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M . D . In questo numero Poste Italiane Spa - Sped. in abb. Postale - D.L. 353/2003 (conv. In 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano - Direttore responsabile: Dario Passoni - ISSN 1123 8631 MEDICINAE DOCTOR Anno XXIV, numero 7 - ottobre 2017 w w w Attraverso il presente QR-Code è possibile scaricare l'intera rivista. Giulia Marini MMG /MCA di Grosseto e componente dell’area strategica Formazione FNOMCeO Qui SiCura: uno slogan a difesa dell’incolumità dei medici di guardia Critica della Ragion CUP(a) FOCUS ON 6 Il nuovo Acn tra aspettative e realtà PROFESSIONE 12 La gestione del paziente aggressivo RASSEGNA 34
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M.D.In questo numero

Poste Italiane Spa - Sped. in abb. Postale - D.L. 353/2003 (conv. In 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano - Direttore responsabile: Dario Passoni - ISSN 1123 8631

M E D I C I N A E D O C T O R A n n o X X I V, n u m e r o 7 - o t t o b r e 2 0 1 7

wwwAttraverso il presente

QR-Code è possibile scaricare l'intera rivista.

Giulia MariniMMG/MCA di Grosseto e componente dell’area strategica Formazione FNOMCeO

Qui SiCura: uno slogan a difesa dell’incolumità dei medici di guardia

Critica della Ragion CUP(a)

f o c u s o n 6

Il nuovo Acn tra aspettative e realtà

p r o f e s s i o n e 1 2

La gestione del paziente aggressivo

r a s s e g n a 3 4

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M.D. Medicinae Doctor - Anno XXIV numero 7 - ottobre 2017 n 3

I n q u e s t o n u m e r o

M.D. Medicinae Doctor

Reg. Trib. di Milano n. 527 del 8/10/1994ROC n.4120

Direttore ResponsabileDario Passoni

Comitato di Consulenza di M.D.Massimo Bisconcin, Claudio Borghi,

Nicola Dilillo, Giovanni Filocamo, Massimo Galli, Mauro Marin, Carla Marzo, Giacomo Tritto

RedazionePatrizia Lattuada

Anna SgrittoLivia Tonti

Elisabetta Torretta

Grafica e impaginazioneRossana Magnelli

PubblicitàTeresa PremoliSara Simone

Passoni Editore s.r.l.Via Boscovich, 61 - 20124 Milano

Tel. 02.2022941 (r.a.)Fax 02.202294333

E-mail: [email protected]

Amministratore unicoDario Passoni

Costo di una copia: 0,25 s A norma dell’art. 74 lett. C del DPR 26/10/72

n° 633 e del DPR 28/12/72 il pagamento dell’IVA è compreso

nel prezzo di vendita

Stampa: Tiber SpA - Brescia

■ Prima pagina Qui SiCura: uno slogan a difesa dell’incolumità dei medici di guardia ...................................... 5■ Focus on Critica della Ragion CUP(a) ................................................................................................................................................................................................. 6■ Riflessioni La richiesta di cura e il tempo-lavoro nell’era digitale .............................................................................................. 10■ Professione Il nuovo Acn tra aspettative e realtà .............................................................................................................................................................. 12■ Indagini Vogliamo recuperare il nostro ruolo prescrittivo ................................................................................................................... 14■ Tribuna Denigrare il nostro lavoro è pretestuoso ................................................................................................................................................ 15■ Legislazione Abrogato il divieto alla guida per chi è affetto da malattie ematiche ......................................... 16

a t t u a l i t à

c l i n i c a e t e r a p i a

a g g i o r n a m e n t i

■ Endocrinologia Sorveglianza attiva per i microcarcinomi tiroidei ................................................................................................................ 22■ Geriatria Delirium nella persona anziana, conoscere per prevenire .............................................................................. 23■ Infettivologia Temperature miti in autunno e nuovi casi di chikungunya ............................................................................ 24■ Nefrologia Nuova terapia per il rene policistico autosomico dominante ..................................................................... 25■ Nutrizione clinica Microbiota intestinale e perdita di massa muscolare ................................................................................................ 26■ Prevenzione L’influenza che verrà: previsioni per la stagione 2017-18 ................................................................................. 28■ Psichiatria Schizofrenia: antipsicotico in somministrazione trimestrale ........................................................................ 29■ Reumatologia Artrite reumatoide, è possibile identificarla all’esordio ........................................................................................... 30

■ Rassegna La gestione del paziente aggressivo .............................................................................................................................................................. 34■ Terapia Personalizzare il trattamento dell’angina ............................................................................................................................................. 38■ Documenti Alcol ed epatopatie: gestione condivisa tra Mmg e specialista ............................................................ 40■ Ricerche Visite mediche:confronto italiani/stranieri ......................................................................................................................................... 42■ Counselling La compassione e la regolazione emozionale ........................................................................................................................... 44■ Osservatorio Prevenzione delle malattie non trasmissibili ................................................................................................................................. 46

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p r i m a p a g i n a

Qui SiCura: uno slogan a difesa dell’incolumità dei medici di guardia

“Vogliamo lavorare in sicurezza”. È questo l’appello lanciato alle istituzioni dalle donne medico che lavorano nei presidi di continuità assistenziale (ex guardia medica) subito dopo i fatti di violenza

verificatisi a Catania ai danni di una collega durante il turno di guardia. Dalle parole però le dottoresse sono passate ai fatti dando vita a proget-ti territoriali con cui tenere alta l’attenzione su un problema che oramai rappresenta una vera e propria emergenza: la sicurezza delle postazioni di guardia medica. Al riguardo rivolgiamo una particolare attenzione all’i-niziativa Qui SiCura #ContinuitàAssistenzialeGrosseto nata nel cuore della Maremma, che ha dato vita ad una un’associazione di donne medi-co della Continuità Assistenziale (CA).M.D. ne ha parlato con la referente, la dottoressa Giulia Marini Mmg/medico di continuità assistenziale di Grosseto e componente dell’area stra-tegica Formazione FNOMCeO. “Dopo l’episodio accaduto alla collega di Catania - ha spiegato Marini - in-sieme ad altre colleghe ci siamo ritrovate nei pressi della postazione di guardia medica di Grosseto dando vita ad un flash mob. Ognuna di noi esponeva cartelli recanti la scritta Qui SiCura con cui volevamo sottolineare che i presidi dove svolgiamo la nostra attività di medici sono preposti a curare le persone e devono essere sicuri”. Da qui è nata una vera e propria campagna per la messa in sicurezza dei presidi di continuità assistenziale che ha avuto echi nazionali, ottenendo l’attenzione dei media e il sostegno delle istituzioni locali. “Abbiamo creato anche un gruppo su Facebook - continua Marini - a cui si sono iscritte molti giovani colleghi/e. Il nostro impegno è quello di tenere alta l’attenzione, locale e nazionale, sulle difficoltà e sui problemi che incon-trano i medici donne, ma anche uomini, che operano nel servizio di CA. La guardia medica rappresenta il primo incarico per moltis-simi giovani medici neolaureati e non è giusto trovarsi ad aver paura di quel che ci può capitare, mentre cerchiamo di assistere e curare chi chiede il nostro intervento. Do-vremmo aver timore di poter sbagliare una diagnosi e non di subire un’aggressione. Tutto questo, oltre ad esporci a dei rischi, lede la nostra professione”.

wwwAttraverso il presente QR-Code

è possibile ascoltare con tablet/smartphone il commento di Giulia Marini

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6 ■ M.D. Medicinae Doctor - Anno XXIV numero 7 - ottobre 2017

U n fenomeno sta emergendo nella MG. Il moltiplicarsi di controlli a distanza, per via

telefonica e telematica, delle nostre prescrizioni. In particolare in questo articolo analizzeremo il ruolo impro-priamente predominante di impiegati di enti pubblici o privati che gestisco-no i Centri Prenotazione Unica (CUP), in simbiosi con il rafforzarsi della te-lematica sanitaria controllata dallo Stato e dalle Regioni. Gli impiegati del CUP appaiono sempre più come i sacerdoti ed interpreti della nuova bibbia: il catalogo o nomenclatore regionale di visite e prestazioni stru-mentali. Ma dall’epoca di Galileo abbiamo imparato a diffidare sia dell’Ipse dixit di certe autorità sia di certi interpreti delle loro scritture.

➤ Esempi di fioritura di codici e sub-codici

Un collega prescrive, come fa da anni, la solita ricetta ad un pa-ziente che deve controllare i plantari: “visita fisiatrica per plan-tari”. Ma da quando riferito suc-cessivamente dall’assistito la ri-cetta va corretta perché la dicitu-ra della richiesta non corrisponde alla nuova versione del nomen-clatore tariffario regionale. In situazioni simili dobbiamo de-dicarci ad una masochistica cac-

cia al tesoro: telefonare a qualche collega o alla Usl per scovare la nuova dizione (“valutazione pro-tesica”), scorrendo un catalogo sempre più pletorico e con il pa-ziente davanti e la fila fuori.

Un paziente mi riferisce che il CUP gli ha rifiutato la ricetta di visita ortopedica. La motivazione della prescrizione: dolori in paz con “Fratture Vertebrali e Coxartrosi” non è esaustiva serve un altro sotto-codice: non più ‘prima visita ortopedica’ codice 89.7b.7_2, ma ‘prima visita ortopedica chirurgia vertebrale’ codice 89.7b.7_2.4. Scorro la lunga lista di testo tra cui scopro quello ‘ordinato’ dall’impie-gato del CUP, che bontà sua ha deciso che l’unica voce che conta-va delle due motivazioni (Fratture e coxartrosi) fosse la prima.

Commento ai casi - In merito al caso dei plantari, sembra si preten-da dai medici che inviino a memoria le centinaia di corrispondenze tra vecchie e nuove dizioni. Sarebbe molto meglio che sia il sistema re-gionale ad allertarci in automatico: mentre il medico sta scrivendo la vecchia dizione un sistema telema-tico degno di questo nome dovreb-be avvisare della nuova dizione dell’ultima versione.

Inoltre, in merito alla suddetta visita ortopedica, sembra che ogni ver-sione del catalogo peggiori una tendenza: sparizione delle voci ge-neriche e trasformazione di ogni precedente unica voce in diversi sub-codici. La classica visita orto-pedica richiesta dal Mmg si sdop-pia in svariate sottospecie. È proba-bile che ciò vada incontro allo svi-luppo delle subspecializzazioni nei grandi ospedali e al conseguente desiderio che ogni sub-reparto e diversi primari hanno di “contare” le proprie prestazioni. Insomma al Mmg arriva attraverso i rifiuti di una mera struttura ammini-strativa (il CUP) un ordine ben preci-so: “Sii tu il tramite del trionfo del suc-codice e della subspecializzazio-ne”. Si tratta di un comando per certi versi sucida, per la nostra pro-fessione, che ha una tradizione di opposizione agli eccessi della spe-cializzazione. Tra l’altro avanza in va-rie Regioni un’ulteriore richiesta: che le richieste non siano fornite di “semplice” sospetto diagnostico, ma di codice ICD. Tutto ciò è la pre-messa verso un grave errore noto ai metodologi (F. Del Zotti, Metodi di Medicina Generale, Levante editori 1993): la chiusura precoce di un pro-blema dentro la bara del codice. Se vediamo urine rosse non possiamo scrivere “urine rosse” (magari da

Un Grande Fratello aleggia sulle prescrizioni dei medici di famiglia il cui potere viene esercitato attraverso gli impiegati di enti pubblici o privati che gestiscono

i Centri di Prenotazione Unica (CUP), in simbiosi con il rafforzarsi della telematica sanitaria controllata dallo Stato e dalle Regioni

Francesco Del Zotti - Medicina Generale Verona - Direttore di Netaudit (www.netaudit.org)

Critica della Ragion CUP(a)

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sospetta assunzione di cibi o farma-ci con coloranti) ma dovremmo scri-vere subito “Ematuria”, con relativo codice ICD. Questa è una prova lampante che l’incremento di obbli-ghi amministrativi centralizzati sul come compilare la ricetta rischia non solo di produrre un Mmg sempre più subordinato pur essendo non di-pendente, ma anche di condurre a clamorosi errori diagnostici e meto-dologici. E tutto ciò è mediato da strutture amministrative il cui ruolo è sempre più ipertrofico. ➤ CUP e Codici di priorità

L’apposizione di una priorità tempo-rale (ad esempio per le prime visite: “entro 1 mese”; “entro 3 o 6 mesi”; per i controlli: “entro x mesi”) serve a dare indicazione di urgenza clinica a cui riferirsi quale criterio principale affinché a valle si creino liste di atte-sa più o meno lunghe. Ebbene, più volte quando il Mmg, per pazienti cronici, indica ad esempio controllo entro 6 mesi il paziente torna indie-tro riferendoci che siccome non vi è posto gli impiegati del CUP consi-gliano di scrivere “prima visita e prio-rità entro 1 mese”. Si rischia così l’induzione di un falso in atto pubbli-co creando una situazione kafkiana: il tempo lungo “entro 6 mesi” non ha posti, mentre lo avrebbe quello della priorità “entro 1 mese”. Evi-dentemente esistono a monte di-sfunzioni amministrative sia nella gestione della presa in carico dei re-parti sia nella gestione delle loro agende o tra diversi ospedali o strut-ture specialistiche distrettuali. E l’im-piegato, in caso di difficoltà, cerca di risolvere la questione all’italiana rin-viando il paziente dal Mmg, il quale poi si dovrebbe far carico di essere flessibile rispetto ai difetti organizza-tivi di reparti e direzioni sanitarie. Ovviamente sotto la pressione del

povero paziente (pallina di ping-pong) a volte il medico di famiglia potrebbe eseguire l’ordine dell’am-ministrativo, andando incontro ad ulteriori paradossi, controlli e censu-re del tipo “con quel sospetto dia-gnostico sei inappropriato.. non avre-sti dovuto scrivere quella priorità più breve; così si toglie il posto prioritario a pazienti che ne hanno più biso-gno”. La rigidità dei regolamenti e la loro applicazione “impersonale” espone i medici a ulteriori rischi. In situazioni molto difficili, in cui il fatto-re tempo è dirimente, l’unico modo che abbiamo per dialogare ed entra-re in contatto con i colleghi opedalie-ri è quello di inviare i pazienti attra-verso richieste “urgenti” di visite o di esami oppure tramite il Pronto Soccorso. Nelle statistiche di so-vrautilizzo dei PS o di inappropriatez-za prescrittiva questi fattori dovreb-bero essere messi in conto.

¼¼ Censori di prescrizioni e detective

Un paziente va al CUP con una mia ricetta di Ecocolordoppler car-diaca, tra l’altro su suggerimento di un cardiologo. Ebbene, l’impie-gata reinvia indietro il paziente con l’ordine al Mmg: scrivere “eco cardiaca” e non ecocolorcardio-gramma. L’inflessibilità dell’impie-gata è andata avanti nonostante che: a) il paziente le spiegava che era disposto anche a pagare per intero l’esame; b) i Mmg hanno imparato a prescrivere l’ecocolor-doppler, visto che i cardiologi ora-mai preferiscono di gran lunga l’e-cocolordoppler card alla semplice eco cardia. Insomma l’impiegata si è imposta sul diritto di spesa del paziente; si è imposta sulla libertà e conoscenze professionali dei Mmg e dei cardiologi.

Prima dell’avvento della telematica sanitaria quando il paziente riceveva dal suo medico una prescrizione di test o di vista specialistica si recava in strutture fisiche distrettuali con la ricetta rossa cartacea, ove incontra-va un impiegato in carne ed ossa che interpretava in qualche modo sia il volere del medico sia la normativa. Oggi sia che vada in un ufficio fisico sia che telefoni o si colleghi ad un sito web della Uls il paziente deve sottoporre se stesso e la ricetta ad un rigido fuoco di fila.In maniera molto rapida e brusca si chiede al paziente: a) di dare il consenso alla succes-siva spoliazione di delicate infor-mazioni personali, pena il blocco della procedura di richiesta;b) di fornire nome, cognome, codi-ce fiscale, numero progressivo della ricetta, esenzioni; motivo diagnosti-co e Classe o tempi di priorità (obbli-gatori per il Mmg). E tutto ciò espli-cita, a comuni impiegati, le malattie del singolo paziente nominativo;c) a questo punto l’impiegato eser-cita un potere di discrete dimensio-ni: decide di valutare - dotato di una serie numerosa di regole che dall’al-to gli hanno fornito - la congruità dei vari campi tra di loro;d) tra l’altro spesso l’impiegato blocca il paziente perché nell’obbli-gatorio campo ‘motivazione’ vi sono parole “vietate”. Una di queste è ad esempio la parola “prevenzione”, che risulta interdetta anche quando i test sono strettamente preventivi (ad es il Pap test).Questa molteplicità di variabili da controllare nella ricetta può favorire una presunta “irregolarità” della ricet-ta stessa e il rinvio del paziente-palli-na-di-ping pong al Mmg. Ciò tra l’altro peggiora il rapporto tra Mmg-pazien-te: “dottore, ha sbagliato la ricetta”: è il triste ritornello che sempre più si

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ascolta negli ambulatori medici.Insomma si stabilisce un blocco di potere oggettivo nella combinazione Catalogo Regionale-Dirigenti ed Im-piegati del CUP. E si badi bene: sebbe-ne gli impiegati del CUP non sono dei veri e accreditati operatori socio-sani-tari, poi oggettivamente svolgono un ruolo spropositato, rischiando di entra-re a gamba tesa nella relazione medi-co-paziente e nel controllare-concen-trare informazioni sensibili sanitarie. Essi posseggono così un potere di traduzione delle volontà di controllo sui medici da parte dei governanti e di in-terdizione, senza concrete limitazioni. In genere sembra che l’impiegato ven-ga controllato più per l’intensità di adeguamento ai desiderata di gover-nanti e non per il numero dei comodi “no” ai pazienti. Qualcuno controlla il numero dei no ai pazienti e quindi ai Mmg che ogni impiegato stabilisce? Il numero di pazienti-ping pong creati da quei loro “no”? Non credo: nel dubbio questi impiegati negano la prestazione e non hanno supervisori clinici (ad esempio infermieri professionali con ruolo simile a quello degli infermieri dei Ps dedicati a stabilire i codici-colore). Ci rendiamo conto che aumenta un sistema di sorveglianza e controllo capillare su medici e pazienti e di di-sguidi causati dai numerosi no dell’im-piegato a questa o quell’altra prescri-zione. Non si tratta solo di una devia-zione abnorme di una nuova burocra-zia (la tele-burocrazia). Domina ormai l’apoteosi dei codici esatti e quindi del controllo e comando. Si impone la lunghezza e il dettaglio dei regolamen-ti fatti “rispettare” dai CUP in merito ad esenzioni, classi di priorità, quesito diagnostico. Tutto ciò sembra rispec-chiare la tendenza sempre più esplici-ta dei poteri costituiti nel sorvegliare in maniera quasi totalitaria le caratteristi-che ed i comportamenti dei medici e dei pazienti. Ma a che pro?

