sezione V; decisione 12 giugno 1987, n. 385; Pres. Gessa, Est. Reggio d'Aci; Comune di Teramo(Avv. Marini, Scoca) c. Rodomonti (Avv. Marzolo, Russo, Cerulli). Conferma T.A.R. Abruzzo 9aprile 1983, n. 104Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE TERZA: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (1988),pp. 449/450-453/454Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179351 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
nel motivo aggiunto, secondo cui vi sarebbe stata una formale
e sostanziale violazione della normativa del Cipe adottata al ri
guardo, e ciò in quanto non vi è alcun elemento che possa indur
re a tale conclusione e dal momento, oltre tutto, che, a fronte
di una genericità di contestazione, vi è un provvedimento adegua tamente motivato, per quanto era necessario esporre nella moti
vazione e non potendosi pretendere che il provvedimento stesso
esplicitasse più di quanto non avese fatto in relazione al procedi mento che andava svolto per la valutazione della verifica di com
patibilità. Né può convenirsi con quanto esposto dall'ente ricorrente nel
primo motivo di ricorso e secondo cui la sola presentazione della
domanda dell'Enel al ministro dei lavori pubblici non poteva im
plicare per il ministro per l'industria, necessariamente, la reiezio
ne della domanda dell'Italcementi.
In effetti, come rilevato precedentemente, e per tutte le consi
derazioni ivi svolte, la domanda dell'Italcementi era incompatibi le con i piani dell'Enel, valutati alla stregua delle direttive Cipe; non poteva, pertanto, il ministero dell'industria che respingere la domanda stessa, stante la priorità, più volte richiamata, delle
domande dell'ente istituzionalmente produttore. Da respingere è anche il secondo motivo di ricorso, che altro
non contiene che un'estensione delle proposte doglianze, che so
no, come già visto, del tutto infondate, alle direttive Cipe ed ai
piani dell'Enel. Analogamente, infondato è il terzo motivo di ricorso, in cui
si assume falsa applicazione dell'art. 9 d.p.r. 18 marzo 1965, in
quanto non sarebbero state osservate le disposizioni di cui alla
narrativa anzidetta, in quanto non basta la presentazione di una
domanda di concessione Enel perché la concessione stessa va ac
colta a preferenza delle altre, dovendo comunque sussistere an
che per Enel i presupposti per essere ammessi alla concorrenza.
In effetti, nel caso di specie, è stata espressa dal ministero dei
lavori pubblici preferenza a favore di una domanda (del 27 feb
braio 1964) dell'Enel regolarmente o tempestivamente presentata, e comunque precedente a quella formulata dall'Italcementi (4 mag
gio 1965), come si evince dal provvedimento impugnato.
Quanto, poi, alle eccezioni di incostituzionalità dell'art. 9 d.p.r. 18 marzo 1965 n. 342, in relazione agli art. 76 e 77 Cost., ne
va dichiarata la non rilevanza per il giudizio in corso, deciso sulla
base dell'art. 21 d.p.r. anzidetto e non dell'art. 9 ritenuto incosti
tuzionale.
Influente, ma manifestamente infondata è l'ulteriore eccezione
di incostituzionalità dell'art. 21 d.p.r. 18 marzo 1965 n. 342, in
relazione ai medesimi art. 76, 77 Cost, (eccesso di delega).
Non può esservi eccesso di delega rispetto alla 1. 6 dicembre
1962 n. 1643 (art. 2 e 4, n. 6, 3° comma) dal momento che tale
normativa non contiene alcun principio o criterio direttivo per il legislatore delegato, limitandosi a stabilire che saranno fissate
le modalità per consentire a soggetti diversi dall'Enel l'esercizio
di attività di cui all'art. 1 1. 6 dicembre 1962 n. 1643. Egualmente, come dedotto dalla difesa dell'Enel, non è ravvi
sabile alcun eccesso di delega rispetto alla 1. 27 giugno 1964 n.
452, che, ugualmente, non pone alcun criterio specifico di disci
plina della materia e, per quel che qui interessa, si limita a proro
gare i termini per l'esericizio della delega stessa.
