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PrimiDieci USA, 2014

Date post: 08-Apr-2016
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"I Dieci Italiani ed Italo-Americani di Maggior Successo negli USA Oggi" Autore: Riccardo Lo Faro ([email protected] - www.primidieci.org) Presentato pubblicamente con il Gala Award Event della Camera di Commercio Italy-America (IACC), Manhattan, New York, 21 novembre 2014 Prossime pubblicazioni: - negli USA: PrimiDieci USA 2015: New York, 20 nov. 2015; - in Gran Bretagna: PrimiDieci UK 2015, Londra, 4 dic. 2015.
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R I C C A R D O L O F A R O Primidieci USA I DIECI ITALIANI DI MAGGIOR SUCCESSO NEGLI USA, OGGI 2014
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Primidieci

USA

I DIECI ITALIANI DI MAGGIOR SUCCESSO NEGLI USA, OGGI

2014

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PRIMIDIECI – USA, 2014 di Riccardo Lo Faro

© PrimiDieci Society, 2014

Autore: Riccardo Lo Faro In collaborazione con: Alessia Pertosa Con il Patrocinio del Ministero degli Affari Esteri Un’iniziativa culturale-editoriale di:

PrimiDieci - I Dieci Italiani di Maggior Successo all’Estero, Oggi.

PrimiDieci Society celebra ogni anno l'attuale successo professionale ed umano di eccezionali personalità italiane o di origini italiane presenti negli

USA, in Gran Bretagna/Europa ed in altri paesi del mondo. Ben lungi dal voler essere un’autocelebrazione, PrimiDieci Society raccoglie testimonianze di vite straordinarie, le racconta nei propri libri, le celebra con prestigiosi eventi annuali, le porta a confronto con i giovani. Mission dell’organizzazione è l’evidenziare al grande pubblico quanto l’impegno italiano nei paesi esteri sia essenziale e di fondamentale sostegno alla stessa economia, cultura, scienza, industria di tali paesi. Role models a cui le attuali e future generazioni potranno ispirarsi per riportare l’Italia alla meritata autorevolezza globale.

I libri annuali “PrimiDieci” raccontano le straordinarie storie di vita degli italiani di maggior successo negli USA, in Gran Bretagna ed in altri selezionati paesi del mondo.

Negli USA: I Dieci Italiani di Maggior Successo negli USA, Oggi. Due edizioni annuali, PrimiDieci e PrimiDieci-Under40 (entro i 40 anni di età).

In Gran Bretagna (dal 2015), PrimiDieci U.K.: I Dieci Italiani di Maggior Successo in Gran Bretagna, Oggi.

Gli awardees annuali e i rispettivi libri sono presentati al pubblico ogni anno con una Searata di Gala (New York e Londra).

PrimiDieci Society: un riconoscimento autorevole per persone straordinarie, che sono esempio ed ispirazione per le giovani generazioni di oggi e di domani.

Presidenza e Comiato di Selezione

Presidente di PrimiDieci Society: Riccardo Lo Faro (USA); Presidente Onorario: Claudio Bozzo (USA). Presidente del Comitato di Selezione: Ambasciatore italiano a Londra, Pasquale Q. Terracciano; Membri: Fortunato Celi Zullo (Direttore ICE, Londra); Contessa Francesca Baldeschi Balleani, Accademia Italiana della Cucina, NY (USA); Amelia Carpenito Antonucci, Direttore Campania Felix, San Francisco (USA); Anna Marra (Direttore Banca d’Italia, Londra); Massimiliano Mazzanti (Console Generale d’Italia a Londra); Leonardo Simonelli Santi (Presidente Camera di Commercio e Industria, Londra); Alessia Pertosa, Responsabile Editoriale e co-fondatrice PrimiDieci Society (USA); Anna Chimenti Sorgi (Addetto Culturale, Ambasciata a Londra); Roberto Di Lauro (Addetto Scientifico, Ambasciata Londra).

Fotografie gentilmente fornite dai singoli premiati 2014 (“Honorees”), se non diversamente riportato nelle singole immagini.

© All rights reserved.

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del libro può essere riprodotta o diffusa con alcun mezzo, fotocopie, scanner, microfilm o altro, senza il permesso scritto dell’autore e di PrimiDieci Society.

Informazioni: [email protected] ▪ www.primidieci.org PrimiDieci Society: 152 West 36th Street, suite 504, New York, NY 10018 - USA Biografie; ghost-writing; comunicazione: www.riccardolofaro.com

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Ai miei figli, Veronica, Giuseppe Maria, Bianca Cécile, perché leggano in queste persone la semplicità dell’essere nella grandezza del poter tutti divenire.

A mia moglie Alessia, vera gioia della mia vita.

