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PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA || sezione V; decisione 12 giugno 1987, n. 385; Pres....

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sezione V; decisione 12 giugno 1987, n. 385; Pres. Gessa, Est. Reggio d'Aci; Comune di Teramo (Avv. Marini, Scoca) c. Rodomonti (Avv. Marzolo, Russo, Cerulli). Conferma T.A.R. Abruzzo 9 aprile 1983, n. 104 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1988), pp. 449/450-453/454 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179351 . Accessed: 25/06/2014 07:15 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 07:15:13 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione V; decisione 12 giugno 1987, n. 385; Pres. Gessa, Est. Reggio d'Aci; Comune di Teramo(Avv. Marini, Scoca) c. Rodomonti (Avv. Marzolo, Russo, Cerulli). Conferma T.A.R. Abruzzo 9aprile 1983, n. 104Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1988),pp. 449/450-453/454Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179351 .

Accessed: 25/06/2014 07:15

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

nel motivo aggiunto, secondo cui vi sarebbe stata una formale

e sostanziale violazione della normativa del Cipe adottata al ri

guardo, e ciò in quanto non vi è alcun elemento che possa indur

re a tale conclusione e dal momento, oltre tutto, che, a fronte

di una genericità di contestazione, vi è un provvedimento adegua tamente motivato, per quanto era necessario esporre nella moti

vazione e non potendosi pretendere che il provvedimento stesso

esplicitasse più di quanto non avese fatto in relazione al procedi mento che andava svolto per la valutazione della verifica di com

patibilità. Né può convenirsi con quanto esposto dall'ente ricorrente nel

primo motivo di ricorso e secondo cui la sola presentazione della

domanda dell'Enel al ministro dei lavori pubblici non poteva im

plicare per il ministro per l'industria, necessariamente, la reiezio

ne della domanda dell'Italcementi.

In effetti, come rilevato precedentemente, e per tutte le consi

derazioni ivi svolte, la domanda dell'Italcementi era incompatibi le con i piani dell'Enel, valutati alla stregua delle direttive Cipe; non poteva, pertanto, il ministero dell'industria che respingere la domanda stessa, stante la priorità, più volte richiamata, delle

domande dell'ente istituzionalmente produttore. Da respingere è anche il secondo motivo di ricorso, che altro

non contiene che un'estensione delle proposte doglianze, che so

no, come già visto, del tutto infondate, alle direttive Cipe ed ai

piani dell'Enel. Analogamente, infondato è il terzo motivo di ricorso, in cui

si assume falsa applicazione dell'art. 9 d.p.r. 18 marzo 1965, in

quanto non sarebbero state osservate le disposizioni di cui alla

narrativa anzidetta, in quanto non basta la presentazione di una

domanda di concessione Enel perché la concessione stessa va ac

colta a preferenza delle altre, dovendo comunque sussistere an

che per Enel i presupposti per essere ammessi alla concorrenza.

In effetti, nel caso di specie, è stata espressa dal ministero dei

lavori pubblici preferenza a favore di una domanda (del 27 feb

braio 1964) dell'Enel regolarmente o tempestivamente presentata, e comunque precedente a quella formulata dall'Italcementi (4 mag

gio 1965), come si evince dal provvedimento impugnato.

Quanto, poi, alle eccezioni di incostituzionalità dell'art. 9 d.p.r. 18 marzo 1965 n. 342, in relazione agli art. 76 e 77 Cost., ne

va dichiarata la non rilevanza per il giudizio in corso, deciso sulla

base dell'art. 21 d.p.r. anzidetto e non dell'art. 9 ritenuto incosti

tuzionale.

Influente, ma manifestamente infondata è l'ulteriore eccezione

di incostituzionalità dell'art. 21 d.p.r. 18 marzo 1965 n. 342, in

relazione ai medesimi art. 76, 77 Cost, (eccesso di delega).

Non può esservi eccesso di delega rispetto alla 1. 6 dicembre

1962 n. 1643 (art. 2 e 4, n. 6, 3° comma) dal momento che tale

normativa non contiene alcun principio o criterio direttivo per il legislatore delegato, limitandosi a stabilire che saranno fissate

le modalità per consentire a soggetti diversi dall'Enel l'esercizio

di attività di cui all'art. 1 1. 6 dicembre 1962 n. 1643. Egualmente, come dedotto dalla difesa dell'Enel, non è ravvi

sabile alcun eccesso di delega rispetto alla 1. 27 giugno 1964 n.

