglianza di Roma, con ordinanza
in data 8 luglio 1987, dichiarava la nullità del predetto provvedi
impedimento, si debba avere riguardo «all'ordine delle qualifiche», e su bordinatamente all'anzianità, atteso che le «funzioni» sono per tutti le
medesime, e cioè quelle di magistrato di sorveglianza. Sulla natura del tribunale di sorveglianza, v. Corte cost. 14 gennaio
1986, n. 4, Foro it., 1986, I, 322, che ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 102 Cost., dell'art. 70 1. 354/75 in relazione all'art. 68, ritenendo che la sezione (oggi: tribunale) di sorveglianza non è un giudice speciale ma un organo specializzato ap partenente alla giurisdizione ordinaria.
(8) Nulla in termini. Per quanto riguarda il caso di specie, e la valutazione dei presupposti
per l'applicazione del regime di sorveglianza particolare, si rinvia alla nota 4.
(10, 13) Non constano precedenti editi in termini. Nel senso che in sede di reclamo avverso il provvedimento di sottoposi
zione al regime di sorveglianza particolare il tribunale di sorveglianza non incontra i limiti al potere di intervento del giudice ordinario sull'atto am
ministrativo, e conseguentemente può procedere all'annullamento del prov vedimento ritenuto illegittimo, si sono pronunciati: Trib. sorv. Milano, ord. 17 settembre 1987, pres. Simi De Burgis, est. Vitale, Privitera; Trib. sorv. Roma, ord. 8 luglio 1987, pres. Figliuzzi, est. Monteleone, Ricciar
di, entrambe inedite. In quest'ultimo provvedimento, sul punto specifico, si afferma quanto
segue: «Premesso che si tratta di limiti posti da una legge ordinaria, che ben
può essere derogata da disposizioni successive introdotte da una fonte normativa di pari grado, la soluzione prospettata appare in linea con i principi costituzionali in tema di ripartizione della giurisdizione e so
prattutto con l'art. 113 Cost, che prevede espressamente come il potere di annullare gli atti amministrativi possa essere dal legislatore devoluto al giudice ordinario.
«Le disposizioni di carattere sostanziale e processuale introdotte dalla 1. 663/86 inducono a ritenere che si sia intesa attribuire, in via esclusiva, al tribunale di sorveglianza, la competenza a conoscere della legittimità dei provvedimenti adottati dall'amministrazione penitenziaria in materia di sorveglianza particolare.
«A sostegno di siffatta interpretazione si rileva che oggetto del giudizio del tribunale è l'atto amministrativo, sulla cui legittimità, a seguito di reclamo dell'interessato, viene richiesta una decisione.
«In sostanza il tribunale è chiamato a conoscere principaliter della le
gittimità di un atto amministrativo atteso che l'atto impugnato è il titolo dei limiti posti ai diritti del detenuto, e che la sua illegittimità attiene alla causa petendi e perciò all'oggetto del giudizio, e non è qualcosa di esterno come dovrebbe essere se la questione potesse essere considerata incidentale.
«Valgono inoltre le seguenti considerazioni, di carattere formale ed an che sostanziale, quale l'uso del termine 'reclamo' che, come è noto, sta ad indicare l'atto di impulso inteso a provocare un riesame da parte del
l'organo competente, non solo della legittimità, ma anche del merito, di un atto che ritiene lesivo di propri diritti ed interessi legittimi.
«Inoltre secondo il disposto del 1° comma dell'art. 14 ter, 'il reclamo non sospende l'esecuzione del provvedimento', il che consente di argo mentare che la decisione verrà ad incidere sulla esecuzione del provvedi mento stesso, circostanza questa che non sembra conciliabile con la volontà di conservare i limiti posti dall'art. 4 1. 2248/1885. Né appaia singolare la devoluzione ad un tribunale ordinario del potere di annullamento di un atto amministrativo, perché, a parte il riferimento alle ipotesi sempre più frequenti nelle quali ciò è disposto espressamente, va sottolineato che tale ipotesi è anche prevista nella stessa 1. 663/86.
«Ci si riferisce all'art. 69, 6° comma, 1. 354/75 che ha giurisdizionaliz zato l'intervento del magistrato di sorveglianza in materia di lavoro peni tenziario e di sanzioni disciplinari, devolvendogli la competenza a conoscere delle indicate controversie, nelle quali pur essendo coinvolta la p.a., no nostante siano adottati provvedimenti amministrativi, gli è attribuito il
potere di emettere anche sentenze di condanna, come sembra ipotizzabile quando l'oggetto della controversia sia il rapporto di lavoro che si instau ra tra il detenuto e l'amministrazione penitenziaria.
«In effetti la 1. 663/86 si caratterizza per la linea di tendenza ad una devoluzione alla magistratura di sorveglianza di ogni competenza relativa a tutta la fase della esecuzione penale, comprese, come dimostra l'ipotesi da ultimo citata, anche quelle a contenuto tipicamente civilistico.
«A maggior ragione i limiti al potere di intervento del giudice ordinario sull'atto amministrativo non possono valere nel caso di reclamo av
II Foro Italiano — 1988.
mento, sul rilievo che la mancata acquisizione, nel termine stabi
lito dal 4° comma, prima parte, del ricordato art. 14 bis, dei
pareri delle autorità giudiziarie procedenti ne aveva determinato
la illegittimità. Ha proposto ricorso per cassazione il procuratore generale, de
ducendo l'inesistenza della ritenuta illegittimità, giacché, ai fini
che ne occupano, doveva ritenersi sufficiente la semplice richiesta
dei pareri, nella specie, puntualmente avvenuta.
Il ricorso va accolto, seppure per ragioni diverse da quelle de
dotte dal ricorrente.
Sembra, al riguardo, anzitutto, opportuno ribadire quanto questa corte ha già affermato (Cass., sez. fer., 22 luglio 1987, ric. Bono; 5 agosto 1987, ric. Senzani) e, cioè, che, ai sensi del più volte
richiamato art. 14 bis, i pareri del consiglio di disciplina e, nel
caso di imputati, anche dell'autorità giudiziaria procedente, deb
bono essere non solo richiesti, bensì' anche «acquisiti», giacché — contrariamente a quanto ritiene l'amministrazione penitenzia ria ed a quanto è sostenuto dal ricorrente — la chiara lettera
della norma e l'assenza di un'espressa disposizione in tal senso
verso il provvedimento di sorveglianza particolare, essendo questo un isti tuto del trattamento penitenziario (di cui è indice la stessa collocazione sistematica delle norme che lo disciplinano), che attiene alle modalità di esecuzione delle misure restrittive della libertà personale dell'individuo
(sia esso in custodia preventiva o in esecuzione di pena) ed attesa la inci denza di siffatti provvedimenti in via immediata e diretta, su posizioni giuridiche soggettive, qualificabili come diritti di libertà costituzionalmente
garantiti». L'amministrazione penitenziaria, nel proporre ricorso per cassazione,
avverso l'ordinanza sub VI, aveva dedotto come motivo specifico l'eserci zio da parte del tribunale di una «potestà riservata dalla legge ad un
organo amministrativo», rilevando quanto segue: «Il Tribunale di sorveglianza di Roma, chiamato a pronunciarsi sul
provvedimento emesso dall'amministrazione penitenziaria che disponeva il regime di sorveglianza particolare a carico del Sensani, si autolegittima va a svolgere funzioni amministrative.