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PrimiDieci USA, 2014 - S.E. Ambasciatore Claudio Bisogniero ▪ Introduzione

Ambaasciata d’Italia

Washington Anche nel 2014, l'iniziativa editoriale "PrimiDieci" con il patrocinio

del Ministero degli Affari Esteri, intende celebrate quegli Italiani e Italo-Americani che si sono particolarmente distinti in questo Paese nei settori più vari, a conferma di quanto eclettico e dinamico siano il genio e l'inventiva della nostra gente e la capacità di affermarsi.

Con questa interessante pubblicazione si rende omaggio, attraverso dieci esempi, a tutta la nostra comunità di connazionali di vecchia e nuova generazione, a quella di origine italiana, ma anche a quanti si riconoscono, par solo idealmente e culturalmente, nell’Italia. Una comunità in senso lato che è alla base dello storico rapporto di fraterna amicizia tra Italia e Stati Uniti e costituisce la sua inestimabile ricchezza. Tale rapporto si fonda anche sul successo delle attività di tanti, come le dieci testimonianze raccontate nelle pagine seguenti.

Da Ambasciatore sento forte l'orgoglio di pater rappresentare questa comunità che, nel mondo della ricerca, della cultura, della scienza e della tecnologia, del business, con grande sacrificio, ha saputo conquistare qui grande stima e importanti traguardi. Questi sono anche i punti di forza dell'Italia.

Ma non c’è cultura senza lingua, che della prima è al tempo stesso veicolo del proprio passato. Ed è proprio sulla promozione della lingua italiana negli Stati Uniti che rivolgo ancora un appello a tutte le forze della comunità, italiana ed italo-americana, per superare le sfide che ancora ci restano, come quella di far andare definitivamente a regime il programma "AP" ("Advanced Placement") per la lingua italiana, dopo il buon risultato dell'anno in scorso.

Considero "PrimiDieci" e le personalità scelte anche come dei potenziali "testimoniai" per l'italiano, che ci potranno aiutare a diffondere ancora di più in America quella che fu la lingua di Dante, di Galilei, di Pirandello, delta storia dell'arte. Ma che è adesso anche la lingua della tecnologia, del design, della moda, del gusto e di migliaia di giovani ricercatori, scienziati ed imprenditori italiani sparsi nel mondo.

Congratulazioni ai Primi Dieci ed ai promotori di questa iniziativa!

Claudio Bisogniero

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PrimiDieci USA, 2014 - Riccardo Lo Faro ▪ Introduzione

Il senso di questa pubblicazione sta nell’ottimismo.

Mi piace credere, perché infondo ne sono certo, che le innumerevoli testimonianze del talento italiano negli USA, le c.d. eccellenze italiane all’estero, siano semplicemente l’esempio di ciò che noi italiani siamo davvero.

A casa nostra sono infiniti gli esempi di persone straordinarie, talenti silenti che ogni giorno rendono onore al genio italiano nel proprio campo, senza clamore, senza partire, senza cambiar vita. Ma questi soffrono, ho la pretesa di sapere che gran parte di loro soffrano i limiti imposti dalle innumerevoli assurdità burocratiche e culturali di un sistema assolutamente ben strutturato per limitare l’iniziativa e l’ambizione ad eccellere.

Quando oggi un italiano sceglie di cambiare paese per migliori condizioni di lavoro lo fa perché può farlo. Sono infinitamente più i casi di italiani negli Stati Uniti che vi si trasferiscono con un background universitario, una preparazione comunque altamente professionale, di quelli che lo fanno tanto per provarci. Quelli cioè che senza arte ne parte salgono su un aereo e sbarcano al JFK con la speranza di riuscire a fare il cameriere o il porta-pizza.

La stessa preparazione professionale che hanno in Italia, negli USA permette loro di accedere a masters, a corsi di specializzazione e ad impieghi da cui in pochi anni traggono soddisfazioni personali e professionali che nel nostro Bel Paese sono purtroppo inimmaginabili. Ma non è tutto qui. Non si trasferiscono solo per questo. Loro vogliono anche prospettive. Guardando avanti, nel proprio futuro vogliono poter vedere una crescita continua come conseguenza del loro impegno. Impegno che dimostrano di affrontare con una disciplina impensabile se confrontata con quanto potevano fare quando in Italia, risucchiati da un sistema accomodante, malleabile e ben poco gratificante. Negli Stati Uniti si aspettano molto perché mettono tutto se stessi e sanno che facendo così le condizioni di lavoro, la crescita professionale e quindi la loro qualità di vita tutto ne trae vantaggio. E’ la conseguenza di un sistema basato su nulla di più che la meritocrazia, e non scendono più a patti con il diavolo. Hanno dovuto lasciare il proprio paese per avere le loro qualità riconosciute, e sanno che almeno qui in America i meriti sono apprezzati, premiati, favoriti, incoraggiati.

