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Perché Essere Identitari, Oggi

Date post: 12-Oct-2015
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Perché essere identitari, oggi? Perché una guerra millenaria è in corso, affinché il paradigma dominante cambi.Lif di euro-holocaust

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  • Perch essere identitari, oggi

    (di Lif del blog Euro-holocaust)

    "E sia. Nel sottosuolo cerca dunque il tuo destino. Finora nessuno fra quanti ti hanno preceduto ha mai pensato diversamente"

    ("La casina nel bosco", epilogo in forma di fiaba di "Che cos' la tradizione?", Elmire Zolla)

    Luglio 2014

    http://euroholocaust.blogspot.it/

  • INDICE

    - Preambolo (pag. 3)

    - Riguardo il "movimento per la casa" in Italia (pag.3)

    - Una nota su Oswald Spengler (pag. 5)

    - Un fantasma in Europa: il mondo contadino (pag. 6)

    - Tutte le strade portano in citt (pag. 7)

    - Karl Marx e l'egoismo contadino (pag. 8)

    - Holodomors of the West World Unite! (pag. 8)

    - Gli USA negli anni '80: l'amaro raccolto (pag. 10)

    - Nemici in casa propria 1: "una mattina mi son svegliato... e ho trovato l'invasor..." (pag. 11)- Nemici in casa propria 2: Pier Paolo Pasolini (pag. 12)- Il nemico (pag. 13)- Che cosa sar ancora amato tra venti o trent'anni? (pag. 14)

    - Nemici in casa propria 3: Stormfront Italia (pag. 15)

    - Nemici in casa propria 4: Manif pour Tous in Francia (pag. 17)

    - Genocidi e retorica (pag. 19)

    - La cosa pi vicina possibile al comunismo: la piccola-media impresa (pag. 22)- Per finirla con "la mia patria dove si combatte per la mia idea" (pag. 28)- Postambolo in due parti:

    Una fiaba (pag. 32)

    Un film (pag. 33)

    - Note (pag. 33)

  • Preambolo

    Nel 2009 uscito il film "2012", diretto da Roland Emmerich e prodotto principalmente dalla Columbia Pictures. Costato 200 milioni di dollari, di milioni ne ha poi incassati circa 770 nei due anni successivi (fonte IMDb). Ci significa che milioni di persone, in tutto il mondo, hanno speso proprio denaro per poter "godere" di uno spettacolo cinematografico il cui centro narrativo, in apparenza, era una variazione quasi fantascientifica sul tema della fine del mondo secondo i Maya (o la contemporanea versione pi o meno new-age occidentale), ma che in realt diceva ben altro. Nel corso del film, infatti, eventi catastrofici mettono rapidamente in pericolo il Pianeta Terra. Ai Governi terrestri diviene chiaro subito come agire; pertanto si predispongono delle arche per salvare il salvabile. Arche (curiosa l'analogia noachide) che potranno ospitare e ospiteranno soltanto gruppi ristretti di potenti, intelligenze e competenze varie utili ai detti potenti, riccastri finanziatori del progetto ed esiguissimi gruppuscoli di altri personaggi, in numero ben pi ristretto rispetto agli altri tre. In pratica milioni di spettatori in tutto il mondo, hanno potuto, pagando, godere dello spettacolo (al momento virtuale) della distruzione delle proprie vite e nazioni e terre, nel mentre che veniva giustificata la globalizzata salvezza delle lites mondiali.

    Riguardo il "movimento per la casa" in Italia

    Se masse numerose hanno pagato per vedere la propria morte, altre masse (chiss se non combacianti almeno in parte) hanno, pagando o non pagando, assunto la maschera di uno dei personaggi principali del film "V per Vendetta" [1]. Tale maschera viene regolarmente usata in tutto l'Occidente, compresa l'Italia, comprese le manifestazioni di differenti movimenti degli ultimi mesi. Perch importante questo utilizzo? Perch non riciclo, ma identificazione. E' un piccolo segnale, di adesione ad un immaginario. O, meglio, segnale di un desiderio, in questo caso globale.

    Ora, osservando le manifestazioni dei vari movimenti contro l'austerit, avutesi dal 18 e 19 ottobre 2013, in Italia, e poi proseguite nei mesi successivi, si possono schematicamente individuare tre insiemi di questioni trattate nelle stesse: 1) il lavoro, con o senza sindacati di settore; 2) alcune problematiche territoriali, in particolare riguardo la TAV o inceneritori di questo o quel comune, ecc.; 3) la problematica abitativa. Le prime due questioni sono, come si pu ben comprendere, focalizzate o focalizzabili. Non significa che non esista un rischio di "genericit" nelle proposte, ma pi limitato. Esisterebbe, infatti, una quarta questione, quella propriamente economica "contro l'austerit", ma rimane nel campo degli slogan, senza sufficienti collegamenti col mondo degli studi economici, n soprattutto col mondo imprenditoriale (piccola-media imprenditoria, ovviamente...), il quale il vero nodo centrale della dismissione dell'economia italiana, finendo per esserne anche la principale vittima (ma su questo torneremo). Per tacere delle problematiche geopolitiche. Tale scollamento non sembra dovuto tanto ad una minorit dei movimenti sociali (con storia a "sinistra"), che minoritari comunque lo sono, ma che almeno godono di una certa attenzione e tolleranza mediatica, quanto appunto alla genericit suddetta. Per quanto almeno il sindacalismo di base sappia, in alcuni casi (si pensi alla FIOM), esprimere personalit preparate, quella movimentista sembra trattarsi di una costellazione desiderante, pi che proponente. Lo fa sospettare non solo la questione economica, ma anche la terza questione, quella abitativa, per il modo in cui si presentata dalla manifestazione del 19 ottobre 2013 in poi (a Roma e con il successivo accampamento a Porta Pia), dove la presenza di numerosi immigrati stata salutata come prova di una coscienza sociale crescente di questi ultimi. Riproposta poi nella ridicola competizione del 18 dicembre 2013 (sempre a Roma), tra la manifestazione pro-immigrati all'Esquilino e la manifestazione del troncone di Danilo Calvani del movimento 9 Dicembre a Piazza del Popolo [2]. Ma la presenza di questi stranieri evidenzia anche altri due aspetti. Da un lato, l'assenza di una

  • coscienza del limite, dato che i movimenti non sembrano in alcun modo voler pensare (neanche proporre) una idea di cittadinanza (neanche di identit) che tenga in considerazione il problema dell'equilibrio tra demografia, risorse e ambiente, ricchezza pubblica e privata e lavoro (per non parlare, appunto di cultura ed identit). Ossia, che si ponga il problema di quanti stranieri si possa e si debba ospitare.

    L'illusione della presenza arricchente allogena, alla manifestazione del 19 ottobre (e successive), dovrebbe venir moderata se ci si ponesse realmente il problema di un equilibrio che sappia rispettare l'ambiente, permettendo per lavoro e spazi abitativi e citt vivibili, cosa possibile solo avendo perlomeno l'idea che possano esistere soglie, oltre le quali si ha solo da perdere. Si veda, ad esempio, un articolo ospitato su Contropiano, in cui si critica la demolizione in corso di abitazioni in Spagna, facendo presente, al contrario, la presenza di numerose famiglie senza casa. (Demoliscono le case per impedire che vengano utilizzate, Rossella Marchini / Antonello Sotgia, Contropiano, 9 novembre 2013) [3] Tale demolizione il risultato di una crescita edilizia, negli scorsi anni, gonfiata rispetto alle reali possibilit del mercato. Su Contropiano, naturalmente, criticano tale demolizione, ma nel caso spagnolo, molto dovuto alla presenza allogena, in quanto gli immigrati erano allo stesso tempo lavoratori nell'edilizia con paghe basse, ma anche mutuatari a condizioni speciali [4]. Il tutto in grazia di una presunta crescita futura, mai contestata da alcuno. E, come visto, non avvenuta.

    Il punto appunto questo: chi contest ci? Come negli anni passati, Spagna o Italia, alcuno, o pochi, contest o almeno dubit di quella crescita, cos ora, in piena crisi, chi contesta le non-ricette proposte? Se prima si taceva del continuo costruire, ora, guardando i movimenti italiani, si tace sul costo dell'abitazione per tutti. C' uno slogan molto in voga in certi ambienti, ossia "la citt di chi la vive" o qualcosa del genere. E' in linea con una certa idea di cittadinanza, ma sarebbe meglio dire di non-cittadinanza. Tale slogan, in ambienti in cui pane quotidiano riempirsi la bocca con confini da abbattere, specie fisici e geografici, e diritti solo universali, indica la pretesa che sia concepibile e accettabile il diritto alla casa per chiunque, dove "chiunque" realmente tale, senza radicamento, senza doveri, senza appunto cittadinanza o, meglio, senza identit. Chiunque purch stia l... in quel momento. Cosa c' di razionale, ossia realmente fattibile in tale visione delle cose?

    Di recente, uno studio riporta che sono circa 11 milioni, in tutta Europa, le case sfitte, la gran parte villaggi turistici o lotti costruiti nel corso del decennio passato (con proprio la Spagna a coprire da sola quasi un terzo del totale). Facendo notare che le persone senza una casa, in Europa, sono 4 milioni, molti si chiedono perch non dare le case sfitte a costoro. Gi, ma costoro chi sono? Europei? Allogeni? Barboni? Nuovi disoccupati? Sfrattati per la crisi? (LEuropa degli sprechi: 11 milioni di case sfitte, Alessia Bardi, Metro, 10 marzo 2014) [5] Non un dettaglio il "chi", dato che il barbone o lo sfrattato o il disoccupato autoctono europeo porta con s solo la propria vicenda sfortunata, a differenza invece, e ormai lo dovremmo sapere bene, dell'allogeno, specie nordafricano, subsahariano o indo-pakistano, che porta con s anche ricongiungimenti famigliari, spese ulteriori per quella poltiglia informe chiamata "integrazione", crescita demografica superiore alla media autoctona europea, maggiore tendenza al caos sociale, ecc. In pratica, perch, una volta date quelle case, non ne serviranno altre e ancora altre per ulteriori arrivi? Tutte cose ben conosciute e studiate e persino mediatizzate, ma non abbastanza meditate, interiorizzate, in particolare dagli appartenenti a certi movimenti, che dalla massa numerica allogena pensano di poterne trarre... l'aver ragione...

    Il punto non che ci possano essere case sfitte e locali vuoti. Il punto dove si trovi il limite massimo senza che ci si debba preoccupare di quanto costruire, quanto abitare, quanti servizi

  • necessari per far vivere dignitosamente, quanto lavoro rendere disponibile, ecc. Ed ecco il secondo aspetto, derivante dalla presenza allogena: dove si trova tale limite, prima che qualcuno incominci a notare, non per indole politica o ideologica, ma per semplice istinto che una citt prima di viverla, la si deve costruire e farla crescere e che per l'averla costruita e l'averla fatta crescere non si devono ringraziare quelli che presumono di viverla, ma coloro che c'erano prima?

