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il piccolo missionarioottobre 2010 - n. 10
Kataboomcose dell’altro mondo
PP er carità, il bene fa sempre bene! Soprat-tutto quando di bene se ne fa tanto per-ché si hanno tanti soldi. È questo il trend
“generoso” che va di “moda” presso gli zii Pa-perone americani e che presto, ne sono certo, contagerà altri ricconi, soprattutto in Europa. Il primo ad imbarcarsi sulla nave della benefi cen-za è stato il multimiliardario Bill Gates, fonda-tore della Microsoft, subito imitato da Warren Buffet, altro manager del capitalismo statuni-tense. Questi straricchi americani, assieme ad altri 34 loro colleghi nababbi, avrebbero fi rmato un appello chiamato “Impegno a dare” in cui di-chiarano di voler devolvere in benefi cenza, nei prossimi anni, almeno la metà del loro patrimo-nio personale. Gates e amici sperano, così, di convincere gli altri 400 miliardari statunitensi a fare altrettanto, in modo da arrivare a donare a fi n di bene somme da capogiro, stimate in centi-naia di miliardi di dollari.
Vi confesso che di fronte ad una simile esplo-sione di bontà, io rimango alquanto perples-so. E ne ho ben ragione quando scopro i van-taggi che gli stramiliardari traggono da queste “operazioni dono”. Innanzitutto si fanno della buona pubblicità positiva, che serve sempre a migliorare la propria immagine e quindi a fare altri buoni affari. Secondo, le donazioni godo-no di forti sgravi fi scali e quindi meno tasse da pagare allo stato. E terzo, mettono in pace la coscienza di chi si è “arricchito grazie alla so-cietà e adesso restituisce, in parte, ciò che dalla società ha avuto”.Personalmente alla parola “benefi cenza” preferi-sco il termine “giustizia” e l’impegno di coloro che si danno da fare per realizzarla nel mondo. Così come scelgo senza dubbio i due spiccioli della povera vedova del Vangelo (Luca 21, 1-4) invece delle miliardarie donazioni di Bill Gates & friends: quelli nascono dal cuore, le altre dal business.
Ott 2010
cccccccose ddell’altro monnddo
Ma che buoni
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miliardari!
Diceildire
p. Elio Boscaini
EE ccoci ancora una volta all’ap-puntamento con ottobre, il mese missionario. Quest’an-
no la Giornata missionaria mondia-le, la 84a della storia, si celebra do-menica 24 ottobre. Per l’occasione il Papa ci invia un messaggio per ricordarci che nella società mul-tietnica in cui viviamo, i cristiani devono offrire segni di speranza, impegnandosi a rendere il nostro pianeta casa di tutti i popoli.E noi che possiamo fare? Baste-rebbe fare nostra questa preghiera che è tutto un programma di vita:
Signore,
donami un cuore buono
capace di emozionarsi e di sorridere.
Benedici le mie mani: sappiano accogliere,
stringere altre mani, dare senza calcolo.
Rendi forti i miei piedi:
sappiano camminare sui sentieri della vita.
Dammi un volto accogliente,
sereno e simpatico.
Tocca la mia bocca: che io dica sempre parole buone.
Rischiara i miei occhi per vedere oltre le apparenze.
I miei orecchi
sappiano ascoltare con attenzione
la tua voce, gli amici e il mondo.
Aiutami a seminare fraternità,
a far nascere gioia.
Tieni la mia mano,
accompagnami lungo la strada della vita.
Amen
La La casa
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dica sempre parorole buone.
edere oltre le appparenze.
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Aboliamo per sempre l’orrenda pratica della pena capitale
La pena capitale non risparmia neanche i minori
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PENA DI MORTE o CAPITALE: principio etico-giuridico in base al quale lo Stato può decidere legittimamente di togliere la vita ad una persona
TROPPO PRESTO PER MORIRE
Maung ha 16 anni. È un ragazzino che fre-quenta il Liceo statale n°2 della township di Sud Dagon Myothit, nella parte sud-orien-tale di Yangon, in Myanmar (ex Birmania). Non è facile la vita per i giovani birmani, spesso costretti a svolgere i mestieri più disparati e faticosi. Eppure per Maung si prospetta un futuro diverso. Un giorno incontra dei militari alla Stazione Ferro-viaria Centrale di Yangon, conoscenza che cambierà totalmente la sua vita.