Ininfluente è, poi, il richiamo al testo originario dell'art. 13
d.p.r. 4 febbraio 1963 n. 36 norma delegata, al pari dell'art. 21
d.p.r. 342/65 menzionato e che, quindi, ben poteva essere sosti
tuita dalla seconda.
Inaccoglibile, infine, è la tesi secondo cui vi sarebbe eccesso
di delega, laddove l'art. 21 d.p.r. 18 marzo 1965 ha consentito
che possono essere concesse autorizzazioni a soggetti diversi dal
l'Enel solo per impianti che soddisfino nuove esigenze e per nuo
vi piani produttivi, aggiungendo che essi devono essere comun
que compatibili con le previsioni di sviluppo dell'Enel e con i
suoi programmi. La limitazione non è una novità introdotta nel decreto delega
to, essendo già chiaramente desumibile dall'art. 4 del
la legge istitutiva della nazionalizzazione, atteso che i vecchi im
pianti erano assoggettati a trasferimento, ovvero esentati dallo
stesso a seconda dei requisiti posseduti; con la consegenza che,
Il Foro Italiano — 1988.
passando i vecchi impianti comunque all'Enel, la disciplina del
l'autoproduzione non può che riguardare il futuro e, più precisa
mente, i nuovi impianti.
Quanto, poi, all'ulteriore condizione posta dall'art. 21, secon
do cui il legislatore delegato ha introdotto il requisito della sotto
posizione delle domande dei nuovi autoproduttori a ragione di
convenienza dell'Enel, laddove il legislatore delegante aveva sem
plicemente consentito di stabilire semplici modalità idonee a con
sentire a soggetti diversi dall'Enel l'esercizio di attività elettriche, va osservato: 1) la perfetta rispondenza della norma delegata a
quella di delega in quanto l'espressione usata dalla legge delega non può essere interpretata (modalità: art. 4, n. 6, 3° comma, 1. 1643/62) in senso tanto restrittivo da impedire al legislatore
delegato di introdurre condizioni o requisiti di accoglimento delle
domande di autoproduzione; 2) la perfetta coerenza col sistema
della prevista valutazione di compatibilità, atteso che, se l'Enel, in via di principio, ha l'esclusiva in materia elettrica, che si mani
festa essenzialmente nei suoi programmi, non è logicamente pos sibile autorizzare impianti di autoprodizione che si pongano in
contrasto con i programmi stessi.
Nessun contrasto sussiste, infine, con la normativa comunita
ria, dal momento che la condizione posta all'approvabilità delle
domande di autoproduzione consistente nella non incompatibilità con i programmi dell'Enel non costituisce sfruttamento abusivo
di una posizione dominante, come assume il ricorrente, bensì ne
cessario corollario dell'impostazione fondamentale che nel nostro
paese è stata data al problema della produzione dell'energia elet
trica, considerata come servizio pubblico essenziale.
Come già rilevato, se l'Enel è il produttore riservato della ener
gia elettrica, ne deriva, necessariamente, che la produzione di ener
gia da parte di altri soggetti può essere ammessa soltanto se non
in contrasto con i suoi programmi. D'altra parte, l'art. 86 del trattato di Roma è inteso a colpire
il solo «sfruttamento abusivo» di una posizione dominante pro dottasi in via di fatto e non può, quindi, riguardare l'Enel che
è monopolista di diritto.
E, infine, va messo in evidenza che l'art. 90, n. 2, dello stesso
trattato consente che un'impresa sia incaricata della gestione di
servizi d'interesse economico generale e stabilisce che, in tal caso, non si applicano le regole della concorrenza quando le stesse osti
no «all'adempimento, in linea di diritto o di fatto, della specifica missione» affidata a tali imprese.
Il ricorso va respinto.
I
CONSIGLIO DI STATO; sezione V; decisione 12 giugno 1987,
n. 385; Pres. Gessa, Est. Reggio d'Aci; Comune di Teramo
(Avv. Marini, Scoca) c. Rodomonti (Avv. Marzolo, Russo,
Cerulli). Conferma T.A.R. Abruzzo 9 aprile 1983, n. 104.
Giustizia amministrativa — Istruzione probatoria — Affermazio
ni dell'amministrazione — Infondatezza — Fattispecie (L. 28
gennaio 1977 n. 10, norme per le edificabilità dei suoli, art. 16).
