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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione V penale; sentenza 21 gennaio 1986; Pres. Minozzi,...

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sezione V penale; sentenza 21 gennaio 1986; Pres. Minozzi, Est. Lumia, P.M. Dolce (concl. conf.); ric. Gianotti. Conferma App. Torino 8 marzo 1985 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp. 179/180-183/184 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179644 . Accessed: 28/06/2014 07:30 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.45 on Sat, 28 Jun 2014 07:30:05 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione V penale; sentenza 21 gennaio 1986; Pres. Minozzi, Est. Lumia, P.M. Dolce (concl. conf.);ric. Gianotti. Conferma App. Torino 8 marzo 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.179/180-183/184Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179644 .

Accessed: 28/06/2014 07:30

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PARTE SECONDA

gomentando da una pretesa funzione cautelare accessoria delle norme pe nali, e ponendo in rilievo, a proposito delle fattispecie aberranti, come

esse conferiscano alle norme incriminatrici di parte speciale il carattere ulteriore di norme a finalità preventiva (28).

Ora, ci pare che un discorso del genere si ponga in netto contrasto con la nozione di «evento diverso», ormai recepita in giurisprudenza.

Non si può, infatti, affermare il carattere preventivo di una norma

penale rispetto ad eventi del tutto diversi (rectius, a lesioni di beni giuridi ci di categoria del tutto diversi) da quelli previsti — e vietati — dalla medesima norma.

Si tratta, comunque, di una precisazione meramente formale, non po tendosi revocare in dubbio che la teoria della colpa presunta non presenta sostanziali differenze, ai fini dell'accertamento della responsabilità ex art. 83 c.p., rispetto all'opinione dottrinale che ravvisa, nella fattispecie in

questione, una mera ipotesi di responsabilità oggettiva (29). Quest'ultima opinione è oggi senz'altro prevalente, sebbene non siano

mancati, anche in tempi recenti, autorevoli giuristi che hanno invece rav visato nell'art. 83 un'autentica responsabilità colposa, da accertarsi con cretamente caso per caso (30).

Giulio De Simone

(28) Cfr. Cass. 24 giugno 1974, Gori, Foro it., Rep. 1975, voce Reato

aberrante, n. 3.

(29) Cfr. Donini, Il reato aberrante, cit., 807.

(30) Carnelutti, Teoria generale del reato, Padova, 1933, 195; Conti, Aberratio (ictus, delicti, causae), voce del Novissimo digesto, Torino, 1957, I, 41; Mantovani, Diritto penale, cit., 331; Antolisei, Manuale, parte generale, cit., 366. A tal proposito, appare assai interessante una recente

pronuncia della Cassazione (sent. 20 marzo 1985, La Rosa, Foro it., Rep. 1986, voce Concorso di persone nel reato, n. 44), nella quale si afferma che «la disposizione dell'art. 116 c.p., costituisce norma speciale rispetto a quella generale dell'art. 83 c.p., mentre il ristretto, corrispondente cam

po comune di operatività. . . è costituito dalla previsione che l'evento diverso da quello voluto possa verificarsi; previsione accompagnata, pe rò, dalla fiducia che lo stesso sarà evitato».

Giulio De Simone

CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza 21 gen naio 1986; Pres. Minozzi, Est. Lumia, P.M. Dolce (conci,

conf.); ric. Gianotti. Conferma App. Torino 8 marzo 1985.

Ingiuria e diffamazione — Diffamazione col mezzo delia stampa — Verità del fatto — Inesatta conoscenza dei presupposti del

diritto di cronaca — Errore su legge penale — Irrilevanza (Cod.

pen., art. 5, 595; 1. 8 febbraio 1948 n. 47, disposizioni sulla

stampa, art. 13).