    Una nota su Oswald Spengler

    Lo slogan "la citt di chi la vive" lo possiamo vedere come un curioso punto di contatto con Oswald Spengler, perch sintetizza, pur dandone un giudizio ribaltato, quanto costui pensava. Spengler vedeva nella citt una costruzione sociale ripugnante, perch crescente nello spregio delle tradizioni, contadine o nobili poco importa. Nella citt chiunque pu confluire, desiderando qualunque cosa. La citt moderna il concretizzarsi di un istinto desiderante. Nella citt si chiede, non si d. In ci sta la ragione per cui Spengler vedeva il forte pericolo di una decadenza occidentale: la massa desiderante informe, pertanto sterile [6]. "La citt di chi la vive" altro non significa se non l'assenza di una organizzazione politica e sociale che affermi e rispetti una identit, ossia il modo di vivere di un popolo radicato. L'aver reso scandaloso il radicamento e l'identit ha prodotto il deserto informe, con, al contempo, l'incapacit di gestire il reale, bisogni individuali compresi. Si cos prodotto un grottesco ribaltamento.

    I decenni successivi alla morte di Spengler [7] hanno confermato le sue previsioni, in una maniera che lascia stupefatti: scorrere le sue pagine significa ritrovarsi in un Occidente il cui panorama caratterizzato da dominio finanziario e bancario, da delocalizzazioni industriali in Paesi non-occidentali, da masse allogene demograficamente crescenti e disprezzanti gli occidentali, da preoccupante decrescita demografica occidentale, dall'aumento di punti di tensione socio-politica interni all'Occidente, da paradisi artificiali, persino da occidentali che si convertono alle lotte e alle credenze extra-europee. In pratica, l'oggi.

    Perch questo riferimento a Spengler? Costui parte da posizioni molto conservatrici, ma diffidando, ad esempio, di forme ideologiche propugnatrici del "razzismo biologico". Egli difende una visione della realt in cui la quotidianit fatica e in cui la pretesa di lenire tale fatica indizio di menzogna. Da ci la sua diffidenza per tutto ci che "di sinistra" (tutto ci che "bolscevico", come lui direbbe), perch raccontante una realt impossibile, i cui affabulatori usano tale racconto solo come mezzo di potere. Tale racconto fa leva su due punti: l'assenza di limiti e la massificazione. Quello che oggi definiamo "individualismo" in realt la volont dei singoli di poter indefinitamente perseguire il proprio piacere indistintamente. Addormentarsi e cullare i propri sogni nella massa, in modo che la sofferenza naturale dell'esistenza sembri allontanarsi. L'uso di droghe, la societ dello spettacolo, il consumismo, sino al disprezzo per il lavoro di certuni (come neanche gli hidalgos - che almeno sapevano che la sconfitta delle anime nobili -) sono risultati dell'incontro, ambiguo, ma avvenuto e quasi da subito, tra crescita capitalistica e dominio finanziario-bancario, da un lato, e retorica proletaria, dall'altra. Ossia, appunto, distruzione dei limiti e massificazione.

    Certo, Spengler parla da un'altra epoca. Oggi, soprattutto per quanto riguarda la fatica e il lavoro, chi lo seguirebbe? Le lotte sindacali hanno reso il lavoro, in Occidente, un peso che non piega del tutto il singolo individuo. Il lavoro non pi necessariamente l'esistenza tutta di un individuo. E' un male? Ambiguamente un mezzo, semmai. D'altronde, lo stesso Spengler era ambiguo rispetto al dominio della tecnica, che contribuiva/contribuisce alla distruzione della natura e degli ordini

  • tradizionali, ma rimanendo affascinato dalla volont faustiana. Piuttosto, ne criticava l'essere mezzo di massa, che vanificava la storia "naturale", intesa come dispiegarsi di culture e individui di carattere (e non di ideologie, di qualunque forma). La tecnica, spinta dal capitalismo e dalla finanza globale, e adeguata ai sempre nuovi e mutevoli desideri delle masse, finisce per essere dispersione, spreco in senso quantitativo. Un tempo, il Partenone; ora, il grattacielo Gherkin a Londra. Un tempo, Leonardo da Vinci; ora, Jeff Koons. Un tempo, Johann S. Bach; ora, i rappers [8].

    Un fantasma in Europa: il mondo contadino

    La retorica sul proletariato aveva un tempo delle ragioni (ma Spengler forse direbbe delle scuse), data la durezza dell'esistenza, di quella della prima industrializzazione in particolare. Come detto, difficile tornare al "prima". Ma, appunto, il discorso non si limita a quello. Il punto non , e mai lo stato, che la gran parte degli individui debbano essere curvi dalla fatica, ma che dal rialzarsi si sia finiti stesi per noia o per bulimia.

    Veniamo al dunque. Oswald Spengler idealizza troppo il mondo tradizionale, non tanto per quanto concerne nobilt e classi dominanti (di un tempo) in genere, che vede, coerentemente dal suo punto di vista, come protagonisti della storia. Idealizza troppo il mondo contadino, non perch non riconosca sofferenze e fatica quotidiane (tutto il contrario!), ma perch il mondo contadino il vero fantasma dell'Europa degli ultimi sette secoli. Altro che il generico e ideologico proletariato urbano, riunito nel comunismo rivoluzionario! Il mondo contadino il vero fantasma, in quanto esso non riconosciuto come l'agnello sacrificale dei mutamenti imposti all'Europa negli ultimi secoli. Nel corpo e nel sangue del mondo contadino si giocata la partita finale per l'imposizione di forme sociali e culturali. La storia europea degli ultimi duemila anni anche o soprattutto una storia di identit imposte, non nascondiamocelo. Dallo sradicamento delle culture politeiste europee, durato quasi mille anni, alle rivolte contadine, passando per l'industrializzazione del XIX secolo e arrivando al conformismo consumistico del Novecento, abbiamo avuto una sequenza, spesso brutale, di identit europee contro altre identit europee. O, meglio, di lites stanziate in Europa contro determinate identit europee.

    Una lettura degli eventi in senso marxista, di lotta di classe, oppure una lettura pi genericamente progressista, di mutamento degli stili di vita, non permetterebbe di comprendere il processo continuo, mai esperito in altre aree del pianeta, di sradicamento e imposizione, che prima di tutto identitario, quindi pi brutale di qualunque altro discorso, perch pi intimo. L'Europa attuale , prima di tutto, il frutto di sfiguramenti dell'essere degli individui e dei popoli. Prima della fatica del vivere e del lavorare, l'Europa ha conosciuto e conosce l'orrore del panorama quotidiano annichilito per ordine altrui. In ci, il marxismo, il consumismo, il progressismo non rappresentano alternative (tra loro). Pi complessa, perch estremamente ambigua rispetto alle storie nazionali e alle identit, la questione del fascismo o del nazionalsocialismo (su cui sorvoleremo, se non altro per la durata limitata di quei fenomeni, e sorvolando su neo-fascismi e neo-nazismi assortiti, che sono altra cosa, cos come tacendo della stupidaggine del "fascismo eterno").

    Finita la distruzione delle culture religiose autoctone, l'Europa ormai (parzialmente) cristianizzata sembrava godere di un po' di pace (almeno al proprio interno, dato che dall'esterno premevano l'orda maomettana e l'arma batteriologica dei mongoli, la peste). Pochi secoli dopo, col Basso Medio Evo inoltrato, ricomincer l'opera di imposizione culturale, nella lotta alle eresie religiose. Poco pi avanti nel tempo, ecco comparire la lunga epoca delle rivolte contadine, dal 1300 francese al 1700 russo, toccando l'Inghilterra, l'Olanda, l'Italia, la Boemia e, soprattutto, la Germania, dove

  • furono centinaia di migliaia coloro che aderirono a quella che fu quasi una rivoluzione, ma che fu spazzata via cruentemente per volere della nuova rivoluzione religiosa, la luterana.

    Nella gran parte dell'Europa le rivolte contadine vennero represse e tale repressione marci parallelamente all'evoluzione della repressione religiosa, che si riorient verso la cosiddetta stregoniera. La risultante di queste due repressioni fu l'imbrigliamento della libert culturale delle aree contadine, ossia della gran parte dei territori europei. L'epoca che noi chiamiamo Rinascimento finir anche per essere l'epoca in cui il cittadino si smarca dal contadino, decretandone la natura "volgare" e operando per il suo incivilimento. Sbaglia perci Spengler nel vedere il mondo tradizionale come compatto e contrapposto alla forza dissolutiva cittadina. Il mondo tradizionale, composto da mondo religioso, nobilt, artigiani e contadini, presentava al suo interno forti e contrastanti differenze, in parte causa proprio di quel dominio cittadino, ossia capitalistico-finanziario e ideologico, che lo stesso autore tedesco aborriva e che ai suoi tempi era ormai quasi definitivo.

    Fu l'avvicinamento della grande propriet e, poi, dell'industria al dominio della nobilt e delle chiese e sette cristiane, per limitare il pericolo di un ripresentarsi di una nuova epoca di rivolte, che port alla sconfitta del mondo contadino come mondo a parte, con leggi e stili di vita propri. Uno scendere a patti di cui la nobilt e i cristianesimi non hanno ancora esplicitamente ammesso l'errore, n lo hanno capito.

    Tutte le strade portano in citt

    Nell'Europa occidentale e in particolare nel Regno Unito, la sconfitta del mondo contadino inizi in maniera definitiva prima con le enclosures, ossia col decretare il dominio della propriet economica rispetto alla comunit tradizionale radicata da generazioni, poi con il Reform Act britannico dei primi dell'Ottocento. La riforma permise di rimodulare i seggi per le elezioni politiche, in modo che venissero maggiormente rappresentate le citt rispetto ai borghi, dato l'aumento demografico delle prime rispetto ai secondi. Essendo ancora senza voto oltre il 90% degli abitanti britannici, ci significava che gli interessi dei piccoli borghi erano destinati a cozzare con i sempre pi ampi e potenti interessi cittadini, dove per cittadino bisogna intendere ormai industriale e poi finanziario. I successivi socialismi passeranno da qui: essendo sempre pi ampia la massa sradicata di lavoratori o disoccupati che le industrie producevano e che le citt ospitavano, non c'era alcun bisogno del radicamento, ossia del mondo contadino. Esso, che aveva lottato per secoli in tutta Europa, con un numero immenso di martiri, non poteva interessare.

    Il Reform Act sostanzialmente il presentarsi alla Storia del moderno sistema elettorale, che condurr successivamente ad "una testa, un voto", ossia il suffragio universale, ossia la democrazia "quantitativa". Per, laddove una massa concentrata ed un interesse convergono, ecco presentarsi uno squilibrio a danno di altre aree ed interessi. Pu stupire, ma anche voto comunitario allogeno (come in Francia o in Belgio o in Olanda ai giorni nostri) o voto clientelistico (come i partiti del centro-sinistra italiano oppure il partito berlusconiano) nascono da ci. Questo se il sistema non viene strutturato in maniera che le elezioni rispecchino le identit sociali e locali, che nel corso del tempo vivificano la nazione.

    Ovviamente, il sistema elettorale, per come allora nasce e poi si sviluppa, diventando ci che conosciamo, ha necessit di alcune condizioni, in particolare l'educazione degli individui e stili di

  • vita sempre pi omogenei. Questo in favore del vero beneficiario del sistema elettorale, ossia il nuovo mondo cittadino industrial-capitalistico. I vari aspetti si compenetrano a vicenda: la forma elettorale dona ulteriore riconoscimento pubblico alla forza delle nuovi classi dominanti, le quali spingono verso stili di vita utili per i propri interessi, i quali influenzano la societ e la politica. Democrazia "quantitativa", scolarizzazione e cultura di massa sono fenomeni interconnessi con e in parte dovuti all'industrializzazione, rappresentandone anche elementi necessari per la sua espansione. Espansione che non ha scandalizzato pi che tanto, non tanto per gli esiti "materiali" (le produzioni in quanto tali), ma per gli esiti sociali e culturali.

