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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || sezione I; sentenza 3 settembre 1990, n. 711; Pres....

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sezione I; sentenza 3 settembre 1990, n. 711; Pres. Scognamiglio, Est. Amodio; Chianchettini (Avv. Alessandrini) c. Usl RM-2 Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1991), pp. 143/144-147/148 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183169 . Accessed: 24/06/2014 21:43 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.185 on Tue, 24 Jun 2014 21:43:35 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || sezione I; sentenza 3 settembre 1990, n. 711; Pres. Scognamiglio, Est. Amodio; Chianchettini (Avv. Alessandrini) c. Usl RM-2

sezione I; sentenza 3 settembre 1990, n. 711; Pres. Scognamiglio, Est. Amodio; Chianchettini(Avv. Alessandrini) c. Usl RM-2Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1991),pp. 143/144-147/148Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183169 .

Accessed: 24/06/2014 21:43

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

L'art. 15, 3° comma, 1. 477/73 si pone in contrasto con la

predetta disposizione costituzionale, non consentendo il conse

guimento del diritto alla pensione minima da parte di quei lavo

ratori che, entrati in ruolo successivamente al 1° ottobre 1974, ad età avanzata, non riuscirebbero a completare il periodo di

servizio necessario per ottenere, in base alla vigente normativa, il trattamento minimo di quiescenza, e ciò soltanto per pochi

anni, se non addirittura per qualche mese e o per alcuni giorni. Tale disposizione, peraltro, contrasta anche sotto un ulteriore

profilo con i precetti contenuti negli art. 3 e 38, 2° comma, Cost.: nel senso che il dipendente, assunto successivamente al

1° ottobre 1974 e che non abbia, al compimento del 65° anno,

raggiunto il minimo della pensione, viene escluso dal godimento di quello stesso trattamento previdenziale a cui egli ha contri

buito e che la Costituzione riconosce come un diritto inerente

allo status di lavoratore (e che pur la 1. 477/73 riconosce, trami

te la permanenza di attività, ai dipendenti in servizio al 1 ° otto

bre 1974), contestualmente venendo altresì «espropriato» dei con tributi versati senza ottenere alcun indennizzo e senza alcuna'

plausibile ragione. In base alle considerazioni che precedono, il sospetto di inco

stituzionalità dell'art. 15, 3° comma, 1. 477/73, nella parte in

cui sono esclusi dalla possibilità di rimanere in servizio oltre

il 65° anno di età i dipendenti scolastici assunti a tempo inde

terminato successivamente al 1° ottobre 1974, appare non ma

nifestamente infondato.

Circa la rilevanza ai fini della decisione della questione pro

spettata, va evidenziato che la sorte del ricorso è indissolubil

mente legata all'esito del giudizio di costituzionalità del citato

art. 15, 3° comma, 1. 477/73, dal momento che la domanda

della ricorrente può essere accolta solo in quanto risulti fondata

la sollevata questione di legittimità costituzionale.

Ili

Fatto. — L'odierna ricorrente, bidella di ruolo dal 10 settem

bre 1979 presso il liceo statale «Carducci» di Milano, in data

18 dicembre 1986 — essendo prossima al compimento del 65°

anno di età, e quindi al collocamento a riposo — faceva istan

za, non avendo ancora maturato l'anzianità di servizio necessa

ria al conseguimento della pensione minima, di mantenimento in servizio fino al 70° anno, ai sensi dell'art. 15 1. 477/73, al fine, appunto, di conseguire il diritto al minimo pensionistico.

Precedentemente, l'interessata aveva prestato la propria atti

vità, in qualità di bidella supplente con nomina a tempo deter

minato, fin dall'11 ottobre 1974.