«L'ordinanza, sotto il profilo esposto deve essere sicuramente censura ta. È del tutto pacifico infatti che l'atto amministrativo non può essere modificato da un organo giurisdizionale ordinario e che tale organo deve limitarsi a confermare tale atto o a disapplicarlo nel suo complesso. Né risulta che tale basilare principio sia stato in qualche modo sovvertito o derogato dal vigente ordinamento penitenziario. E non è neanche vero simile che il tribunale di sorveglianza svolga contemporaneamente garan tistiche funzioni giurisdizionali e sovraordinate funzioni amministrative sostituendosi nelle valutazioni dell'amministrazione penitenziaria e stra
volgendo la portata e l'efficacia globale del provvedimento». La questione tuttavia non è stata affrontata dalla corte perché, ravvisa
ta l'infondatezza del ricorso per altri motivi, ha ritenuto assorbita tale censura.
In dottrina, v. E. Rubiola, in Legislazione pen., 1987, 115 ss., secondo la quale il tribunale può «confermare» il provvedimento o «revocarlo» o «modificarlo»; l'autrice afferma, tra l'altro, che «non è strano . . . che il particolare tipo di procedimento di sorveglianza previsto dall'art. 14 ter 1. 354/75 abbia caratteri propri del processo penale e del processo civile-amministrativo. La commistione di elementi processuali è il riflesso del fatto che la materia oggetto di esame coinvolge interessi che toccano, per un verso, la sfera penale, e per altro verso, quella amministrativa». In generale, sul problema del controllo giurisdizionale sulla legalità del l'esecuzione penitenziaria, cfr. Palazzo, op. cit., 109.
(12) Nello stesso senso, cfr. Cass., sez. feriale, 5 agosto 1987, pres. Battimelli, est. Zingale, Concutelli, inedita, con la quale è stata annulla
ta, senza rinvio, l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma (13 marzo 1987, pres. Borsini, est. Monteleone, inedita) nella parte in cui aveva modificato il provvedimento di sorveglianza particolare nel senso che erano stati autorizzati espressamente i colloqui con il difensore e le conversazioni telefoniche con i familiari.
Con riferimento a tale ultima prescrizione, nella citata sentenza, la cor te ha affermato che «salvo il caso di disposizioni illegittime, le valutazio ni dell'autorità amministrativa, nell'ambito della discrezionalità ad essa attribuita dalla legge, non possono essere sottoposte a riesame di merito
dell'organo giurisdizionale» e che «è quindi da censurare la pronuncia sul punto ... del provvedimento relativo ai colloqui telefonici, fondata su una diversa valutazione del carattere afflittivo della disposizione del
l'amministrazione e sulla pretesa inefficacia della misura adottata».
Quanto alla mancata espressa previsione, tra i colloqui autorizzati, di
quelli del detenuto con il proprio difensore, secondo la corte si sarebbero dovuti ritenere compresi tra quelli finalizzati «al comprovato compimen to di atti giuridici», espressamente consentiti dall'amministrazione.
Sui contenuti del regime di sorveglianza particolare e sulle limitazioni
imponibili, cfr. Rubiola, op. cit., 117; in generale, sulla regolamentazio ne dei colloqui dei detenuti con i difensori, v., della stessa autrice, ibid., 123.
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GIURISPRUDENZA PENALE
precludono di far riferimento, ancorché in via analogica, a pro cedure tipicamente amministrative, per attribuire al silenzio ser
bato dall'autorità richiesta un significato positivo, sia favorevole, che contrario all'adozione del regime in esame. Spetta soltanto
alla legge attribuire un significato al silenzio della p.a. Alla corte, certamente, non sfugge la gravità delle conseguenze
di una siffatta soluzione interpretativa, ma, mentre osserva che
è compito esclusivo del legislatore colmare l'eventuale lacuna, ri
leva che l'inerzia od il ritardo delle autorità che debbono espri mere il parere sul regime di sorveglianza particolare costituiscono
un fatto patologico e l'ordinamento appresta strumenti (quale: l'azione disciplinare) per reagire agli stessi.
L'infondatezza della censura mossa dal ricorrente alla gravata ordinanza non comporta, tuttavia, il rigetto del ricorso, per il
decisivo ed assorbente rilievo che, nella specie, il parere dell'au
torità procedente non era necessario e, quindi, la sua mancata
acquisizione non ha intaccato la legittimità del provvedimento con
il quale è stata disposta, in via definitiva, la sorveglianza parti colare.
Dagli atti del procedimento, invero, risulta che il detenuto tro
vavasi ristretto in carcere sia per esecuzione di pena, che per cu
stodia cautelare e, secondo quanto questa corte ha già affermato
(sez. I 11 giugno 1987, Piromalli; 12 giugno 1987, Agate) in sif
fatta ipotesi non è necessario il parere dell'autorità procedente.
Difatti, dalla formulazione letterale del 3° comma dell'art. 14
bis si evince che tale parere è richiesto quando il detenuto è solo
imputato e non già quando sia recluso nella duplice veste di im
putato e di condannato. Ciò trova conferma, sia nella diversità
dell'osservazione cui è sottoposto il secondo — molto più appro
fondita, rispetto al primo (v. art. 1 e 13 1. 354/75, 27, 28 d.p.r. 29 aprile 1976 n. 431) —, talché solo per quest'ultimo si rende
necessario il contributo di conoscenza del soggetto che può offri
re il giudice davanti al quale pende il procedimento penale e sia
perché, in definitiva, non si scorge la ragione per la quale l'am
ministrazione penitenziaria mentre può disporre il regime in ar
gomento senza il parere di alcuna autorità giudiziaria quando un
detenuto sta espiando la pena irrogatagli con sentenza definitiva,
non può fare altrettanto ove, nei confronti dello stesso, sia stato
adottato anche un provvedimento di cautela personale.
Consegue dai rilievi svolti che il provvedimento reclamato era
immune dal ritenuto vizio di legittimità, per cui deve essere an
nullata l'impugnata ordinanza.
L'annullamento deve essere disposto con rinvio, in quanto de
ve aversi pronuncia sulle censure di merito dedotte con il reclamo.
II
Il p.g. ha cosi concluso: «Con provvedimento reso definitivo
il 9 aprile 1987 l'amministrazione penitenziaria disponeva la sot
toposizione di Piunti Claudio alla sorveglianza particolare ex art.
14 bis dell'ordinamento penitenziario. Il reclamo, preposto ex art. 14 ter, introdotto dall'art. 2 1.
