+ All Categories
Home > Documents > PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione II penale; sentenza 4 novembre 1993; Pres. Simeone,...

PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione II penale; sentenza 4 novembre 1993; Pres. Simeone,...

Date post: 30-Jan-2017
Category:
Upload: lyngoc
View: 217 times
Download: 1 times
Share this document with a friend
4
sezione II penale; sentenza 4 novembre 1993; Pres. Simeone, Est. Della Penna, P.M. Martusciello (concl. diff.); ric. Proc. gen. App. Firenze c. Cappelletti e altri; ric. Sisinni. Conferma App. Firenze 24 novembre 1992 Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp. 137/138-141/142 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188441 . Accessed: 28/06/2014 08:09 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.223.28.130 on Sat, 28 Jun 2014 08:09:23 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione II penale; sentenza 4 novembre 1993; Pres. Simeone, Est. Della Penna, P.M. Martusciello (concl. diff.); ric. Proc. gen. App. Firenze

sezione II penale; sentenza 4 novembre 1993; Pres. Simeone, Est. Della Penna, P.M. Martusciello(concl. diff.); ric. Proc. gen. App. Firenze c. Cappelletti e altri; ric. Sisinni. Conferma App.Firenze 24 novembre 1992Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp.137/138-141/142Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188441 .

Accessed: 28/06/2014 08:09

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 91.223.28.130 on Sat, 28 Jun 2014 08:09:23 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione II penale; sentenza 4 novembre 1993; Pres. Simeone, Est. Della Penna, P.M. Martusciello (concl. diff.); ric. Proc. gen. App. Firenze

GIURISPRUDENZA PENALE

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II penale; sentenza 4 no

vembre 1993; Pres. Simeone, Est. Della Penna, P.M. Mar

tusciello (conci, diff.); ric. Proc. gen. App. Firenze c. Cap

pelletti e altri; ric. Sisinni. Conferma App. Firenze 24 novem

bre 1992.

CORTE DI CASSAZIONE;

Antichità e belie arti — Danneggiamento del patrimonio artisti

co nazionale — Soggetto attivo — Legale rappresentante di

ente pubblico — Reato — Esclusione (Cod. pen., art. 733).

Danneggiamento — Dolo — Estremi — Esclusione — Fattispe cie (Cod. pen., art. 635).

L'ambito di operatività dell'art. 733 c.p. è ristretto al solo pri vato che abbia danneggiato un monumento o una cosa d'arte

di sua proprietà, e non ricomprende fatti posti in essere dal

legale rappresentante di ente pubblico. (1) Pur essendo sufficiente, per la confìgurabilità del delitto di dan

neggiamento, il dolo generico, esso non ricorre allorché la

scelta di una condotta si presenti obiettivamente incerta per la difficoltà della materia e per la presenza di indicazioni tra loro contrastanti (nella specie, il danneggiamento della pavi

mentazione settecentesca di piazza della Signoria a Firenze,

conseguente a una scelta errata circa le modalità di restauro,

è stato ritenuto frutto di negligenza e imperizia). (2)

(Omissis). Ritiene il collegio, esaminando inizialmente il ri corso del p.g. presso la Corte di appello di Firenze, che, nel

primo dei dedotti motivi, ha proposto un tema di generale inte

resse per tutti gli imputati, la non fondatezza delle censure e

delle osservazioni all'uopo formulate sottraendosi a qualsiasi sin

dacato di legittimità la decisione adottata dalla corte in ordine

alla configurazione come reato «proprio» della contravvenzione

prevista dall'art. 733 c.p., per la correttezza giuridica della in

terpretazione che della norma è stata data in sentenza e per la coerenza delle conclusioni cui la corte stessa è pervenuta,

sovvertendo il giudizio che, al riguardo, aveva erroneamente

espresso il primo giudice.

