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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione VI penale; sentenza 10 novembre 1987; Pres. Faccini,...

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sezione VI penale; sentenza 10 novembre 1987; Pres. Faccini, Est. Simoncelli, P. M. (concl. conf.); ric. Cappelletti ed altro. Conferma App. Roma 26 gennaio 1987 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp. 495/496-501/502 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179745 . Accessed: 28/06/2014 17:16 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.39 on Sat, 28 Jun 2014 17:16:14 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione VI penale; sentenza 10 novembre 1987; Pres. Faccini, Est. Simoncelli, P. M. (concl.conf.); ric. Cappelletti ed altro. Conferma App. Roma 26 gennaio 1987Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.495/496-501/502Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179745 .

Accessed: 28/06/2014 17:16

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PARTE SECONDA

l'imposta di fabbricazione sia dal fatto che nessuna differenza

sia riscontrata tra le giacenze e le risultanze del registro di carico

e scarico.

Si deve, quindi, concludere, contrariamente a quanto ritenuto

dai giudici di merito nonché nella sentenza di questa stessa sezio

ne 22 gennaio 1985, Castoni, che la fattispecie delittuosa prevista e punita dagli art. 1-13, 1° comma, d.l. 5 maggio 1957 n. 271, convertito in 1. 2 luglio 1957 n. 474, riguardi non solo la condot

ta dell'esercente un deposito di olì minerali senza la prevista de

nuncia all'Utif ma anche la condotta dell'esercente di un deposito

già denunciato che ampli la capacità di tale deposito senza nuova

denuncia all'ufficio fiscale, sia che l'ampliamento consista in mo

difiche (sostanziali o non) degli impianti, sia che si tratti di de tenzione di prodotti diversi o in maggiore quantità rispetto a quelli

già denunciati.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 10 no

vembre 1987; Pres. Faccini, Est. Simoncelli, P. M. (conci,

conf.); ric. Cappelletti ed altro. Conferma App. Roma 26 gen naio 1987.

Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio — Istituto del

l'Enciclopedia italiana — Dipendenti — Qualifica — Pubblico

ufficiale — Esclusione (Cod. pen., art. 357, 358).

I dipendenti dell'«Istituto dell'Enciclopedia italiana» non rivesto

no la qualifica di pubblico ufficiale, in quanto non possiede i requisiti fondamentali per essere definito ente pubblico un

istituto che svolge attività editoriale — per prestigiosa che essa

sia — di natura imprenditoriale, in un settore che non può certo definirsi di portata essenziale per la vita dello Stato, in

regime di concorrenza e coinvolgendo interessi che non appar

tengono sicuramente alla generalità dei cittadini. (1)

A Vincenzo Cappelletti, quale direttore generale dell'Istituto

dell'Enciclopedia italiana, è stato ascritto il delitto di interesse

privato in atti d'ufficio, per avere disposto l'assunzione presso l'istituto di dipendenti legati da vincoli di parentela o affinità con altro personale già in servizio e con lo stesso Cappelletti. A questi è stato altresì' ascritto il delitto di peculato, di cui non

è stato mai enunciato il fatto costitutivo.

(1) La sentenza intende inscriversi — come peraltro è detto espressa mente nella parte finale della motivazione — in un orientamento tendente non già a espandere, bensì a delimitare quanto più possibile l'ambito dì operatività delle qualifiche pubblicistiche di cui agli art. 357 e 358

c.p.: la pronuncia delle sezioni unite 23 maggio 1987, Tuzet, che ha da ultimo concluso per la natura privata dell'attività bancaria e che viene assunta in motivazione a significativo indicatore di un'attuale linea di tendenza dotata di portata generale, è riportata in Foro it., 1987, II, 481, con nota di Giacalone, ed è altresì commentata da Del Corso, in Cass, pen., 1988, 39 (in tema di banche, da ultimo, v. Trib. Avezzano 22 gennaio 1987, e Trib. Bologna 24 ottobre 1986, Foro it., 1988, II, 202, con nota di Rapisarda).

Di recente, la qualifica di pubblico ufficiale è stata esculsa anche con riferimento agli amministratori delle società gestite nel sitema delle parte cipazioni statali: cfr. Cass. 13 agosto 1986, Morgante, id., 1987, II, 592, con nota di Mele, e Cass, pen., 1987, 1531, con nota di Del Corso, Lo statuto penale delle imprese pubbliche: «vizi privati e pubbliche vir tù»? contenente un quadro riassuntivo delle teorie, amministrativistiche e penali, escogitate ai fini dell'individuazione delle qualifiche pubblicisti che presupposte dai reati contro la p.a. Nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Reggio Emilia 4 marzo 1983, Indice pen., 1983, 393, che ha escluso la qualità di pubblico ufficiale a proposito di un dipendente della Snam, società del gruppo Eni.

