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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || adunanza plenaria; decisione 12 ottobre 1991, n. 8;...

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adunanza plenaria; decisione 12 ottobre 1991, n. 8; Pres. Crisci, Est. Perricone; Regione Abruzzo (Avv. dello Stato Ferri) c. Soc. Italcementi (Avv. Paoletti, Benvenuti, Lucchini), Comune S. Valentino in Abruzzo (Avv. Di Benedetto). Conferma Tar Abruzzo, sez. Pescara, 26 marzo 1983, n. 150 Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1992), pp. 263/264-269/270 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23187460 . Accessed: 25/06/2014 04:07 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.107 on Wed, 25 Jun 2014 04:07:35 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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adunanza plenaria; decisione 12 ottobre 1991, n. 8; Pres. Crisci, Est. Perricone; RegioneAbruzzo (Avv. dello Stato Ferri) c. Soc. Italcementi (Avv. Paoletti, Benvenuti, Lucchini),Comune S. Valentino in Abruzzo (Avv. Di Benedetto). Conferma Tar Abruzzo, sez. Pescara, 26marzo 1983, n. 150Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1992),pp. 263/264-269/270Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187460 .

Accessed: 25/06/2014 04:07

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PARTE TERZA

la riduzione dell'indennità solo nell'ipotesi in cui il vitto e l'al

loggio siano forniti o dall'amministrazione o da qualsiasi altro

ente pubblico, con ciò escludendosi, dalla fattispecie normati

va, il caso in cui l'ospitalità provenga da un privato. Il tribunale amministrativo ha accolto il ricorso, escludendo

la «gratuità» dell'ospitalità ricevuta dall'insegnante in America, dato che essa è stata obbligata a ricambiare in Italia, a sue

spese, tale ospitalità. (Omissis) Diritto. - L'appello è infondato.

Va precisato anzitutto che lo scambio culturale di classi del

l'istituto professionale di Stato di via Aquilonia 30 in Roma

con classi di una scuola dello stesso tipo degli Stati uniti d'A

merica, nel periodo dal 28 settembre al 19 ottobre 1984, orga nizzato dall'agenzia interculturale di Roma, è stato autorizzato

(seppure in via del tutto eccezionale) dal ministero della pubbli ca istruzione con provvedimento del 29 settembre 1984 e che

tale autorizzazione si estendeva agli insegnanti accompagnatori. Risulta allora priva di consistenza la censura dell'amministra

zione appellante secondo la quale non sarebbe stata tenuta nel

debito conto l'osservazione mossa in prime cure che alla corre

sponsione della indennità di missione sarebbe stato d'ostacolo, in radice, la circostanza che, nella specie, non ricorreva «una

situazione di stretto servizio». Secondo l'amministrazione, in

fatti, da una parte, i docenti coinvolti nell'iniziativa sarebbero essi stessi beneficiari di arricchimento culturale al pari degli al

lievi dell'istituto professionale e, per altro verso, l'iniziativa sa

rebbe inserita in un contesto organizzatorio proprio del comune

di Roma.

È del tutto evidente, invero, che solo dall'autorizzazione mi

nisteriale deriva la legittimazione dell'insegnante ad accompa gnare gli alunni dell'istituto professionale all'estero, mentre nes

sun rapporto si è instaurato — né poteva instaurarsi, ostandovi

la normativa sul pubblico impiego statale — tra la stessa e l'en

te finanziatore (comune di Roma) o l'agenzia intercultura di

Roma organizzatrice del soggiorno-studio della scolaresca negli Stati uniti d'America.

Il rapporto di servizio tra la docente e l'amministrazione sco

lastica statale è rimasto, perciò, pieno anche nel periodo di tem

po in cui lo scambio culturale è avvenuto. Ed il rapporto di

pubblico impiego che intercorre tra la docente e l'amministra

zione statale non è rimasto scalfito neppure per il fatto che lo

scambio culturale fosse — come l'appellante sostiene — orga nizzato anche nell'interesse di arricchimento culturale dei do

centi accompagnatori, si che non potesse, nel periodo conside

rato, «riscontrarsi da parte della ricorrente una situazione di

stretto servizio».

L'attività svolta nell'occasione dall'appellata — seppure ab

bia potuto indubbiamente comportare l'acquisizione da parte sua di cognizioni ed esperienze nuove, come del resto si verifica o può verificarsi anche nella quotidianità del lavoro in ispecie del lavoro intellettuale — è stata, sempre e soltanto quella isti tuzionalmente assegnatale dalla sua funzione, e cioè l'attività di insegnante nelle scuole statali della lingua inglese.