Premesso che nell'esercizio del diritto di cronaca il giornalista deve non solo controllare l'attendibilità della fonte di informa

zione, ma anche accertare la rispondenza al vero dei fatti nar

rati, nessuna efficacia scriminante può riconoscersi all'errore

in cui questi incorra per non avere riscontrato la verità del fat

to, stante che in questo caso l'errore verte sulla liceità del com

portamento, ed è dovuto ad una inesatta conoscenza dei propri

obblighi e dei presupposti normativi del diritto di cronaca; un

siffatto errore è irrilevante anche se attribuibile a mera negli

genza, risolvendosi in uno stato di ignoranza della legge penale

che, ex art. 5 c.p., nessuno può invocare a propria scusa. (1)

(1) La sentenza si segnala perché prospetta una soluzione priva di pre cedenti editi: la condotta del cronista, il quale abbia attribuito a taluno fatti lesivi dell'onore senza averne preventivamente e colposamente ri scontrato la verità, sarebbe caratterizzata da un'inesatta conoscenza del contenuto normativo del diritto di cronaca, e perciò darebbe luogo ad uno stato di inescusabile ignoranza della legge penale. Nelle premesse, invece, non si fa altro che riaffermare l'ormai consolidato insegnamento della Cassazione, secondo cui il diritto di critica e cronaca giornalistica ha efficacia scriminante a condizione che venga svolto nel rispetto dei tre parametri della verità della notizia, dell'interesse pubblico alla cono scenza del fatto, e dell'obiettiva e serena esposizione del fatto riferito

(c.d. continenza) (Cass. 3 maggio 1985, Ruschini, Foro it., Rep. 1986, voce Ingiuria e diffamazione, n. 18; 23 gennaio 1984, Franchini, ibid., n. 23; sez. un. 30 giugno 1984, Ansaloni, id., 1984, II, 531, con nota di Fiandaca, Nuove tendenze repressive in tema di diffamazione a mezzo

stampai-, e Cass. 18 ottobre 1984, n. 5259, ibid., I, 2711, con osservazio ni di Pardolesi, Diffamazione «indiretta» e responsabilità civile).

Se in giurisprudenza si riscontra una unitaria elaborazione dei requisiti concernenti l'interesse pubblico e la continenza (nel senso però che tale

Il Foro Italiano — 1988.

Svolgimento del processo. — Con sentenza del 29 ottobre 1982

il Tribunale di Torino dichiarava Renzo Gianotti responsabile del

reato di diffamazione aggravata (art. 595 c.p. e 13 1. 8 febbraio

1948 n. 47), per avere pubblicato e diffuso, nel maggio del 1979,

nella sua qualità di segretario della sezione torinese del Pei, un

volantino nel quale si affermava che Marco Pannella «era stato

candidato nelle liste di 'Nuova repubblica' capeggiata da Rodol

fo Pacciardi, amico di Edgardo Sogno e di Junio Valerio Borghe

se, già capo della famigerata 'Decima Mas'». Il tribunale

concetto non va inteso in senso assoluto, per cui non possono ritenersi

vietati coloritura e toni aspri e polemici in presenza di argomenti di grave interesse pubblico, v. Cass. 3 maggio 1985, Ruschini, cit.; 27 giugno 1984, Nenci, id., Rep. 1985, voce cit., n. 19; 10 aprile 1981, Ferraresi, id.,

Rep. 1983, voce cit., n. 18), riguardo alla verità della notizia vi sono due prospettazioni: secondo l'indirizzo più rigido, solo la pubblicazione della verità «obiettiva», o «reale», permette di invocare la scriminante di cui all'art. 51 c.p., non potendo al contrario riconoscersi alcuna effica

cia esimente alla verità «soggettiva», o «putativa», o alla mera «verosi

miglianza» o «veridicità» dei fatti (Cass. 24 settembre 1982, Pietra, ibid., n. 32; 21 aprile 1982, Bocca, ibid., n. 28; 12 gennaio 1982, Lo Greco, ibid., n. 21; 16 luglio 1981, Caprara id., Rep. 1982, voce cit., n. 32. In passato hanno invece negato qualsiasi funzione scriminante al diritto di cronaca, anche se correttamente esercitato: Cass. 22 gennaio 1971, Russo, id., Rep. 1971, voce cit., n. 36; e sez. un. 14 novembre 1958, Maiorino

id., Rep. 1960, voce cit., n. 28). L'altro orientamento riconosce invece la rilevanza scusante della «verosimiglianza», della «verità scrupolosa mente accertata e verificata», ed anche della «notizia vera secondo il sen

so comune» (Cass. 11 marzo 1982, Pandolfo, id., Rep. 1983, voce cit., n. 24; 18 dicembre 1980, Faustini, id., Rep. 1982, voce cit., n. 28; 11

febbraio 1981, Gravato, id., Rep. 1983, voce cit., n. 17; 26 ottobre 1983, Pannella, c. Zollo, id., 1984, II, 386. Per un attento esame dei tre requi siti vedi inoltre Rapisarda, La diffamazione giornalistica fra principi con solidati ed esigenze di rimeditazione, ibid., e Bonanno, in nota a Cass. 16 giugno 1981, Cederna, id., 1982, II, 313).