Con provvedimento 18 febbraio 1988, n. 721/87 — oggetto di separato contenzioso — il provveditorato agli studi respinge va la domanda di proroga in servizio motivando con la circo

stanza che l'interessata non era in servizio alla data del 1° otto bre 1974, cosi come espressamente richiesto dall'art. 15, 3° com

ma, 1. 477/73. (Omissis) Diritto. — Il disposto del 3° comma dell'art. 15 1. 477/73

è chiaro ed univoco nella sua formulazione: il diritto alla proro ga in servizio fino al 70° anno di età compete unicamente al

personale, docente e non docente, in servizio alla data del 1° ottobre 1974, subordinatamente alla circostanza di non aver ma

turato, alla scadenza del 65° anno, l'anzianità necessaria per il conseguimento del limite massimo, o, rispettivamente, mini

mo della pensione. Ma l'odierna ricorrente non era in servizio alla data del 1°

ottobre 1974: onde corretto si appalesa, pertanto, il provvedi mento di collocamento a riposo adottato nella fattispecie dal

l'amministrazione. Con la conseguenza che il ricorso andrebbe, sotto tale aspetto, rigettato. (Omissis)

IV

Previa sospensione dell'esecuzione del d.m. 27 aprile 1990 e della nota lì luglio 1990 (n. 20448) del ministero di grazia e

giustizia, per effetto dei quali il ricorrente non è stato trattenu to in servizio oltre il 65° anno di età.

Visti gli atti e documenti presentati col ricorso; vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedi

mento impugnato, presentata in via incidentale dai ricorrenti; visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni

intimate;

Il Foro Italiano — 1991.

udito il relatore dott. Raffaele Potenza; ed uditi, altresì', per le parti gli aw. M. Trotta Albenzio e P. Gentile dell'avvocatura di Stato;

considerato che, in relazione agli elementi di causa, sussisto

no i presupposti per l'accoglimento della domanda incidentale

in esame, ai sensi dell'art. 21, ultimo cpv., 1. 6 dicembre 1971 n. 1034;

per questi motivi, accoglie la suindicata domanda incidentale

di sospensione.

I

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione I; sentenza 3 settembre 1990, n. 711; Pres. Sco

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione I; sentenza 3 settembre 1990, n. 711; Pres. Sco

gnamiglio, Est. Amodio; Chianchettini (Aw. Alessandrini) c. Usi RM-2.

Giustizia amministrativa — Comitato regionale di controllo —

Deliberazione — Annullamento giurisdizionale — Ricorso per

l'ottemperanza al giudicato — Inammissibilità — Fattispecie.

È inammissibile il ricorso per l'ottemperanza alla sentenza con

cui il tribunale amministrativo regionale ha annullato una de

liberazione negativa di un comitato regionale di controllo, pro

posto dal beneficiario del provvedimento cosi divenuto irre

versibilmente efficace (tranne annullamento d'ufficio), per ot

tenerne l'attuazione da parte dell'amministrazione locale

controllata che lo aveva emanato. (1)

II

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER II. MO LISE; sentenza 22 maggio 1990, n. 141; Pres. Meaie, Est.

Basila vecchia; Di Florio (Aw. Bucci, Guastadisegni, Rus

so) c. Prefetto di Campobasso (Aw. dello Stato Scolpini).

Giustizia amministrativa — Giudicato — Ricorso per l'ottem

peranza — Ammissibilità — Pendenza di azione avanti il giu dice ordinario — Irrilevanza (L. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione dei tribunali amministrativi regionali, art. 37).

Giustizia amministrativa — Espropriazione per pubblico inte

resse — Annullamento da parte del giudice amministrativo — Ricorso per l'ottemperanza al giudicato — Inammissibilità — Fattispecie (L. 6 dicembre 1971 n. 1034, art. 37).

È ammissibile il ricorso al giudice amministrativo per l'ottem

peranza ad un suo giudicato, anche se sia pendente l'azione che il ricorrente aveva intentato avanti il giudice ordinario. (2)

È inammissibile il ricorso per l'ottemperanza da parte dell'am

ministrazione espropriante alla sentenza con cui il giudice am

ministrativo ha annullato il decreto di espropriazione di un

bene ormai in possesso del terzo beneficiario dell'espropria zione stessa. (3)