(1-2) Si conclude la vicenda della pavimentazione di piazza della Si

gnoria, sui cui precedenti, v. Pret. Firenze 21 febbraio 1992, Foro it.,

1992, II, 664 e App. Firenze 24 novembre 1992, id., 1993, II, 93, en

trambe con note di richiami, cui adde, sulla possibilità di concorso del

ì'extraneus nel reato proprio di cui all'art. 733 c.p., Pret. Belluno 29

ottobre 1992, Riv. giur. edilizia, 1993, I, 985. La Cassazione si limita

in sostanza ad avvalorare, quanto al carattere proprio della contravven

zione di danneggiamento al patrimonio storico-artistico, la motivazione

della corte d'appello, che, muovendo dall'interpretazione storica e siste

matica della norma, perveniva ad individuare una zona franca nella

repressione penale dei danneggiamenti ai beni culturali, costituita dai

fatti colposi commessi dai pubblici amministratori, e tuttavia adeguata mente coperta, secondo la Suprema corte, dalla responsabilità discipli nare e contabile.

Nella pronuncia, che sembra aderire, quanto alla lettura dell'art. 9

Cost., ad una tesi «minimale» circa la portata del dettato costituzionale

(soprattutto destinato a giustificare le limitazioni alla proprietà privata in funzione dell'interesse pubblico alla tutela del patrimonio storico

artistico, alla luce dell'art. 42, 2° comma, Cost.: sul punto, v. Merusi, in Commentario alla Costituzione a cura di Branca, Bologna-Roma,

1975, 434, sub art. 9) si colgono però alcuni spunti di un certo interes

se, che, pur costituendo affermazioni incidentali, offrono un contributo

ad una più precisa connotazione di questa contravvenzione, la cui ap

plicabilità, già problematica per la necessaria presenza di numerosi re

quisiti (il che induce Mantovani, Lineamenti della tutela penale del

patrimonio artistico, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1976, 77, a definirla

«contravvenzione gigante»), resta definitivamente ridimensionata: — l'azione di danno contemplata dall'art. 733 c.p. può provenire,

oltre che dal privato proprietario, dal rappresentante del proprietario stesso in caso di appartenenza del bene a persona giuridica privata (cfr. Cass. 21 giugno 1991, Crudetti, Foro it., Rep. 1992, voce Antichità,

n. 79); — il comportamento in violazione della norma di cui all'art. 733

c.p. può essere commissivo od omissivo (cfr. Pret. Firenze 5 giugno

1990, ibid., n. 89, in extenso in Giur. merito, 1992, 1336); — il reato è di danno, e non di pericolo, per cui «l'autorizzazione

eventualmente rilasciata dall'autorità amministrativa all'esecuzione del

l'opera non potrebbe produrre alcun effetto discriminatorio circa la sus

sistenza del danno che ne possa essere conseguito ed ostativo in ordine

alla relativa valutazione» (cfr. Pret. Firenze 21 febbraio 1992, cit., e

19 giugno 1990, Foro it., 1992, II, 374, con richiami e nota di Benini).

Il Foro Italiano — 1994 — Parte II-5.

Non v'è dubbio che la suindicata qualificazione giuridica del reato di cui all'art. 733 c.p. trova esauriente riscontro nel dato

storico e nella collocazione sistematica della norma correttamente

intesa dai giudici di appello, in conformità a quanto ritenuto, sulla base anche dell'elemento letterale dalla uniforme dottrina

e dalla consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr. sez. II 18

marzo 1988, Brasi, Foro it., Rep. 1989, voce Antichità, n. 69;