452, che, ugualmente, non pone alcun criterio specifico di disci

plina della materia e, per quel che qui interessa, si limita a proro

gare i termini per l'esericizio della delega stessa.

Ininfluente è, poi, il richiamo al testo originario dell'art. 13

d.p.r. 4 febbraio 1963 n. 36 norma delegata, al pari dell'art. 21

d.p.r. 342/65 menzionato e che, quindi, ben poteva essere sosti

tuita dalla seconda.

Inaccoglibile, infine, è la tesi secondo cui vi sarebbe eccesso

di delega, laddove l'art. 21 d.p.r. 18 marzo 1965 ha consentito

che possono essere concesse autorizzazioni a soggetti diversi dal

l'Enel solo per impianti che soddisfino nuove esigenze e per nuo

vi piani produttivi, aggiungendo che essi devono essere comun

que compatibili con le previsioni di sviluppo dell'Enel e con i

suoi programmi. La limitazione non è una novità introdotta nel decreto delega

to, essendo già chiaramente desumibile dall'art. 4 del

la legge istitutiva della nazionalizzazione, atteso che i vecchi im

pianti erano assoggettati a trasferimento, ovvero esentati dallo

stesso a seconda dei requisiti posseduti; con la consegenza che,

Il Foro Italiano — 1988.

passando i vecchi impianti comunque all'Enel, la disciplina del

l'autoproduzione non può che riguardare il futuro e, più precisa

mente, i nuovi impianti.

Quanto, poi, all'ulteriore condizione posta dall'art. 21, secon

do cui il legislatore delegato ha introdotto il requisito della sotto

posizione delle domande dei nuovi autoproduttori a ragione di

convenienza dell'Enel, laddove il legislatore delegante aveva sem

plicemente consentito di stabilire semplici modalità idonee a con

sentire a soggetti diversi dall'Enel l'esercizio di attività elettriche, va osservato: 1) la perfetta rispondenza della norma delegata a

quella di delega in quanto l'espressione usata dalla legge delega non può essere interpretata (modalità: art. 4, n. 6, 3° comma, 1. 1643/62) in senso tanto restrittivo da impedire al legislatore

delegato di introdurre condizioni o requisiti di accoglimento delle

domande di autoproduzione; 2) la perfetta coerenza col sistema

della prevista valutazione di compatibilità, atteso che, se l'Enel, in via di principio, ha l'esclusiva in materia elettrica, che si mani

festa essenzialmente nei suoi programmi, non è logicamente pos sibile autorizzare impianti di autoprodizione che si pongano in

contrasto con i programmi stessi.

Nessun contrasto sussiste, infine, con la normativa comunita

ria, dal momento che la condizione posta all'approvabilità delle

domande di autoproduzione consistente nella non incompatibilità con i programmi dell'Enel non costituisce sfruttamento abusivo

di una posizione dominante, come assume il ricorrente, bensì ne

cessario corollario dell'impostazione fondamentale che nel nostro

paese è stata data al problema della produzione dell'energia elet

trica, considerata come servizio pubblico essenziale.

Come già rilevato, se l'Enel è il produttore riservato della ener

gia elettrica, ne deriva, necessariamente, che la produzione di ener

gia da parte di altri soggetti può essere ammessa soltanto se non

in contrasto con i suoi programmi. D'altra parte, l'art. 86 del trattato di Roma è inteso a colpire

il solo «sfruttamento abusivo» di una posizione dominante pro dottasi in via di fatto e non può, quindi, riguardare l'Enel che

è monopolista di diritto.

E, infine, va messo in evidenza che l'art. 90, n. 2, dello stesso

trattato consente che un'impresa sia incaricata della gestione di

servizi d'interesse economico generale e stabilisce che, in tal caso, non si applicano le regole della concorrenza quando le stesse osti

no «all'adempimento, in linea di diritto o di fatto, della specifica missione» affidata a tali imprese.

Il ricorso va respinto.

I

CONSIGLIO DI STATO; sezione V; decisione 12 giugno 1987,

n. 385; Pres. Gessa, Est. Reggio d'Aci; Comune di Teramo

(Avv. Marini, Scoca) c. Rodomonti (Avv. Marzolo, Russo,

Cerulli). Conferma T.A.R. Abruzzo 9 aprile 1983, n. 104.