P are che al mondo esista-no uomini con gli stessi poteri che ha Dio. Sono
persone che credono di avere il diritto di sapere quale debba essere l’ultimo giorno di vita di altri uomini, donne o bambini, soprattutto se questi si sono macchiati di gravi reati. Ovun-que nel mondo vi sono persone che ritengono “giusto e dove-roso” punire con la morte alcuni carcerati perché “se lo meritano”. Costoro invocano una pena capi-tale ossia “defi nitiva”, quasi sempre applicata usando metodi barbari (se-dia elettrica, lapidazione, iniezione le-tale, impiccagione, fucilazione...) che hanno come obiettivo l’eliminazione fi sica della persona. In questo modo, mettendo fi ne alla vita di un condan-nato, senza permettergli di scontare la pena in carcere e di capire ciò che ha commesso, gli si nega il diritto vi-tale di ravvedersi e di vivere in ma-niera dignitosa il resto dell’esistenza. Come testimoniano i tre drammatici casi descritti qui sotto.
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persone che credono di avere il diritto di sapere quale debba essere l’ultimo giorno di vita di altri uomini, donne o bambini, soprattutto se questi si sono macchiati di gravi reati. Ovun-que nel mondo vi sono persone che ritengono “giusto e dove-roso” punire con la morte alcuni carcerati perché “se lo meritano”. Costoro invocano una pena
l’orrenda pr
Attualità
Ott 2010
genera morteSono tanti i ragazzini reclutati dal governo militare del Paese per diventare bambini-soldato, in quello che a prima vista sembre-rebbe un privilegio: non capita tutti i gior-ni, infatti, di poter ave-re tra le mani un’arma vera e una divisa da sfoggiare!Maung entra così a far parte del 322° Reg-gimento di Fanteria Leggera. Ma accade qualcosa. Durante una rissa con al-tri militari un altro bambino-soldato, membro di una famiglia di sostenitori della Giunta militare birmana, rima-ne ucciso. Maung e un suo giovane commilitone sono giudicati colpevoli, processati e condannati a morte. La orrenda e brutale pratica della pena di morte ha interrotto una giovane vita che aveva davanti a sé un futuro tutto da scoprire.
DONNE, MAMME E FIGLIE IN IRAN
In Iran due ragazzi rischiano di diventare orfani di madre. Sakineh è il nome della mamma, una donna di 43 anni ac-cusata di aver tradito il marito e di averlo ucciso. Per que-sta ragione si trova reclusa da 5 anni nel carcere di Tabriz, in Iran. È stata punita con 99 frustate davanti ai suoi fi gli e oggi rischia la lapidazione. “Non lasciate che il nostro in-cubo diventi realtà. Lottate contro la lapidazione di nostra madre”, gridano i ragazzi angosciati, che si rendono conto della gravità della situazione, dato che in Iran la pena di morte viene purtroppo applicata con molta facilità.
Nella nazione iraniana sono molte le donne a cui viene ne-gato “il riconoscimento dei di-ritti più elementari” riconosciuti in altri paesi. Ad oggi, è sempre molto alto il numero delle giusti-ziate con l’accusa di adulterio; donne senza nome, uccise nel quasi assoluto silenzio dei mez-zi di comunicazione nazionali ed internazionali, che scelgono di trattare argomenti più “leggeri” e meno drammatici.