6 giugno 1988, Fantilli, id., Rep. 1990, voce cit., n. 69; 17 otto bre 1986, Lunari, id., Rep. 1988, voce cit., n. 49; sez. Ili 15

ottobre 1980 Aufiero, id., Rep. voce cit., n. 46; 19 luglio 1991,

Crudetti, id., Rep. 1992, voce cit., n. 79), per cui è stata ravvi

sata la ricorrenza della contravvenzione in oggetto solo se l'a

zione di danno proviene dal privato in quanto proprietario o,

per lo meno, in rappresentanza del proprietario stesso nel caso

di appartenenza del bene a persona giuridica privata. Non possono, infatti, considerarsi superate per il solo passag

gio del tempo, come preteso dal p.g. ricorrente, le precisazioni

che sulla genesi e sulla portata della norma incriminatrice si

contengono nella relazione al codice penale, opportunamente

riportate in sentenza, per la conferma che della loro perdurante valenza ed attualità scaturisce dalla più approfondita indagine sulla natura giuridica della limitazione al diritto di proprietà introdotta con l'art. 733 c.p., che, rendendo punibile il danneg

giamento di cosa propria (di regola escluso), si correla con il

disposto dell'art. 832 c.c. secondo la riserva ivi formulata circa

il «contenuto» del diritto di proprietà del privato. Sicché l'in

terpretazione «storica» della norma alla quale si è richiamata

la corte si riscontra in quella sistematica della norma stessa,

che nell'ordinamento giuridico si coordina con altra norma di

generale portata concernente la proprietà privata e che trova

giustificazione di sé nei principi fondamentali dell'ordinamento

che ammettono la possibilità di imporre limiti o di sottoporre

ad obblighi l'anzidetto diritto. Come puntualmente precisato nella citata relazione al codice

penale «si ha qui una limitazione penalmente sanzionata del

diritto di proprietà fondata sul concetto della prevalenza del

l'interesse pubblico su quello privato» e, cioè, su quello stesso

interesse che ha ispirato il legislatore costituzionale nell'annun

ciare nell'art. 9 Cost, il principio per cui è compito della repub

blica la tutela del patrimonio storico e artistico della nazione

e nell'ammettere nell'art. 42, 2° comma, la legittimità della im

posizione ex lege — evidentemente anche per realizzare in con

creto quella difesa — di limiti alla proprietà privata e, quindi,

al pieno godimento ed alla libera disponibilità del bene da parte

del proprietario. Ma che l'ambito di operatività dell'art. 733 c.p. sia ristretto

al solo privato, proprietario del bene di cui il predetto abbia

cagionato il danneggiamento con la sua condotta commissiva

od omissiva, risulta chiaramente anche dal disposto del 2° com

ma della norma in oggetto, laddove è prevista la possibilità del

la confisca del bene stesso. Si tratta, a ben vedere, di una di

sposizione che amplia i casi di confisca facoltativa previsti dal l'art. 240, prima parte, c.p. non essendo richiesta la condanna

dell'imputato che costituisce, invece, l'indispensabile presuppo

sto stabilito dalla legge per l'eventuale applicazione della misu

ra di sicurezza patrimoniale e che trova giustificazione proprio

nelle finalità cui, è, nella specie, preordinata la confisca stessa,

la quale, comportando la devoluzione del bene all'erario, «mentre

toglie a chi se ne è mostrato immeritevole la proprietà della

cosa ne garantisce la conservazione nel pubblico interesse».

Risulta, allora, ancor più evidente in forza della naturale in

compatibilità della adozione della confisca rispetto ad un bene

«pubblico» di rilevante pregio archeologico, storico ed artistico

non potendo lo Stato espopriare in suo favore un bene che già

gli appartiene o privare del bene un ente pubblico, territoriale

o non territoriale, nella cui disponibilità il bene si trova per

la funzione pubblica che assolve, come la norma incriminatrice

di cui all'art. 733 c.p. concerna esclusivamente la proprietà pri

vata colpendo chi del bene ne è il proprietario.