(1, 3) La sentenza del Tar Lazio basa il suo dictum sul carattere autoesecutivo della sentenza di annullamento della deliberazione negati va del comitato regionale di controllo, e sull'assenza di suoi contenuti ulteriori, in particolare conformativi della successiva attività dell'ammi nistrazione, oltre il suo effetto annullatorio; quanto al primo profilo, v., nello stesso senso, Tar Lombardia, sez. Brescia, 31 ottobre 1986, n. 600, Foro it., Rep. 1987, voce Giustizia amministrativa, n. 990. Per il profilo dell'impossibilità da parte dell'organo regionale di controllo, dopo l'annullamento giurisdizionale di una sua determinazione negati va, di riprendere in esame la legittimità sotto diversi profili del provve dimento controllato divenuto cosi irreversibilmente efficace, la questio ne di costituzionalità della relativa normativa era stata dichiarata non manifestamente infondata da Tar Piemonte, sez. II, 29 ottobre 1988, n. 405, id., 1989, III, 445, con nota di richiami, e inammissibile, per difetto di rilevanza nel caso, da Corte cost. 18 luglio 1989, n. 413, ibid., I, 3024, con nota di richiami.

La sentenza del Tar Molise fonda esplicitamente solo in parte sul carattere autoesecutivo della pronuncia cui ottemperare, il suo analogo dispositivo di inammissibilità del proposto giudizio di ottemperanza al giu dicato, e mette piuttosto in rilievo che l'adozione dei provvedimenti con

seguenziali all'annullamento giurisdizionale del decreto di espropriazione

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

I

Diritto. — 1. - Il ricorrente, collaboratore amministrativo del

l'Usi RM/2 (succeduta all'Usi RM/4), chiede che si ordini al l'ente sanitario di ottemperare al giudicato nascente della sen

tenza di questo tribunale (sez. I n. 1718 del 6 dicembre 1988), che ha annullato l'atto di controllo negativo assunto dal Coreco

sulla deliberazione n. 912 in data 24 settembre 1986 del comita

to di gestione, concernente il di lui inquadramento nella posi zione funzionale di vice direttore amministrativo, in applicazio ne dell'art. 1 1. 20 maggio 1985 n. 207; che si ordini, quindi, allo stesso ente di emettere, in esecuzione dell'indicata delibera

zione, gli atti e i provvedimenti necessari affinché gli sia attri

buita la qualifica superiore, corrispondente al IX livello retribu

tivo, con tutte le conseguenze economiche e normative di legge in ordine alla ricostruzione della carriera e alle differenze retri

butive maturate e maturande e che si nomini, ove occorrente, un commissario ad acta.

Con la citata pronuncia il giudice ha caducato la misura ne

gativa dell'autorità tutoria per un vizio formale, accogliendo il primo (ed assorbente) motivo dedotto (violazione e falsa ap

plicazione degli art. 59 1. 10 febbraio 1962 n. 62 e 24 1. reg. Lazio 20 dicembre 1979 n. 74), sul punto di perentorietà del

termine del controllo e dell'inidoneità della reiterata richiesta

di chiarimenti ad interrompere il decorso, osservando comun

que che l'organo di controllo con il suo operato, in violazione

della normativa in materia di controllo, aveva sostanzialmente

consentito l'operatività di una deliberazione viziata, ancorché

i vizi fossero noti a tale organo e agevolmente rinvenibili anche

a seguito della prima richiesta di chiarimenti, trasmettendo gli atti alla procura generale della Corte dei conti e alla procura della repubblica.

2. - Il ricorso è inammissibile, perché nei confronti delle sen

tenze c.d. autoesecutive, nel cui novero rientra la sentenza in

oggetto, non è consentito esperire il rimedio del giudizio di ot

temperanza, il quale presuppone che la sentenza di annullamen

to contenga, anche implicitamente, ulteriori statuizioni volte ad

ordinare alla pubblica amministrazione, il compimento di una

conseguenziale attività materiale ovvero giuridica al fine di at

tribuire al ricorrente l'utilità effettiva che egli ha inteso conse

guire con la proposizione del ricorso e che alle doverose succes

sive prescrizioni l'autorità amministrativa non abbia dato spon tanea esecuzione e sia rimasta inottemperante.

Nel caso di specie, la sentenza della quale è chiesta l'esecuzio

ne, avendo eliminato dal mondo giuridico l'atto di controllo

negativo, ha comportato ex se l'efficacia del provvedimento con

trollato, con la conseguenza che si è ripristinata direttamente

ed immediatamente la situazione giuridica preesistente all'atto

lesivo, senza che occorra in concreto l'adozione di un successi

vo atto amministrativo.