Giustizia amministrativa — Istruzione probatoria — Affermazio

ni dell'amministrazione — Infondatezza — Fattispecie (L. 28

gennaio 1977 n. 10, norme per le edificabilità dei suoli, art. 16).

Impugnato un diniego di concessione di costruzione, motivato

dal comune con l'asserita (e contestata dal ricorrente) insuffi

cienza dei distacchi del progettato edificio dalla strada, inferio ri a quelli richiesti dal piano regolatore, il giudice amministrati

vo può ritenere infondata questa asserzione, se il comune non

abbia prodotto in giudizio elementi che la possano suffragare,

in particolare le risultanze della sua istruttoria, limitandosi a

chiederne l'accertamento giudiziale. (1)

(1-2) Le due pronunzie affrontano il problema costituito dalla manca

ta collaborazione della pubblica amministrazione con il giudice in ordine

all'acquisizione istruttoria. La decisione del Consiglio di Stato costituisce

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PARTE TERZA

II

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione III; sentenza 21 febbraio 1987, n. 252; Pres. Pia

centini, Est. Branca; Orciuolo (Avv. Sciacca) c. Istituto po

ligrafico e Zecca dello Stato (Avv. dello Stato Fiengo).

Giustizia amministrativa — Istruzione probatoria — Documenta

zione — Ordine di deposito — Inottemperanza dell'ammini

strazione — Produzione da parte del ricorrente — Valutabilità

(R.d. 26 giugno 1924 n. 1054, t.u. sul Consiglio di Stato, art.

44; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione dei tribunali ammi

nistrativi regionali, art. 21).

Il giudice amministrativo può valutare il valore probatorio di un

documento del quale con ordinanza rimasta ineseguita aveva

ordinato all'amministrazione resistente il deposito, e che poi aveva prodotto in giudizio il ricorrente. (2)

applicazione in positivo della facoltà riconosciuta al giudice amministrati vo di trarre elementi di valutazione dal comportamento inottemperante dell'amministrazione rispetto ai provvedimenti istruttori (sul principio, sia

pure con varie sfumature, Cons. Stato, sez. VI, 12 novembre 1987, n.

891, Cons. Stato, 1987, I, 1649; 7 ottobre 1987, n. 806, ibid., 1468, gene ricamente nel senso della possibilità di trarre elementi dall'inottemperan za; Cons. Stato, sez. V, 12 novembre 1985, n. 400, e 6 novembre 1985, n. 370, nonché T.A.R. Sicilia, sez. Catania, 5 dicembre 1985, n. 1447, Foro it., Rep. 1986, voce Giustizia amministrativa, nn. 693-695, nel sen

so che l'inottemperanza può far ritenere provati i fatti dedotti dal ricor

rente e non smentiti dagli atti processuali; Cons. Stato, sez. IV, 8 maggio 1986, n. 329, ibid., n. 692, nel senso che l'inottemperanza può non essere

decisiva nel caso in cui il giudice ritenga di disattendere ugualmente le

tesi del ricorrente sulla base degli atti parzialmente acquisiti; T.A.R. Sici

lia, sez. Catania, 26 gennaio 1985, n. 45, e 11 ottobre 1984, n. 1399, id., 1985, III, 396, con nota di richiami, che hanno nominato un commis sario ad acta per l'esecuzione dell'incombente istruttorio stante l'inerzia

della pubblica amministrazione). Nel caso di specie, però, non vi era sta

ta alcuna ordinanza istruttoria e si è addebitata alla pubblica amministra zione la violazione del dovere di collaborazione e/o il mancato rispetto della regola dell'introduzione di un principio di prova (su cui vedi, di

recente, Picozza, Processo amministrativo, voce dell'Enciclopedia del di

ritto, XXXVI, 492 ss.). In genere, sui poteri istruttori del giudice ammi

nistrativo, che possono essere rivolti anche nei confronti di terzi, T.A.R. Marche 13 maggio 1985, n. 151, Foro it., 1987, III, 322, con nota di richiami.