Evidentemente se si adotta l'orientamento, recepito nella decisione su

riprodotta, che esige una adaequatio fra res gestae e historia rerum gesta rum, il putativo non ha alcun valore scriminante, mentre, per l'altro indi

rizzo, risulterà non punibile il cronista che, pur essendosi adqperato ad

appurare -il fatto con ogni mezzo imposto dalla correttezza professionale, sia lo stesso caduto in errore «a causa della fallibilità della natura uma

na». Ma giustamente è stato fatto notare che la contrapposizione fra i due orientamenti è più apparente che reale: infatti, anche a voler estro mettere la verità putativa dal novero dei presupposti oggettivi che condi zionano l'esercizio scriminante del diritto di cronaca, essa è pur sempre in grado di escludere l'esistenza della volontà dolosa dell'agente (Fianda ca, Nuove tendenze repressive, cit.; nello stesso senso Cass. 26 marzo

1983, Fiorillo, id., Rep. 1984, voce cit., n. 30). In buona sostanza, l'area di rilevanza della verità risultante dalla sen

tenza su riprodotta resta quella disegnata ultimamente dalla Cassazione:

si tratta della verità che, se non accertata de visu dal cronista (si pensi ad es. alla intervista), dev'essere da questi verificata tramite attente inda

gini su di una pluralità di fonti di informazione (si ricordi come, per la Cassazione, non esistano fonti di informazione privilegiate che esimo no il cronista dall'effettuare l'indagine di rispondenza al vero delle noti zie pubblicate: sez. un. 30 giugno 1984, cit.), la cura del cui espletamento deve essere fornita in giudizio dal giornalista stesso. Peraltro, è questa un'area che la dottrina ha giudicato davvero troppo angusta, in quanto riduce la libertà sancita dall'art. 21 Cost, ad «una libertà minacciosamen te vigilata» (Pardolesi, cit., 2712).

A parte l'empirica considerazione che obbligare il giornalista a svolgere complesse ricerche, in ordine all'attendibilità della fonte di informazione ed alla verità del fatto, significa non tenere in nessun conto quelle prati che esigenze di prontezza e tempestività del servizio giornalistico (Fian daca, cit., 535; e inoltre Napoleoni, Diritto di cronaca e «verità putativa», in Cass. pen., 1983, 1104: per l'autore richiedere l'effettiva verità della notizia pubblicata significa paralizzare l'effettivo esercizio del diritto di

cronaca) che certamente il legislatore ha avuto presenti nella compilazio ne della Carta costituzionale, va osservato che la Cassazione, richiedendo al cronista doveri di «diligenza» ed «accortezza», ha di fatto trasformato il delitto di diffamazione da reato esclusivamente doloso, a illecito puni bile anche a titolo di colpa (Trib. Torino 14 ottobre 1981, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 33; per una critica a tale prassi: Vassalli, Libertà di stampa e tutela penale dell'onore, in Arch, pen., 1967, 23; e Fianda

ca, cit., 534). Se a sostegno di tale prassi debbono citarsi la diffusa con vinzione che l'onore abbisogni di una più adeguata tutela rispetto ai potenti mezzi che la stampa ha oggi a disposizione, e la proposta di una parte della dottrina di introdurre de iure condendo la forma colposa del delitto di diffamazione (Santoro, La rettifica delle norme della I. 5 agosto 1981 n. 416 (spunti di esegesi e di commento), in Giust. pen., 1982, II, 184; e Vassalli, Libertà di cronaca e tutela penale dell'onore, in Scritti in me moria di A. Giuffré, 1967, 892), tuttavia contro di essa in atto si staglia un insuperabile dato normativo: nel nostro ordinamento i casi di delitto

colposo sono «espressamente preveduti dalla legge». È stato quindi soste

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GIURISPRUDENZA PENALE

condannava quindi il Gianotti alla pena di trecentomila lire di

multa, oltre alle spese processuali, al risarcimento dei danni in

favore della persona offesa e alla pubblicazione della sentenza;

assolveva quindi il Gianotti dallo stesso reato in relazione ad al

tre frasi contenute nello stesso volantino, ritenendo che in rela

zione ad esse l'imputato avesse agito nell'esercizio del diritto di

critica e di cronaca.