¼¼ Le ventilate ragioni di manager, tecnologi e politici

Lo Stato, le Regioni e le Uls in questi anni hanno investito in tecnologia dei server, dei software di controllo delle prescrizioni e dei “Big Data” e in sti-pendi per manager, ingegneri, infor-matici . E vogliono che ci sia un ritor-no, anche per giustificare la loro per-sistenza: un “efficiente” sistema matematico ed informatico che pro-duca la moltiplicazione dei controlli e la riduzione delle spese. Ma qui, mi permettano questi decisori potenti, di richiamare l’allarme di una matemati-ca pentita americana Cathy o ‘Neal che prima della crisi dei subprime del 2008 era consulente di aziende finan-ziarie che in recente opera (Armi di distruzione matematica, Giunti-Bom-piani, 2017) ha scritto: “la matemati-ca sposata alla tecnologia riusciva a moltiplicare il caos e le sventura, ali-mentando o rendendo più efficienti sistemi che erano malati”. Insomma siamo sicuri che uno svi-luppo incontrollato di software sfor-na-codici e di Commissioni regionali sforna-regole e di Server che ’analiz-zano’ le deviazioni rispetto ‘all’idea-le’ non produca, oltre a spese ingen-ti, un rischioso e abnorme allontana-mento dalla mission principale dei medici e del sistema sanitario de-gno di questo nome?Inoltre, se davvero si volessero con-trollare in maniera efficace le dizioni e i codici “esatti” (??) delle prescrizioni di esami e visite, si dovrebbe avere un sistema telematico regionale che nello stesso momento in cui il Mmg sta prescrivendo gli suggerisca l’alter-nativa valida e corretta. A fronte di questa chiara insufficienza dei sof-tware usati in diverse Regioni italiane si ha poi la pretesa di controllare “gli errori” dei Mmg con nuove aziende informatiche e medici delle direzioni

sanitarie che analizzano “la percen-tuale di errori” di tutti i medici pratici.Un altro obiettivo di manager e poli-tici che si evince da questa combi-nazione di Catalogo-Moltiplicarsi di regole sulla prescrizione-Telematica regionale è quello di voler imporre ai Mmg il moltiplicarsi di regole e ruoli amministrativi.A questo proposito cito un recente passaggio del Presidente dell’OMCeO di Verona, dottor Roberto Mora: “Le Regioni hanno trasferito sui medici quello che prima facevano gli ammi-nistrativi. Imputare alla prestazione richiesta un codice piuttosto che un altro ha il significato di imputare alla prestazione richiesta un costo piutto-sto che un altro. Una volta, quando si scriveva con la penna, l’amministrati-vo trasformava la nostra richiesta in codici e costi. Con l’avvento dell’in-formatica e del Tariffario Regionale a caricare la prestazione ed il relativo costo siamo noi.E a fronte di queste novità agli ammi-nistrativi del CUP hanno trasferito compiti clinici. Leggono i nostri ‘So-spetti Diagnostici’, respingono le ri-chieste che non li contengono (...) e perfino sottoscrivono che quel so-spetto diagnostico non è appropriato. Un amministrativo non ha le compe-tenze per entrare nel merito dei so-spetti diagnostici. Deve prenotare e basta! Sarà eventualmente un altro medico (in qs caso il Direttore Sanita-rio dell’Asl o dell’Azienda) che potrà entrare nel merito ed eventualmente contestare la validità del quesito dia-gnostico. Il Direttore Sanitario è re-sponsabile di quello che fanno gli amministrativi se si assumono compi-ti clinici. Se questo avviene il Direttore Sanitario può essere incolpato di omessa vigilanza e di ‘prestanomi-smo’. Sono anche reati deontologici per i quali si risponde all’Ordine.Tra i compiti del Direttore sanitario vi è

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anche quello di vigilare che chi com-pie certi atti sia in possesso dei titoli per poterli compiere. L’amministrativo non è un medico. E non può entrare nel merito dei quesiti diagnostici!”.Ma a questo punto ci chiediamo, i politici pensano che tutto cio sia senza costi sanitari e sociali?

¼¼ Che fare?

Ma come è potuto succedere tutto ciò? Come gli ordini professionali e i sindacati hanno potuto subire o accet-tare tutto questo? Ritengo che i nostri dirigenti sindacali e ordinistici negli anni scorsi hanno un’attenuante: l’og-gettività dello sviluppo tecnologico informatico galoppante in tutto il mon-do ci ha spiazzato; tra l’altro nei primi tempi vi era difficoltà “psicologica” ad opporsi per non apparire “luddisti”. Non avevamo le competenze per ca-pirne la portata e gli interstizi e non abbiamo visto che chi ci presentava l’urgenza di accettare subito tutto ciò in realtà utilizzava la tecnica del Caval-lo di Troia. Nel pacco dono dei gadget tecnologici e soprattutto telematici si nascondeva un obiettivo per certi versi feroce: l’aumento di potere di manager, tecnocrati e politici ed il controllo sistematico della professio-ne e dei pazienti; insomma: lo snatu-ramento della professione. Bisogna ormai acquisire la consape-volezza che quando abbiamo accet-tato la dematerializzata, il catalogo nomenclatore tariffario, il CUP non abbiamo solo accettato il passaggio alla gestione telefonica ed elettroni-ca, ma anche una pericolosa centra-lizzazione burocratica-telematica-politica della professione.In particolare è assai discutibile il po-tenziamento dei Cup. Si tratta di strut-ture impiegatizie, senza specifica for-mazione e responsabilità sanitarie, che si interpongono tra medici e pa-

zienti; che indagano dati sanitari sensi-bili per eccellenza (il sospetto diagno-stico) e che creano grosse disfunzioni ergonomiche ai pazienti ed ai medici. Non si capisce il senso di aver da una parte sistemi telematici regionali e dall’altra una struttura umana pre-in-formatica ricca di tanti piccoli Ghino di Tacco delle prestazioni. I sistemi tele-matici regionali (Sis, Sole, Doge, ecc.) in caso di problemi della ricetta po-trebbero dialogare in tempo reale con i Mmg e cosi evitare assurdi ping pong ai pazienti. Ritengo che almeno il 70% delle prestazioni si possa gesti-re con questo dialogo in tempo reale tra medici, con le loro segreterie inter-ne (da potenziare) e con un sistema telematico regionale realmente avan-zato; il restante 30% dei casi dubbi dovrebbe poi essere gestito da impie-gati sotto la tutela di infermieri profes-sionali o medici dedicati allo scopo.Inoltre, la telematica sanitaria centraliz-zata sembra dare sempre più pretesti al potere costituito per giudicare i me-dici pesantemente dal piedistallo, in base a numeri astratti. Ad esempio ora i politici, dai tecnici regionali e delle aziende private di “controllo”, hanno dati in tempo reale delle ore e i minuti in cui noi siamo in contatto con loro per produrre dematerializzate. E da qui derivano i sermoni sui Mmg che lavo-rano poche ore, sermoni basati sulla sempre maggiore equivalenza del no-stro lavoro con quello dei terminalisti. A loro sembra non interessare se inve-stiamo ore - non censite, perché con collegamento spento - in ambulatorio, a domicilio o al distretto o nei team per visitare, studiare e creare audit intorno ai problemi delle persone. A costoro serve comunque un bastone e quelle aziende e quei tecno-buro-sauri pos-sono darlo. Ma questa logica rischia di produrre ulteriore distanza e sfiducia dei medici e dei cittadini nei confronti dei governanti e della politica.

¼¼ Il kafkiano labirinto telematico

Stiamo subendo tanti tecno-spec-chietti per allodole che non ci hanno fatto intravedere l’aumento di potere sulla nostra testa. Non solo, non ab-biamo così visto le debolezze tecno-logiche, informatiche, giuridiche delle loro operazioni e nemmeno il kafkia-no labirinto telematico, spesso ineffi-ciente, in cui ci hanno precipitato; nonche le ridondanze e aumento di costo di una informatica e telematica e ceto amministrativo e dirigenziale molto meno efficienti e moderni di quanto abbiamo ritenuto.Ma ormai, dopo i primi anni di “ubria-catura telematica”, alcuni nodi vengo-no al pettine. Ora gli Ordini, i sindacati e tutti noi medici non abbiamo più ali-bi. Con l’aiuto di valenti ingegneri , in-formatici, giuristi indipendenti dobbia-mo esigere una vera, efficiente, ergo-nomica rivoluzione informatica e non l’accettazione del controllo telemati-co, basato su regole e investimenti discutibili. Con i tecnici di nostra fidu-cia dobbiamo analizzare in maniera moderna e nel dettaglio: le tante im-posizioni telematiche ed informatiche zoppicanti ed i modi per un reale po-tenziamento dell’informatica medica; i tanti regolamenti al confine dell’illeci-to. Dobbiamo infine comunicare le nostre rivendicazioni ai pazienti. Con loro dobbiamo prendere una decisio-ne: nella Rete dobbiamo combattere per avere il ruolo di pescatori, piutto-sto che subire quello di pesci-esca catturati a strascico.

wwwAttraverso il presente QR-Code

è possibile ascoltare con tablet/smartphone il commento di Francesco Del Zotti

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L a società ed i parametri che la regolano sono in continua evoluzione e, di pari passo, i

concetti di salute e benessere, subi-scono continue trasformazioni; di conseguenza anche la percezione che il cittadino ha della sanità è in continuo mutamento. In tale conte-sto una particolare attenzione va posta al modo di comunicare tra medico e paziente che non riesce a stare al passo con la velocità impres-sa dalle nuove tecnologie.In questi anni molti disegni ministe-riali sono stati proposti per fronteg-giare i repentini cambiamenti verifi-catisi anche nella domanda di salute attraverso una serie di modelli che però sono morti prima di nascere. Pensiamo al cosiddetto h24, model-lo che immaginava che il cittadino potesse trovare l’ambulatorio del proprio medico aperto per tutto l’ar-co della giornata. Qualcuno si è poi inventato anche una serie di ibridi (vedi h16) che sembravano più il te-stamento del Ssn piuttosto che un progetto. Alla fine della fiera il vec-

chio e semplice h12 pare ancora oggi il modello più semplice e ge-stibile per assicurare la continuità dell’assistenza attraverso l’alternan-za delle ore coperte rispettivamente da medici di medicina generale (Mmg) e dai colleghi di continuità assistenziale (MCA).

¼¼ L’evoluzione della medicina generale

A questo punto è da considerare se e quanto l’evoluzione della medicina territoriale stia distruggendo quel pe-culiare rapporto, basato sulla fiducia esistente tra il medico ed il “suo” paziente oppure, se vogliamo inverti-re i termini, tra il cittadino ed il “suo” medico. Il paziente cerca nel medico di famiglia (sempre che questa esista ancora) il conforto, il consiglio neces-sario, fino ad affidarsi completamen-te ad esso negli stati estremi di ma-lattia: purtroppo questo rapporto al-tamente peculiare non si potrà mai esaurire nel “medico di turno”, sia esso generalista, di guardia medica

od ospedaliero, tanto che anche in ospedale il cittadino tenta sempre di ri-accedere a quei medici che lo han-no già trattato. L’offerta prestazionale del Mmg si dovrebbe basare più sulla qualità delle risposte piuttosto che sulla quantità che può mettere a disposizione che va rapportata ad un’offerta sanitaria sempre più de-magogica: qualità e tempo dedicato sono purtroppo parametri tendenzial-mente incongruenti. In tale contesto bisogna tenere conto del fatto che il paziente preferisce accedere ad am-bulatori poco affollati con tempi d’at-tesa minimali, ma dove il medico gli possa dedicare quel tempo necessa-rio a rassicurarlo o a risolvere la pato-logia individuando i percorsi diagno-stici e terapeutici per farlo. Per una vera assistenza territoriale però oc-corrono dei presidi medici capillari e quindi una significativa presenza ter-ritoriale di medici, nonché di infer-mieri altamente specializzati, per non parlare di tutto il supporto sociale ri-chiesto da una buona fetta di popola-zione stressata da disagi psico-socia-

La domanda di salute cresce, si diversifica ma, soprattutto, si “velocizza” grazie alle nuove tecnologie digitali. Il sistema sanitario però arranca, non riesce a tenere il passo.

Questa antinomia si palesa chiaramente nel nuovo modo di comunicare tra medico e paziente, mediato da mail, Sms e WathsApp. Non è facile per i medici, soprattutto per i Mmg,

adeguarsi alla nuove potenzialità comunicative, soprattutto alla velocità impressa dalle nuove tecnologie e così accade che ad un’alta velocità di richiesta di informazioni

e presidi da parte dei pazienti segua una risposta asincrona, lenta e ritardata.

Alessandro ChiariSegretario Regionale Emilia Romagna Sindacato Medici Italiani

La richiesta di cura e il tempo-lavoro nell’era digitale

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li e dall’invecchiamento. Ci vogliono risorse, ci vogliono più medici, sul territorio come in ospedale, ci vuole più forza lavorativa, il medico non deve fare il manager, deve fare il cli-nico, deve riacquistare la patrimonia-lità clinica, il resto è cinema: indaga-re, visitare, diagnosticare, impostare la terapia, in sintesi, il medico deve curare, questo è il suo compito. Di medici “manager” di se stessi che vengono orientati a risparmiare sui farmaci e sugli esami il cittadino non sa che farsene. Il paziente, quando pensa che sia in gioco il proprio be-nessere, esige risposte esaurienti e non riesce a metabolizzare l’appro-priatezza e la gestione delle risorse che responsabilizzano il medico, per-cependolo più come un giudice che assegna o nega assistenza piuttosto che un clinico impegnato a curare, amministrando risorse che diventa-no, purtroppo, sempre più scarse.

¼¼ La comunicazione

Il Ssn è rimasto indietro rispetto sia allo sviluppo dell’informazione sia nell’adeguarsi ai nuovi strumenti e canali comunicativi. Dai telefonini e da internet, che pure non sono stru-menti vecchi più di una ventina di anni, tutto ciò che girava intorno a queste fondamenta comunicative ha subito un’accelerazione paurosa. Ba-sta ricordare il vecchio dibattito degli anni 90 sull’uso terapeutico del con-siglio telefonico e rapportalo alla nuova comunicazione veicolata dai social piuttosto che dalla semplice mail o Sms oppure da WathsApp per avere la sensazione di riferirci quasi ad una preistoria della comunicazio-ne, ma di fatto sono trascorsi sola-mente 20 anni. Fermo restando che il dato sanitario è un dato sensibile e quindi va am-ministrato come tale attraverso si-

stemi chiusi e protetti dalle intrusioni di operatori non abilitati, va detto che comunque il Mmg fa fatica ad adeguarsi alla nuove potenzialità co-municative che invece spesso ven-gono utilizzate proprio dal paziente: e così si passa da una alta velocità di richiesta di informazioni e presidi da parte del paziente ad una risposta asincrona, lenta e ritardata, del me-dico di famiglia che comunque è vi-ziata dal fatto che il medico è solo e che le molteplici richieste del pazien-te si accumulano grazie proprio alla asincronia intrinseca nel sistema co-municativo. In questo caso anche una segretaria non riesce ad essere d’aiuto perché la richiesta è coperta da segreto professionale.

¼¼ Diverse velocità

Il problema nasce quindi dalle di-verse velocità dello strumento asincrono, o meglio dal ritardo con cui il medico rileva il messaggio in entrata e dai tempi di risposta, in uscita, all’azione richiesta dal pa-ziente, sia essa una visita od una prescrizione od un semplice consi-glio. Dobbiamo anche considerare che il lavoro medico è doverosa-mente caratterizzato da momenti clinico-diagnostici che non danno respiro, impegnandoci in una serie di prestazioni sanitarie che a volte non permettono neppure di guar-dare il telefonino o la mail sul com-puter o consultare lo smartphone. Da una parte una richiesta quindi che avrebbe l’esigenza di una ri-sposta immediata e dall’altro un fi-siologico, professionale, delay.

¼¼ FSE e cartelle in modalità web-application

Esistono però strumenti che posso-no aiutarci a risolvere il problema.

Nella mia pratica giornaliera di Mmg utilizzo moltissimo il Fascicolo Sanita-rio Elettronico e cerco continuamen-te di incentivarne l’uso. Il FSE mi permette di rispondere in maniera sia asincrona che immediata, alla richie-sta prestazionale del paziente: in po-che parole rilevata la richiesta (e questo può avvenire anche per tele-fono con risposta immediata), spedi-sco la prescrizione sul FSE ed il pa-ziente può stamparsi la ricetta come, quando e dove vuole e recarsi in far-macia od al Cup risolvendo il proble-ma senza recarsi in ambulatorio. La cartella in modalità web-application, come nel caso della Cartella Sole (acronimo di sanità on line) in Emilia Romagna che sto utilizzando in am-bulatorio da giugno 2016 e di cui so-no stato uno sviluppatore/utilizzatore nonché tuttora membro del gruppo di monitoraggio regionale, permette di lavorare addirittura in remoto trami-te altro computer, tablet o telefonino dandomi la possibilità della lettura dei referti e dell’invio di prescrizioni sul FSE, od anche di pre-caricare le stes-se prescrizioni sul computer dell’am-bulatorio che posso poi stampare quando voglio. Tutto questo mi con-sente di razionalizzare i tempi, gestire anche da remoto l’ambulatorio, pre-scrizioni ed appuntamenti con la con-seguenza di avere un ambulatorio meno affollato e di poter amministra-re molto meglio il mio tempo libero.Certo che per poter gestire queste modalità comunicative ed operative è utile, se non necessario, appron-tare una Carta dei servizi che espli-citi come ricevere le richieste ed erogare le prestazioni o che meglio forse si potrebbe definire come una piccola brochure che raccolga le istruzioni per l’uso dell’ambulatorio che il medico può configurare se-condo le proprie esigenze e capaci-tà organizzative.