Ora, se è vero che la pronuncia di annullamento dell'atto

di un bene ormai in possesso del terzo beneficiario, esulano dai poteri dell'amministrazione espropriarne convenuta; per qualche riferimento in proposito, Cons. Stato, sez. VI, 22 aprile 1989, n. 485, id., Rep. 1989, voce cit., n. 932, che ha affermato che il giudizio di ottemperan za ben può essere esperito nei confronti di un'amministrazione rimasta estranea al precedente giudizio, quando sia chiamata a porre in essere attività di sua competenza, necessarie per attuare il giudicato formatosi in quest'ultimo; nonché 9 novembre 1987, n. 646, id., 1989, III, 132, con nota di richiami, che, in una vicenda riguardante modifiche appor tate ad alloggi economici e popolari ormai divenuti di proprietà degli assegnatari, ha affermato che, in sede di giudizio promosso da altro

assegnatario per l'ottemperanza al giudicato che aveva prescritto il ri

pristino delle condizioni originarie dell'immobile, il giudice amministra tivo può disporre misure per la sua esecuzione da parte dell'ammini strazione. Circa la giurisprudenza della Cassazione riguardante la c.d. accessione invertita richiamata in motivazione, da ultimo, v. sent. 11

luglio 1990, n. 7210 (che ha allungato al decennio il termine di prescri zione della relativa azione risarcitoria), id., 1990, I, 2789, con nota

di De Marzo.

(2) La sentenza, in un caso in cui il concorso tra ricorso giurisdizio nale amministrativo e azione giudiziaria ordinaria si presentava piutto sto in termini invertiti, richiama la giurisprudenza (assia larga quella del giudice amministrativo, e più stretta quella della Cassazione), nel senso dell'esperibilità del ricorso al giudice amministrativo per l'ottem

peranza ad un giudicato ordinario di condanna dell'amministrazione al pagamento di una somma di denaro, su cui v. Cons. Stato, sez.

IV, 3 ottobre 1990, n. 740, in questo fascicolo, III, 113.

Il Foro Italiano — 1991 — Parte 7/7-6.

di controllo negativo si riflette necessariamente sull'efficacia del

provvedimento controllato, è altrettanto vero che il giudicato

copre un'area definita nei limiti in cui si è formato, cioè in

relazione all'atto impugnato ed ai motivi dedotti, anzi dei moti

vi o del motivo accolti dal giudice, onde non può ritenersi ri

compresa nell'accertamento giurisdizionale sulla pronuncia ne

gativa di controllo anche la legittimità dell'atto controllato ri

masto estraneo al giudizio, ancorché divenuto efficace per effetto

della sentenza.

Invero, posto che la validità del provvedimento amministrati

vo sta su un piano diverso da quello dell'efficacia, per cui un

atto può essere efficace nonostante la sua invalidità, occorre ribadire che nel caso in esame l'atto di controllo negativo, che

aveva precluso la produzione degli effetti giuridici della delibe

razione di inquadramento, è stato annullato per un vizio mera

mente formale (tardività della decisione), facendo solo cosi con

seguire ad essa l'efficacia, e nel contempo la sentenza ha accer

tato in via incidentale la sostanziale invalidità del provvedimento, ancorché efficace.

Sotto ogni profilo, nessun obbligo di attività giuridica o ma

teriale scaturisce, pertanto, dal tipo di giudicato in questione, essendo evidente che gli unici adempimenti che possono essere

adottati dalla Usi RM/2 sono quelli che nascono dalla propria deliberazione ora divenuta efficace, sicché allo stato, per otte

nere che la pubblica amministrazione dia corso a quanto da

essa stessa deliberato, non rimane all'interessato che sollecitare

l'ente sanitario di appartenenza ad applicare il contenuto del

proprio provvedimento. Resta ovviamente salva la potestà dell'unità sanitaria di riesa

minare la legittimità dell'atto emanato e fare opportuno uso

del potere di autotutela e quindi eventualmente eliminare l'atto

anche se questo è divenuto efficace a seguito dell'accoglimento del ricorso (Tar Calabria, sez. Catanzaro, n. 21 del 15 febbraio

1979), considerata altresì la chiara indicazione incidentalmente

prospettata dal giudice della palese illegittimità della delibera

zione adottata, anzi della sua assoluta nullità, come sancito dal

1° comma dell'art. 14 1. 20 maggio 1985 n. 270 per gli atti

e i provvedimenti applicativi con la stessa contrastanti.