Nel motivare la condanna, il tribunale rilevava come il fatto

non vero attribuito ad un uomo politico dichiaratamente di sini

stra, come l'on. Pannella, di essersi candidato nella lista di uno

schieramento di destra, doveva considerarsi obiettivamente lesivo

della sua reputazione, intesa, questa, anche come apprezzamento

per la coerenza che un uomo politico dimostra rispetto alle idee

che professa; e, quanto all'elemento soggettivo, sottolineava co

me la prova della sua sussistenza scaturisse dalle stesse dichiara

zioni rese dall'imputato, il quale aveva ammesso di avere incluso

nel volantino il riferimento in questione fidandosi unicamente sulla

nuto che attualmente nessuna sanzione di carattere penale può essere ir

rogata per la «diffamazione colposa», risultando essa censurabile soltan to dal punto di vista civile ex art. 2043 c.c.; e dal punto di vista disciplinare ad opera degli organi di autotutela della categoria (Napoleoni, cit., 1106).

Ma la sentenza in epigrafe sembrerebbe a prima vista, nel suo carattere

di novità, aver superato l'ultima obiezione: infatti, piuttosto che far di scendere la colpevolezza del cronista direttamente dall'avere questi colpo samente attribuito fatti lesivi dell'onore (diffamazione colposa), o dalla sua colposa convinzione che esista una circostanza di esclusione della pe na (errore putativo sull'astratta esistenza di una causa di giustificazione), se ne considera a monte non scriminabile la condotta, perché si riscontra

una ignoranza «colposa» dell'esatto contenuto del diritto esercitato, igno ranza che si risolverebbe in uno stato di inescusabile errore su legge pena le. Sotto quest'ultimo profilo la pronuncia in epigrafe sembra avere

implicitamente aderito all'insegnamento della Cassazione, per il quale è

norma penale non soltanto quella contenuta in una legge penale ma ogni altra disposizione, che, pur essendo contenuta in una legge civile o ammi

nistrativa — o costituzionale —, è richiamata dalla legge penale o la inte

gra, contribuendo a determinarne il precetto vero e proprio (Cass. 19

ottobre 1982, Di Silvestro, Foro it., Rep. 1983, voce Errore penale, n.

6; 22 aprile 1981, Bura, id., Rep. 1982, voce Legge penale, n. 9; 7 feb

braio 1984, Di Piazza, id., Rep. 1985, voce cit., n. 4). Sulla scorta di tale premessa, e malgrado i giustificati dissensi della

dottrina (Mantovani, Diritto penale, Padova, 1979, 319; Fiandaca - Mu

sco, Diritto penale, Bologna, 1985, 183), la Cassazione ha di fatto finito

con l'attuare una tacita abrogazione dell'art. 47, ultimo comma, c.p. (cfr. Lanzi, L'errore su legge extrapenale. La giurisprudenza degli ultimi anni

e la non applicazione dell'art. 47/3 c.p., in Indice pen., 1976, 299). Dan

do dunque implicitamente per scontato, sulla scia dell'orientamento pre

detto, che l'art. 21 Cost, abbia natura di norma che concorre ad integrare il precetto relativo alla fattispecie di diffamazione, la sentenza in epigrafe

perviene alla discutibilissima e strana conclusione che un errore sui limiti

dell'esercizio del diritto di cronaca ex art. 21 Cost, si risolva in un errore

inescusabile su legge penale. Senonché i giudici, cosi ritenendo, operano una palese confusione tra la norma extrapenale che integra la fattispecie incriminatrice — e che quindi, secondo il consolidato indirizzo, è penale anch'essa — e la norma (extrapenale) che, viceversa, introduce una causa di giustificazione. La sentenza infatti, procedendo secondo un inaccetta bile metodo sintetico, finisce implicitamente col configurare una fattispe cie di reato troppo onnicomprensiva: un Gesamttatbestand nel quale far