Impugnato un diniego di concessione di costruzione, motivato
dal comune con l'asserita (e contestata dal ricorrente) insuffi
cienza dei distacchi del progettato edificio dalla strada, inferio ri a quelli richiesti dal piano regolatore, il giudice amministrati
vo può ritenere infondata questa asserzione, se il comune non
abbia prodotto in giudizio elementi che la possano suffragare,
in particolare le risultanze della sua istruttoria, limitandosi a
chiederne l'accertamento giudiziale. (1)
(1-2) Le due pronunzie affrontano il problema costituito dalla manca
ta collaborazione della pubblica amministrazione con il giudice in ordine
all'acquisizione istruttoria. La decisione del Consiglio di Stato costituisce
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PARTE TERZA
II
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA ZIO; sezione III; sentenza 21 febbraio 1987, n. 252; Pres. Pia
centini, Est. Branca; Orciuolo (Avv. Sciacca) c. Istituto po
ligrafico e Zecca dello Stato (Avv. dello Stato Fiengo).
Giustizia amministrativa — Istruzione probatoria — Documenta
zione — Ordine di deposito — Inottemperanza dell'ammini
strazione — Produzione da parte del ricorrente — Valutabilità
(R.d. 26 giugno 1924 n. 1054, t.u. sul Consiglio di Stato, art.
44; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione dei tribunali ammi
nistrativi regionali, art. 21).
Il giudice amministrativo può valutare il valore probatorio di un
documento del quale con ordinanza rimasta ineseguita aveva
ordinato all'amministrazione resistente il deposito, e che poi aveva prodotto in giudizio il ricorrente. (2)
applicazione in positivo della facoltà riconosciuta al giudice amministrati vo di trarre elementi di valutazione dal comportamento inottemperante dell'amministrazione rispetto ai provvedimenti istruttori (sul principio, sia
pure con varie sfumature, Cons. Stato, sez. VI, 12 novembre 1987, n.
891, Cons. Stato, 1987, I, 1649; 7 ottobre 1987, n. 806, ibid., 1468, gene ricamente nel senso della possibilità di trarre elementi dall'inottemperan za; Cons. Stato, sez. V, 12 novembre 1985, n. 400, e 6 novembre 1985, n. 370, nonché T.A.R. Sicilia, sez. Catania, 5 dicembre 1985, n. 1447, Foro it., Rep. 1986, voce Giustizia amministrativa, nn. 693-695, nel sen
so che l'inottemperanza può far ritenere provati i fatti dedotti dal ricor
rente e non smentiti dagli atti processuali; Cons. Stato, sez. IV, 8 maggio 1986, n. 329, ibid., n. 692, nel senso che l'inottemperanza può non essere
decisiva nel caso in cui il giudice ritenga di disattendere ugualmente le
tesi del ricorrente sulla base degli atti parzialmente acquisiti; T.A.R. Sici
lia, sez. Catania, 26 gennaio 1985, n. 45, e 11 ottobre 1984, n. 1399, id., 1985, III, 396, con nota di richiami, che hanno nominato un commis sario ad acta per l'esecuzione dell'incombente istruttorio stante l'inerzia
della pubblica amministrazione). Nel caso di specie, però, non vi era sta
ta alcuna ordinanza istruttoria e si è addebitata alla pubblica amministra zione la violazione del dovere di collaborazione e/o il mancato rispetto della regola dell'introduzione di un principio di prova (su cui vedi, di
recente, Picozza, Processo amministrativo, voce dell'Enciclopedia del di
ritto, XXXVI, 492 ss.). In genere, sui poteri istruttori del giudice ammi
nistrativo, che possono essere rivolti anche nei confronti di terzi, T.A.R. Marche 13 maggio 1985, n. 151, Foro it., 1987, III, 322, con nota di richiami.