II

Diritto. — 1. - I due ricorsi vanno riuniti, per connessione

oggettiva e soggettiva e decisi in un'unica sentenza.

2. - Deve peraltro essere rilevata l'inammissibilità degli stessi, anche se ritualmente proposti, per l'insussistenza dei presuppo sti per l'instaurazione del giudizio di ottemperanza.

Il punto di partenza utile per la corretta soluzione del proble ma è senza dubbio la precisa individuazione degli effetti giuridi ci prodotti dalle sentenze per la cui esecuzione si agisce in que sta sede.

Al riguardo, è principio pacifico che «l'annullamento da par te del giudice amministrativo del decreto di espropriazione, quale che sia la causa, e, quindi, anche nel caso in cui venga disposto

per vizi formali del procedimento, afferenti l'esercizio e non

l'esistenza del potere ablatorio, restituisce alla posizione dell'e

spropriato, affievolita per effetto di detto provvedimento, l'ori

ginaria consistenza di diritto soggettivo, come tale tutelabile di

nanzi al giudice ordinario, oltre che con azione diretta a conse

guire la restituzione del bene anche con azione diretta al

risarcimento di ogni danno cagionato dell'illegittima compres sione» (Cass. 15 novembre 1983, n. 6766, Foro it., Rep. 1983, voce Espropriazione per p.i., n. 224).

L'effetto della sentenza è dunque chiaramente enucleabile: l'at

to impugnato trasferisce coattivamente la proprietà di un bene,

ragion per cui il suo annullamento non può che comportare la reintegrazione, della sfera giuridica del ricorrente, vale a dire

il riacquisto, da parte di quest'ultimo, della titolarità giuridica del bene espropriato invalidamente, con il complesso delle fa

coltà giuridiche che sono comprese nel diritto di proprietà, nei

limiti ovviamente in cui queste risultano compatibili con even

tuali modifiche della situazione di fatto riguardante il bene stesso.

3. - Sulla base di tale ricostruzione, l'amministrazione resi

stente formula una serie di eccezioni che il collegio non ritiene

di poter condividere.

Sotto un primo profilo, si eccepisce la litispendenza, perché

dopo le sentenze di annullamento dei decreti di espropriazione, il ricorrente avrebbe preventivamente adito la magistratura or

dinaria.

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PARTE TERZA

L'eccezione non ha pregio, perché, a parte ogni altra consi

derazione in ordine all'identità delle due cause sotto i profili

soggettivo e oggettivo (petitum e causa petendi), deve rilevarsi

come la litispendenza presupponga, per costante affermazione

giurisprudenziale o dottrinale, la pendenza delle due cause da

vanti a giudici appartenenti allo stesso apparato giurisdizionale; diversamente, rileva il diverso problema dell'individuazione del

la giurisdizione. D'altra parte, il possibile concorso tra giudizio di ottempe

ranza e processo civile non è ignoto all'esperienza giurispruden

ziale, ad esempio in materia di esecuzione di sentenze di con

danna nei confronti della pubblica amministrazione, per cui an

drà comunque valutata la cumulabilità in concreto dei due mezzi

di tutela, non pregiudizialmente incompatibili tra loro.

Sotto altro profilo, eccepisce l'amministrazione il difetto di

giurisdizione, anche per l'operatività del principio di accessione

invertita.