Ciò premesso, il collegio osserva che, con riferimento alla circolare ministeriale n. 66 del 16 febbraio 1985 ed al provvedi mento del preside dell'istituto che disponeva il pagamento a fa vore dell'appellata delle diarie per la missione di accompagna mento nella misura ad un quarto, mentre non ricorre la denun ciata trasgressione del disposto dell'art. 9, 3° comma, 1. 18

dicembre 1973 n. 836, essendo la fattispecie in esame affatto diversa da quella ipotizzata dalla norma (missione con fruizione

di alloggio o vitto gratuito fornito dall'amministrazione o da

qualsiasi altro pubblico ente), sussiste, invece, la violazione e la falsa applicazione dell'art. 6, 4° comma, r.d. 3 giugno 1926

n. 941 (che è disposizione specifica del trattamento). Al punto 2.4 la menzionata circolare dispone che nel caso

in cui sia previsto lo scambio di ospitalità tra gli insegnanti ac

compagnatori dei due paesi, le indennità da corrispondere agli interessati sono ridotte, ai sensi del citato art. 6, 4° comma, r.d. 941/26 ad un quarto se fruiscono di alloggio e vitto gratuito.

La disposizione della circolare non appare, però, conforme al dettato del suddetto art. 6, perché questo impone la riduzio ne ad un quarto dell'indennità di missione all'estero soltanto se il personale civile (o militare) dello Stato «comunque fruisca di trattamento gratuito» (alloggio e vitto), ma non fornisce al

cuna disciplina per il caso di reciprocità di ospitalità gratuita tra soggetti impiegati italiani e di uno Stato estero.

Il Foro Italiano — 1992.

Dalla norma dell'art. 6 si desume, invero, il principio che

quando il dipendente statale in missione all'estero goda di trat

tamento gratuito le relative diarie debbono essere ridotte ad un

quarto.

Ma, tale principio non può trovare ovviamente applicazione le quante volte la gratuità del trattamento sia solo apparente. Se cosi è, il dipendente inviato all'estero deve essere integral mente ristorato delle spese di alloggio e vitto sostenute con la

corresponsione della indennità di missione senza alcuna de

trazione.

È quanto si verifica allorché il dipendente statale — come

nella specie — abbia l'obbligo di ricambiare al collega straniero

l'ospitalità gratuita ricevuta.

In questo caso il soggiorno all'estero non riveste indubbia

mente il carattere della gratuità contemplato dall'art. 6, 4° com

ma, r.d. 941/24, giacché quel che l'impiegato risparmia all'este

ro lo spende in patria. Né l'onerosità dello scambio dell'ospita lità può essere contestata in ragione dell'entità delle prestazioni, perché queste per quanto ridotte costituiscono comunque un no

tevole impegno anche economico per il dipendente. Per le suesposte considerazioni l'appello deve essere respinto

con la conferma della sentenza impugnata.

CONSIGLIO DI STATO; adunanza plenaria; decisione 12 ot

tobre 1991, n. 8; Pres. Crisci, Est. Perricone; Regione Abruz

zo (Avv. dello Stato Ferri) c. Soc. Italcementi (Avv. Paolet

ti, Benvenuti, Lucchini), Comune S. Valentino in Abruzzo

(Avv. Di Benedetto). Conferma Tar Abruzzo, sez■ Pescara, 26 marzo 1983, n. 150.

Edilizia e urbanistica — Piano regolatore — Coltivazione di

cava — Sottoposizione a concessione — Illegittimità.

È illegittima la norma del piano regolatore generale di un co

mune che sottopone indiscriminatamente a previa concessio

ne o autorizzazione edilizia la coltivazione delle cave. (1)

(1) L'ordinanza di rimessione della sez. IV, 12 dicembre 1990, n.

1007, è riportata in Cons. Stato, 1990, I, 1531. La giurisprudenza sul rapporto tra disciplina urbanistica e attività

estrattiva da cave, ha come punto di riferimento obbligato la decisione dell'adunanza plenaria 9 marzo 1982, n. 3, Foro it., 1982, III, 289 (an notata da Traina, ibid., 351; da Travi, in Regioni, 1982, 711), che, innovativamente, argomentando dalla possibilità per la pianificazione urbanistica di limitare gli usi del territorio pregiudizievoli al rispetto dell'assetto ambientale e paesaggistico, ha dichiarato la legittimità della disposizione di un piano regolatore (nella specie, di Portovenere, in riferimento alle isole della Palmaria e del Tino), che imponeva il divieto di coltivazione di cava (nella specie, pure in galleria).

Al precedente dell'adunanza plenaria ha poi aderito, tra l'altro, sez. VI 20 novembre 1986, n. 865, Foro it., 1988, III, 205, che ha confer mato la legittimità della disposizione, stavolta di un programma di fab bricazione che, al fine di evitare deturpazioni ambientali, vietava la col tivazione di cave in determinate zone del territorio comunale; anche la nota redazionale ad essa indicava il persistere dell'orientamento giu risprudenziale secondo il quale per la coltivazione delle cave non è ne cessaria la concessione di costruzione, richiesta solo per le eventuali

opere edilizie accessorie. Anche la decisione in rassegna si richiama a ad. plen. 3/82; ma, poi,

si sviluppa in una prospettiva diversa, perché finalizzata ad una conclu sione in un certo senso opposta, per quel che riguarda il rapporto tra la coltivazione delle cave e i poteri urbanistici: ossia, che tale attività

estrattiva, neppure in forza di una previsione di piano regolatore, possa essere sottoposta al normale regime di controllo comunale dell'attività edilizia e urbanistica imperniato sulle concessioni e sulle autorizzazioni rilasciate dal sindaco; e perviene a questa conclusione, non negando il collegamento tra la limitazione di tale coltivazione e le esigenze di tutela dell'ambiente e del paesaggio già rilevato da ad. plen. 3/82, ed anzi addirittura accentuandolo; ma anche affermando che i suddetti

poteri di disciplina edilizia e urbanistica spettanti ai comuni non posso no condizionare in modo totalizzante anche tutti gli altri possibili usi del territorio; e sottolineando che la cura degli interessi pubbli