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◗Le nuove sfide della prevenzio-ne, la crescente domanda di

salute espressa dalle cronicità e l’urgenza del ricambio generazio-nale sono argomenti fondamenta-li della nuova contrattazione per il rinnovo della convenzione. È quanto è stato sottolineato e riba-dito nel 74° Congresso nazionale Fimmg-Metis, svoltosi di recente a Cagliari presso il Complesso Chia Laguna - Domus de Maria. “Dobbiamo avere la consapevolez-za che siamo di fronte ad una sfida importante”. Ha dichiarato a M.D. il Vice Segretario nazionale Fimmg Pierluigi Bartoletti “Si tratta di una sfida di sistema che vede sem-pre più il Mmg impegnato non solo sul fronte delle cronicità, ma anche su quello della prevenzione prima-ria e secondaria e dell’intercettazio-ne di tutte quelle domande di salu-te che non possono più afferire né all’ospedale, né al Pronto soccor-so”. “Dopo essere riusciti come categoria a individuare collegial-mente i problemi e le priorità della contrattazione - evidenzia Bartolet-ti - l’impresa più difficile sarà con-dividerli con quelli che ci prospetta

la Sisac”. “L’incognita che incom-be - continua - è capire come la Si-sac riuscirà a dare una visione pro-spettica alla contrattualistica odier-na, tenendo ben presente che le nozze con i fichi secchi non si fan-no da nessuna parte”. Secondo Bartoletti ad essere ottimistici e considerando tutti i passaggi legati alla trattativa “il contratto potrebbe ‘vedere la luce’ a metà del 2018 e dovrà fare i conti con la nota di ag-giornamento del Def che riduce nel 2020 i fondi destinati alla sanità al 6,3% del Pil”.“Dobbiamo considerare - spiega - che in Europa l’Italia è l’unica che, malgrado la crisi economica, ha mantenuto un Ssn basato su di un sistema solidaristico e universale a cui hanno rinunciato molti Paesi europei. Ora però siamo in un con-testo europeo post recessione che va contemplato anche nei rinnovi contrattuali. Questa deve essere una ‘convenzione di ricrescita’. È chiaro che ciò dipende da quanto si vuole investire su innovazione e prospettive future”.“Finora - spiega Bartoletti - in ma-niera artificiosa, abbiamo conside-

rato il nostro sistema sanitario divi-so in due grossi blocchi: ospedale e territorio, ma è un dualismo arti-ficiale perché il cittadino nel suo percorso di vita usufruisce sia dell’assistenza di primo sia di quel-la di secondo livello. Questo è un sistema, ripeto, che dovrà rivedere la sua prospettiva e dovrà farlo te-nendo sempre più conto del citta-dino/assisto che per definizione utilizza sia i servizi territoriali sia quelli ospedalieri a seconda delle necessità di salute. Negli ultimi 25 anni si sono continuate a seguire logiche parziali per lo più ospedalo-centriche. Ma il Ssn, per poter de-finirsi tale e al passo con la doman-da di salute va considerato nella sua interezza. In questo nuovo quadro prospettico il Mmg non può essere marginale, ma parte integrante. Ad oggi non è così, si continua a lavorare a comparti-menti stagni”. Non è un caso, quindi, che nella mozione conclusiva del 74° Con-gresso Fimmg sottolinei che il bi-nomio assistenza-convenzione sia inscindibile nel perseguire gli inte-ressi di salute della popolazione. “La latenza ormai ingiustificabile con cui l’Acn ha seguito questa evoluzione - si legge nella mozio-ne conclusiva - è alla base di di-screpanze che non possono più

Il nuovo Acn tra aspettative e realtà

Fimmg: dalla prestazione alla performance la sfida della contrattazione

L’obiettivo è vicino, la sigla della nuova Con-venzione potrebbe ‘vedere la luce’ a metà del 2018. Il condizionale è d’obbligo, ma la previ-sione è confermata dalle varie dichiarazioni suc-cedutesi nel 74° Congresso nazionale Fimmg.

L’Acn e il suo rinnovo sono stati infatti i prota-gonisti delle due assisi sindacali, svoltesi quasi contemporaneamente nel mese di ottobre, una a Cagliari, quella della Fimmg e l’altra, quella dello Snami, a Riva del Garda.

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essere affrontate con la sola buo-na volontà della categoria. La ne-cessità del rinnovo dell’Acn è un patto dovuto che i decisori pubbli-ci devono sottoscrivere con la po-polazione più che con i medici. Un patto su cui il progressivo definan-ziamento del Fsn, lungi dal rappre-sentare una ragione di benessere della nostra finanza pubblica, è uno ostacolo che può essere af-

frontato considerando il mondo della medicina territoriale come non soltanto fornitore di salute, ma anche sede di formazione per i giovani e di posti di lavoro non solo connessi all’espletamento dell’attività puramente medica. In questa logica Fimmg rivendica co-me sarebbe una indicazione di buona amministrazione e pro-grammazione che altri settori del-

la finanza pubblica venissero ad integrazione e a supporto”.

Snami: tutelare il rapporto fiduciario e l’autonomia professionale

◗Salvaguardare il rapporto fiducia-rio e l’autonomia professionale: è

questo il messaggio forte e chiaro lanciato dallo Snami nel XXXVI Congresso nazionale: “LA SANITÀ 2.1-Medicina rurale e metropolita-na, due realtà parallele: opportunità e confini”, svoltosi di recente a Riva del Garda. Per il Presidente naziona-le Angelo Testa si tratta di elemen-ti fondanti della MG a cui non si può rinunciare e che devono rappresen-tare il faro guida del rinnovo con-venzionale e anche degli accordi regionali. “Non devono mai venir meno - ha dichiarato - e devono essere consolidati nel nuovo Acn i valori fondanti della Medicina Gene-rale: il rapporto fiduciario con il pa-ziente che ci ha liberamente scelto e la nostra autonomia professiona-le. Solo se alla base ci sono questi principi potranno essere poste in essere le cure territoriali della fra-gilità, della cronicità, della domicilia-rità e di tutte quelle patologie di lunga durata che interessano ormai oltre il 40% dei cittadini italiani”. “L’autonomia professionale - ha sottolineato Testa - la si mantiene

e rafforza con l’adeguamento del-le competenze economiche stan-ziate nell’ultima legge finanziaria anche come conseguenza della sentenza della Corte Costituziona-le n.178/2015 che ha definitiva-mente sbloccato il rinnovo con-trattuale, oltre che normativo an-che economico”. E per quanto concerne il rinnovo dell’Acn ha precisato: “È giunto forse il momento di chiudere un accordo che dovrà tener conto del-la progressiva diminuzione dei me-dici e del fatto che tale riduzione non è uguale in tutte le Regioni. Si aumenti subito il numero del-le borse di studio per il corso di formazione generale. In man-canza di questo si preveda, alme-no, la possibilità per chi lavora in modo precario nella Medicina Generale da un congruo periodo temporale, di accedere al corso senza borsa; eventualmente anche prolungandone la durata riducen-done la frequenza giornaliera in modo da permettere agli stessi di lavorare per il loro sostentamen-to e del sistema che in molte parti

di Italia non trova più medici per le sostituzioni o per i turni di con-tinuità assistenziale. Non disper-diamo una ricchezza data da preca-ri che lavorano e sostengono il settore con la loro professionalità”.“Dobbiamo realizzare un ruolo unico che permetta il sosteni-mento del sistema - ha precisato - e che non lasci dubbi tali da inne-scare tensioni all’interno della ca-tegoria. Siamo disponibili a ragio-nare su un pagamento per obietti-vi, ma solo se negoziati e condivi-si con le organizzazioni sindacali. Altrimenti si tratterà di un taglio economico. E non lo accettere-mo. Il recupero dell’indennità per la vacatio contrattuale non deve e non può essere l’investimento per nuovi compiti”.“Siamo pronti ad occuparci di cro-nicità - ha ribadito - lo facciamo tutti i giorni, i numeri sono altissi-mi, ma per farlo necessitiamo di investimenti, di collaborazione, di aiuto. Non smetteremo mai di ri-badire alla parte pubblica che in metropoli, città, cittadine, paesi, piccole comunità, territori con po-polazione sparsa, non potrà mai funzionare un unico modello sani-tario di assistenza e che si deve differenziare la medicina rurale da quella metropolitana”.

wwwAttraverso il presente QR-Code

è possibile ascoltare con tablet/smartphone il commento di Pierluigi Bartoletti

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i n d a g i n i

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L’88% dei medici di medicina generale ritiene che sia utile impegnarsi per recuperare

le possibilità di prescrivere diretta-mente farmaci che adesso posso-no essere prescritti solo dagli spe-cialisti. Il 46% è favorevole anche se il Piano Terapeutico dovesse essere compilato dallo stesso Mmg. È quanto emerge dalle ri-sposte al questionario “Il medico di medicina generale e la prescri-zione dei farmaci innovativi” realiz-zato dal Centro studi della Fimmg in occasione del 74° Congresso nazionale del sindacato. L’indagine, a cui ha partecipato un campione rappresentativo di oltre 500 medici di medicina generale, è stata effettuata per comprende-re quanto la Medicina Generale sia sensibile all’esigenza di recu-perare un ruolo prescrittivo diretto rispetto a molti farmaci che attual-mente possono essere prescritti, in genere compilando un Piano Terapeutico (PT), solo da medici specialisti. Dallo studio emerge che nella ca-tegoria c’è la percezione che que-ste limitazioni prescrittive stiano comportando difficoltà assisten-ziali per molte patologie croniche prevalenti. In particolare, il 58%

del campione ritiene che le attuali normative ostacolano ‘molto-mol-tissimo’ la gestione del paziente diabetico da parte del Mmg. Tra le condizioni per le quali auspica maggiormente l’abolizione dei pia-ni terapeutici c’è: il diabete mellito (per il 39.2% del campione), la te-rapia anticoagulante orale (per il 31.8%), la BPCO (per il 20%). Per Paolo Misericordia, responsa-bile del Centro Studi della Fimmg, questi dati rendono evidente quella che fino ad ora era stata solo una percezione: “una parte importante dell’assistenza è condizionata ne-gativamente dal fatto che i Mmg non possono prescrivere farmaci innovativi”.

¼¼ I farmaci biologici

Un focus particolare è stato con-dotto nei confronti dei farmaci biologici e dei loro biosimilari: clas-si di farmaci emergenti, spesso utilizzati nella cura di patologie croniche, per i quali i Mmg, oltre a subire generalmente importanti li-mitazioni prescrittive, sono esclusi da interventi formativi - informativi anche da parte dell’industria far-maceutica produttrice. L’insulina e i suoi analoghi (per il 67% del cam-

pione) e l’eparina a basso peso molecolare (per il 32.7%) sono le classi di farmaci ‘biologici’ ritenute avere maggiori ricadute sull’attivi-tà del Mmg; per il 17.3% del cam-pione, ricadute importanti vengo-no attribuite agli anticorpi mono-clonali per le malattie autoimmuni-tarie, per il 10,4% per i vaccini, per l’8.8% per gli anticorpi monoclo-nali per le patologie oncologiche. Pur non essendo formati sull’argo-mento, il 70% dei medici di medi-cina generale individua la corretta definizione di ‘questa classe di farmaci; sia per i ‘biologici” sia per i “biosimilari” i Mmg, nella so-stanziale totalità dei casi (quasi il 95% del campione) auspica co-munque interventi di informazione e formazione. “Quello che emerge dall’indagine è una importante disponibilità della categoria a recuperare spazi prescrittivi che normative illogi-che ed anacronistiche stanno precludendo al Mmg” - afferma Misericordia - avendo la consape-volezza che tali limitazioni sono alla base di significative distorsio-ni assistenziali ed ostacolo a pre-se in carico adeguate di molti pazienti affetti da patologie croni-che prevalenti”.

A chiederlo sono i medici di famiglia come mostrano i risultati emersi dall’indagine realizzata dal Centro Studi Fimmg su quanto la Medicina Generale

sia sensibile all’esigenza di recuperare un ruolo prescrittivo diretto rispetto a molti farmaci che attualmente possono essere prescritti solo da medici specialisti

Vogliamo recuperare il nostro ruolo prescrittivo

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t r i b u n a

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“Gli studi dei Mmg milanesi sono aperti meno di quattro ore al giorno, almeno l’80%

dei pazienti non trova un’assisten-za adeguata sul territorio e solo un medico di famiglia su tre lavora in rete con gli altri colleghi”. È quanto si legge in un recente articolo pub-blicato dal Corriere della Sera che punta l’indice sull’inadeguatezza dell’assistenza fornita ad oggi dai Mmg del capoluogo lombardo.“L’articolo sembra quasi una bom-ba ad orologeria - commenta Enzo Scafuro Segretario regionale Lom-bardia e Responsabile nazionale Smi per l’area convenzionata - ogni anno ne viene pubblicato uno del genere che descrive i Mmg come una categoria di privilegiati che la-vorano poco; a mio avvivo è un malvezzo, un malcostume”. “Bisogna tenere presente che la ‘fonte’ dell’articolo - continua - è il sito dell’ATS dove sono riportati orari di apertura e chiusura dei no-stri studi che non comprendono la reperibilità telefonica, le visite in ADP, le richieste degli assistiti, la prescrizione di farmaci per i croni-ci. La mia attività settimanale di massimalista va ben oltre le ore ri-portate dal sito dell’ATS. Inoltre, esercitando in associazione mista,

è stata anche attivata l’apertura dello studio il sabato per l’accesso in ambulatorio dei codici bianchi. Un’attività che i database ATS non contemplano. Pensi un po’ a quale problema nascerà quando questi database saranno messi a disposi-zione della nuova presa in carico delle cronicità declinata dalla rifor-ma lombarda”.

¼¼ La nuova gestione delle cronicità

Nell’articolo infatti si sottolinea l’importanza di delineare attual-mente il quadro dell’assistenza erogata dai Mmg milanesi, visto che la Regione “chiede ai dottori un cambiamento epocale nel loro modo di lavorare con la presa in carico dei malati cronici”.Ma per il rappresentante dello Smi la riforma lombarda ha ben poco di epocale, così come i ritardi dell’ap-plicazione della Legge Balduzzi con la messa in rete delle cure primarie ha un suo perché. Sono il frutto di scelte politiche ben chiare che non hanno ritenuto opportuno investire sull’aspetto organizzativo della medicina territoriale: “Dare la possibilità ai medici delle cure pri-marie di lavorare in rete - evidenzia

Scafuro - è quello che abbiamo sempre chiesto, ma la Regione di-ce di non avere risorse sufficienti per attuare ciò e preferisce che sia il privato a gestire la cronicità”. Ma Scafuro non è l’unico a mostra-re perplessità sul new deal della presa in carico dei cronici made in Lombardia. Dai dati della Regione sui futuri Mmg gestori delle croni-cità, presentati di recente dall’as-sessore alla Sanità Giulio Gallera, si palesa una scarsa adesione di quelli residenti Milano: su un totale di 884 medici di famiglia solo 50 Mmg che lavorano da soli e altri 168 riuniti in cooperativa hanno detto sì, mentre a livello regionale la percentuale di adesione si atte-sta al 48%.“Noi sul territorio ci siamo sempre - conclude Scafuro - ci saremo sem-pre a meno che non si decida politi-camente di fare quel definitivo pas-saggio dal pubblico al privato”.

A pensarla così è Enzo Scafuro, Segretario regionale Lombardia e Responsabile nazionale Smi per l’area convenzionata,

in merito a un recente articolo apparso sul Corriere della Sera che punta l’indice sull’inadeguatezza dell’attuale assistenza fornita dai Mmg meneghini

Denigrare il nostro lavoro è pretestuoso

wwwAttraverso il presente QR-Code

è possibile ascoltare con tablet/smartphone il commento di Enzo Scafuro

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l e g i s l a z i o n e

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S u proposta del Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e del Ministro delle Infrastrut-

ture e dei Trasporti (MIT) Graziano Delrio, il Consiglio del Ministri ha abrogato, mediante decreto del Pre-sidente della Repubblica, le disposi-zioni contenute nel regolamento tec-nico di attuazione ed esecuzione al Codice Della Strada di cui all’art. 320 lett. G che limitavano, per le persone affette da malattie ematiche, la pos-sibilità di rilascio del certificato di idoneità alla guida (G.U. 158 n. 221, del 21 settembre 2017).Nel comunicato della Presidenza del Consiglio si legge che “il regolamen-to, tenendo conto dei progressi medi-ci e scientifici conseguiti sia nell’am-bito diagnostico che in quello tera-peutico delle malattie ematiche, non-ché dei requisiti psicofisici minimi fissati dall’Unione europea per il rila-scio della patente di guida, abroga una disposizione del regolamento di esecuzione e di attuazione del Codi-ce della strada emanata nel 1992, che vietava il rilascio nonché la con-ferma della patente a soggetti colpiti da gravi malattie del sangue. Viene comunque fatto salvo il caso in cui la possibilità di rilascio o di conferma sia espressamente certificata da parte della Commissione medica locale, così come attualmente previsto dal Codice della strada”.La Federazione delle Associazioni Emofilici ha espresso grande soddi-sfazione sottolineando che la modifi-ca di tale normativa era un’esigenza manifestata dai pazienti, a causa dei

tempi ravvicinati a cui venivano co-stretti per la revisione del proprio certificato di idoneità alla guida.

