adunanza plenaria; decisione 12 ottobre 1991, n. 8; Pres. Crisci, Est. Perricone; RegioneAbruzzo (Avv. dello Stato Ferri) c. Soc. Italcementi (Avv. Paoletti, Benvenuti, Lucchini),Comune S. Valentino in Abruzzo (Avv. Di Benedetto). Conferma Tar Abruzzo, sez. Pescara, 26marzo 1983, n. 150Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1992),pp. 263/264-269/270Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187460 .
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PARTE TERZA
la riduzione dell'indennità solo nell'ipotesi in cui il vitto e l'al
loggio siano forniti o dall'amministrazione o da qualsiasi altro
ente pubblico, con ciò escludendosi, dalla fattispecie normati
va, il caso in cui l'ospitalità provenga da un privato. Il tribunale amministrativo ha accolto il ricorso, escludendo
la «gratuità» dell'ospitalità ricevuta dall'insegnante in America, dato che essa è stata obbligata a ricambiare in Italia, a sue
spese, tale ospitalità. (Omissis) Diritto. - L'appello è infondato.
Va precisato anzitutto che lo scambio culturale di classi del
l'istituto professionale di Stato di via Aquilonia 30 in Roma
con classi di una scuola dello stesso tipo degli Stati uniti d'A
merica, nel periodo dal 28 settembre al 19 ottobre 1984, orga nizzato dall'agenzia interculturale di Roma, è stato autorizzato
(seppure in via del tutto eccezionale) dal ministero della pubbli ca istruzione con provvedimento del 29 settembre 1984 e che
tale autorizzazione si estendeva agli insegnanti accompagnatori. Risulta allora priva di consistenza la censura dell'amministra
zione appellante secondo la quale non sarebbe stata tenuta nel
debito conto l'osservazione mossa in prime cure che alla corre
sponsione della indennità di missione sarebbe stato d'ostacolo, in radice, la circostanza che, nella specie, non ricorreva «una
situazione di stretto servizio». Secondo l'amministrazione, in
fatti, da una parte, i docenti coinvolti nell'iniziativa sarebbero essi stessi beneficiari di arricchimento culturale al pari degli al
lievi dell'istituto professionale e, per altro verso, l'iniziativa sa
rebbe inserita in un contesto organizzatorio proprio del comune
di Roma.
È del tutto evidente, invero, che solo dall'autorizzazione mi
nisteriale deriva la legittimazione dell'insegnante ad accompa gnare gli alunni dell'istituto professionale all'estero, mentre nes
sun rapporto si è instaurato — né poteva instaurarsi, ostandovi
la normativa sul pubblico impiego statale — tra la stessa e l'en
te finanziatore (comune di Roma) o l'agenzia intercultura di
Roma organizzatrice del soggiorno-studio della scolaresca negli Stati uniti d'America.
Il rapporto di servizio tra la docente e l'amministrazione sco
lastica statale è rimasto, perciò, pieno anche nel periodo di tem
po in cui lo scambio culturale è avvenuto. Ed il rapporto di
pubblico impiego che intercorre tra la docente e l'amministra
zione statale non è rimasto scalfito neppure per il fatto che lo
scambio culturale fosse — come l'appellante sostiene — orga nizzato anche nell'interesse di arricchimento culturale dei do
centi accompagnatori, si che non potesse, nel periodo conside
rato, «riscontrarsi da parte della ricorrente una situazione di
stretto servizio».
L'attività svolta nell'occasione dall'appellata — seppure ab
bia potuto indubbiamente comportare l'acquisizione da parte sua di cognizioni ed esperienze nuove, come del resto si verifica o può verificarsi anche nella quotidianità del lavoro in ispecie del lavoro intellettuale — è stata, sempre e soltanto quella isti tuzionalmente assegnatale dalla sua funzione, e cioè l'attività di insegnante nelle scuole statali della lingua inglese.
Ciò premesso, il collegio osserva che, con riferimento alla circolare ministeriale n. 66 del 16 febbraio 1985 ed al provvedi mento del preside dell'istituto che disponeva il pagamento a fa vore dell'appellata delle diarie per la missione di accompagna mento nella misura ad un quarto, mentre non ricorre la denun ciata trasgressione del disposto dell'art. 9, 3° comma, 1. 18
dicembre 1973 n. 836, essendo la fattispecie in esame affatto diversa da quella ipotizzata dalla norma (missione con fruizione
di alloggio o vitto gratuito fornito dall'amministrazione o da
qualsiasi altro pubblico ente), sussiste, invece, la violazione e la falsa applicazione dell'art. 6, 4° comma, r.d. 3 giugno 1926
n. 941 (che è disposizione specifica del trattamento). Al punto 2.4 la menzionata circolare dispone che nel caso
in cui sia previsto lo scambio di ospitalità tra gli insegnanti ac
compagnatori dei due paesi, le indennità da corrispondere agli interessati sono ridotte, ai sensi del citato art. 6, 4° comma, r.d. 941/26 ad un quarto se fruiscono di alloggio e vitto gratuito.