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Diritto. — Con la sentenza impugnata il Tar dell'Abruzzo

ha negato che il controllo urbanistico sulle cave possa manife

starsi nella sottoposizione all'obbligo di ottenere la concessione

o l'autorizzazione edilizia.

Sostiene la regione Abruzzo appellante che le attività estratti

ve di apertura e coltivazione di cave, al di là della propria disci

plina di settore, hanno rilievo nel quadro degli interessi pubblici

(in particolare quelli di tutela ambientale) che fanno capo alla

gestione urbanistica del territorio, si che il piano regolatore co

munale è sede di legittima regolamentazione, ai fini urbanistici, di tale attività.

Ne consegue, secondo l'appellante, che, non essendo stato

posto un divieto assoluto di coltivazione di cave — nel quale caso l'amministrazione sarebbe stata tenuta a motivare l'impo sizione di siffatto divieto — correttamente con la Nta è stata

prevista la concessione «per le modificazioni del suolo e degli

impianti per l'esplicazione dell'attività estrattiva» (art. 27) e l'au

torizzazione del sindaco «per la prosecuzione della coltivazione

di cave già in attività» (art. 45). Per delimitare l'ambito della vertenza, va precisato che il ri

corso di primo grado, contrariamente a quanto sembra emerge re a p. 12 dell'atto d'appello, ha per oggetto l'imposizione della

concessione edilizia per la coltivazione delle cave, restando non

contestata, come del resto appare logico, la necessità della con

cessione edilizia per la realizzazione di impianti e strutture per le coltivazioni delle cave stesse.

Ciò premesso, si osserva che in materia di cave e torbiere

esiste una minuta regolamentazione di settore che disciplina l'at

tività estrattiva in relazione alla sua attinenza all'interesse pub blico allo sfruttamento dei minerali nazionali, in funzione della

salvaguardia di siffatto interesse è previsto un sistema di auto

rizzazioni e concessioni già di competenza dell'amministrazione

dell'industria e commercio e dei rispettivi organi periferici, non

ché, ora, delle regioni (v. anche art. 117 Cost.). La regolamentazione in parola non esclude — come afferma

to dall'adunanza plenaria con decisione 9 marzo 1982, n. 3 (Fo ro it., 1982, III, 289) — l'incidenza sull'attività estrattiva di

ci inerenti alla tutela dell'ambiente e del paesaggio è affidata in primo

luogo alle amministrazioni regionali, e non a quelle comunali (per rife

rimenti sul riparto delle competenze in materia, v., ora, per l'accentua

zione del ruolo delle province al riguardo, gli art. 14 e 15 1. 8 giugno 1990 n. 142, su cui Corte cost. 15 luglio 1991, n. 343, id., 1992, I,

316, con osservazioni di Benini.

Successivamente alle pronunce richiamate nella nota a sez. VI 865/86,

v., nel senso che per la coltivazione di cave non è richiesta la concessio

ne di costruzione, necessaria solo per le eventuali opere edilizie accesso

rie, Cass. 6 luglio 1988, Demontis, id., Rep. 1990, voce Edilizia e urba

nistica, n. 360; 22 aprile 1988, Angelotti, id., Rep. 1989, voce cit., n.

382; Trga Trento 25 marzo 1989, n. 79, ibid., n. 383; Tar Lazio, sez.

Latina, 3 dicembre 1987, n. 964, id., Rep. 1988, voce Miniera, n. 22, che esclude l'applicabilità alla coltivazione di cave pure del regime re

pressivo per le costruzioni abusive; sotto questo profilo, nel senso che

rientra comunque nella giurisdizione del giudice amministrativo il ricor

so contro il provvedimento col quale il sindaco ordini la sospensione dell'attività estrattiva per violazione della disciplina urbanistica, Cass.

2 febbraio 1990, n. 726, id., Rep. 1990, voce Edilizia e urbanistica, n. 359; 5 febbraio 1988, n. 1205, id., Rep. 1988, voce cit., n. 333.