663/86, era rigettato dal Tribunale di sorveglianza di Roma con
ordinanza 29 aprile 1987. Proponeva ricorso il Piunti deducendo
contraddittorietà della motivazione e violazione di legge, rilevan
do come i giudici di merito avessero affermato, per un verso,
una serie di principi in ordine alla temporaneità del regime di
cui all'art. 14 bis dell'ordinamento penitenziario ed al suo colle
gamento con comportamenti concreti ed attuali e, per l'altro, er
roneamente interpretato il 5° comma di detta disposizione, avessero
finito col ritenere ultroneo il requisito dell'attualità delle condot
te idonee a compromettere la sicurezza e l'ordine negli istituti
penitenziari, sottoponendo alla misura il detenuto, pur non es
sendo emerso alcun elemento a suo carico da quando egli si trova
ristretto in Rebibbia - nuovo complesso. Il ricorso è infondato. È necessario premettere che l'applica
zione del particolare istituto in esame, introdotto con la 1. 663/86,
è rimessa alla valutazione dell'autorità amministrativa, nell'ambi
to della discrezionalità attribuitale dalla legge e non può revocar
si in dubbio che il tribunale di sorveglianza, investito del reclamo
del detenuto, sia chiamato a verificare la sussistenza delle condi
zioni previste dall'art. 14 bis dell'ordinamento penitenziario, in
trodotto dall'art. 1 1. 663/86, ed a valutare la legittimità del
provvedimento adottato dall'amministrazione i cui contenuti so
no stabiliti dall'art. 14 quater che ha riferimento alle restrizioni
Il Foro Italiano — 1988.
strettamente necessarie per il mantenimento dell'ordine e della
sicurezza nonché al visto di controllo sulla corrispondenza. Per
converso, la stessa norma esclude tassativamente che le restrizio
ni possano riguardare l'igiene e le esigenze della salute, il vitto,
il corredo; il possesso, l'acquisto e la ricezione di generi ed ogget ti permessi dal regolamento interno, nei limiti in cui ciò non com
porta pericolo per la sicurezza; la lettura di libri e periodici; le
pratiche di culto; l'uso di apparecchi radio del tipo consentito; la permanenza all'aperto per almeno due ore al giorno salvo quanto
disposto dall'articolo; i colloqui con i difensori; nonché quelli con il coniuge, il convivente, i figli, i genitori, i fratelli. In tale
quadro normativo, i poteri del tribunale di sorveglianza in sede
di reclamo, in assenza di specifiche disposizioni ed in applicazio ne dei principi generali, sono da ritenersi limitati ad una verifica
della sussistenza della 'particolare pericolosità' dei condannati, internati e imputati cosi come precisato nelle lettere a), b) e c) del 1° comma dell'art. 14 bis in relazione a comportamenti che
compromettano la sicurezza e l'ordine negli istituti o impedisca no con violenza o minaccia le attività degli altri detenuti o li
pongano in stato di soggezione, nonché della eventuale violazio
ne delle ricordate tassative limitazioni del detto regime che non
può riguardare alcuni diritti del detenuto che il legislatore ha espres samente considerato non comprimibili, neppure quando sia auto
rizzata la sottoposizione alla sorveglianza speciale.
Tuttavia, accanto alle ipotesi previste dal 1° comma dell'art.
14 bis, il legislatore ha ritenuto, al 5° comma, di inserire un'ulte
riore ipotesi di sottoposizione al regime di sorveglianza particola re legata non già all'attualità di determinate condotte, bensì sulla
base di precedenti penitenziari o di altri comportamenti tenuti,
indipendentemente dalla natura dell'imputazione, nello stato di
libertà. Orbene, con quest'ultima previsione, che consente, peral
tro, l'applicazione della misura anche fin dal momento di ingres so nell'istituto, v'è da ritenere che il legislatore abbia inteso
disancorare dal requisito dell'attualità le manifestazioni idonee
a porre in pericolo l'ordine e la sicurezza negli istituti penitenziari
permettendo di valutare la probabilità di comportamenti destabi
lizzanti basandosi su fatti anteriori e pregressi con l'unica limita
zione consistente nell'esclusione di un mero riferimento alla natura
del reato per il quale il detenuto ha subito condanna. Ciò, del
resto, in applicazione di quei principi generali in tema di tratta
mento penitenziario che tendono ad escludere rilievo decisivo al
reato commesso ponendo il risalto i risultati del trattamento. Que st'ulteriore previsione normativa presenta indubbiamente sue pe
culiarità risultando nettamente differenziata da quella enunciata
nel 1° comma dell'art. 14 bis-, ma tale dato normativo, a ben
vedere, risponde a precise esigenze di tutela della istituzione peni
tenziaria e degli altri soggetti ristretti in relazione ad ipotesi nelle
quali tale esigenza si pone con riferimento a determinate condot
te anche se anteatte, ma pur sempre dimostrative della probabili tà di comportamenti lesivi dei beni oggetto della tutela. Sulla base
delle esposte argomentazioni si deve ritenere insussistente la de
nunciata contraddittorietà della motivazione in quanto i giudici di merito hanno operato una corretta interpretazione delle dispo
sizioni in esame che costituiscono il risultato di un evidente com
promesso. Da una parte, infatti, si è inteso assicurare al detenuto
assoggettato alle particolari limitazioni di cui all'art. 14 quater il controllo giurisdizionale attraverso il reclamo al tribunale di
sorveglianza che decide con provvedimento ricorribile in Cassa
zione sulla sussistenza dei presupposti di legge per la sottoposi
zione al regime in esame; per l'altro, si è ritenuto di consentire
l'adozione di misure adeguate ad assicurare l'ordine e la discipli
na negli istituti penitenziari, sia in presenza di precisi comporta
menti, sia in relazione ad una speciale situazione del detenuto
idonea a porre in pericolo le esigenze di sicurezza della istituzione
penitenziaria e degli stessi detenuti, comunque dedotta da univo
che condotte, anche pregresse. La necessità di contemperamento
delle opposte esigenze ha lasciato tracce nella normativa esamina
ta, che indubbiamente non presenta il requisito della omogeneità,
ma non sembra possa contestarsi che l'interpretazione fornita nella
motivazione dell'ordinanza impugnata sia la più aderente alla let
tera ed alla ratio legis. Alla stregua delle esposte argomentazioni, il ricorso in esame
deve essere rigettato con le conseguenze di legge».
La corte, condividendo in ogni sua parte il parere del p.g.,
provvede in conformità.
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PARTE SECONDA
Ill
Ritenuto che non è configurabile la denunciata violazione del
l'art. 185, 1° comma, n. 1, c.p.p. in relazione all'art. 70 bis, 2° comma, lett. d), dell'ordinamento penitenziario in quanto tale
norma riguarda la temporanea motivazione ad esercitare le fun
zioni di magistrato di sorveglianza (mancante o impedito) di un
giudice avente la qualifica di magistrato di cassazione, di appello 0 di tribunale, per la quale è prevista, dal 3° comma dell'art.
68, il decreto del presidente della corte d'appello, mentre il caso
in esame è caratterizzato dall'assenza o impedimento del presi dente della sezione di sorveglianza, che, legittimamente, ai sensi
dell'art. 70, 5° comma, può essere sostituito dal magistrato che
10 segue nell'ordine delle funzioni giudiziarie e, a parità di fun
zioni, nell'anzianità;
che, d'altro canto, la procedura adottata dall'amministrazione
nel disporre la sorveglianza particolare contrasta con le disposi zioni dell'art. 14 bis, 3° e 4° comma, dell'ordinamento, le quali non ammettono il ricorso analogico a procedure amministrative, ma chiaramente impongono all'amministrazione di sentire l'auto
rità giudiziaria e, nell'ipotesi di cui al 4° comma, di acquisirne 11 prescritto parere prima dell'emanazione del provvedimento de
finitivo; che nel caso in esame — come ha già rilevato il tribunale di
sorveglianza — dette disposizioni, relativamente alla preventiva
acquisizione dei pareri, non sono state osservate; che conseguentemente — stante l'illegittimità dal provvedimen
to adottato dall'amministrazione — il ricorso avverso l'ordinanza
di annullamento deve essere respinto, dovendosi peraltro conside
rare assorbirte le ulteriori censure.