Il recente intervento della Corte costituzionale in materia di istruzione nel processo amministrativo (sent. 23 aprile 1987, n. 146, ibid., I, 1349, con nota di C.M. Barone, attuata da T.A.R. Lombardia, sez. III, 15
maggio 1987, n. 115, id., 1987, III, 339) è stato oggetto di numerosi commenti: Verde, La Corte costituzionale e la disciplina delle prove nel
processo del pubblico impiego, in Riv. dir. proc., 1987, 709; Vacirca, Prime riflessioni sul nuovo regime delle prove nette controversie in mate ria di pubblico impiego, in Foro amm., 1987, 1344; Carbone, Giurisdi zione esclusiva e poteri istruttori del giudice amministrativo nel sindacato di legittimità, ibid., 2503; Travi, Garanzia del diritto di azione e mezzi istruttori nel giudizio amministrativo; C. E. Gallo, Prova testimoniale e giudizio amministrativo di giurisdizione esclusiva; F. Saitta, Nuovi orien tamenti in tema di prova nel contenzioso sul pubblico impiego, tutti in Dir. proc. ammin., 1987, 558; Schinaia, Notazioni sul regime probatorio nelle controversie di pubblico impiego dopo la sentenza della Corte cost, n. 146 del 1987, id., 1988, 5. In generale sull'istruzione, Migliorini, I
problemi dell'istruzione nel giudizio amministrativo, ibid., 27. La sentenza del T.A.R. Lazio ribadisce l'obbligo di collaborazione del
la pubblica amministrazione, in una ipotesi in cui la pubblica ammini
strazione, inadempiente aveva adombrato che il ricorrente si fosse procu rato il documento non prodotto in modo illecito; in letteratura, vi è chi ha ipotizzato che l'onere a carico della pubblica amministrazione di pro duzione in giudizio degli atti del procedimento possa comportare il supe ramento del segreto amministrativo per via giurisdizionale (Abbamonte, La prova nel processo amministrativo, in Riv. ammin., 1985, 680). La tesi va verificata con i principi costituzionali e di legislazione ordinaria
vigenti (su cui Villata, La trasparenza dell'azione amministrativa, in Dir.
proc. ammin., 1987, 528), con il rilievo che il giudice amministrativo ha già giudicato la legittimità di provvedimenti amministrativi non acqui siti in giudizio in quanto segreti (T.A.R. Lazio, sez. I, 23 marzo 1983, n. 265, Foro it., 1984, III, 219 ha valutato un provvedimento di restitu zione all'amministrazione di provenienza di un ufficiale dei carabinieri in servizio presso il Sismi, provvedimento non esibito stante la qualifica di segretezza eccepita dall'autorità).
Il Foro Italiano — 1988.
I
Diritto. — L'appello è infondato sotto ciascuno dei profili di
censura con esso prospettati. 1. La prima doglianza dell'amministrazione comunale attiene
a una mancata istruttoria tecnica da parte del giudice ammini
strativo in ordine all'accertamento in loco dei distacchi del pro
gettato edificio dalla strada, in quanto esso sostiene che tali di
stacchi sarebbero inferiori a quelli prescritti dal Prg. L'assunto non può essere condiviso, poiché a fronte del preci
so e perfettamente condivisibilile ragionamento operato dal tribu
nale amministrativo sul punto — secondo cui nei piani progettua li allegati all'istanza di concessione la distanza minima della ex
strada stradale n. 80 è di oltre undici metri ed è calcolata dalla
linea di demarcazione tra il suolo privato e la strada pubblica
(comprendente quindi oltre la sede viaria anche le strutture acces
sorie come parapetti, arginelle e simili), si da far ritenere che
sia pienamente regolare — il comune non solo non si è peritato di produrre in giudizio alcun elemento che possa valere come in
dizio di senso contrario (per esempio le risultanze della istruttoria
amministrativa sulla cui base esso ha respinto la domanda «per mancato rispetto dei distacchi dalla strada» ovvero una eventuale
constatazione ad hoc a cura dell'uficio tecnico comunale), ma
si è limitato a chiedere un accertamento giudiziale della contesta
ta costruzione, quasi fosse compito specifico ed esclusivo del ma
gistrato di rilevare coi mezzi processuali simili dati di fatto. Non
sembra inutile, invece, ricordare che nel processo amministrativo
costituisce onere per la p.a. — nella cui disponibilità si trova
spesso la formazione delle prove o, comunque, gran parte del
materiale probatorio utile per la decisione — di cooperare fatti
vamente e con lealtà all'acquisizione dello stato agli atti del
giudizio. La violazione di detto principio — che nella specie deve rite