E, per quel che riguarda l'assetto da dare al conflitto tra l'interesse

pubblico intrinseco all'attività estrattiva e gli altri interessi publici che

condizionano le modalità di uso del territorio: Cons. Stato, sez. VI, 13 dicembre 1990, n. 1063, Cons. Stato, 1990, I, 1586, che afferma

che la coltivazione di cave può essere limitata a tutela dell'ambiente

e del paesaggio; 18 marzo 1991, n. 175 e 11 maggio 1991, n. 289, id.,

1991, I, 517 e 996, che consentono che i comuni giuochino un ruolo

nello stesso senso, nella prospettiva di legislazioni regionali, rispettiva

mente, del Veneto e della Toscana (sulla rilevanza della legislazione

regionale in materia, v., esemplificativamente, Corte cost. 27 aprile 1988, n. 499, id., 1989, I, 3085, con nota di richiami); Tar Puglia, sez. I,

6 novembre 1989, n. 507, id., Rep. 1990, voce Miniera, n. 11, che

afferma l'incompatibilità dell'attività estrattiva con la destinazione agricola che il piano regolatore abbia impresso alla zona; per qualche altro rife

rimento, Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 1990, n. 389, ibid., voce Edili

zia e urbanistica, n. 191. Sulla subordinazione dell'attività estrattiva

in zona soggetta a vincolo idrogeologico, ad autorizzazione da parte dell'autorità forestale, Corte cost. 15 luglio 1985, n. 201, id., 1988,

I, 64, con osservazioni di Verrienti e nota di Meli (annotata anche

da Sica, in Regioni, 1986, 153). In dottrina, tra gli altri, Vesperini, in Riv. giur. urbanistica, 1989,

205; Quaglia, in Quaderni regionali, 1988, 973; Cacciavillani, in Riv.

giur. urbanistica, 1987, 480.

Il Foro Italiano — 1992.

norme contenute in altre leggi, dirette a disciplinare profili atti

nenti ad interessi diversi. Poiché detta attività è da annoverare

fra quelle atte ad incidere su ambiente e paesaggio, è possibile che la medesima venga a tal fine in considerazione nelle leggi

riguardanti questa materia e, altresì', in sede di formazione degli strumenti urbanistici, per imporre vincoli a tutela di zone con

rilevanza ambientale o paesistica.

Tuttavia, la questione centrale posta dalle censure dell'appel

lante, in relazione alle quali la sezione quarta ha rimesso l'ap

pello a questa adunanza plenaria, è se le attività cosiddette estrat

tive cadano o meno sotto la normale disciplina urbanistica au

torizzatoria o concessoria, e se, quindi, sia o meno necessaria

o ammissibile per l'apertura e coltivazione di cava (per tale atti

vità in sé considerata, a parte gli impianti ed altre opere edilizie

in senso proprio) la concessione prevista dall'art. 1 1. n. 10 del

1977 (nonché l'autorizzazione del sindaco per la prosecuzione

di attività di cava). Sul punto, va rilevato che per la giurisprudenza di questo

consiglio (Cons. Stato, sez. V, 5 marzo 1983, n. 73, Foro it.,

Rep. 1983, vóce Edilizia e urbanistica, n. 405; sez. VI 30 marzo

1982, n. 155, id., Rep. 1982, voce cit., n. 723; 24 ottobre 1980,

n. 965, id., Rep. 1981, voce cit., n. 387; 8 luglio 1980, n. 711,

id., Rep. 1980, voce cit., n. 407; 12 febbraio 1980, n. 159, ibid.,

voce cit., n. 406) nonché per quella della Corte di cassazione

(Cass. 6 luglio 1988, Demands, id., Rep. 1990, voce cit., n.

360; 4 febbraio 1985, Colleoni, id., Rep. 1986, voce cit., n.

458; 6 luglio 1983, Mucciacciaro, id., Rep. 1984, voce cit., n.

364; 13 giugno 1983, Petrucci, ibid., n. 366; 18 marzo 1983,

Mariotti, ibid., n. 368; 14 marzo 1983, Porru, ibid., n. 369;

23 febbraio 1983, Rho, ibid., n. 370; 10 gennaio 1983, Carbo

netti, ibid., n. 372; 11 giugno 1982, Varchetta, id., Rep. 1983,

voce cit., n. 403; 18 maggio 1982, Apostoli, ibid., n. 400; 2

marzo 1981, Ricotti, id., Rep. 1982, voce cit., nn. 355-361; 26

novembre 1979, Maggioni, id., Rep. 1980, voce Miniera e cava,

n. 8), le attività estrattive non sono soggette ad autorizzazione

o concessione dell'autorità comunale, neppure dopo l'entrata

in vigore della 1. n. 10 del 28 gennaio 1977.

La tesi contraria si basa essenzialmente sulla portata innova

tiva della 1. n. 10 del 1977, che avrebbe concluso un lungo pro

cesso evolutivo della legislazione tendente a realizzare una gra

duale «socializzazione» della proprietà delle aree e quindi a com

porre, in una visione pianificata ed unitaria dell'uso di tutte

le risorse del territorio, la molteplicità degli interessi inerenti

alle esigenze di vita delle comunità di base.

Questa adunanza plenaria ritiene di confermare il prevalente

indirizzo, pur tenendo conto delle innovazioni via via introdotte

dalla legislazione statale nella materia urbanistica di competen

za comunale e regionale. Nel nostro ordinamento l'istituzione degli strumenti di piani

ficazione urbanistica fu, originariamente, operata con riguardo

alla sola attività edilizia inerente i nuclei abitati, ed entro tali

limiti di oggetto tali strumenti vennero, per lungo tempo, man

tenuti.