La disposizione della circolare non appare, però, conforme al dettato del suddetto art. 6, perché questo impone la riduzio ne ad un quarto dell'indennità di missione all'estero soltanto se il personale civile (o militare) dello Stato «comunque fruisca di trattamento gratuito» (alloggio e vitto), ma non fornisce al
cuna disciplina per il caso di reciprocità di ospitalità gratuita tra soggetti impiegati italiani e di uno Stato estero.
Il Foro Italiano — 1992.
Dalla norma dell'art. 6 si desume, invero, il principio che
quando il dipendente statale in missione all'estero goda di trat
tamento gratuito le relative diarie debbono essere ridotte ad un
quarto.
Ma, tale principio non può trovare ovviamente applicazione le quante volte la gratuità del trattamento sia solo apparente. Se cosi è, il dipendente inviato all'estero deve essere integral mente ristorato delle spese di alloggio e vitto sostenute con la
corresponsione della indennità di missione senza alcuna de
trazione.
È quanto si verifica allorché il dipendente statale — come
nella specie — abbia l'obbligo di ricambiare al collega straniero
l'ospitalità gratuita ricevuta.
In questo caso il soggiorno all'estero non riveste indubbia
mente il carattere della gratuità contemplato dall'art. 6, 4° com
ma, r.d. 941/24, giacché quel che l'impiegato risparmia all'este
ro lo spende in patria. Né l'onerosità dello scambio dell'ospita lità può essere contestata in ragione dell'entità delle prestazioni, perché queste per quanto ridotte costituiscono comunque un no
tevole impegno anche economico per il dipendente. Per le suesposte considerazioni l'appello deve essere respinto
con la conferma della sentenza impugnata.
CONSIGLIO DI STATO; adunanza plenaria; decisione 12 ot
tobre 1991, n. 8; Pres. Crisci, Est. Perricone; Regione Abruz
zo (Avv. dello Stato Ferri) c. Soc. Italcementi (Avv. Paolet
ti, Benvenuti, Lucchini), Comune S. Valentino in Abruzzo
(Avv. Di Benedetto). Conferma Tar Abruzzo, sez■ Pescara, 26 marzo 1983, n. 150.
Edilizia e urbanistica — Piano regolatore — Coltivazione di
cava — Sottoposizione a concessione — Illegittimità.
È illegittima la norma del piano regolatore generale di un co
mune che sottopone indiscriminatamente a previa concessio
ne o autorizzazione edilizia la coltivazione delle cave. (1)
(1) L'ordinanza di rimessione della sez. IV, 12 dicembre 1990, n.
1007, è riportata in Cons. Stato, 1990, I, 1531. La giurisprudenza sul rapporto tra disciplina urbanistica e attività
estrattiva da cave, ha come punto di riferimento obbligato la decisione dell'adunanza plenaria 9 marzo 1982, n. 3, Foro it., 1982, III, 289 (an notata da Traina, ibid., 351; da Travi, in Regioni, 1982, 711), che, innovativamente, argomentando dalla possibilità per la pianificazione urbanistica di limitare gli usi del territorio pregiudizievoli al rispetto dell'assetto ambientale e paesaggistico, ha dichiarato la legittimità della disposizione di un piano regolatore (nella specie, di Portovenere, in riferimento alle isole della Palmaria e del Tino), che imponeva il divieto di coltivazione di cava (nella specie, pure in galleria).
Al precedente dell'adunanza plenaria ha poi aderito, tra l'altro, sez. VI 20 novembre 1986, n. 865, Foro it., 1988, III, 205, che ha confer mato la legittimità della disposizione, stavolta di un programma di fab bricazione che, al fine di evitare deturpazioni ambientali, vietava la col tivazione di cave in determinate zone del territorio comunale; anche la nota redazionale ad essa indicava il persistere dell'orientamento giu risprudenziale secondo il quale per la coltivazione delle cave non è ne cessaria la concessione di costruzione, richiesta solo per le eventuali
opere edilizie accessorie. Anche la decisione in rassegna si richiama a ad. plen. 3/82; ma, poi,
si sviluppa in una prospettiva diversa, perché finalizzata ad una conclu sione in un certo senso opposta, per quel che riguarda il rapporto tra la coltivazione delle cave e i poteri urbanistici: ossia, che tale attività
estrattiva, neppure in forza di una previsione di piano regolatore, possa essere sottoposta al normale regime di controllo comunale dell'attività edilizia e urbanistica imperniato sulle concessioni e sulle autorizzazioni rilasciate dal sindaco; e perviene a questa conclusione, non negando il collegamento tra la limitazione di tale coltivazione e le esigenze di tutela dell'ambiente e del paesaggio già rilevato da ad. plen. 3/82, ed anzi addirittura accentuandolo; ma anche affermando che i suddetti
poteri di disciplina edilizia e urbanistica spettanti ai comuni non posso no condizionare in modo totalizzante anche tutti gli altri possibili usi del territorio; e sottolineando che la cura degli interessi pubbli
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Diritto. — Con la sentenza impugnata il Tar dell'Abruzzo
ha negato che il controllo urbanistico sulle cave possa manife
starsi nella sottoposizione all'obbligo di ottenere la concessione
o l'autorizzazione edilizia.