Né potrebbe obiettarsi che la confisca proprio perché discre

zionalmente applicabile troverebbe in ciò la sua regolamenta

zione nel senso che potrebbe essere disposta solo nei casi in

cui essa sia compatibile con la situazione realizzatasi in concre

to dovendo intendersi la discrezionalità di cui all'art. 240, pri

ma parte, c.p. come correlata non alle connotazioni soggettive

This content downloaded from 91.223.28.130 on Sat, 28 Jun 2014 08:09:23 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione II penale; sentenza 4 novembre 1993; Pres. Simeone, Est. Della Penna, P.M. Martusciello (concl. diff.); ric. Proc. gen. App. Firenze

PARTE SECONDA

del fatto e, in particolare, alla qualità pubblica o privata del

proprietario del bene danneggiato o deteriorato, ma a connota

zioni più propriamente oggettive in conformità alla funzione

cui la confisca è preordinata di prevenire la commissione di nuovi

reati mediante la espropriazione in favore dello Stato di quelle cose che «provenendo da fatti illeciti o in altra guisa collegan dosi alla loro esecuzione manterrebbero viva l'idea o l'attrattiva

del reato» (cfr. Relazione al progetto definitivo del codice pe

nale, n. 202). Sicché, ove volesse stabilirsi un collegamento con le qualità

personali del soggetto attivo, dovrebbero essere considerate sol

tanto quelle apprezzabili in funzione del giudizio di probabilità cui è subordinato l'esercizio del potere discrezionale previsto dall'art. 240, prima parte, c.p., eppertanto le qualità personali

significative della capacità del brevetto di soggiacere o di resi

stere alla «attrattiva del reato» perpetuata dalla libera disponi bilità della cosa, che per le misure di sicurezza personali e per la cauzione di buona condotta vengono ricondotte, a sensi del

l'art. 203 c.p., al concetto di pericolosità sociale.

La predisposizione dell'art. 733 c.p. alla tutela penalmente sanzionata del patrimonio storico e artistico della nazione nei

confronti del solo privato non consente, però, di ravvisare la

sussistenza di quei profili di incostituzionalità adombrati dal p.g. ricorrente per eventuale violazione dell'art. 9, in relazione al

l'art. 3 Cost, nel senso che il dipendente pubblico responsabile di aver cagionato per colpa l'evento previsto e punito dalla con

travvenzione di cui all'art. 733 c.p. non sarebbe chiamato a

risponderne a differenza del privato, ove si consideri, riguar dando la citata disposizione in un più ampio contesto normati

vo, che dal legislatore non sono state ignorate situazioni del

genere. Alle quali risulta, infatti, riservata una disciplina ragio nevolmente diversificata ma non per questo meno incisiva di

quella affrontata dall'art. 733 c.p. proprio in considerazione

della non coincidenza delle posizioni in cui hanno operato il

proprietario privato ed il dipendente pubblico che gestisce il be

ne di rilevante pregio storico, artistico o archeologico di pubbli ca appartenenza. In quanto la tutela apprestata contro quest'ul timo implica accanto alla responsabilità dell'agente ipotizzabile a titolo di dolo ai sensi dell'art. 635, cpv., n. 3, c.p. nel concor

so dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 9, c.p., la responsabiità

disciplinare e la responsabilità amministrativo-contabile del pre detto ravvisabili anche a titolo di colpa. E, quindi, al di fuori di ogni comportamento doloso, cosi coprendo, mediante la pre visione di sanzioni diverse, ma non per questo meno afflittive

di quelle fissate dalla legge penale per una semplice contravven

zione come quella di cui all'art. 733 c.p. (per di più oblabile

a sensi dell'art. 162 bis c.p.), vaste aree di responsabilità che

non rimangono, pertanto, impunite, costituendo, comunque, og

getto di adeguata considerazione legislativa e di conseguente re

pressione ai fini della realizzazione nel modo più ampio e con

creto della tutela del patrimonio storico e artistico della nazio

ne, espressamente considerato nell'art. 9 della Carta

costituzionale.

