Udienza 30 giugno 1876, Pres. Ghiglieri P., Est. Nicolai, P. M. Spera —Ric. ArcangeliSource: Il Foro Italiano, Vol. 1, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1876), pp.367/368-369/370Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23081476 .
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367 PARTE SECONDA 368
coi dritti della difesa. Nella specie il Giachetti sapeva che non aveva a sentirsi che il perito Albani. Per il che
non curò di servirsi della facoltà concessagli dall'ult. al. dell'art. 335 combinato coll'art. 383 sapendo che in atti non potevano esistere altri documenti ed atti che
quelli esistenti prima dell'udienza del 28 novembre; e
non gli fu fatta comunicazione dei rapporti sopravve nuti ed esistenti ai fogl. 31, 32, 33, che sono documenti
nuovi inseriti negli atti dopo la detta udienza. Se per
tanto non può lagnarsi che non gli sia stata fatta noti ficazione dei nuovi testimoni fatti citare alla seconda
udienza del 15 dicembre, ha almeno ragione di dolersi
di non aver avuta comunicazione dei suddetti rapporti, come l'ebbe il Pubblico Ministero, che dai medesimi at
tinse l'indicazione dei nuovi testimoni che fece citare
per il giorno 15 dicembre. Nella discussione si commisero altre gravi nullità. A
prescindere che tutti i testimoni prestarono in massa il
giuramento al principio dell'udienza prima che si faces
sero ritirare dalla sala, il maresciallo dei carabinieri
Martinelli Achille non depose oralmente come prescrive
l'art. 304 sotto pena di nullità, ma previa lettura dei suoi rapporti che fu invitato a confermare. La lettura
di quei rapporti era vietata dalla legge, perchè conte
nenti deposizioni di testimoni. La lettura dei testimoni
si fece alla presenza di altri testimoni nell'atto del
l'esame del Martinelli; fornito il quale gli altri te
stimoni furono chiamati a deporre sulla materia
degli stessi rapporti dopo di avere assistito all'esame
di chi li contestava, ed aver udita la lettura dei rap
porti scritti dallo stesso maresciallo, senza alcuna ga
ranzia della difesa del giudicabile, il quale era affidato che nella nuova udienza non avesse a sentirsi che il
perito Albani.
Impertanto, sebbene nelle cause contravvenzionali la
procedura cammini spigliata, spedita e libera dalle pa
stoie di molte formalità, non pertanto neppure in essa
non possono non osservarsi quelle formalità sostanziali
per ogni discussione, altrimenti la difesa degli imputati sarebbe priva di ogni garanzia, e soggetta ai pericoli di
condanne arbitrarie e sconfinanti dal diritto.
In conseguenza l'addotto 2° mezzo merita accogli
mento, e senza scendere all'esame del 1° mezzo riflet
tente il merito, la Corte annulla l'impugnata sentenza, e rinvia la causa ad altro pretore per nuovo giudizio.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 30 giugno 1876, Pres. Giiigtjeri P., Est. Ni
colai, P. M. Spera — Ric. Arcangeli.
Commercio — Tentativo contro la sita libertà — Mezzi
fraudolenti — Alzamento o abbassamento elei prezzi
(Cod. pen. ital., art. 389, 390).
Per la punibilità del reato previsto dall'articolo 389 Cod. pen., Cioè di tentativo contro la libertà del commercio, óltre Velemento morale, Vimpiego di mezzi fraudolenti, è necessario Velemento materiale, il prodotto alzamento
od abbassamento dei pressi di derrate o mercanzie, al disopra o al disotto di quello che sarebbe stato determi
nato dalla naturale e libera concorrenza (1).