Sostiene la regione Abruzzo appellante che le attività estratti
ve di apertura e coltivazione di cave, al di là della propria disci
plina di settore, hanno rilievo nel quadro degli interessi pubblici
(in particolare quelli di tutela ambientale) che fanno capo alla
gestione urbanistica del territorio, si che il piano regolatore co
munale è sede di legittima regolamentazione, ai fini urbanistici, di tale attività.
Ne consegue, secondo l'appellante, che, non essendo stato
posto un divieto assoluto di coltivazione di cave — nel quale caso l'amministrazione sarebbe stata tenuta a motivare l'impo sizione di siffatto divieto — correttamente con la Nta è stata
prevista la concessione «per le modificazioni del suolo e degli
impianti per l'esplicazione dell'attività estrattiva» (art. 27) e l'au
torizzazione del sindaco «per la prosecuzione della coltivazione
di cave già in attività» (art. 45). Per delimitare l'ambito della vertenza, va precisato che il ri
corso di primo grado, contrariamente a quanto sembra emerge re a p. 12 dell'atto d'appello, ha per oggetto l'imposizione della
concessione edilizia per la coltivazione delle cave, restando non
contestata, come del resto appare logico, la necessità della con
cessione edilizia per la realizzazione di impianti e strutture per le coltivazioni delle cave stesse.
Ciò premesso, si osserva che in materia di cave e torbiere
esiste una minuta regolamentazione di settore che disciplina l'at
tività estrattiva in relazione alla sua attinenza all'interesse pub blico allo sfruttamento dei minerali nazionali, in funzione della
salvaguardia di siffatto interesse è previsto un sistema di auto
rizzazioni e concessioni già di competenza dell'amministrazione
dell'industria e commercio e dei rispettivi organi periferici, non
ché, ora, delle regioni (v. anche art. 117 Cost.). La regolamentazione in parola non esclude — come afferma
to dall'adunanza plenaria con decisione 9 marzo 1982, n. 3 (Fo ro it., 1982, III, 289) — l'incidenza sull'attività estrattiva di
ci inerenti alla tutela dell'ambiente e del paesaggio è affidata in primo
luogo alle amministrazioni regionali, e non a quelle comunali (per rife
rimenti sul riparto delle competenze in materia, v., ora, per l'accentua
zione del ruolo delle province al riguardo, gli art. 14 e 15 1. 8 giugno 1990 n. 142, su cui Corte cost. 15 luglio 1991, n. 343, id., 1992, I,
316, con osservazioni di Benini.
Successivamente alle pronunce richiamate nella nota a sez. VI 865/86,
v., nel senso che per la coltivazione di cave non è richiesta la concessio
ne di costruzione, necessaria solo per le eventuali opere edilizie accesso
rie, Cass. 6 luglio 1988, Demontis, id., Rep. 1990, voce Edilizia e urba
nistica, n. 360; 22 aprile 1988, Angelotti, id., Rep. 1989, voce cit., n.
382; Trga Trento 25 marzo 1989, n. 79, ibid., n. 383; Tar Lazio, sez.
Latina, 3 dicembre 1987, n. 964, id., Rep. 1988, voce Miniera, n. 22, che esclude l'applicabilità alla coltivazione di cave pure del regime re
pressivo per le costruzioni abusive; sotto questo profilo, nel senso che
rientra comunque nella giurisdizione del giudice amministrativo il ricor
so contro il provvedimento col quale il sindaco ordini la sospensione dell'attività estrattiva per violazione della disciplina urbanistica, Cass.
2 febbraio 1990, n. 726, id., Rep. 1990, voce Edilizia e urbanistica, n. 359; 5 febbraio 1988, n. 1205, id., Rep. 1988, voce cit., n. 333.
E, per quel che riguarda l'assetto da dare al conflitto tra l'interesse
pubblico intrinseco all'attività estrattiva e gli altri interessi publici che
condizionano le modalità di uso del territorio: Cons. Stato, sez. VI, 13 dicembre 1990, n. 1063, Cons. Stato, 1990, I, 1586, che afferma
che la coltivazione di cave può essere limitata a tutela dell'ambiente
e del paesaggio; 18 marzo 1991, n. 175 e 11 maggio 1991, n. 289, id.,
1991, I, 517 e 996, che consentono che i comuni giuochino un ruolo
nello stesso senso, nella prospettiva di legislazioni regionali, rispettiva
mente, del Veneto e della Toscana (sulla rilevanza della legislazione
regionale in materia, v., esemplificativamente, Corte cost. 27 aprile 1988, n. 499, id., 1989, I, 3085, con nota di richiami); Tar Puglia, sez. I,
6 novembre 1989, n. 507, id., Rep. 1990, voce Miniera, n. 11, che
afferma l'incompatibilità dell'attività estrattiva con la destinazione agricola che il piano regolatore abbia impresso alla zona; per qualche altro rife
rimento, Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 1990, n. 389, ibid., voce Edili
zia e urbanistica, n. 191. Sulla subordinazione dell'attività estrattiva
in zona soggetta a vincolo idrogeologico, ad autorizzazione da parte dell'autorità forestale, Corte cost. 15 luglio 1985, n. 201, id., 1988,
I, 64, con osservazioni di Verrienti e nota di Meli (annotata anche
da Sica, in Regioni, 1986, 153). In dottrina, tra gli altri, Vesperini, in Riv. giur. urbanistica, 1989,
205; Quaglia, in Quaderni regionali, 1988, 973; Cacciavillani, in Riv.