Non v'è, quindi, spazio per interpretazioni che, collegandosi a criteri di per sé labili (eppertanto inaffidabili) come quello

evolutivo, comportano l'ampliamento della sfera di operatività di una norma incriminatrice come l'art. 733 c.p. in maniera

del tutto arbitraria con conseguente violazione del categorico

imperativo enunciato nell'art. 1 c.p. Ma la sentenza non merita censura neppure in ordine all'altra

statuizione cui è pervenuta la corte di appello, allorquando ha

assolto gli imputati dal danneggiamento loro ascritto perché il

fatto non costituisce reato con riferimento all'elemento psicolo

gico del reato stesso.

Va preliminarmente osservato che l'ipotesi di danneggiamen to che ha costituito oggetto di specifica contestazione da parte dei ricorrenti attiene non all'opera di rimozione dei basoli sette

centeschi ed alle relative tecniche di prelievo, menzionate an

ch'esse in rubrica sub art. 635 c.p., ma ai metodi di lavorazione

adottati per il ricondizionamento delle pietre recuperate ed il

loro «reimpaginamento» nella pavimentazione successivamente

realizzata, avendo, infatti, la corte registrato con riferimento

alla prima delle due situazioni surricordate incertezza e labilità

della prova circa la possibilità di attribuire il danno, consistente

Il Foro Italiano — 1994.

nella elevata frantumazione in sede di prelievo delle pietre del

lastricato originario, ai metodi di rimozione delle stesse piutto

sto che allo stato di usura delle singole lastre.

Altra osservazione che occorre premettere al fine della deter

minazione dell'ambito del presente giudizio concerne la irrile

vanza di fini della decisione delle deduzioni formulate dalla di fesa del ricorrente Sisinni con riferimento «all'oggetto della tu

tela», incentrate sulla negazione anche del pregio storico dei

basoli, concerndo tutte le surrichiamate deduzioni la rawisabi

lità nella specie della contravvenzione all'art. 733 c.p., già escluse

per motivi diversi da quelli indicati in ricorso dalla corte di ap pello, con motivazione che il collegio ha condiviso dopo averne

riscontrato la fondatezza. V'è, semmai, da aggiungere che le

«scelte della pubblica amministrazione» non potrebbero comun

que condizionare il giudizio emesso in sede penale con riferi

mento al reato di danneggiamento, essendo lo stesso un reato

di danno e non di condotta per cui l'autorizzazione eventual

mente rilasciata dall'autorità amministrativa all'esecuzione del

l'opera non potrebbe produrre alcun effetto discriminatorio cir

ca la sussistenza del danno che ne possa essere conseguito ed

ostativo in ordine alla relativa valutazione.

Va ancora rilevata la infondatezza delle affermazioni conte

nute nel secondo motivo del ricorso proposto dal Sisinni in cui

è stata contestata la «sussistenza della materialità della condot

ta richiesta dall'art. 635 c.p.», ritenuta dalla corte di appello,

ove si consideri, da un verso, che ai fini del reato in oggetto non risulta determinante il pregio storico o artistico del bene

distrutto o deteriorato, che, peraltro, la corte ha motivatamente

ritenuto sussistente con particolare riferimento all'insieme della

pavimentazione bicentenaria della piazza e, dall'altro, che per escludere sotto il profilo della materialità della condotta la sus

sistenza del reato in oggetto è necessario che il danno sia tal

mente esiguo da non poter integrare una modificazione struttu

rale o funzionale della cosa ovvero un deterioramento di una

certa consistenza o evidenza (cfr. sez. V 23 marzo 1981, Miti

dieri, id., Rep. 1982, voce Danneggiamento, n. 2; 7 febbraio

1978, Vacchieri, id., Rep. 1978, voce cit., n. 3). Eppertanto che ricorrano situazioni certamente non verificatesi nella specie ove si considerino i lavori di riadattamento e di utilizzazione

delle singole lastre che ne annullarono le caratteristiche origina rie e ne vanificarono il significato storico, come indicato in sen