La Corte, ecc. — Premesso in fatto che il ricorrente
Arcangeli fu con sentenza del tribunale correzionale di
Pesaro e con la confermatoria della Corte di appello di
Ancona condannato a mesi tre di carcere, e alla multa
di lire 100, siccome colpevole del reato imputatogli di
tentativo contro la libertà del commercio previsto e pu nito dagli articoli 389 e 390 del Codice penale, per avere
in diversi giorni del giugno 1873, in Pesaro, in unione
e di concerto con altri, per mezzo di cartelli anonimi mi nacciosi indirizzati ai venditori e consumatori di vino, per mezzo di proposte ingiuriose e minaccievoli fatte
personalmente ai medesimi, e per mezzo di intimida
zioni e d'altri mezzi dolosi, tentato di -costringere i
proprietari e venditori di vino a ribassare il prezzo, non
essendo per altro riusciti a conseguire l'intento per cir
costenze indipendenti dalla volontà loro ;
Considerando che l'articolo 389 del Codice penale di
spone che sono puniti « coloro che spargendo fatti falsi
« nel pubblico, o facendo offerte maggiori del prezzo « richiesto dai venditori stessi, o concertandosi coi prin « cipali possessori d'una medesima mercanzia o derrata « perchè o non sia venduta ad un determinato prezzo, o
« che per qualsivoglia altro mezzo doloso avranno pro 's dotto l'alzamento o l'abbassamento del prezzo di der
« rate, di mercanzie, di carte o di effetti pubblici al di
« sopra o al disotto di quello, che sarebbe stato deter
« minato dalla naturale e libera concorrenza dei com
« mercianti ; »
Che, esaminato il tenore del riferito articolo, chiaro
si appalesa il concetto, come per la punibilità del
reato in esso contemplato faccia di mestieri il concorso
di due elementi: di un elemento morale, il quale consi
ste nell'impiego di manovre e di maneggi, e di altri
mezzi dolosi, che abbiano per iscopo di produrre l'alza
mento o l'abbassamento del prezzo di derrate o di mer
canzia al disopra o al disotto di quello che sarebbe stato
determinato dalla naturele e libera concorrenza del
commercio : e di un elemento materiale consistente nel
prodotto alzamento od abbassamento del prezzo. Ondo
il reato non esisto legalmente se non quando è consu
mato, cioò a dire se non quando è seguito l'aumento o
il ribasso del prezzo. I concerti, le manovre, i maneggi
fraudolenti, i mezzi dolosi, quantunque diretti allo
scopo di conseguire un aumento od un ribasso, senza il
conseguito effetto, non bastano: potranno costituire un
diverso reato previsto da altre disposizioni di legge,
giammai quello previsto dall'articolo 389. E neppure
valgono a costituire un tentativo punibile ; avvegnaché il legislatore abbia voluto punire il reato in vista del
(1) Conf., veci. Cass, franc., 1° febbr. 1834 (Sirey, t. XXXIV, ftar. I) pagi 81); 17 genn. 1818 (Dalloz, Alfab., t. XII, pag. 623) 5 12 e 24 die. 1812 (Id., pag. 623) ; 29 maggio 1846(Sirey, t. XI, par. I, pag. 831, Journ. du Pal. 1810, 585); 3 luglio 1816 (Sirey, t. X, 41, par. I, pag. 702).
Yed. pure Merlin, Report. Attentat, n. 4; CarnoT, t. II, pag. 420; Legraverend, t. I, pag. 119;
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369 GrIURISPRUDENZA PENALE 370
predetto effetto dell'aumento o del ribasso del prezzo, clie solo può far valutare la gravezza dei mezzi adope rati per ottenerla, mentre, non prodottoTeffetto, è luogo a presumere che non fossero mezzi capaci d'esecuzione
a produrre i danni ; Che tale intelligenza dell'articolo 389 vieppiù palese
si rende ove si esamini in confronto delle precedenti di
sposizioni del capo II. Ed invero, mentre nei concerti
fraudolenti contro la libertà del commercio, presi di
mira dagli articoli 385, 386, 387 e 388, la legge con templa espressamente e punisce nonché il reato, quando abbia prodotto il suo effetto, ma ancora il semplice ten
tativo, quando cioè il doloso concerto sia stato seguito da un principio di esecuzione ; invece, quanto al reato
congenere preso di mira dall'articolo 389, la legge, del
tentativo, ossia del principio di esecuzione, non fa alcun cenno, si tace affatto ; onde è giusto l'inferire, che in
quella specie di reato il tentativo non si volle punito, ma soltanto l'effetto.
La quale intelligenza è confermata eziandio dall'os
servare, come il corrispondente articolo 419 del Codice
penale francese, dal quale fu interamente desunto l'ar
ticolo 389 del Codice penale sardo, abbia ricevuto una
somigliante interpretazione ; dacché la giurisprudenza e
gli scrittori abbiano concordemente ritenuto, che pel detto articolo 419 sono punite le coalizmzioni, i concerti
fraudolenti solo quando hanno effettivamente prodotto l'aumento o il ribasso del prezzo, non quando costitui
scono un semplice tentativo.
Considerando che nel caso in esame la denunziata
sentenza ha dichiarato che, malgrado i dolosi mezzi
adoperati onde eseguire lo intento di fare abbassare il
prezzo del vino, gli imputati non vi riuscirono, ne con
segue che nel fatto ad essi addebitato, e pel quale sono
stati condannati, non si verifica il reato previsto dagli articoli 389 e 390 del Codice penale ; quindi la denun
ziata sentenza, avendo giudicato il contrario, ha violato
e male applicati i suddetti articoli, e deve perciò essere
annullata senza far luogo a rinvio.