giur. urbanistica, 1987, 480.
Il Foro Italiano — 1992.
norme contenute in altre leggi, dirette a disciplinare profili atti
nenti ad interessi diversi. Poiché detta attività è da annoverare
fra quelle atte ad incidere su ambiente e paesaggio, è possibile che la medesima venga a tal fine in considerazione nelle leggi
riguardanti questa materia e, altresì', in sede di formazione degli strumenti urbanistici, per imporre vincoli a tutela di zone con
rilevanza ambientale o paesistica.
Tuttavia, la questione centrale posta dalle censure dell'appel
lante, in relazione alle quali la sezione quarta ha rimesso l'ap
pello a questa adunanza plenaria, è se le attività cosiddette estrat
tive cadano o meno sotto la normale disciplina urbanistica au
torizzatoria o concessoria, e se, quindi, sia o meno necessaria
o ammissibile per l'apertura e coltivazione di cava (per tale atti
vità in sé considerata, a parte gli impianti ed altre opere edilizie
in senso proprio) la concessione prevista dall'art. 1 1. n. 10 del
1977 (nonché l'autorizzazione del sindaco per la prosecuzione
di attività di cava). Sul punto, va rilevato che per la giurisprudenza di questo
consiglio (Cons. Stato, sez. V, 5 marzo 1983, n. 73, Foro it.,
Rep. 1983, vóce Edilizia e urbanistica, n. 405; sez. VI 30 marzo
1982, n. 155, id., Rep. 1982, voce cit., n. 723; 24 ottobre 1980,
n. 965, id., Rep. 1981, voce cit., n. 387; 8 luglio 1980, n. 711,
id., Rep. 1980, voce cit., n. 407; 12 febbraio 1980, n. 159, ibid.,
voce cit., n. 406) nonché per quella della Corte di cassazione
(Cass. 6 luglio 1988, Demands, id., Rep. 1990, voce cit., n.
360; 4 febbraio 1985, Colleoni, id., Rep. 1986, voce cit., n.
458; 6 luglio 1983, Mucciacciaro, id., Rep. 1984, voce cit., n.
364; 13 giugno 1983, Petrucci, ibid., n. 366; 18 marzo 1983,
Mariotti, ibid., n. 368; 14 marzo 1983, Porru, ibid., n. 369;
23 febbraio 1983, Rho, ibid., n. 370; 10 gennaio 1983, Carbo
netti, ibid., n. 372; 11 giugno 1982, Varchetta, id., Rep. 1983,
voce cit., n. 403; 18 maggio 1982, Apostoli, ibid., n. 400; 2
marzo 1981, Ricotti, id., Rep. 1982, voce cit., nn. 355-361; 26
novembre 1979, Maggioni, id., Rep. 1980, voce Miniera e cava,
n. 8), le attività estrattive non sono soggette ad autorizzazione
o concessione dell'autorità comunale, neppure dopo l'entrata
in vigore della 1. n. 10 del 28 gennaio 1977.
La tesi contraria si basa essenzialmente sulla portata innova
tiva della 1. n. 10 del 1977, che avrebbe concluso un lungo pro
cesso evolutivo della legislazione tendente a realizzare una gra
duale «socializzazione» della proprietà delle aree e quindi a com
porre, in una visione pianificata ed unitaria dell'uso di tutte
le risorse del territorio, la molteplicità degli interessi inerenti
alle esigenze di vita delle comunità di base.
Questa adunanza plenaria ritiene di confermare il prevalente
indirizzo, pur tenendo conto delle innovazioni via via introdotte
dalla legislazione statale nella materia urbanistica di competen
za comunale e regionale. Nel nostro ordinamento l'istituzione degli strumenti di piani
ficazione urbanistica fu, originariamente, operata con riguardo
alla sola attività edilizia inerente i nuclei abitati, ed entro tali
limiti di oggetto tali strumenti vennero, per lungo tempo, man
tenuti.
Una prima novità nella materia si ebbe con la 1. 17 agosto
1942 n. 1150, il cui art. 7 stabiliva, al 1° comma, che il piano
regolatore generale doveva considerare la totalità del territorio
comunale, anche se continuava a limitare il suo ambito d'inter
vento alla sola attività edificatoria propriamente detta.