tenza per cui dette lavorazioni, implicanti a seguito del taglio a macchina nelle sei facce dei basoli, il loro ridimensionamento

sia in spessore che nelle dimensioni complessive, «ebbero come

esito la utilizzazione delle pietre recuperate alla stregua del ma

teriale inerte proveniente da una cava qualsiasi e non di piazza della Signoria» e comportarono, dopo il loro riposizionamento, «un disegno complessivo che non rispettava e non poteva più

rispettare la precedente posizione né singolarmente né comples

sivamente, poiché l'ordito era risultato diverso da quello sette

centesco». Sicché il danno conseguente è stato fondatamente

ravvisato in relazione sia ai singoli «pezzi» che al loro insieme

monumentale.

L'unico problema posto, quindi, dall'attuale processo con ri

ferimento al reato di cui all'art. 635 c.p. è quello che concerne, secondo la corretta impostazione dell'indagine seguita al riguar do dalla corte di appello la sussistenza nella specie dell'elemen

to psicologico del reato di danneggiamento che è stato negativa mente risolto in sentenza in quanto nella condotta tenuta da

tutti gli imputati nella tormentata vicenda della pavimentazione della storica piazza fiorentina potevano ravvisarsi solo gli estre

mi della colpa sotto il profilo della superficialità e della imperizia. Occorre, peraltro, precisare che l'indagine consentita in que

sta sede non consente la rilettura dell'elemento probatorio la

cui ricerca e valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito, dovendosi, infatti, negare, secondo le categoriche indicazioni contenute nell'art. 606, lett. e, c.p.p. — specifica mente richiamato da entrambi i ricorrenti al fine di inquadrare

giuridicamente le verifiche richieste nei ricorsi rispettivamente

proposti — la deducibilità nel presente giudizio di «ragioni atti nenti la individuazione, la cernita e la valutazione dei fatti pro cessuali». Per cui il vizio di motivazione (non risolventesi in mancanza assoluta) è circoscritto nel nuovo rito alla manifesta

illogicità che risulti dal «testo del provvedimento impugnato» ed il potere-dovere di cognizione della corte di legittimità è limi

This content downloaded from 91.223.28.130 on Sat, 28 Jun 2014 08:09:23 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione II penale; sentenza 4 novembre 1993; Pres. Simeone, Est. Della Penna, P.M. Martusciello (concl. diff.); ric. Proc. gen. App. Firenze

GIURISPRUDENZA PENALE

tato all'esame della struttura logica del documento, con esclu

sione di verifiche negli atti del procedimento (cfr. sez. V 20

agosto 1991, Iermanò, id., Rep. 1992, voce Cassazione penale,

n. 48; sez. I 30 maggio 1991, Birra, ibid., n. 49; sez. I 24 set tembre 1990, Caponaccio, id., Rep. 1991, voce cit., n. 6; sez.

VI 30 gennaio 1992, Prisinzano, id., Rep. 1992, voce cit., n. 31).

In sostanza, l'omissione come sopra intesa deve apparire tale

nello stesso sviluppo logico del provvedimento impugnato e non

nella diversa prospettiva addotta dal ricorrente.

Orbene, alla stregua dei suindicati principi formulati sulla ba se della corretta interpretazione dell'art. 606, lett. e, c.p.c. e

che delimitano rigorosamente l'ambito dell'attuale indagine, la

impugnata sentenza risulta immune da vizi apprezzabili in sede

di legittimità per la razionalità strutturale della motivazione, il

cui apparato argomentativo risulta correttamente impostato sul

piano giuridico e coerentemente sviluppato in punto di fatto

perché ancorato a precise e significative risultanze processuali

per cui le conclusioni si pongono in rapporto di inevitabile con

seguenzialità con le suindicate risultanze.