    Karl Marx e l'egoismo contadino

    Il socialista Gaetano Salvemini, pochi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale [9], afferm che il mondo contadino, con la resistenza al Fascismo, dimostr di partecipare finalmente ad una guerra civile non pi in maniera "reazionaria". L'immagine abituale del mondo contadino, ignorante ed egoista, stata condivisa nel corso del tempo sia dai ceti alti come dagli ambienti progressisti. Dal Martin Lutero, neo-alleato dei prncipi tedeschi, del "si fugga dai contadini come dal demonio in persona" al Karl Marx dei contadini conservatori, isolati gli uni dagli altri e accostati come identici sacchi di patate gli uni agli altri.

    Quel che scrive Marx, in particolare ne "Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte" del 1852, interessante, in quanto evidenzia vari spunti. Il contadino francese, dei primi decenni del XIX secolo, da lui descritto, un conservatore, che vive isolato, producendo per s e la sua famiglia, ma senza alcuna organizzazione di livello nazionale, quindi senza essere classe sociale. Secondo Marx, il non vedersi uniti da una identit socio-economica condivisa tanto grave da far passare in secondo piano il radicamento territoriale contadino, cos come la capacit di sostentamento famigliare e l'essere padrone dei mezzi di produzione, cos come si presume che il comunismo desideri. Per il suo radicamento locale e il non condividere una coscienza di classe globale (per i tempi diremmo "nazionale") lo rendono sospetto. Il contadino pertanto egoista. Il ragionamento di Marx interessante laddove considera che il contadino, se isolato e in quanto isolato, facile preda dello sfruttamento capitalistico in seguito ad indebitamento, ma soprattutto dell'imposizione fiscale statale, che trasforma le differenti realt locali in identici rapporti di movimentazione fiscale (appunto dalla singola realt periferica al centro dello Stato). Tale ragionamento non viene per sviluppato. Marx accenna alla massa crescente dei senza lavoro, che si accalca sempre pi in citt, ma sembra essere solo la mancata alleanza tra mondo contadino e proletariato urbano l'aspetto che maggiormente lo preoccupa. Il centro di tutto finiscono cos per essere la citt e il proletariato. Non esistono mondi a parte. Non devono esistere.

    Holodomors of the West World Unite!

    L'Europa e l'Occidente sono cresciuti negli ultimi secoli secondo un processo di aggregazione del potere, nelle sue varie forme, con una parziale frenata durante parte del XIX e del XX secolo, in cui si vista la crescita di realt pi piccole, locali, imprenditoriali, sia nel campo agricolo, che industriale, che nei servizi. Dalla fine del Ventesimo Secolo, tale processo di aggregazione ricominciato, accelerando ulteriormente negli ultimi anni, con la crisi iniziata nel 2008.

    La concentrazione capitalistica, per, sbaglieremmo a considerarla differente dal totalitarismo ideologico, soprattutto nella forma socialista, in quanto entrambi impongono alle masse, ossia ai

  • differenti popoli schiacciati nella omogeneit imposta, destini eterodiretti. Si pensi all'Holodomor ucraino. Mendel Khatayevich, uno dei leader bolscevichi ucraini, e tra i responsabili di quello che stato il pi grande genocidio nel continente europeo, con i suoi sette milioni di morti, afferm che "... stata necessaria una carestia per far comprendere ai contadini chi comanda in questo Paese. La collettivizzazione costata milioni di vite, ma ora saldamente radicata...".

    Sembra di sentire le lites europeiste attuali, che di fronte alle macerie greche o alla crescente miseria italiana, si ingioiellano con frasi fatte e vuote parole, come "democrazia", "no al populismo e ai nazionalismi", "diritti umani", "diventare pi europei", ecc. La retorica ideologica come cortina fumogena, dietro cui nascondere l'eliminazione di ogni differenza potenzialmente contraria al progetto totalitario, ma anche per impedire ogni smarcarsi dalla stessa retorica. Non solo un fatto economico. Il Trattato di Lisbona e, pi in generale, ogni struttura o istituzione o legislazione europeista non puntano ad imporre una modalit di organizzazione economica, per uniformare, secondo la retorica in auge, le singole nazioni, compattandole continentalmente e rendendo perci l'Europa intera pi forte nella competizione globalizzata. Lo sappiamo, ormai: lo scopo precisamente quello di desertificare la vera Europa, quella dei popoli e delle singole nazioni, delle diversit, per creare un contesto degradato e amorfo, facilmente dominabile da piccole lites. Con quale scopo ulteriore a discrezione di ogni singolo sentire culturale o ideologico (traghettamento verso il Governo Unico Mondiale; competizione capitalistica globale; piano Kalergi o similari; Protocolli di Sion; ecc.) e non ce ne occuperemo adesso.

    Ogni scelta europeista percorre due strade parallele, destinate ovviamente ad incontrarsi nel mondo globale (come insegna la geometria non-euclidea): pi concentrazione decisionale economica e politica a livello continentale, da una parte; pi rarefazione identitaria, culturale, sin nei minimi aspetti del vivere, dall'altra parte. Spesa pubblica inchiodata ai diktat europeisti o "genitore 1, genitore 2" oppure continua ed iper-mediatizzata invadenza estera negli affari politici nazionali o sostegno all'eutanasia, anche ai bambini, come libert individuale, al pari della propaganda pro-omosessuale o di quella immigrazionista, sono tutti aspetti convergenti di un unico fenomeno, dove l'esplosione desiderante del singolo individuo si sposa alla sua costrizione in un unico orizzonte imposto dall'alto, politico e culturale, economico e sociale.

    Prendete la Svizzera e il suo referendum del febbraio 2014 contro l'immigrazione. In nessuna decisione precedente (o successiva) all'esito di tale referendum l'Unione Europea si scatenata con la stessa presunzione e voglia di ricatto. Jos Barroso ha sibilato che ha pi da perderci la Svizzera che l'UE. Si fa notare che c'erano dei patti da rispettare, ma ci si dimentica che esistono i popoli e, se esistono strumenti di consultazione come i referendum, tali strumenti possono dare esiti alternativi, rendendo evidente una verit scandalosa, ossia l'autodeterminazione dei popoli e la sovranit nazionale. La Svizzera "egoista" ha di che insegnare a Barroso e compagni: se il volere popolare va contro i patti internazionali, devono cambiare i patti, non il popolo.

    Ma, appunto, l'Unione Europea non , nella sua attuale forma, l'unione dei popoli europei, quanto l'unione che estingue le diversit etno-culturali. Altrettanto, la distruzione delle diversit non realt solo odierna ed europeista, quanto pan-occidentale. Citato l'Holodomor ucraino, si pu citare anche la Vandea in Francia, durante la Terreur rivoluzionaria, con probabilmente almeno 200.000 morti, dovuti a quello che gi allora venne chiamato "sistema di spopolamento" (del giacobino Jean-Baptiste Carrier).

    Oltre all'Ucraina, non bisogna dimenticare direttamente la Russia (pi altre aree dell'Asia centrale),

  • dove in varie ondate, la repressione bolscevica, dallo scontro con i Verdi sino al "massiccio impietoso terrore" richiesto da Lenin contro i kulaki [10], impose il nuovo dominio, sterminando direttamente o causando la morte di milioni di individui, appartenenti al mondo contadino, rei tutti di opporsi alla collettivazione e al centralismo sovietico. Non sar un caso che i bolscevichi colpiscano avendo in mente proprio la Vandea francese, sia come riferimento ad un proprio altrove/altro da eliminare, sia per quanto riguarda la crudelt da impiegare. Non stupisce pertanto quanto gi prevedeva un Mikhail Bakunin, negli anni '70 del XIX secolo, nel suo "Stato ed anarchia" (venendo subito criticato da Marx), su come il comunismo marxista sarebbe poi evoluto, ossia nella forma di minoranza privilegiata, schiacciante il popolo.

    Gli USA negli anni '80: l'amaro raccolto

    Una storia apparentemente differente sarebbe quella relativa alla farm-crisis negli USA nei primi anni '80 del XX secolo. [11] Eppure viene la sensazione che dietro un manto di comprensione sociale, (moderatissima) attenzione del mondo dello spettacolo, campagne elettorali ad hoc, ci sia di pi. La crisi del mondo agricolo statunitense esplode a fine anni settanta dopo un decennio di grandiosa crescita, dovuta, incredibile a dirsi, anche all'apertura del mercato sovietico. Che ci sia qualcosa che non torna evidente gi nel 1980, ultimo anno di presidenza di Jimmy Carter: per allora, gli aiuti pubblici vanno per il 60% alle grosse societ attive nel settore, rappresentanti solo il 17% del totale. L'inizio dell'era di Ronald Reagan, nel 1981, non cambier minimamente le cose, anzi, alcuni suoi consiglieri si lasceranno trasportare da una retorica che dovremmo conoscere. David Stockman, dell'Ufficio Gestione e Bilancio del Governo Reagan, affermer che la crisi fu solo la conseguenza dell'avidit degli agricoltori statunitensi, ingranditisi a scapito di bilanci virtuosi. Peccato che negli anni di Reagan, il 67% degli aiuti al settore andranno alle grosse compagnie (quindi in ulteriore crescita rispetto a Carter). Peccato anche che, secondo il Dipartimento dell'Agricoltura, nel 1986 se meno del 2% delle aziende agricole di dimensioni medio-piccole erano insolventi, tale percentuale saliva all'8% per le aziende medio-grandi.

    Non stupisce, comunque, che ci fu chi consigli a Stockman di non mettere piede in zone come l'Iowa, per non rischiare di venir linciato. Perch la crisi colp soprattutto la fascia di aziende di medie dimensioni, che si ritrovarono con forti debiti, ma senza le possibilit e gli aiuti delle grandi compagnie. L'Agenzia governativa dedicata alla gestione del settore agricolo, che allora si chiamava Farmers Home Administration, avrebbe per dovuto mettere nuovamente sul mercato i terreni liberatisi con i fallimenti sopraggiunti. Il Farm Bill del 1985 richiedeva che l'Agenzia mettesse quei terreni a disposizione per le aziende famigliari, per tre anni. Superati i tre anni, chiunque fosse interessato all'acquisto avrebbe avuto semaforo verde. Ci non accadde, non solo perch non sempre c'erano le condizioni economiche perch le piccole aziende potessero comprare, ma anche perch il termine dei tre anni non venne rispettato, tanto che all'inizio del 1987 ben il 71% dei terreni erano gi stati venduti contravvenendo il Farm Bill. Sempre nel 1987, gli acri di terreno in mano alle grosse compagnie erano aumentati del 36% rispetto al 1979, spesso assumendo come lavoratori gli ex-proprietari delle aziende medio-piccole, andate precedentemente in bancarotta.