Siffatta limitazione veniva, peraltro, superata con la 1. 19 no
vembre 1968 n. 1187, la quale, nell'art. 1, accanto alla necessa
ria considerazione da parte del piano dell'intero territorio co
munale, introduceva la prescrizione che lo stesso dovesse, tra
l'altro, indicare i vincoli da osservare nelle zone a carattere sto
rico, ambientale e paesistico.
In tal modo, allo sganciamento, avvenuto nel 1942, dei piani
regolatori generali dal loro originario stretto riferimento ai nu
clei abitati, si aggiungeva l'ulteriore elemento della loro inci
denza anche su parti inedificate ed inedificabili del territorio
comunale, in funzione di prevenzione da possibili fattori pre
giudizievoli alla tutela ambientale, storica e paesistica. Anche
per quanto riguarda la nozione urbanistica in senso proprio,
vi è stata un'evoluzione.
Se il vecchio regolamento edilizio (art. 33 1. n. 1150 del 1942)
conteneva soltanto astratte indicazioni di valori, misure e rap
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PARTE TERZA
porti, il piano regolatore, il programma di fabbricazione, e via
via gli altri strumenti urbanistici previsti da leggi speciali, sono
invece abilitati ad individuare anche le linee di sviluppo dell'ag
gregato urbano ed a localizzare gli interventi sul territorio preor dinati ad assicurare standards minimi di servizi sociali (art. 1
1. 19 dicembre 1968 n. 1187, che modifica l'art. 7 legge urbani
stica; art. 17, 8° e 9° comma, 1. n. 765 del 1967; d.m. 2 aprile
1968); infine, le esigenze di vita delle collettività insediate sul
territorio hanno reso indispensabile un ampliamento ed una spe cificazione del concetto di «opere di urbanizzazione», i cui costi
sociali si è ritenuto necessario ridistribuire in modo più equo
per la comunità (cfr. art. 8 1. n. 765 del 1967 per le lotizzazioni
convenzionate ed ora, art. 3 1. n. 10 del 1977. Questo graduale
ampliamento del concetto di urbanizzazione si può seguire at
traverso la lettura degli art. 10 1. 18 aprile 1962 n. 167, 4 1.
29 settembre 1964 n. 847, 44 1. 22 ottobre 1971 n. 865) e tutto
ciò dimostra un progressivo espandersi della disciplina urbani
stica in senso lato, che tende a realizzarsi nei suoi contenuti
e nei suoi scopi, ponendosi essa stessa come fattori di propul sione dello sviluppo ordinato della comunità territoriale.
Ciò posto, se non è contestabile che un mutamento vi sia
stato nell'individuazione dei limiti del potere pianificatorio del
le autorità comunali, non può però affermarsi che questa linea
di tendenza abbia trovato sbocco nella 1. 28 gennaio 1977 n.
10, sino al punto di attribuire al comune il totale governo del
territorio e lo specifico autonomo controllo su qualsiasi aspetto delle aree relative o su qualsiasi attività su di esse incidente.
Una cosa è, infatti, che il piano regolatore possa imporre,
motivatamente, vincoli di carattere generale a difesa di zone
di particolare pregio ambientale o artistico o storico, individua
te specificamente e preventivamente, una cosa è consentire che
il comune si ingerisca caso per caso e in qualsiasi parte del terri
torio comunale nelle attività imprenditoriali estrattive, proce dendo di volta in volta ad apprezzamenti discrezionali, rilasciando
concessioni od autorizzazioni e percependo proventi a compen so di urbanizzazioni improbabili, o nell'esercizio di una specie di ius eminens.
Al riguardo va osservato che l'ordinamento, sulla base del
l'art. 117 Cost., si è preoccupato di definire esattamente ed evi
tando dannose sovrapposizioni, i rapporti tra lo Stato e le altre
articolazioni territoriali, da un lato, nonché, dall'altro lato, i
confini interni tra le varie sfere di competenza pertinenti al com
plesso regioni - enti territoriali minori.
Dall'analisi del sistema emerge che, a parte le competenze statali su materie di interesse dell'intera comunità o su questio ni interregionali, la regione è semmai l'ente cui in definitiva
spetta l'apprezzamento della totalità degli interessi emergenti dalla
dimensione territoriale — costituzionalmente definita — della comunità che in essa si organizza e giuridicamente si esprime: alla regione, e non ad altri, Costituzione e leggi statali attuative
demandano l'approvazione dei piani territoriali di coordinamento
(art. 5 1. n. 1150 del 1942; art. 1, lett. a, d.p.r. n. 8 del 1972, art. 1, lett. d), dei piani di zona per l'edilizia popolare ed eco
nomica (d.p.r. n. 8, art. 1, lett. f), la redazione ed approvazio ne dei piani territoriali paesistici (art. 5 1. n. 1497 del 1939; art. 1, lett. c, d.p.r., n. 8 del 1972), l'approvazione dei piani di assetto del territorio e le indicazioni programmatiche e di
urbanistica commerciale vincolanti per i piani di sviluppo ed
adeguamento della rete commerciale del comune (art. 11, 12, 13 e 14 1. 11 giugno 1971 n. 426, art. 32 d.m. 14 gennaio 1972, modificato dall'art. 21 d.m. 28 giugno 1976, che approva il re
golamento di esecuzione della 1. n. 426), l'approvazione dei pia ni regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale (art. 146 t.u. delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno approvato con d.p.r. 30 giugno 1967 n. 1523; art. 4 1. 6 ottobre 1971 n.