Una prima novità nella materia si ebbe con la 1. 17 agosto

1942 n. 1150, il cui art. 7 stabiliva, al 1° comma, che il piano

regolatore generale doveva considerare la totalità del territorio

comunale, anche se continuava a limitare il suo ambito d'inter

vento alla sola attività edificatoria propriamente detta.

Siffatta limitazione veniva, peraltro, superata con la 1. 19 no

vembre 1968 n. 1187, la quale, nell'art. 1, accanto alla necessa

ria considerazione da parte del piano dell'intero territorio co

munale, introduceva la prescrizione che lo stesso dovesse, tra

l'altro, indicare i vincoli da osservare nelle zone a carattere sto

rico, ambientale e paesistico.

In tal modo, allo sganciamento, avvenuto nel 1942, dei piani

regolatori generali dal loro originario stretto riferimento ai nu

clei abitati, si aggiungeva l'ulteriore elemento della loro inci

denza anche su parti inedificate ed inedificabili del territorio

comunale, in funzione di prevenzione da possibili fattori pre

giudizievoli alla tutela ambientale, storica e paesistica. Anche

per quanto riguarda la nozione urbanistica in senso proprio,

vi è stata un'evoluzione.

Se il vecchio regolamento edilizio (art. 33 1. n. 1150 del 1942)

conteneva soltanto astratte indicazioni di valori, misure e rap

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PARTE TERZA

porti, il piano regolatore, il programma di fabbricazione, e via

via gli altri strumenti urbanistici previsti da leggi speciali, sono

invece abilitati ad individuare anche le linee di sviluppo dell'ag

gregato urbano ed a localizzare gli interventi sul territorio preor dinati ad assicurare standards minimi di servizi sociali (art. 1

1. 19 dicembre 1968 n. 1187, che modifica l'art. 7 legge urbani

stica; art. 17, 8° e 9° comma, 1. n. 765 del 1967; d.m. 2 aprile

1968); infine, le esigenze di vita delle collettività insediate sul

territorio hanno reso indispensabile un ampliamento ed una spe cificazione del concetto di «opere di urbanizzazione», i cui costi

sociali si è ritenuto necessario ridistribuire in modo più equo

per la comunità (cfr. art. 8 1. n. 765 del 1967 per le lotizzazioni

convenzionate ed ora, art. 3 1. n. 10 del 1977. Questo graduale

ampliamento del concetto di urbanizzazione si può seguire at

traverso la lettura degli art. 10 1. 18 aprile 1962 n. 167, 4 1.

29 settembre 1964 n. 847, 44 1. 22 ottobre 1971 n. 865) e tutto

ciò dimostra un progressivo espandersi della disciplina urbani

stica in senso lato, che tende a realizzarsi nei suoi contenuti

e nei suoi scopi, ponendosi essa stessa come fattori di propul sione dello sviluppo ordinato della comunità territoriale.

Ciò posto, se non è contestabile che un mutamento vi sia

stato nell'individuazione dei limiti del potere pianificatorio del

le autorità comunali, non può però affermarsi che questa linea

di tendenza abbia trovato sbocco nella 1. 28 gennaio 1977 n.

10, sino al punto di attribuire al comune il totale governo del

territorio e lo specifico autonomo controllo su qualsiasi aspetto delle aree relative o su qualsiasi attività su di esse incidente.

Una cosa è, infatti, che il piano regolatore possa imporre,

motivatamente, vincoli di carattere generale a difesa di zone

di particolare pregio ambientale o artistico o storico, individua

te specificamente e preventivamente, una cosa è consentire che

il comune si ingerisca caso per caso e in qualsiasi parte del terri

torio comunale nelle attività imprenditoriali estrattive, proce dendo di volta in volta ad apprezzamenti discrezionali, rilasciando

concessioni od autorizzazioni e percependo proventi a compen so di urbanizzazioni improbabili, o nell'esercizio di una specie di ius eminens.

Al riguardo va osservato che l'ordinamento, sulla base del

l'art. 117 Cost., si è preoccupato di definire esattamente ed evi

tando dannose sovrapposizioni, i rapporti tra lo Stato e le altre

articolazioni territoriali, da un lato, nonché, dall'altro lato, i

confini interni tra le varie sfere di competenza pertinenti al com

plesso regioni - enti territoriali minori.

Dall'analisi del sistema emerge che, a parte le competenze statali su materie di interesse dell'intera comunità o su questio ni interregionali, la regione è semmai l'ente cui in definitiva

spetta l'apprezzamento della totalità degli interessi emergenti dalla

dimensione territoriale — costituzionalmente definita — della comunità che in essa si organizza e giuridicamente si esprime: alla regione, e non ad altri, Costituzione e leggi statali attuative

demandano l'approvazione dei piani territoriali di coordinamento

(art. 5 1. n. 1150 del 1942; art. 1, lett. a, d.p.r. n. 8 del 1972, art. 1, lett. d), dei piani di zona per l'edilizia popolare ed eco

nomica (d.p.r. n. 8, art. 1, lett. f), la redazione ed approvazio ne dei piani territoriali paesistici (art. 5 1. n. 1497 del 1939; art. 1, lett. c, d.p.r., n. 8 del 1972), l'approvazione dei piani di assetto del territorio e le indicazioni programmatiche e di

urbanistica commerciale vincolanti per i piani di sviluppo ed

adeguamento della rete commerciale del comune (art. 11, 12, 13 e 14 1. 11 giugno 1971 n. 426, art. 32 d.m. 14 gennaio 1972, modificato dall'art. 21 d.m. 28 giugno 1976, che approva il re

golamento di esecuzione della 1. n. 426), l'approvazione dei pia ni regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale (art. 146 t.u. delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno approvato con d.p.r. 30 giugno 1967 n. 1523; art. 4 1. 6 ottobre 1971 n.