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LAPIDAZIONE
Sono tanti i raggazzini
vita a cura di Chiara Milano
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“Lottiamo contro la lapidazione di Sakineh”
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MORATORIA UNIVERSALE: proposta di sospende-
re l’applicazione della pena di morte in tutti i paesi
appartenenti allONU. Questo sarebbe l’obiettivo per
poi raggiungere l’abolizione
AMNESTY INTERNATIONAL (www.amnesty.itwww.amnesty.it):
la più famosa organizzazione internazionale che si
occupa dei diritti umani. Svolge attività di ricerca e
azione per evitare che tali diritti siano calpestati
GRAZIA E GRAZIE
Tra i numerosissimi condannati a morte in tutto il mondo, ce ne sono al-cuni che, fortunatamente, ottengono la grazia; questo signifi ca che resta-no in carcere ma viene loro risparmia-ta la vita. Sono casi rarissimi, episodi che si verifi cano grazie alla raccolta di fi rme di persone che rifi utano l’enne-simo omicidio, o all’impegno di orga-nizzazioni di difesa dei diritti umani. Come il caso, ad esempio, dello sta-tunitense Kenneth Foster, ritenuto colpevole di aver partecipato ad un omicidio, pur non essendone l’ese-
cutore materiale. Di-chiarato colpevole e
condannato a mor-te dalla cosiddetta legge “Law of Par-ties” che punisce anche i complici,
INNOCENZA
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solo 6 ore prima dell’esecuzione il destino di Kenneth fu radicalmente cambiato nel momento in cui la sen-tenza di morte contro di lui si tramu-tò in ergastolo. Un vero miracolo, ot-tenuto grazie anche all’aiuto di tutti quelle persone che, in varie parti del mondo, si erano mobilitate per sal-vargli la vita.
I PAESI-BOIA NEL MONDO (rapporto 2009)
La macabra classifi ca mondiale dei Paesi che nel 2009, nonostante il calo del numero delle esecuzioni, hanno applicato la pena di morte, vede ai primi posti:- Cina: circa 5mila (88% del totale mondiale)- Iran: circa 402- Iraq: almeno 77- Arabia Saudita: almeno 69
Ott 2010
L’energia dei tifosi di Soweto, Sudafrica
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Speciale a cura di
P. Daniele Moschetti
Alla gente la Coppa del mondo di Mapuordit
di Soweto, Sud
Alla gente la Coppa del mondo di MapuorAlla gente la Coppa del mondo di M
ÈÈ stata sicuramente un’esperienza straor-dinaria quella che abbiamo vissuto per un mese insieme come villaggio di Mapuor-
dit qui in Sud Sudan. Un evento mondiale come quello della Coppa del mondo di calcio per la prima volta in Africa, ma che è diventato “glo-cale”, cioè di Mapuordit, proprio grazie alla par-tecipazione di tanta gente. Abbiamo potuto seguire tutte le partite fi no alla fi nale tra Spagna e Olanda. Tanta gente e tanto entusiasmo per sostenere le proprie squadre africane prima, specialmente il Ghana, e poi via via le altre che restavano in gara. Dentro la no-stra chiesa non ancora fi nita (ci sono solo il tet-to e i pilastri di ferro…) abbiamo accolto gente di età diverse: dai bambini ai giovani, agli uo-mini, ai cattle keepers (i pastori delle mandrie), dalle donne alle ragazze. Questo è stato possi-
bile per la collaborazione della nostra diocesi di Rumbek con l’UNICEF che ha sponsorizzato l’abbonamento DSTV satellitare, l’acquisto del decoder e della parabola per poter ricevere il segnale.Ma ciò che mi piace più sottolineare in questa attività è che non c’è stato solo calcio. La gente veniva mezz’ora prima delle partite per vedersi i programmi del National Geographic Channel, sulla vita di animali, pesci e fauna. Un bellissimo canale educativo davanti al quale il pubblico ri-maneva meravigliato e in silenzio nell’ammirare animali mai visti di persona pur vivendo in Africa: iene, leoni, elefanti, serpenti, scimmie ma anche delfi ni e balene. Insomma è stata un’immersio-ne nel mondo, nei colori, nelle culture delle razze umane ed animali. Sport, educazione e inter-culturalità allo stesso tempo.