583), la redazione dei piani di risanamento delle acque (art. 4 1. 10 maggio 1976 n. 319), e cosi via.
Da tale quadro emerge la disarmonia con le linee e con gli indirizzi della legislazione vigente, di iniziative pianificatone volte ad attribuire ai comuni distinti e aggiuntivi poteri concessori
o autorizzatoti, al di là della materia urbanistica, sia pure am
piamente intesa.
D'altra parte, va ribadito che il legislatore ha sempre tenuto
presente la distinzione fra tutela ambientale e tutela strettamen
II Foro Italiano — 1992.
te urbanistica, come emerge dalle integrazioni apportate dalle
leggi 6 agosto 1967 n. 765, 19 novembre 1968 n. 1187, 1° giu
gno 1971 n. 291, 22 ottobre 1971 n. 865 nei confronti della
fondamentale legge urbanistica n. 1150 del 1942. Integrazioni che riguardano, fra l'altro, la possibilità, in sede di approvazio ne del piano generale, di un controllo da parte dell'allora mini
stro della pubblica istruzione, sulle bellezze naturali ed ambientali.
Con il d.p.r. 15 gennaio 1972 n. 8, è stata trasferita alle re
gioni la parte delle competenze ambientali ritenuta inscindibile
dal regime urbanistico, mentre sono rimaste in capo allo Stato
le altre funzioni amministrative non espressamente elencate dal
decreto stesso, e comunque non attinenti l'urbanistica.
Con il secondo trasferimento di funzioni alle regioni, sempre
più è stato determinato lo spazio riservato allo Stato in materia
ambientale. Infatti, mentre con il d.p.r. n. 8 del 1972 era rimes
sa all'interprete la distinzione tra la materia ambientale oggetto dell'urbanistica e materia ambientale che residuava alla compe tenza statale, con l'art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977 è stata precisa ta la ripartizione fra le materie.
A questo proposito, va sottolineato che proprio la suddetta
normativa rappresenta il punto di riferimento per la legislazione
regionale, dettando i principi fondamentali in materia di cava
entro cui può manifestarsi la potestà legislativa concorrente (Corte cost. 1° febbraio 1982, n. 7, id., 1982, I, 1834).
La pianificazione urbanistica, quindi, va integrata, armoniz
zata e coordinata con altre forme e tipi di intervento sul territo
rio, ed è chiaro che non può essere il comune, ente territoriale
minore, a mediare tali e tanti interessi di diverso segno, che
la Costituzione vuole invece espressi quantomeno a livello re
gionale. La pianificazione totale del territorio, pertanto, se può consi
derarsi il punto d'approdo della completa attuazione dell'ordi
namento regionale, non vale a legittimare l'estensione alle cave
dell'istituto della concessione comunale, istituto che è tipico della
materia urbanistica quale definita dall'art. 1 1. n. 10 del 1977,
riguardante le concessioni edilizie.
Ed in tale senso, del resto, si è mossa la stessa regione appel lante con due leggi (12 aprile 1983 n. 18 e 26 luglio 1983 n.
54) — assunte successivamente all'adozione della sentenza im
pugnata e quindi qui richiamate esclusivamente a conferma de
gli orientamenti già ordinati —, con le quali è stata precisata la disciplina di riferimento per l'attività di coltivazione, sia in
ordine alla sua correlazione con i profili di pianificazione terri
toriale regionale, sia con riguardo ai presupposti autorizzati e
gestionali dell'attività in sé intesa.
Il quadro normativo desumibile dalle due leggi citate porta ad individuare una rilevanza dell'attività di cava a livello mera
mente di programmazione regionale in ordine al territorio, e la esclusione — perché, altrimenti, vi sarebbe stata espressa pre visione nell'una o nell'altra legge — dell'obbligo della conces
sione edilizia per l'attività medesima con il riconoscimento di
una competenza sovracomunale tanto per i profili di tutela am
bientale connessi alla detta attività estrattiva, quanto in relazio
ne ai presupposti ed alle procedure per l'assentimento dell'atti vità in parola. Per altro verso, va osservato che trasformazione
urbanistica e trasformazione edilizia del territorio, di cui all'art.
1 1. 28 gennaio 1977 n. 10, sono espressioni che corrispondono alla distinzione fra incremento edilizio e sviluppo urbanistico.