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PrimiDieci USA, 2014 - Riccardo Lo Faro ▪ Introduzione

Noi italiani all’estero siamo gente che eccelle perché alla base di tutto conserviamo geneticamente le caratteristiche dei vincitori. Un popolo che è sempre stato guida nei millenni di cultura e di storia che lo ha definito, proprio come uno stesso “Honoree PrimiDieci 2014” mi ha detto. Quando siamo nel nostro Paese diamo moltissimo; con tutte le quotidiane difficoltà che ci scaricano addosso mentre cerchiamo di fare al meglio il nostro dovere, sappiamo comunque farcela e realizziamo grandi cose. Ma quando un altro sistema, un Paese che sa stimolare, premiare l’iniziativa, la creatività, ci offre le condizioni per farlo, è allora che si evidenzia chi siamo davvero e diveniamo “eccellenze italiane” all’estero. E’ allora che un italiano può mettere in campo il meglio di sé, può finalmente dare alla società globale il proprio contributo professionale, diversamente sopito, magari soffocato.

Per questo mi piace credere che tutto lo spopolamento subìto dal nostro paese, sempre più forte, sempre più vivace, sia un male curabile. Un Paese il nostro che si spoglia costantemente dei talenti, soprattutto giovani, e che si lascia colonizzare da popolazioni straniere che ben poco apportano in termini professionali.

Questa pubblicazione, la collana dei libri annuali “PrimiDieci” e

“PrimiDieci-Under40” vuole così offrire un riferimento, concreto e

scrupoloso, di chi sono gli italiani. Chi sono, punto e basta. In casa propria o altrove, questa è solo una questione diciamo di mera territorialità. Questi libri annuali vogliono essere la dimostrazione nero su bianco delle qualità che abbiamo come italiani. Coloro che hanno avuto l’opportunità, anche il coraggio di cambiar vita e trasferirsi, le hanno potute esprimere al meglio. Coloro che restano in casa propria e probabilmente soffrono un po’, sono quegli stessi italiani che però ancora sperano. Ancora tirano la carretta, scrigni silenti anche loro di talenti sopiti, soffocati appunto.

Ecco, questo è l’obiettivo di PrimiDieci Society, far comprendere che non ci sono italiani di serie A ed italiani di serie B, tra chi parte e chi resta. Bensì solo italiani tra i quali alcuni colgono l’opportunità, perché se la cercano e se la sudano, di dimostrare a se stessi ed al mondo le proprie qualità perché messi in grado di farlo.

E’ vero però che quelli che partono, come detto, sono sempre di più. Ed è con la forza di questo mio lavoro editoriale, con l’esperienza fatta sul campo incontrando e intervistando molti di loro, che sono pronto a fare una scommessa. Pronto a sfidare i meno ottimisti ed i più convinti sul fatto che i cervelli dall’Italia fuggano senza farvi ritorno; sfidarli sulla convinzione che questo male è davvero curabile. Anche grazie a testimonianze come quelle che presento qui di seguito, la mia scommessa è che il sistema italiano saprà presto prendere concretamente coscienza di questa sua

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malattia allo stadio quasi terminale, affrontandolo con iniziative strutturali e motivazionali tali da arrestarne l’emorragia. Un sistema che si ritroverà presto capace di riconoscere la straordinaria ricchezza umana che gli appartiene e che saprà giocarsi al meglio le proprie carte per finalmente tenersela stretta a sé.

Il talento in Italia non solo c’è assai più di quanto ne sia fuggito all’estero, ma ha la forza di essere impiegato nel proprio paese. Di tutti gli italiani che in America ho conosciuto e intervistato per celebrarli in queste edizioni, posso assicurare che almeno 9 su 10 rientrerebbero in Italia anche domattina, se solo gli fossero offerte le condizioni. Basterebbero loro condizioni nemmeno identiche, si accontenterebbero appena di qualcosa di simile a quanto possono disporre oggi negli USA.

Questo da un’idea della distanza. Una distanza tutt’altro che territoriale bensì funzionale quella che esiste tra i due mondi di lavoro. Sono talmente tante le soddisfazioni che traggono nel lavorare fuori che, anche solo la metà, basterebbero loro per farli rientrare nel proprio Paese, riportando in casa quel loro genio, quell’evaso talento. Una ricchezza che sono certo in qualche modo l’Italia saprà presto riconquistare in nome di ciò che infondo siamo e che siamo stati per millenni.

Uno straordinario popolo guida.

Riccardo Lo Faro

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MARIO

ANDRETTI

pilota formula uno,

campione del mondo

Eravamo due

fratelli con una sola

auto. Lanciammo la

monetina e iniziammo

a vincere!

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Nato a Montona (oggi Croazia), vive a Nazareth (Pennsylvania).