¼¼ Patologie e idoneità alla guida

Dopo questa normativa la possibilità di rilascio e rinnovo del certificato di idoneità alla guida resta escluso - sal-vo differente parere da parte della Commissione medica locale - per coloro che risultano affetti dalla se-guenti patologie: affezioni cardiova-scolari, diabete, malattie endocrine, malattie del sistema nervoso, epiles-sia, malattie dell’apparato urogenitale e, infine, per coloro che sono dipen-denti da sostanze psicoattive. Resta in vigore il divieto della guida per altre patologie come quelle cardiovascola-ri ritenute incompatibili con la sicurez-za stradale, il diabete mellito quando richiede l’insulina, alcune malattie endocrine gravi diverse dal diabete e alcune patologie del sistema nervoso - come encefalite, sclerosi multipla, miastenia grave - le malattie del si-stema nervoso associate ad atrofia muscolare progressiva o a disturbi miotonici, le malattie del sistema nervoso periferico e i postumi invali-danti di traumatismi del sistema ner-voso centrale o periferico. In alcuni casi, come l’epilessia, sono previste eccezioni. L’elenco comprende an-che turbe psichiche in atto dovute a malattie, traumatismi, postumi di in-terventi chirurgici e l’insufficienza re-nale, a meno che non risulti “positiva-mente corretta a seguito di tratta-mento dialitico o di trapianto”.

È quanto prevede il decreto del Presidente della Repubblica n.139/2017, entrato in vigore il 6 ottobre, «in considerazione del progresso scientifico intervenuto sui nuovi strumenti di diagnosi e sulle nuove terapie per la cura delle malattie del sangue»

Abrogato il divieto alla guida per chi è affetto da malattie ematiche

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n Endocrinologia Sorveglianza attiva per i microcarcinomi tiroidei

n gEriatria Delirium nella persona anziana, conoscere per prevenire

n infEttivologia Temperature miti in autunno e nuovi casi di chikungunya

n nEfrologia Nuova terapia per il rene policistico autosomico dominante

n nutrizionE clinica Microbiota intestinale e perdita di massa muscolare

n PrEvEnzionE L’influenza che verrà: previsioni per la stagione 2017-18

n Psichiatria Schizofrenia: antipsicotico in somministrazione trimestrale

n rEumatologia Artrite reumatoide, è possibile identificarla all’esordio

AggiornAmenti

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AggiornAmenti

I n presenza di microcarcinomi della tiroide in particolari set-ting di pazienti una delle pro-

spettive è applicare una strategia di sorveglianza attiva. “I noduli tiroidei si evidenziano alla palpazione nel 4-7% della popolazio-ne, mentre l’ecografia riscontra no-duli non palpabili nel 50-60% delle persone”, spiega Enrico Papini, Direttore SC Endocrinologia e Malat-tie del Metabolismo, Ospedale Regi-na Apostolorum, Albano Laziale. “La maggioranza dei noduli sono di pic-cole dimensioni e nel 90-95% dei casi rimangono benigni. Grazie alla migliore sensibilità e al facile acces-so alla moderna tecnologia diagno-stica negli ultimi anni si è verificato un aumento dell’incidenza dei noduli tiroidei seguito da un parallelo au-mento dei carcinomi tiroidei, seppu-re non associato a un aumento del tasso di mortalità. Riscontrare tumo-ri con diametro <1 cm, se da un lato rappresenta un importante passo avanti nella prevenzione, pone dall’al-tro il dubbio se sia appropriato sotto-porre pazienti a basso rischio allo stesso trattamento tradizionalmente riservato a neoplasie più avanzate, esponendo le persone a possibili complicanze ed effetti indesiderati probabilmente non indispensabili”.

Tuttavia la strategia di sorveglianza attiva non è un “dettato universale” e deve essere applicata con estrema cautela. “Prendiamo ad esempio una giovane donna che scopre la presenza di un nodulo: in una situa-zione di questo genere andare a de-finire con esattezza un piccolo nodu-lo sospetto ed eventualmente rimuo-verlo con un intervento chirurgico relativamente semplice e non invasi-vo dal punto di vista estetico e della funzionalità tiroidea è una scelta ap-propriata. Altra situazione è il riscon-tro di una piccola lesione tiroidea sospetta in un paziente anziano con rilevanti comorbidità, per esempio di natura cardiovascolare: in questo ca-so la terapia chirurgica potrebbe non essere la prima scelta. Il paziente potrebbe essere indirizzato alla sor-veglianza attiva con controlli ecogra-fici semestrali invece che annuali”, spiega Papini.

¼¼ Prospettive

La strategia di sorveglianza attiva potrà essere più circostanziata nel corso dei prossimi anni. “Ad oggi in pratica clinica non abbiamo la possi-bilità di fare uno studio di biologia molecolare che ci consenta si sapere quale sarà il livello di aggressività

delle piccole neoplasie tiroidee. Nei prossimi anni saremo in grado di po-ter identificare la ‘firma molecolare’ del tumore dalla citologia da agoaspi-razione. Questo dato permetterà di modulare un approccio terapeutico personalizzato” - conclude Papini.

¼¼ Appropriatezza dell’agoaspirato

È giusto sottoporre il paziente ad agoaspirato su un piccolo nodulo? Le ultime linee guida sui noduli tiroi-dei redatte in collaborazione da AME (Associazione Medici Endocri-nologi) American Association of Cli-nical Endocrinologists (AACE) e American College of Endocrinology (ACE) consigliano la sorveglianza attiva invece della biopsia in tutti i casi di noduli con diametro <5 mm per il loro rischio clinico basso e nel caso dei noduli dai 5 ai 10 mm non consigliano di eseguire l’agoaspirato in assenza di ulteriori caratteristiche di aggressività, per esempio la pre-senza di linfonodi sospetti o storia familiare o personale di precedente cancro tiroideo. Si potrà poi proce-dere all’esecuzione dell’agoaspirato in un secondo momento in caso di evoluzione clinica o aumento di di-mensioni del nodulo (Endocr Pract 2016; 22: 622-39).

Sorveglianza attiva per i microcarcinomi tiroidei

n Endocrinologia

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è possibile ascoltare con tablet/smartphone il commento di Enrico Papini

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M.D. Medicinae Doctor - Anno XXIV numero 7 - ottobre 2017 n 23

AggiornAmenti

“Il medico di famiglia ha un ruo-lo estremamente importante nell’individuare nel soggetto an-

ziano i fattori di rischio per il delirium”. L’affermazione è del Prof. Giuseppe Bellelli, Geriatria-Medicina Interna, Università Milano-Bicocca, durante il 7° convegno “Delirium nella persona anziana e nella malattia di Alzheimer: conoscere, prevenire, assistere”; orga-nizzato dalla Rsa e centro polifunziona-le “Villaggio Amico” di Gerenzano (VA), con il patrocinio della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, dell’Associa-zione Italiana di Psicogeriatria e della Federazione Alzheimer Italia. “Sebbene di per sé l’età non costitui-sca un fattore di rischio, negli individui anziani o molto anziani il rischio di svi-luppare delirium aumenta perché mag-giore è il rischio di sviluppare deficit cognitivo”. Dunque una sorta di “circo-lo vizioso” perché “in effetti le perso-ne affette da deficit cognitivo da de-menza o da malattia di Alzheimer sono più esposte a rischio di sviluppare deli-rium per una serie di meccanismi complessi” - chiarisce Bellelli. Oltre ai fattori predisponenti, tra i fattori precipitanti si annoverano il rifiuto ad utilizzare le protesi acustiche o sempli-cemente gli occhiali, una malattia acuta intercorrente che può portare a uno stato di disidratazione, la costipazione,

le infezioni, disordini metabolici, l’uso inappropriato d farmaci, ecc.“Il Mmg dovrebbe dunque sottoporre il paziente anziano alla valutazione pe-riodica delle funzioni cognitive e se tali funzioni risultassero anche solo in parte compromesse l’individuo do-vrebbe essere classificato a rischio, dovrebbe favorire la correzione dei di-sturbi sensoriali, consigliare al pazien-te di camminare quotidianamente e di idratarsi adeguatamente, rivedere pe-riodicamente il piano terapeutico, cer-cando di evitare farmaci con potente attività sul SNC che possono scatena-re la comparsa di delirium”.In base alla diagnosi eziologica vanno trattare le cause che sottendono al delirium. “Il delirium si può manifesta-re come ipocinetico (rallentamento ideomotorio, prevale letargia e la per-sona appare soporosa) e in tal caso benzodiazepine e neurolettici vanno accuratamente evitati. Nel delirium ipercinetico si possono usare i neuro-lettici, ma per periodi molto limitati e a dosi basse”. “Fino a pochi anni fa il delirium era una condizione conosciuta solo ad un nu-mero limitato di ricercatori, fortunata-mente oggi la consapevolezza della classe medica è maggiore, anche grazie a iniziative quali il Delirium Day e alla formazione dedicata”.

¼¼ Dati del Delirium Day

Nel corso del convegno Giuseppe Bellel-li, che è anche membro del Gruppo di ricerca geriatrica di Brescia e di Europe-an Delirium Association ha presentato i dati del Delirium Day 2016. Alla survey hanno partecipato 10 associazioni e so-cietà scientifiche, per un totale di 4.810 pazienti, di cui 3.032 in ospedale, 755 in riabilitazione/long-term care, 68 in hospi-ce e 955 in istituti di lungodegenza e RSA. Hanno partecipato alla raccolta dati 205 ospedali per acuti, 29 riabilitazio-ni/long-term care, 32 RSA e 10 hospice.La prima elaborazione mostra:• prevalenza media: 22% in ospedale, 14% in riabilitazione e 38% in hospice. I sottotipi “delirium ipocinetico” e “deli-rium misto” sono stati rispettivamente pari al 30% e al 29.7% di tutti i casi; • delirium sovrapposto a demenza: il delirium è significativamente più elevato in chi è già affetto da demenza (50% circa) prima del ricovero ospedaliero;• uso di farmaci e dispositivi medici: confermata l’associazione tra delirium e uso di neurolettici (sia tipici che atipici), antidepressivi atipici, cateteri vescica-li, linee venose e spondine al letto;• mortalità intra-ospedaliera (repar-ti per acuti): 9.98% nei soggetti affetti da delirium vs 3.31% nei soggetti senza delirium.

Delirium nella persona anziana,conoscere per prevenire

n Geriatria

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è possibile ascoltare con tablet/smartphone l’intervista a Giuseppe Bellelli

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24 ■ M.D. Medicinae Doctor - Anno XXIV numero 7 - ottobre 2017

AggiornAmenti

I cambiamenti climatici e ambien-tali e la globalizzazione non inte-ressano solo il contesto macro-

politico ma potrebbero generare pro-blemi di salute pubblica, aumentando il rischio di malattie trasmesse da vettori in Europa. Ne è un esempio la febbre chikungunya.Dopo i casi autoctoni di chikungunya (CHIK) riportati nel Lazio, è stato iden-tificato in Calabria un nuovo focolaio. Tutto è partito da 4 casi segnalati tra il 19 e il 25 settembre 2017 (1 nel Lazio e 3 in Emilia-Romagna) relativi a per-sone residenti in queste Regioni, che avevano sviluppato sintomi indicativi dell’infezione lo scorso agosto mentre si trovavano a Guardavalle Marina (CZ). Questi casi sono risultati positivi alle indagini di laboratorio effettuate.In settembre un team del Dipartimen-to di Malattie infettive dell’Iss, si è re-cato nella zona per indagare il focolaio epidemico, raccogliere campioni uma-ni per confermare l’infezione, monito-rare il vettore Aedes albopictus (zanza-ra tigre) e fornire supporto alla disinfe-stazione delle aree interessate. Attraverso l’indagine epidemiologi-ca retrospettiva, nel periodo agosto-settembre 2017 sono stati segnalati, dai Mmg e Pls dell’area di Guarda-valle 55 casi (sospetti, probabili e confermati) di CHIK.

Tutte le persone hanno riferito feb-bre alta, dolori articolari (spesso in-validanti) frequentemente accompa-gnati da rush cutanei. Per 6 dei casi sospetti indagati è stata fatta la dia-gnosi di laboratorio, e i casi sono stati confermati. Sono in corso valu-tazioni epidemiologiche e microbio-logiche, per la conferma della dia-gnosi nei casi sospetti e per valutare se questo focolaio sia in relazione con quello osservato nel Lazio. La Regione ha inviato un’allerta a tutti i Mmg, Pls, Pronto soccorso e Guardia medica locali per allertarli alla diagnosi e segnalazione dei pazienti che si presentano con sintomi clinici che possono suggerire la malattia da virus CHIK (fonte: Del Manso M et al. Dipartimento Malattie infettive, Iss).

¼¼ Focus sulla malattia

La chikungunya è una malattia virale trasmessa da vettori. Il virus appar-tiene al genere Alphavirus della fa-miglia Togaviridae. Il nome “chikun-gunya” deriva dalla lingua kimakon-de, che significa “diventare contor-to”, e che descrive l’aspetto curvo che assumono le persone infette a causa dei dolori articolari.La chikungunya è stata identificata in oltre 60 paesi in Asia, Africa, Eu-

ropa e nelle Americhe.Il virus è trasmesso da persona a persona dalla puntura di una zanzara femmina infetta. Generalmente, le zanzare in causa sono Aedes aegyp-ti e Aedes albopictus, due specie che possono trasmettere anche al-tre arbovirosi, (dengue e lo Zika). In Italia è presente A. albopictus. Dopo la puntura di una zanzara infetta, i sintomi si manifestano entro 4-8 giorni, con un intervallo che può va-riare da 2 a 12 giorni.La chikungunya è caratterizzata da un’insorgenza febbrile improvvisa ac-compagnata da dolori articolari. Altri sintomi che si manifestano comune-mente includono: dolori muscolari, mal di testa, nausea, affaticamento, esantema cutaneo. Il dolore alle artico-lazioni è spesso molto debilitante, tut-tavia generalmente si protrae per po-chi giorni, oppure per qualche settima-na. Il virus pertanto può causare una malattia acuta, subacuta o cronica.La maggior parte dei pazienti guari-sce completamente, tuttavia, in al-cuni casi, i dolori articolari possono persistere nel tempo. Sono stati segnalati casi occasionali di compli-cazioni oculari, neurologiche e car-diache, gastrointestinali. Le compli-cazioni gravi non sono comuni, tut-tavia, nelle persone più anziane, la malattia può essere fatale.

Temperature miti in autunnoe nuovi casi di chikungunya

n infEttivologia

• Tjaden NB. Modelling the effects of global climate change on chikungunya transmission in the 21st century. Scientific Reports 7 2017; 3813.

* ecdc.europa.eu* www.epicentro.iss.it* www.salute.gov.it

Bibliografia

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M.D. Medicinae Doctor - Anno XXIV numero 7 - ottobre 2017 ■ 25

AggiornAmenti

U na buona notizia per i pa-zienti affetti da rene polici-stico autosomico domi-

nante (ADPKD).È infatti disponibile anche nel no-stro Paese tolvaptan, terapia ca-pace di rallentare la progressione dell’ADPKD, la più comune malat-tia nefrologica genetica e la quar-ta causa di insufficienza renale cronica che porta i pazienti a do-versi sottoporre a dialisi o a tra-pianto di rene già in giovane età, intorno ai 50 anni. Le cisti che compaiono a causa della malattia portano il rene ad ingrossarsi a dismisura, aumentan-do fino a 10 volte le proprie dimen-sioni. Il rene policistico può mani-festarsi in due forme: il rene polici-stico autosomico dominante e il rene policistico autosomico reces-sivo, una forma più rara e aggressi-va che si riscontra in 1 soggetto su 20.000. Nei pazienti con rene poli-cistico autosomico dominante, lo sviluppo di cisti renali e la perdita di funzionalità renale si accompa-gnano ad altre complicanze come la presenza di ipertensione in età precoce, la comparsa di cisti an-che nel fegato e nel pancreas, ol-tre che a una maggiore insorgenza di aneurismi cerebrali.

Il farmaco ha dimostrato di far di-minuire di circa la metà (49%) l’aumento annuo del volume rena-le totale nell’arco di tre anni e di essere in grado di ridurre ogni anno del 32% il declino della fun-zionalità renale, rallentando così la progressione della malattia e ritar-dando l’ingresso in dialisi.

¼¼ Nuovo approccio alla cura

Tolvaptan, un antagonista del re-cettore della vasopressina (V2), rappresenta oggi l’unica opzione terapeutica a disposizione, prima che la malattia arrivi a uno stadio avanzato.È infatti indicato per quei pazienti che all’inizio del trattamento si tro-vano in uno stadio di patologia CKD 2-3a, che sono in un’età compresa tra i 18 e i 50 anni e che hanno un’evidenza di malattia in rapida progressione. “In passato, i trattamenti per il rene policistico si sono concentrati sul controllo dei sintomi, per esempio l’elevata pressione arteriosa o le infezioni renali, e non intervenivano sul naturale decorso della malattia. Ora con i nuovi farmaci come tol-vaptan - spiega Francesco Scolari, Professore di Nefrologia, Ospeda-

le di Montichiari, Università di Bre-scia - siamo di fronte ad un cambio nell’approccio alla cura, perché è possibile agire rallentando il pro-cesso di crescita delle cisti. Tolvap-tan, bloccando i recettori della va-sopressina e inducendo così un’e-levata diuresi, interferisce diretta-mente con i meccanismi che rego-lano la crescita delle cisti, allonta-nando nel tempo la necessità di doversi sottoporre a dialisi o a tra-pianto di rene”.

¼¼ La patologia

Nel mondo 12,5 milioni di persone convivono con il rene policistico autosomico dominante. In Europa i pazienti sono circa 205 mila, quasi 24 mila solo in Italia.Il rene policistico autosomico domi-nante è una malattia ereditaria: le probabilità che un genitore “tra-smetta” la patologia al proprio figlio sono del 50%.La malattia è causata da un difetto di un gene: nell’85% dei casi la mutazione avviene a livello del ge-ne PKD1 (cromosoma 16); nel 15% il responsabile è il gene mutato PKD2 (cromosoma 4). I principali sintomi sono iperten-sione arteriosa, dolore lombare, micro o macroematuria, infezioni alle vie urinarie, calcoli renali, infe-zioni delle cisti.A causa dell’impatto sulla salute e sulla qualità di vita dei pazienti, il rene policistico autosomico domi-nante è stato inserito nei nuovi Li-velli Essenziali di Assistenza come malattia cronica e invalidante.