    L'effetto di tutto questo fu che il numero dei proprietari agricoli si ridusse di quasi due terzi, con un mercato ormai sempre pi dominato dalle grosse aziende (in prospettiva sarebbe interessante anche vedere le questioni ogm, biotecnologiche, ecc.) con un disperato contorno di manifestazioni, anche violente, crisi in settori collaterali a quello agricolo, ma anche l'aumento di aree degradate e casi di violenza privata. Uno dei casi pi eclatanti fu quello riguardante Gordon Kahl [12]. Kahl, veterano della Seconda Guerra Mondiale e attivista anti-tasse (quasi un anarco-capitalista), mor in un violentissimo conflitto a fuoco con le forze dell'ordine nel 1983, dopo aver violato la libert

  • vigilata, per poter partecipare ad un incontro di attivisti anti-governativi nel Nord Dakota.

    Kahl, dagli anni '60, apparteneva alla frastagliata galassia di movimenti variamente contrari al Governo centrale, oscillanti dall'anarco-capitalismo a posizioni bianco-suprematiste o separatiste e genericamente conosciuto come "movimento del cittadino sovrano" [13]. Tale galassia di movimenti ha avuto origini negli anni '60, ritrovando sempre slancio a causa degli eventi via-via succedutisi, come appunto la farm-crisis degli anni '80, oppure la strage di Waco del 1993, che sar poi una delle cause scatenanti la strage di Oklahoma City del 1995. Tralasciando i dubbi di alcuni sugli autori di quest'ultima (che in un certo senso ne fanno l'antesignana dell'11 settembre 2001), interessante quanto dice Timothy McVeigh, uno degli attentatori, allo scrittore Gore Vidal, un paio di mesi prima di venir giustiziato (nel 2001), ossia che l'attacco di Oklahoma City era giustificato moralmente e strategicamente, in quanto "gli agenti federali, per ogni loro scopo e intento, erano ormai divenuti "soldati"" e che "non esisteva alcuna differenza tra l'attacco a quell'ufficio federale da parte sua rispetto agli attacchi statunitensi contro edifici governativi in Serbia, Iraq o altrove" [14]. Detto altrimenti: dopo episodi come quello di Waco, oppure il massacro di Ruby Ridge (dove vennero uccisi da agenti federali la moglie disarmata dell'ex-militare Randy Weaver e il figlio di 14 anni, colpito alla schiena mentre scappava), l'ex reduce della guerra in Iraq, McVeigh, considerava ormai le forze governative come truppe di occupazione di un Governo nemico e straniero.

    Negli anni successivi non ci saranno altri eventi clamorosi come Oklahoma City, ma il "movimento del cittadino sovrano" non sparir, avendo semmai una ulteriore recrudescenza a partire dal 2009, dopo l'ultima crisi economico-finanziaria, con diversi arresti tra gli attivisti anti-tasse, sempre dipinti come truffatori o semplici evasori, ma anche con episodi violenti, come lo scontro a fuoco mortale tra Jerry Kane e suo figlio Joseph e alcuni agenti di polizia dell'Arkansas, nel 2010.

    Nemici in casa propria 1: una mattina mi son svegliato... e ho trovato l'invasor...

    Torniamo un attimo al massacro di Ruby Ridge e di Waco. Il primo caso quasi tipico nel suo svolgimento: la famiglia Weaver vive isolata nei boschi; i genitori sposano posizioni religiose apocalittiche; forse a causa di questo, ma anche per vecchi trascorsi di Randy Weaver, le autorit credono che costui appartenga ancora al movimento delle Nazioni Ariane, cosa in realt non pi vera. A causa di alcune armi possedute illegalmente, Weaver viene citato in giudizio, notificandogli per la data di comparizione sbagliata, cosa che rischier di portarlo all'arresto. A causa di questo, Weaver diventa sospettoso e appunto si isola sempre di pi. Le autorit decidono di intervenire nell'estate del 1992, mandando, armati di tutto punto, gli U.S. Marshals e l'FBI. Con quali risultati, l'abbiamo detto.

    Nel caso di Waco, le autorit intervengono nel momento in cui la setta religiosa di David Koresh portava avanti, per cos dire, una politica demografica separatista (non discuteremo la natura della setta). Rimpolpando l'intervento federale con le accuse di violenze sessuali e uso di droghe (cose mai confermate), si decise un primo intervento, in cui, in maniera non chiara, ci furono morti da una parte come dall'altra, fino all'assedio finale, in cui intervennero anche reparti speciali dell'esercito, elicotteri e mezzi corazzati da guerra, con il risultato di accerchiare tutti gli appartenenti alla setta, donne e bambini compresi, fino alla tragica fine per 76 di loro (di varia nazionalit, compresi britannici, canadesi, israeliani e filippini).

    Come detto, questi due episodi sono stati indicati come parte della causa scatenante l'attentato di Oklahoma City. A gruppi, siano essi famiglie o sette religiose, portatori di idee variamente estreme, nel senso di fortemente alternative rispetto a quanto tollerato via-via dalle autorit (specie quelle

  • centrali), non viene loro concesso di auto-organizzarsi. I protagonisti delle due vicende scatenanti e di quella conseguente appartengono tutti ad ambiti o immaginari tradizionali, che in altre tempi sarebbero stati considerati comunque, almeno per e negli USA, normali. Tutto sta in quel "rispetto a quanto tollerato via-via dalle autorit".

    La normalit imposta normale. Non ci si pu scandalizzare del fatto che chi detenga il potere imponga delle norme, n che, da un certo punto, possa decidere di usare la forza. Il punto non il "come", quanto il "cosa", ossia il punto che nel giro di pochi decenni, senza stravolgimenti apparenti, ci che era normale poco prima divenga sempre pi anormale poco dopo, con esiti anche tragici. Quanto ha confessato McVeigh a Gore Vidal la testimonianza di un cittadino che una mattina si svegliato, non riconoscendo pi il mondo in cui era nato e vissuto sino ad allora. Qualcuno potrebbe dire che un problema dello stesso McVeigh, che il mondo cambia, ecc., ecc., ed altre banalit simili. In realt il mondo cambia a prescindere da qualunque evento, per il semplice trascorrere del tempo e delle generazioni. Il cambiamento accelerato, invece, degli ultimi decenni altro e non sempre permette, specie alle persone comuni, di valutare i pro e i contro di quanto avvenga. Lo stordimento derivante dal cambiamento accelerato, probabilmente, potrebbe spiegare molti fenomeni, sia di degradazione, testimonianti il piegarsi all'attualit (le droghe; certe forme di devianza sessuale; sempre nuove forme di ossessivit compulsiva; ecc.), sia di reazione, testimonianti la volont di smarcarsi rispetto a questa attualit (movimenti politici e culturali alternativi rispetto ai valori dominanti nei mass-media e tra le lites; ecc.).

    Da questo punto di vista, non si pu che diffidare di qualunque benintenzionato che non metta in discussione l'attualit. Rimanendo agli USA, sembra che l'alternativa debba essere: da una parte, un pacchetto comprendente la societ multietnica, estremizzata fino al meticciamento (come nuovo totem), una strutturazione dello Stato pi centralizzata (i maggiori controlli anti-terrorismo post-11/9 e il piano-sanit di Barack Obama sono due degli ultimi fenomeni), i matrimoni omosessuali, l'aumento della spesa pubblica in armamenti (con grottesco antipasto di premio Nobel preventivo ad Obama), ecc.; dall'altra, lo spauracchio del ritorno all'epoca maccartista o della segregazione razziale (col razzismo come nuovo tab), la cosiddetta America profonda (derisa in uno strano crescendo, da alcuni decenni a questa parte, nelle produzioni tv e cinematografiche, con base perlopi in California o a New York), l'egoismo della classe media bianca e cristiana, ecc. Nei mezzi di comunicazione statunitensi, il primo pacchetto il bene, mentre il secondo pacchetto il male. Ma il secondo pacchetto , bene o male, ci su cui sono cresciuti gli USA, mentre il primo pacchetto ci ha goduto dei frutti dell'altro.

    Non stiamo dicendo che il "prima" era immacolato, semplicemente perch qua non ci stiamo occupando di Dresda o di Hiroshima, n che la segregazione razziale andasse tenuta. Stiamo dicendo per che, da un certo punto in poi nella storia recente e recentissima, si deciso che quanto era ordinario, era normale, era la Nazione, andava sempre pi osteggiato. Ma ci che ordinario e normale, ci che la Nazione, non smette di esserlo per semplice decreto, n cessa necessariamente di esserlo in modo pacifico. Che il Governo centrale e le lites dominanti statunitensi avrebbero puntato a raccogliere pi potere possibile era gi prevedibile dallo svolgersi dell'epopea western in poi. Meno prevedibile che, da alcuni decenni, una parte di popolazione, per quanto minoritaria, avrebbe incominciato a vedere i propri dominanti come stranieri in casa propria. Si liquida la cosa come residuo del Far West. Siamo sicuri che non si tratti di qualcosa di totalmente nuovo?

    Nemici in casa propria 2: Pier Paolo Pasolini

    Meno di sei mesi prima di venir assassinato, Pasolini scriveva: "La nuova generazione infinitamente pi debole, brutta, triste, pallida, malata di tutte le precedenti generazioni che si

  • ricordino. Le cause di ci sono molte (e cercher di analizzarle tutte nel corso delle nostre lezioni): una di queste cause la presenza, tra i giovani, di coloro che avrebbero dovuto morire: che sono molti; in certi casi (Sud e classi povere) la percentuale altissima. Tutti costoro o sono depressi o sono aggressivi: ma sempre in modo o penoso o sgradevole. Niente pu cancellare l'ombra che una anormalit sconosciuta getta sulla loro vita" [15]. Ed un paio di pagine prima: "Essi sono dunque dei sopravvissuti, e nella loro vita c' qualcosa di artificiale, di "contro natura"".

    Questi sono alcuni dei periodi pi brutali che Pasolini abbia scritto, essendone, d'altronde, ben conscio. Allo stesso tempo, simili periodi mostrano quanto poco una parte importante della cultura italiana, non solo di sinistra, abbia voluto o sia stata capace di capire dove stava giungendo il suo pensiero. Perch pur vero che oltre ad essere visto dagli altri come "comunista e frocio" [16], egli stesso ancora si vedeva come tale, ma altrettanto vero che non pi di questo ormai si trattava.

    Quando Pasolini malediceva i "nati in pi" sostanzialmente malediceva cosa? Si pu credere che si trattasse semplicemente dell'adesione automatica al conformismo consumistico. Pasolini odiava in loro quell'essere subito predisposti a questa rivoluzione gridata e sostenuta dai mezzi di comunicazione di massa. Ma chiaro che questo solo un aspetto. L'altro aspetto, ovvio, la messa in pericolo mortale di tutto il resto, dove molto di esso era la realt contadina. La confusione interna al pensiero pasoliniano tra "lotta di classe" e difesa del mondo contadino, non permette di valutare appieno quanto la seconda sia in realt una preoccupazione pi che antropologica, quasi etnica. Il contadino non il proletario. Il contadino il contadino.

    Il conformismo consumistico invece moltiplicava gli individui "alieni", nel mentre che i mondi tradizionali venivano sempre pi fagocitati o frammentati o polverizzati. Era in corso una guerra di natura anche demografica tra il "nuovo mondo" e il mondo tradizionale, ed il secondo stava perdendo. Tra i primi anni '50 e i primi anni '70 il tasso di natalit rimane alto, mentre quello di mortalit si riduce, rendendo la generazione del boom economico demograficamente ampia. Purtroppo risulter anche particolarmente predisposta ai messaggi della nuova rivoluzione culturale, e finendo, essa stessa, prodotto della nuova era, per assorbire piano piano ogni altra realt possibile. Sarebbe essere strabici credere che il mondo contadino italiano (ma ci vale anche per ogni altra nazione europea) abbia perso una guerra di classe, quando evidente che si persa una guerra etnica, ossia una guerra che investe il radicamento generazionale e culturale in un dato territorio. Da questo punto di vista, Pasolini cap molto di quello che stava avvenendo. Le sinistre, ma anche le destre o il centro, non capirono, non vollero capire. Semplicemente stavano con le truppe di occupazione nemiche.

