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PM di febbraio 2013

Date post: 30-Mar-2016
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Vita e bambini protagonisti della rivista PM di febbraio 2013
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ANNO 87 • n° 1004 • € 3,00 • Poste Italiane s.p.a. • sped. in a.p. • D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 1, DCB VERONA il piccolo missionario CONtIENE I.P. feb 2013 - n. 2 www.bandapm.it
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il piccolo missionario

Fumetto Bambini soldato

Speciale

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feb 2013 - n. 2

www.bandapm.it

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... tanto x cominciare

La vita vince

... tantoper cominciare a cura di p. Elio Boscaini

Feb 2013

I l 12 febbraio si celebra la Giornata inter-nazionale contro l’impiego dei bambini soldato, per sensibilizzare tutti contro gli

abusi che subiscono. Si stimano in 250mila i bambini soldato – maschi e femmine con meno di 18 anni – coinvolti attivamente in più di tren-ta conflitti in tutto il mondo, in Africa in partico-lare. Sono utilizzati come combattenti, corrieri, facchini, cuochi o per fornire “servizi” sessuali, specialmente le bambine.Dovrebbero stare sui banchi di scuola, questi bambini, giocare con i fratelli e le sorelle, ave-re degli amici, vivere l’innocenza dell’infanzia, ed invece, come ha testimoniato un ufficiale dell’esercito del Chad: «I bambini soldato (small soldiers) sono ideali perché non si lamentano, non si aspettano di essere pagati e se dici loro di uccidere, uccidono».

Non mancano sforzi di organismi internazionali e di volontariato che intervengono nel processo di liberazione e di reinserimento nella vita civile di questi minori. A volte sono i ragazzini stessi che riescono a scappare e tornare a casa. Ma rischiano di trovarsi costretti a lottare per farsi accettare nuovamente dalla famiglia e dalla co-munità. Ma se ricevono l’aiuto e gli incoraggia-menti necessari, possono riprendere ad amare la vita. Il 3 febbraio in Italia celebriamo la Giornata per la vita. Il messaggio dei vescovi per questa giornata s’intitola Generare la vita vince la crisi. Un invito alla nostra società affinché riscopra il dono grande e unico del trasmettere la vita, e accolga i figli per un loro futuro, che è il futuro di tutti noi.

Il Parlamento: il cervello dello Stato… funziona bene? (1a parte)

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a cura di Antonio Romero

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Attualità

La generazione bruciata della città più violenta del mondo

C hissà com’era bella Ciudad Juárez nel 1659, anno della sua fondazione da par-te degli Spagnoli! Allora si chiamava “El

Paso del Norte” (il passaggio al nord), proprio per questa sua caratteristica di rappresentare il passaggio obbligato attraverso le Montagne Rocciose, la desolata frontiera rossa che divide Messico e Stati Uniti. Certamente era più tran-quilla, accogliente e sicura di oggi. Negli ultimi anni, infatti, è diventata la città più violenta del mondo. Tutta colpa della droga, che dalle regio-ni sudamericane dove viene prodotta, passa da qui ad inondare di morte le strade di USA e di mezzo mondo.

IL LAVORETTO

Juan Carlos è uno dei migliori alunni della terza media del suo quartiere. La sua ottima pagella lo motiva ad andare ad iscriversi alle superiori per continuare gli studi. Per studiare occorrono i sol-di per l’iscrizione. Ma in casa non ci sono soldi. A dire la verità non c’è neanche il papà, morto ammazzato in un regolamento di conti tra bande rivali. «Mamma, puoi darmi i 60 dollari per l’iscri-zione?». «Non li abbiamo. E poi devo dare da mangiare ai tuoi fratelli più piccoli. Perché non ti trovi un lavoro?».Juan Carlos sa dove trovare i 60 dollari per le

Messiconarco-guerra

Polizia e corpi speciali mettono in salvo alcuni bambini durante una sparatoria

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superiori. Si rivolge all’amico Jimmy, il giovane boss di vent’anni che controlla la “bocca di fumo” (spaccio di dro-ga) della via sotto casa. «Sessanta dollari? Non c’è pro-blema: te li do se mi fai un lavoretto» dice Jimmy a Juan Carlos, prendendolo sottobraccio. «Accetto! Però me li dai subito perché ne ho bisogno». «Ok, vieni!».Il lavoretto deve essere fatto bene. Jimmy mostra al ra-gazzino la via e la casa dove abita l’uomo da eliminare. Per non sbagliare, gli fa vedere la foto del “morto che cammi-na” e gli consegna la pistola per l’esecuzione. Juan Carlos agisce come un killer professionista: aspetta, spara, ucci-de, restituisce la pistola, incassa, tace. E il giorno dopo si iscrive alla scuola dei suoi sogni. Tra qualche anno, se so-pravviverà, si iscriverà alla facoltà di economia, magari in una università il più lontano possibile da Ciudad Juárez.