Nuova terapia per il rene policistico autosomico dominante

n nEfrologia

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26 ■ M.D. Medicinae Doctor - Anno XXIV numero 7 - ottobre 2017

AggiornAmenti

L’European Working Group on Sarcopenia in Older People (EWGSOP) ha definito la

sarcopenia primaria come “massa e forza muscolare ridotte rispetto alla normalità, che caratterizza l’in-vecchiamento e che è associata a un rischio maggiore di eventi av-versi (disabilità, perdita dell’auto-sufficienza, fragilità, ricoveri, mor-talità, ecc)”. Nel corso del II Congresso Nazio-nale della Società Italiana di Nutri-zione Clinica e Metabolismo (giu-gno 2017, Firenze) ampio spazio è stato dedicato all’approfondimen-to di questa temibile condizione clinica. In particolare il Prof. Francesco Landi, Centro di Medicina dell’In-vecchiamento, Università Cattoli-ca del Sacro Cuore, Fondazione Policlinico Universitario “A. Ge-melli” di Roma ha tenuto la lezio-ne magistrale “Il microbiota inte-stinale e la perdita di massa mu-scolare”, di cui pubblichiamo una sintesi. Una nuova frontiera di ri-cerca per la prevenzione della sar-copenia è infatti rappresentata dallo studio del gut microbiota, le cui modificazioni legate alla sene-scenza possono avere implicazio-ni negative.

¼¼ La ricerca sul gut microbiota

È acquisito che nel tratto gastrointe-stinale risiedono diverse specie mi-crobiche dominanti nelle varie re-gioni (stomaco, duodeno, colon, di-giuno, ileo), che svolgono diverse funzioni, dalla difesa da agenti pato-geni e tossine, allo sviluppo e man-tenimento del sistema immunitario intestinale, alla facilitazione del pro-cesso digestivo. Inoltre, sono fon-damentali per la sintesi di acidi grassi a catena corta e vitamine, svolgono un ruolo chiave nel meta-bolismo energetico. Il bilanciamen-to delle specie dominanti che com-pongono il microbiota intestinale sano - Firmicutes (60-80%) e Bacte-roides (20-40%) - assicura un’azio-ne benefica per le attività che si svolgono nell’intestino, ma nel pro-cesso di invecchiamento questo equilibrio viene compromesso.Diverse conferme sono presenti in letteratura, in particolare una ricer-ca ha evidenziato che negli anziani istituzionalizzati in RSA e strutture di lungodegenza la proporzione di Bacteroides è risultata maggiore ri-spetto ai Firmicutes, e che il gut microbiota alterato è significativa-mente correlato con misure di fragi-lità, comorbidità, marcatori di in-

fiammazione e stato nutrizionale. Al contrario gli anziani che vivono in comunità conservano una maggio-re ricchezza genetica, presumibil-mente risultato anche di una dieta più adeguata.Tra i fattori che possono influenzare la composizione del microbiota in-testinale, l’alimentazione infatti ri-veste un ruolo cruciale soprattutto nel soggetto anziano, perché pos-sono presentarsi problematiche che influiscono negativamente sul-le modalità di alimentarsi, nonché condizioni patologiche croniche.

¼¼ L’inflammaging

L’alterazione del gut microbiota ge-nera la disbiosi, che a sua volta de-termina un’accelerazione del pro-cesso infiammatorio - loop proin-fiammatorio - che si amplifica dan-do luogo all’“inflammaging” defini-ta come stato infiammatorio siste-mico cronico di basso grado tipico dell’età avanzata, che contribuisce all’insorgenza delle principali pato-logie età correlate.Questo stato può lentamente dan-neggiare uno o più organi, in parti-colare quando i polimorfismi gene-tici sfavorevoli e le alterazioni epi-genetiche sono concomitanti, por-tando a un aumento del rischio di fragilità insieme all’insorgenza di malattie croniche tipiche dell’in-vecchiamento.A generare l’infiammazione legata all’età contribuiscono diversi orga-ni (cervello, fegato), tessuti (tessu-to adiposo, muscolo), sistema im-munitario ed ecosistemi (gut mi-

Microbiota intestinalee perdita di massa muscolare

n nutrizionE clinica

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M.D. Medicinae Doctor - Anno XXIV numero 7 - ottobre 2017 ■ 27

AggiornAmenti

crobiota) con effetti locali, organo-specifici o sistemici.Il problema è che l’“inflammaging” correlata all’alterazione e alla disre-golazione del gut microbiota sem-bra svolgere un ruolo centrale nell’eziologia della debolezza mu-scolare della sarcopenia e nel de-clino età-correlato delle perfor-mance fisiche (fragilità).

¼¼ Strategie di prevenzione

Nella ricerca di strategie di preven-zione in grado di bloccare la pro-gressione della fragilità e per la sua base biologica, della sarcope-nia, è dunque ragionevole interve-nire per ripristinare la struttura o la funzione del microbiota intestinale - e quindi agire positivamente sul muscolo - con i probiotici, micror-ganismi vivi che, quando sommini-strati in quantità adeguata, conferi-scono un beneficio all’ospite.I batteri probiotici più comunemen-te usati appartengono ai generi Lactobacillus e Bifidobacterium. Tra questi, tre ceppi svolgono azioni che possono essere efficaci sul muscolo: Lactobacillus plantarum è in grado di modificare l’assetto del gut microbiota, in particolare dell’in-testino che invecchia, tanto da es-sere considerato un “ingegnere metabolico naturale”.In letteratura vengono riportati dati quantitativi sulla biodisponibilità e sulla percentuale di assorbimento dei minerali interiorizzati da specifi-ci probiotici. L’aspetto più evidente è l’assorbimento significativamen-te maggiore di selenio internalizza-

to da Lactobacillus buchneri LB26 rispetto alle altre forme inorgani-che e organiche valutate. Il selenio ha effetti positivi sulla cellula mu-scolare: intervenire sul gut micro-biota per facilitarne l’interiorizza-zione nel muscolo attraverso i pro-biotici è il percorso suggerito da un recente studio.Per i Bifidobatteri, in particolare per Bifidobacterium animalis ssp Lactis BS05, viene segnalata la loro for-te proprietà antiossidante, per la produzione di glutatione ridotto e superossido dismutasi (tabella 1), contribuendo così a prevenire e controllare le patologie associate allo stress ossidativo.

¼¼ Conclusioni

La sarcopenia è stata identificata come una tra le condizioni che maggiormente contribuiscono alla comparsa della “fragilità” dell’an-ziano. Sulla base delle più recenti evidenze, la sinergia tra esercizio fisico e alimentazione, unitamente

alla possibilità di modulare la com-posizione del gut microbiota con i probiotici, è in grado di favorire il processo antiossidante e la salute del mitocondrio, quindi della cellu-la muscolare, facilitando l’ingresso di micronutrienti fondamentali per la salute del muscolo. La sinergia che si crea tra alcuni probiotici (Lactobacillus plantarum LP01 - Lactobacillus buchneri LB26 - Bifi-dobacterium animalis ssp. Lactis BS05 ) genera un effetto antinfiam-matorio, antiossidante e di inclu-sione di importanti micronutrienti nel gut microbiota, che possono aiutare a mantenere il muscolo in salute. Un tassello in più per con-tribuire all’active ageing.

Caratteristiche di alcuni probiotici

Probiotico Azione

Lactobacillus plantarum LP01

Modulazione della flogosi per positivo rapporto tra citochine antinfiammatorie e pro-infiammatorie

Lactobacillus buchneri LB26

Probiotico inattivato che internalizza micronutrienti (selenio), aumentandone la biodisponibilità

Bifidobacterium animalis ssp. Lactis BS05

Effetto antiossidante per produzione di glutatione ridotto e superossido dismutasi

Tabella 1

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è possibile ascoltare con tablet/smartphone il commento di Francesco Landi

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28 n M.D. Medicinae Doctor - Anno XXIV numero 7 - ottobre 2017

AggiornAmenti

D ai 4 ai 5 milioni di casi di in-fluenza oltre agli 8-10 milio-ni di sindromi provocate da

altri virus respiratori: una epidemia, caratterizzata quindi da un’incidenza di media entità, simile a quella dello scorso anno. Ci sarà un solo nuovo virus in circolazione, H1N1 pdm 09 (A/Michigan/45/2015), una variante similare ai virus dell’anno scorso. So-no le previsioni illustrate da Fabrizio Pregliasco, virologo e ricercatore del Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università degli Studi di Milano e Direttore Sanitario IRCCS Galeazzi di Milano. “Il periodo esatto è sempre una scommessa e dipende dal momento in cui le temperature raggiungeranno valori bassi che per-marranno nel tempo. Ma già ora, in autunno, a causa della meteorologia così fluttuante si assiste a tantissimi casi di sindromi simil-influenzali (in-fluenza-like illness, ILI) dovuti agli altri virus (ben 262) che determinano for-me meno pesanti” - illustra Preglia-sco, che suggerisce “non consideria-mo queste forme banali: possono es-sere un fattore di rischio per nuove complicanze soprattutto negli anziani e i soggetti al di sopra dei 65 anni di età e con condizioni di rischio (diabete, malattie immunitarie o cardiovascolari e respiratorie croniche)”. Nelle racco-

mandazioni del Ministero della Salute per la stagione 2017/18 si legge anche che: “Le attività di monitoraggio epi-demiologico e virologico dei casi di ILI sono determinanti, non solo ai fini delle decisioni relative alla composi-zione che dovrà avere il vaccino antin-fluenzale nelle successive stagioni epidemiche, ma anche per indirizzare le scelte in materia di programmazio-ne sanitaria e per migliorare le cono-scenze sulle complicanze attribuibili all’influenza (quali decessi e ricoveri)”.

¼¼ Vaccini disponibili

Attualmente in Italia sono disponibili vaccini antinfluenzali trivalenti (TIV) che contengono 2 virus di tipo A (H1N1 e H3N2) e un virus di tipo B e vaccini quadrivalenti che contengono 2 virus di tipo A (H1N1 e H3N2) e 2 virus di tipo B. L’efficacia del vaccino dipende soprattutto dal match esi-stente fra i virus in esso contenuti e quelli circolanti. L’OMS ha indicato che la composizione del vaccino per l’emisfero settentrionale nella stagio-ne 2017/2018 sia: • antigene analogo al ceppo A/Mi-chigan/45/2015 (H1N1)pdm09;• antigene analogo al ceppo A/Hong Kong/4801/2014 (H3N2);• antigene analogo al ceppo B/Bri-

sbane/60/2008 (lineaggio B/Victoria).Pertanto il vaccino per la stagione 2017/18 conterrà una nuova variante antigenica di sottotipo H1N1pdm09 (A/Michigan/45/2015), che sostituirà il ceppo A/California/7/2009.

¼¼ … e gli operatori sanitari?

“Nelle raccomandazioni del Ministero della Salute per la stagione 2017/18 all’elenco delle categorie per le quali la vaccinazione stagionale è raccoman-data anche quest’anno troviamo me-dici e personale sanitario di assisten-za. Ma nonostante siano tra le catego-rie più a rischio di contrarre l’infezione e di trasmetterla ai soggetti più vulne-rabili, tra gli operatori sanitari la coper-tura del vaccino antinfluenzale è anco-ra troppo bassa: nelle migliori delle ipotesi si arriva solo al 35%. È neces-sario un atto di responsabilità verso se stessi e verso la comunità, sia per essere operativi anche nei momenti di maggior diffusione del virus, ma an-che per non essere ‘untori’ della ma-lattia verso i soggetti più fragili” - con-clude Pregliasco. A tale proposito le raccomandazioni del Ministero indica-no l’utilizzazione vaccino quadrivalen-te split, particolarmente idonea per l’immunizzazione degli operatori sani-tari e degli addetti all’assistenza.

L’influenza che verrà: previsioni per la stagione 2017-18

n Prevenzione

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M.D. Medicinae Doctor - Anno XXIV numero 7 - ottobre 2017 ■ 29

AggiornAmenti

N ell’ultimo decennio vi è stata un’evoluzione nel trattamento della schizo-

frenia con l’avvento dei nuovi LAI (Long Acting Injectables) di secon-da generazione. Un’ulteriore pro-gresso per la qualità di vista di questi pazienti e dei loro familiari è la disponibilità della nuova sommi-nistrazione trimestrale di paliperido-ne palmitato, l’antispicotico atipico in sospensione iniettabile a rilascio prolungato, già in uso in sommini-strazione mensile. Le caratteristiche di rilascio gradua-le e di regime posologico di palipe-ridone palmitato a somministrazio-ne trimestrale risultano in concen-trazioni terapeutiche mantenute per oltre tre mesi. La nuova sommini-strazione è indicata per il trattamen-to di mantenimento della schizofre-nia in pazienti adulti che sono clini-camente stabili con la somministra-zione mensile.

¼¼ Migliore aderenza terapeutica

I farmaci funzionano solo quando vengono assunti e se la mancata aderenza alle terapie è un proble-ma trasversale a tutte le branche della medicina, in ambito psichia-trico, in particolare nei pazienti con

schizofrenia, è un importante fatto-re di rischio per le ricadute e anche brevi interruzioni del trattamento antipsicotico possono portare alle riacutizzazioni. Terapie con inter-valli più prolungati tra le sommini-strazioni possono contribuire a migliorare l’aderenza terapeutica e conseguentemente ridurre il ri-schio di una ricaduta. I potenziali benefici di paliperidone palmitato a somministrazione trimestrale van-no proprio in questa direzione: au-mentando l’intervallo tra una som-ministrazione e l’altra ha il poten-ziale di offrire ai pazienti idonei maggiore indipendenza e l’oppor-tunità di pensare meno all’assun-zione dei farmaci e concentrarsi di più su come stare meglio. Con un minor numero di appunta-menti necessari per la sommini-strazione, la formulazione trime-strale può offrire benefici a lungo termine ai pazienti, ai caregiver, ma anche agli operatori sanitari.

¼¼ Il commento

“Il primo vantaggio offerto dalla nuova somministrazione trimestra-le dell’antipsicotico è la stabilità del compenso psichico - ha sottolinea-to Giuseppe Maina, Direttore di

Struttura Complessa di Psichiatria presso l’AOU San Luigi Gonzaga di Orbassano, tra i centri in cui è stata condotta la sperimentazione. Una stabilità che offre al paziente di ri-durre le oscillazioni dei sintomi e le eventuali ricadute. Il secondo van-taggio, non di poco conto, è la li-bertà, sia per il paziente sia per il caregiver. Il paziente è più libero perché deve ricordarsi di assumere la terapia solo 4 volte all’anno. Il caregiver viene sollevato dalla re-sponsabilità di dover continuamen-te controllare e verificare che il suo caro l’abbia assunta. Questo con-sente tra i due un rapporto più se-reno e rilassato. Il terzo vantaggio è la normalità: una terapia come que-sta permette di riportare il paziente ad una maggiore normalità anche dal punto di vista dello stigma. È molto meno stigmatizzato un pa-ziente quando, in mezzo agli altri, non deve ricordarsi di prendere la pillola tutti i giorni o tre volte al giorno”. Con i nuovi farmaci e stra-tegie di riabilitazione psicosociale, la schizofrenia resta una malattia grave e pesante, per chi ne è affet-to, per la famiglia e la società, ma diventa però trattabile, migliorabile e associata a una vita meritevole di essere vissuta.

Schizofrenia: antipsicotico in somministrazione trimestrale

n Psichiatria

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30 ■ M.D. Medicinae Doctor - Anno XXIV numero 7 - ottobre 2017

AggiornAmenti

“Malattia complessa ma sem-plice da identificare al suo esordio”. Definisce così l’ar-

trite reumatoide Luigi Sinigaglia, Direttore S.C. Reumatologia DH ASST Gaetano Pini, Centro Specia-listico Ortopedico Traumatologico Pini-CTO di Milano.Riuscire a identificare tempestiva-mente l’artrite reumatoide (AR) consente infatti un avvio tempe-stivo della terapia in modo da po-ter intervenire sin dai primi segni sui processi infiammatori. In tal senso il ruolo del medico di medi-cina generale può essere determi-nante e permettere di indirizzare il paziente allo specialista di riferi-mento. Riuscire ad intercettare in tempo la malattia con le cure oggi disponibili, vuol dire cambiare le sorti dei pazienti.L’AR colpisce 1 persona ogni 200, oltre 300mila soggetti in Italia, per il 75% dei casi di sesso femminile e in età produttiva. Patologia in-fiammatoria di origine autoimmune ad andamento invalidante e a ca-rattere sistemico, è caratterizzata da deformazione e dolore che pos-sono portare fino alla perdita della funzionalità articolare, con un im-patto estremamente negativo sulla qualità di vita. La malattia genera

costi umani e sociali particolar-mente gravosi: si calcola che in Italia oltre il 25% dei pazienti sia parzialmente limitato nel tempo li-bero e nel lavoro e il 4% sia affetto da disabilità completa. “L’artrite reumatoide è una malat-tia multiforme in quanto può varia-re per modalità di esordio, decor-so clinico, caratteristiche sieroim-munologiche e risposta ai tratta-menti”, continua Luigi Sinigaglia. “Rispetto ad altre forme di artrite - prosegue - in quella precoce e aggressiva l’infiammazione a livel-lo della membrana sinoviale che riveste l’interno di tutte le artico-lazioni mobili dell’organismo com-porta un precoce danno anatomi-co agli altri tessuti articolari, so-prattutto alla cartilagine e all’osso subcondrale, ma anche a tendini e legamenti, arrivando, nel giro di un paio di anni, alla completa abo-lizione della funzionalità del di-stretto articolare colpito. Pertan-to, questa forma di malattia, che interessa il 40% dei pazienti all’e-sordio, si associa a una maggiore disabilità e a una più alta mortalità per manifestazioni extra articolari, in primis per patologia cardiova-scolare che colpisce soprattutto le donne tra i 40 e i 50 anni, con

una riduzione della sopravvivenza dai 3 ai 10 anni. Questi dati ci aiu-tano a comprendere quanto la diagnosi precoce possa cambiare le sorti dei pazienti”.