    Il nemico

    Nessuno ha voluto interiorizzare l'ultimo Pasolini. Eppure questi fu chi, forse pi di chiunque altro, non solo in Italia, e pure contradditoriamente, maggiormente intu il punto nevralgico della questione del potere ormai dominante anche ai suoi tempi. Riconoscere che l'adesione conformista superava il problema economico sarebbe stato il passo successivo necessario. Certo si potrebbe citare Marcuse o altri, progressisti o conservatori, come critici di quell'epoca, ma difficilmente troveremo qualcuno che, come Pasolini, arrivasse a vedere il conformista come "alieno", come "diverso". Qualcuno che ne sentisse l'ormai divergente alterit. Con conseguenze non liquidabili come "costume" oppure "gap generazionale" o altri concetti sociologici abbastanza innocui.

    Credere che il conformismo degli ultimi decenni sia solo il portato economico di una fase storica del capitalismo, significa svuotare le realt sociali ed individuali di qualunque connotato loro proprio. L'errore fondamentale marxista, ossia il prediligere la struttura economica alla

  • sovrastruttura culturale, significa disarmarsi rispetto alle mutevoli armi del potere dominante, che non predilige pi solo la violenza o l'attacco militare, ma anche la guerra mediatica e culturale, trasgressioni comprese.

    Di fronte alla capacit di allettare della macchina conformista, cos come di fronte alla conseguente quasi automatica risposta dei conformisti, cosa volete che sia la "lotta di classe", se non solo una porzione problematica in una realt pi complessa? Il riconoscere la "lotta di classe" non garantisce la liberazione, perch, semplicemente, il conformismo non punta necessariamente all'impoverimento o alla sottomissione, ma, appunto, ad esso stesso, al conformismo in quanto tale.

    La logica, innescata da alcuni decenni a questa parte, prescinde ormai dai vecchi schemi (comunque non necessariamente corretti). Il conformismo non pi "compra il prodotto di X" oppure "Y meglio di Z", con inconsciamente "X o Y o Z sono comunque meglio di quel che c'era prima, proprio in quanto non sono pi quel qualcosa di prima". Perch questo, ormai, poca cosa, tanto da poter essere superato criticamente quasi da chiunque. E senza "lotta di classe" o sovrastrutture. Semmai il consumismo e il conformismo agiscono ormai su un piano ulteriore, dove le merci (intese in senso molto lato) sono l'aspetto esteriore e la natura polidesiderante individualistica l'aspetto interiore. Dove, cio, la compenetrazione tra merci (sempre in senso molto lato), ossia tra cose, e individuo sempre pi stretta e punta a diventarlo maggiormente.

    Una conoscente di poco pi di vent'anni, senza particolari ambizioni n interessi nella vita, ci faceva notare come, durante una festa di comunione, i ragazzini stessero perlopi chinati sui tavoli, sui loro smartphones, invece che girare per le sale, in maniera chiassosa, come avrebbero fatto un tempo. Docilmente chinati, senza necessit di imposizioni o violenza od umiliazioni. Non c' pi alcun bisogno di Marx, ormai. E forse presto neanche di Baudrillard.

    Che cosa sar ancora amato tra venti o trent'anni?

    Qualcuno, pensando all'immagine dei bambini chini sui loro aggeggi elettronici potrebbe pensare, per contrasto, ad altri giovani. Ogni tanto (ma neanche con troppo trasporto, diciamocela tutta, perch sono i tempi dello scontento generalizzato, e per tutti) capita comunque di sentire qualcuno provare ad incensare la "giovent meticcia", i "figli degli immigrati", le "seconde generazioni", ecc. Tutte ormai sorta di etichette da vendere nel mercato virtuale della "ricchezza" allogena. Se l'immigrazione , appunto, "ricchezza" il tipo seconda-generazione dovrebbe, secondo costoro, valere di pi. Che poi questo sia palesemente falso (non solo in Italia) sembra non importargli molto. Ma, forse, questo dipende dal fatto che ormai conta il conformismo (politicamente corretto, per usare un'espressione ridicola ancora un po' in uso) e non ci che, pur tra contraddizioni o persino tragedie, un tempo produceva cultura sia in senso alto che realmente popolare e radicata, ossia l'identit.

    Si liquida con troppa facilit l'identit, magari tirando fuori il concetto di "invenzione della tradizione" di Eric Hobsbawm e Terence Ranger e applicandolo a spron battuto, specie contro le identit altrui: esisterebbe l'umanit, mentre le diversit etniche non conterebbero; l'Unione Europea andrebbe difesa, pur affamando mezza Europa, ma guai a parlare di indoeuropei; bisognerebbe dire s alle moschee in Occidente, ma basta favori alle chiese e sette cristiane; il velo islamico sarebbe una semplice scelta individuale, ma basta con la morale tradizionale; si tollerano i burqa e anche le Femen; si usa il crocifisso impropriamente in pseudo opere d'arte, che un tempo sarebbero state chiamate sacrileghe; la Padania non esisterebbe, ma neanche il popolo italiano; ecc., ecc. Si potrebbe continuare a lungo, ma in questa accozzaglia di deliri e controsensi facile che i

  • conformisti non notino la realt, persi come sono nel far quadrare i conti dell'impossibile.

    In questa confusione insensata, se non si troppo distratti, comunque possibile notare un tratto continuo, ossia la totale insipienza: letteratura, poesia, cinema, musica colta, pop-music, arte, architettura, persino sport, ecc., ed escludendo forse solo alcune scienze, cosa c' in essi di duraturo e di valido e di realmente intimamente emozionante e significativo? E che contributo viene da tutto ci che il conformismo politicamente corretto difende, sia esso il multiculturalismo o l'omosessualismo o il globalismo? Che cosa sar ancora amato fra soli venti o trent'anni?

    Che c' di "classico", ormai? Oppure, che c' realmente di rottura? La tanto sbandierata "ricchezza" multietnicista o globalista cosa riesce a mostrare di interessante, limitandosi a piccoli commerci, dai noodles ai kebab in un senso, all'acquisto di quote societarie in altro senso? Ma poi, foss'anche (e non )?

    Alla fine con cosa ci si ritrova? Si guarda con perplessit al ragazzino italiano, chino sullo smartphone, quando poi il ragazzino nordafricano, poco pi in l, cerca di fregarne uno ad un coetaneo, per poi o venderlo o chinarsi egli stesso. D'altronde, molti stranieri, come molti italiani ed europei, comprano i pantaloni da 5-10 euro prodotti in Cina, ma facile trovarli per strada, sempre attaccati a cellulari o smartphones, anche di centinaia di euro. Per come si stanno lasciando andare le cose, non c' molto altro. Sembra esserci una sorta di desertificazione globale espressiva, culturale (c' da temere anche scientifica), che va di pari passo con l'annullamento delle diversit culturali, linguistiche, religiose, etniche, allo stesso modo in cui forme animali e vegetali spariscono, un po' per l'inquinamento, un po' semplicemente per la troppa antropizzazione, sia da un punto di vista demografico, sia da un punto di vista "spaziale", ambientale in senso lato. A questo punto, bisognerebbe pensare nuovamente alle parole di Pasolini, riportate due paragrafi prima.

    Nemici in casa propria 3: Stormfront Italia

    In questo panorama appiattito in maniera forzata, perch stupirsi che alcuni crescano diffidenti, se non peggio? Non ci si dovrebbe stupire affatto che alcuni stiano diventando adulti o stiano maturando e invecchiando osservando con disprezzo la realt circostante, fatta ormai solo di schegge impazzite (persone o fenomeni sociali). Gli esempi sono molteplici e la gran parte finiscono semmai per confermare il quotidiano, o almeno per non minacciarlo: teppismo, bullismo, deresponsabilizzazione come scelta di vita, graffitismo urbano, neo-tribalismi vari, ecc. A questi fenomeni o subculturali o devianti, individuali o collettivi, si affiancano forme sempre nuove di rielaborazione (pi che di innovazione) politica o culturale. Queste forme di rielaborazione oscillano dalla capacit di coinvolgere porzioni importanti di popolazione (si pensi al Front National in Francia o alla Lega Nord o al Movimento 5Stelle in Italia), oppure operano con piccoli numeri, pur riuscendo, in alcuni casi, a sedimentarsi (si pensi al Movimento NoTav italiano).

    Un esempio di questo secondo gruppo dato dal forum globale Stormfront (con base negli USA), che, pi di altri simili, riesce a raccogliere, almeno virtualmente su internet, decine di migliaia di iscritti, accomunati dalla simpatia o dalla appartenenza politica a forme ideologiche genericamente definibili come (neo-)nazionalsocialiste/naziste, (neo-)fasciste, separatiste, o pi semplicemente identitarie, ecc. Forum che, quindi, accorpa varie sfumature del sentire nazionalista e, appunto, identitario, con o senza riferimenti alle ideologie storiche. Per la sua capacit, ormai, di superare i decenni ( nato vent'anni fa), ha accumulato anche l'interesse dei mezzi di comunicazione e delle

  • autorit, comprese quelle italiane.

    Queste ultime, negli ultimi tre anni in particolare, sembrano aver preso di mira il forum a causa della sottosezione italiana dello stesso. La ragione deriva, forse soprattutto, dalla presenza periodica di liste, sia relative a personalit ebraiche, sia relative a personalit variamente associate con l'ideologia immigrazionista e multietnicista. Quello, che sembra aver portato le autorit all'oscuramento su territorio italiano del forum e all'arresto di quattro iscritti dello stesso, con sentenza poi emessa dal giudice Carmine Castaldo, sarebbe una ipotetica volont di passare all'azione. (Neonazisti del forum Stormfront condannati Agivano come la destra armata degli anni 80, Marco Pasqua, Il Messaggero, 7 giugno 2013) [17]

    E' interessante la vicenda per due ragioni: da una parte, la natura prima individuale poi generale del fenomeno Stormfront; dall'altra, il perch dell'azione repressiva. Nel primo caso, ci che realmente sembra accomunare la gran parte degli iscritti, non solo italiani, pi che pura e semplice adesione alle ideologie storiche, la questione genericamente identitaria, anche se con una ottica particolare. Nel secondo caso, l'azione repressiva sembra sottolineare tale ottica particolare, per poi passare oltre. Quello che vogliamo dire che, se l'iscritto tipo (qualora esista) si traveste da nazista, lo fa perch lo considera un modo per mettere in discussione la realt esplosa da anni di dominio ideologico globalista, multietnicista, politicamente corretto. L'azione repressiva, invece, traveste l'iscritto tipo da nazista, per meglio imporre quel dominio ideologico. L'uno sembra combaciare con l'altro; in realt, essi confliggono.