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Alunni delle scuole di Mapourdit. Nelle loro classi si è svolto il
“mondiale della conoscenza”
Mondialità anche nel-la scuola superiore e in quella primaria della mis-sione, dove gli alunni si sono divisi in altrettante squadre e hanno studia-to a fondo le 32 nazioni partecipanti al “mondia-le della conoscenza”. È stato stupendo vede-re come ragazzi e giova-ni alla fi ne siano arrivati a conoscere tantissimo del-la storia, geografi a, politi-ca, economia, tradizioni e cultura dei paesi che par-tecipavano alla coppa del mondo in Sudafrica. Anche nel nostro ospedale di 100 posti letto, sulla scia del nostro “mondiale”, è stata organizzata la “coppa del mondo della pulizia”. Durante tutte le 4 settima-ne previste le infermiere e gli
-n s-sitea-nia-
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va-ti a el-iti-
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dalescia”, èppazia”.ma-e gli
Balli, canti ed entusiasmo tra i giovani del “villaggio glocale” di Mapourdit
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addetti ai lavori di ogni reparto han-no lavorato sodo e con attenzione per pulire e spazzare. Alla fi ne ha vinto il reparto Maternità, con grande gioia delle poche donne infermiere presen-ti nell’ospedale. Sempre nelle mattinate di questo in-tenso mese, abbiamo organizzato in tutte le scuole una trentina di incontri su temi quali giustizia, pace, riconci-liazione, ambiente e Aids. Sono stati momenti interessanti di condivisione e di rifl essione su ciò che i giovani stessi possono fare per promuovere questi valori. Perché come sempre ho detto, sono stati loro i veri organizzatori e i
protagonisti di tut-to questo entusia-smo nel “nostro villaggio glocale”. Sempre loro i vin-citori del mondia-le di Mapourdit in questo mese fantastico vissu-
to all’insegna del mondo e dell’Afri-ca. Una “vittoria” celebrata con tanta vitalità, forza, talen-to, gioia di vivere, musica, danza, sor-risi e accoglienza. E che ci ha portato a guardare all’Africa con la dovuta spe-ranza e la fi ducia che le cose possono mi-gliorare. Insomma un po’ secondo lo slo-gan del mio fondatore san Daniele Comboni: Salvare l’Africa con l’Africa!, anch’egli convinto, come lo sono oggi io, che se si lavora insieme per un unico obiettivo anche in Africa vedre-mo grandi cambiamenti.
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el i-a”tan-re,or-za. ato ica pe-che mi-a unslo-
atoreboni: con ’egli sono
Missione e’...mettersi al servizio dei piccoli !
valori. Perché come sempsosonono stati loro i veri orga
protagoto quessmo nvillaggSempcitori dle di Min qufantas
rdito mesese
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unico obiettivo anche in Africa vedre-momo g grarandndii ca bmbiai mentntii.
Ott 2010
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Partitella tra amici ad Algeri
Stranieri come noi
Vedo che cammino a pie-di nudi sulle pietre. Vedo Omar che mi viene incontro in mezzo alla polvere, e vedo che dimentico i tagli, le spine, le schegge di vetro sulla strada pol-verosa. Viene Omar il timido, che si ritira al tocco degli altri. Eccolo che si avvicina. Alza la mano verso di me. Dai polpastrelli gli scivo-la via una carezza persa, indecisa, che voleva e non voleva partire, e subito i miei occhi si chiudono per meglio sentirla sul viso.
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Sono morta. Sono
morta oggi, a tre-
dici anni, ma non fa
male. Non pensavo fosse così;
non ero mai morta, prima. Mi
sento leggera, ora, e mi viene da
ridere. Da quassù vedo bene le
cose di adesso, e quelle pas-
sate, le vedo come tutte
insieme.
VeVedodo c chehe c camam imino a iV
e siamo noi...e siamo noi...
orta Sono
Vedo mia madre che passa. È grassa. Grassa in
ogni dettaglio, dalle guance paffute alle caviglie gon-
fi e. Quando cammina ondeggia qua e là, ansimando per lo
sforzo. Vuole sposarmi a qualcuno. Vuole che qualcuno mi voglia.
Cerca un’alleanza, una promessa di futuro. Qualcuno alla fi ne viene,
mi vuole e mi sposa.
Mia madre è contenta, le brillano gli occhi. Mio padre sorride.