Alcuni dei principali piazzamenti:

Vincitore della Indianapolis 500 Miglia

Vincitore della Daytona 500

Vincitore del Campionato Mondiale di Formula 1

Vincitore della Pikes Peak Hillclimb

Vincitore del Campionato Nazionale Indy Car (4 volte)

Vincitore della Sebring Raceway (3 volte)

“Pilota dell’Anno”: anni '60, '70, '80 (tre diversi decenni);

“Driver of Quarter Century” (anni '90)

“Driver del Secolo”, Associated Press (gennaio 2000)

Principali Riconoscimenti:

Martini & Rossi Driver of The Year,1967

Jerry Titus Memorial Award, 1977, 1978, 1984

Auto Racing Diges - Driver of the year 1977, 1978, 1984

Inserito nella Motor Sport Hall of Fame, 1990

Lifetime Archievement in Sports Award, 1999, 2006 e 2010

Inserito nella International Motor Sport Hall of Fame, 2000

Inserito nella Automotive Hall of Fame, 2005

FIA Gold Medal for Motor Sport, 2007

Vince Lombardi Award for Excellence, 2007

Nel 2006 è stato nominato commendatore della Repubblica

Italiana.

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ampioni si nasce. Qualità tecniche, formazione,

allenamento, tutto serve ed è fondamentale, ma se

nel miracoloso momento della nostra genesi la stella

non ci ha colpito, prendendoci bene, tutto resta

alquanto vano. Tanto la storia antica quanto quella più recente

traboccano di esempi a sostegno di questa riflessione, e Mario

Andretti ne è assoluta riprova.

Fin da bambino voleva una sola cosa, correre in auto.

Dalla medievale, istriana Montona, passato per il Campo

Profughi di Lucca, salito a bordo di una nave alla volta degli

Stati Uniti, appena 5 anni dopo quel suo sbarco americano Mario

si era già costruito un’auto da gara. E iniziava a vincere.

Non esiste circuito su cui non abbia avuto successo questo

straordinario pilota italiano, poi istriano e naturalizzato

americano. Ha vinto la 500 Miglia di Indianapolis, la Daytona

500, il Campionato di Formula 1 e la Pikes Peak Hillclimb. Per

ben quattro volte consecutive ha anche vinto per il campionato

nazionale Indy Car, e per tre volte il campionato Sebring

Raceway. Ha vinto gare con auto sportive, sprint cars e stock

cars – su circuiti ovali, circuiti classici, drag strips, su terriccio e

su asfalto. Mario Andretti ha praticamente vinto ad ogni livello,

divenendo senza alcun dubbio un'icona del mondo

dell’automobilismo, tale da essere considerato da molti il più

grande pilota d’auto da corsa nella storia di questo sport.

– Le mie prime corse, le vere e proprie gare le ho cominciate

a diciannove anni. In verità non avrei potuto gareggiare perché

C

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allora l’età minima di legge era ventuno anni, ma diciamo che

con un piccolo trucco mio fratello ed io siamo riusciti a risultare

ventunenni –. Sorride Mario Andretti, tanta era la passione, tanta

la voglia di gareggiare già da ragazzo che attendere la maggiore

età gli era assolutamente impossibile.

– Non avevamo un’auto per gareggiare. E non avevamo

soldi per acquistarla. Così mi sono messo ad assemblarne una,

assieme a mio fratello gemello Aldo e altri quattro amici. In poco

tempo uno scassone d’auto era stato trasformato in auto da gara.

Era il 1959 ed iniziammo a correre a soli diciannove anni, senza

che mio padre nemmeno lo sapesse. Aldo ed io eravamo fratelli,

due appassionati, due che volevano gareggiare. Ma la macchina

era una sola così, come si dice, we flipped a coin! Ogni volta

tiravamo a sorte. Lanciavamo la monetina e gareggiava quello

che vinceva. Aldo vinse con la monetina la prima volta, e vinse

anche la prima gara, qui a Nazareth. Incredibile! Non potevamo

crederci. Così la settimana dopo toccava a me gareggiare e

anch’io vinsi. Ecco, iniziò tutto così, entrambi vincemmo le

nostre prime gare –.

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Mario Andretti è nato a

Montona, in Istria. Ma subito

dopo l'annessione di questa

alla Jugoslavia nel 1947, la

sua famiglia decise di

lasciare la cittadina e furono

accolti in un campo profughi

di Lucca, in Toscana. La

speranza dei genitori era che

le cose si sarebbero

sistemate, e che presto

avrebbero potuto fare ritorno

alla loro Montona. Dopo

quattro anni trascorsi senza

alcun miglioramento il padre

si decise a presentare

domanda di Visto per il

trasferimento dell’intera famiglia negli Stati Uniti. L’attesa non

fu breve, ma dopo altri tre anni la famiglia Andretti si imbarcò

dal porto di Genova sulla nave Conte Biancamano. Mario ricorda

bene quei giorni in cui arrivarono nel Paese delle Opportunità

con soli 125 dollari in tasca. Era il 1955, lui e il fratello Aldo

erano ragazzi e portavano con sé una grande passione, quella

dell’automobilismo. Una passione iniziata quando da bambini

ebbero l’occasione di osservare uno straordinario campione. Il

padre li aveva portati ad assistere al Gran Premio di Monza e alle

fenomenali vincite del grande Alberto Ascari, campione tra

l’altro di Formula Uno negli anni 1952 e 1953. Una vera e

propria folgorazione per i giovanissimi gemelli.