CIUDAD JUAREZ è diventata una città fantasma, dove il 25 per cento delle case sono state abbandonate. L’au-mento della violenza nella città è do-vuto alle 950 pandillas (bande arma-te) di origine messicana che operano indisturbate. Formate da migliaia di affiliati e guidate da circa 3mila le-ader (cabecillas), le narco-bande hanno fatto del traffico di droga e dei delitti il loro modo di vivere. La guer-ra del narcotraffico è cominciata nel

2004 quando l’organizzazione mafiosa del Cartello di Sinaloa, in alleanza con i potenti ex militari Los Zetas, ha cercato di togliere il controllo della città al Cartello di Ciudad Juárez.

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8 maggio 2011. Dopo quattro giorni di marcia tra le principali città della droga, i manifestanti giun-gono a Plaza Zócalo (Città del Messico) per protesta-re contro la politica del go-verno, incapace di porre fine alla narco-guerra.

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NIÑOS: Secondo l’organizzazione uma-nitaria Propuesta Civica, sono 70mila le morti causate dalla guerra al narcotraffi-co e più di 20mila le persone scomparse in Messico negli ultimi sei anni. I bambini sotto gli 11 anni “desaparecidos” sono oltre 1200. I giovani tra i 12 e i 18 anni rappresenta-no la maggioranza dei morti tra i narcos, i militari e la popolazione civile coinvolta nella narco-guerra.

NARCOTRAFFICO: Negli ultimi dieci anni il traffico mondiale di cocaina (prodotta esclusivamente da tre paesi sudameri-cani quali Perù, Bolivia e Colombia) desti-nato ai mercati di USA ed Europa, passa rispettivamente dal territorio messica-no e dal corridoio dei Caraibi. I cartelli di narcotrafficanti messicani (uno dei principali è Los Zetas) hanno preso il po-sto dei gruppi criminali colombiani, sce-gliendo Ciudad Juárez e Tijuana come “città varco” verso il mercato USA. Stra-tegica l’alleanza tra narcos messicani e ‘ndrangheta calabrese, che si conferma la “regina della coca” del mercato di dro-ghe europeo

Le tristemente note "Cruces Rosadas" di Ciudad Juárez,

segnale di una criminalità che ha abbandonato ogni codice etico, ma anche simbolo, forte, di una società

stanca della violenza che vuole cambiare

GENERAZIONE “NI NI”

A Ciudad Juárez oggi “los niños crescono con l’idea che ammazzare o vedere ammazzare la gente è una cosa nor-male”. Per questo i bambini e i giovani sono i più esposti al reclutamento del crimine. In un Paese come il Messico in cui la crisi economica colpisce pesantemente la mag-gioranza delle famiglie e i problemi legati a povertà e di-suguaglianza sociale aumentano, cresce la generazione dei cosiddetti “ni ni”. È il mondo giovanile dei “ni estudio, ni trabajo” (senza studio, senza lavoro), una massa di gio-vanissimi che non avendo cultura né occupazione, trova-no nella malavita organizzata il loro ruolo nella società. La banda diventa la loro famiglia; lo spaccio di droga il loro lavoro; e, spesso ma non sempre, la morte il loro futuro. È la sorte toccata a sette ragazzini che alcuni mesi fa sono stati ammazzati nel mezzo di uno scontro tra polizia e nar-cotrafficanti. Giacevano sotto un muro su cui si poteva leggere lo slogan: “Vivir mejor” (Vivere meglio)”. Slogan voluto dal governo a cui nessuno crede. Tranne le migliaia di ragazzi e giovani che nella stessa Ciudad Juárez anche oggi stanno rischiando la vita nell’impresa di portare la cit-tà verso la resurrezione della giustizia e della legalità.