rientrare elementi soggettivi e oggettivi, cause di giustificazione e di esclu

sione della colpevolezza, ecc. (in senso critico rispetto a siffatta imposta

zione, cfr. Marinucci, Fatto e scriminanti (note dommatiche e politico

criminali), in Riv. it. dir. e proc. pen., 1983, 1202). Questo ove è invece

necessario distinguere e separare la norma penale dalla norma che intro

duce una scriminante, in quanto quest'ultima risulta dotata di finalità

giuridiche sue proprie e di conseguenza antitetiche alla sanzione penale stessa: le scriminanti, pertanto, risultano essere «norme a sé stanti del

l'intero ordinamento, con finalità proprie, localizzate o localizzabili in

qualsiasi luogo dell'ordinamento, che non 'eccettuano' o 'limitano' —

e diremmo anche 'integrano' — le norme penali, bensì entrano in conflit

to con le norme penali (civili, amministrative . . .) prevalendo nel conflit

to in tutto l'ordinamento» (Marinucci, cit., 1237 s.; cfr. anche

Fiandaca-Musco, Una introduzione al fatto di reato, 1982, 55). Nella

specie, trattandosi semmai di errore su norma che introduce una scrimi

nante, si sarebbe dovuto fare riferimento non già all'art. 5, bensì all'art.

59 c.p., cui stabilisce il principio per cui quando il contenuto «della rap

presentazione e volizione — secondo la valutazione dell'ordinamento —»

è di un fatto scriminato, quindi lecito, in tale ipotesi resta esclusa la

responsabilità dolosa (Marinucci, cit., 1248; cfr. anche Grosso, L'erro

re sulle scriminanti, 1961). [F.P. Pitarresi]

Il Foro Italiano — 1988.

memoria, senza avere previamente consultato alcun archivio di

stampa di cui peraltro non disponeva. La sentenza veniva impugnata dal Gianotti, il quale sosteneva

che, nell'attribuire al Pannella il fatto di essere stato candidato

nelle liste di «Nuova repubblica», aveva agito nella supposizione erronea di una situazione di fatto che, se fosse stata presente, avrebbe concretato la scriminante dell'esercizio del diritto di cro

naca, con la conseguenza che, a norma dell'art. 59, 3° comma,

c.p., egli doveva essere assolto, stante che non poteva avere alcun

rilievo il fatto che avesse agito in modo affrettato e imprudente, occorrendo per la perseguibilità della diffamazione non la sem

plice colpa, ma il dolo.

Con sentenza dell'8 marzo 1985 la Corte d'appello di Torino

rigettava l'impugnazione, rilevando che solo l'errore incolpevole sulla verità del fatto fa configurare a favore dell'agente la causa

putativa di esclusione della punibilità ai sensi del ricordato art.

59, 3° comma, c.p., e che nella specie l'imputato non aveva for

nito alcuna prova delle circostanze che giustificavano il proprio

errore, nonché della cura da lui posta nella verifica dei fatti narrati.

Avverso la suddetta sentenza l'imputato proponeva ricorso per

cassazione, deducendone la nullità per erronea applicazione del

l'art. 59 c.p. Il ricorrente rilevava che, essendo il reato di diffa

mazione punibile solo a titolo di dolo, l'erronea supposizione di

una notizia in realtà falsa, ancorché rimproverabile all'agente, esclude la punibilità; denunziava inoltre l'impugnata sentenza per travisamento del fatto, per non avere i giudici di merito ritenuto

che esso imputato avesse agito in buona fede.

Motivi della decisione. — È noto come a norma dell'art. 51

c.p., la responsabilità penale rimane esclusa per quei fatti che, astrattamente costituenti un reato, sono tuttavia posti in essere

nell'esercizio di un diritto. Ed è appunto in applicazione di tale

principio che va affermata la non punibilità per il reato di diffa

mazione dell'agente che abbia leso l'altrui reputazione nell'eserci

zio del diritto di critica o di cronaca, inteso come estrinsecazione

del più ampio diritto di manifestare liberamente il proprio pen siero con ogni mezzo di diffusione, sancito dall'art. 21 Cost.