Per questi motivi, la corte rigetta il ricorso.
IV
Lette le conclusioni del p.m. del seguente testuale tenore: «Let
ti gli atti relativi al ricorso proposto dal procuratore generale contro
l'ordinanza 7-8 aprile 1987 con la quale il Tribunale di sorve
glianza di Bologna ha accolto il reclamo proposto da Mambro
Francesca avverso il provvedimento provvisorio 11 marzo 1987, confermato in via definitiva, previa acquisizione del parere del
consiglio di disciplina, il giorno 23 successivo, con il quale l'am
ministrazione penitenziaria l'ha sottoposta al regime di sorveglianza
particolare di cui all'art. 14 bis 1. 26 luglio 1975 n. 354, aggiunto dall'art. 1 1. 10 ottobre 1986 n. 663;
premesso che il ricorso è ammissibile in quanto l'art. 14 ter, 4° comma, 1. n. 354, cit., aggiunto dall'art. 2 1. n. 663, espressa mente stabilisce che sono applicabili le disposizioni di cui al capo II bis del titolo II e, quindi, anche l'art. 71 ter che prevede la
possibilità di proporre ricorso per cassazione per violazione di
legge avverso l'ordinanza adottata dal tribunale di sorveglianza; ritenuto che il ricorso, con il quale viene denunciata l'omessa
valutazione globale delle circostanze poste dall'amministrazione
a fondamento della disposta misura ed il travisamento del fatto
circa la asserita abolizione del controllo della corrispondenza, at
teso che il presidente della Corte di assise di Bologna in data
31 marzo 1987 aveva nuovamente autorizzato il controllo della
corrispondenza della Mambro, è infondato; che la misura introdotta dall'art. 1 1. n. 663 deve essere fonda
ta su fatti e circostanze specifici inerenti al comportamento del
detenuto all'interno degli istituti di pena dai quali l'amministra
zione penitenziaria prima ed il tribunale di sorveglianza poi, in
caso di reclamo, ritengono, con insindacabile valutazione di me
rito, che possa essere desunta la sussistenza di almeno una delle
situazioni contemplate dalle lettere a), b) e c) del ricordato art.
1 (1° comma) e, quindi, che sia opportuno disporre nei confronti
del detenuto la sorveglianza particolare; che il sindacato di codesta corte in subiecta materia è limitato
al controllo circa l'avvenuta valutazione da parte del tribunale
di tutti gli elementi rilevanti ai fini della adottanda decisione non
ché alla correttezza logico-giuridica di detta valutazione e, conse
guentemente, della motivazione nella quale si è estrinsecata, senza
che sia possibile entrare nel merito della medesima, stanti i limiti
istituzionali propri del controllo di legittimità, l'unico consentito, eccezion fatta per i casi espressamente previsti, alla Corte di cas
sazione; che alla stregua di tali principi è da escludere che il provvedi
mento de quo sia inficiato dai denunciati vizi di legittimità;
Il Foro Italiano — 1988.
che, in primo luogo, non risponde al vero che il tribunale non
abbia proceduto, al fine di accertare se il comportamento della
Mambro compromettesse la sicurezza o turbasse l'ordine negli istituti (lett. a), ad una valutazione globale dei fatti addebitabile, ma ha correttamente e doverosamente sottoposto questi ultimi
ad un vaglio di rilevanza e attendibilità, escludendo la prima per
l'aggressione ad una vigilatrice, essendosi trattato di un episodio isolato e risalente nel tempo (1982) e la seconda per i due progetti di evasione, non tanto perché si era trattato di episodi extramura
ri da realizzarsi in occasione di tradizioni, quanto soprattutto per ché scaturenti da confidenze del tutto prive del carattere della
certezza e della univocità in ordine ai fatti che ne costituiscono
l'oggetto;
che, del tutto logicamente, elementi di giudizio in senso favore
vole alla detenuta sono stati desunti dalla revoca del controllo
della corrispondenza e di altri limiti ai movimenti di aggregazio
ne, disposta dalle autorità competenti;
che, relativamente a quest'ultima, del pari insussistente è il de
nunciato travisamento del fatto, atteso che è fondato su un prov vedimento successivo a quello oggetto del presente gravame, come
risulta dagli stessi motivi di ricorso;
che, infine, quanto all'ipotesi contemplata dalla lett. c) del più volte ricordato art. 1, a prescindere dal rilievo che il ricorrente
non muove sul punto specifiche censure e che lo stesso provvedi mento reclamato non afferma in termini di certezza la ricorrenza
della situazione in essa prevista, giacché usa il condizionale
(«. . . potrebbe avvalersi . . .), mentre il legislatore ne richiede
la effettiva sussistenza, devesi osservare che a fondamento della
stessa non è indicato alcuno specifico fatto dal quale lo stato
di soggezione potrebbe essere desunto, ma solo generiche affer
mazioni di pericolosità fondate sui reati di cui la Mambro è stata
riconosciuta colpevole o per i quali si procede nei suoi confronti, che per quanto dianzi detto non possono assumere rilevanza deci
siva ai fini dell'adozione del regime in esame, potendo ad essi
farsi riferimento solo per una più completa comprensione della
personalità della detenuta.
Per questi motivi, visto l'art. 631 c.p.p.; chiede che la Corte
di cassazione rigetti il ricorso».
Ritenuto che le argomentazioni di cui alla riportata requisitoria vanno condivise, rispondendo ad esatti principi di diritto più vol
te affermati nella giurisprudenza di questa corte; per questi moti
vi, la Corte suprema di cassazione rigetta il ricorso.
V
Fatto e diritto. — Con provvedimento provvisorio del 23 mar
zo 1987 e poi definito in data 9 aprile 1987 la direzione generale
degli istituti di prevenzione e pena del ministero della giustizia
disponeva la sottoposizione del detenuto suindicato al regime di
sorveglianza particolare per mesi sei.
Proposto rituale reclamo dal detenuto ed acquisita la docu
mentazione relativa al provvedimento dell'amministrazione peni
tenziaria, il procedimento veniva fissato per l'udienza camerale
del 29 aprile 1987, cui partecipavano il difensore di fiducia del
condannato ed il procuratore generale che concludevano rispetti vamente per l'accoglimento ed il rigetto del reclamo.
In relazione alle tesi ed alle argomentazioni prospettate dalle
parti giova precisare alcuni principi d'ordine generale sulla mate
ria della sorveglianza particolare introdotta con gli art. 1, 2 e
3 1. 10 ottobre 1986 n. 663 (art. 14 bis, ter e quater ordinamento
penitenziario).
1) Il regime di sorveglianza particolare è istituto del trattamen
to penitenziario di cui al titolo I, capo III, della legge penitenzia
ria; e il procedimento di sorveglianza di cui all'art. 14 ter e 71
ss. è procedimento di natura processuale penalistica, retto dalla
disciplina propria della legge penitenziaria e dalle disposizioni del
codice di procedura penale. Ne deriva, sul piano sostanziale, che la sorveglianza particola
re, pur obbedendo a necessità e regole restrittive per ragioni di
ordine e di sicurezza, non può mai porsi al di fuori del sistema
del «trattamento», di cui è essa stessa un «modo» temporaneo, e dei suoi caratteri e finalità: umanità della pena, rispetto della
dignità della persona, imparzialità, rieducazione e risocializzazione.