Tale distinzione era già presente nell'art. 1 1. n. 1150 del 1942, e non va dimenticato che l'art. 7 della stessa legge, ancora pri ma delle modifiche apportate dalle leggi n. 765 del 1967 e n.
1187 del 1968, tale distinzione poneva a fondamento del proces so pianificatorio dell'intero territorio comunale, appunto con
trapponendo la programmazione dell'attività edilizia in senso
stretto a quella avente ad oggetto le direttrici di espansione del
l'aggregato urbano, nonché l'individuazione di aree da desti narsi ad opere ed impianti di interesse collettivo e sociale.
Ma si tratta pur sempre di attività che attengono alle necessi
tà di vita connesse con il «fatto» di un insediamento abitativo:
interventi, localizzazioni, opere di urbanizzazione, più in gene
re, distribuzione di spazi ed adeguamenti di forme e strutture, sono volti a realizzare una crescita ordinata, in senso edilizio urbanistico appunto, della comunità in quanto stabilmente inse
diata sul territorio; e sono quindi le specifiche esigenze sottese
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
dallo sviluppo dell'urbs i fattori che condizionano la pianifica zione urbanistica e sono da questa condizionati.
Da tutto quanto sopra detto, emerge che là dove l'art. 1 1.
28 gennaio 1977 n. 10 richiede la concessione per qualsiasi tras
formazione edilizia o urbanistica del territorio comunale, non
si riferisce comunque alle attività estrattive in genere ed a quelle concernenti lo sfruttamento dei giacimenti di cava, in specie.
Lo sfruttamento delle risorse minerarie è, infatti, una tipica attività d'impresa che, proprio per la particolare natura del be
ne sul quale l'attività stessa si esercita, costituisce oggetto di
un'autonoma considerazione normativa, e pur incidendo, ov
viamente, sul territorio (cosi da giustificare eventuali limitazioni
e vincoli generali da adottare nella sede competente), non può
qualificarsi come trasformazione edilizia o urbanistica in senso
proprio. La sottoposizione ad un regime accessorio e aggiuntivo di
carattere concessorio o autorizzatorio da parte del comune, avreb
be del resto richiesto una chiara previsione da parte del legisla tore statale, accompagnata quanto meno da norme transitorie
atte a salvaguardare le situazioni pendenti, previsione che non
può ritenersi introdotta, come accennato, con una formula qual è quella contenuta nell'art. 1 1. n. 10 del 1977.
Tale conclusione non può dirsi smentita per effetto dell'art.
7 d.l. n. 9 del 1982, il quale prevede l'autorizzazione gratuita
per rinterri e scavi che non riguardino la coltivazione di cave
e torbiere. Tale norma non sottende affatto il riconoscimento,
in via di interpretazione autentica, che le attività concernenti
la coltivazione di cave e torbiere sono soggette al regime più
gravoso delle concessioni. Al contrario, quella disposizione for
nisce l'ulteriore conferma del fatto che l'attività estrattiva esula
dalla potestà urbanistica comunale e non soggiace a provvedi mento di concessione od autorizzazione da parte dell'autorità
urbanistica. In altri termini, la norma si interpreta nel senso
che il regime autorizzatorio va applicato agli scavi e rinterri
in genere, ma non agli scavi e rinterri che riguardino cave o
torbiere; ciò perché in ordine a questi ultimi scavi l'autorità
comunale non ha potere di controllo, né sotto la forma dell'au
torizzazione, né, a maggior ragione, sotto la forma della con
cessione.
A queste considerazioni possono aggiungersi quelle più mar
ginali relative alla difficoltà di adattamento di taluni istituti del
la normativa urbanistica alle attività estrattive. Non può infatti
ignorarsi che alcuni caratteri peculiari della concessione edilizia
(quali ad esempio la sua efficacia limitata al tempo dell'edifica
zione) non appaiono logicamente coordinabili con l'intrinseca
natura dell'attività imprenditoriale di cava (che è continuativa
e a tempo indefinito), se non a patto di introdurre nella struttu
ra stessa del provvedimento concessorio modifiche tali da alte
rarne la naturale fisionomia giuridica (ad esempio, concesisoni
a tempi lunghi con molteplici successive proroghe, indispensabi li per assicurare la continuità dello sfruttamento minerario e
quindi la remunerazione dei fattori ivi impiegati). Ha rilevanza anche la considerazione svolta dal giudice di
primo grado che il contributo di concessione attiene al più ge nerale problema dell'incidenza degli oneri d'urbanizzazione e
della loro ripartizione tra la collettività e i singoli beneficiari;
onde l'onerosità della concesisone trae fondamento dalla consi
derazione che dall'utilizzazione a fini edificatori di una parte
del territorio derivano pesanti oneri per la collettività, che do
vrà provvedere alla realizzazione di infrastrutture necessarie per
collegare il nuovo insediamento ai servizi urbani. Ciò, ovvia
mente, non accade per le cave e per le attività estrattive in genere.
L'appello deve, pertanto, essere respinto e confermata la sen
tenza impugnata.