Come ogni diritto, anche quello di cronaca (e di critica) si defi

nisce per mezzo dei suoi stessi limiti, che consentono di precisar ne il contenuto e di determinarne l'ambito di esercizio. Tali limiti, secondo il costante insegnamento di questa corte, sono costituiti:

1) dalla verità dei fatti narrati; 2) dalla loro pertinenza, ossia

dall'oggettivo interesse che essi fatti rivestono per l'opinione pub

blica; 3) dalla correttezza con cui gli stessi vengono riferiti; essen

do estranei all'interesse sociale che giustifica la discriminante in

parola ogni inutile eccesso e ogni gratuita aggressione dell'inte

grità morale della persona. In ordine al primo requisito, che è quello che rileva nel presen

te giudizio, va osservato che, prescindendo da ogni controversa

opinione filosofica sull'argomento, per «verità», ai fini che qui

interessano, deve intendersi la sostanziale corrispondenza (adea

quatio) tra i fatti come sono accaduti (res gestae) e i fatti come

sono narrati (historia rerum gestarum). Cosi rigorosamente inte

sa, la verità non può trovare equivalenti né nella verisimiglianza, ossia nel mero aspetto di verità che i fatti possono avere, né nella

veridicità, ossia nell'attendibilità della fonte da cui la notizia di essi t attinta. Solo la verità come correlazione rigorosa tra il fat

to e la notizia soddisfa alle legittime esigenze della informazione

e riporta l'azione nel campo di operatività dell'art. 51 c.p., ren

dendo non punibile (nel concorso dei requisiti della pertinenza e della continenza) l'eventuale lesione della reputazione altrui.

Il principio della verità, quale presupposto dell'esistenza stessa

del diritto di cronaca oltreché del suo legittimo esercizio, com

porta, come suo inevitabile corollario, l'obbligo del giornalista, tante volte ribadito da questa corte, non solo di controllare l'at

tendibilità della fonte, ma altresì di accertare la verità della noti

zia, talché solo se tale obbligo sia stato scrupolosamente

adempiuto, l'esimente dell'art. 51 c.p. potrà essere utilmente in

vocata.

Tuttavia può accadere che l'agente, pur avendo riscontrato con

ogni possibile cura la verità dei fatti che si accinge a narrare al

fine di vincere ogni dubbio o incertezza che residui intorno ad

essi, incorra tuttavia nell'errore di ritenere, che i fatti siano veri,

e si determini perciò a riferirli sul presupposto di una realtà non

corrispondente a quella effettiva. Ebbene: come questa corte ha

avuto più volte occasione di affermare, e anche di recente ha

ribadito con l'autorità delle sezioni unite (26 marzo 1983, Fioril

lo, Foro it., Rep. 1984, voce Ingiuria, n. 30; 30 giugno 1984,

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PARTE SECONDA

Ansaloni, id., 1984, II, 531), il soggetto che versi in tali condizio

ni può invocare sotto il profilo della putatività l'esimente dell'e

sercizio del diritto di cronaca, ed andare esente da pena ai sensi

dell'art. 59, ultimo comma, c.p. Nessuna efficacia discriminante può riconoscersi invece all'er

rore in cui il soggetto incorra per non avere riscontrato la verità

del fatto, stante che in questo caso l'errore verte sulla liceità del

comportamento, dovuto ad una inesatta conoscenza dei propri

obblighi e dei presupposti normativi del diritto di cronaca che

si pretende di esercitare: un siffatto errore è irrilevante anche se

attribuibile a mera negligenza, risolvendosi in definitiva in uno

stato di ignoranza della legge penale che, com'è risaputo, nessu

no può invocare a propria scusa (art. 5 c.p.). Devesi aggiungere che, configurandosi la causa di esclusione

dell'illiceità come causa esterna di non punibilità di un reato per fetto in tutti i suoi elementi, incombe sull'imputato che invochi

l'esistenza di una di tali cause l'onere di allegazione di quei fatti

che stanno a fondamento della sua eccezione feci, sed iure feci. Ne discende che l'imputato del delitto di diffamazione che invo

chi l'esercizio del diritto di cronaca, ha l'onere di provare i fatti

e le circostanze che rendono attendibile il proprio errore, nonché

i fatti e le circostanze che riscontrano la cura da lui posta nella

verifica dei fatti narrati (cfr. Cass., sez. un., 26 marzo 1983, Fio

rillo, cit.). Alla luce dei principi di diritto come sopra enunciati, il propo

sto ricorso si appalesa privo di fondamento.