Vedo che sono un’altra, ora. Che entro in una nuova casa. Due persone con una
storia in comune, un paese, una famiglia, un’intimità di sangue.
Ci sono alcune donne che passano nel corridoio.
Sono lente, pallide e delicate come larve di api.
Poi cominciano a darsi da fare. Ronzano dap-
pertutto. Mi insegnano a lavare e a cucinare.
Mi insegnano a sopportare. A esplorare
gli abissi.
Vedo che piango nel buio. L’ango-
scia riempie la stanza come una
nebbia densa, e mi chiedo se
l’amore è un ponte o un fossato.
Mi viene in mente Omar il ti-
mido, ma ne scaccio subito
lo spirito malvagio, e nei
pensieri non ne resta
che una spoglia.
ddre cchehe ppasassasa. È grgraas
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no dap-
nare.
are Vedo giovani che s’inchinano
dinanzi ai libri, ne baciano le pagine
ma non ne sanno decifrare una sola lettera.
Mi vedo che vado a cercare Omar. Poi mi vedo
in piedi dentro una buca, solo la testa fuori. Mi
vedo che chiudo gli occhi e penso al destino, alle infi -
nite combinazioni della vita. E penso che la vita è come
sotto questo cappuccio, dove c’è più oscurità che luce.
Le pietre non devono essere troppo grandi, altrimenti si
muore subito. Ma neppure troppo piccole, altrimenti non
senti abbastanza dolore. Dura poco. Ad un certo punto dev’essere arrivata una pietra grande.
Meno male. Per denunciarti servono due testimoni ma-
schi, o quattro femmine. Ci hanno visti in due, quan-
do ci siamo baciati. Omar aveva le guance rosse.
Mi sento leggera, ora, e mi viene da ridere.
Perché sono morta.
Vedo giovani che s’inchinannooono inanzi ai libri, ne baciannon ne
e siete voi...e siete voi...
a cura di
Antonio Ferrara
Chasqui
OO ggi, per me, è un grande giorno. Padre Ric-cardo me lo aveva promesso da tanto tempo: «Ryan, vedrai che presto andremo dal tuo ri-
ciclatore e salderai il debito che hai con lui».Sono stato schiavo di quel farabutto per ben 4 anni. Da quando il mio patrigno mi ha cacciato di casa all’età di 8 anni – adesso ne ho 12 – ho raccolto carta, plastica, ferrovecchio e rifi uti nelle strade della periferia di Dacca. Tutta roba che fi nisce nei magazzini dei “riciclatori”, i commercianti specia-lizzati nella separazione e riciclaggio dei rifi uti, che fanno i soldi sfruttando il nostro lavoro. Nella zona che il padrone mi aveva assegnato fru-gavo per ore nei cumuli di immondizia, cammina-vo scalzo e mettevo le mani dappertutto. Per un chilo di plastica prendevo 16 centesimi di euro; lo stesso per le scarpe vecchie che però dovevo fare a pezzetti se no non me le accettavano. I rifi uti che
valevano di più erano i chiodi, le penne di pla-stica, gli stracci e le lampadine bruciate.
Fatica, fame, sete e umiliazioni non mi im-portavano: mi interessava solo lavorare
per sopravvivere. Guadagnavo tra i 2 e i 3 euro al giorno: 1 euro mi co-
stava spostarmi con i sacchi sul tetto del bus – se entravo den-
tro, pagavo 2,50 euro… – e 1 euro al giorno lo davo al ri-ciclatore per avere in cam-bio qualcosa da mangiare.Ma un brutto giorno mi ammalai di dissenteria e dovetti stare fermo qua-si un mese intero senza poter lavorare. Chiesi un prestito al padrone per un po’ di cibo: «mi pagherai non appena starai meglio»
mi disse. E fu così che il mio debito arrivò a 10mila taka
(100 euro), una montagna di soldi che non sarei mai stato in
TokaY
grado di restituirgli. Divenni anch’io uno schiavo,
come le migliaia di bambini e bambine che vi-
vono nelle strade del Bangladesh.