Il recente intervento della Corte costituzionale in materia di istruzione nel processo amministrativo (sent. 23 aprile 1987, n. 146, ibid., I, 1349, con nota di C.M. Barone, attuata da T.A.R. Lombardia, sez. III, 15

maggio 1987, n. 115, id., 1987, III, 339) è stato oggetto di numerosi commenti: Verde, La Corte costituzionale e la disciplina delle prove nel

processo del pubblico impiego, in Riv. dir. proc., 1987, 709; Vacirca, Prime riflessioni sul nuovo regime delle prove nette controversie in mate ria di pubblico impiego, in Foro amm., 1987, 1344; Carbone, Giurisdi zione esclusiva e poteri istruttori del giudice amministrativo nel sindacato di legittimità, ibid., 2503; Travi, Garanzia del diritto di azione e mezzi istruttori nel giudizio amministrativo; C. E. Gallo, Prova testimoniale e giudizio amministrativo di giurisdizione esclusiva; F. Saitta, Nuovi orien tamenti in tema di prova nel contenzioso sul pubblico impiego, tutti in Dir. proc. ammin., 1987, 558; Schinaia, Notazioni sul regime probatorio nelle controversie di pubblico impiego dopo la sentenza della Corte cost, n. 146 del 1987, id., 1988, 5. In generale sull'istruzione, Migliorini, I

problemi dell'istruzione nel giudizio amministrativo, ibid., 27. La sentenza del T.A.R. Lazio ribadisce l'obbligo di collaborazione del

la pubblica amministrazione, in una ipotesi in cui la pubblica ammini

strazione, inadempiente aveva adombrato che il ricorrente si fosse procu rato il documento non prodotto in modo illecito; in letteratura, vi è chi ha ipotizzato che l'onere a carico della pubblica amministrazione di pro duzione in giudizio degli atti del procedimento possa comportare il supe ramento del segreto amministrativo per via giurisdizionale (Abbamonte, La prova nel processo amministrativo, in Riv. ammin., 1985, 680). La tesi va verificata con i principi costituzionali e di legislazione ordinaria

vigenti (su cui Villata, La trasparenza dell'azione amministrativa, in Dir.

proc. ammin., 1987, 528), con il rilievo che il giudice amministrativo ha già giudicato la legittimità di provvedimenti amministrativi non acqui siti in giudizio in quanto segreti (T.A.R. Lazio, sez. I, 23 marzo 1983, n. 265, Foro it., 1984, III, 219 ha valutato un provvedimento di restitu zione all'amministrazione di provenienza di un ufficiale dei carabinieri in servizio presso il Sismi, provvedimento non esibito stante la qualifica di segretezza eccepita dall'autorità).

Il Foro Italiano — 1988.

I

Diritto. — L'appello è infondato sotto ciascuno dei profili di

censura con esso prospettati. 1. La prima doglianza dell'amministrazione comunale attiene

a una mancata istruttoria tecnica da parte del giudice ammini

strativo in ordine all'accertamento in loco dei distacchi del pro

gettato edificio dalla strada, in quanto esso sostiene che tali di

stacchi sarebbero inferiori a quelli prescritti dal Prg. L'assunto non può essere condiviso, poiché a fronte del preci

so e perfettamente condivisibilile ragionamento operato dal tribu

nale amministrativo sul punto — secondo cui nei piani progettua li allegati all'istanza di concessione la distanza minima della ex

strada stradale n. 80 è di oltre undici metri ed è calcolata dalla

linea di demarcazione tra il suolo privato e la strada pubblica

(comprendente quindi oltre la sede viaria anche le strutture acces

sorie come parapetti, arginelle e simili), si da far ritenere che

sia pienamente regolare — il comune non solo non si è peritato di produrre in giudizio alcun elemento che possa valere come in

dizio di senso contrario (per esempio le risultanze della istruttoria

amministrativa sulla cui base esso ha respinto la domanda «per mancato rispetto dei distacchi dalla strada» ovvero una eventuale

constatazione ad hoc a cura dell'uficio tecnico comunale), ma

si è limitato a chiedere un accertamento giudiziale della contesta

ta costruzione, quasi fosse compito specifico ed esclusivo del ma

gistrato di rilevare coi mezzi processuali simili dati di fatto. Non

sembra inutile, invece, ricordare che nel processo amministrativo

costituisce onere per la p.a. — nella cui disponibilità si trova

spesso la formazione delle prove o, comunque, gran parte del

materiale probatorio utile per la decisione — di cooperare fatti

vamente e con lealtà all'acquisizione dello stato agli atti del

giudizio. La violazione di detto principio — che nella specie deve rite

nersi effettivamente concretato — può essere dal giudice adegua tamente apprezzata in senso sfavorevole alla parte pubblica, con

la conseguenza che certe situazioni o circostanze di fatto (quali nel caso in esame quella del distacco del fabbricato dalla strada

di almeno undici metri) possono, allora, considerarsi sufficiente

mente provate. (Omissis)