Anche tale eccezione va, peraltro, respinta; non vi è infatti

incompatibilità assoluta tra posizioni di diritto soggettivo, qua le è indubbiamente quella del ricorrente dopo l'annullamento

dei decreti di esproprio, e giudizio di esecuzione del giudicato

(per la distinzione tra esecuzione e ottemperanza, e per l'inqua dramento della prima nella giurisdizione esclusiva, v., da ulti

mo, Cons, giust. amm. sic. 27 gennaio 1989, n. 7, Foro it.,

Rep. 1989, voce Giustizia amministrativa, n. 821); il giudizio di esecuzione viene infatti ammesso, dalla giurisprudenza più

recente, anche come forma esclusiva, o complementare, di ese

cuzione dei giudicati che recano condanna dell'amministrazione

al pagamento di somme di denaro (v. Cons. Stato, ad plen., 9 marzo 1973, n. 1, id., 1973, III, 265; Cass. 3 febbraio 1988, n. 1074, id., 1989, I, 853), o per l'esecuzione di sentenze di

condanna al rilascio di un immobile detenuto in locazione dal

l'amministrazione (ad. plen. n. 15 del 1983, id., 1983, III, 373). Quanto poi alla prevalenza dell'opera di pubblica utilità sul

diritto di proprietà, che sarebbe a fondamento del verificarsi

dell'accessione invertita, l'accertamento di tale situazione deve

ritenersi senza dubbio riservato alla giurisdizione del giudice or

dinario restando ad essa estranea l'amministrazione; ma ciò non

esclude che, proprio per effetto della riacquistata proprietà del

l'immobile con effetto ex tunc, il ricorrente possa chiedere di

verificare, in sede di ottemperanza, se ed in quali forme l'am

ministrazione abbia l'obbligo di garantire l'esecuzione del giu dicato di annullamento.

4. - Tornando ad esaminare gli effetti delle sentenze di annul

lamento dei decreti di espropriazione, rileva il collegio che essi

si esauriscono, in buona sostanza, nel ripristino dell'originaria situazione di titolarità giuridica del bene. Si dice, in questo sen

so, che sentenze di tal fatta sono ascrivibili alla categoria delle

sentenze autoesecutive, nel senso che gli effetti riconducibili alle

stesse operano esclusivamente sul piano dei rapporti giuridici

ripristinati, senza necessità di un'attività veramente esecutiva, in senso materiale.

Nell'aderire a tale, prevalente, orientamento, ritiene, peral tro, il collegio di dover precisare che la qualificazione di tale

tipologia di sentenze come sentenze insuscettibili di una esecu

zione discenda non tanto dal fatto che gli effetti prodotti dalle

stesse siano squisitamente giuridici, quanto dal fatto che, in or

dine alle attività esecutive al cui compimento ha interesse il ri

corrente, la pubblica amminstrazione si trova in situazione di

carenza di potere.

L'equazione posta dal ricorrente, con apparente persuasività, tra potere di esproprio manu militari e potere di riconsegna da

esercitare in forme parimenti autoritative, previa espropriazione

dell'originario beneficiario dell'espropriazione, postula infatti l'e

sistenza in capo alla pubblica amministrazione di un generico ed illimitato potere di esercitare attività di segno negativo esat

tamente simmetriche a quelle invalidate dal giudice ammini

strativo.

La tesi non può, peraltro, essere condivisa, perché, anche quan do sia chiamata ad eseguire una sentenza, la pubblica ammini

strazione non può che esercitare i poteri che le siano normativa

mente attribuiti.

In tal senso va interpretata l'indicazione normativa per cui la decisione si esegue in via amministrativa (art. 88 reg. proc.); indicazione che si traduce nell'ordine, contenuto nella decisio

ne, di dare esecuzione alla sentenza, ordine diretto all'autorità

amministrativa. Ciò infatti non significa che l'amministrazione

si trasformi, indiscriminatamente, in un braccio esecutivo delle decisioni giurisdizionali; il valore precettivo della norma è infat

II Foro Italiano — 1991.

ti quello di far si che, nel successivo esercizio dei poteri ad essa

demandati, l'amministrazione assicuri il rispetto del dictum giu

risdizionale, ovviamente nei limiti delle proprie competenze. Ma, nella fattispecie, mentre non è dubbio che la pubblica ammini

strazione potesse espropriare il fondo del ricorrente per consen

tire la realizzazione di un'opera di pubblica utilità, è parimenti certo che essa non possa, ai fini di giustizia, operare coattiva

mente per assicurare a danno del terzo il trasferimento del be

ne, ai fini possessori, perché tale potere non è previsto da alcu

na norma: le ipotesi di retrocessione, anzi, sono rigorosamente

tipizzate dalla legge, ma su presupposti del tutto diversi da quello invocato in questa sede.