Ciò comporta uno stretto controllo giurisdizionale di legalità e di merito in ordine ai presupposti ed ai contenuti concreti del
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GIURISPRUDENZA PENALE
regime di sorveglianza particolare e alla sospensione o all'atte
nuazione delle regole di trattamento, sia a tutela dei soggetti col
piti dal provvedimento, sia a tutela della sicurezza e dell'ordinato
sviluppo del trattamento nei confronti degli altri detenuti.
Sul piano processuale, tale controllo, con i poteri di cognizio
ne, istruttori e decisori del giudice, si inquadra nell'indicato siste
ma processuale-penalistico del procedimento di sorveglianza. Sicché
ad esso sono piuttosto estranee, e vanno verificate nella loro com
patibilità, quelle tematiche e quelle forme, preclusioni e limita
zioni proprie della giurisdizione amministrativa, che pure, a ragione della natura amministrativa del provvedimento di sorveglianza par
ticolare, vengono in qualche modo affacciate.
2) A termini del 1° comma dell'art. 14 bis il regime di sorve
glianza particolare è applicabile ai quei condannati internati o
imputati che con i loro comportamenti compromettono la sicu
rezza o turbano l'ordine negli istituti, impediscono le ordinate
attività o si avvalgono dello stato di soggezione di altri detenuti.
La previsione normativa è qui legata a comportamenti precisi concreti ed attuali («compromettono», «impediscono», «si avval
gono»), e dunque a situazioni fattuali in mancanza delle quali non sembra esservi spazio per regimi di sorveglianza particolare.
Tale previsione è integrata però da quella del 5° comma, che
ne estende l'applicabilità «fin dal momento del loro ingresso in
istituto» «sulla base di precedenti comportamenti penitenziari o
di altri concreti comportamenti tenuti, indipendentemente dalla
natura dell'imputazione, nello stato di libertà» (e l'autorità giudi ziaria «segnala gli eventuali elementi a sua conoscenza»).
La portata della norma nel suo complesso è di tutta evidenza:
tutti coloro i quali dimostrino di compromettere la sicurezza e
l'ordine negli istituti penitenziari, o abbiano già dimostrato di
essere proclivi a farlo per precedenti comportamenti carcerari o
nella vita libera, possono essere assoggettati al regime di sorve
glianza particolare. La formulazione dei due commi impone, peraltro, più precise
definizioni dell'estensione oggettiva e temporale dei presupposti del regime in esame.
3) Sul piano oggettivo, il riferimento costante a comportamenti e fatti, al di fuori di qualificazioni della personalità, consente
di non identificare necessariamente quel presupposto nella peri colosità criminale del soggetto.
È un concetto in parte diverso, collegato a valutazioni di fatto, e specificamente segnato dal fine di far cessare e non far reiterare
turbative già realizzate dell'ordine e della sicurezza (1° comma) o di prevenire la realizzazione minacciata da precedenti compor tamenti (5° comma).
Questa manifestazione di turbativa o prevaricazione in atto,
ovvero questa capacità, attitudine e propensione alla turbativa
potrà generalmente identificarsi ed essere espressione della peri
colosità criminale, ma può ravvisarsi anche in difetto di una con
clamata pericolosità, cosi come essere ritenuta non sussistente e
non concretamente manifestabile in ambiente penitenziario pur in soggetto stimato pericoloso all'esterno.
4) La «pericolosità penitenziaria» — espressione che sembra
appropriata nel senso sopraindicato ma è da evitare, come l'ha
evitata la legge, per non ricadere in qualificazioni personali che
corrono il rischio di rimanere disancorate dai fatti concreti —,
che dunque è a fondamento del regime di sorveglianza particola
re, deve avere carattere di attualità.
È chiaro che soltanto una capacità di turbativa ed una perico losità presente possono compromettere e turbare la sicurezza e
l'ordine negli istituti, impedire le ordinate attività e far avvalere
dello stato di soggezione di altri detenuti (lett. a, b, c, 1° comma,
art. 14 bis). Pericolosità presente e attuale, e capacità e attitudine a com
portamenti attuali, sono però cosa diversa dalla dimostrazione
attuale della pericolosità e di quella capacità di comportamento,
essendo le prime status, qualità, capacità della persona, e la se
conda soltanto la loro esteriorizzazione e manifestazione, che pos
sono più o meno coesistere e accompagnarsi nel tempo, ovvero
trovare espressione, voluta o incontrollata, solo in determinate
occasioni, anche a distanza di tempo. Volere riconoscere pericolosità attuale da manifestazioni e com
portamenti attuali o comunque recenti è irrealisticamente ridutti
vo e contrasta con lo stesso concetto criminologico della
pericolosità. In effetti, anche in un giudizio ancorato ai fatti quale quello
voluto dalla legge per la sorveglianza particolare, una valutazione
Il Foro Italiano — 1988.
di capacità e probabilità di comportamento compromissivo e de
stabilizzante ben può riposare su fatti anteriori e pregressi, come
del resto espressamente previsto dalla legge stessa, trattandosi piut tosto di valutare la permanenza nel soggetto di una certa capacità e probabilità di comportamento.
È ovvio che il decorso del tempo e la protratta assenza di com
portamenti non corretti sono per se stessi elementi favorevoli, ma possono essere anche non significativi in un contesto più am
pio già segnato da gravi fatti rivelatori.
È dato di comune esperienza che la persona che abbia freddez
za e dominio di sé e precise finalità criminali ed antisociali mani
festa solo all'occorrenza il suo comportamento antisociale, accettando intanto le regole di comportamento che gli sono det
tate; cosi come è dato d'esperienza che spesso — al di fuori di
atteggiamenti manipolatori e di una volontà di controllo di sé
da parte dei soggetti — riesplodono d'improvviso, ed in presenza di stimoli talora imponderabili, azioni e comportamenti che pare vano sinceramente abbandonati.
5) L'evidenza incontestabile di siffatte realistiche evenienze a
fronte di esigenze effettive e insopprimibili di ordine e sicurezza, che non possono lasciare spazi incontrollati a chi si ponesse in
contraddizione rispetto alle scelte delle istituzioni e alle modalità
di realizzarle, rende insostenibile la tesi difensiva della necessità
di una concreta attualità dei comportamenti che vengono posti a base dell'applicazione del regime di sorveglianza particolare: tesi che troverebbe coerente sostegno nella scadenza semestrale
o trimestrale del regime previsto dalla legge. Si è già chiarita la differenza tra attualità della lesione o del
pericolo di lesione del bene protetto e attualità della dimostrazio
ne e degli elementi oggettivi di prova sulla sussistenza del pericolo. Sembra allora che i brevissimi termini di durata previsti dal
1° comma dell'art. 14 bis siano cosi inconciliabili col concetto
stesso di pericolosità e con l'esperienza criminologica, e con la
previsione normativa del 5° comma del medesimo art. 14 bis («pre cedenti comportamenti penitenziari», «altri comportamenti nello
stato di libertà») da non potersene dedurre alcun significato circa
l'assunta attualità dei comportamenti probatori. In realtà, la brevità dei termini di durata della sorveglianza
particolare, assieme ai rigorosi moduli processuali che l'accompa
gnano, rivelano anzitutto il disfavore con cui l'istituto è visto
dalla legge, pur nella innovazione presente rispetto al passato si
stema di massima sicurezza, che però non nega la necessità di
un regime differenziato o particolare. Tali brevi termini appaiono poi preordinati ad una verifica pe
riodica, ravvicinata, costante, che — distaccandosi dalla pratica immobilità del sistema di massima sicurezza — revisioni, in co
stante collaborazione tra amministrazione e autorità giudiziaria, la permanenza delle condizioni di pericolosità e di rischio, sia
sotto il profilo soggettivo e comportamentale, sempre in possibile
evoluzione, sia sotto tutti gli altri profili oggettivi, ambientali ed
esterni che possono far ritenere superato il regime differenziato
e ripristinabile il regime ordinario con tutte le facoltà e le oppor tunità del trattamento.