Osservo padre Riccardo e il riciclatore che
discutono animatamente. Sento il padro-
ne che dice: «Se non ci fossi io, loro mo-
rirebbero di fame!». Non è vero! «Tu
li fai diventare bambini-spazzatura
– esclama padre Riccardo – e poi li
sfrutti». Il missionario allunga una
busta all’uomo. Capisco che fi nal-
mente si sono spezzate le catene
della mia schiavitù. «Andiamo a
casa, Ryan» mi dice padre Ric-
cardo mentre mi abbraccia com-
mosso. Anch’io lo stringo con
forza, con le mie mani fi nalmente
profumate di pulito. Sì, oggi per
me è un grande giorno.
Tra i poveri della città del
Bangladesh, dove il 52% della po-
polazione vive in uno stato di povertà as-
soluta, i bambini di strada sono il gruppo più a
rischio. Nelle loro condizioni di vita è dove maggiormente si
manifestano l’ingiustizia, la povertà e lo sfruttamento.
Tokai, così sono chiamati i bambini di strada bengalesi. Il nome
deriva dall’espressione in lingua bengalese “tokai kora” che signifi ca
“raccogliere cose dalla spazzatura e dai rottami”.
Essi sopravvivono ai margini della società affi dandosi solo a sé stessi.
Lavorano riciclando spazzatura, chiedendo l’elemosina, vendendo bigiot-
teria, lavando auto e corriere o qualsiasi altra attività che possa procurare
loro qualcosa da mangiare.
I tokai passano le notti o i tempi di riposo dormendo nei
paraggi delle stazioni dei treni, sotto i cavalcavia dei grandi incroci o sotto
le pensiline di negozi e uffi ci.
La maggior parte dei tokai sono bambini e bambine tra i 6 e i 14 anni,
raramente orfani ma quasi tutti abbandonati. Fin da piccoli sono co-
stretti a gestire la propria giovane vita nella più totale solitudine
emotiva e psicologica.
L’obiettivo principale del lavoro con i piccoli tokai è
quello di “ricostruire” in loro una vita il più possibi-
le “normale”, come quella di tutti i bambini del
mondo.
-ù
Parlane con ...PADOVA
p. Daniele: [email protected]
sr. Lorena: [email protected]
VENEGONO SUPERIORE (VA)
p. Enea: [email protected]
NAPOLI
sr. Betty - sr. Eleonora: [email protected]
p. Domenico: [email protected]
PESARO
p. Ottavio: [email protected]
ROMA
p. Jesùs: [email protected]
sr. Eugenia: [email protected]
PALERMO
sr. Tiziana - sr. Rosa: [email protected]
Danila: [email protected]
Dal 1995 nella periferia nord del-la città di Dacca funziona la Tokai
House, un rifugio per circa 120 bambi-ni e bambine, gestito dai missionari save-riani e dalla chiesa cattolica locale. Molti bambini di strada della zona considerano la Tokai House la loro “casa”, un ambien-te tranquillo e sereno dove poter studiare, alimentarsi, curarsi, trovare aiuto legale e un rifugio sicuro dove porre fi ne alla fuga che hanno intrapreso per scappare da ogni genere di violenza e abuso. E soprattutto lì trovano la libertà, come accade quando la comunità “paga” i debiti dei tokai e com-pra il loro riscatto.
Gli scopi di questo progetto di riabili-tazione e liberazione, fortemente voluto dal saveriano padre Riccardo Tobanelli, sono molteplici. Oltre a dare risposte im-mediate a bisogni concreti dei ragazzi di strada, si lavora affi nché la casa diventi uno “spazio di relazioni libere e non oppressi-ve”, di fi ducia reciproca e solidarietà, per prepararsi ad affrontare le sfi de della vita da adulti con responsabilità e impegno. Quegli stessi adulti che, una volta tanto, cercano di sanare le ferite che la violenza e l’abbandono hanno lasciato in questi pic-coli, “per farli sentire di nuovo voluti, amati ed accolti”.
36
VIVO NELLA REGIONE
DI SAN MARTIN, NELLA ZONA NORD
DEL PERÙ
CAPITAI QUI 31 ANNI FA,
PER LAVORARE
COME MISSIONARIO
Testi, Disegni e colori TANER
Ott 2010
E QUESTI
SONO I MIEI “PARROCCHIANI”
CANI?