583), la redazione dei piani di risanamento delle acque (art. 4 1. 10 maggio 1976 n. 319), e cosi via.

Da tale quadro emerge la disarmonia con le linee e con gli indirizzi della legislazione vigente, di iniziative pianificatone volte ad attribuire ai comuni distinti e aggiuntivi poteri concessori

o autorizzatoti, al di là della materia urbanistica, sia pure am

piamente intesa.

D'altra parte, va ribadito che il legislatore ha sempre tenuto

presente la distinzione fra tutela ambientale e tutela strettamen

II Foro Italiano — 1992.

te urbanistica, come emerge dalle integrazioni apportate dalle

leggi 6 agosto 1967 n. 765, 19 novembre 1968 n. 1187, 1° giu

gno 1971 n. 291, 22 ottobre 1971 n. 865 nei confronti della

fondamentale legge urbanistica n. 1150 del 1942. Integrazioni che riguardano, fra l'altro, la possibilità, in sede di approvazio ne del piano generale, di un controllo da parte dell'allora mini

stro della pubblica istruzione, sulle bellezze naturali ed ambientali.

Con il d.p.r. 15 gennaio 1972 n. 8, è stata trasferita alle re

gioni la parte delle competenze ambientali ritenuta inscindibile

dal regime urbanistico, mentre sono rimaste in capo allo Stato

le altre funzioni amministrative non espressamente elencate dal

decreto stesso, e comunque non attinenti l'urbanistica.

Con il secondo trasferimento di funzioni alle regioni, sempre

più è stato determinato lo spazio riservato allo Stato in materia

ambientale. Infatti, mentre con il d.p.r. n. 8 del 1972 era rimes

sa all'interprete la distinzione tra la materia ambientale oggetto dell'urbanistica e materia ambientale che residuava alla compe tenza statale, con l'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977 è stata precisa ta la ripartizione fra le materie.

A questo proposito, va sottolineato che proprio la suddetta

normativa rappresenta il punto di riferimento per la legislazione

regionale, dettando i principi fondamentali in materia di cava

entro cui può manifestarsi la potestà legislativa concorrente (Corte cost. 1° febbraio 1982, n. 7, id., 1982, I, 1834).

La pianificazione urbanistica, quindi, va integrata, armoniz

zata e coordinata con altre forme e tipi di intervento sul territo

rio, ed è chiaro che non può essere il comune, ente territoriale

minore, a mediare tali e tanti interessi di diverso segno, che

la Costituzione vuole invece espressi quantomeno a livello re

gionale. La pianificazione totale del territorio, pertanto, se può consi

derarsi il punto d'approdo della completa attuazione dell'ordi

namento regionale, non vale a legittimare l'estensione alle cave

dell'istituto della concessione comunale, istituto che è tipico della

materia urbanistica quale definita dall'art. 1 1. n. 10 del 1977,

riguardante le concessioni edilizie.

Ed in tale senso, del resto, si è mossa la stessa regione appel lante con due leggi (12 aprile 1983 n. 18 e 26 luglio 1983 n.

54) — assunte successivamente all'adozione della sentenza im

pugnata e quindi qui richiamate esclusivamente a conferma de

gli orientamenti già ordinati —, con le quali è stata precisata la disciplina di riferimento per l'attività di coltivazione, sia in

ordine alla sua correlazione con i profili di pianificazione terri

toriale regionale, sia con riguardo ai presupposti autorizzati e

gestionali dell'attività in sé intesa.

Il quadro normativo desumibile dalle due leggi citate porta ad individuare una rilevanza dell'attività di cava a livello mera

mente di programmazione regionale in ordine al territorio, e la esclusione — perché, altrimenti, vi sarebbe stata espressa pre visione nell'una o nell'altra legge — dell'obbligo della conces

sione edilizia per l'attività medesima con il riconoscimento di

una competenza sovracomunale tanto per i profili di tutela am

bientale connessi alla detta attività estrattiva, quanto in relazio

ne ai presupposti ed alle procedure per l'assentimento dell'atti vità in parola. Per altro verso, va osservato che trasformazione

urbanistica e trasformazione edilizia del territorio, di cui all'art.

1 1. 28 gennaio 1977 n. 10, sono espressioni che corrispondono alla distinzione fra incremento edilizio e sviluppo urbanistico.