    Non stiamo dicendo che i condannati o gli iscritti non siano, non siano almeno alcuni di loro, simpatizzanti o militanti delle ideologie storiche. Stiamo invece dicendo che, neanche troppo in filigrana, le motivazioni generali e comunque della gran parte di loro non sono "naziste" o "fasciste", perch la realt con cui si confrontano non costituita da nazioni sostanzialmente compatte e da culture vive, come cent'anni fa, dove le ideologie storiche crebbero ed ebbero anche ragioni particolari per il loro emergere. Le motivazioni invece vanno ricercate solo ed esclusivamente nell'oggi. Non sembrano gli iscritti, infatti, complessivamente, appartenere a realt strutturate, direttamente o indirettamente eredi di gruppi e partiti storici.

    In qualche modo, l'azione della magistratura italiana ha voluto, con la tesi del pericolo associativo sul modello degli anni '80, inventare una continuit ideale, forse secondo l'assunto del "fascismo eterno". Dei quattro arrestati, solo uno ha poco pi di quarant'anni (Mirko Viola), quindi maturato in realt in epoca di sdoganamenti e centro-destra e fine delle ideologie, mentre gli altri sono tutti molto pi giovani. Ci non toglie che le ideologie storiche riscuotano un successo indubbio in Stormfront, derivante dal costituire una raccolta di tesi politiche, culturali, simboliche gi confezionate. Non staremo a discutere questo rimandare a quelle tesi, sia perch la questione complessa e non liquidabile solo come "semplificazione", sia perch li accomuna sostanzialmente a chiunque altro, di qualunque tesi differente od opposta (e per quanto si ammantino alcuni di scientificit). Quello che indubbio che, nel loro appartenere ad un'epoca di desertificazione, costoro hanno trovato in quell'insieme ideologico un immaginario visto come alternativo.

    Ossia: se gli iscritti di Stormfront accumulano notizie o tesi in cui si differenziano, sotto molti punti di vista, i bianchi da altre etnie non-bianche (tasso di criminalit oppure QI oppure rilievo storico-culturale o altro), anche aiutandosi con prese di posizione storiche in merito, la magistratura o il giornalista di turno vedono il "fascismo eterno", non la noia esistenziale derivante dalla desertificazione causata dall'insieme di meticciamento, globalismo mediatico e sociale e culturale, ecc.

  • Ossia: se gli iscritti di Stormfront accumulano notizie o tesi in cui si dubita di determinati fatti storici come la cosiddetta "shoa", la magistratura o il giornalista di turno o alcune minoranze etniche vedono il "fascismo eterno", non il disprezzo per l'ipocrisia del racconto e della ricerca storici imposti per legge e con la minaccia, in alcune "democrazie" europee, del carcere.

    E cos via. Perch il punto fondamentale che non sembra esserci un "problema Stormfront", se non come oggetto di repressione (tipico dei regimi, per inciso). Gli iscritti di Stormfront non esprimerebbero un disagio, men che meno una visione alternativa. Se cos non , diventa automatico che vengano considerati nemici. Nell'articolo che abbiamo segnalato sopra, infatti, dai passi citati della sentenza, non sembra emergere alcunch di concreto riguardo un effettivo piano criminale, dove per criminale si possa intendere qualcosa che leda la vita, la salute, il benessere o i beni altrui. Viene solo detto che esisterebbe il piano criminale, ma senza alcun contorno visibile. L'unico punto abbastanza chiaro la volont degli indagati e dei quattro arrestati di divenire visibili, ossia di non rimanere confinati su internet. Viene infatti contestata la raccolta fondi per opere di volantinaggio e per pubblicazioni, da diffondere oltre la schiera di appartenenti al forum. Il che, di per s, non implica necessariamente che si cozzi contro la Legge Mancino (sant'uomo). Quindi, che hanno fatto di concretamente criminale gli arrestati? Rimane un grosso punto interrogativo, tanto che, ripetiamo, sembrano aver subito pi un processo e un arresto da prigionieri politici, che altro. Ossia da nemici [18].

    Nemici in casa propria 4: Manif pour Tous in Francia

    D'altronde, uno dei nodi centrali di tutta la questione sul conformismo politicamente corretto, sul conformismo denunciato da Pasolini e pi attinente all'appiattimento degli stili di vita (curiosamente, la sentenza su Stormfront Italia parla anche di stili di vita), su globalismo, multietnicismo, meticciamento, ecc., che quest'insieme di cose vengono sia sottolineate come difesa dei presunti diritti individuali, sia come fatti compiuti epocali. Ne deriva una sorta di ping-pong tra individuo e societ (ma non popolo o nazione, guarda caso), che, in s a priori, non necessariamente contradditorio, a meno che non emergano indizi contrari. Che emergono puntualmente.

    Il diritto individuale una merce ricattatoria dal punto di vista morale: l'individuo solo, contro tutti. Difenderlo nobile. E se l'epoca in cui si vive tollera l'identit di quell'individuo, chi pu discuterlo? Cosa manca in tutto ci? Manca la storia, manca il popolo, mancano le tradizioni popolari o nazionali, manca la morale condivisa, ecc. Nel momento in cui si sono accettati i diritti individuali, il meccanismo di difesa di questi non sembra riconoscere altri diritti, come quelli dell'identit e della cultura del popolo. Anzi, questi ultimi non esistono (perch non devono esistere). E, quindi, tutto un rincorrere i diritti dell'individuo, senza alcun meccanismo di riconoscimento e difesa degli altri. Gi solo in ci, si dovrebbe diventare dubbiosi e sentire l'alito del conformismo imposto.

    Prendiamo la Manif pour Tous, che nel 2013 ha interessato ripetutamente le cronache francesi. La fortissima mobilitazione che ha visto semplici cittadini o associazioni, uniti contro la legge in favore del matrimonio omosessuale, ha scatenato numerose polemiche, ma ha anche mostrato che certe cose non sono fatti compiuti. La capacit del collettivo MpT, di mobilitare centinaia di migliaia di persone, stata vissuta come un attacco ai pilastri ideologici della modernit, mettendo in luce contraddizioni interessanti.

  • Ad esempio, il noto giornalista Herv Chabalier [19] notava che in una delle manifestazioni pi importanti, nel maggio 2013, coloro che sfilavano erano per lo pi bianchi. Mancavano, quindi, arabi e subsahariani e appartenenti a religioni non cristiane (ma a noi risulta che, in qualche caso, i non-cristiani abbiano partecipato e, comunque, non c'erano solo credenti, ma anche atei ed agnostici). Al di l di questo, la MpT ha mostrato come la Francia percentualmente maggioritaria, i bianchi (ossia la vera Francia), non gradisca ci che si cerca di imporgli, nello stesso modo in cui in altri tempi ha invece accettato divorzio o altro. Non ogni diritto individuale consequenziale, necessariamente, automaticamente, agli altri. Se qualcuno si scandalizza di ci, semplicemente si scandalizza dell'esistenza della diversit (quella autentica).

    Per inciso, Chabalier sembra quasi dire che i non-bianchi parteciperebbero volentieri a manifestazioni contrarie, ossia favorevoli al matrimonio omosessuale. E', ovviamente, una scemenza. Tanto quanto parti consistenti dei bianchi non li gradiscono, altrettanto vale per i non-bianchi. Basti ricordare la questione degli Indignes de la Rpublique [20], oppure il caso del gruppo rap Sexion d'Assaut (una decina di componenti, tutti, tranne uno, subsahariani) che nel brano "On t'a humili" inneggiavano all'uccisione degli omosessuali [21].

    D'altronde, il problema del dirittumanismo, come abbiano detto, il suo esondare continuo, senza alcun riguardo. Con ci si spiega l'accettazione dell'immigrazione di massa, dell'eutanasia, della "teoria dei generi", ecc. Tutte cose che si ammantano del rispetto del singolo, ma che creano, al contrario, un orizzonte esistenziale amorfo, inconsistente, sradicato, dove il singolo semmai un contenitore per novit ideologiche, non un individuo con una storia, che sempre anche una storia culturale ed etnica.

    Con l'effetto, semmai, non necessariamente solo in tempi di crisi o in situazioni di crisi, come si suol banalmente dire, di creare nuove crepe. E' interessante, ad esempio, l'atteggiamento testimoniato da parte della polizia francese, rispetto alla richiesta delle autorit di reprimere il pi possibile la Manif pour Tous. Atteggiamento di forte perplessit. Dover arrestare o vedere arrestati comuni cittadini, compresi padri e madri di famiglia, nonni persino o giovani ragazzi, magari soltanto per il portare una maglietta pro-MpT o perch veilleurs debout, cio sentinelle in piedi, fermi, pacificamente, davanti a qualche ministero o commissariato o al Grande Oriente di Francia, ha scatenato molti malumori, tanto che i maggiori sindacati di polizia hanno contestato quanto avveniva, dichiarandosi non pi disposti a dover eseguire ordini da "polizia politica". (Mariage gay: le malaise grandissant des commissaires face la rpression, Stphane Kovacs, Le Figaro, 12 luglio 2013) [22]

    Ovviamente, alcune personalit politiche o dei mezzi di informazione hanno reagito, affermando, sintetizziamo, "poliziotto, taci ed esegui". Il che molto interessante, se facciamo confronti con altre situazioni. E' la stessa polizia francese a puntare il dito contro l'ipocrita atteggiamento spesso conciliante rispetto ai voyous, alla racaille violenta, continuamente dentro e fuori dalle carceri, ma senza pene esemplari, utili a frenare significativamente certi fenomeni delinquenziali. Il tutto a conferma della tesi di fondo di "Frane Orange Mecanique", saggio scandalo dello stesso 2013 [23] e documento di un'epoca fatta di magistrati e giornalisti assiduamente pronti a giustificare la violenza delle periferie, di dati inquietanti sul legame tra percentuale reale di crimini e sugli autori degli stessi, sempre pi allogeni. Epoca, in pratica, in cui il potere morale del dirittumanismo e del politicamente corretto ha necessit, rispetto alla contrastante realt, di mentire spudoratamente, per tenere in piedi una sempre pi tragica menzogna, dove a farne le spese sono i comuni cittadini e le forze dell'ordine, messe in mezzo tra il martello della criminalit, equipaggiata ormai con armi da guerra, e l'incudine di una magistratura ideologizzata e di organi di informazione buoni alla propaganda.

  • Un commissario di polizia, nel caso delle repressioni contro la MpT, alla vista di ragazzi caricati per la difesa della famiglia, tornato alla memoria delle repressioni in Francia contro pieds-noirs e simpatizzanti, quando sua nonna mise la bandiera tricolore alla finestra e si vide, solo per ci, piombare la polizia in casa. (Mon cher collgue policier..., La Tribune du Commissaire, n 127, 19 giugno 2013) [24] Per quel tricolore e per rispetto verso sua nonna, ha affermato di non voler partecipare alla repressione contro la MpT. Sono appunto segni, crepe. Col tempo ne vedremo gli esiti.

    Genocidi e retorica

    Intanto, andiamo un attimo proprio all'epopea dei pieds-noirs: circa un milione e mezzo di persone, in una manciata di anni, ma la gran parte nel solo 1962, fu costretto a lasciare il Nord Africa, data la politica nazionalista araba dopo la decolonizzazione (politica della valigia o della bara). Rimarranno alla fine poche migliaia di europei, ma senza cifre certe. Solo in Algeria, i pieds-noirs, al momento della vittoria araba, erano oltre il 10% della popolazione, molti dei quali nati e cresciuti l e senza legami di alcun tipo con la Francia e l'Europa.