Come esempio di un persistente orientamento estensivo, v., invece, Cass. 25 maggio 1985, Pagliara, Foro it., 1986, II, 75, con nota di Lanza, che ha qualificato pubblico ufficiale anche il privato incaricato di elabo rare il piano regolatore di un comune.

In dottrina, cfr., da ultimo, Severino di Benedetto, La riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione: soggetti, qualifiche, funzioni, in AA. VV., La riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione, a cura di A. M. Stile, Napoli, 1987, 29 ss.

Il Foro Italiano — 1988.

A Francesco Maria Benveduti, quale titolare dell'ufficio legale del predetto istituto, è stato ascritto il delitto di interesse privato in atti d'ufficio, per aver percepito, per il recupero di crediti del

l'istituto, ulteriore retribuzione dalla società cessionaria dei credi

ti stessi.

Al medesimo Benveduti e a Francesco Casamassima è stato

ascritto il delitto di truffa, per avere il primo, nell'anzidetta qua

lità, consentito al secondo di usufruire dei locali, del personale e dei servizi dell'ufficio legale per l'attività libero-professionale di avvocato del Casamassima.

Tralasciando per il momento quest'ultima imputazione, si rile

va quanto alle altre che il giudice istruttore prima e la sezione

istruttoria poi hanno prosciolto il Cappelletti e il Benveduti per ché hanno ritenuto che l'Istituto dell'Enciclopedia italiana non

abbia natura di ente pubblico, cosi venendo meno il presupposto essenziale dei reati ascritti ai sunnominati imputati, reati che ri

chiedono indefettibilmente nell'agente la qualità di pubblico uffi

ciale o di incaricato di pubblico servizio quello di peculato e la

prima qualità quello di interesse privato in atti d'ufficio.

Il procuratore generale presso la Corte d'appello di Roma, sia

nell'appello contro la sentenza del giudice istruttore sia nell'at

tuale ricorso contro la sentenza della sezione istruttoria, sostiene,

invece, che il predetto istituto è un ente pubblico economico e

che i prevenuti sono da qualificare pubblici ufficiali.

La soluzione del problema relativo alla natura giuridica dell'I

stituto dell'Enciclopedia italiana ha, dunque, carattere preliminare. D'indiscutibile esattezza è, in proposito, la premessa metodolo

gica dell'impugnata sentenza, secondo la quale la soluzione del

problema passa necessariamente attraverso l'attento esame della

genesi dell'istituto, delle norme legislative, parlamentari e statu

rarie che lo disciplinano, delle vicende giuridiche che ne hanno

caratterizzato la vita, atteso che la qualificazione di un ente come

pubblico o privato prescinde dall'opinione, soggettiva e contin

gente, perfino dei suoi rappresentanti e va operata in base a un'in

dagine ermeneutica condotta alla stregua di elementi obiettivamente

rilevabili. Con ciò si fa giustizia di qualsiasi illazione che volesse

trarsi da atteggiamenti tenuti in determinate occasioni da taluno

degli imputati nel senso della natura pubblica dell'istituto allo

scopo di trarne vantaggi per l'istituto stesso.

Del pari esatta è l'ulteriore premessa metodologica della sen

tenza impugnata là dove afferma che per stabilire se un ente or

ganizzato come società commerciale sia o meno un ente pubblico

economico, occorre aver riguardo ai criteri che dottrina e giu

risprudenza hanno elaborato affinché in assenza di un'espressa

qualifica legislativa — assenza che è pacifica nella specie — possa ricostruirsi la natura pubblica dell'ente stesso. Si aggiunge qui che la verifica va effettuata tenendo presenti quelli che nelle varie

fattispecie in esame costituiscono i criteri decisivi, nel senso che

non deve pretendersi la sussistenza di tutti gli indici come sopra elaborati per poter affermare la natura pubblica d'un ente e, per

converso, che la presenza di uno o più criteri non determinanti

in favore di detta natura non conduce automaticamente a orien

tarsi verso il carattere pubblico dell'ente ove manchino nella stes

sa direzione le note qualificanti più significative in relazione alla

peculiarità della situazione in oggetto. Si aggiunge ancora che

non giova per la soluzione del problema la considerazione isolata

di questa o quella disposizione legislativa, regolamentare e statu

taria, ma è valida unicamente una visione globale e coordinata

del quadro lato sensu normativo, inoltre non in maniera statica, bensì' alla luce dell'evoluzione intervenuta nelle linee di tendenza

dell'attuale assetto istituzionale circa la ripartizione tra settore

pubblico e settore privato. Fatte le due suesposte fondamentali premesse, può passarsi al