MA CHI SONO, IN REALTà,
LE VERE BESTIE?
SCUSATEMI, DIMENTICAVO.
MI CHIAMO MARIO BARTOLINI, SONO
UN SACERDOTE PASSIONISTA ITALIANO,
DI ASCOLI PICENO
... E QUESTA, ADESSO,
È LA MIA GENTE
SONO I POPOLI
INDIGENI CHE VIVONO
AI PIEDI DELLE ANDE,
ALL’INIZIO DELLA
FORESTA AMAZZONICA.
QUELLI CHE QUI
TUTTI CHIAMANO CON
DISPREZZO “PERROS”,
CANI
38
ALL’INIZIO FU DIFFICILE,
POI MI AIUTARONO I BAMBINI
BEN PRESTO CAPII CHE AVEVANO MOLTA STIMA
NEI MIEI CONFRONTI. MI ASCOLTAVANO
E MI CONSIDERAVANO UN AMICO
SIGNORE,
MI HANNO PRESO PER UNO
SCIAMANO GUARITORE. AIUTAMI
A NON DELUDERLI
TU LOCONO!
LUI GUARITO...
TANTO CHE ALCUNE VOLTE
RIUSCIVO A SMORZARE I CONTRASTI
CHE SCOPPIAVANO TRA DI LORO PER QUESTIONI
LEGATE ALLA CACCIA
BASTA!
Ott 2010
IO RESTAI E NON MI PERSI
D’ANIMO. ANCHE SE LE
INCOMPRENSIONI E I
PREGIUDIZI SONO DURI
DA SCONFIGGERE. IN
TRENT’ANNI DI VITA PASSATI
CON LORO HO CERCATO
DI FARE IN MODO CHE GLI
INDIGENI E I CONTADINI
DELLA ZONA PRENDESSERO
COSCIENZA DELLA PROPRIA
DIGNITà
GLI INTERESSI ECONOMICI DEI LATIFONDISTI E DELLE
MULTINAZIONALI, IN CERCA DI PETROLIO, MINERALI,
LEGNAME E TERRA PER I PASCOLI, HANNO PORTATO
MORTE E DISTRUZIONE IN AMAZZONIA
NON SIETE “PERROS”
MA UOMINI, PERSONE... E COME TALI
DOVETE AGIRE
Sì, MA ANCHE TU
SEI UN UOMO DIVERSO DA NOI.
VATTENE!
VOI DOVETE DIFENDERE
LA VOSTRA TERRA!
40
LA MIA GENTE ASSISTEVA
AMMUTOLITA E IMPOTENTE
ALLA DEVASTAZIONE DEL PROPRIO
MONDO
NO, FERMATEVI!
NON USATE LA VIOLENZA! SE FATE COSì,
VI DISTRUGGERANNO!
GLI INDIOS, ABITUATI DA SECOLI A VIVERE
IN QUESTO PARADISO VERDE, PRESI DAL
TERRORE, SI PREPARAVANO A REAGIRE
Ott 2010
CHE DIO CI AIUTI
NELLA NOSTRA LOTTA CONTRO
IL POTENTE GRUPPO ROMERO, IL GIGANTE
DELL’AGROBUSINESS
VI ASSICURO CHE LA SFIDA
SARÀ DURA...
attenti a non farvi vedere
o sarÀ peggio per voi
PERCHÉ
DOVRETE DIMOSTRARE
DI ESSERE NEL GIUSTO
CAPITO!
AGLI ORDINI, SIGNORE!
MI ASCOLTARONO. CON MOLTI DI LORO DECISI
DI TRASFERIRMI NEL PAESINO DI BARRANQUITA.
FU QUI CHE PER LA PRIMA VOLTA RIUSCII
A METTERE INSIEME INDIOS E CONTADINI
A MOLTI CHILOMETRI DI
DISTANZA, INTANTO, IL POTERE
CERCAVA DI OSTACOLARE
L’AZIONE DEL MISSIONARIO
DUE BALORDI VENNERO PAGATI PER SCRIVERE FRASI
OFFENSIVE CONTRO PADRE MARIO SUI MURI DELLE
BARACCHE E DELLA CHIESETTA DI BARRANQUITA
“FUORI!”