    Molti pieds-noirs di origini francesi si definivano algerini e non francesi. In Francia, specie tra chi votava a sinistra, i pieds-noirs invece venivano visti esclusivamente come colonialisti e razzisti, nonostante la stragrande maggioranza di loro fosse composta da operai e semplici impiegati. D'altronde, probabilmente il termine pied-noir indicava genericamente e sprezzantemente il nordafricano, per poi indicare, nelle ultime fasi delle rivolte anticolonialiste, solo i non-arabi europei o ebrei (secondo un uso specie dei soldati proveniente dalla Francia). Quando poi inizi l'afflusso massiccio verso la Francia, vennero considerati un peso insopportabile, tanto che l'allora sindaco socialista di Marsiglia, Gaston Defferre, considerava 150.000 di loro, allora presenti in citt, come cittadini di troppo. Che poi le cose siano andate diversamente, lo sappiamo. Gi nel decennio successivo, i pieds-noirs erano perfettamente integrati in Francia.

    Il colonialismo in Nord Africa, che, pur con squilibri economici, non port all'imposizione della cultura europea, n all'apartheid, alla fine fin. Passati pochi decenni, il Nord Africa di oggi lo conosciamo: la risultante fallita della decolonizzazione e delle recenti sfiorite "Primavere arabe", con sempre maggiori tentazioni islamiste. Oltre a ci, negli ultimi decenni, i decolonizzati, invece di lottare per e nella propria patria, in numeri consistenti hanno preferito emigrare nella terra degli ex-colonizzatori, spesso disprezzandoli con l'accusa di non farli sentire a casa propria, tacciandoli quindi come razzisti.

    E' una delle tante assurdit del macro-fenomeno dell'immigrazione selvaggia (anche se forse c'entra l'essere esangue delle culture autoctone del Nord Africa, che, demografia a parte, non sembrano proporre alcunch d'altro). Un altro aspetto grottesco di questa lunga vicenda proprio il modo in cui tanti, in Francia, trattarono i pieds-noirs e di come, invece, dopo un buon tre-quattro decenni di immigrazione di massa dall'Africa, troppi, sempre in Francia (e non solo in Francia), abbiano, al contrario, un diverso atteggiamento verso gli allogeni immigrati. I pieds-noirs sembrava dovessero costituire un peso, ma in pochissimi anni si integrarono perfettamente, dando anche numerosi nomi importanti in molti campi della cultura (ma anche personaggi inquietanti come Jacques Attali o Bernard-Henri Lvi); gli allogeni, al contrario, dovrebbero costituire la famosa "ricchezza" importata, ma poco sembra emergere di realmente importante. A voi, che siate identitari europei o confusi immigrazionisti, provare a trovare i "campioni" della Francia "meticcia", che verranno ricordati e studiati e amati nei decenni e secoli a venire. Il nostro consiglio : non sforzatevi troppo. Rischiate di illudervi e rimanere delusi.

  • Quanto abbiamo appena riportato un buon esempio di come si possa vedere l'immigrazione di massa. L'esodo forzato, dovuto alle minacce arabe, scandalizz qualcuno? Eppure centinaia di migliaia di persone, radicate in un territorio da decenni e oltre, furone costrette ad andarsene. Non contava il loro radicamento; contava l'aspetto ideologico della decolonizzazione. Se pensiamo agli ebrei, l presenti da secoli, il tutto risulta essere ancora pi estremo e immotivabile. In maniera grottesca, tra l'altro, molti ebrei pieds-noirs sono poi divenuti campioni del politicamente corretto (come il citato Bernard-Henri Lvi), giustificando l'arrivo in massa di arabi su territorio europeo (e non citiamo, invece, l'atteggiamento ipocrita rispetto ad Israele).

    Tale vicenda storica ricorda per anche che un conto l'autoctonia, un conto il radicamento. Il Sud Africa ha preferito tipi alla Jacob G. Zuma all'apartheid (non discutiamo adesso la questione boera e quel che ne consegue, pi complicato di cos). In Medio Oriente, Israele si tiene in piedi solo grazie al denaro statunitense e alle armi, nucleari comprese. In pratica, l'immigrazione di massa, l'immigrazionismo ideologico e le comunit allogene in Europa e in Occidente si tengono in piedi solo grazie ad un sistema complesso di associazionismo interessato, retorica sui mezzi di informazione, piccoli interessi economici e poco altro. Quando la "societ multietnica" frutto di lavori con stipendi da fame, ma giustificati con frasi fatte come "i nostri giovani non li vogliono pi fare" (alzassero a livelli dignitosi certi stipendi e le condizioni di lavoro, piuttosto), oppure dai ricongiungimenti famigliari (possibili specie dove vi siano aiuti statali importanti), oppure da film e telefilm dove giudici, poliziotti e medici sembrano essere tutti neri (come in USA, Gran Bretagna e, in maniera molto pi limitata, Francia), anche parlare di radicamento troppo.

    C' solo l'ideologia. Molti si ostinano a vedere i casi singoli (la coppia multietnica, il personaggio famoso originario di vattelapesca, il proprio spacciatore di fiducia, ecc.), ma il tutto pi un'affastellarsi di situazioni e gruppi, la cui difesa ad oltranza fa solo sorridere o sogghignare. Ricorderete Jean-Luc Mlenchon, del Front de Gauche francese, e le sue esternazioni razziste anti-francesi, sull'orrore che prova nel vedere comunit solo di francesi autentici [25]. Ebbene, lui un pied-noir, che lasci il Marocco ancora bambino. Forse che voglia rivivere il Nord Africa pre-1962 in Francia? Con quali esiti? Mlenchon esalta l'essere cosmopolita della Tangeri di allora, ma, evidentemente, dimentica dove and a finire quella storia.

    Oppure, prendiamo gli ebrei italiani, preoccupati dal fatto che la Lega Nord di Matteo Salvini abbia voluto, giustamente, allearsi con il Front National di Marine Le Pen. Ora sappiamo che la strage al museo ebraico di Bruxelles, del 24 maggio 2014, opera di un islamista proveniente dalla Francia, Mehdi Nemmouche, origini algerine, con un recentissimo passato come combattente contro Assad in Siria (s, ci sono dubbi in merito all'autore della strage, ma anche i dubbi vanno provati). Si blattera di pericolo nazionalista o fascista o nazista o baathista o quel che vi pare, poi ci si ritrova con i frutti avvelenati dell'ideologia immigrazionista e multietnicista. Frutti che vengono troppo spesso liquidati come episodici, ma che tendono a ripresentarsi sempre.

    La soluzione difficilmente potr essere nuovo denaro per l'integrazione, anche perch in molte nazioni europee, come Francia o Gran Bretagna, il denaro pubblico investito gi tanto. Forse, necessario incominciare a pensare alla chiusura delle frontiere e all'allontamento di comunit allogene. Non sarebbe, d'altronde (e la cacciata dei pieds-noirs in fondo lo testimonia), la prima volta [26].

    Certo, un'idea simile scandalizza certi, soprattutto quelli che affermano che l'immigrazione di massa un destino. E' cos tanto un destino, che sino a trent'anni fa, quando le condizioni di vita in Africa (e non solo l'Africa) non che fossero molto diverse, non c'era affatto un afflusso altrettanto

  • massiccio. E' chiaro che non cambiata l'Africa (e non solo l'Africa). E' semmai l'Europa che la si sta cercando di cambiare, per scopi limitati di limitati gruppi (interessi economici di certi imprenditori e di certe associazioni "umanitarie", nuovi bacini di voti potenziali, ricatti ideologico-morali, ecc.).

    Si prendano gli USA. Essi erano e sono cos tanto una nazione di immigrati, che hanno finito, meno di un secolo fa, per dare il via all'Operazione Wetback (e, forse non a caso, pochi anni dopo i cosiddetti incidenti degli zoot-suits). Certo, poi le condizioni di tolleranza si sono ampliate ulteriormente, lasciando entrare masse continue, sino agli esiti ridicoli degli ultimi anni, con la gran parte dei posti di lavoro andata agli stranieri, e probabilmente solo per la spicciola ragione dell'accettazione di stipendi pi bassi [27]. Col risultato che nelle statistiche sulla povert, la crescita pi significativa, dal 2000 ad oggi, tra gli autoctoni bianchi [28].

    Qualcuno potrebbe magari dire che, in fondo, gli USA sono stati costruiti dagli immigrati. Certo, ma dagli immigrati bianchi. Ridicolo credere che un secolo fa, quando i bianchi erano oltre il 90% della popolazione statunitense, la nazione si tenesse in piedi grazie ad un 7-8% di non-bianchi (e, badate, poco importano le condizioni socio-economiche degli stessi). Lo stesso dovrebbe valere ai giorni nostri e in Italia, dove la presenza allogena data all'8% (europei compresi, in questo caso).

    Il nodo dell'immigrazione non stato risolto allora e non viene risolto oggi. Ci perch la massa immigratoria ormai sempre pi frutto della caotica spinta demografica africana, asiatica e centro-sudamericana, associata agli interessi via-via costituitisi parassitariamente in Occidente, citati poco pi sopra. Non un destino, come detto, e non ha alcunch a che vedere con l'immigrazione bianca avutasi tra XIX e XX secolo, per lo pi meglio organizzata, e diretta spesso verso nazioni giovani, o comunque meno abitate ed antropizzate rispetto all'oggi, e con prospettive di crescita ormai ai giorni nostri assenti.

    L'immigrazione di massa cos poco un destino, che in Grecia, negli ultimi anni, gli arrivi illegali sono diminuiti del 60% (secondo le statistiche della polizia greca al 2013) [29]. In Spagna, secondo l'OCSE [30], l'immigrazione complessivamente calata del 22%. In Italia del 19% [31], ma la sensazione degli ultimi mesi, in quest'ultimo caso, che ci sia una recrudescenza. Dovuta a cosa? La risposta semplice: non c' stato alcun ricambio della classe dirigente italiana, se non mediaticamente. Il sistema di potere in Italia in mano ai soliti nomi, pertanto ogni ambito della vita sociale, economica e culturale italiana continua a portare avanti le stesse istanze, palesemente contrastanti col benessere della popolazione (sottolineiamo: autoctona). Ci implica anche che tutti i referenti della stessa classe dirigente sono ancora l. L'insieme di imprenditoria stracciona, che prospera anche con la corsa al ribasso verso l'immigrato, di associazionismo parassitario, di cattolicesimo declinato solo socialmente, di informazione ideologizzata dirittumanista, ecc., sempre l, ugualmente. Le due cose sono lo stesso mondo, alla fine; si compenetrano a vicenda e si danno forza vicendevolmente.

    La realt politica (e non solo politica) che ha portato alla sfacelo socio-economico italiano la stessa che ha contribuito all'afflusso massiccio di immigrati. Per quale ragione? Non c' necessariamente bisogno di pensare a "piani" orditi dietro le quinte. Il semplice disinteresse per il popolo ragione pi che sufficiente. Certo, il fatto che popolo sia potuta divenire quasi una parolaccia oggigiorno cosa alquanto singolare, ma non incomprensibile del tutto.