Tale distinzione era già presente nell'art. 1 1. n. 1150 del 1942, e non va dimenticato che l'art. 7 della stessa legge, ancora pri ma delle modifiche apportate dalle leggi n. 765 del 1967 e n.

1187 del 1968, tale distinzione poneva a fondamento del proces so pianificatorio dell'intero territorio comunale, appunto con

trapponendo la programmazione dell'attività edilizia in senso

stretto a quella avente ad oggetto le direttrici di espansione del

l'aggregato urbano, nonché l'individuazione di aree da desti narsi ad opere ed impianti di interesse collettivo e sociale.

Ma si tratta pur sempre di attività che attengono alle necessi

tà di vita connesse con il «fatto» di un insediamento abitativo:

interventi, localizzazioni, opere di urbanizzazione, più in gene

re, distribuzione di spazi ed adeguamenti di forme e strutture, sono volti a realizzare una crescita ordinata, in senso edilizio urbanistico appunto, della comunità in quanto stabilmente inse

diata sul territorio; e sono quindi le specifiche esigenze sottese

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Page 5: PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || adunanza plenaria; decisione 12 ottobre 1991, n. 8; Pres. Crisci, Est. Perricone; Regione Abruzzo (Avv. dello Stato Ferri) c. Soc. Italcementi

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

dallo sviluppo dell'urbs i fattori che condizionano la pianifica zione urbanistica e sono da questa condizionati.

Da tutto quanto sopra detto, emerge che là dove l'art. 1 1.

28 gennaio 1977 n. 10 richiede la concessione per qualsiasi tras

formazione edilizia o urbanistica del territorio comunale, non

si riferisce comunque alle attività estrattive in genere ed a quelle concernenti lo sfruttamento dei giacimenti di cava, in specie.

Lo sfruttamento delle risorse minerarie è, infatti, una tipica attività d'impresa che, proprio per la particolare natura del be

ne sul quale l'attività stessa si esercita, costituisce oggetto di

un'autonoma considerazione normativa, e pur incidendo, ov

viamente, sul territorio (cosi da giustificare eventuali limitazioni

e vincoli generali da adottare nella sede competente), non può

qualificarsi come trasformazione edilizia o urbanistica in senso

proprio. La sottoposizione ad un regime accessorio e aggiuntivo di

carattere concessorio o autorizzatorio da parte del comune, avreb

be del resto richiesto una chiara previsione da parte del legisla tore statale, accompagnata quanto meno da norme transitorie

atte a salvaguardare le situazioni pendenti, previsione che non

può ritenersi introdotta, come accennato, con una formula qual è quella contenuta nell'art. 1 1. n. 10 del 1977.

Tale conclusione non può dirsi smentita per effetto dell'art.

7 d.l. n. 9 del 1982, il quale prevede l'autorizzazione gratuita

per rinterri e scavi che non riguardino la coltivazione di cave

e torbiere. Tale norma non sottende affatto il riconoscimento,

in via di interpretazione autentica, che le attività concernenti

la coltivazione di cave e torbiere sono soggette al regime più

gravoso delle concessioni. Al contrario, quella disposizione for

nisce l'ulteriore conferma del fatto che l'attività estrattiva esula

dalla potestà urbanistica comunale e non soggiace a provvedi mento di concessione od autorizzazione da parte dell'autorità

urbanistica. In altri termini, la norma si interpreta nel senso

che il regime autorizzatorio va applicato agli scavi e rinterri

in genere, ma non agli scavi e rinterri che riguardino cave o

torbiere; ciò perché in ordine a questi ultimi scavi l'autorità

comunale non ha potere di controllo, né sotto la forma dell'au

torizzazione, né, a maggior ragione, sotto la forma della con

cessione.

A queste considerazioni possono aggiungersi quelle più mar

ginali relative alla difficoltà di adattamento di taluni istituti del

la normativa urbanistica alle attività estrattive. Non può infatti

ignorarsi che alcuni caratteri peculiari della concessione edilizia

(quali ad esempio la sua efficacia limitata al tempo dell'edifica

zione) non appaiono logicamente coordinabili con l'intrinseca

natura dell'attività imprenditoriale di cava (che è continuativa

e a tempo indefinito), se non a patto di introdurre nella struttu

ra stessa del provvedimento concessorio modifiche tali da alte

rarne la naturale fisionomia giuridica (ad esempio, concesisoni

a tempi lunghi con molteplici successive proroghe, indispensabi li per assicurare la continuità dello sfruttamento minerario e

quindi la remunerazione dei fattori ivi impiegati). Ha rilevanza anche la considerazione svolta dal giudice di

primo grado che il contributo di concessione attiene al più ge nerale problema dell'incidenza degli oneri d'urbanizzazione e

della loro ripartizione tra la collettività e i singoli beneficiari;

onde l'onerosità della concesisone trae fondamento dalla consi

derazione che dall'utilizzazione a fini edificatori di una parte

del territorio derivano pesanti oneri per la collettività, che do

vrà provvedere alla realizzazione di infrastrutture necessarie per

collegare il nuovo insediamento ai servizi urbani. Ciò, ovvia

mente, non accade per le cave e per le attività estrattive in genere.