Invero è pacifico in punto di fatto, perché ammesso dallo stes

so imputato e non smentito da alcuna risultanza processuale, che

il Gianotti, prima di pubblicare sul volantino incriminato la noti

zia riferita al Pannella, non esegui alcuna indagine o ricerca di

retta ad accertare la verità, fidandosi unicamente sulla sua

memoria, che nel caso si rilevò fallace. A nulla rileva che siffatta

omissione — come il ricorrente sostiene — debba attribuirsi ad

un mero errore dovuto a negligenza o imprudenza, e sia spiegabi le con le circostanze in cui il volantino stesso venne stampato e diffuso, giacché trattasi di un errore che ricade su un elemento

normativo concernente un presupposto del diritto che il Giannot

ti credeva di esercitare, e che perciò si risolve in una forma di

ignoranza della legge penale, come tale priva di efficacia discri

minante, sia o meno attribuibile a colpa. Il ricorso pertanto va rigettato.

CORTE D'APPELLO DI TORINO; sentenza 24 settembre 1987; Pres. Ambrosini, Est. Secci; imp. Notarianni.

CORTE D'APPELLO DI TORINO;

Stupefacenti e sostanze psicotrope — Detenzione di modiche quan tità — Determinazione — Criteri (L. 22 dicembre 1975 n. 685,

disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzio

ne, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossico-dipendenza, art. 71, 72, 80).

L'accertamento della modica quantità di sostanze stupefacenti —

rilevante ai fini della individuazione delle diverse figure crimi

nose di cui agli art. 71 e 72 l. 22 dicembre 1975 n. 685 —

va effettuato con esclusivo riferimento al quantitativo ecceden

te l'uso personale e sulla base del criterio oggettivo delle neces

sità per non più di qualche giorno, per un paio di soggetti in

stato di tossicomania di medio grado. (1)

(1) La sentenza, nell'affermare in punto di diritto che l'accertamento della modica quantità — rilevante ai fini della individuazione delle diver se figure criminose di cui agli art. 71 e 72 1. 22 dicembre 1975 n. 685 — va effettuato con esclusivo riferimento al quantitativo eccedente l'uso

personale e sulla base del criterio oggettivo delle necessità per non più di qualche giorno, per un paio di soggetti in stato di tossicomania di medio grado, ha finito con l'aderire ad un orientamento che, sia pure minoritariamente, era già stato affermato anche da parte della giurispru denza della Corte di cassazione (v. in particolare, da ultimo, sent. 10 ottobre 1985, Geda, Foro it., Rep. 1986, voce Stupefacenti, n. 96, e, per esteso, in Cass. pen. 1986, 1864).

Per questa giurisprudenza, la nozione di modica quantità di sostanze

stupefacenti, sia ai fini dell'art. 80 1. 685/75 che a quelli di cui all'art. 72 1. cit., non ha carattere unitario, essendo invece ancorata a diversi

Il Foro Italiano — 1988.

Motivi della decisione. — Il fatto non è controverso: Egidio

Notarianni, nato nel 1961, coniugato, muratore disoccupato, pre

giudicato per furto, venne fermato alla guida della Fiat 127 NO

301667 in Premosello (Verbania) su segnalazione anonima, se

condo cui il prevenuto possedeva una pistola; durante la perqui sizione dell'automobile i carabinieri non trovarono la pistola, bensì'

due involucri nel vano del generatore dell'aria: uno conteneva

gr. 2,51 di eroina mescolata con caffeina e lattosio; complessiva mente gr. 41,96, utili, secondo il perito, per 32 dosi relative a

ed eventualmente progressivi parametri di valutazione, dei quali il primo ha natura soggettiva ed è basato sulle proprietà tossiche della sostanza in relazione alla personalità fisiopsichica del detentore, mentre il secondo ha natura oggettiva e va effettuato con riferimento al quantitativo neces sario per non più di qualche giorno per un soggetto in stato di tossicoma nia di medio grado; ditalché, nel caso dello spacciatore che utilizzi al

contempo per uso personale la droga di cui sia trovato in possesso, l'indi viduazione della modicità o meno della quantità di stupefacenti — al fine di applicare l'art. 71 o l'art. 72 1. n. 685 — va effettuata con esclusi vo riferimento al quantitativo eccedente l'uso personale e sulla base del criterio oggettivo indicato (cosi la cit. Cass. 10 ottobre 1985, Geda; altra

giurisprudenza, pur sostanzialmente conforme, ha peraltro ritenuto che la determinazione della modicità della sostanza ai fini di cui agli art. 71 e 72 vada effettuata facendo rinvio alla figura del piccolo spacciatore, con riferimento alla quantità di stupefacenti necessaria per il rifornimen to di volta in volta di due o più drogati: Cass. 30 settembre 1985, Biagini, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 107, e per esteso in Cass. pen., 1986, 1862).