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a cura di Pablo SartoriZoom

Perché Quaresima?N ell’esperienza di vita e di fede dei cri-

stiani ci sono periodi dell’anno che ri-vestono un’importanza fondamenta-

le. Sono periodi che ritornano puntuali, come il passaggio delle stagioni, e che sono chiamati “tempo forte” perché richiedono un certo impe-gno e una buona dose di attenzione, per essere vissuti in profondità e gioia.Il più importante dei due è senz’altro il tempo di Quaresima, il cammino di 40 giorni di durata, che separa il mercoledì delle Ceneri dalla do-menica di Pasqua. Una tradizione antichissima – inaugurata nel lontano IV secolo dopo Cristo,

ben 1800 anni fa… – che prevede quaranta gior-ni (dal latino “quadragesima”, da cui il nome “quaresima”) di “purificazione”, per “smaltire” le baldorie del carnevale in un cammino di vita che sfocerà nella gioia del mattino nel giorno di Pasqua.Per troppo tempo si è sottolineato l’aspetto “tri-ste” della Quaresima, insistendo sul colore viola usato nelle celebrazioni in chiesa, o sul digiuno e la penitenza che i cristiani dovrebbero mette-re in pratica durante questi quaranta intermina-bili e malinconici giorni. E sull’elemosina, inte-sa come l’aiuto concreto da destinare ai poveri

Perché ogni incontro con la Vita va preparato. Anche con una buona semina

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Feb 2013

Perché Quaresima?

ed emarginati. Elementi importanti, si capisce, ma che forse mettevano in ombra quello che è il vero significato di gioia e speranza che la Pa-squa esprime.

SE IL CHICCO DI GRANO…

Mancavano pochi giorni alla festa di Pasqua de-gli Ebrei. Gesù sentiva dentro di sé che quella sarebbe stata la sua ultima pasqua. Bisognava quindi spiegare a discepoli ed amici il senso del-la sua vita, così come l’aveva vissuta fino a quel momento. Il maestro di Nazareth allora utilizzò questo esempio bellissimo per dire: “Volete an-che voi vivere una vita vera, piena di gioia? Fate come il chicco di grano, che se non cade in ter-ra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. (Giovanni 12, 24).Ecco allora un nuovo modo per vivere fino in fondo il tempo di Quaresima. Un periodo di qua-ranta giorni di preparazione all’incontro con Gesù Risorto e con tutte le persone – vicine e lontane – da lui amate. Un tempo in cui ciascuno di noi semina nella terra della vita il meglio che

è e che ha, affinché la produzione di “buoni frut-ti” sia così abbondante da far contenti tutti, noi per primi.Saranno quaranta giorni importanti dove po-trai, con gioia e semplicità, provare a piantare il seme…

... della preghieraDedica 5-10 minuti ogni giorno

per parlare con Gesù, come se fosse un amico carissimo.

... dell’ascoltoApri bene gli orecchi del cuore e della mente e mettiti ad ascoltare ciò che

le persone, la natura e la vita ti dicono.

... della pazienzaNon arrabbiarti per cose da poco.

Tratta sempre gli altri con educazione, gentilezza e bontà.

... del perdonoMettiti sempre nei panni degli altri, sforzandoti di non giudicare mai le

persone senza conoscerle.

... della sinceritàNon aver paura di dire sempre la verità

e di esprimere ciò che pensi.

... della speranzaScaccia le paure e i timori aprendotiagli altri e raccontando ciò che senti.Di sicuro qualcuno saprà consigliarti

e aiutarti.

Buon cammino di Quaresima e buona festa di Pasqua attorno al pane della Gioia, fatto con la farina dei tuoi chicchi di vita!