la verifica della sussistenza dei criteri dianzi cennati nei confronti

dell'Istituto dell'Enciclopedia italiana, rilevando come pacifica fosse

la natura di persona giuridica di diritto privato dell'istituto fino

al 1933, anno in cui, di fronte alla gravissima crisi economica

della società, che comportava il pericolo dell'interruzione dell'o

pera, giunta al diciottesimo volume rispetto ai trentaquattro pro

grammati, il governo dell'epoca costituì con r.d.l. 24 giugno 1933

n. 669 — convertito nella 1. 11 gennaio 1934 n. 68 — un ente

denominato «Istituto dell'Enciclopedia italiana fondata da Gio

vanni Treccani» che rilevò dalla precedente società anonima tutte

le attività relative all'impresa dell'Enciclopedia ed all'uopo dotò

l'ente di un fondo la cui corresponsione fu imposta, in parti uguali,

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GIURISPRUDENZA PENALE

a cinque enti pubblici (Banco di Napoli, Banco di Sicilia, Monte dei Paschi di Siena, Istituto nazionale delle assicurazioni e Istitu

to poligrafico dello Stato), stabilendosi che il presidente dell'isti

tuto fosse nominato con decreto reale del capo del governo e

che gli altri organi amministrativi fossero nominati dagli enti pub blici finanziatori, i quali avevano pure il compito di redigere lo

statuto dell'ente.

Entrano a questo punto in gioco i criteri (o indici) elaborati

da dottrina e giurisprudenza per l'individuazione della natura pub blica di un ente, criteri elencati come segue — in modo esaustivo:

va dato atto — dalla sentenza impugnata: 1) spontanea creazione

dell'ente ad opera dello Stato; 2) destinazione dell'ente alla rea

lizzazione dei fini dello Stato (che la sentenza vuole esclusivi mentre

ciò non è indispensabile, essenziale essendo unicamente che tali

fini siano, comunque, propri dello Stato, anche se non in via

esclusiva); 3) sottoposizione a controlli statali; 4) potestà d'impe rio e di certificazione; 5) finanziamento totale o parziale da parte dello Stato; 6) impossibilità di sottrarsi ai propri compiti, estin

guendosi di sua volontà, e di fallire.

Va subito detto — coerentemente con la già rilevata non neces

sità della concorrenza di tutti i criteri surricordati per affermare

il carattere pubblico di una persona giuridica — che l'indice sub

4 è, nella specie, sicuramente assente, ma ciò avviene per tutti

gli enti pubblici economici (nel cui ambito, in ipotesi, l'istituto

in esame dovrebbe collocarsi), sicché tale assenza non nega di

per sé il carattere pubblico dell'istituto stesso.

Quanto agli altri indici, si osserva — in ordine al primo di essi — che non può parlarsi di creazione ad opera dello Stato,

pur se l'istituto fu costituito per legge. Soccorre, in proposito, anzitutto un dato storico, che non può essere pretermesso se non

si vuole compiere un'ermeneutica meramente astratta e isolata

dal contesto socio-politico in cui la costituzione dell'istituto av

venne, contesto che mostra chiaramente come si sia trattato, nel

la specie, null'altro che di una delle numerose operazioni di

«salvataggio» di imprese della più varia indole, condotte dal go verno dell'epoca per ragioni ritenute conformi agli orientamenti

del regime dell'epoca stessa e che dovettero di necessità avvalersi

dello strumento legislativo e dell'apporto di capitali di enti pub

blici — ai quali soltanto poteva essere imposto il finanziamento

delle operazioni — senza che ciò mutasse la natura giuridica del

l'ente «salvato». E ciò pure se l'intento di detto regime era quello di conferire lustro ad un'istituzione prestigiosa e di proiettarne

l'immagine in campo internazionale quale espressione in pubblico

della politica culturale del regime stesso: il che significa che l'o

perazione obbediva agli interessi nazionali (o, per dir meglio, na

zionalisti) del governo, ma non necessariamente che l'istituzione

fosse per ciò solo un ente pubblico. Siamo in tempi vicini alla creazione dell'Istituto per la ricostru

zione industriale, che contribuì a salvare varie imprese in difficol

tà con apporto di capitali pubblici e con la parallela, strumentale

costituzione di società miste, della cui natura privata, però, nes

suno ha mai dubitato.

Ma soccorre anche e soprattutto, a dimostrazione di siffatta

natura dell'Istituto dell'Enciclopedia italiana, la considerazione

complessiva e organica della 1. 68/34, dell'atto costitutivo, dello

statuto e delle ulteriori norme legislative e regolamentari interve

nute a disciplinare in vario modo il regime giuridico dell'istituto.

La cennata considerazione s'incentra segnatamente sugli art.

1, 2 e 4 1. cit., sull'atto costitutivo (par. II) per quanto attiene

alla distribuzione degli utili e alla restituzione del fondo di dota

zione, sulla finalità di lucro, espressamente confermata, accanto

a quella culturale, dall'art. 11 dello statuto, sulla 1. 207/78, che,

nell'aumentare le carature dei sottoscrittori, confermò che la re

sponsabilità di ciascun ente partecipante era limitata alla quota

del fondo di dotazione costituita dalla sua caratura e dispose inoltre

che gli enti partecipanti potessero cedere in tutto o in parte la

propria caratura ad altro istituto di credito di diritto pubblico.