II

Diritto. — Il collegio deve darsi carico in primo luogo delle

eccezioni sollevate dall'avvocatura generale dello Stato all'udien

za del 10 novembre 1986 a proposito della produzione in giudizio da parte del ricorrente della relazione prot. n. 6561/D in data

16 giugno 1975 fatta dal direttore della direzione generale dell'I

stituto poligrafico dello Stato alla direzione generale dell'istituto. L'avvocatura ha innanzi tutto prospettato la possibilità che il

ricorrente sia venuto in possesso del documento in modo illegale, chiedendo l'eventuale trasmissione degli atti al procuratore della

repubblica a norma dell'art. 3, 1° comma, c.p.p. La richiesta non può essere accolta. La difesa dell'amministra

zione, invero si è limitata a proporre un interrogativo ipotetico, non suffragato dal benché minimo indizio idoneo a contrastare

la formale proclamazione proveniente dal ricorrente, di aver otte

nuto l'atto attraverso canali del tutto legittimi. In altri termini, non è stato rappresentato al collegio alcun fatto riconducibile ad

ipotesi penalmente rilevante, con conseguente esonero dall'incom

bente di cui all'art. 3 c.p.c. L'avvocatura dello Stato ha anche chiesto che il documento

in questione venga stralciato dagli atti del giudizio in quanto, nell'esercizio della sua funzione difensiva, aveva ritenuto di non

doverlo produrre. Secondo l'assunto, l'amministrazione che — nonostante l'ordi

ne del giudice — abbia rifiutato l'esibizione di un documento, avrebbe anche la facoltà di opporsi a che dell'atto, al cui deposi to abbia provveduto il ricorrente, si tenga conto del giudizio.

La tesi è priva di fondamento e va disattesa. A tal fine è sufficiente ricordare, in breve sintesi, che, secondo

i principi che regolano l'attività istruttoria nel processo ammini

strativo (art. 44 r.d. n. 1054 del 1924 e art. 21 1. n. 1034 del

1971), a carico del ricorrente è posto il solo onere dell'allegazione

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

di principi di prova, essendosi attribuito al giudice un ampio po tere di acquisizione degli elementi di giudizio. Dal principio fon damentale di cui all'art. 113 Cost, da cui discende il diritto alla

tutela giurisdizionale nei confronti dell'amministrazione, deriva

anche che la posizione di intrinseca inferiorità del ricorrente ri

spetto alla controparte pubblica, depositaria delle prove docu

mentali, sia bilanciata dal potere del giudice di completare le alle

gazioni introdotte in causa mediante ordini di esibizione cui l'am

ministrazione non può sottrarsi.

Ed infatti, a prescindere dalle speciali fattispecie nelle quali l'esibizione di documenti da parte dell'amministrazione è assog

gettata per legge ad una disciplina particolare (ad es., art. 342

c.p.p.), all'autorità pubblica compete nel processo amministrati

vo un ruolo di collaborazione all'attività giurisdizionale che le

impedisce di trincerarsi dietro il principio civilistico secondo cui

nemo tenetur edere contra se.

Il principio della valutazione dell'inottemperanza all'ordinanza

istruttoria in senso sfavorevole all'amministrazione — d'altra parte — è costantemente ammesso dalla giurisprudenza (Cons. Stato, sez. V, 6 giugno 1984, n. 427, sez. IV 13 giugno 1983, n. 422, sez. VI 9 maggio 1983, n. 345, sez. VI 6 maggio 1981, n. 98, Foro it., Rep. 1984, voce Giustizia amministrativa, n. 612; id.,

Rep. 1983, voce cit., n. 660; ibid., n. 657; id., Rep. 1981, voce

cit., n. 753) potendo il giudice in tale ipotesi ritenere provati i

fatti allegati del ricorrente. Ma è stato anche ammessa la nomina

di un commissario ad acta per acquisire gli atti che l'amministra

zione non provvede a depositare (T.A.R. lombardia 13 novembre

1980, n. 1197). Per le considerazioni esposte, la pretesa facoltà dell'ammini

strazione di opporsi alla valutazione del documento di cui era

stata inutilmente ordinata l'esibizione e che sia stato invece pro dotto in giudizio dal ricorrente non trova spazio nel sistema pro cessuale vigente.