Il Foro Italiano — 1992.
I
CONSIGLIO DI STATO; commissione speciale; parere 29 ot
tobre 1990, n. 264/89; Min. lavoro.
Impiegato dello Stato e pubblico — Destituzione di diritto —
Domanda di riammissione in servizio — Effetti (D.p.r. 10
gennaio 1957 n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 85, 91, 97; 1. 7 febbraio 1990 n. 19, modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destitu
zione dei pubblici dipendenti, art. 9, 10).
La domanda di riammissione in servizio, ai sensi dell'art. 10
l. 19/90, del pubblico dipendente destituito di diritto, non
implica l'immediato ripristino del rapporto di impiego né il
riconoscimento di suoi servizi e la corresponsione di arretrati
di stipendio, che conseguiranno solo dalla conclusione del pro cedimento disciplinare, ove questo non sia di conferma della
destituzione. (1)
II
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL FRIULI-VENEZIA GIULIA; sentenza 30 luglio 1991, n. 424;
Pres. Pellingra, Est. Zaballi; Mazzoni (Avv. Mussato) c.
Min. difesa (Avv. dello Stato Galletto).
Militare — Cessazione dal servizio — Riammissione — L. 19/90 — Inapplicabilità (Cod. pen. mil. pace, art. 29, 33; 1. 7 feb
braio 1990 n. 19, art. 10).
Non può essere riammesso in servizio previo procedimento di
sciplinare, ai sensi dell'art. 10 I. 19/90, il militare che ne sia
cessato per perdita del grado per condanna penale. (2)
(1-2) Nella vicenda della destituzione di diritto dei pubblici dipenden ti in seguito a loro condanna penale, il momento decisivo è costituito dalla sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, Foro it., 1989, I, 22, con nota
di G. Virga, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato la inco
stituzionalità dell'art. 85 d.p.r. 3/57 che la disponeva per gli impiegati civili dello Stato, e di altre norme che la comminavano per i dipendenti di altri settori (della stessa corte v., successivamente, l'ordinanza 6 lu
glio 1989, n. 377, id., Rep. 1990, voce Impiegato dello Stato, n. 1146, annotata da D'Orazio, in Giur. it., 1990, I, 1, 12).
La giurisprudenza amministrativa si è subito conformata alla senten
za suddetta (per riferimenti sulla sua rilevanza, Tar Marche 11 maggio 1989, n. 100, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 1152, che la ha ritenuta
applicabile immediatamente, ossia senza necessità di un nuovo giudizio di costituzionalità, ai dipendenti degli enti pubblici non economici, per ché l'art. 12 1. 70/75 estende loro la disciplina vigente per gli impiegati civili dello Stato, mediante un rinvio da doversi qualificare «formale»; ma anche Tar Puglia, sez. II, 22 dicembre 1989, n. 858, Trib. amm.
reg., 1991, I, 1103, che ha affermato la legittimità della destituzione
di diritto di dipendenti dell'Inps in forza di una disposizione del regola mento dell'ente, anche dopo la citata sentenza della Corte costituziona
le, e fino a che l'organo competente non la adegui a questa). La deci
sione di riferimento è stata quella dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato 15 marzo 1989, n. 6, Foro it., 1989, III, 341, con nota di
richiami, che ha affermato la illegittimità della destituzione di un pub blico dipendente, pronunciata non a seguito di un provvedimento disci
plinare nel corso del quale anche i fatti accertati in sede penale siano
stati adeguatamente e puntualmente valutati dall'angolo visuale dell'am
ministrazione. Nello stesso senso, le pronunce ulteriori, di solito in rife
rimento a provvedimenti di destituzione anteriori alla pronuncia della
corte, ma non ancora divenuti inoppugnabili, oppure impugnati, ma
il giudizio sui quali fosse ancora pendente: Tar Abruzzo, sez. Pescara, 18 aprile 1990, n. 324, id., 1991, III, 193, con nota di richiami (con indicazioni della giurisprudenza amministrativa formatasi nel frattem
po, nonché di altri coerenti sviluppi di quella della Corte costituziona
le), pronunciata nel corso del giudizio a partire dal quale era stata emessa
dalla Corte costituzionale la sentenza 19 dicembre 1986, n. 270, id.,
1987, I, 1957, con nota di richiami, di inammissibilità della questione poi accolta con la sentenza 971/88; e, sucessivamente: Cons. Stato, sez.
VI, 27 marzo e 25 agosto 1990, nn. 409 e 754, id., Rep. 1990, voce
cit., nn. 1147, 1095; Tar Toscana, sez. I, 30 maggio 1990, n. 504, ibid., n. 1154; Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio e 15 marzo 1991, nn. 56 e
251, Cons. Stato, 1991, I, 46 e 423; sez. IV 16 maggio 1991, n. 390,
ibid., 871; Cons, giust. amm. reg. sic. 23 ottobre 1991, n. 400, ibid., 1588.
La giurisprudenza non poteva intervenire sui provvedimenti di desti
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