Dal momento dell’arrivo negli USA la famiglia Andretti si

stabilisce a Nazareth, nello stato del Pennsylvania, ad un ora

d’auto da New York City. I due fratelli corrono assieme,

gareggiano da prima in gare locali di "dirt track" alternandosi

alla guida dell’auto elaborata da loro stessi e vincendo gare, una

dopo l’altra. A seguito di un incidente quasi fatale in cui fu

coinvolto Aldo, Mario decide di passare alle sprint cars e

successivamente le TQ midget. Nel 1963 Mario torna alle sprint

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cars nelle gare organizzate dalla USAC, la United States Auto

Club. Gareggia con le monoposto sia su circuiti ovali che su

asfalto ed ottiene la prima vittoria nel 1965. In quell’anno

conquista il titolo, e così anche l’anno successivo. Sempre nel

’65 debutta inoltre con le vetture sport, e con queste gareggia per

molti anni sia nel campionato CanAm che nel celebre Mondiale

Marche. Nel 1967 gareggia nel campionato NASCAR e vince la

500 Miglia di Daytona. A partire dal 1973 conquista per ben tre

volte la 12 Ore di Sebring ed è ripetutamente sul podio della 24

Ore di Le Mans. L’esordio di Mario Andretti in Formula Uno è

del campionato 1968 dove gareggia su Lotus, anno in cui

partecipa e vince anche al Gran Premio degli Stati Uniti. L’anno

seguente, era il 1969, vince anche la 500 Miglia di Indianapolis.

Nel 1970 passa alla March con cui corre 5 Gran Premi,

aggiudicandosi il suo primo podio nel Gran Premio di Spagna.

Nel 1971 è ingaggiato dalla Ferrari ed ottiene immediatamente la

vittoria nel Gran Premio di Sud Africa, aggiudicandosi anche il

giro più veloce. Questo sorprendente pilota oramai italo-

americano corre per il cavallino anche nella stagione successiva

in alcuni gran premi di formula 1, ottenendo 4 vittorie in gare

riservate per vetture sport. Continua a gareggiare costantemente

negli Stati Uniti Mario, ma non lascia la Formula 1.

Nel 1974 gareggia con la Parnelli, una

scuderia americana con cui nel 1975

realizza ottimi punteggi in Svezia e in

Francia, e il giro più veloce in Spagna. Nel

1976 conclude la stagione con la scuderia

Champman, aggiudicandosi la vittoria del

Gran Premio di Giappone. Nel 1977 la

Lotus lancia il nuovo e sensazionale

modello “78”, era allora la prima vettura da

Gran Premio a sfruttare l'effetto suolo.

Un’auto che Mario Andretti porta subito a

ben 4 vittorie, 7 pole position, 4 giri veloci,

e concludendo il campionato mondiale

come terzo. Ma è con il modello successivo,

la Lotus 79, che Andretti diventa campione del mondo.

“ho avuto una carriera infondo così bella perché son stato molto fortunato, fortunatissimo di poter restare vivo”

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Successi che continuano, alcuni anni dopo con l’Alfa Romeo

e successivamente con la Williams a Long Beach, concludendo

la propria carriera in Formula Uno con due Gran Premi per la

Scuderia Ferrari, conquistando la pole position nel Gran Premio

di Monza.

Un’eccezionale, lunga carriera quella di Andretti nella

Formula Uno che lo ha visto vincitore di ben 12 Gran Premi

validi per il campionato del mondo. Talmente tanti i successi su

ogni tipo di pista e con ogni categoria d’auto che probabilmente

per eguagliarne i meriti sarebbero necessari ben tre piloti. Lui di

successi però non parla. E’ la passione per la corsa, per le gare

che racconta, oggi come ieri e per sempre, un legame che sente

alla base della sua lunga esperienza di pilota campione del

mondo.

La gioia che gli ha sempre dato correre, di questo Mario

parla. – Ciò che mi ha sempre spinto avanti era la grande

passione per il mio lavoro. Mi dava una soddisfazione tremenda

e non volevo mai smettere. Il fatto che ho avuto una carriera

infondo così bella è perché son stato molto fortunato,

fortunatissimo di poter restare vivo. Perché quando mi guardo

indietro, mi rendo conto di aver perso quasi tutti i miei amici più

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stretti in questo mestiere. Piloti formidabili che sono mancati, chi

per un incidente chi per un altro. Nel nostro sport, specialmente

negli anni del ‘60, ’70, anche negli ‘80 , perdevamo tre, quattro

piloti all’anno. Io sono stato tra quelli

fortunati evidentemente e questo mi ha

permesso di ottenere così tanti risultati in

quasi cinquant’anni di corse. Certo, la

passione, non smetterò mai di ripeterlo.

Tantissima passione, amore per il mio

lavoro. Che poi non saprei nemmeno dire

com’è veramente nata in me e mio

fratello. Nel senso che nessuno della

nostra famiglia si è mai interessato al

mondo delle automobili, non

possedevamo nemmeno un’auto allora!

Mi domando spesso ancora oggi da cosa

fosse nato questo mio desiderio di

diventare pilota di automobilismo. Il mio

idolo era ed è sempre rimasto Alberto

Ascari. Ero ragazzo, e quando lo vidi correre m’impressionò a tal

punto… che da allora è rimasto sempre con me. Ho sempre

avuto quest’idea di volerlo imitare –.

Oltre quarant’anni di carriera come pilota automobilistico,

tra il 1960 e il 2000. Quando corse la sua ultima gara, Mario

Andretti aveva sfidato ogni campione del mondo a cui si possa

pensare. E molte volte li aveva vinti. Nella sua lunga e celebre

carriera ha corso 897 gare vincendone 111 e segnando 109 pole

position. E’ stato nominato pilota dell'anno per tre decenni

consecutivi (anni '60, '70, '80), nominato Pilota di Quarto di

Secolo negli anni '90, ed insignito come Driver del Secolo

dall'Associated Press nel gennaio 2000.

Una carriera sempre al massimo della competitività che oggi

mette Mario Andretti a capo di una numerosa famiglia di piloti:

– ho 3 figli, Michael, Jeff e Barbara che è la più giovane;

entrambi, Michael e Jeff sono piloti formidabili. Michael ha

anche una sua squadra che vince continuamente campionati, e

“Il mio idolo era ed è sempre stato Alberto Ascari. Ero ragazzo e quando lo vidi correre mi impressionò a tal punto… che da allora è rimasto sempre con me”

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PrimiDieci USA, 2014 - Mario Andretti

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quest’anno hanno vinto di nuovo l’Indianapolis. Vincere è

diventato una questione generazionale! Adesso abbiamo mio

nipote Marco che corre proprio con suo papà nella stessa

squadra, ed anche i cinque figli di mio fratello Aldo corrono!

Siamo alla terza generazione di piloti, sia da parte di mio fratello

che da parte mia. In tutto abbiamo sette nipoti e gli ultimi arrivati

sono Mario e Mia. Insomma, mia moglie Dee Anne ed io siamo

dei nonni molto, molto fortunati. Soprattutto veramente felici di

avere una famiglia numerosa e ricca di piloti favolosi! –

Oggi Mario lavora con

Bridgestone Firestone,

MagnaFlow, Mattel, Phillips

Van Heusen, Honda e GoDaddy.

Sempre con la sua brillante

personalità si dedica a una serie

di iniziative imprenditoriali

personali, spaziando dalla

produzione del vino, con una sua

winery a Napa Valley e ad

investimenti nel settore

petrolifero. Gioca a tennis, fa sci

nautico e vola con il suo

ultraleggero.

Mario Andretti ha segnato la

storia dell’automobilismo per ben cinquant’anni e sembra voglia

continuare a farlo ancora per qualche secolo a venire. Visti i

risultati e, soprattutto, vista la gioia e la passione sempre

consacrate ai suoi successi, non possiamo che riconfermargli il

nostro più sentito, più affettuoso… Go for it!

Per Mario Andretti la Bellezza è “ciò che porta la felicità nella vita. Bellezza è avere la famiglia unita, sempre con me. La famiglia che ti sostiene in ogni modo possibile”.

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CHRIS

BOTTI

trombettista,

compositore

La musica che

irrompe nel tuo

cuore è la musica

che resterà con te

tutta la vita.

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Nato a Portland (Oregon), vive a Los Angeles (California).

Discografia più celebre:

1995 First Wish

1997 Midnight Without You

1999 Slowing Down The World

2001 Night Session

2002 Night Session: Live In Concert (DVD)

2002 The Very Best Of Chris Botti

2002 December

2003 A Thousand Kisses Deep

2004 When I Fall In Love - Prima posizione nella classifica

Jazz Albums

2005 To Love Again - Prima posizione nella classifica Jazz

Albums

2006 Live With Orchestra And Special Guests (DVD) -

Seconda posizione nella classifica Jazz Albums

2007 Italia - Prima posizione nella classifica Jazz Albums

2009 Chris Botti in Boston - Seconda posizione nella

classifica Jazz Albums

2011 This Is Chris Botti

2012 Impressions - Prima posizione nella classifica Jazz

Albums

Awards

2007, Grammy Award: album “Italia”

Nel 2006 è stato nominato commendatore della Repubblica

Italiana.

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PrimiDieci USA, 2014 - Chris Botti

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legante, morbida, romantica, gentile. La melodia che

Chris mi ha fatto sentire ti spacca il cuore, lo apre per

bene e lo riempie di emozioni strazianti, perchè vive,

vere. La sua musica ti porta in ogni luogo bello o amaro l’anima

tua abbia mai vissuto, o abbia ambito vivere.

E’ un uomo passionale ed elegante proprio come la sua

musica Chris Botti, e non esiste ostentazione in questo talento

dalle origini tutte italiane. Parla come suona, con la gentilezza

che ti sconcerta, facendoti sentire al centro del mondo tu stesso,

mentre sai che se c’è qualcuno che il mondo lo gira e rigira,

quello è proprio lui. Concerti in ogni stato USA ed in America

latina, concerti in Europa, concerti in Medio Oriente, Giappone,

Turchia e concerti alla Casa Bianca. Chris ha ottenuto un tale

successo da essere richiesto anche dai presidenti di diversi paesi.

Dopo il concerto per Obama dove Botti si è esibito affiancato dal

celebre pianista Herbie Hancock, è subito seguita una cena di

stato per il presidente cinese. Più recentemente è stata

sensazionale la sua esibizione con “Per te”, cantata

dall’incomparabile tenore Andrea Bocelli sui testi di Tiziano

Ferro, accompagnati dal pianista David Forser.

E’ questo il trombettista che ho conosciuto, il poeta delle

note musicali che si esibisce con un sound del tutto proprio,

inimitabile e magicamente espressivo, paragonabile ad artisti di

primo piano, come Vince Gill, Andrea Bocelli, Herbie Hancock,

Mark Knopfler, David Foster e Caroline Campbell.

E’ italiano Chris, da parte di padre, ma la lingua, lo

ammette, la consoce un po’ pochino. – Fin da bambino fui

incoraggiato a studiare musica da mia madre, lei era pianista e

E

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PrimiDieci USA, 2014 - Chris Botti

22

suonava in concerti anche importanti. Mentre è stato mio padre

che mi ha trasmesso molto della cultura e della lingua italiana.

Lui era insegnante di italiano ed inglese così decise di portarmi a

vivere in Italia dove siamo rimasti per due anni. Ero poco più

d’un bambino ma ricordo che grazie anche a quell’esperienza

l’italiano lo avevo imparato bene. Lo parlavo fluentemente prima

di tornare negli Stati Uniti ma, purtroppo, oggi devo ammettere

che ne ho dimenticato molto –.

Influenza di un padre italiano, una madre pianista, oggi

Chris Botti è orgoglioso delle sue origini e tiene molto a

mantenere una sorta di connessione interiore con la sua italianità.

I viaggi per i concerti non gli permettono di visitare l’Italia

spesso, mi racconta, ma è un luogo che è nel suo cuore

quotidianamente. Lo è talmente che negli anni ha dedicato al Bel

Paese diverse canzoni, tra cui “Italia” composta nel 2007 con

David Foster. Sempre in Italia, fece molto successo nel 2006 la

sua "La belle dame sans regrets", dell'album To Love Again - The

duets, cantata assieme a Sting.

Le sue esibizioni negli Stati Uniti e all’estero sono

particolarmente celebri per le collaborazioni con artisti d’ogni

genere. Ha suonato assieme a Steven Tyler, Andrea Bocelli,

Sting, Barbra Streisand, Paul Simon, Michael Bublé, Rod

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PrimiDieci USA, 2014 - Chris Botti

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Stewart, Renee Olstead, Chaka Khan, Lee Ritenour, Mark

Knopfler, Jill Scott, Josh Groban, Jeff Lorber, David Torn, Dave

Koz, Hargrove, The Blue Nile, Clark Terry, Burt Bacharach,

Brian Culbertson, Paula Cole, Katharine McPhee, John Mayer.

Chris è nato a Portland, nell’Oregon, e sin da bambino si

appassiona subito alla musica, anche grazie alla forte influenza

che riceve dalla madre, come racconta. Momento decisivo, una

sorta d’illuminazione sul suo futuro di trombettista fu la musica

di Miles Davis. Aveva dodici anni quando ascoltò “My Funny

Valentine” e le emozioni furono tali da persuadersi a dedicare

tutta la sua vita alla tromba. Era solo un ragazzino ma da quel

momento sapeva esattamente cosa avrebbe voluto studiare, chi

avrebbe voluto essere. Formazione musicale che proseguì

incessantemente durante gli anni del liceo e durante l’università.

Presso l’Università dell’Indiana fu allievo di nomi di assoluto

rilievo nel panorama americano e internazionale, come il maestro

David Baker, il celebre insegnante di tromba Bill Adam, il

glorioso trombettista jazz Woody Shaw, nonchè il sassofonista

jazz George Coleman.