nersi effettivamente concretato — può essere dal giudice adegua tamente apprezzata in senso sfavorevole alla parte pubblica, con
la conseguenza che certe situazioni o circostanze di fatto (quali nel caso in esame quella del distacco del fabbricato dalla strada
di almeno undici metri) possono, allora, considerarsi sufficiente
mente provate. (Omissis)
II
Diritto. — Il collegio deve darsi carico in primo luogo delle
eccezioni sollevate dall'avvocatura generale dello Stato all'udien
za del 10 novembre 1986 a proposito della produzione in giudizio da parte del ricorrente della relazione prot. n. 6561/D in data
16 giugno 1975 fatta dal direttore della direzione generale dell'I
stituto poligrafico dello Stato alla direzione generale dell'istituto. L'avvocatura ha innanzi tutto prospettato la possibilità che il
ricorrente sia venuto in possesso del documento in modo illegale, chiedendo l'eventuale trasmissione degli atti al procuratore della
repubblica a norma dell'art. 3, 1° comma, c.p.p. La richiesta non può essere accolta. La difesa dell'amministra
zione, invero si è limitata a proporre un interrogativo ipotetico, non suffragato dal benché minimo indizio idoneo a contrastare
la formale proclamazione proveniente dal ricorrente, di aver otte
nuto l'atto attraverso canali del tutto legittimi. In altri termini, non è stato rappresentato al collegio alcun fatto riconducibile ad
ipotesi penalmente rilevante, con conseguente esonero dall'incom
bente di cui all'art. 3 c.p.c. L'avvocatura dello Stato ha anche chiesto che il documento
in questione venga stralciato dagli atti del giudizio in quanto, nell'esercizio della sua funzione difensiva, aveva ritenuto di non
doverlo produrre. Secondo l'assunto, l'amministrazione che — nonostante l'ordi
ne del giudice — abbia rifiutato l'esibizione di un documento, avrebbe anche la facoltà di opporsi a che dell'atto, al cui deposi to abbia provveduto il ricorrente, si tenga conto del giudizio.
La tesi è priva di fondamento e va disattesa. A tal fine è sufficiente ricordare, in breve sintesi, che, secondo
i principi che regolano l'attività istruttoria nel processo ammini
strativo (art. 44 r.d. n. 1054 del 1924 e art. 21 1. n. 1034 del
1971), a carico del ricorrente è posto il solo onere dell'allegazione
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
di principi di prova, essendosi attribuito al giudice un ampio po tere di acquisizione degli elementi di giudizio. Dal principio fon damentale di cui all'art. 113 Cost, da cui discende il diritto alla
tutela giurisdizionale nei confronti dell'amministrazione, deriva
anche che la posizione di intrinseca inferiorità del ricorrente ri
spetto alla controparte pubblica, depositaria delle prove docu
mentali, sia bilanciata dal potere del giudice di completare le alle
gazioni introdotte in causa mediante ordini di esibizione cui l'am
ministrazione non può sottrarsi.
Ed infatti, a prescindere dalle speciali fattispecie nelle quali l'esibizione di documenti da parte dell'amministrazione è assog
gettata per legge ad una disciplina particolare (ad es., art. 342
c.p.p.), all'autorità pubblica compete nel processo amministrati
vo un ruolo di collaborazione all'attività giurisdizionale che le
impedisce di trincerarsi dietro il principio civilistico secondo cui
nemo tenetur edere contra se.
Il principio della valutazione dell'inottemperanza all'ordinanza
istruttoria in senso sfavorevole all'amministrazione — d'altra parte — è costantemente ammesso dalla giurisprudenza (Cons. Stato, sez. V, 6 giugno 1984, n. 427, sez. IV 13 giugno 1983, n. 422, sez. VI 9 maggio 1983, n. 345, sez. VI 6 maggio 1981, n. 98, Foro it., Rep. 1984, voce Giustizia amministrativa, n. 612; id.,
Rep. 1983, voce cit., n. 660; ibid., n. 657; id., Rep. 1981, voce
cit., n. 753) potendo il giudice in tale ipotesi ritenere provati i
fatti allegati del ricorrente. Ma è stato anche ammessa la nomina
di un commissario ad acta per acquisire gli atti che l'amministra
zione non provvede a depositare (T.A.R. lombardia 13 novembre
1980, n. 1197). Per le considerazioni esposte, la pretesa facoltà dell'ammini
strazione di opporsi alla valutazione del documento di cui era
stata inutilmente ordinata l'esibizione e che sia stato invece pro dotto in giudizio dal ricorrente non trova spazio nel sistema pro cessuale vigente.