Né risulta che tali conclusioni siano contraddette da un orien

tamento giurisprudenziale contrario: il precedente del Consiglio di Stato (sez. IV 24 giugno 1960, n. 688, id., Rep. 1960, voce

Espropriazione per p.i., n. 246) non ha avuto realmente segui

to, a parte il richiamo, peraltro non sicuramente indicativo, con

tenuto nella decisione n. 15 del 1983 dell'adunanza plenaria (cit.). 5. - Giova brevemente osservare che, in senso contrario a

quanto affermato in precedenza, non vale il riferimento, su cui

insiste il ricorrente, alla giurisprudenza che ammette il ricorso

in ottemperanza per eseguire sentenze di condanna nei confron

ti delle pubbliche amministrazioni (oltre alla giurisprudenza, ri

chiamata nel par. 3, relativa alle sentenze di condanna al paga mento di somme di denaro, il ricorrente cita proprio l'ad. plen. n. 15 del 1983, relativa al rilascio, da parte della pubblica am

ministrazione, di immobile detenuto in locazione). Tali esempi, invero, confermano quanto sostenuto dal colle

gio, proprio perché l'obbligo di dare esecuzione viene afferma

to per casi nei quali la pubblica amministrazione era obbligata, 0 falcoltizzata, ad adottare certi comportamenti sicuramente ri

compresi nella sua sfera giuridica di pubblica autorità o di con

traente privato. 6. - Le profonde esigenze di una tutela incisiva ed effettiva,

che stanno a fondamento dei ricorsi in esame, sono d'altra par te recepite, come osserva la stessa difesa del ricorrente, in pro

getti di legge attualmente all'esame del parlamento, che preve dono il potenziamento e l'ampiamento dei poteri del giudice amministrativo in sede di ottemperanza. Tali circostanze dimo

strano, peraltro, come, de iure condito, le azioni proposte con

1 ricorsi in epigrafe siano inammissibili.

I

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione III; sentenza 20 novembre 1989, n. 1947; Pres.

Farina, Est. Borea; Spezi e altri (Avv. U. e L. Ferrari, Bianchi, Nespor, Civitelli, Fezzi, Mazzone, Raffa, Oni

da, Campari, Leon) c. Min. lavoro, Inps (Aw. Marzi, Gior

dano, Falcini), Credito italiano (Avv. Guarino, Mercuri,

Merenzi, Spagnuolo Vigorita, Trifirò).

Previdenza sociale — Impresa industriale — Ammissione alla

cassa integrazione guadagni straordinaria — Ricorso dei di

pendenti sospesi — Giurisdizione amministrativa.

Rientra nella giurisdizione amministrativa, e non è inammissibi

le per carenza di interesse, il ricorso contro gli atti che hanno

ammesso un'impresa industriale alla cassa integrazione gua

dagni straordinaria, proposto dai dipendenti sospesi. (1)

(1-3) I. - Le sentenze in epigrafe evidenziano interessanti profili atti nenti all'istituto della cassa integrazione guadagni straordinaria, istituto che, risultato di una legislazione stratificata e farraginosa dettata da

pressanti ed urgenti istanze socio-economiche, appare caratterizzato da un'eccessiva e disorganica struttura procedimentale.

Le questioni affrontate dal Tar Lazio riguardano un aspetto tipica mente giurisdizionale ed un secondo attinente il procedimento finalizza to all'ammissione alla Cig.

II. - In primis viene riaffermata la giurisdizione amministrativa per i ricorsi contro i provvedimenti di ammissione alla Cig straordinaria, in totale adesione a Cass., sez. un., 20 giugno 1987, n. 5456, Foro

it., 1988, I, 2201, con nota di D'Antona e Saiimbeni. In tale sede la Suprema corte inaugurava la tendenza ad una ricostruzione unitaria

dell'istituto, assimilando l'intervento ordinario a quello straordinario,

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