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Chasqui

Il racconto

della vita I l pensiero di essere missionario l’ho sem-pre avuto forse grazie al fatto che a casa mia, ogni mese, giungeva

Piemme che allora si chiamava Il Pic-colo Missionario. Il babbo, contadino,

alla sera leggeva sempre qualche pagina o ci diceva: “Leggetemi questa”. Così io ho conosciuto le missioni fin da piccolo. All’età di 16 anni ho letto la vita del missionario Daniele Comboni. Mi ha affascinato e ho sentito che po-tevo essere come lui, che amava tanto l’Africa da dire: “Se aves-si mille vite tutte le darei per la missione”.La famiglia in cui sono nato era numerosa (siamo sette fratelli) e molto povera. Ma ci voleva-mo molto bene. I miei mi hanno sempre appoggiato nella mia scelta di farmi missionario, pur lasciandomi completamente libero di decidere. Ho iniziato la mia preparazione nell’Istitu-to dei Missionari Comboniani e a 26 anni ho chiesto di non an-dare subito in un paese del Sud del mondo ma di dedicarmi, per alcuni anni, a pubblicare libri sul Sud del Mondo. Questo ha cam-biato la mia vita missionaria. Infatti fino a 38 anni sono rimasto in Italia a lavorare nell’animazione missiona-ria. Poi chiesi di andare in America Latina. E così arrivai in Messico, dove sono rimasto per 14 anni. Poi sono tor-nato in Italia dove sono tuttora; qui cerco di incontrare le persone per condividere con loro la passione per il Sud del mondo.Della mia esperienza messicana, nella città

L'albero di padre Raimondo

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di La Paz, nella penisola della Bassa California, ricordo che scrivendo agli amici italiani di-cevo: “Qui ho trovato 3 S: sole, sabbia, solitudine”. Sono bastati pochi mesi e di S ne sono rimaste soltanto due. Era scomparsa la s della so-litudine per lasciare il posto alla A di amicizia. Amigo! Era la parola magica con la quale salutavo tutti. La stessa parola con cui i ragazzi e gli adulti mi salutavano.Un posto dove ho trovato grandi amici sono state le carceri. Un giorno un carcerato ha avuto il coraggio di dire: “Ringrazio Dio per il giorno in cui mi han-no ‘beccato’. Se non mi avesse-ro rinchiuso in questo carcere non avrei scoperto ciò che ho scoperto: la bellezza dell’ami-cizia e l’amore di Dio”.

Il magazzino

delle idee

Sono contentissimo dei risultati rag-giunti nella mia vita. Non ho fatto grandi cose ma ho amato e mi sono sentito amato. Ciò che ci fa felici

non è ciò che sappiamo dell’altro ma se lo amiamo e se ci sentiamo amati. Le lingue sono moltissime ma c’è un linguaggio che tutti capia-

mo, un linguaggio che riempie la vita di tutti e di ciascuno: l’amore. Io credo che nel mondo non ci sia nessuno peggiore di noi e neppu-

re nessuno migliore di noi. Esistono solo persone che, come noi, hanno

bisogno di amare e di sentirsi amate. Tutti gli alberi, senza che nessuno abbia fatto una legge ad hoc, cresco-

no verso l’alto. Tutti gli alberi stendono i loro rami. Tutti gli alberi affonda-

no le loro radici nella terra. Tutte le donne e gli uomini di questo mondo

hanno sete di amare e di essere amati con quell’amore che è dono. Nell’amore che è fiducia, accoglienza, servizio, perdono è possibile

incontrarci in qualunque latitudine del nostro pianeta. Il mio prossimo obiettivo di vita penso si possa riassumere così: non conservare la vita in un cassetto ma viverla per fare

felice l’altro. Sento che nessuno può essere felice da solo.

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da l’intervista di Francesca Veneziani e Teresa Cuzzola, della scuola Tommaso Fiore di Bari, al missionario comboniano p. Ottavio Raimondo

Parola di padre Ottavio. Sia in Messico sia in altri paesi in cui sono stato di passag-

gio, non ho trovato difficol-tà. Mi è sempre sembrato di

essere a casa. Con le persone ho vissuto una grande vicinanza e le ho vi-ste sempre belle, come un papà o una mamma vede belli i figli, come un fra-tello o sorella vede belli i propri fratelli e sorelle.Mi piace così tanto quello che faccio che a volte dico a me stesso: “se una ragaz-za o un ragazzo comprendesse come è bello essere missionario, un pensierino lo farebbe certamente!”.Essere missionari significa andare a dire: “amatevi e costruirete un mondo nuovo, il Regno di Dio”. Per questi mo-tivi, voglio continuare a fare il missiona-rio. La missione è la mia vita! Il cuore di tutto è una persona che si chiama Gesù. Gesù lo sento vivo e sento che lui è la mia forza. Sogno di poter dire nell’ultimo giorno della mia vita: “Missione compiu-ta. Ho amato fino alla fine”. La missione è anche questo per me: poter instaurare un legame profondo e solido con le persone. E sentirmi dire, come mi è capitato, un giorno, con un giovane senegalese, proprio qui a Bari, in Piazza Umberto I: “Si vede che tu ci vuoi bene”.