Il deposito del documento a cura del ricorrente, infatti, mentre
esonera l'amministrazione dall'adempimento cui era tenuta, non
ne ostacola l'attività difensiva, che può liberamente esplicarsi nei
confronti del contenuto dell'atto, dimostrandone l'irrilevanza o
contrastandone il concreto valore probatorio, anche con il ricor
so agli appositi istituti offerti dalla disciplina del processo. (Omissis)
CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA RE GIONE SICILIANA; ordinanza 26 aprile 1988, n. 70; Pres.
Schinaia, Rei. Giacchetti; Min. finanze ed altri c. Levantino;
Assessorato reg. sic. per la cooperazione e il commercio c. Soc.
Elvisa Fur e Commissione per la tenuta degli esercenti il com
mercio per la provincia di Palermo.
CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA RE GIONE SICILIANA; ordinanza 26 aprile 1988, n. 70; Pres.
Corte costituzionale — Decisione d'inammissibilità di questione non manifestamente infondata — Incertezza circa gli effetti nei
giudizi «a quo» — Deferimento della questione all'adunanza
plenaria — Fattispecie in materia di misure di prevenzione (Cost., art. 136; 1. 11 marzo 1953 n. 87, costituzione e funzionamento
della Corte costituzionale, art. 29, 30; 1. 31 maggio 1965 n.
575, disposizioni contro la mafia, art. 10; 1. 13 settembre 1982
n. 646, disposizioni in materia di misure di prevenzione di ca
rattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956
n. 1423, 10 febbraio 1962 n. 57, e 31 maggio 1965 n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno del
la mafia, art. 19; 1. 23 dicembre 1982 n. 936, integrazioni e
modifiche alla 1. 13 settembre 1982 n. 646, art. 2).
Va rimessa alla decisione dell'adunanza plenaria del Consiglio di
Stato la questione di stabilire se il giudice che abbia sollevato
una questione di costituzionalità di una legge della quale debba
fare applicazione per decidere il giudizio, sulla quale la Corte
costituzionale si sia pronunciata con una decisione d'inammis
sibilità fondata sull'affermazione che la questione implica valu
II Foro Italiano — 1988.
tazioni discrezionali riservate al parlamento, debba fare appli
cazione della legge della cui costituzionalità egli dubita o debba
invece disapplicarla in base al principio generale d'invalidità
degli atti illegittimi (nella specie, la disposizione dell'art. 10, 1° e 3° comma, l. 31 maggio 1965 n. 575, come modificato dalle leggi 13 settembre 1982 n. 646 e 23 dicembre 1982 n.
936, che, imponendo a tempo indeterminato il divieto assoluto
di rilascio di licenze, concessioni ed iscrizioni nonché la revoca
di diritto dei provvedimenti stessi anche nei confronti di sog
getti sottoposti a sorveglianza speciale ormai esauritasi, fareb be derivare cosi conseguenze sanzionatone perpetue da misure
di prevenzione temporanee ed adottate sulla base di elementi
esclusivamente indiziari, ponendosi — ad avviso del Consiglio di giustizia amministrativa — in contrasto con alcuni fonda mentali principi del nostro ordinamento costituzionale: con il
principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.); con il diritto al lavo
ro e di iniziativa economica (art. 4 e 41 Cost.); con il principio di umanità del sistema sanzionatorio e con quello della riedu
cazione della persona soggetta alle misure di prevezione (art.