Il tutto, al di là di preclusioni e limiti formali e temporali,
non può che essere affidato prima all'apprezzamento dell'ammi
nistrazione, con la indicata collaborazione con l'autorità giudi
ziaria precedente e di sorveglianza, e poi alla prudente valutazione
del giudice investito del riesame del provvedimento: apprezzamento
che deve investire sia i fatti già accertati sia quelli ancora giudi
zialmente da accertare e che nella loro consistenza serietà e gravi
tà impongono intanto le cautele e le misure protettive della
sorveglianza particolare.
6) Ciò posto, nel caso in esame sussistono a carico del recla
mante elementi imponenti e gravissimi, con più condanne all'er
gastolo e pene lunghe, di cui alcune già definitive, ed altri processi
in corso per costituzione di banda armata, associazione sovversi
va, omicidi, sequestri di persona, rapine, porto d'armi ed altro,
che lo vedevano in posizione di assoluto spicco e di preminenza
(vedi in dettaglio la posizione giuridica in atti). I dati penitenziari sono anch'essi decisamente allarmanti e non
contrastati dal mantenimento di condotta esente da rilievi disci
plinari negli ultimi tempi, di per sé senza significato: promotore
con altri della rivolta nel carcere di Trani alla fine del 1980 (13
anni di reclusione); imputato con altri detenuti dell'uccisione nel
carcere di Cuneo del detenuto Soldati Giorgio; rinvenimento nel
la sua cella della casa circondariale di Cuneo, nel febbraio 1982,
di materiale relativo all'istituto e di un seghetto; rinvenimento
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PARTE SECONDA
in una radiolina di sua proprietà, nella casa circondariale di Cu
neo nel marzo 1982, di una cartuccia per pistola automatica; nel
gennaio 1985, rinvenimento addosso al detenuto, che poco prima era stato perquisito con esito regolare, di una bustina con polvere bianca dopo che era stato visto avvicinare da una educatrice che
gli aveva passato qualcosa di sospetto. Tali fatti non sono stati negati o contrastati dal detenuto né
dalla sua difesa, che ha proposto incisive argomentazioni tenden
ti ad inficiare in radice il provvedimento, ma non ha mosso con
testazioni processuali o sui fatti.
Va infine segnalato il parere favorevole al provvedimento del
consiglio di disciplina dell'istituto carcerario.
Il provvedimento dell'amministrazione va pertanto conferma
to, anche in quella parte riguardante le restrizioni di cui ai punti n. 2 e n. 3 (colloqui con persone estranee e limitazioni delle con
versazioni telefoniche), che si assumono inutilmente afflittive, e
che invece vanno stimate — posta l'attualità della pericolosità — e nella globalità del provvedimento e nella loro concreta facili
tazione di comunicazioni e di collegamenti con l'esterno (che ov
viamente non sono, quanto alle telefonate, efficacemente ostacolate
dall'ascolto di un operatore penitenziario e della eventuale regi
strazione).
Quanto ai colloqui con il difensore, non menzionati nel prov
vedimento, essi devono ritenersi non oggetto del provvedimento restrittivo (come del resto ha chiarito l'amministrazione in analo
ghe procedure) al pari delle altre non menzionate e vietate restri
zioni di cui al 4° comma dell'art. 14 quater, e in tal senso
comunque il provvedimento deve essere inteso.
VI
Fatto e diritto. — Detenuto dal 9 gennaio 1982 perché appel lante avverso sentenza 20 settembre 1986 Corte assise di Macera
ta che lo condanna alla pena dell'ergastolo, appellante avverso
sentenza 18 febbraio 1985 Corte assise di Firenze che lo condan
na alla pena di anni 7, mesi 6 reclusione, nonché rinviato al giu dizio della 1a sezione della Corte di assise di Roma per associazione
sovversiva e altro e al giudizio della Corte di assise di Napoli
per banda armata, sequestro di persona e altro e scarcerato per decorrenza termini custodia cautelare in relazione ad altri cinque
procedimenti pendenti in Roma, Ascoli Piceno e Napoli, Senzani
Giovanni veniva sottoposto, con provvedimento provvisorio del
direttore generale degli istituti di prevenzione e pena presso il
ministero di grazia e giustizia del 21 gennaio 1987, al regime di
sorveglianza particolare. Con fono del 2 marzo 1987 l'amministrazione penitenziaria co
municava di aver disposto in via definitiva, previa acquisizione dei prescritti pareri, il regime di sorveglianza particolare nei con
fronti del Sensani, a decorrenza dalla stessa data.
Avverso il provvedimento definitivo proponeva reclamo il de
tenuto, riservando i motivi al proprio difensore.
Né l'interessato né l'amministrazione penitenziaria hanno pre sentato memorie.
Acquisita o integrata la necessaria documentazione, alla odier na udienza il p.g. ed il difensore del detenuto hanno concluso come da separato verbale. Prima di procedere all'esame dei moti vi del reclamo dedotti in questa e nella precedente udienza occor re preliminarmente risolvere il problema della natura della decisione che questo tribunale può adottare nei confronti del provvedimen to di applicazione del regime di sorveglianza particolare, atteso
che l'art. 14 ter 1. n. 354/75 non si esprime in merito, limitandosi a stabilire che in ordine al reclamo «il tribunale di sorveglianza
provvede con ordinanza in camera di consiglio entro dieci giorni dalla ricezione» dello stesso.