    Scriveva sempre Pasolini, negli ultimi mesi di vita: "Ed ora essi hanno l' aria di essere soddisfatti! Di trovare che la societ italiana indubbiamente migliorata, cio divenuta pi democratica, pi tollerante, pi moderna ecc. Non si accorgono della valanga di delitti che sommerge l' Italia:

  • relegano questo fenomeno nella cronaca e ne rimuovono ogni valore. Non si accorgono che non c' alcuna soluzione di continuit tra coloro che sono tecnicamente criminali e coloro che non lo sono: e che il modello di insolenza, disumanit, spietatezza identico per l' intera massa [...]." Qui Pasolini dice "l'intera massa dei giovani", ma il passaggio, proiettato all'oggi, non pu fare distinzioni generazionali, tanto pi che quei giovani sono i cinquanta-sessantenni di oggi. E, poco pi avanti, aggiunge: "Fuori dall' Italia, nei paesi "sviluppati" - specialmente in Francia - ormai i giochi sono fatti da un pezzo. un pezzo che il popolo antropologicamente non esiste pi. Per i borghesi francesi, il popolo costituito dai marocchini o dai greci, dai portoghesi o dai tunisini. I quali, poveretti, non hanno altro da fare che assumere al pi presto il comportamento dei borghesi francesi. E questo lo pensano sia gli intellettuali di destra che gli intellettuali di sinistra, allo stesso identico modo." [32]

    E' un ritratto delle cose scritto quarant'anni fa, con diverse sbavature, ma sostanzialmente pregnante ancora oggi. In un piccolo esperimento condotto ad Aubervilliers, dalle parti di Seine-Saint-Denis (una delle banlieues teatro delle rivolte allogene del 2005), un gruppo di studenti, la gran parte dei quali allogeni, stato interpellato riguardo il loro giudizio su alcuni gruppi etnici. Gli arabi sono stupratori e ladri, gli ebrei sono avari e su di loro non si pu dir alcunch, pena il ritrovarsi indagati, ecc. Riguardo i francesi, la gran parte degli studenti associa il termine razzista. Alla domanda se gli studenti presenti fossero anch'essi razzisti (e bianchi), la risposta che essi sono "francesi di nazionalit", ossia francesi in quanto aventi carta d'identit e passaporto francesi. Questo perch loro hanno delle origini (differenti), mentre i francesi bianchi non hanno origini... (Nous, on est dorigines, les vrais Franais nont pas dorigines, Alice Graud, Libration, 29 aprile 2013) [33]. In questa strana risposta, filtra in realt una contrapposizione fondamentale, dove l'etnia ospitante perde le proprie caratteristiche, se non al massimo appunto contrapposizione (ecco il "razzista") con le etnie ospitate, mentre queste tendono a conservare, per quanto pi o meno contradditoriamente, la propria identit. La Francia diventa uno spazio vuoto e i francesi una sorta di opposto sfocato rispetto alle minoranze allogene, che rimangono per etnie propriamente dette.

    Non a caso, si tende a parlare di rispetto delle minoranze, ma non altrettanto per la maggioranza autoctona, la cui natura la si vuole costringere solo come corpo ospite per le prime. Tutto ci non rimane solo nell'ambito dell'associazionismo interessato o di certi politicanti (ossia di gruppi parassitanti il corpo maggioritario e autoctono della popolazione), ma rischia di diventare sentire comune. Ecco spiegato quell'assurdo "noi abbiamo origini, mentre i veri francesi non ne hanno". Il genocidio ha anche la forma, non solo nell'accumulo caotico di masse scomposte, provenienti da qualunque angolo possibile e immaginabile del mondo, ma anche in una retorica artatamente modulata per appunto sfocare/filtrare/limare/limitare/menomare/ecc. l'identit maggioritaria. Il risultato uno Stato in via di sempre maggiore frammentazione socio-culturale e sempre maggiore sradicamento dei gruppi umani, orizzonte ideale per le lites dominanti.

    La cosa pi vicina possibile al comunismo: la piccola-media impresa

    "... you have nothing to lose but your distribution chains!"(Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels, riveduto e corretto)

    Da questo punto di vista, molti fenomeni apparentemente locali o minoritari finiscono semmai per confermare, con altri mezzi, quell'orizzonte genocida, invece che variamente opporvisi. Il gi citato "movimento per la casa" uno di questi, dato che, esplicitamente movimento incorporante masse di allogeni. Proprio tale presenza lascia intendere che la richiesta di tale movimento mira solo

  • all'aspetto materiale della faccenda, ossia solo all'accumulo di determinati risultati, appunto l'aver casa, sia come sia, senza considerazioni d'altro ordine. La presenza di masse allogene, che al giorno d'oggi sono sempre potenzialmente crescenti, al di l di piccole variazioni statistiche momentanee, indica disinteresse per ogni possibilit di equilibrio nelle richieste. La questione finisce per diventare una mera occupazione di spazi vuoti, che, tra l'altro, in tempi di crisi, c' comunque il rischio si moltiplichino, col risultato di attrarre nuovi pretendenti. L'esito finale semplicemente una caotica e crescente antropizzazione, magari senza spazi verdi, spazi alternativi, servizi decenti, ecc.

    Alcuni movimenti alternativi parlano di "diritti da conquistare a spinta". L'esito pi probabile semmai lo spintonarsi vicendevole per avere un po' di spazio anche solo per respirare.

    Oppure, un altro esito la sostanziale, anche se magari non espressa esplicitamente, richiesta verso l'alto di contentini vari, mascherati sotto chili di "diritti" di varia natura. Nulla che abbia a che fare, comunque, con una crescita matura del vivere civile, n con una struttura sociale equilibrata, dove le case non siano solo spazi vuoti, ma il risultato del lavoro e delle conquiste personali dei cittadini, dove i servizi siano il risultato di amministrazioni guidate in maniera degna, la cui elezione sia magari segno di riconosciuti risultati, dove il lavoro indichi un virtuoso equilibrio tra istanze e necessit personali e necessit sociali o nazionali pi ampie.

    Da questo punto di vista, un pessimo segnale sia il moltiplicarsi di movimenti non espressione di categorie sociali chiare, sia, per altro verso, di certe nuove forme di accentramento, specie se lo Stato non vi presente in maniera significativa.

    Ossia: la mancanza di movimenti, che siano espressione di chi realmente produce nella nazione, indica semmai frammentazione. Pensare che possano giungere a risultati significativi ingenuo. Da questo punto di vista, un "movimento per la casa", per un verso, oppure il Movimento 5Stelle, per altro verso, non fanno ben sperare, perch in essi sembra mancare completamente una visione organica della societ, che anche visione del limite. Il "casa per tutti" oppure il grillino "reddito di cittadinanza" (specie associato alla retorica sulla fine del lavoro) indicano l'assenza di una visuale coerente di ci che compone uno Stato ed una societ, ossia indica l'assenza di una reale visione politica.

    Il rischio, qualora lo spazio continui ad essere occupato in modi simili, che, come purtroppo vediamo da maggio 2014 in poi, dalle elezioni europee avutesi in Italia, finiscano per continuare a governare i soliti noti, autori del disastro socio-economico nazionale e della relativa decadenza, e limitatisi a piccole operazioni di maquillage, ma viste da molta parte della popolazione nazionale come decisioni pi concrete rispetto alle proposte alternative citate prima.

    Ovviamente, tale rischio si associa immediatamente all'ulteriore pericolo, quello del sempre maggior peso, in Italia e nelle altre realt occidentali, sia delle multinazionali, sia delle grandi banche e delle societ finanziarie, sia di certi fondi sovrani. Ossia, il pericolo di un sempre maggiore accentramento litario globalista, sovrastante il governo politico delle singole nazioni, cos come le imprese e realt produttive delle singole realt, con conseguente perdita di capacit di manovra e di libert (assodato, ormai, che l'Unione Europea, per le nazioni europee che ne fanno parte, non affatto uno scudo protettivo, n un reale organo virtuoso di controllo).

  • La visuale ad altezza polvere di strada, dei movimenti che abbiamo citato sopra, non pu aiutare contro tutto ci. L'ideale attuale sono quei movimenti che, da un lato, rimettano in discussione effettivamente il dominio europeista, ma non con la retorica gi scipita di un'altra Europa, semmai arrivando a rimettere in discussione anche le adesioni nazionali. Dall'altro, che si facciano carico, come gi detto, delle realt produttive nazionali, anche come punto di slancio verso istanze pi ampie o pi articolate, comprendenti le questioni culturali ed anche identitarie, cos come quelle geopolitiche, concernenti i rapporti con altre nazioni ed aree, non solo affini.

    Anche perch, che cos' la globalizzazione? La pretesa del lasciare campo libero a qualunque azienda di muoversi dove voglia e come voglia non razionale. Il punto non in s la delocalizzazione, n l'arrivo di realt economiche estere nel territorio nazionale. Il punto semmai il rispetto per il lavoro e la qualit della vita. Da questo punto di vista, la somma di finanziarizzazione spinta, masse allogene puntanti al ribasso nel lavoro (con forti complicit autoctone), delocalizzazione sregolata, austerit eterodiretta, ecc., non possono che produrre i risultati nefasti che vediamo.

    La regola corretta nel lavoro e nell'economia dovrebbe essere parallela a quella identitaria: cos come debbono esistere i diritti dei popoli, prima di quelli presunti individuali (regolazione dell'immigrazione e rispetto delle identit etniche e culturali autoctone), altrettanto deve esistere la difesa del lavoro e dell'impresa autoctona, prima delle parole d'ordine liberiste (regolazione del sistema creditizio e finanziario in funzione della produzione e del lavoro autoctono, regolazione della delocalizzazione, controllo della presenza estera specie nelle s.p.a., ecc.). Identit e lavoro sono facce della stessa medaglia.

    Prendiamo l'imprenditoria allogena. In Italia, negli ultimi anni, le imprese gestite da stranieri sono arrivate all'8% sul totale (in linea con i dati sulla popolazione residente), ossia quasi 500.000 aziende, con una crescita del 4,88% annuo, a fronte di un autoctono 0,21%. Due terzi delle imprese con titolare straniero riguardano il settore del commercio e delle costruzioni, il resto perlopi servizi. Poco o nulla di innovativo, insomma. Se pensiamo a che significa poi, ad esempio, negozio gestito da stranieri, ci viene in mente il finto-alimentari dei bengalesi e pakistani (campante soprattutto con la vendita di alcolici) oppure il negozio di cianfrusaglie cinese (dove difficilmente vengono venduti prodotti italiani e, in generale, di qualit). Di recente, la multinazione statunitense Moneygram (che si occupa di trasferimenti di denaro e quindi gli allogeni sono tra i principali clienti) ha premiato varie imprese di allogeni operanti in Italia. Tra costoro, alcuni si occupano di servizi per altri stranieri (Ecco gli immigrati che battono la crisi: Il lavoro c', ma difficile fare impresa, Marzio Bartoloni, Il Sole24ore, 12 giugno 2014) [34]. In termini occupazionali, le imprese avviate da stranieri danno lavoro agli italiani solo nel 13% dei casi (Se gli immigrati "fanno impresa" e assumono lavoratori italiani, Vladimiro Polchi, La Repubblica, 28 novembre 2011) [35] (e sarebbe interessante capire quanto gli imprenditori stranieri paghino i dipendenti, italiani e stranieri, anche in riferimento alla polemica sulle paghe, si dice inferiori, agli immigrati da parte degli imprenditori italiani.).

    L'imprenditoria e, pi in generale, il lavoro degli stranieri produce


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