In una tale ottica ricostruttiva, la succitata giurisprudenza di legittimità ha precisato che ai fini dell'applicabilità della esimente di cui all'art. 80 1. 685/75 — in entrambe le ipotesi, uso personale non terapeutico e uso

personale — deve aversi riguardo alla personalità fisiopsichica del deten

tore, in quanto entrambe le disposizioni devono essere lette in collega mento con l'art. 98 1. n. 685 cit., il quale proprio al fine di «accertare se sussistano le condizioni di non punibilità previste dai primi due commi del predetto art. 80» impone un accertamento tecnico basato «sulle pro prietà tossiche delle sostanze detenute dal soggetto, in relazione alla per sonalità fisiopsichica del detentore»: nel caso di accertata tossicodipendenza, sarà ritenuta quantità modica il quantitativo sufficiente ad integrare la dose di mantenimento necessaria al soggetto per non più di qualche gior no, mentre nell'ipotesi in cui tale stato venga escluso, il quantitativo deve circoscriversi in quello che non sia idoneo a determinare uno stato di

dipendenza fisica da parte del soggetto (cosi la citata Cass. 10 ottobre

1985, Geda e altri). In passato, pur con varie sfumature, nel senso che per stabilire il con

cetto di modica quantità di sostanze stupefacenti ai sensi dell'art. 80 1. 685 — detenzione per uso personale non terapeutico — occorre fare rife rimento non solo ad un criterio obiettivo ma anche ad un criterio subiet

tivo, mediante la valutazione della personalità psicofisica del detentore: Cass. 3 marzo 1978, Potestà, Foro it., 1979, II, 37 (la valutazione della modica quantità nel caso di detenzione per uso personale non terapeutico deve essere effettuata in termini obiettivi — con riferimento alla possibili tà dell'assunzione della stessa da parte del detentore, se non in un unico

contesto, con apprezzabile immediatezza, non prolungabile, comunque, nel tempo — ma ha pur sempre carattere relativo in quanto influenzata dalla natura della sostanza e dal grado di tossicodipendenza del consuma

tore); Cass. 8 novembre 1978, Perilli, id., Rep. 1979, voce cit., n. 20

(per determinare la modica quantità occorre fare riferimento ad un crite rio oggettivo — attraverso l'accertamento del valore economico e mer

ceologico della sostanza, nonché delle sue proprietà tossiche — e ad un criterio soggettivo, mediante la valutazione della personalità fisiopsichica del detentore); Trib. Rimini 28 marzo 1980, id., Rep. 1981, voce cit., n. 46 (al fine di stabilire se ricorra la modica quantità di sostanze stupe facenti è necessario, insieme con l'accertamento sulla natura e sulla quan tità della droga, compiere un'indagine sulla persona del consumatore e sulle sue necessità, in relazione al grado dell'eventuale tossicodipenden za); Trib. Salerno 24 settembre 1980, Apa, inedita, e Trib. Roma 10 apri le 1981, ibid., n. 42 (mentre nell'ipotesi del piccolo spacciatore per modica

quantità deve intendersi quella occorrente ad soddisfacimento delle im mediate esigenze di un tossicomane medio, nel caso di detenzione per uso personale il concetto può gradualmente estendersi fino a comprende re quantitativi di droga maggiori, da determinare di volta in volta in relazione anche alle prove acquisite circa lo stadio di intossicazione e di eventuale tolleranza raggiunto dal soggetto); Trib. Rimini 21 gennaio 1986, id., Rep. 1986, voce cit., nn. 108, 117 (il concetto di modica quan tità ai fini dell'art. 72 è diverso da quello considerato dall'art. 80 ed indica una quantità di sostanza stupefacente sufficiente al piccolo spac ciatore per guadagnare la somma necessaria per sé e per la sua famiglia per una giornata oppure per acquistare, se sia anche consumatore, una dose della droga che gli è necessaria; al contrario, il concetto di modica

quantità ai fini dell'art. 80 non è astratto e riferito ad un ipotetico consu matore medio, ma concreto e riferito alla persona del detentore, in rela zione al peso, all'età, al metabolismo, alle condizioni di salute, all'abitudine ed alle modalità di assunzione della droga).

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