Il deposito del documento a cura del ricorrente, infatti, mentre

esonera l'amministrazione dall'adempimento cui era tenuta, non

ne ostacola l'attività difensiva, che può liberamente esplicarsi nei

confronti del contenuto dell'atto, dimostrandone l'irrilevanza o

contrastandone il concreto valore probatorio, anche con il ricor

so agli appositi istituti offerti dalla disciplina del processo. (Omissis)

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA RE GIONE SICILIANA; ordinanza 26 aprile 1988, n. 70; Pres.

Schinaia, Rei. Giacchetti; Min. finanze ed altri c. Levantino;

Assessorato reg. sic. per la cooperazione e il commercio c. Soc.

Elvisa Fur e Commissione per la tenuta degli esercenti il com

mercio per la provincia di Palermo.

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA RE GIONE SICILIANA; ordinanza 26 aprile 1988, n. 70; Pres.

Corte costituzionale — Decisione d'inammissibilità di questione non manifestamente infondata — Incertezza circa gli effetti nei

giudizi «a quo» — Deferimento della questione all'adunanza

plenaria — Fattispecie in materia di misure di prevenzione (Cost., art. 136; 1. 11 marzo 1953 n. 87, costituzione e funzionamento

della Corte costituzionale, art. 29, 30; 1. 31 maggio 1965 n.

575, disposizioni contro la mafia, art. 10; 1. 13 settembre 1982

n. 646, disposizioni in materia di misure di prevenzione di ca

rattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956

n. 1423, 10 febbraio 1962 n. 57, e 31 maggio 1965 n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno del

la mafia, art. 19; 1. 23 dicembre 1982 n. 936, integrazioni e

modifiche alla 1. 13 settembre 1982 n. 646, art. 2).

Va rimessa alla decisione dell'adunanza plenaria del Consiglio di

Stato la questione di stabilire se il giudice che abbia sollevato

una questione di costituzionalità di una legge della quale debba

fare applicazione per decidere il giudizio, sulla quale la Corte

costituzionale si sia pronunciata con una decisione d'inammis

sibilità fondata sull'affermazione che la questione implica valu

II Foro Italiano — 1988.

tazioni discrezionali riservate al parlamento, debba fare appli

cazione della legge della cui costituzionalità egli dubita o debba

invece disapplicarla in base al principio generale d'invalidità

degli atti illegittimi (nella specie, la disposizione dell'art. 10, 1° e 3° comma, l. 31 maggio 1965 n. 575, come modificato dalle leggi 13 settembre 1982 n. 646 e 23 dicembre 1982 n.

936, che, imponendo a tempo indeterminato il divieto assoluto

di rilascio di licenze, concessioni ed iscrizioni nonché la revoca

di diritto dei provvedimenti stessi anche nei confronti di sog

getti sottoposti a sorveglianza speciale ormai esauritasi, fareb be derivare cosi conseguenze sanzionatone perpetue da misure

di prevenzione temporanee ed adottate sulla base di elementi

esclusivamente indiziari, ponendosi — ad avviso del Consiglio di giustizia amministrativa — in contrasto con alcuni fonda mentali principi del nostro ordinamento costituzionale: con il

principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.); con il diritto al lavo

ro e di iniziativa economica (art. 4 e 41 Cost.); con il principio di umanità del sistema sanzionatorio e con quello della riedu

cazione della persona soggetta alle misure di prevezione (art.