Invero, il delitto di danneggiamento previsto dall'art. 635 c.p.

non postula il dolo specifico, cioè, l'intento di arrecare danno

bastando ad integrare l'elemento psicologico che l'azione da cui

il danno deriva sia compiuta volontariamente e con la coscienza

dell'evento che ne seguirà ed è proprio con riferimento a tale

consapevolezza che la corte di appello all'esito dell'attento rie

same delle carte processuali e con riferimento al tormentato iter

della progettazione e della esecuzione dei lavori concernenti la

pavimentazione di piazza della Signoria ha rinvenuto elementi

che sul piano della prova la convincevano ad inquadrare negli

schemi della colpa la condotta tenuta dagli imputati nel lungo

arco di tempo in cui la intera vicenda si è sviluppata. Come,

peraltro, già rilevato dallo stesso pretore, che, pur prospettando

la possibilità di ravvisare nel comportamento di alcuni imputati «elementi di dolo indiretto», ha, però, considerato la colpa,

intesa quale inosservanza del dovere di usare perizia, diligenza

e prudenza nella realizzazione dell'opera, come il qualificante

denominatore comune della posizione di tutti gli imputati. I contrasti negli orientamenti e la contraddittorietà delle ini

ziative attestate dalla stessa molteplicità dei protocolli di intesa

concordati tra autorità centrale e autorità locale, le scelte fatte

e, poi, contraddette da coloro che a diversi livelli erano chiama

ti a risolvere le problematiche di non facile soluzione che la

realizzazione dell'opera necessariamente comportava, anche per

la mancanza di risolutivi interventi in situazioni similari, la plu ralità delle voci contrastanti, delle opinioni divergenti e degli interventi diversamente ispirati che si sono registrati nella vicen

da, la mancanza di specifiche competenze in materia da parte

dei singoli operatori sono tutti elementi che nel loro incontesta

bile e concordante significato sono stati ragionevolmente consi

derati dalla corte di appello a dimostrazione inconfutabile di

una condizione di incertezza che non poteva che essere ricon

dotta nello schema tipico della colpa.

Né valgono i riferimetni contenuti nel ricorso del p.g. alla esistenza di talune, seppur autorevoli voci di dissenso, rispetto

agli orientamenti ed alle iniziative seguite dalla pubblica ammi

nistrazione, che la corte avrebbe trascurato o sottovalutato, a

dimostrare la «irrazionalità» del giudizio conclusivo cui la stes

sa è pervenuta ed a riaprire il discorso in materia, ove si consi

deri che i richiamati elementi, corrispondendo a mere opinioni

ed a personali convincimenti, sono di per sé privi di valore riso

lutivo ai fini della decisione e che le suindicate deduzioni risul tano in buona sostanza finalizzate ad un riesame in punto di

fatto eppertanto ad una indagine estranea rispetto alla verifica

consentita dall'art. 606, lett. e, c.p.p. e, comunque, inammissi

bile in considerazione delle competenze istituzionali del giudice di legittimità.

Altrettanto è a dirsi in ordine alle censure dedotte nel terzo

motivo del ricorso proposto dal Sisinni, che, contestando essen

zialmente in fatto l'impugnata sentenza, ha sollecitato, osser

vando una inesistente mancanza di motivazione, una indagine

che, implicando il controllo della posizione e della condotta del

predetto in relazione allo svolgimento della vicenda di cui è sta

to, comunque, parte attiva, introdurrebbe anch'essa accertamenti

e valutazioni di per sé incompatibili con il giudizio di legittimità

Il Foro Italiano — 1994.

esigendo necessariamente il riesame degli elementi di prova ac

quisiti nel corso del giudizio. Mentre a nulla rileva il richiamo fatto dai difensori alle com

petenze proprie del Sisinni nell'ambito del ministero, di cui oc cupa una posizione di vertice, a fronte dell'accertata sua parte

cipazione alla pluriennale vicenda e della conseguente assunzio

ne da parte del predetto di dirette responsabilità nello svolgimento

della stessa.