Come è noto la 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, continua a disciplinare i rapporti tra l'autorità giudiziaria ordinaria e la
p.a., stabilendo (art. 4) che i «tribunali si limiteranno a conosce re degli effetti dell'atto in relazione all'oggetto dedotto in giudi zio» e che, conseguentemente, «l'atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato», potendo il giudice ordinario solo
disapplicare l'atto stesso. Il principio, tuttavia, subisce non po che eccezioni (ad es. in tema di trascrizione del matrimonio reli
gioso di rettifica degli atti amministrativi), tra le quali la più significativa è contenuta nell'art. 23 1. 24 novembre 1981 n. 689, che consente al pretore, nel giudizio di opposizione avverso
l'ordinanza-ingiunzione applicativa di sanzioni amministrative
Il Foro Italiano — 1988.
emessa dall'autorità amministrativa di annullare o modificare il
predetto provvedimento. Orbene, ritiene il tribunale che anche
nella fattispecie di cui all'art. 14 ter della legge penitenziaria sia
possibile l'annullamento o la modifica del provvedimento ammi
nistrativo, nonostante che nulla sia disposto specificamente in pro
posito. Ciò si deduce dalla terminologia usata dal legislatore nel
definire il mezzo di gravame (il «reclamo» comporta, di regola, un riesame, anche nel merito, di un atto: v. gli analoghi istituti
previsti dalla stessa legge penitenziaria in tema di lavoro peniten ziario e di esercizio del potere disciplinare o in tema di permessi); dal fatto che oggetto del giudizio del tribunale di sorveglianza è l'atto amministrativo («avverso il provvedimento . . . può esse
re proposto . . . reclamo»), la sua legittimità e non la illiceità del
comportamento della p.a., in quanto lesivo di diritti soggettivi del detenuto; dalla circostanza che attraverso il detto gravame si può far valere la tutela non solo di diritti soggettivi, ma anche
di interessi legittimi (si pensi a quelli correlati ai numerosi prov vedimenti autorizzatori previsti dall'ordinamento penitenziario) e
dalla circostanza, altrimenti non spiegabile (perché derivante da
principi generali), che il legislatore ha espressamente stabilito che
il reclamo non possa sospendere la esecuzione del provvedimento
(lasciando chiaramente intendere, perciò, che il provvedimento del tribunale verrà comunque ad incidere sulla esecuzione del prov
vedimento). Ciò chiarito, occorre anche premettere che, come del resto ha
riconosciuto la stessa difesa, il provvedimento reclamato ha una
incidenza alquanto relativa sui diritti ed interessi legittimi del de
tenuto, limitandosi a prevedere l'esclusione dalla partecipazione al sorteggio per la designazione dei detenuti nelle rappresentanze
per il controllo dell'applicazione delle tabelle e la preparazione del vitto, per la gestione del servizio di biblioteca e per l'organiz zazione delle attività culturali, ricreative e sportive; la limitazione
dei colloqui ai soli congiunti e conviventi (peraltro si è omesso, contro il disposto del 4° comma dell'art. 14 quater 1. n. 354/75, di aggiungere i difensori); la limitazione delle comunicazioni tele
foniche ammesse (con congiunti o conviventi), ad una soltanto
al mese; la riconduzione all'interno della sezione di appartenenza delle attività in comune che l'interessato può svolgere. Ma è faci
le intuire l'incidenza che può avere siffatto provvedimento oltre
che sul trasferimento in istituti idonei e sui benefici previsti dalla
legge penitenziaria, sulla finalità trattamentale, attenuando il re
lativo onere dell'amministrazione.
L'esame dei presupposti del provvedimento deve essere, per
tanto, particolarmente attento, anche allo scopo di evitare un ri
pristino, di fatto, dell'abrogato art. 90 ordinamento penitenziario. La difesa del detenuto ha rilevato la nullità del provvedimento
amministrativo perché adottato sulla base di pareri emessi senza
motivazione e comunque dai presidenti delle corti, anziché dagli
organi collegiali; ne ha, comunque, chiesto l'annullamento per mancanza e contraddittorietà della motivazione. Il p.g. di udien
za, nelle conclusioni su analogo procedimento di reclamo discus so in data odierna, ha sollevato dubbi sulla validità di un
provvedimento amministrativo definitivo la cui motivazione sia
ricavabile, per relationem, da altro provvedimento non definitivo.
Orbene, dall'esame degli atti emerge quanto segue: 1) il parere del consiglio di disciplina e (trattandosi di imputato) quello del
l'autorità giudiziaria procedente fu richiesto dopo l'adozione del
provvedimento provvisorio, essendosi adottata la procedura d'ur
genza di cui al 4° comma dell'art. 14 bis 1. penit.; 2) stante l'esi
genza di acquisire i pareri entro dieci giorni dalla data del
provvedimento provvisorio e di adottare il provvedimento defini
tivo nei successivi dieci giorni, l'amministrazione penitenziaria nella
richiesta del parere adottò la formula: «qualora non dovesse per venire richiesta comunicazione, questo ufficio considererà con
cesso parere positivo all'applicazione per regime di sorveglianza
particolare»; 3) i pareri sono stati richiesti ai presidenti delle corti
di assise e di assise di appello competenti; 4) hanno espresso pa rere nei termini solo due dei quattro presidenti interpellati, un
parere non è pervenuto ed un altro è pervenuto I'll febbraio
1987 e cioè dopo l'adozione del provvedimento definitivo; 5) a
parte il parere del consiglio di disciplina solo uno dei tre pareri pervenuti risulta contenere una motivazione; 6) il provvedimento definitivo si evince dal fono del 3 febbraio 1987 con il quale la
direzione generale istituti prevenzione e pena comunica di aver
disposto il regime di sorveglianza particolare a decorrere dal 3
febbraio 1987.
Da quanto esposto appaiono evidenti alcuni vizi di forma da
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GIURISPRUDENZA PENALE
cui risultano affetti alcuni atti preparatori del provvedimento am
ministrativo, considerato: a) che la procedura posta in essere dal
l'amministrazione penitenziaria per qualificare il silenzio
dell'autorità giudiziaria procedente derivante dalla mancata risposta nei termini alla richiesta di parere non appare legittimata da alcu
na norma di legge; b) che, conseguentemente, il provvedimento definitivo venne adottato senza che fossero acquisiti tutti i pre scritti pareri, acquisizione necessaria ai sensi del 2°, 3° e 4° com
ma dell'art. 14 bis 1. penit.; c) che alcuni di essi sono stati espressi senza motivazione; d) che in mancanza di un'esplicita previsione
legislativa su chi debba materialmente esprimere il parere quando l'autorità giudiziaria procedente è un collegio, ad esprimere il pa rere dovrebbe essere il collegio e, comunque, ricorrendo all'ana
logia con l'art. 11, 2° comma, 1. penit., il presidente della corte
di assise (e della corte di assise d'appello) potrebbe essere autoriz
zato solo dopo la convocazione della corte stessa e non quando
questa non è riunita in sessione, dovendo in tal caso provvedere, secondo i principi generali, il tribunale o la corte d'appello (o la sezione istruttoria o il presidente della corte di appello).
I vizi di cui sopra, pur riguardando atti preparatori e non l'at
to definitivo del procedimento, sono suscettibili di ripercuotersi sull'atto definitivo, sotto il profilo della insufficienza e contrad
dittorietà della motivazione del medesimo, sostanziale vizio da
cui è affetto, ad avviso del collegio, il provvedimento in esame.
Questo tribunale condivide la perplessità del p.g. sulla possibi lità di motivare per relationem ad altro provvedimento non defi
nitivo, in quanto l'acquisizione, successiva a tale ultimo
provvedimento, dei pareri necessari e delle segnalazioni di cui al
5° comma dell'art. 14 bis può comportare modifiche o integra zioni delle motivazioni espresse nel provvedimento non definitivo
e in quanto, comunque, la motivazione del provvedimento ammi
nistrativo può dirsi completa e sufficiente solo quando siano stati
acquisiti tutti gli elementi preparatori dell'atto. Prende, ad ogni
modo, atto che la giurisprudenza amministrativa prevalente è nel
senso di ritenere ammissibile la motivazione aliunde, che si ricava
facendo ricorso ad altro provvedimento ed agli atti del proce
dimento.