27, 3° comma, Cost.)). (1)

(1) Il problema di stabilire che cosa debba fare il giudice, il quale sia convinto dell'incostituzionalità di una legge, dopo che la Corte costitu

zionale, cui la corrispondente questione sia stata trasmessa, si sia pronun ciata per l'inammissibilità della questione, se cioè egli debba applicare la legge che ritiene incostituzionale contro il principio stabilito dall'art. 1 1. Cost. 9 febbraio 1948 n. 1, oppure disapplicarla, contro il principio che riserva alla Corte costituzionale la relativa competenza, fu sollevato in dottrina da A. Pizzorusso, « Verfassungsgerichtsbarkeit» o «Judicial Review of Legislation»?, in Foro it., 1979, I, 1933; Id., Garanzie costitu

zionali, in Commentario della Costituzione, Zanichelli-Foro italiano, 1981, sub art. 137, 311-312; L. Carlassare, Le «questioni inammissibili» e la loro riproposizione, in Giur. costit., 1984, I, 733; Id., Le decisioni d'inammissibilità e di manifesta infondatezza della Corte costituzionale, in Foro it., 1986, V, 295. Nella conferenza stampa del presidente della Corte costituzionale per il 1986 (cfr. A. La Pergola, La giustizia costitu zionale nel 1986, id., 1987, V, 149, sul punto 156-157) fu affermato a

questo proposito che «l'obiettivo della pronuncia d'inammissibilità non è quello di scoraggiare il giudice a quo dal sollevare nuovamente la que stione che la corte non risolve nel merito ma, più semplicemente, di con trollare se la questione è stata correttamente formulata. Il che non toglie, dunque, che la questione possa essere riproposta, anche nel corso dello stesso giudizio di origine, quando il titolo dell'inammissibilità dichiarata dalla corte lo consente». Sembra peraltro chiaro che, nei casi in cui il «titolo» dell'inammissibilità è la riserva della questione alla discrezionali tà del legislatore, la riproposizione sia difficilmente ipotizzabile. È anche

da notare che, prima che si manifestasse l'orientamento della corte che ha portato all'attuale proliferazione delle decisioni d'inammissibilità (cfr. i dati risultanti dalla tabella 9, in A. Pizzorusso, L'attività della Corte

costituzionale nella sessione 1986-87, ibid., 453), gli atteggiamenti di self restraint della corte stessa nei confronti della discrezionalità del legislato re avevano portato spesso all'adozione di decisioni di rigetto nell'ambito delle quali le corrispondenti affermazioni operavano soltanto al livello

della motivazione, senza ripercuotersi sul dispositivo, cosicché risultava indiscutibile che da esse non derivava alcuna preclusione alla riproposi zione della questione, salvi gli effetti di precedente della ratio decidendi della sentenza di rigetto. In base alla prassi attuale, invece, l'opzione a favore del dispositivo d'inammissibilità, in luogo degli altri possibili, risulterebbe inspiegabile se non se ne dovesse dedurre la non riproponibi lità, quanto meno in tutti quei casi in cui il motivo assunto a causa dell'i

nammissibilità non sia eliminabile (come quando, ad esempio, si tratti

di riprodurre nel testo dell'ordinanza il testo contenente i motivi cui si sia fatto richiamo per relationem, il che ovviamente comporta soltanto un'attività di fotocopiatura, cui può provvedere anche un solerte usciere).

L'ordinanza della Corte costituzionale 3 dicembre 1987, n. 450, che

aveva dichiarato «manifestamente inammissibile la questione di legittimi tà costituzionale dell'art. 10, 1° e 3° comma, 1. 31 maggio 1965 n. 575

(«disposizioni contro la mafia»), nel testo modificato ed integrato dalle

1. n. 646 («disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere

patrimoniale ed integrazioni alle 1. 27 dicembre 1956 n. 1423, 10 febbraio

1962 n. 57 e 31 maggio 1965 n. 575. Integrazione [rectius, istituzione] di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia») e n. 936

(«Integrazioni e modifiche alla 1. 13 settembre 1982 n. 646, in materia

di lotta alla delinquenza mafiosa») del 1982, sollevata, in riferimento agli art. 3 e 27, 3° comma, Cost., dal Consiglio di giustizia amministrativa

per la regione Sicilia [l'ordinanza 23 febbraio 1987, n. 31, è riassunta

in Foro it., Rep. 1987, voce Misure di prevenzione, nn. 80-83] ed in rife

rimento agli art. 3, 4, 41 e 97 Cost, dal T.A.R. Lombardia, ord. nn.

204 e 205 del 1987 e n. 316 del 1986», aveva motivato deducendo «che,

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