Da tutto quanto sopra emerge che l'ente fu strutturato secondo

il modello delle società di capitali: e come tale fu iscritto alla

camera di commercio, venendo altresì sottoposto dal tribunale

alle ordinarie procedure di omologazione previste per le società

commerciali, tanto che pure in epoca recente (1985) il nuovo sta

tuto è stato omologato dal tribunale, il quale ha chiesto che l'isti

tuto si adeguasse alla normativa del codice civile sulle società di

capitali.

Il Foro Italiano — 1988.

Né a smentire tale struttura può valere la denominazione di

«carature» attribuita, antecedentemente al nuovo statuto, alle quote in cui fu ripartito il fondo di dotazione e che, comunque, con

l'innovazione statutaria furono definite tout court azioni. Nem

meno proponibile è il paragone con gli enti pubblici associativi,

giacché — a tacer d'altro — nessuno di essi possiede contempo raneamente assemblea dei soci, consiglio di amministrazione, pre sidente e collegio dei revisori dei conti, come li presenta, invece, l'ente in parola.

È arbitrario, pertanto, parlare di costituzione spontanea e ori

ginaria per legge del supposto ente pubblico «Istituto dell'Enci

clopedia Treccani» quando le norme surrichiamate stabiliscono

a chiare note che l'istituto doveva rilevare il compendio delle atti

vità relative all'impresa dell'Enciclopedia e determinano un asset

to finanziario che si limita a riordinare quello precedente dei

capitali riguardo alla ripartizione delle carature, si da integrare, a tutto voler concedere, un'associazione privatistica tra enti pub

blici, che non è incompatibile con la partecipazione d'un ente

pubblico ad un'iniziativa imprenditoriale, come spesso è accadu

to. Tanto ciò è vero che la responsabilità patrimoniale di ciascu

no degli enti partecipanti è limitata alla quota del fondo di

dotazione per esso stabilita e che agli utili partecipa un privato,

qual è il senatore Treccani, il fondatore dell'Enciclopedia, men

tre non è possibile, sulla base delle norme in esame, attribuire,

invece, come vuole il p.g. ricorrente, al Treccani la mera veste

di creditore obbligazionario: ma anche ammesso che nella sostan

za sia stato previsto, più che un rimborso, una specie d'indenniz

zo a favore del Treccani, ciò che rileva è che l'inserimento di

questi è stato configurato come partecipazione agli utili, il che

è istituto tipico d'un ente privato. Nemmeno è elemento pubblici stico la limitazione relativa alla cessione di azioni solo a favore

di ente che abbia le stesse qualità degli attuali azionisti, pacifico essendo che le limitazioni alla circolazione delle partecipazioni sociali costituiscono tratto rinvenibile in qualunque società di ca

pitali. In altre parole, la precedente società non fu messa in liquida

zione ed estinta per far posto all'ipotizzato ente pubblico, ma

l'istituto subentrò alla società, modificandone la struttura da so

cietà per azioni a società di quote, sia pure per volontà di legge, dovuta alle finalità di salvataggio e di politica generale dianzi

illustrate e non ad un atto creativo di un nuovo e originale soda

lizio di carattere pubblicistico. Che il fondo di dotazione in parti

colare sia costituito da un atto normativo che fissa l'ammontare

delle carature non è indicativo — e comunque non è sufficiente — a concludere per la natura pubblica dell'ente: le leggi intercor

se tra il 1925 e il 1936 (anno di costituzione dell'Iri), adottate

per il salvataggio di imprese, recano tutte, senza eccezioni, l'indi

cazione degli enti intervenuti per il salvataggio medesimo, la mi

sura degli apporti di capitale o finanziari, e spesso regolano i

rapporti, con ciò che rimane delle imprese precedenti. Se quelle testé ribadite sono le linee portanti dell'operazione

giuridica promossa nel 1933 e condotta avanti negli anni successi

vi, è vano ricercare la smentita al fatto che l'istituto non fu altro

se non una diversa forma — a partecipazione statale o, più preci

samente, pubblica — della vecchia società anonima in singole nor

me, isolate dal contesto normativo generale della regolamentazione

dell'istituto medesimo, quale l'art. 5 r.d.l. 669/33 sull'applicabi lità delle agevolazioni fiscali previste in caso di fusione di società

commerciali (norma inutile, secondo il p.g. ricorrente, se l'asset

to dell'istituto fosse stato privatistico) o quale l'art. 3 dello stesso

r.d.l. sulla nomina del presidente da parte del capo del governo. La prima norma potrà ben essere definita, eventualmente, co

me un obiter dictum in quanto riferita a una persona giuridica

privata, ma sarebbe del tutto inconcepibile se riferita a un ente

pubblico, dato che questo non può mai fondersi con una società

commerciale: in tal caso si ha — giova ripetere — estinzione del

la società e trasferimento all'ente pubblico del compendio patri

moniale della società estinta.