Nel caso in esame, tuttavia, essendo i pareri acquisiti sprovvisti di motivazione e comunque viziati da nullità, il giudizio deve fon
darsi esclusivamente sulle motivazioni contenute nel provvedimento
provvisorio del 21 gennaio 1987; dal quale si evince che è stata
ravvisata la sussistenza dei presupposti di legge per l'applicazione del regime di sorveglianza particolare: 1) nel ritrovamento, nel
covo ove il Senzani è stato arrestato, di un documento contenen
te un piano di attacco nel carcere di Verona; 2) nel non essere
rientrato dal passeggio il 13 giugno 1984, a seguito di protesta insieme ad altri detenuti che sostenevano di non essere stati senti
ti dal magistrato di sorveglianza; 3) nell'aver rotto un vetro per
protesta il 3 aprile 1985; 4) nell'essere stato trovato il 12 dicem
bre 1985 «in piedi sul tavolo intento a cronometrare il tempo
impiegato dalla sentinella da una garitta e l'altra»; 5) nell'essere
stato udito il 23 dicembre 1985 pronunciare previsioni su un evento
pregiudizievole per l'ordine, la sicurezza e la disciplina della casa
circondariale ove era ristretto.
Non sembra che dai dati di fatto ora esposti sia possibile argui re la sussistenza, almeno nel momento attuale, di comportamenti tali da compromettere la sicurezza e turbare l'ordine negli istituti
né comportamenti violenti e minacciosi volti ad impedire le atti
vità degli altri detenuti o internati, né comportamenti diretti a
far valere lo stato di soggezione degli altri detenuti nei suoi con
fronti.
Va premesso che il legislatore del 1986, nell'abrogare il regime
di cui all'art. 90 1. 354/75, ha voluto condizionare l'applicazione
di un regime detentivo speciale a persone ritenute particolarmen
te pericolose, sulla base di concreti comportamenti che non pos
sono che essere attuali (altrimenti non si spiegherebbe la scadenza
semestrale o trimestrale del regime) o sulla base del permanere
in un atteggiamento minaccioso o pericoloso.
Orbene, dagli accertamenti esperiti, non risulta che il reclamante
abbia tenuto un comportamento tale da giustificare l'adozione
di un provvedimento di sorveglianza particolare e, tanto meno,
in via di urgenza. Risulta infatti, che il Senzani, ristretto presso la casa circonda
riale di Roma Rebibbia dal 9 giugno 1986 e fino al 25 febbraio
1987, non ha posto in essere in tale periodo comportamenti tali
da compromettere la sicurezza e da turbare l'ordine dell'istituto
penitenziario, né risulta aver riportato sanzioni disciplinari; che
Il Foro Italiano — 1988.
fino all'adozione del provvedimento amministrativo reclamato, il suo regime detentivo comportava soltanto una vigilanza più
intensa, riguardante peraltro tutta la sezione 07, rispetto ai dete
nuti ristretti in altre sezioni; che per tutto il periodo di cui sopra ha frequentato tutti i detenuti presenti nella sua sezione; che è
sembrato aver assunto una posizione di leader rispetto ad un grup
po di detenuti, ma non risulta che si sia avvalso di un eventuale
stato di soggezione di costoro nei suoi confronti, né che ne abbia
compresso l'attività.
In conclusione, pertanto, l'amministrazione penitenziaria, nel
l'elencare determinati comportamenti passati del detenuto (alcuni dei quali, peraltro, desunti da elementi indiziari e altri che non
sembrano andare al di là di una infrazione disciplinare), con l'a
dozione attuale del provvedimento, dà per scontato ciò che inve
ce dovrebbe essere dimostrato e che, anzi, le notizie acquisite dall'istituto penitenziario sembrerebbero smentire: l'assenza di una
evoluzione dell'atteggiamento del soggetto nei confronti delle isti
tuzioni e la esasperazione di un atteggiamento conflittuale e sov
vertitore. Ed è qui che si ravvisa il travisamento dei fatti, la
insufficienza e la contraddittorità della motivazione del provvedi mento il quale, allo stato, non viene, sostanzialmente, a modifi
care il regime detentivo del reclamante, ma si risolve in una
ingiustificata limitazione dell'esercizio di taluni diritti (colloqui e telefonate con i familiari), adottata, per di più, in via di urgen
za, senza che ne ricorressero i presupposti e senza che, peraltro,
possano ritenersi soddisfatte quelle esigenze cautelari alla base
della previsione dell'art. 14 bis.
L'atto amministrativo risulta, pertanto, viziato da eccesso di
potere e deve, conseguentemente, essere annullato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 26 otto
bre 1987; Pres. Carnevale, Est. Molinari, P.M. Ciani (conci,
diff.); ric. Norrito. Annulla Trib. sorv. Palermo, ord. 2 giugno 1987.
Ordinamento penitenziario — Detenzione domiciliare — Condi
zioni — Detenzione non superiore a due anni — Nozione (L. 26 luglio 1975 n. 354, norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liber
tà, art. 47 ter, 1. 10 ottobre 1986 n. 663, modifiche alla legge
sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e limitative della libertà, art. 13).
La misura alternativa della detenzione domiciliare, introdotta dal
l'art. 13 l. 663/ft, è applicabile quale che sia l'entità della pe
na inflitta con la sentenza di condanna, purché quella che in
concreto deve essere ancora espiata non sia, comunque, supe
riore a due anni. (1)
(1) Nello stesso senso la Corte di cassazione si è espressa con altre
due sentenze pronunciate all'udienza del 26 ottobre 1986, ricorrenti Moz
zone e Di Maio. In dottrina, conformemente all'orientamento della Cas
sazione, v. Tampieri, La detenzione domiciliare, in AA.VV., Le nuove
norme sull'ordinamento penitenziario, a cura di G. Flora, Milano, 1987,
277, nonché, a quanto sembra, Di Gennaro - Bonomo - Breda, Ordina
mento penitenziario e misure alternative alla detenzione, 4' ed., Milano,
1987, 277 («I limiti di pena entro i quali la misura risulta applicabile sono quelli di due anni di reclusione [anche se costituenti parte terminale
di una maggiore pena già per il resto scontata o condonata] o dell'intera
pena dell'arresto»); contra Presutti, Commento all'art. 13 l. 663/86,
in Legislazione pen., 1987, 167, ad avviso del quale «. . . l'area di esten
sione della misura è stata tracciata . . . con riferimento alla non elevata
pericolosità del condannato desumibile dalla lieve entità della pena da
espiare ovvero dalla natura dell'illecito commesso». In dottrina sull'isti
tuto in esame vadasi anche Canepa-Merlo, Manuale di diritto peniten
ziario, Milano, 1987, 191.
Scarsamente significativi ai fini della individuazione della voluntas legis
sulla questione oggetto della sentenza che si riporta sono i lavori prepara
tori, nei quali viene parafrasato il testo dell'art. 13 (cfr., ad es., la rela
zione della commissione giustizia del senato sui disegni di legge n. 23
e 423-A, presentati nel corso della IX legislatura, comunicata alla presi
denza il 29 maggio 1986 ed annunciata il 3 giugno successivo).
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