L'appello deve, pertanto, essere respinto e confermata la sen

tenza impugnata.

Il Foro Italiano — 1992.

I

CONSIGLIO DI STATO; commissione speciale; parere 29 ot

tobre 1990, n. 264/89; Min. lavoro.

Impiegato dello Stato e pubblico — Destituzione di diritto —

Domanda di riammissione in servizio — Effetti (D.p.r. 10

gennaio 1957 n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 85, 91, 97; 1. 7 febbraio 1990 n. 19, modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destitu

zione dei pubblici dipendenti, art. 9, 10).

La domanda di riammissione in servizio, ai sensi dell'art. 10

l. 19/90, del pubblico dipendente destituito di diritto, non

implica l'immediato ripristino del rapporto di impiego né il

riconoscimento di suoi servizi e la corresponsione di arretrati

di stipendio, che conseguiranno solo dalla conclusione del pro cedimento disciplinare, ove questo non sia di conferma della

destituzione. (1)

II

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL FRIULI-VENEZIA GIULIA; sentenza 30 luglio 1991, n. 424;

Pres. Pellingra, Est. Zaballi; Mazzoni (Avv. Mussato) c.

Min. difesa (Avv. dello Stato Galletto).

Militare — Cessazione dal servizio — Riammissione — L. 19/90 — Inapplicabilità (Cod. pen. mil. pace, art. 29, 33; 1. 7 feb

braio 1990 n. 19, art. 10).

Non può essere riammesso in servizio previo procedimento di

sciplinare, ai sensi dell'art. 10 I. 19/90, il militare che ne sia

cessato per perdita del grado per condanna penale. (2)

(1-2) Nella vicenda della destituzione di diritto dei pubblici dipenden ti in seguito a loro condanna penale, il momento decisivo è costituito dalla sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, Foro it., 1989, I, 22, con nota

di G. Virga, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato la inco

stituzionalità dell'art. 85 d.p.r. 3/57 che la disponeva per gli impiegati civili dello Stato, e di altre norme che la comminavano per i dipendenti di altri settori (della stessa corte v., successivamente, l'ordinanza 6 lu

glio 1989, n. 377, id., Rep. 1990, voce Impiegato dello Stato, n. 1146, annotata da D'Orazio, in Giur. it., 1990, I, 1, 12).

La giurisprudenza amministrativa si è subito conformata alla senten

za suddetta (per riferimenti sulla sua rilevanza, Tar Marche 11 maggio 1989, n. 100, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 1152, che la ha ritenuta

applicabile immediatamente, ossia senza necessità di un nuovo giudizio di costituzionalità, ai dipendenti degli enti pubblici non economici, per ché l'art. 12 1. 70/75 estende loro la disciplina vigente per gli impiegati civili dello Stato, mediante un rinvio da doversi qualificare «formale»; ma anche Tar Puglia, sez. II, 22 dicembre 1989, n. 858, Trib. amm.

reg., 1991, I, 1103, che ha affermato la legittimità della destituzione

di diritto di dipendenti dell'Inps in forza di una disposizione del regola mento dell'ente, anche dopo la citata sentenza della Corte costituziona

le, e fino a che l'organo competente non la adegui a questa). La deci

sione di riferimento è stata quella dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato 15 marzo 1989, n. 6, Foro it., 1989, III, 341, con nota di

richiami, che ha affermato la illegittimità della destituzione di un pub blico dipendente, pronunciata non a seguito di un provvedimento disci

plinare nel corso del quale anche i fatti accertati in sede penale siano

stati adeguatamente e puntualmente valutati dall'angolo visuale dell'am

ministrazione. Nello stesso senso, le pronunce ulteriori, di solito in rife

rimento a provvedimenti di destituzione anteriori alla pronuncia della

corte, ma non ancora divenuti inoppugnabili, oppure impugnati, ma

il giudizio sui quali fosse ancora pendente: Tar Abruzzo, sez. Pescara, 18 aprile 1990, n. 324, id., 1991, III, 193, con nota di richiami (con indicazioni della giurisprudenza amministrativa formatasi nel frattem

po, nonché di altri coerenti sviluppi di quella della Corte costituziona

le), pronunciata nel corso del giudizio a partire dal quale era stata emessa

dalla Corte costituzionale la sentenza 19 dicembre 1986, n. 270, id.,

1987, I, 1957, con nota di richiami, di inammissibilità della questione poi accolta con la sentenza 971/88; e, sucessivamente: Cons. Stato, sez.

VI, 27 marzo e 25 agosto 1990, nn. 409 e 754, id., Rep. 1990, voce

cit., nn. 1147, 1095; Tar Toscana, sez. I, 30 maggio 1990, n. 504, ibid., n. 1154; Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio e 15 marzo 1991, nn. 56 e

251, Cons. Stato, 1991, I, 46 e 423; sez. IV 16 maggio 1991, n. 390,

ibid., 871; Cons, giust. amm. reg. sic. 23 ottobre 1991, n. 400, ibid., 1588.

La giurisprudenza non poteva intervenire sui provvedimenti di desti

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