La seconda norma si può spiegare con l'impronta politica che

il regime dell'epoca intese attribuire all'istituto, quale emanazio

ne delle direttive in materia propria del regime stesso. E comun

que la nomina governativa del presidente può portare, al massimo,

a concludere soltanto che l'istituto appartiene al novero delle so

cietà d'interesse nazionale, che — com'è noto — presentano sem

pre delle anomalie rispetto al modello tipico delle società per azioni

delineato dal codice civile.

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PARTE SECONDA

Dal p.g. ricorrente è stato citato perfino — addirittura quale

prova evidente della natura pubblica dell'istituto — d.l.c.p.s. 24

marzo 1947 n. 271, sui contratti di vendita dell'Enciclopedia ita

liana. Ma esso fu atto normativo dettato da ragioni contingibili e urgenti oggi non più esistenti e appare manifestamente inidoneo

ad influenzare in modo decisivo il giudizio sulla natura pubblica o privata dell'istituto.

In ordine al secondo indice della qualità pubblica di un ente — la sua destinazione ai fini dello Stato — è esatto quanto nota

to dal p.g. ricorrente (lo si è già affermato subito dopo aver elen

cato gli indici in esame) sul carattere non necessariamente esclusivo

dello Stato del fine perseguito dall'ente, secondo la migliore e

più moderna dottrina giuspubblicistica, il che è particolarmente evidente per gli enti pubblici economici, i quali curano fini che

possono essere perseguiti anche da privati. Senonché — a parte l'indiscutibile struttura d'impresa dell'isti

tuto in parola, la cui attività non è di per sé inquadrabile tra

le funzioni o i servizi pubblici — si è già rilevato che esso ha,

per esplicito dettato normativo, fini di lucro, il che è scarsamente

compatibile con la natura propria d'un ente pubblico, in cui, quan to meno, il fine di lucro è largamente subordinato ad altre finali

tà — sociali, politiche, di orientamento economico e simili,

comunque dichiaratamente pubbliche — laddove tale subordina

zione è nella specie del tutto assente, esistono unicamente, accan

to al predominante fine di lucro, quelle direzioni culturali

prestigiose dell'opera, che erano, però, già insite nella precedente società e che semmai sono state soltanto esaltate, dopo la 1. 68/34,

per gli scopi propagandistici di regime più volte ricordati.

Del resto, gli enti pubblici economici traggono la loro qualifica essenzialmente da un'espressa norma di legge; ed è cosi' perché

per ottenere il risultato d'un'impresa in mano pubblica non è

indispensabile ricorrere al modello dell'ente pubblico economico:

può bastare o la partecipazione pubblica al capitale (es. l'Italstat) o l'invenzione per legge d'un rapporto di concessione (es. la Sip) o l'utilizzazione di rapporti indiretti (es. le società in mano agli enti di gestione quali l'Iri, l'Eni, ecc.) sicché la Banca nazionale

del lavoro, il Banco di Napoli e le altre banche pubbliche, l'Isti

tuto nazionale delle assicurazioni e gli altri istituti che gestiscono ulteriori forme di assicurazione d'interesse pubblico sono enti pub blici economici in quanto esiste una specifica norma di legge che

cosi li qualifica. Ora, questa norma per l'Istituto dell'Enciclope dia italiana non vi è.

Ma anche a voler astrarre per assurdo da un dato — formale

benvero, ma di fondamentale importanza — come quello dell'at

tribuzione esplicita per legge della qualifica pubblica, si osserva

che può accadere che lo Stato sia intervenuto nel settore privato mediante un ente pubblico perché era suo interesse avere una sua

presenza in un determinato settore di mercato (valga per tutti

il già citato esempio dell'Istituto nazionale delle assicuazioni). Però

vi è allora da domandarsi, con riferimento al caso di specie —

ed il rilievo è, questa volta, indubbiamente di sostanza — quale interesse avesse lo Stato (a prescindere dalle menzionate mire po litiche di regime) ad istituire un ente pubblico avente per fine

la pubblicazione d'un'enciclopedia: non esisteva un mercato delle

enciclopedie di carattere generale, non esisteva — e non esiste

tuttora —- un settore di rilevanza pubblica attinente alla pubblica zione di enciclopedie, e dunque la vicenda dell'istituto in questio ne — torna a ripetersi — si spiega semplicemente in termini di

salvataggio di un'iniziativa imprenditoriale concernente un'insi

gne opera culturale di rilevanza europea. Senonché, ciò rappre senta la spiegazione politica, e quindi meta-giuridica, della vicenda, non la sua interpretazione legale, che deve obbedire unicamente

a criteri rigorosamente giuridici. In ordine al terzo indice della natura pubblica di un ente —

la sottoposizione a controlli statali — se s'intende far riferimento

a quelli diretti a verificare il conseguimento dei fini dell'ente, si

deve dire che essi, nella specie, mancano completamente, in quanto non sono previsti da alcuna disposizione di legge né possono de

dursi dal sistema. Anche il rilievo di tale mancanza di per sé

è già un sintomo importante della natura non pubblica dell'istitu

to de quo, giacché non esiste ente pubblico — economico o meno

che esso sia — che non abbia un suo «referente» in qualche mini

stero dello Stato (o negli organi monetari centrali di questo, co

me la Banca d'Italia, nel caso degli istituti che esercitano il credito), ministero che svolge la vigilanza sul funzionamento dell'ente, con

poteri di indirizzo e di controllo dell'osservanza dei

Il Foro Italiano — 1988.