L’oggi di ieri Parlane con ...PADOVA fr. Alberto: [email protected] sr. Lorena: [email protected] SUPERIORE (VA) p. Massimo: [email protected] sr. Betty: [email protected] p. Domenico: [email protected]

PESARO p. Renzo: [email protected]

ROMA sr Tarcisia: [email protected]

PALERMO sr. Tiziana - sr. Rosa: [email protected] Danila: [email protected]

p. Enea: [email protected]

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Spazzascienza L eida, 1745. Siamo in una pic-cola città dell’Olanda, che so-miglia un po’ alla nostra Ve-

nezia, con tanti canali. I fratelli Jan e Petrus Musschenbroek portano avanti la loro officina, all’insegna de “La Lampada d’Oriente”. È l’attività di famiglia. Una volta fabbricavano lampade e candelabri d’ottone, poi lo zio Samuel cominciò a costruire tele-scopi, microscopi, siringhe. Ora Jan e Petrus vendono strumenti scientifici in tutta Europa.Tra gli oggetti in catalogo, anche il tubo elettrico (vedi PM febbra-io 2012). Petrus infatti è studioso di

elettricità, e insegna filosofia natura-le all’Università di Leida. Egli cerca di costruire un recipiente per l’elettrici-tà. Mentre sta provando e riprovan-do con bottiglie ricoperte di metallo, munite di tappi infilzati con chiodi, av-vicinate a tubi di vetro strofinati con la seta, a un certo punto, toccando la bottiglia e il tappo prende una scossa fortissima!

Questa invenzione viene chiama-ta Bottiglia di Leida e gli studi di elettricità si diffondono in tutta Europa. Non solo nelle scuole, ma anche alle feste nei salotti, perché è divertente unire le mani in girotondo e prendere la scos-sa tutti insieme. È un esperimento che si può riproporre in una festa di carnevale.

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Che spasso la scossa che passa!

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All'opera!P ossiamo costruire la versione spaz-

zascienza della Bottiglia di Leida, in piccolo, con dei bicchieri. Ci servono: 2 bicchieri di plastica, alluminio da cu-cina, forbici, nastro adesivo, una sciarpa di lana, un tubo di pvc (avanzato dopo lavori idraulici o elettrici).

COSTRUZIONE

Ritagliare due “vestiti” in alluminio per i bicchieri di plastica. La forma è a mezzaluna come nel disegno, e poi si arrotolano intorno al bicchiere e si

uniscono con un pezzetto di nastro ade-sivo. Questi vestiti sono detti “armature”. Ritagliare una specie di “P” in alluminio, con la gamba molto larga, e ripiegarla fino a formare una “ban-dierina” che viene detta “conduttore”. Rivestire entrambi i bicchieri con le loro armature, e metterli poi uno dentro l’altro, infilando tra loro anche la bandierina, a contatto con l’armatura interna.

ESPERIMENTO

Strofinare il tubo di pvc con la sciarpa, tenendola ferma e muovendo il ba-stone avanti e indietro come una stecca da biliardo. L’azione va svolta molto vicino alla “bandierina”, in questo modo una parte dell’elettricità generata dallo sfregamento del pvc con la lana, che si trova in eccesso sul tubo di pvc, viene come “travasata” nell’armatura interna attraverso la bandierina, che si muove avvicinandosi al tubo. Maggiore è il numero di “strofinate” (dieci, venti...), maggiore la quantità di elettricità con cui si “carica” la bottiglia di Leida. Già dopo quattro o cinque strofinate, la bottiglia è carica e può dare una piccola scossa se si toccano contemporaneamente con una mano l’armatura esterna e con l’altra la bandierina. An-che un circolo di persone può fare l’esperimento: il primo tiene in mano la bottiglia (toccando l’ar-matura esterna), l’ultimo tocca la bandierina. Tutti prendono la scossa. Una scossa leggera, non pre-occuparti!Che spasso la scossa che passa!

Feb 2013

a cura di Beniamino Danese


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