ScriVETE...
“VATTENE!”
“MORTE AL PRETE!”
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MA I POVERI DI BARRANQUITA REAGIRONO CON
VIOLENZA A QUELLE MENZOGNE E UNA FITTA SASSAIOLA
FECE SCAPPARE I NEMICI DEL MISSIONARIO
GUIDACI TU,
PADRE MARIO.
NON ABBANDONARCI!
IO DENUNCIO UN PIANO
PER ISOLARE LA NOSTRA
COMUNITÀ E COSì IMPEDIRCI DI
MANTENERE I CONTATTI
CON L’ESTERNO
ECCO
ALTRE MINACCE DI MORTE
MA NON MI FERMERANNO
MA LA TENSIONE SOCIALE
AUMENTAVA DI GIORNO IN GIORNO
DOBBIAMO
STARE UNITI TRA DI NOI
E ANDARE AVANTI
CON CORAGGIO
SIAMO ALLA PAZZIA!
STAMPA E TELEVISIONE
MI CONSIDERANO UN CRIMINALE
E UN TERRORISTA
QUI È IL CAPO
DELLA POLIZIA. HA VISTO
CHE LA NOSTRA STRATEGIA
CONTRO IL PRETE STA
FUNZIONANDO?
CERTO,
BEL LAVORO.
OTTIMO!
IL MONDO DEVE SAPERE CHE
QUI IL PETROLIO HA INQUINATO OGNI COSA.
CHE LE FORESTE E GLI ANIMALI MUOIONO;
CHE I VOSTRI BAMBINI HANNO IL PIOMBO NEL
SANGUE E CHE A VOI È NEGATO IL DIRITTO
DI UN FAZZOLETTO DI TERRA
DA COLTIVARE
LA SETE DI DENARO HA CREATO IL DESERTO
DOVE UNA VOLTA C’ERA SOLO FORESTA
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ALLO STESSO TEMPO CHE LA POLIZIA
ANTISOMMOSSA ENTRAVA IN AZIONE,
AL GRUPPO ROMERO VENIVANO
ASSEGNATI ALTRI 30MILA ETTARI DI
FORESTA VERGINE DA SFRUTTARE
MANDATE ALTRE SQUADRE
SPECIALI. BISOGNA ESSERE
DURI CON QUEI BASTARDI
ECCO, SONO ARRIVATI ALTRI
POLIZIOTTI. È IL MOMENTO DI
STARE CALMI
BASTA UN NIENTE PER MANDARE A ROTOLI
TUTTO CIÒ PER CUI ABBIAMO LOTTATO FINORA.
DOBBIAMO MANIFESTARE PACIFICAMENTE, SENZA
NESSUN TIPO DI VIOLENZA
AVETE CAPITO? MA MENTRE IL MISSIONARIO INVITAVA
LA GENTE ALLA CALMA, LA POLIZIA
PRESE POSIZIONE E SI SCHIERÒ IN
FORMAZIONE DI BATTAGLIA
Ott 2010
NO, FERMI
NON SPARATE!
... E ALL’AIUTO
DI DIO
MORTI AMMAZZATI,
COME CANI. “PERROS”
DA VIVI E DA MORTI
ALLA FINE I MORTI FURONO 40.
P. MARIO È STATO ACCUSATO DI
TERRORISMO E ISTIGAZIONE
ALLA VIOLENZA. MA LA LOTTA
DEL POPOLO DI BARRANQUITA
HA OTTENUTO CHE IL GOVERNO
PERUVIANO FERMI, PER
ADESSO, LO SFRUTTAMENTO
DI UN’AREA DI 45 MILIONI
DI ETTARI DI FORESTA PER
CERCARE GAS E PETROLIO. IL
MISSIONARIO E LA SUA GENTE
HANNO VINTO GRAZIE AL
LORO CORAGGIO...
MA FU INUTILE...