fini istituzionali di esso e addirittura con potere di annullamento

degli atti illegittimi. Se l'Istituto dell'Enciclopedia italiana fosse un ente pubblico,

non si vede perché lo si sarebbe sottratto al controllo di un mini

stero (della cultura popolare in regime fascista, della pubblica istruzione dopo la caduta di detto regime, eventualmente dei beni

culturali dal 1975) o, magari, della presidenza del consiglio, pri vando lo Stato di uno dei poteri essenziali che gli competono

sugli enti pubblici, e che — visti dalla parte dell'ente controllato — costituiscono una caratteristica veramente essenziale della qua lità pubblica d'un ente in relazione ai fini di esso. Ed invece sul

l'istituto in discorso nessun controllo — né preventivo né

successivo, né sugli organi né sugli atti, né di legittimità, né tanto

meno di merito — è esercitato da parte dello Stato. Neppure è

dato appigliarsi alla norma sulla nomina del presidente dell'isti

tuto con decreto del presidente della repubblica per inferirne la

realizzazione d'un controllo statale con tale mezzo sull'attività

dell'istituto, perché il presidente, una volta nominato, esplica le

sue funzioni in modo del tutto autonomo senza obbligo di render

conto del suo operato ad alcun organo pubblico.

Se, invece, s'intende far riferimento ai controlli da parte della

Corte dei conti, è vero che fino al 1971 la magistratura contabile

ritenne di assoggettare l'istituto al tipo di controllo proprio degli enti pubblici, ma dopo la data indicata la corte stessa desistette

dal proseguire la sua funzione, esercitata fino ad allora nell'erro

neo presupposto che il patrimonio dell'istituto fosse «costituito

dallo Stato», come stabilito dall'art. 12 1. 21 marzo 1958 n. 259.

Ed anche precedentemente il decreto presidenziale che incluse l'i

stituto nell'elenco degli enti tenuti all'applicazione delle disposi zioni dell'art. 25 1. 5 agosto 1978 n. 468 (sulla riforma di alcune

norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio) — decreto che, non va dimenticato, è un atto amministrativo, come tale non vincolante per l'interprete e tanto meno per il giu dice penale — fu impugnato per violazione di legge davanti al

T.A.R. del Lazio, che ne dispose la sospensione: con fondamen

to — deve dirsi qui — atteso che esso affermava apoditticamente il pressuposto sopra cennato in contrasto con le connotazioni giu ridiche prevalenti dell'istituto, sopra ampiamente esposte, indica

tive dell'area di appartenenza privata dell'ente.

La questione, comunque, è ormai superata, avendo il legislato re chiaramente espresso la volontà di sottrarre l'istituto al con

trollo della Corte dei conti, escludendo l'applicabilità allo stesso

delle norme sulla tesoreria unica degli enti pubblici e di quelle della cit. 1. 468/78.

In ordine al quinto indice della natura pubblica di un ente -

il finanziamento da parte dello Stato - (il quarto indice, si è già osservato subito dopo l'elencazione dei criteri in parola, è nella

specie fuori discussione, perché la sua assenza non nega di per sé solo detta natura), è certo che l'Istituo Treccani gode di consi

stenti finanziamenti statali, ma solo dal 1980, da quando, cioè, fu incluso tra le istituzioni culturali ammesse ad un contributo

annuo. Trattasi dell'argomento più appariscente per chi non ha

né dottrina né pratica di diritto, sembrando che l'impegno di ri

sorse finanziarie della collettività a beneficio d'un ente debba au

tomaticamente condurre a ravvisare nel beneficiario di esse una

persona giuridica pubblica. Dal punto di vista giuridico, invece, le cose stanno in modo

diverso, giacché la contribuzione da parte dello Stato può assu

mere notevole importanza indiziante della natura pubblica del de

stinatario di essa soltanto quando fin nell'atto costitutivo e nello

statuto di un ente si contempli a carico dello Stato l'obbligo isti

tuzionale — e quindi normale e continuativo — di erogare all'en

te medesimo detti contributi.