Per questi motivi cassa senza rinvio la predetta sen
tenza, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI NAPOLI. Udienza 7 giugno 1876, Pres. if. Narici, Est. Ciollako
— Eie. Martino.
Violenze — Ribellione —■ Usciere — Altri tifliciali —
Oltraggi — Cacciata alla porta — Pignoramento —
Impedimento — Mano armata — Numero di dieci — Pena (Cod. pen. it., art. 247, 248, 257).
L'art. 257 del Cod. pen. quando parla di violenze o mi
nacele contro un pubblico ufficiale, agente o incaricato
di ima pubblica amministrazione, comprende Vusciere
che era incaricato di eseguire un atto di giustizia. E per conseguenza, il fatto d' insultare un usciere, e di
spingerlo violentemente fuori della porta, impedendo
gli di compiere un pignoramento, a seguito di sentenza esecutiva , costituisce il reato previsto e punito dal l'articolo 257 medesimo.
Il suddetto fatto non può costituire il reato di ribellione, di cui all'articolo 247, imperocché questo suppone Vat
tacco contro determinati ufficiali, ma non susseguito da effetto.
Quando le violenze o minaccìe che sopra abbiano luogo a mano armata in numero maggiore di dieci, sono
applicàbili le maggiori sanzioni penali, di cui àlVarti colo 248 (1).
La Corte, ecc. — Osserva in fatto che la Camera di
Consiglio, la sezione d'accusa ed il tribunale correzio
nale reputarono Francesco Martino responsabile del
reato contemplato dallo articolo 257 del Codice penale, sì che l'ultimo dei cennati Collegi lo condannò alla pena di tre anni di carcere. La Corte d'appello però, pur ri
tenendo che il Martino nell'atto che l'usciere di pretura Francesco Caruso si accingeva, in seguito di sentenza, ad eseguire in di lui casa un pignoramento aveva prima insultato il cennato uffiziale ministeriale o poscia gher mitolo pel braccio lo aveva sbalzato fuori della porta,
impedendogli così di procedere oltre alla esecuzione, dichiarava invece la reità nel senso degli articoli 247 e
251 del Codice citato e quindi riduceva la pena a soli tre mesi di carcere.
Di tale sentenza si dolgono il Ministero Pubblico ed il
condannato. L'uno sostiene la definizione del reato nel
senso dei primi tre collegi; l'altro deduce la violazione
degli stessi articoli di legge di cui la Corte d'appello ha
fatto applicazione.
Osserva in diritto che pel rammentato articolo 247 si
ha il reato di ribellione in due casi : o quando si usa attacco e resistenza con violenze o vie di fatto contro
talune determinate persone rivestite di qualità officiali, tra cui gli uscieri, allorché agiscono per la esecuzione
delle leggi, degli ordini dell'autorità pubblica, deiman
dati di giustizia e delle sentenze ; o quando si usa vio
lenza o via di fatto per isciogliere l'unione di un corpo
legittimamente deliberante, o per impedire la esecuzione
di una legge, di una decisione, o di una sentenza, o di
(1) In proposito ved. Nicolini, vol. 1, pag. 151 o 369. Ma la giurisprudenza, specialmente la francese e la belga, in base
all'art. 209 del C. p. fr., che corrisponde appunto all'art. 217 del C. p. nostro, non sempre ha seguito questo principio.
Così è stato deciso che costituisce il reato di ribellione : avere pro curato l'arresto di un usciere al momento che si presentava per pro^ cedere ad un atto del suo ministero, e di averlo rinchiuso in una
camera a pretesto di constatare la sua identità (C. Parigi, 15 marzo
1843, Jour. du Pai. 1813, par. I, pag. 601) ; essere accorsi armati di
forche e tridenti e, tenendoli alzati e pronti a colpire, avere per tal
mezzo facilitato l'evasione di un coscritto refrattario (Cass. frane., 28
maggio 1807, Sirey, t. VII, par. I, pag. 1161); avere violentemente af
ferrato e scacciato uno dei testimoni istrumentari, che assisteva un
notaio per la redazione di un testamento, impedendone la continua
zione (Cass. Belg., 28 febb., 1833, Giur. Belg. 1833, par. II, pag. 191); essersi da un notaio violentemente strappato dalle mani di un veri
ficatore d'insinuazione un atto redatto in contravvenzione alla legge del bollo, opponendosi alla continuazione della verifica ( Ruen, 25
gennaio 1844, Joitr. du Pal., par. II, pag. 126). Ma bisogna però avvertire, che il Codice penale francese non ha
un articolo che corrisponda precisamente all'art. 257 del Cod. pen.
nostro, ed è quindi necessità che certe figure di reato, le quali presso di noi hanno un carattere speciale e distinto, sieno comprese nella
figura generica della ribellione.
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