27, 3° comma, Cost.)). (1)
(1) Il problema di stabilire che cosa debba fare il giudice, il quale sia convinto dell'incostituzionalità di una legge, dopo che la Corte costitu
zionale, cui la corrispondente questione sia stata trasmessa, si sia pronun ciata per l'inammissibilità della questione, se cioè egli debba applicare la legge che ritiene incostituzionale contro il principio stabilito dall'art. 1 1. Cost. 9 febbraio 1948 n. 1, oppure disapplicarla, contro il principio che riserva alla Corte costituzionale la relativa competenza, fu sollevato in dottrina da A. Pizzorusso, « Verfassungsgerichtsbarkeit» o «Judicial Review of Legislation»?, in Foro it., 1979, I, 1933; Id., Garanzie costitu
zionali, in Commentario della Costituzione, Zanichelli-Foro italiano, 1981, sub art. 137, 311-312; L. Carlassare, Le «questioni inammissibili» e la loro riproposizione, in Giur. costit., 1984, I, 733; Id., Le decisioni d'inammissibilità e di manifesta infondatezza della Corte costituzionale, in Foro it., 1986, V, 295. Nella conferenza stampa del presidente della Corte costituzionale per il 1986 (cfr. A. La Pergola, La giustizia costitu zionale nel 1986, id., 1987, V, 149, sul punto 156-157) fu affermato a
questo proposito che «l'obiettivo della pronuncia d'inammissibilità non è quello di scoraggiare il giudice a quo dal sollevare nuovamente la que stione che la corte non risolve nel merito ma, più semplicemente, di con trollare se la questione è stata correttamente formulata. Il che non toglie, dunque, che la questione possa essere riproposta, anche nel corso dello stesso giudizio di origine, quando il titolo dell'inammissibilità dichiarata dalla corte lo consente». Sembra peraltro chiaro che, nei casi in cui il «titolo» dell'inammissibilità è la riserva della questione alla discrezionali tà del legislatore, la riproposizione sia difficilmente ipotizzabile. È anche
da notare che, prima che si manifestasse l'orientamento della corte che ha portato all'attuale proliferazione delle decisioni d'inammissibilità (cfr. i dati risultanti dalla tabella 9, in A. Pizzorusso, L'attività della Corte
costituzionale nella sessione 1986-87, ibid., 453), gli atteggiamenti di self restraint della corte stessa nei confronti della discrezionalità del legislato re avevano portato spesso all'adozione di decisioni di rigetto nell'ambito delle quali le corrispondenti affermazioni operavano soltanto al livello
della motivazione, senza ripercuotersi sul dispositivo, cosicché risultava indiscutibile che da esse non derivava alcuna preclusione alla riproposi zione della questione, salvi gli effetti di precedente della ratio decidendi della sentenza di rigetto. In base alla prassi attuale, invece, l'opzione a favore del dispositivo d'inammissibilità, in luogo degli altri possibili, risulterebbe inspiegabile se non se ne dovesse dedurre la non riproponibi lità, quanto meno in tutti quei casi in cui il motivo assunto a causa dell'i
nammissibilità non sia eliminabile (come quando, ad esempio, si tratti
di riprodurre nel testo dell'ordinanza il testo contenente i motivi cui si sia fatto richiamo per relationem, il che ovviamente comporta soltanto un'attività di fotocopiatura, cui può provvedere anche un solerte usciere).
L'ordinanza della Corte costituzionale 3 dicembre 1987, n. 450, che
aveva dichiarato «manifestamente inammissibile la questione di legittimi tà costituzionale dell'art. 10, 1° e 3° comma, 1. 31 maggio 1965 n. 575
(«disposizioni contro la mafia»), nel testo modificato ed integrato dalle
1. n. 646 («disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere
patrimoniale ed integrazioni alle 1. 27 dicembre 1956 n. 1423, 10 febbraio
1962 n. 57 e 31 maggio 1965 n. 575. Integrazione [rectius, istituzione] di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia») e n. 936
(«Integrazioni e modifiche alla 1. 13 settembre 1982 n. 646, in materia
di lotta alla delinquenza mafiosa») del 1982, sollevata, in riferimento agli art. 3 e 27, 3° comma, Cost., dal Consiglio di giustizia amministrativa
per la regione Sicilia [l'ordinanza 23 febbraio 1987, n. 31, è riassunta
in Foro it., Rep. 1987, voce Misure di prevenzione, nn. 80-83] ed in rife
rimento agli art. 3, 4, 41 e 97 Cost, dal T.A.R. Lombardia, ord. nn.
204 e 205 del 1987 e n. 316 del 1986», aveva motivato deducendo «che,
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