Ma quanto sopra non è avvenuto per l'Istituto Treccani né pri ma né dopo la 1. 123/80, che dispose la corresponsione di un

contributo annuale, variabile, dello Stato. Non prima, perché l'i

niziale fondo di dotazione dell'istituto, pur se accresciuto succes

sivamente per legge nel 1978, non è qualificabile come

finanziamento, ma come costituzione e aumento del fondo socia

le. Non dopo, perché il contributo annuale ex lege n. 123/80 è

concesso sia ad enti pubblici sia ad enti privati (anzi in maggio ranza a questi ultimi, proprio perché i primi godono di altre,

più cospicue fonti di finanziamento istituzionali, cioè coeve alla

loro stessa costituzione come persone giuridiche pubbliche), sic

ché sotto l'aspetto giuridico la corresponsione del contributo sta

tale è elemento neutro ai fini della determinazione della natura

dell'ente.

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GIURISPRUDENZA PENALE

In ordine al sesto ed ultimo indice — che si suole definire della

cosiddetta operatività necessaria — basterà osservare che atto co

stitutivo e statuto dell'istituto de quo lasciano scorgere la possibi lità di scioglimento dell'ente, e quindi la sua cessazione per deliberazione dei caratisti, con attribuzione del patrimonio a que sti ultimi e, in via residuale, al sen. Treccani, mentre nessuna

norma, legislativa o statutaria, impedisce il fallimento dell'istitu

to. Dire, per converso, che l'operatività necessaria si deduce dalla

natura pubblica dell'ente, pur in presenza dei rilievi nomativi te

sté cennati, significa ricorrere ad un'evidente petizione di principio. In definitiva, si è già stabilito in premessa che il giudizio sulla

ricorrenza degli indici della natura pubblica d'un ente va effet

tuato individuando i criteri decisivi e sicuramente rivelatori di

detta natura, a nulla rilevando che alcune connotazioni non de

terminanti conducano ad una diversa collocazione. Nella specie, si è dimostrato che l'Istituto dell'Enciclopedia italiana non pos siede i requisiti fondamentali per poter essere definito ente pub

blico, pur se esistono in esso alcuni caratteri atipici che ne delineano

per certi aspetti una fisionomia particolare affine a quella di altri

enti indiscutibilmente pubblici. Ma tali caratteri sono stati esatta

mente inquadrati dalla sentenza impugnata nella norma di cui

all'art. 2461 c. c., secondo cui per le società d'interesse nazionale

disposizioni di legge speciali possono stabilire, in deroga allo stesso

codice, una particolare disciplina circa la gestione sociale, la tras

feribilità delle azioni, il diritto di voto e la nomina degli ammini

stratori, dei sindaci e dei dirigenti. E d'altronde la presenza di

qualche elemento pubblicistico non è sufficiente ad escludere l'ap

partenenza dell'ente alla sfera privatistica, specialmente se i cor

relativi elementi a quest'ultima sfera pertinenti sono voluti dalla

stessa legge istitutiva dell'ente e dagli atti successivi da questo emanati.

Sulla controversa questione sia la sentenza impugnata sia i mo

tivi di ricorso del p.g. hanno citato hinc inde varie sentenze di

questa Suprema corte, anche delle sezioni unite civili, e di magi strature di merito, relazioni della Corte dei conti nonché un pare re del Consiglio di Stato, attardandosi nel tirare l'acqua ciascuno

al proprio mulino attraverso la citazione di questo o quel brano, isolato dal complesso organico del documento, giudicato più con

facente alle rispettive tesi. Ritiene questo collegio che si sia tratta

to di un'operazione frustranea e inconcludente, atteso che nessuno

dei documenti indicati (salvo il parere del Consiglio di Stato, spe cificamente sollecitato dalla presidenza del consiglio a pronun ziarsi sul quesito), ha esaminato ex professo il problema, essendo

gli organi summenzionati chiamati a decidere o questioni di giuris dizione o controversie in materia di rapporti di lavoro o aspetti

generali del controllo della magistratura amministrativa contabi

le. In particolare, nelle decisioni della Suprema corte a sezioni

unite il problema qui dibattuto è stato trattato incidenter tantum

e risolto nel senso che, tanto nell'ipotesi che l'Istituto Treccani

fosse un ente pubblico economico quanto nell'ipotesi che fosse

un ente privato, la giurisdizione sulle controversie di lavoro spet tava sempre all'autorità giudiziaria orinaria, donde l'intervento

delle cennate magistrature di merito.

La natura pubblica o privata dell'istituto de quo deve essere,

comunque, stabilita unicamente in base al dettagliato riscontro

degli indici di qualità pubblica che sopra si è effettuato, attraver

so il quale si è acclarata la natura essenzialmente privata dell'isti

tuto, come risulta dalla sua origine, dalla sua struttura, dal suo

assetto finanziario, dal contenuto e dai fini dell'attività da esso

svolta, al di fuori dei controlli tipici degli enti pubblici. Sia consentita, infine, una considerazione di fondo sui parame

tri che vanno impiegati per riconoscere la natura pubblica o pri vata di un ente in un determinato momento storico. Non deve

sembrare meta-giuridico quest'ultimo riferimento, atteso che l'in

terprete non può isolarsi dal contesto istituzionale e socio

economico in cui vive ed opera, ma di esso deve tener conto nel

delineare la ripartizione tra settore pubblico e settore privato; ciò

non di certo allo scopo di forzare la soluzione giuridica per adat

tarla al menzionato contesto, ma allo scopo di verificare la sua

compatibilità con esso, dopo aver stabilito, sulla base dell'erme

neutica giuridica, la soluzione da preferire.

Ora, non è chi non veda come l'attuale trend istituzionale sia

decisamente orientato verso un allargamento del settore privato: è una tendenza presente nell'esercizio di tutti i poteri dello Stato,

che potrà piacere ad alcuni e dispiacere ad altri, ma che rappre senta un'innegabile realtà.

Il Foro Italiano — 1988.

Cosi accade nel potere legislativo, che attua spostamenti di im

prese dall'area pubblica a quella privata, modificandone l'assetto

normativo; nel potere esecutivo, che compie la stessa operazione con sempre crescente rilievo nei settori di competenze di istituti

pubblici che esso può autonomamente indirizzare; nel potere giu

diziario, che interpreta in chiave privatistica normative prima con

siderate espressioni di pubbliche funzioni o di pubblici servizi: valga per tutte le decisoni in argomento la recentissima sentenza

delle sezioni penali unite di questa corte in data 23 maggio 1987

(Tuzet, Foro it., 1987, II, 481) sulla natura privata dell'attività

bancaria, quale che sia la soggettività, pubblica o privata, del

l'impresa che l'esercita: ed è di questi giorni la notizia che è in

fase avanzata la privatizzazione di Mediobanca e che è allo stu

dio della Banca d'Italia e degli altri massimi organi monetari del

lo Stato il progetto di trasformare perfino le banche pubbliche in società per azioni.

Ebbene, in siffatto quadro istituzionale sarebbe veramente ana

cronistico — oltre che giuridicamente infondato per le numerose

ragioni dianzi illustrate — considerare pubblico un ente quale l'Istituto dell'Enciclopedia italiana che, in buona sostanza, svolge un'attività editoriale — per prestigiosa che essa sia — di natura

imprenditoriale, in un settore che non può certo definirsi di por tata essenziale per la vita dello Stato, in pieno regime di concor

renza e coinvolgendo interessi che non appartengono sicuramente

alla generalità dei cittadini. Basta pensare che perfino in relazio

ne alla Rai-Tv — da taluni definita una società d'interesse nazio

nale — sulla quale grava addirittura un controllo, o meglio una

direttiva permanente, del parlamento, la discussione sulla sua na

tura pubblica o privata è orientata prevalentemente nel secondo

senso, per concludere che, in proporzione, la natura privata del

l'Istituto Treccani non può che essere decisamente affermata.

Il ricorso del p.g. presso la Corte d'appello di Roma non può,

pertanto, essere accolto.

Né meritevole di accoglimento è l'ultimo motivo di ricorso sul

rifiuto di ulteriori indagini circa la penale responsabilità limitata

mente al reato di truffa, del quale sono indiziati il Casamassima

e il Benvenudi. Quanto al reato di peculato, del quale è indiziato

il Cappelletti, infatti, a parte la constatazione che di esso non

è stato mai enunciato il fatto costitutivo, ogni discussione è tron

cata dalla dimostrata insussistenza del presupposto soggettivo del

reato medesimo, reppresentato dalla qualità di pubblico ufficiale

dell'agente.

In ordine all'imputazione di truffa (lasciata da parte all'inizio

della presente sentenza per far posto all'argometazioni relative

alla natura dell'Istituto dell'Enciclopedia italiana), è assorbente

il rilievo che, pur dato e non concesso che il Casamassima avesse

utilizzato personale, beni e servizi dell'istituto, ciò sarebbe avve

nuto con il consenso dei legali rappresentanti di questo consenso

che secondo l'accusa non poteva essere accordato, ma che non

è stato certamente ottenuto con mezzi fraudolenti dal Casamassi

ma, il che esclude qualunque ipotesi di truffa, sia pure a titolo

di concorso col Benvenudi, a prescindere dalla qualità pubblica o privata del presunto soggetto passivo della truffa medesima.

Che se il p.g. ricorrente, come sembra voler ipotezzare nell'estre

ma parte dei motivi, intende prospettare un'illiceità penale del

cennato consenso come tale, di per sé sola idonea a giustificare altre indagini, è facile obiettare che l'unico reato eventualmente

configurabile sarebbe quello ex art. 323 c.p. che è, però, reato

proprio anch'esso del pubblico ufficiale sicché si ricadrebbe in

quell'ambito precluso ad ulteriori sviluppi sul piano penale dalla

dimostrata natura di ente privato dell'Istituto Treccani.

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