¼¼ Marcatori specifici

Alla luce della variabilità fenotipica dell’AR, gli esperti ritengono sia fondamentale rilevare in tempi ra-pidi alcuni marcatori specifici che consentono di distinguere all’esor-dio le forme a evoluzione poten-zialmente più grave e identificare l’approccio terapeutico appropria-to. “È il caso del fattore reumatoi-de e degli ACPA (anticorpi anti-peptide ciclico citrullinato) - spiega Sinigaglia - presenti frequentemen-te nel siero di pazienti affetti da AR che, quando si associano ad altri fattori prognostici negativi, sono in grado di predire la possibilità di ra-pida progressione della malattia secondo un gradiente di rischio che raggiunge l’80%. In questi ca-si è determinante una strategia te-rapeutica tempestiva in quanto co-loro che iniziano una terapia ade-guata entro i primi 3 mesi dall’esor-dio evidenziano una migliore pro-gnosi in termini di danno radiologi-co e tasso di remissione”.

Artrite reumatoide, è possibile identificarla all’esordio

n rEumatologia

wwwAttraverso il presente QR-Code

è possibile ascoltare con tablet/smartphone il commento di Luigi Sinigaglia

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N on è infrequente che il me-dico si trovi a gestire pa-zienti aggressivi con rab-

bia, distorsioni cognitive, psicosi, disturbi di personalità, disturbo bi-polare o dipendenze da alcol o so-stanze stupefacenti, sebbene la pericolosità sociale sia difficile da prevedere. Le linee guida 2015 del NICE (National Institute for Health and Care Excellence) sulla gestione del paziente aggressivo (www.ni-ce.org.uk/guidance/ng10) e le li-nee guida 2015 dell’OSHA (Occu-pational Safety and Health Admini-stration) per la prevenzione degli episodi di violenza negli ambienti di lavoro forniscono raccomandazioni per orientare i comportamenti indi-viduali e organizzativi. L’art. 1 della legge n. 24/2017 afferma che la si-curezza è parte costituente del di-ritto alla salute. Il DLgs n. 81/2008 all’art. 28 obbliga il datore di lavoro alla valutazione di tutti i rischi e agli artt. 21, 36 e 37 fa obbligo al datore di lavoro di formare gli operatori alla gestione del rischio (Cass. Pen 3° n.54519/2016 e n.3898/2017). Il Ministero della Salute nella racco-mandazione n. 8/2007 ha disposto che ogni struttura sanitaria elabori un programma per la prevenzione della violenza contro gli operatori.

¼¼ Come affrontare il colloquio

➤ Sicurezza ambientale. Per ga-rantire la sicurezza, un paziente potenzialmente aggressivo do-vrebbe sempre essere visitato in presenza di altre persone, perso-nale sanitario e/o familiari. Lo stan-za scelta per il colloquio dovrebbe essere silenziosa, ben illuminata e non disturbata, non deve presenta-re barriere tra il medico e l’uscita (via di fuga) e devono essere ri-mossi dalla stanza oggetti in vista utilizzabili come arma impropria ti-po forbici, tagliacarte o fermacarte sul tavolo. ➤ Per ridurre l’escalation dei comportamenti aggressivi nella fase acuta sono consigliati inter-venti di desensibilizzazione basa-ti sulla comunicazione verbale e non verbale che hanno un raziona-le nella psicologia cognitivo-com-portamentale e seguono il modello del ciclo dell’aggressività, mirando al contenimento graduale del sog-getto grazie al riconoscimento del-le sue esigenze e all’avvio di una negoziazione che recepisca il con-tenuto emotivo della crisi, ma ne devii il comportamento (tabella 1).Di fronte ad un paziente aggressi-vo, potenzialmente violento e di-

sarmato, è necessario saper mo-strare autocontrollo, con l’unico obiettivo di ridurre il suo livello di aggressività affinché il dialogo di-venti possibile in sicurezza. Biso-gna superare l’impulso a reagire con lo stesso tono lasciandosi coinvolgere in un conflitto perso-nale pericolosamente crescente e superare l’inibizione e la paura con tendenza alla fuga, salvo che la si-tuazione non appaia subito incon-trollabile. Il colloquio va condotto con genti-lezza, se necessario in modo leg-germente formale per creare una distanza psicologica, oltre che fisi-ca, che scoraggi la violenza. Il pa-ziente va sempre trattato mostran-do attenzione e rispetto come se fosse una persona importante per-ché si senta considerato, ma senza invadere il suo spazio personale e senza toccarlo perché altrimenti potrebbe sentirsi minacciato e rea-gire violentemente. Un paziente aggressivo avrà più difficoltà a mantenere aperto un conflitto da solo se il medico si mo-stra deciso a non lasciarsi coinvol-gere in una polemica crescente ri-spondendo con lo stesso tono e assume invece un atteggiamento assertivo, mantenendosi calmo e

Non è infrequente che il medico si trovi a gestire pazienti aggressivi, come segnalano i recenti episodi di violenza sul personale sanitario. Diverse linee guida fornisco indicazioni

su come affrontare il colloquio con un paziente potenzialmente pericoloso e quali trattamenti usare nel trattamento acuto dell’aggressività nell’adulto

Giulia Marin - Medico, Casa di Cura San Giorgio - PordenoneMauro Marin - Direttore Distretto Sanitario - Pordenone

La gestione del paziente aggressivo

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mostrando accoglienza, empatia, comprensione, rispetto e sostegno. È importante accettare la rabbia del paziente considerandola come una espressione di dolore o di paura ri-chiedente ascolto e aiuto. È utile da parte del medico espri-mere comprensione (es. capisco che questa situazione le provochi rabbia…), rispetto (es. mi rendo conto delle difficoltà che ha saputo affrontare…), sostegno (es. sono qui per aiutarla…) e cercare attra-verso la negoziazione di costruire un’alleanza terapeutica su quello che è necessario fare in concreto nel presente. Le recriminazioni sul passato sono inutili dato che non è modificabile. È importante attener-si al problema pratico, evitando di lasciarsi trascinare su questioni di

principio, di passare da un argo-mento conflittuale all’altro, di par-tecipare ad uno scambio di accuse, di lasciarsi coinvolgere in atteggia-menti di ostilità reciproca. Bisogna evitare di minimizzare le emozioni del paziente, di giustifi-carsi da eventuali accuse, di fare domande che sottintendono giudi-zi, di esprimere rimproveri paterna-listici e false rassicurazioni che possono essere percepite dal pa-ziente come un’ingiusta e irritante minimizzazione delle sue aspettati-ve e bisogni.È inutile e dannoso tentare di met-tere il paziente psicotico di fronte alla mancanza di razionalità delle sue convinzioni deliranti oppure accettare di sostenere una discus-sione che diventa un conflitto di

potere con un paziente in fase maniacale. È necessario ricono-scere e comunicargli di aver com-preso i suoi sentimenti (paura, rab-bia, angoscia) piuttosto che mette-re in discussione la veridicità del suo delirio. Può accentuare la con-flittualità l’indifferenza percepita dal paziente come mancanza di considerazione o anche un atteg-giamento troppo accondiscenden-te del medico: il paziente dovrebbe sempre percepire che il medico ha il controllo della situazione.Quando il paziente ha finito di parla-re, è consigliabile per il medico esporre con calma e chiarezza il proprio punto di vista, richiamando l’attenzione del paziente sulle rispo-ste condivise e possibili per i biso-gni espressi. Se la negoziazione si

Tabella 1

Le 5 fasi del ciclo dell’aggressività e le tecniche di de-escalation

Fase del ciclo Sintomi clinici possibili Interventi consigliati

1. Scatenamento (trigger)

• Stimoli percepiti ostili • Condotte di allerta e aggressività• Inibizione delle capacità di problem solving

e comunicazione costruttiva

Riconoscere il fattore scatenante e tentare di rimuoverlo: negoziare con tono basso, mantenere un dialogo, mostrare considerazione e serio intento di trovare soluzioni condivise

2. Escalation

• Aumento di agitazione• Minacce o insulti• Atti di violenza contro cose • Ideazione paranoidea• Paura incontrollata

Non affrontare da soli l’utente, non dargli le spalle, mantenere una distanza di sicurezza e il contatto visivo senza fissarlo negli occhi, usare un tono basso e pacato e un linguaggio appropriato alla persona, riconoscere i messaggi della condotta, focalizzare il colloquio solo sui motivi concreti alla base del conflitto, non rimproverare e non risponderecon toni alti a provocazioni, offrire ascolto e l’aiuto possibile

3. Crisi • Massima eccitazione incontrollata• Atti di violenza verbale e/o fisica

Garantire la sicurezza, la protezione propria e delle persone e come extrema ratio il contenimento o la fuga, chiamata alle forze dell’ordine

4. Recupero Riduzione di eccitamento ma alta vulnerabilità a nuovo trigger con recidive della condotta violenta

Evitare nuovi trigger quali: rimproveri, discussioni, intempestive rielaborazioni dei fatti

5. Depressione post-crisi

• Rientro dei sintomi emotivi nella condotta abituale

• Sentimenti di colpa

Evitare biasimi e dare sostegno per una critica maturazione di accaduto e circostanze scatenanti

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rivela impossibile, il medico deve accettare il fatto che il paziente non ammetta le sue ragioni e rimanga ostile, senza mostrare rancore ver-so il paziente. Può essere utile esprimere rammarico per la conclu-sione del colloquio senza un accor-do, dimostrando comunque dispo-nibilità ad offrire quando richiesto la propria assistenza.Se l’aggressività del paziente si mostra crescente può essere utile ridefinire il problema ed eventual-mente accettare in modo strategi-co la scelta del paziente.Situazioni ad alto rischio di violenza improvvisa sono la comunicazione al paziente che si intende trattener-lo o trattarlo contro la sua volontà (TSO) e la sua espressa convinzio-ne delirante che stia per accadere qualcosa di pericoloso. Se il paziente esprime l’intenzione di lasciare lo studio medico, non

bisogna opporsi al suo allontana-mento od ostruirgli la via d’uscita perché ciò potrebbe scatenare una reazione violenta, a meno che non si intenda procedere con un TSO, nel qual caso è utile prima allertare personale di supporto e le forze dell’ordine. La gestione dell’aggressività e dei disturbi del comportamento in fa-se acuta comprende dunque inter-venti relazionali con tecniche di de-escalation e poi eventualmente un trattamento farmacologico di rapida tranquillizzazione (tabella 2) per ridurre i disturbi, il rischio di comportamenti violenti autolesivi o verso terzi e il ricorso al TSO per cure indifferibili, previsto dagli artt. 34 e 35 della legge 833/1978 con richiesta di intervento delle forze dell’ordine e allertamento del me-dico accettante della struttura indi-viduata per l’eventuale ricovero.

¼¼ Gestione cronica dell’aggressività

Fattori comuni che inducono a provare rabbia sono gli errori di giudizio definiti distorsioni cogniti-ve, la rigidità di pensiero con ten-denza a considerare le proprie preferenze come bisogni assoluti o doveri anche per gli altri, la ten-denza ad attribuire le proprie man-canze alla situazione e le mancan-ze degli altri a comportamenti per-sonali negativi intenzionali ed egoi-stici. Il training delle Abilità Sociali e dell’Autocontrollo è un program-ma psicoterapeutico di gruppo consigliabile a chi è consapevole e motivato a migliorare a lungo ter-mine le capacità personali di rap-portarsi con gli altri.

Tabella 2

Trattamento acuto dell’aggressività nell’adulto: opzioni farmacologiche di tranquillizzazione rapida

Via di somministrazione Farmaci

Terapia orale (via preferibile)

• Lorazepam 1-2,5 mg o delorazepam 1-2 mg se già in terapia con antipsicotici (ripetere dopo 45-60 min)• Se in terapia con antipsicotici con ECG nella norma somministrare l’AP in uso cronico• Prometazina 25 mg

Terapia intramuscolare

• Delorazepam 2-5 mg 1 f (tenere a disposizione flumazenil)• Prometazina 50 mg• Aloperidolo 5 mg 1 f (farmaco im di ultima scelta per alto rischio di distonia acuta e QT allungato;

associabile a prometazina).Ripetere dopo 30-60 min

Terapia endovenosa• Diazepam 10 mg 1 f in almeno 10 min, ripetere dopo 5-10 min (max 3 volte);

tenere a disposizione l’antidoto flumazenil

Avvertenze

Di norma è possibile contattare lo psichiatra reperibile tramite tel. 112 per un consulto. Le benzodiazepine non sono di prima scelta nei disturbi acuti del comportamento in età geriatrica e nell’adolescenza. Nei disturbi comportamentali acuti da demenza può essere utile promazina (25 gtt = 50 mg) o l’antipsicotico clotiapina (10 gtt=33 mg) preferibilmente per via orale. Nell’età evolutiva si utilizzano antipsicotici atipici su prescrizione specialistica. Dopo sedazione bisogna monitorare i parametri vitali (FC e respiratoria, PA, temperatura e saturazione O2).

Linee guida NICE 2015, integrate

Bibliografia disponibile a richiesta

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Postura e linguaggio corporeo

1. Avvicinarsi al paziente mostrando un atteggiamento tranquillo e rilassato, senza tenere le braccia conserte o le mani in tasca: tenere le mani in vista rassicura il malato, poiché si dimostra di non nascondere nulla e di non avere potenziali armi con sé.

2. Non volgere mai le spalle al paziente ed evitare di posizionar-si di fronte a lui: dargli le spalle può scatenare manifestazioni di rabbia e rendere l’operatore un facile bersaglio. È consigliata una posizione ad angolo che comunica più disponibilità al dialo-go e favorisce un più rapido allontanamento in caso di violenza.

3. Mantenere il contatto oculare, senza fissare il paziente e in-coraggiare l’utente a sedersi, ma in caso di rifiuto si raccoman-da anche al sanitario di rimanere in piedi.

4. Non sorridere, gesticolare e, soprattutto, non toccare il paziente: questo tipo di comportamenti possono assumere significati ostili per l’utente. La distorsione cognitiva attuata da persone agitate porta a fraintendere il contatto fisico come minaccioso, il sorriso come derisione e il gesticolare come segno irritante di agitazione.

1. Rispondere con la massima calma, dimostrando di avere la situazione sotto controllo.

2. Non rimproverare il paziente: spesso non è cosciente dell’irra-zionalità delle sue azioni. La sua rabbia è una manifestazione del suo disagio e della sua paura.

3. Non simulare indifferenza: la minimizzazione può aumentare l’aggressività del paziente.

4. Essere empatico con i sentimenti ma non con i comportamen-ti: è necessario fargli capire l’intenzione di comprendere il suo disagio, offrire aiuto, ma che non sono accettabili comporta-menti violenti o minacce.

5. Qualsiasi intervento ponderato deve essere fatto con fer-mezza, con il coinvolgimento del paziente, spiegandogli li-miti e ruoli in modo autorevole, senza diventare mai aggres-sivi.

6. Essere molto rispettosi verso il paziente: il paziente agitato è sensibile alla vergogna e alla mancanza di rispetto. Bisogna far-gli capire che non è necessario che sia lui a mostrarci che deve essere rispettato.

7. Non stare sulla difensiva: commenti e insulti, anche se diretti al sanitario, non devono essere personalizzati e serve difendere se stessi o il proprio ruolo dalle accuse.

1. Chiamare sempre per cognome il paziente: è segno di ri-spetto e di attenzione.

2. Ascoltare tutto ciò che il paziente dice, anche se incoerente, senza polemizzare: facilita un dialogo produttivo per trovare le ra-gioni della sua aggressività e le cause scatenanti.

3. Mostrare disponibilità all’ascolto, riutilizzando nella comunica-zione le parole del paziente: dimostra al paziente che il sanitario lo sta ascoltando con l’intenzione di aiutarlo.

4. Porre il paziente davanti a scelte alternative: si distrarrà il sog-getto dal problema principale, poiché tutta la sua attenzione sarà rivolta altrove.

5. Focalizzare il dialogo nel cercare di rispondere all’esigenza immediata del paziente, in modo che lui comprenda che il sani-tario sta cercando veramente di aiutarlo.

6. Rispondere alle domande in modo selettivo: a tutte le domande si deve rispondere con un contenuto di informazione, senza curarsi di quanto aggressivamente siano state poste. Non rispondere inve-ce a domande provocatorie e insulti.

7. Cercare di entrare in contatto con il paziente a livello cognitivo: ad esempio, invece di chiedere “mi dica come si sente” si può usare una formula come “mi aiuti a capire quello che mi vuole dire” in modo da impegnare il paziente a spiegare ciò che vuole che il sanitario sappia.

Key Points: come comportarsi nel colloquio con paziente aggressivo

Il sanitario deve mostrare autocontrollo

Comunicazione e linguaggio verbale

Parlare chiaramente e lentamente, con tono di voce pacato e rassicurante: spesso il paziente tende a percepire più il tono che il contenuto e un tono rassicurante può ridurre l’aggressività

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L’angina è in costante crescita, in dieci anni (2002-2012) in Italia è aumentata del 36%

fra gli uomini (dall’1.9 al 2.6% nella fascia d’età 35-74 anni) e del 16% fra le donne (dal 3.7 al 4.3%). La terapia farmacologica per con-trollare e ridurre questo sintomo è stata classificata per decenni dalle linee guida internazionali in due grandi categorie distinte: farmaci di prima scelta (beta-bloccanti, bloc-canti dei canali del calcio, nitrati) e di seconda scelta (ivabradina, rano-lazina, trimetazidina, nicorandil). I più importanti esperti al mondo oggi suggeriscono un approccio per-sonalizzato, “a diamante” (figura 1), che superi quella distinzione e guar-di alle caratteristiche del singolo pa-ziente e della patogenesi. L’angina infatti ha cause multiple: l’ateroscle-rosi, lo spasmo coronarico o le alte-razioni del microcircolo. A seconda delle cause e della tipologia del pa-ziente, la cura cambia. La nuova “via” è descritta in un articolo (A ‘diamond’ approach to personalized treatment of angina) pubblicato su Nature Reviews. L’Ita-lia ha offerto un contribuito decisivo alla ricerca. Il documento di consenso suggeri-sce un approccio diverso rispetto a quello contenuto nelle linee guida,

identiche da decenni. La demarca-zione fra le due categorie risponde solo alla tradizione, non è sostenuta da alcuna evidenza scientifica ed è contraria al principio di innovazione.

¼¼ Il punto sui trattamenti

I farmaci di prima scelta sono anco-ra efficaci ma sono stati introdotti più di 50 anni fa, i beta-bloccanti nel 1965, gli antagonisti del calcio nel 1974, i nitrati addirittura nel 1867. I farmaci considerati di seconda scelta sono innovativi e presentano meno effetti collaterali. Inoltre sono stati approvati dalle autorità regola-torie pochi anni fa in base a regole più stringenti rispetto a quelle in vi-gore in passato. Ad esempio gli studi clinici che hanno condotto all’approvazione di ivabradina hanno coinvolto più di 14mila pazienti, per i beta-bloccanti invece meno di 1.000 anche se, ovviamente, i beta-bloccanti sono stati utilizzati in mi-lioni di pazienti, ma non in studi controllati. E non vi sono studi di confronto che ad esempio dimostri-no che un beta-bloccante funzioni meglio di ivabradina o di ranolazina. Le più recenti evidenze dimostrano anzi come risulti più efficace la stra-tegia di associare più molecole con meccanismi d’azione sinergici (quali

ad esempio beta-bloccanti, ivabradi-na, ranolazina e trimetazidina) piutto-sto che l’aumento del dosaggio del solo beta-bloccante, che spesso si associa ad effetti collaterali significa-tivi e ad eventi avversi severi soprat-tutto nella popolazione anziana. L’uso di farmaci quali i nitrati a lunga durata di azione (cerotti o formula-zioni orali) che rappresentano circa il 70% dei trattamenti anti-anginosi in Italia è poco o nulla efficace e può essere dannoso per i pazienti, come sottolineato dalla Società Eu-ropea di Cardiologia.

¼¼ Utilità della nuova proposta per i Mmg

La distinzione rigida sostenuta dalle linee guida ha spesso determinato un uso acritico delle terapie di prima scelta da parte dei clinici senza con-siderare il paziente e la patologia di base che si trova dietro l’angina. Il nuovo approccio può essere par-ticolarmente utile ai medici di fami-glia e richiede un maggior sforzo da parte del clinico che è così in-dotto a considerare nel merito le condizioni del paziente, che po-trebbe ad esempio presentare an-gina con tachicardia o bradicardia, ipertensione o ipotensione, fibrilla-zione atriale, diabete, malattia re-

In un documento di consenso internazionale un gruppo di esperti suggerisce un nuovo approccio personalizzato, cosiddetto “a diamante”, per il trattamento dell’angina pectoris stabile, a partire

dalla centralità del paziente, dalle comorbidità e dal meccanismo sottostante la malattia

Roberto Ferrari1, Giuseppe Rosano2

1Direttore Cardiologia e Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Ferrara 2Professore di Cardiologia al St George’s Hospital University of London e Direttore della ricerca cardiovascolare all’IRCCS San Raffaele di Roma

Personalizzare il trattamento dell’angina

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nale cronica o ipertiroidismo. Come dimostrato dallo studio START che ha coinvolto più di 1.400 pazienti, esiste una netta differenza nell’impiego di queste terapie: ad esempio da un lato i beta-bloccanti sono utilizzati nel 77% dei casi, dall’altro la ranolazina solo nel 12% e l’ivabradina nel 7%. L’angina stabile è la più frequente manifestazione della malattia coro-narica di cui costituisce la fase inizia-le in circa la metà dei casi. Questi pazienti presentano un restringimen-to delle arterie coronarie che si ma-nifesta in maniera evidente quando il cuore è sotto sforzo. Il dolore nell’an-gina stabile si ripete in maniera co-stante in relazione a un determinato livello di affaticamento e dura poco tempo, qualche minuto, altrimenti saremmo di fronte a un infarto. La qualità di vita di queste persone è molto bassa: il dolore toracico è fonte di grande preoccupazione che determina a sua volta un au-mento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa che cau-sano un peggioramento dei sinto-mi, dando origine così a un vero e proprio circolo vizioso. La riduzione del dolore può essere ottenuta anche attraverso la riva-scolarizzazione, angioplastica, indi-cata solo in casi di emergenza quali le sindromi coronariche acute o in presenza di una percentuale di ischemia miocardica molto impor-tante. Altrimenti l’opzione efficace è costituita dalla terapia medica. Fino ad oggi, nessuno studio è mai riuscito a dimostrare la superiorità della angioplastica da sola o con l’utilizzo di stents rispetto alla tera-pia medica. Pertanto la terapia me-dica riveste un ruolo di primaria im-portanza nel trattamento dei pa-zienti con angina o con malattia co-ronarica. Utilizziamo da un lato i

farmaci (aspirina, statina o ace-inibi-tori), che permettono di migliorare la sopravvivenza, obiettivo che non può essere raggiunto con l’inter-vento di rivascolarizzazione, dall’al-tro farmaci in grado di ridurre il do-lore, che abbiamo analizzato nel documento di consenso. Se un paziente con angina presenta tachicardia, devono essere sommi-nistrate molecole che riducano il numero dei battiti, se ha ipertensio-ne quelli che riducono la pressione, ecc: scelte ragionate a cui conduce proprio l’approccio a diamante.

¼¼ Il paziente al centro

Abbiamo posto il paziente, la patolo-gia e le sue comorbidità al centro. E abbiamo considerato sullo stesso piano tutti i farmaci a disposizione per il controllo del dolore, li abbiamo inseriti in un ipotetico cerchio e li abbiamo uniti con linee che formano una specie di diamante (da qui “dia-

mond approach”): abbiamo indivi-duato le molecole che non devono essere usate insieme, quelle da im-piegare in associazione, i farmaci ‘neutrali’, che non presentano cioè controindicazioni, infine quelli con un meccanismo d’azione simile. Abbia-mo realizzato anche delle mappe, pubblicate nel paper su Nature Re-views, sempre a forma di diamante, che tengono conto della prescrizione dei farmaci in presenza di comorbidi-tà (quali diabete, malattie polmonari, scompenso cardiaco, ipertensione). Siamo convinti che questa nuova prospettiva si tradurrà in un netto miglioramento delle cure per i malati.

Figura 1

Trattamento dell’angina: approccio “diamond”

Beta-bloccanti

Nicorandil

Trimetazidina

Ivabradina

Verapamil - Diltiazem

Ranolazina

Diidropiridine

• Ferrari R, Camici PG, Crea F, Danchin N, Fox K, Maggioni AP, Manolis AJ, Marzilli M, Rosano GMC, Lopez-Sendon JL. Expert consensus document: a ‘diamond’ approach to personalized treatment of angina. Nature Reviews Cardiology 2017; doi:10.1038/nrcardio.2017.131

Bibliografia

mod. daNature Reviews Cardiology 2017

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d o c u m e n t i

40 ■ M.D. Medicinae Doctor - Anno XXIV numero 7 - ottobre 2017

¼¼ Il sospetto

La stima del consumo giornaliero di alcol può essere effettuata usando l’unità alcolica (UA) o drink. L’UA corrisponde a 12-13 g di etanolo puro contenuto in un bicchiere di vino da 125 mL, o in 330 mL di birra o in 40 mL di su-peralcolico. Il limite di assunzione giornaliera varia in base alla capa-cità di metabolizzazione epatica, che differisce per sesso ed età, ed è ritenuto essere di massimo 20 g/die per la donna e 30 g/die per l’uomo.Qualora la raccolta dei dati anam-nestici non sia facile ed affidabile, per la valutazione di eventuale comportamento a rischio o di de-dizione eccessiva all’alcol, l’atten-zione del Mmg deve ricadere an-che sui fattori indiretti (incidenti stradali e domestici, frequenti cambi di lavoro e ricorso al PS, sospensione/ritiro della patente, problemi legali, comportamenti aggressivi, violenza verso familiari e soprattutto bambini). Il sospetto può essere rafforzato dal riscontro dell’alterazione di al-cuni parametri laboratoristici, an-che se nessun test è valido in as-soluto ai fini di definire l’eziologia

alcolica del danno epatico, ma va-lutando insieme i risultati di più in-dagini (γGT, MCV, AST) si può raggiungere una adeguata sensibi-lità e specificità diagnostica. Poiché solo il 20-30% dei bevitori sviluppa una malattia epatica seve-ra, la probabile presenza di cofatto-ri (es. infezioni virali, sindrome me-tabolica, farmaci e tossici ambien-tali) potrebbe accelerare la pro-gressione della malattia. Le condizioni acute sono riassu-mibili in:• epatite alcolica, coma etilico, sin-drome da astinenza.I quadri cronici sono rappresenta-ti da:• steatosi epatica e steatoepatite, cirrosi.Il Mmg occupa una posizione age-volata per poter sospettare l’eziolo-gia etilica del problema epatico in quanto è spesso già a conoscenza del contesto socio-familiare in cui il paziente vive. Tuttavia non deve essere mai tralasciata l’ipotesi che un’epatite acuta in un alcolista pos-sa essere determinata anche da altre cause, così come la presenza di alitosi etilica in un paziente in stato di coma indica un’avvenuta assunzione di alcol ma non che il coma dipenda necessariamente

dall’alcol (può avere anche altra causa: traumatica, chetoacidosica, ipoglicemica, ecc...). Altrettanto dicasi per l’epatopatia cronica: un paziente che beve può avere una cirrosi da virus o da al-tra causa (emocromatosi, Wilson, ecc...) e l’alcol può essere solo un cofattore di danno.Le abitudini etiliche devono essere desunte da un approccio anamne-stico mirato in cui è importante ri-cercare correttamente vari aspetti: la quantità giornaliera di alcol inge-rito, l’età di inizio del consumo, l’assunzione quotidiana o concen-trata al fine settimana, l’uso ai pa-sti o fuori dei pasti, in occasione di feste, fattori inducenti al consumo, episodi di ubriachezza, assentei-smo dal lavoro per postumi di sbornia, problemi legali connessi all’alcol, ecc.Il paziente può riferire (o il medico può verificare) episodi di tremori, vomito mattutino, amnesie, aste-nia, sintomi dispeptici, incidenti stradali o sul lavoro. L’esame obiettivo non deve tralasciare tra le varie valutazioni di cercare le caratteristiche dell’alito (alitosi al-colemica) quale segno di ingestio-ne recente di bevanda alcolica, lo stato di nutrizione, l’eventuale

Sono indicazioni pratiche quelle contenute nel documento elaborato e condiviso dall’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato e dalla Simg e rappresentano un

rapido strumento di consultazione, utile a fornire semplici e chiare indicazioni sulla gestione del paziente con malattia epatica alcol-correlate di cui proponiamo una sintesi

Alcol ed epatopatie: gestione condivisa tra Mmg e specialista

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atrofia testicolare, la ginecoma-stia, la perdita dei peli cutanei, la presenza di spider nevi, ecc.Possono essere altresì presenti congiuntiva iniettata o acquosa, tremori, sudorazione, ansia, distur-bi tattili, uditivi e visivi, ipertensio-ne arteriosa, tachicardia. Gran par-te di questi segni clinici possono essere legati sia all’abuso di alcol che ad una sindrome da astinenza.L’anamnesi si avvale anche di test di prevalente competenza specia-listica atti a valutare la dipenden-za (CAGE e AUDIT). Il Mmg può eventualmente sottoporre al pa-ziente la forma breve dell’AUDI, che ha una sensibilità del 54-98% ed una specificità del 57-93% nell’individuare la dipendenza ma non il rischio.

¼¼ Inquadrare il paziente nel suo contesto generale di salute

Una volta realizzato che un pazien-te abusa in bevande alcoliche e in-dipendentemente dalla presenza di danno epatico, la ricerca di un eventuale interessamento lesivo di altri organi ed apparati, sia per con-tatto diretto con la mucosa (tratto digestivo superiore) che per diffu-sione parietale e sistemica o per effetti secondari (per es. carenze nutrizionali), deve essere avviata in maniera sistematica già al momen-to della diagnosi e ripetuta periodi-camente nel caso in cui non sia avvenuta un’astensione definitiva.L’inquadramento iniziale e la ricer-ca attiva e periodica di eventuali danni correlati all’uso di alcolici deve essere avviata dal Mmg, il quale, per il completamento dell’i-ter diagnostico-terapeutico, potrà decidere se inviare il paziente nel Centro Alcologico (NOA e/o SerT) territoriale dove avvalersi della

valutazione sia dell’alcologo che di altri specialisti.Il coinvolgimento dello specialista dipende strettamente dal tipo di complicanze presenti ed è da valu-tare su base individuale.

¼¼ Gestione multidisciplinare

La disassuefazione da alcol richie-de molto spesso un intervento complesso; il trattamento necessi-ta di un approccio multidisciplinare basato sull’utilizzo di strumenti sia di tipo psicologico (counselling, psicoterapia, gruppi di auto-aiuto) che farmacologico.La terapia farmacologica dell’AUD si basa su • farmaci ad azione di interdizione/avversione: disulfiram• farmaci anticraving: naltrexone, acamprosato, gamma-idrossibutir-rato (GHB) o sodio oxibato, nalme-fene, baclofen.

¼¼ Follow-up

Il paziente con patologia alcol-cor-relata necessita di stretto e pun-tuale monitoraggio, nell’ambito di un approccio multidisciplinare. Tut-tavia, per quanto concerne la ma-lattia epatica, alcuni concetti gene-rali devono essere sempre tenuti in considerazione:• la comparsa di un’epatite acuta su un danno cronico può essere riconducibile ad un abuso occasio-nale, che deve essere ricercato.• In qualunque stadio di malattia il paziente si trovi, l’abolizione dell’alcol riduce il danno, migliora la prognosi e riduce il rischio di progressione.• Il follow-up della malattia non dif-ferisce da quello delle altre epato-patie croniche (controllo semestra-le di esami di laboratorio ed ecogra-

fia nelle forme non cirrotiche).• Particolare attenzione deve esse-re posta all’uso di farmaci di ogni tipo, per possibili alterazioni meta-boliche e per potenziale aggravio dell’epatotossicità.• Una variazione seppur minima degli esami di laboratorio (aumen-to di AST e/o MCV e/o γGT e/o tri-gliceridi e/o uricemia e/o IgA) o la ricorrenza di altri indicatori deve sempre far sospettare una ripresa dell’abitudine alcolica.• Nel sospetto di persistenza di abuso o di ricaduta, sarebbe auspi-cabile coinvolgere uno o più fami-liari e sottoporre il paziente al test CAGE o AUDIT.

¼¼ Educazione e prevenzione

Il coinvolgimento attivo nei diversi contesti operativi (scuola, lavoro, tempo libero, sport, scuola guida.) rappresenta il sistema migliore per la diffusione radicale dei messaggi corretti. In questo quadro d’inter-vento, il Mmg rappresenta una fi-gura importante per la diffusione di corrette informazioni e di confer-me personalizzate, di promozione di modelli comportamentali, ma allo stesso tempo occupa il ruolo vigile nell’ambito della prevenzione secondaria. Quest’ultima deve es-sere rivolta non solo ai giovani e agli anziani, alle donne in gravidan-za/allattamento, a chi svolge attivi-tà lavorative pericolose, di preci-sione e di guida, a chi assume psicofarmaci, ed a tutti coloro con disturbi organici che potrebbero essere aggravati dall’assunzione di alcolici.

Il documento integrale è disponibile:www.simg.it

www.webaisf.org

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A l 1° gennaio 2016 la presen-za straniera in Italia ha rag-giunto l’8.3% della popola-

zione residente, una quota molto ri-levante, che presenta caratteristiche di salute e di accesso ai servizi sani-tari spesso diversi da quelle della popolazione italiana e con cui il Ssn deve confrontarsi.Questo studio (basato sul campione rappresentativo della popolazione residente in Italia dell’indagine Multi-scopo Istat 2013 “Salute e ricorso ai servizi sanitari”) ha l’obiettivo di valu-tare il ruolo di alcuni fattori potenzial-mente associati al ricorso a visite mediche da parte della popolazione immigrata, effettuando un confronto con la popolazione italiana. Lo studio trasversale è stato condotto su un campione di cittadini nella fascia di età 18-64 anni (72.476 individui) che rappresentava una popolazione di 37.290.440 persone residenti in Ita-lia (33.900.000 italiani e 3.390.440 stranieri) nel 2013. Lo status di im-migrato è stato definito in base alla cittadinanza.

¼¼ Principali misure di outcome

È stato utilizzato come outcome l’indicatore sul ricorso a visite medi-che, costruito a partire dal quesito: • “Nelle ultime 4 settimane ha fatto ricorso a visite effettuate dal medico di famiglia, pediatra, o da medici spe-cialisti (oculista, dentista, ecc?”. A partire da tale outcome, utilizzando il quesito: • “Mi può indicare il motivo prevalen-te delle visite effettuate nelle ultime 4 settimane?”, sono stati costruiti due ulteriori variabi-li di esito, per valutare separatamente:• il ricorso a visite mediche per “ma-lattie o disturbi”; • per “controllo dello stato di salute in assenza di malattie o disturbi”. Per ciascun outcome è stato costrui-to un modello di regressione logisti-ca, considerando come variabili indi-pendenti informazioni relative al livel-lo socioeconomico e di condizione di salute dell’intervistato.

¼¼ Risultati

Il 21,4% degli stranieri (18-64 anni) residenti in Italia ha fatto ricorso a visite mediche (sia dal medico di fa-

miglia che dallo specialista) nelle quattro settimane precedenti l’inter-vista, percentuale inferiore al 27% registrato tra i cittadini italiani. Nella tabella 1 è presentato il confron-to tra cittadini italiani e stranieri rispet-to alla distribuzione delle motivazioni del ricorso a una visita medica, degli stili di vita e dello stato di salute.Nel campione studiato è più frequen-te la prevalenza di donne tra i cittadi-ni stranieri, che sono più rappresen-tati nelle classi di età più giovani ri-spetto agli italiani.Circa l’80% degli stranieri risiede nelle Regioni settentrionali e centrali, nelle quali vive meno del 60% dei cittadini italiani. Rispetto agli italiani, gli stranie-ri presentano meno frequentemente un elevato livello di istruzione e risorse economiche riferite come ottime o adeguate, ma la percentuale di chi si dichiara occupato è lievemente più al-ta degli italiani. È maggiore anche la percentuale di stranieri che dichiara di non aver mai fumato, mentre gli italiani sono più spesso ex fumatori. Gli italiani dichiarano più frequente-mente degli stranieri di svolgere nel tempo libero attività fisica moderata o rilevante, mentre non si rilevano differenze tra i due gruppi rispetto

“Fattori associati al ricorso a visite mediche: confronto tra cittadini italiani e stranieri residenti in Italia” è uno studio trasversale che offre molti spunti di discussione.

In primis gli immigrati residenti tendono a manifestare problemi di salute delle fasce di popolazione autoctona più svantaggiate al crescere della loro permanenza

nel Paese ospitante, presumibilmente per la perdita del vantaggio iniziale di salute legata al cosiddetto “effetto migrante sano”

Anteo Di Napoli,1 Monica Perez,2 Alessandra Rossi,1 Daniele Spizzichino,2 Laura Iannucci,2 Lidia Gargiulo,2 Daniela Panaccione,2 Concetta Mirisola,1 Alessio Petrelli1

Visite mediche, il confronto italiani-stranieri

1 Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (INMP), Roma

2 Istituto nazionale di statistica (Istat), Roma

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alla distribuzione dell’indice di massa corporea. Da rilevare anche come la prevalenza di persone che riferisce di soffrire di almeno una grave patolo-gia cronica sia più alta tra gli italiani rispetto ai cittadini stranieri.I risultati dei modelli di regressione logistica hanno mostrato che, tenen-do conto delle caratteristiche socioe-conomiche, degli stili di vita e dello stato di salute degli intervistati, gli stranieri hanno una probabilità inferio-re rispetto agli italiani di ricorrere a una visita medica, sia nel caso in cui si valutino visite motivate da qualche problema di salute (OR: 0,80; IC95% 0,73-0,87), sia quando la visita medica è effettuata con finalità di tipo preven-tivo (OR: 0,72; IC95% 0,64-0,82).

¼¼ Discussione e conclusioni

I servizi sanitari europei si stanno solo lentamente adattando al fabbisogno

assistenziale dei migranti, essendo stati a lungo focalizzati principalmente sulle malattie infettive, alle quali in-dubbiamente i migranti possono es-sere stati esposti durante il percorso migratorio, ma che costituiscono un problema del tutto residuale in termi-ni complessivi di sanità pubblica.In generale, gli immigrati residenti tendono a manifestare i problemi di salute delle fasce di popolazione più svantaggiate del Paese ospitante: con la durata della permanenza si osserva infatti la perdita del vantag-gio iniziale di salute legata al cosid-detto “effetto migrante sano”. Lo scemare di tale effetto con la du-rata della permanenza è stato osser-vato anche in altri contesti, come conseguenza di alcune cause, tra cui il minore accesso ai servizi sanitari. Le popolazioni immigrate, in tale otti-ca, vanno considerate come un grup-po più vulnerabile in termini di salute,

tenendo conto tuttavia che si tratta di gruppi molto eterogenei tra loro, cia-scuno con i propri specifici problemi.Una maggiore propensione alla pre-venzione, per esempio nel caso dello screening oncologico per tumore al seno e della cervice uterina, è associa-ta alla presenza di italiani in famiglia, presumibilmente perché gli stranieri che vivono con italiani sono agevolati nel processo di integrazione e nell’ac-cesso all’assistenza sanitaria. Garanti-re equità di accesso a livelli di assisten-za appropriati per gli immigrati è fonda-mentale, in quanto si è dimostrato che una efficace capacità di presa in carico e di risposta del sistema sanitario già al primo contatto è in grado di ridurre le disuguaglianze di salute.

Il testo integrale dello studio è disponibile in Epidemiologia & Prevenzione 2017;

Anno 41 (3-4) - www.epiprev.it

Tabella 1

Ricorso a visite mediche, caratteristiche sociodemografiche e cliniche, per cittadinanza*

Italiani Stranierin. % n. % p-value

67.295 92,9 5.181 7,1Visite nelle ultime 4 settimane sì 18.184 27,0 1.108 21,4 <0,01- per malattie/disturbi sì 9.560 14,2 627 12,1 <0,01- per controllo dello stato di salute in assenza di malattie/disturbi sì 5.181 7,7 290 5,6 <0,01- per prescrizione di ricette sì 5.410 8,0 280 5,4 <0,01- per certificati o atti amministrativi sì 829 1,2 34 0,7 <0,01- per altro sì 932 1,4 54 1,0 <0,05

IMCnormopeso/sottopeso 39.698 59,0 3.097 59,8

nssovrappeso/obeso 27.597 41,0 2.084 40,2

Abitudine al fumomai fumatore 35.516 52,8 3.193 61,6

<0,01fumatore attuale 17.295 25,7 1.215 23,5ex fumatore 14.484 21,5 773 14,9

Attività fisica con sforzo rilevante o moderatosì 21.563 32,0 1.053 20,3

<0,01no 45.732 68,0 4.128 79,7

Almeno 1 grave condizione di cronicitàno 61.105 90,8 4.822 93,1

<0,01sì 6.190 9,2 359 6,9

* Istat, 2012-2013 Mod da Epidemiologia & Prevenzione 2017; Anno 41 (3-4)

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A chi sostiene che provare compassione per il paziente è imprescindibile per curarlo

bene viene chiesto quasi sempre: “Quando la persona che dovremmo assistere non suscita in noi compas-sione, ma emozioni come ansia, rabbia, tristezza, quando ci fa perdere la pazienza, cosa dovremmo fare?”Per rispondere a questa domanda, premesso che le emozioni si scate-nano automaticamente e che non possiamo sceglierle, dobbiamo chie-derci se e come sia possibile mutare uno stato emotivo, che giudichiamo inadeguato alle circostanze.Innanzitutto, sappiamo cosa sono, come nascono ed a cosa servono le nostre emozioni, quelle che gli anti-chi filosofi chiamavano passioni? In passato si disponeva solo di infor-mazioni ottenute grazie a studi sugli animali e all’osservazione degli esiti nell’uomo di traumi cerebrali e di in-terventi neurochirurgici; attualmente ci vengono in soccorso più recenti acquisizioni neurofisiologiche, otte-nute grazie al brain imaging.

¼¼ Meccanismi neuroendocrini di regolazione emozionale

A livello cerebrale possiamo indivi-duare almeno tre meccanismi neu-

roendocrini di regolazione emo-zionale. Ognuno di essi ha un suo specifico compito, ma interagiscono, stabi-lendo un equilibrio, bilanciandosi.Studi di neuroanatomia comparata consentono di capire in che ordine cronologico, filogenetico abbiano fatto la loro comparsa nella storia dell’evoluzione. Uno dei più antichi è un sistema - i cui componenti anatomofunzionali principali sembrerebbero essere le aree posteriori dell’ipotalamo, l’ip-pocampo, l’amigdala (nuclei latera-le, basale e centrale), la sostanza grigia periacqueduttale mesence-falica e l’ipofisi - il cui compito è quello di riconoscere rapidamente potenziali minacce e di farci prova-re emozioni, come la rabbia, l’an-sia e il disgusto, che sono dipen-denti dal cortisolo, dalla serotoni-na, dall’adrenalina e dalla noradre-nalina, la cui utilità è quella di pre-pararci a rispondere con la lotta o la fuga o la sottomissione (threat-safety focused).La nostra sicurezza dipende dalla rapidità della risposta ad una po-tenziale minaccia; la si deve al fatto che l’amigdala riceve dal ta-lamo le informazioni sensoriali pri-ma che esse arrivino alla cortec-

cia, quindi la risposta emotiva si verifica senza la necessità di aspettare una valutazione cogniti-va di ciò che sta accadendo. E’ l’amigdala, localizzata nel lobo temporale, ad indurre direttamen-te, oltre alle reazioni vegetative e ormonali, quelle automatiche mo-torie, tipicamente le espressioni facciali e la postura “da combatti-mento”, mediante l’attivazione dei gangli della base.Un altro sistema che ha i suoi prin-cipali componenti a livello paleoen-cefalico è quello il cui compito è indurci a cercare ciò che serve alla sopravvivenza dell’individuo e del-la specie ed al nostro appagamen-to (ad esempio cibo, sesso, allean-ze, status), facendoci sentire - gra-zie alla dopamina - motivati, eccita-ti e pieni di energia (incentive-re-source focused); i neuroni che ci spingono a cercare si trovano nell’area tegmentale ventrale, so-no in contatto sinaptico con l’ipota-lamo dorso-laterale e terminano al nucleus accumbens, inoltre si por-tano verso l’alto al giro del cingolo anteriore e ad altre aree corticali dei lobi frontali, mentre verso il basso si dirigono all’amigdala.Il sistema di regolazione più re-cente, è quello che più dipende

Partendo dalle emozioni che i pazienti suscitano nel medico si descrivono i meccanismi di regolazione emozionale e la Compassion Focused Therapy, che agisce su di essi

per aumentare la compassione verso di sé e gli altri

Stefano Alice, Mara Fiorese, Maurizio Ivaldi - Medicina Generale, Genova

La compassione e la regolazione emozionale

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dai rapporti del sistema limbico con la neocorteccia cerebrale e ha la funzione di promuovere i com-portamenti sociali affiliativi, di in-tegrazione all’interno di un gruppo (affiliative focused), facendoci pro-vare, grazie all’endorfina e all’ossi-tocina, calma, sicurezza, benesse-re; è dal nostro neoencefalo, spe-cialmente dai neuroni specchio ti-pici della corteccia motoria ma presenti anche in aree diverse come l’ippocampo e la corteccia temporale, che dipende la nostra capacità di immedesimarci nelle altre persone, di empatizzare con loro, comprendendone le emozio-ni grazie al fatto che le proviamo direttamente ancora prima di ca-pirle cognitivamente; è questo il meccanismo biologico che ci pre-dispone a far parte di una società, al quale si debbono le emozioni sociali (ad esempio la compassio-ne, la gratitudine, l’ammirazione), che favoriscono l’individuo, spin-gendolo a creare legami interper-sonali di cooperazione, che pro-muovono anche l’unità, la coesio-ne e la sopravvivenza del gruppo di cui è membro. L’importanza della corteccia cere-brale per le emozioni sociali è am-piamente confermata dalla neuro-traumatolgia: è noto che danni nella regione prefrontale compro-mettono la capacità di provare le emozioni sociali, senza danneggia-re le facoltà cognitive; fa parte della storia della medicina il caso di Phineas Gage, un operaio statuni-tense che nel 1848, subita una le-sione dei lobi frontali a causa di un infortunio sul lavoro, si trasformò dal brav’uomo che era in una per-sona aggressiva e inaffidabile.Abbiamo scelto questa schematiz-zazione perché tra tutte quelle proposte in letteratura è la più

semplice e perché è quella propo-sta da Paul Gilbert, professore emerito di Psicologia Clinica all’uni-versità di Derby (UK), padre della terapia basata sulla compassione (Compassion Focused Therapy - CFT), che nel caso che stiamo esaminando, quello del medico nel quale il paziente non suscita com-passione ma emozioni negative, dovrebbe avere come obiettivo ini-bire il sistema di protezione dalle minacce e stimolare il sistema affi-liativo e calmante.

¼¼ Classificare le emozioni...

Del resto anche se non c’è accor-do su come classificare le emozio-ni e neppure sul loro numero, si può dare per acquisito che: 1. sono risposte adattive, universali,

anche se la cultura condiziona e differenzia il modo di esprimerle;

2. hanno basi biologiche precise, anche se molto più complesse di quanto si credeva, perché ba-sate su reti di circuiti, che si rior-ganizzano costantemente;

3. la nostra risposta agli stimoli emo-tigeni varia a seconda del nostro stato dell’umore.

Esistono quindi ragioni fisiologiche ben precise, per cui, durante il no-stro lavoro di cura, può occasional-mente capitarci di provare emozio-ni inappropriate nei confronti dei pazienti: non è colpa nostra, fun-zioniamo così, occorre esserne consapevoli ed accettarlo (emotio-nal validation), per non vergognarci e logorarci (burnout) con autocriti-che eccessive. A tutti i medici capitano pazienti aggressivi e rivendicativi; chirurghi, ginecologi e ortopedici vengono in-giustamente accusati di aver com-piuto gravi errori professionali; non di rado psichiatri e medici di fami-

glia cercano di contenere pazienti il cui attaccamento patologico si ma-nifesta con comportamenti assillan-ti e invadenti; sono casi in cui è normale provare le emozioni carat-teristiche del sistema di protezione dalla minaccia (threat-safety focu-sed): ansia, rabbia, disgusto.

¼¼ Strumenti per influenzare le nostre emozioni

Premesse le ragioni per cui è giu-sto, oltre che necessario per il no-stro benessere, avere un atteggia-mento compassionevole verso noi stessi, possiamo imparare ad in-fluenzare le nostre emozioni: è possibile calmare l’ansia rallentan-do la respirazione e il Compassio-nate Mind Training, messo a punto da Paul Gilbert, ci insegna ad utiliz-zare l’immaginazione, la fantasia, il ragionamento, la meditazione, la capacità di non divagare con la mente verso pensieri lontani dal momento attuale (mindfulness) e i ricordi per attivare il sistema di re-golazione emozionale affiliativo e calmante (affiliative focused), che a sua volta influenza pensiero ed im-maginazione in maniera positiva, creando un circolo virtuoso della compassione e della gentilezza.La Compassion Focused Therapy sta dando buoni risultati nel Regno Unito, dove è nata, soprattutto per la cura dei disturbi da stress. Riteniamo che per i medici che hanno difficoltà relazionali legate alle emozioni sia fondamentale ri-cordare che imparare a tollerarle ed accettarle non è meno impor-tante del tentativo di cambiarle.

• Gilbert P. Compassion focused therapy. Distinctive features. Routledge, London, 2010.

Bibliografia

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L a creazione di ampi studi di coorte basati sulla popolazione mirati allo studio del legame tra dieta, fattori

nutritivi, antropometria e attività fisica da una parte e cancro dall’altra ha aperto la strada a una nuova fase nell’epidemiolo-gia nutrizionale dei tumori e di altre ma-lattie croniche. I primi studi di questo genere furono avviati nell’America set-tentrionale, mentre lo European Pro-spective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC) fu lanciato nei primi anni ‘90. Nel 2000 l’EPIC era diventato il più ampio studio di coorte prospettico del mondo, con una biobanca progettata specificamente per studiare i fattori di ri-schio del cancro e altre malattie legati allo stile di vita, all’alimentazione, alla ge-netica e al metabolismo, con 521.330 partecipanti. Durante il periodo di follow-up (20 anni), sono stati diagnosticati oltre 80.000 casi di tumore, 15.000 casi di DMT2 e 25.000 eventi CV e cerebrova-scolari, nonché il decesso di 47.000 par-tecipanti; questi dati hanno fornito una base consistente per le ricerche in cam-po nutrizionale, metabolico e genetico.I progetti di ricerca in seno all’EPIC han-no identificato o chiarito una serie di correlazioni: • relazione significativa tra il consumo di fibre, in particolare quelle contenute nei cereali, e la riduzione del rischio di can-cro del colon-retto; • è emerso come il consumo di carni rosse e lavorate aumentasse il rischio di tumori all’apparato digestivo, compreso

il ca stomaco, colon e retto; • il consumo di grassi totali e diversi sot-totipi di grassi non è stato invece ricolle-gato a un rischio di cancro più elevato o è emerso soltanto come fattore debolmen-te predittivo, diversamente da quanto ri-scontrato nella maggior parte degli studi caso-controllo di qualche anno prima.

¼¼ Progressi della ricerca

Il principale cambiamento nelle cono-scenze sul rapporto tra dieta, alimenta-zione e cancro è tuttavia dovuto alle scoperte sul ruolo dell’antropometria, dell’attività fisica e dei complessi fattori metabolici coinvolti in questi processi; queste scoperte non si limitano a darci informazioni sul consumo abituale di un cibo o di un nutriente in particolare, ma vanno oltre. È emersa una forte correla-zione tra il grasso corporeo in eccesso, misurato tramite il BMI e il rischio di svi-luppare diversi tipi di cancro, mentre un’attività fisica moderata o elevata, che unisca attività ricreative e domestiche, è stata associata a un rischio ridotto di vari tumori, indipendentemente dal BMI. Il meccanismo biologico alla base del rap-porto tra obesità, attività fisica e cancro è complesso e non ancora del tutto chiaro. Uno degli ambiti di ricerca affrontati dall’EPIC e da altri studi di coorte succes-sivi ha coinvolto i componenti della sin-drome metabolica e l’insulino-resistenza. Nel corso del New York University Wo-men’s Health Study, è emersa inizial-

mente una relazione fortemente positiva tra il C-peptide come marker dell’iperin-sulinemia e un aumento del rischio di ca al colon e al retto. Questi risultati sono stati confermati dall’EPIC e da studi di coorte successivi. Livelli elevati di insuli-na sono stati associati a un maggior ri-schio di sviluppare altri tipi di tumore, tra cui il tumore al seno dopo la menopausa e il cancro dell’endometrio. Studi più recenti hanno riguardato il ruo-lo di altri componenti della sindrome metabolica e analizzato come dieta, an-tropometria e attività fisica influiscano sui processi infiammatori potenzialmen-te collegati alla carcinogenesi.In conclusione, le ricerche svolte negli ultimi decenni hanno riscontrato che la dieta, l’alimentazione, l’attività fisica e l’antropometria influiscono notevolmen-te sul rischio di sviluppare tumori, diabe-te di tipo 2 e malattie cardiovascolari, nonché sulle aspettative di vita della po-polazione. Svelare i meccanismi con cui questi fattori comportamentali e nutrizio-nali condizionano lo sviluppo dei tumori rappresenta una priorità per meglio com-prendere l’eziopatogenesi di diversi tipi di cancro. Dal punto di vista della sanità pubblica, questi fattori metabolici e lega-ti allo stile di vita sono estremamente interessanti poiché spesso coincidono con i principali rischi noti di malattie CV e diabete, offrendo la possibilità di perso-nalizzare la prevenzione delle malattie non trasmissibili tramite l’insieme di in-terventi a livello pubblico.

“Nutrizione e tumori: dall’epidemiologia alla prevenzione” è tra i temi affrontati a “The Future of Science 2017”, ciclo di conferenze internazionali volte a definire un nuovo ruolo

della scienza nella società del terzo millennio organizzate dalla Fondazione Umberto Veronesi, Fondazione Tronchetti Provera e Fondazione Giorgio Cini

Elio Riboli - Igiene generale e applicata - Humanitas University

Prevenzione delle malattie non trasmissibili


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