Neppure può essere condivisa la doglianza formulata nell'ul

timo motivo del ricorso del p.g. di Firenze, nel quale si riscon

tra quella analoga anche se contrariamente finalizzata del Sisin

ni, di una valutazione non specifica delle posizioni dei singoli imputati ove si consideri che le condotte rispettivamente tenute

dai predetti durante l'annosa vicenda era stata già attentamente

ricostruita in punto di fatto dal primo giudice e che a tale rico

struzione si è riferita la corte, che ha dissentito dal giudizio

conclusivo espresso dal pretore solo in punto di diritto esclu

dendo la configurabilità nella specie della contravvenzione al

l'art. 733 c.p. ed ammettendo in suo luogo la ipotizzabilità del

delitto di cui all'art. 635 c.p., poi, ravvisato insussistente con

riferimetno all'elemento psicologico. Donde la non necessità di

una ulteriore valutazione analitica di comportamenti attentamente

ricostruiti e definiti nei loro successivi sviluppi sulla base delle

risultanze acquisite nel corso del processo.

Ritiene, pertanto, il collegio di dover rigettare entrambi gli

interposti ricorsi, con conseguente condanna del Sisinni al pa

gamento delle spese processuali.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 13 ot

tobre 1993; Pres. Tridico, Est. Onorato, P.M. Galgano

(conci, diff.); ric. P.m. in c. Cusani. Annulla Trib. Milano, ord. 20 agosto 1993.

Misure cautelari personali — Decisione del tribunale del riesa

me — Ricorso per cassazione — Interesse del pubblico mini

stero — Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 274, 311, 568).

Misure cautelari personali — Esigenze cautelari — Esigenze di

difesa sociale — Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 274).

Sussiste l'interesse del pubblico ministero ad impugnare la deci

sione del «tribunale della libertà» anche ove l'ordinanza del

tribunale abbia fissato una durata della misura cautelare pari

al termine massimo di fase, limitandone, dunque, la sfera d'a

zione alle sole esigenze di cui all'art. 274, lett. a), c.p.c. (1) Ove il giudice individui, quale esigenza cautelare, la probabile

reiterazione dei reati, è irrilevante, ai fini della sua esatta con

figurazione giuridica, il motivo che la ispira; ne consegue che

(1) Nel senso dell'applicabilità del criterio dell'interesse anche alle

impugnazioni de libertate, cfr. Cass. 12 aprile 1991, De Biasi, Foro

it., Rep. 1992, voce Misure cautelari personali, n. 517, nonché, per

talune applicazioni, Cass. 20 maggio 1991, Cazzola, ibid., n. 516, e

1° aprile 1992, Albano, ibid., n. 515, secondo cui «il p.m. ha interesse

a impugnare il provvedimento del g.i.p. che ritenga sussistente l'esigen

za cautelare di cui all'art. 274, 1° comma, lett. a), c.p.p. ma non anche

quella di cui alla lett. c) di tale norma», in quanto «sussiste un concreto

interesse del p.m. al riconoscimento di esigenze cautelari diverse da quella

di cui alla lett. a), soggetta alla fissazione di un termine, perché, indi

pendentemente dalla fissazione di tale termine in misura coincidente

con quella massima di fase, le esigenze di cui alle successive lett. b)

e c) sono destinate a permanere oltre la fase delle indagini preliminari».

In generale, sulla fisionomia dell'interesse ad impugnare del pubblico

ministero, cfr. Cass., sez. un., 11 maggio 1993, P.m. in c. Amato,

id., 1993, II, 556, con nota di ulteriori richiami.

Sui limiti del controllo di legittimità in materia cautelare, cfr., tra

le altre, Cass. 20 agosto 1991, Mercuri, id., Rep. 1992, voce cit., n. 539.

This content downloaded from 91.223.28.130 on Sat, 28 Jun 2014 08:09:23 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended