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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 28 marzo 1879, Pres. Mirabelli, Est. Ciollaro, P. M....

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Udienza 28 marzo 1879, Pres. Mirabelli, Est. Ciollaro, P. M. Conforti (Concl. conf.) —Ric. Passanante Source: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp. 117/118-125/126 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23084706 . Accessed: 18/06/2014 08:29 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.72.20 on Wed, 18 Jun 2014 08:29:30 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Udienza 28 marzo 1879, Pres. Mirabelli, Est. Ciollaro, P. M. Conforti (Concl. conf.) —Ric.PassananteSource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.117/118-125/126Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084706 .

Accessed: 18/06/2014 08:29

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117 GIURISPRUDENZA PENALE 118

distanza minore di 500 metri dalla linea daziaria di

Novara, e non fu preceduto dalla prescritta dichiara

zione ; Che quindi non sussistono i mezzi d'annullamento

dal medesimo dedotti, e sussiste invece la contravven

zione appostagli, non che l'impugnata sentenza con

fermativa della condanna contro di lui pronunziata dal

pretore di Novara; Per questi motivi, rigetta il ricorso, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 5 febbraio 1879, Pres. Ghiglieri, Est. Fer

reri, P. M. Spera — Ric. Murra Falqui Antonio e

Giovanili.

Corte <11 assise — Giudice traslocato — Giurisdi

zione prorogata dal primo presidente (Ord. giud.,

art. 80). Un giudice traslocato altrove può continuare a sedere

nella medesima Corte di assise se la giurisdizione

gli sia prorogata da una nota ufficiale del primo

presidente, cui l'art. 80 della legge sull'ordina

mento giudiziario conferisce l'ufficio di regolare ed

assicurare il servizio delle assise nel suo distretto. (1)

La Corte, ecc. — Sul secondo mezzo: « Violazione

dell'art 80 della legge sull'ordinamento giudiziario per

chè il giudice Felice Ortu, che con decreto del 5 agosto

era di già stato traslocato al Tribunale di Oristano,

non poteva più far parte della Corte d'assise di Nuoro,

in cui mancava di giurisdizione ».

Attesoché risulta agli atti che se il giudice Fe

lice Ortu con R. decreto del 5 agosto era stato tra

mutato al Tribunale di Oristano, gli si era però colla

nota del primo presidente della Corte d'appello, in data

del 16 agosto stesso, ordinato di non lasciare il posto

fino all'arrivo del suo successore

Attesoché dietro le premesse risultanze degli atti

il secondo motivo trovi una categorica risposta, per la

proroga della giurisdizione, nella nota ufficiale del

primo presidente della Corte di appello, a cui, giusta

l'art. 80 della legge sull'ordinamento giudiziario, spetta

in ogni caso di regolare ed assicurare il servizio delle

Assise nel suo distretto, e di surrogare, ove d'uopo, i

giudici mancanti od impediti;

Per questi motivi, rigetta, ecc.

(1) Confronta stessa Corte, 30 dicembre 1878. a col. 49 del presente

volume, e relativa nota, ivi.

CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA.

Udienza 29 gennaio 1879, Pres. Ghiglieri, Est. Fer

reri, P. M. Spera — Ric. Contessa Ugo.

Minaccio — Contravvenzione — Estremi — Mani

inermi (Cod. pen., art. 686, n. 2).

A costituire la contravvenzione di minaccie, preve

duta dall'art. 686, n. 2, Cod. pen., non è neces

savio V impugnamento di un'arma, potendo il giusto

timore ed il pericolo del danno altrimenti provenire da minacciate violenze alla persona con morsi od

anche solo a colpi di mano o di piede.

La Corte, ecc. — Il pretore di Terni dichiarò colpe vole Contessa Ugo del reato di minaccie, e in appli

cazione dell'art. 686 del Cod. pen. lo condannò a lire 5

di ammenda.

Il Contessa ricorse e denunziò la violazione degli articoli 686, n. 2, e 688 del Cod. pen. Esso dice che le

parole profferite: Lasciatemi: me la voglio mangiare,

nell'atto di farsi addosso alla Stefanini, non costitui

vano il reato di cui parla il citato art. 686, al n. 2,

tanto più, perchè pronunciate da un giovane inerme,

esse non potevano essere cagione di allarme; Attesoché il pretore di Terni colla denunciata sen

tenza abbia in sostanza pronunciato un giudizio di ap

prezzamento e di fatto che per sè sfugge ad ogni cen

sura in sede di Cassazione; Attesoché d'altronde non è cosa seria il sostenere,

contro il dettato del più comune buon senso, che nei

termini surriferiti dalle parole usate dall'imputato ri

corrente, nell'atto di avventarsi contro il suo avver

sario, non si contengano gli estremi legali di quella

semplice contravvenzione che è preveduta e punita

dal n. 2 dell'art. 686 del Cod. pen., per cui non è punto necessario l'impugnamento di un'arma, quando il giusto timore e il pericolo del danno possono ben altramente

provenire, come nella fattispecie, da minacciate vio

lenze alla persona, coi morsi, ed anche solo a colpi di

mano o di piede; Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI NAPOLI. Udienza 28 marzo 1879, Pres. Mirabelli, Est. Ciol

laro, P. M. Conforti (Conci, conf.) — Ric. Passa

nante.

Testimone — Giuramento — Nullità non sanabile

(Cod. proe. pen., art. 289). Parte lesa non denunziante — Giuramento (Cod.

proc. pen., art. 289 e 270). Attentato al Ile — Estremi (Cod. pen., art. 153).

Principio di esecuzione — Questione <li diritto o di

fatto (Cod. pen., art. 159). Giurati — Questioni — Modalità del fatto dedotto

in accusa — Doppia ipotesi — Unico quesito (Cod.

proc. pen., art. 494). Dibattimento — Deposizioni scritte — Lettura dopo

l'esame orale (Cod. proc. pen., art. 311). Perizie — Risposte dell'accusato — Lettura al di

battimento (Cod. proc. pen., art. 311).

Il giuramento dei testimoni vuoisi ritenere siccome

prescrizione di ordine pubblico, ed il silenzio delle

parti non basta a sanare la nullità derivante dalla

omissions di quella solennità. (1)

(1) Conformemente la stessa Corte con la sentenza 27 novembre 1876, ric. Izza (Rivista pen., V, pag. 460), decise che il silenzio della parte

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119 PARTE'SECONDA 120

Quegli che da un reato è stato offeso o danneggiato,

comunque non ne sia nè querelante nè denunziante

è comunque offeso o danneggiato per errore, va

udito in dibattimento senza la prestazione del giu

ramento. (1) ..e*

Sempre che si tenda a violare la integrità della sacra

persona del Re si commette il reato prevenuto dallo

art. 153 del Cod. pen.; riesce perciò indifferente che in quel rincontro si voglia uccidere o ferire.

E questione giuridica e non di mero fatto definire se nell'attentato l'agente sia giunto a dar principio ad un atto qualunque di esecuzione, nei sensi del

l'art. 159 del Codice penale. Non è vietato al presidente delle assise formolare

nelle questioni ai giurati una ipotesi che sia mo

dalità del fatto principale in accusa, quando la re

sponsabilità dell' accusato non è aggravata ed i ri

sultati del dibattimento vi si prestino. (2) Se due ipotesi di fatto menino alle stesse risultanze

di responsabilità penale, non è complessa la que stione che insieme le comprenda. (3)

Non vi ha nullità se taluni brani di dichiarazioni

scritte di testimoni siano letti dopo le dichiarazioni

orali dei testimoni medesimi.

Le risposte date dall'accusato ai professori alienisti

incaricati di dar giudizio sullo sti to mentale di

lui ed il parere dei professori medesimi sulle mo

dalità dei fatti imputati al giudicabile, facendo

parte integrante del lavoro peritale, vanno letti in

udienza, comunque non citati i periti.

La Corte, ecc. — Sul mezzo principale — Conside

rato che per siffatta lamentanza si deduce la viola

zione dell'art. 297 del Codice di procedura penale, pe rocché si sostiene che l'onor. signor Benedetto Cairoli,

non essendo stato nè querelante nè denunziante, doveva

essere udito in dibattimento con giuramento, e che, es

sendo questo richiesto pei testimoni a pena di nullità

e costituendo esso una prescrizione di ordine pubblico nei penali giudizi, a nulla vale in contrario il silenzio

delle parti. Ed in tal concetto tanto più si persiste in

quanto che, comunque in rubrica il Passanante figurava

imputato non solo del reato di fellonia, ma sì pure del

l'altro di mancato omicidio in persona dell'onorevole

signor Cairoli, che in quel rincontro riportato aveva

una importante ferita alla coscia destra con quel me

desimo coltello che leggermente aveva già ferito il Re

nel braccio sinistro, pure la Sezione di accusa nella

sua sentenza di rinvio disse pel secondo carico di non

farsi luogo a procedimento, ritenendolo compenetrato nel primo, per essere stato anche quel colpo diretto

alla persona del Re, comunque raggiugnesse invece il

Cairoli;

Considerato che nella lista del pubblico ministero

innanzi alle Assise il signor Benedetto Cairoli figura

quale parte offesa, e con tal veste egli comparve e

venne udito in dibattimento senza obbiezione alcuna da

parte della difesa, il che è argomento assai grave da

fare indurre che la difesa medesima vedeva bene at

tribuita al Cairoli quella qualità. Ma senza dubbio il giuramento vuoisi ritenere sic

come prescrizione di ordine pubblico, e ben si dice che

il silenzio delle parti non basti a sanare la nullità ove

questa avvenga; sì che tutta la quistione si riduce a

vedere se il Cairoli vada equiparato ad un testimone, ovvero ad un querelante o denunziante con interesse

personale nel fatto, perciocché nel primo caso egli, a

pena di nullità, doveva giurare per espressa sanzione

dello invocato art. 297, e nel secondo caso se per vece

avesse giurato vi era luogo a nullità, giusta l'art. 289

del Codice di procedura penale. È principio stabilito dallo art. 1 del Codice di rito

penale che ogni reato dà luogo ad un'azione penale e

può dar luogo ad un'azione civile pel risarcimento del danno arrecato.

Sanziona il susseguente art. 3 che l'azione civile ap partiene al danneggiato, e nello art. 569 del medesimo Codice è prescritto che nelle sentenze penali si con danneranno gli imputati od accusati ed i responsabili civili, se vi ha luogo, al risarcimento dei danni verso la parte civile e verso qualunque altro danneggiato, ancorché non si fosse costituito parte civile.

Finalmente è stabilito nello art. 104 del medesimo

sana la nullità derivante dal fatto del testimone il quale, non dovendo

giurare, nondimeno giuri ; ma non quella derivante dalla omessa pre stazione per parte del testimone capace di giurare. Lo stesso principio ha sanzionato recentemente la Cassazione di Torino con la sentenza 27 febbraio 1879, che riproduciamo nella nota seguente.

(1) Come fu avvertito nella nota a col. 99 del presente volume, la Cassazione di Napoli con la sentenza 7 marzo 1864 aveva ritenuto non esser sufficiente ad escludere dalla prestazione del giuramento la sola

qualità di danneggiato, se non vi concorre altresì quella di querelante o denunciante. Ma da questa massima, che, come è indicato nella ci tata nota, è accolta generalmente nella giurisprudenza, la Cassazione di Napoli ha receduto con posteriori sentenze, secondo essa medesima ci avverte nella importante decisione che annotiamo. Che anzi con la sentenza 7 febbraio 1877, ric. Cipullo, quel supremo Collegio stabilì che i figli dell'ucciso, benché non denunziami, sono sempre parti lese, che nulla hanno di comune con i testimoni i quali sono chiamati a

giurare, e che non si può quindi,senza sconoscere i vincoli del sangue, chiamarli in dibattimento e far loro prestare giuramento in qualità di testimoni (V. Massime di giurisprudenza generale della Corte di Cassazione di Napoli, raccolte da G. Calabria, anno 1877, pag. 22).

Tra le più recenti sentenze di altre Corti nelle quali è stabilito che la parte lesa che non sia denunziante debba essere intesa con giura mento, va ricordata quella della Cass. di Torino, 27 febbraio 1879, ric. Marcora, riportata nel Giornale dei trib. di Milano, a. c., n. 59, pag. 236, ove è pure stabilito che la relativa nullità non è sanata dal silenzio delle parti. « Attesoché (ivi) la sola qualità di parte lesa non dispensa i testimoni dall'obbligo di prestar giuramento, se con essa non concorre quella'pur anche di querelanti o denunzianti, e tali non essendo i tre testimoni prenominati, ne consegue che i medesimi non altrimenti potevano essere sentiti che previo loro giuramento, e che l'inosservanza di tale importantissima formalità è tale da viziare l'intero giudizio, essendo il giuramento dei testimoni prescritto sotto pena di nullità (art. 297, proc. pen.), senza che questa possa dirsi sa nata dal silenzio delle parti, potendo questo giovare nel caso soltanto in cui siasi deferito il giuramento a chi non era in obbligo di pre starlo, e ciò perchè in questo trattasi solo dell'interesse delle parti, cui queste possono rinunciare, mentre invece nel primo caso l'inte resse pubblico esige che le deposizioni dei testimoni seguano con tutte le maggiori garanzie possibili di verità, e siano conseguentemente nulle e di nessun effetto, se non furono fatte sotto il vincolo del giu ramento ».

(2-3) Giurisprudenza costante.

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121 GIURISPRUDENZA PENALE 122

Codice che ogni persona la quale si pretenderà offesa

o danneggiata da un reato potrà portarne querela avanti l'autorità designata dalla legge.

Or, premessi codesti legislativi precetti, non si può in genere vedere in colui che è stato ferito, tuttoché

per errore, una persona indifferente e scevra di preoc

cupazione nel dramma giudiziario svolto innanzi alle

Assise, quale indiscutibilmente convien che si presuma che sia, nello interesse soprattutto dello stesso accusato,

nei giudizi penali, chi vi deve esser chiamato siccome

testimone. Contro l'onorevole Cairoli l'accusato non

ebbe intenzione di ferire (è forza ritenerlo dopo la sen

tenza della Sezione di accusa), ma pure malgrado ciò

il Cairoli fu ferito nel reato perpetrato contro la sacra

persona del Re. Egli adunque da quel reato fu offeso

e danneggiato, e perciò gli competeva lo sperimento

dell'azione civile, la rivalsa del danno, il diritto alla

querela. Cosi è che bene il pubblico ministero gli dava

la caratteristica di parte offesa, e bene innanzi alle As

sise come tale era esaminato senza giuramento, in ob

bedienza dello art. 289 di sopra rammentato.

La obbiezione poi che il Cairoli in fatto non fu que

relante, perchè di uffizio venne esaminato dal consi

gliere della Sezione di accusa delegato per la istruzione,

non ha alcun valore, avendo questo supremo Collegio

ritenuto costantemente il principio che la potenzialità

alla querela fa considerare querelante quegli che sul

reato è chiamato a dichiarare. In molteplici rincontri

il Collegio regolatore ha emesso sentenze di annulla

mento ognora che, contro le istanze delle parti, si è

obbligato al giuramento chi nel reato aveva diritto di

sporgere querela-o che avesse potuto risguardarsi come

denunziante interessato personalmente nel fatto: valga

tra i più recenti arresti rammentare quello del 20 lu

glio 1877 nel ricorso di Nolfi.

Sui mezzi aggiunti. — Considerato che il primo dei

cennati mezzi si riferisce alla formolazione dell'unica

quistione sommessa alla votazione dei giurati e da co

storo affermata.

La doglianza può ripartirsi in tre proposizioni:

a) Si è snaturato il concetto dello art. 153 del Co

dice penale, relativo al reato di attentato contro la

sacra persona del Re, quando alla intenzione nello agente

di ucciderà si è alternativamente aggiunta la intenzione

solo di ferire;

b) Si è moncamente proposta la quistione, tosto

che si è obliato di domandare ancora ai giurati se

l'agente giunse a dar principio ad un atto qualunque

di esecuzione nel crimine di attentato.

Subordinatamente, se pure tale estremo del reato

dovevasi dai giudici togati proclamare, nella quistione

mancano gli elementi di fatto atti a farlo ritenere;

e) Si è violato l'art. 494 del Codice di procedura

penale, riformato dalla legge degli 8 giugno 1874, quando

la quistione è stata proposta difformemente dalla sen

tenza e dall'atto di accusa, i quali ritennero nello agente

la volontà omicida e non già la volontà soltanto di

ferire.

Subordinatamente, della ipotesi sulla volontà di fe

rire occorreva formolare quistione apposita, e non

fondere la ipotesi medesima nella stessa quistione in

ctii pur parlasi di volontà omicida;

Considerato che facile sia la soluzione della prima

disputa, perciocché, o che voglia uccidersi o che voglia

ferirsi la sacra persona del Re, si avrà sempre indu

bitatamente il reato preveduto dallo art. 153 del Co

dice penale. È unanime la opinione dei giuristi che

chiunque voglia violare in qualsiasi modo la integrità

della sacra persona del Re commetta il reato di at

tentato preveduto dalla citata disposizione di legge.

Una prova poi irrecusabile che il legislatore nel vo

cabolo attentare vuol significare qualunque azione che

tenda a ledere in qualsiasi guisa la incolumità della

persona vien posta dallo art. 528 del Codice penale,

ove è detto che la premeditazione consiste nel disegno

formato pria dell'azione di attentare ad una persona.

Ora nel foro e nella scuola non si è menomamente

dubitato che l'attentare dallo art. 528 si riferisca a

qualsiasi reato che offenda la incolumità personale,

sia l'omicidio, sia la ferita, sia ancora la percossa, ed

anzi è questo un esplicito concetto legislativo, come

dagli articoli 526, 540, 543, alinea, 545 e 550, ultimo

alinea, del Codice penale. Sarebbe illogico attribuire al

vocabolo stesso un diverso significato, allorché il me

desimo legislatore lo adopera nello art. 153;

Considerato che neppure ardua presentasi la solu

zione della seconda disputa, la quale si converte nel

l'altra - se cioè il definire se siasi dato principio ad un

atto qualunque di esecuzione di un crimine costituisca

più un indagine di diritto anzi che di fatto -, perciocché

è incontrastabile che nella prima ipotesi il presidente

della Corte di assise avrebbe disconosciuto l'attuale ar

ticolo 495 del Codice di rito penale, se avesse presen

tato nella quistione ai giurati una denominazione giu

ridica.

A risolvere il problema basti solo rammentare le

divergenze antiche, e forse tuttora perduranti tra i

cultori del giure penale, nel definire quali siano in un

reato gli atti meramente preparatori e quelli che co

stituiscano un principio di esecuzione; e se la materia

rientra nel dominio della scienza, la quistione è giu

ridica, e solo ai giudici togati si apparteneva di risol

verla, tenuto presente il verdetto.

Non si dica poi che il verdetto non porgeva gli ele

menti di fatto all'uopo necessari. Quando con l'affer

mativo monosillabo i giurati ritennero che Passanante

menò volontariamente colpi d'arme pungente e ta

gliente contro la sacra persona del Re, sia per uccidere,

sia solamente per ferire, bisognerebbe rinnegare la

ragione ed il senso giuridico il più volgare per non

vedere neppure un principio di atto qualunque di ese

cuzione in fatto cotanto eloquente e positivo. Né per

fermo il silenzio serbato nella quistione sulla direzione

dei colpi, se a parti vitali o non vitali, muta menoma

mente la ipotesi giuridica: perchè, siccome si è già di

mostrato, l'attentato sta anche quando si voglia ferire,

sia pure non mortalmente, la persona augusta del Re ;

Considerato che la terza disputa ricorda infinite di

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123 PARTE SECONDA 124

scussioni simili agitate al cospetto di questo medesimo

Collegio regolatore.

Sempre è stato ritenuto che al presidente delle as

sise, non ostante il disposto dell'attuale art. 494 del

Cod. di proc. pen., non sia vietato nelle quistioni di

presentare ai giurati il fatto principale di cui è accusa

sotto una modalità diversa, purché non si aggravi la

responsabilità del giudicabile, sempre che però i ri

sultati del dibattimento vi si prestino. Or nella specie, per fermo, la ipotesi della volontà di

ferire, comunque diversa da quella della volontà omi

cida ritenuta nella sentenza e nell' atto di accusa, non

aggravava la responsabilità dell'accusato, e anzi poteva

giovargli, perchè avrebbe più facilmente potuto dare

occasione al benefizio di circostanze attenuanti, se pure

la coscienza dei giudici popolari in reato di così su

prema importanza a quel benefizio potesse mai piegare. E che poi i risultati del dibattimento avessero offerto

al presidente della Corte di assise di discendere a quella

modalità, si ricava dal silenzio della difesa indi alla

lettura in udienza della quistione e dagli interrogatori

innanzi al presidente medesimo, confermati in pubblico

dibattimento, nei quali mutando linguaggio l'accusato

sostenne che egli non voleva uccidere il Re ma fargli

solo uno sfregio, e che se lo avesse voluto uccidere

avrebbe avvelenata la lama del suo coltello.

Corollario della idea premessa, di non costituire ipo

tesi di reato diverso e quindi di responsabilità diversa

quella della volontà di' ferire, si è che non vi ha vizio

alcuno se e questa ipotesi e l'altra della volontà di

uccidere veggonsi fuse in unico quesito ai giurati. Co

stantemente nelle Corti di assise, allorché si propone

la quistione di complicità secondo il n° 3° dell'art. 103

del Cod. di proc. pen., vi si comprende alternativamente

sia il caso dello sciente aiuto sia il caso della sciente

assistenza; ebbene, sempre questo Collegio regolatore

ha respinta la deduzione di complessità nella quistione,

appunto rilevando che e l'uno e l'altro caso menino

alla medesima responsabilità penale.

Non vi ha ragione nella causa presente di mutare

di giureprudenza basata su principi esatti di dritto;

Considerato che pel secondo mezzo aggiunto si so

stiene la violazione dell'art. 311 del Cod. di proc. pen.,

per la seguita lettura in dibattimento del rapporto del

Collegio dei cinque professori alienisti sullo stato men

tale dell'accusato, rapporto venuto fuori in seguito di

apposita istanza sporta dalla difesa al presidente delle

assise pria del dibattimento.

Anche codesta doglianza si ripartisce in tre propo

sizioni: а) Violato l'art. 311, perchè nel rapporto trovansi

riportati diversi brani di deposizioni scritte di testi

moni che erano stati già uditi in dibattimento, ma che

non avevano apportata variazione alcuna alla deposi zione scritta;

б) Violazione dell'art. 311, perchè nel rapporto sono riportate svariate risposte dell' accusato ai periti,

senza che costoro siano stati citati ad intervenire in

dibattimento ;

c) Violazione dell'art. 311, perchè i periti mede

simi non solo nel rapporto danno il giudizio loro ri

chiesto sullo stato delle facoltà mentali del giudicabile, ma si arbitrano di aggiungere il loro giudizio pure sulle

modalità dei fatti imputati al giudicabile. Sembra al ricorrente nei rilievi delle proposizioni

seconda e terza che i periti si mutino in veri testi

moni, e che come tali occorreva sentirli oralmente, non

leggere quanto essi avevano in iscritto dichiarato; Considerato che, innanzi tutto, riesce singolare lo at

tacco in esame, tosto che gli atti constatano che non

solo il P. M. ma la difesa stessa dell'accusato nella

sua lista a discarico chiese espressamente la lettura

di quello così importante documento, da essa doman

dato ed ottenuto.

Ma, checché sia di ciò, egli è opportuno sulla prima

proposizione ricordare ancora un'altra fiata la giure

prudenza di questa Corte di cassazione in tanti altri

rincontri, nei quali, come nella presente causa, è av

venuto che siansi lette deposizioni scritte di testimoni,

dopo la di costoro udizione in dibattimento.

Primieramente va rilevato che il verbale di dibatti

mento annesso agli atti non constata se quei testimoni

deposero uniformemente o difformemente alle dichia

razioni scritte, perchè ivi leggesi, in omaggio dell'ar

ticolo 317 del Cod. di proc. pen., che ciascun testimone

ha deposto sui fatti e circostanze della causa.

Ma, prescindendo da ciò, giova ripetere quanto in

altri arresti precedenti si è rilevato in diritto: che

cioè la mente del legislatore nel divieto sanzionato dallo

art. 311 sia stata quella di impedire che nei giudizi

penali i giudici del fatto ricevano le loro impressioni e basino la propria convinzione sulle prove testimo

niali scritte, anzi che su quelle orali.

Or quando il testimone ha deposto col vivo della voce

innanzi ai giudici, e poscia leggesi la sua dichiarazione

scritta, un dilemma non può sfuggirsi : se il testimone

è stato uniforme, la mente della legge nel divieto della

lettura della deposizione scritta vien meno, perchè già le impressioni nei giudici son formate sulle rese di

chiarazioni orali, e quelle scritte nulla aggiungono e

nulla tolgono; se per vece il testimone è stato difforme, ed allora il caso rientra appunto in una delle eccezioni

del divieto, e la lettura della dichiarazione scritta va

fatta per legge; Considerato che, relativamente alle altre due propo

sizioni, se senza un dubbio al mondo le diverse risposte dell'accusato riportate nella perizia sono relative ad

altrettante domande indirizzate dagli alienisti come

tanti esperimenti di fatto, i quali hanno poi sostanzial

mente servito al giudizio sulle facoltà mentali di lui, se i giudizi dati sulla modalità dei fatti imputati al

l'accusato indissolubilmente si connettono al giudizio sulla mente del giudicabile nei diversi stadi di sua vita, siccome appare incontrastabilmente dall' attenta lettura

di tutto il rapporto dotto e dettagliato e svolto in ben

quarantadue pagine, resta incomprensibile il concetto

messo in mezzo dal ricorrente che in quelle parti i periti cessino di esser tali ed assumano la veste di testimoni.

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Page 6: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Udienza 28 marzo 1879, Pres. Mirabelli, Est. Ciollaro, P. M. Conforti (Concl. conf.) — Ric. Passanante

125 GIURISPRUDENZA PENALE 126

I cinque professori, in seguito al solenne giuramento,

narrano, ragionano e giudicano sempre come periti ; il

loro rapporto perciò ben si chiese da ambo le parti

in giudizio di leggersi in udienza, ed il presidente di

sponendolo non fece che ubbidire all'art. 281, n. 2, del

Cod. di proc. pen. Ma vi ha di più: un sistema diverso di lettura, cioè

a brani, avrebbe reso poco comprensibile quel rapporto, ed i giudici del fatto non avrebbero avuto sott' occhio

tutti gli elementi necessari per dirlo o esatto od ine

satto; era adunque necessità imprescindibile di tutto

leggere.

Sotto ogni rapporto adunque inappuntabile si pre

senta cosi memorando giudizio allo esame sereno ed

imparziale del supremo Collegio, il quale, lungi di aver

ragione di censura, deve tributare plauso alla Corte di

merito pel procedimento strettamente legale serbato

in così grave rincontro; Per le quali ragioni, rigetta, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 29 gennaio 1879, Pres. Poggi, Est. Mori-Ubal

dini, P. M. Gloria — Ric. P. G. di Venezia c. N. C.

e L. A.

Libidine contro natura — Estremo dello scandalo —

Fatti che lo costituiscono — Indagine di fatto e

di diritto (Cod. pen., art. 425).

Vesaminare se i fatti ammessi costituiscono lo scan

dalo richiesto per la punibilità degli atti di libidine

contro natura involve una indagine di diritto de

ducibile in Cassazione.

Perchè lo scandalo sia elemento di criminosità basta,

che nasca immediatamente dal fatto, oggetto della

imputazione, indipendentemente dalla volontà del

colpevole di far mostra delle sue laidezze.

A costituire la pubblicità nei reati contro il buon co

stume basta l'essere il fatto avvenuto in luogo pub

blico, e la potenzialità di esser veduto da altri.

Laonde non toglie il carattere della pubblicità nè l'ora

inoltrata di notte, nè la tenebrosità, non togliendo

tali circostanze la possibilità di vedere.

La Corte, ecc. — Considerando che l'art. 425, Codice

penale sardo, disponga nella sua seconda parte : « Qua

lunque atto di libidine contro natura se non vi sarà

violenza, ma vi sarà intervenuto scandalo, o vi sarà

stata querela, sarà punito colla reclusione, e potrà la

pena anco estendersi ai lavori forzati per anni dieci,

a seconda dei casi »;

Considerando che l'esaminare se a senso di questa

disposizione di legge relativa al buon costume, e al

pubblico pudore, siano stati a ragione, o no, esclusi gli elementi giui'idicamente costituenti lo scandalo, involga una indagine deducibile alla Corte suprema;

Considerando che la denunziata sentenza, dopo avere

ritenuto in fatto che nella sera 14 giugno 1878 N. C.

e L. A. fossero stati veduti verso le ore 8 e mezza

pomeridiane transitare per il prato della Valle di Pa

dova in attitudine sospetta, e direttisi poi alla strada

di circonvallazione prossima alla porta S. Croce, attigua

a quella della caserma degli invalidi, compiere un atto

contro natura; e quindi, revocando la sentenza di primo

grado, dichiarava non esser luogo a procedere contro gli

appellanti, e ciò perchè la località predetta, quantunque

pubblica, era lontana dal movimento della popolazione,

specialmente nelle ore della sera; perchè in quella sera

il cielo essendo coperto di nubi rendevasi difficile l'uso

della facoltà visiva nel sito delle commesse laidezze,

e forse impossibile il discernerle a venti passi di di

stanza, per cui fosse a presumersi che' non potessero

essere osservate da chicchessia; e perchè infine, se

due testimoni eransi trovati presenti al fatto a soli

due passi di distanza, ed uniti poi ad altri due indi

vidui avevano potuto sorprendere gl'imputati, impos

sessandosi d'uno di essi, essendosi l'altro dato alla fuga,

questo era accaduto per avere i due primi testimoni,

venuti in sospetto., voluto tener dietro cautamente a

costoro, tutto appresso vedendo attraverso il foro d'una

siepe opportunamente allargato;

Considerando che all'effetto che lo scandalo figuri

come elemento di criminosità vuoisi che debba nascere

immediatamente dal fatto oggetto della imputazione,

indipendentemente dalla volontà del colpevole di far

mostra delle sue oscenità; ciò non suffragando, tutta

voltachè egli siasi posto in condizioni tali da produrre

alla morale pubblica quella offesa che ne determina la

pubblicità. E questo è lo scandalo che contempla il

predetto articolo, che, essendo stato immediata e ne

cessaria conseguenza del fatto ritenuto costante dalla

denunziata- sentenza, non poteva essere eliminato se

non violando manifestamente il senso giuridico di quella

disposizione ; Considerando che, quando anche pubblico dovesse es

sere lo scandalo, e cosi tale, come, a differenza dell'ar

ticolo 425 applicabile al caso, lo richiede l'art. 420 del

Codice stesso, il criterio giuridico della pubblicità del

fatto che aumenta lo scandalo non sarebbe escluso

dagli altri argomenti dedotti dalla denunziata sentenza.

Imperocché è indubitato che, dove un atto è compiuto in luogo pubblico, la pubblicità non cessa in ragione

del tempo notturno, per quanto l'ora fosse inoltrata,

e per quanto fosse tenebrosa la notte, essendovi sempre

possibilità di vedere (e nel caso in esame ciò appunto

avvenne), calcolandosi nei reati, alla cui specie appar

tiene quello che sopra, la potenza di vedere, e non la

effettiva veduta della moltitudine;

Considerando che fondato per conseguenza essendo

il ricorso interposto dal proc. generale, la denunziata

sentenza deve essere annullata; Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 13 marzo 1879, Pres. D'Agliano, Est. Talice,

P. M. Pozzi — Ric. Barbanti-Silva Filippo.

Amnistia — Reato punibile in concreto con pena

non eccedente sei mesi di carcere — Dichiara

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