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PrimiDieci USA, 2014 - Chris Botti

24

A metà anni ‘80 Chris completa gli studi universitari e si

trasferisce a New York, con l’obiettivo di migliorare la propria

abilità negli arrangiamenti, suonando per band come la Big Band

di Buddy Rich, Frank Sinatra, Natalie Cole e Joni Mitchell. E’

tra gli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 che si affianca

ripetutamente a Paul Simon, periodo in cui nasce anche una forte

affinità creativa con Sting.

- Come dico spesso, per me è stato

un insegnamento magnifico poter

lavorare al fianco di musicisti come

Sting, Paul Simon e Joni Mitchell.

Lavorare con loro è stata una risorsa

inestimabile per la mia formazione, per

come ho poi iniziato a creare i miei

concerti – mi racconta Chris. – Oggi non

sarei l’artista che sono senza quelle

esperienze. Erano i primi anni ‘90 quando

lavoravo con Paul Simon e tutto avvenne

in modo totalmente inaspettato. Non succede poi sempre così

soprattutto nel nostro campo? Allora avevo ventotto anni e

vivevo a New York City, componevo e producevo musica e con

la mia band di musicisti facevamo di tutto per riuscire a

mantenerci. Poi, di colpo mi sono ritrovato sulla scena mondiale.

Arrivò la collaborazione con Paul Simon. I miei sogni si erano

incredibilmente realizzati! –

Quella di Chris Botti è una forma di espressione creativa che

parte dal jazz e si estende oltre i limiti dei singoli generi,

esibendosi con concerti in tutto il mondo. I suoi album sono una

raccolta di successi già a partire dal 2004 con “When I Fall in

Love”, poi “To Love Again”, “Italia”, “Chris Botti in Boston”,

per arrivare al suo più recente, “Impressions”. Un Grammy

Award per “Italia” come miglior album strumentale pop e

successi internazionali che gli hanno fatto vendere oltre tre

milioni di album e che lo collocano tra le figure maggiormente

importanti e innovative della musica contemporanea. Durante un

suo recente concerto a Boston è stato incoronato come il più

grande strumentista jazz nel mondo anche per volume di vendite,

“è stato un insegnamento magnifico poter lavorare al fianco di musicisti come Sting, Paul Simon e Joni Mitchell”

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PrimiDieci USA, 2014 - Chris Botti

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in un periodo in cui ha anche ricevuto una

serie di Grammy nominations e tre suoi

album sono entrati nelle classifiche

mondiali del jazz.

Chris Botti è la sua musica, e la sua

musica è esattamente Chris Botti. Ci parli,

lo ascolti, e capisci immediatamente quanto

quest’uomo non potrebbe essere altro. Vive

il senso artistico delle sue composizioni in

modo viscerale, la musicalità che nasce dai

suoi classici, dalle sue ballate, altro non è

che emozioni in note.

– L’arte rappresenta il tessuto della nostra vita in una serie

infinita di modi – mi racconta Chris. – Ai bambini l’arte insegna

la pazienza, la passione, la dedizione; e se è vero che non tutti i

bambini diventano artisti o musicisti, le nozioni fondamentali

dell’arte arricchiranno la loro vita per sempre. Per me l’arte è un

intreccio infinito di creatività, un terreno sempre fertile su cui

poter essere il meglio di sè stessi. E’ l’opportunità di sprigionare

le proprie emozioni nella forma che meglio sai dargli e poi

poterle condividerle con il pubblico per ricevere da questo nuove

emozioni, nuova creatività artistica.

“”Il suono della tromba per me altro non è che una voce. Una voce che esprime una magnifica forma d’arte.”

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PrimiDieci USA, 2014 - Chris Botti

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– Il suono della tromba – prosegue – per me altro non è che

una voce. Una voce che esprime una magnifica forma d’arte.

Penso che ciò che rende la tromba uno strumento speciale sia il

fatto che ha un suono molto vicino alla voce umana. E le voci

sono molte come i tanti diversi suoni, le melodie della tromba.

Spesso la suono come se stessi cantando, è il mio modo di

coinvolgere l'ascoltatore completamente nella musica. Il

pubblico la sente più propria –.

Quando parliamo dei giovani, delle aspirazioni e delle

opportunità per i ragazzi che entrano nel mondo della musica, le

parole di Chris sono di grande incoraggiamento. Il suo

suggerimento è chiaro: – deve essere ispirato, deve sentire la

musica come sente ogni cosa di se stesso. Un giovane che vuole

essere un musicista di successo lo sa dentro che quella è l’unica

vita che ha. Questo giovane non deve mai avere un “piano B”.

Un programma alternativo di vita non lo deve nemmeno

considerare, neanche nei momenti più bui e duri. Mordere il

ferro e tirare avanti, questo solo deve fare, perché sarà lì che

troverà l’affermazione. Naturalmente bisogna poi accettare il

fatto che la musica di oggi è molto diversa dal passato, ma è

un’evoluzione comunque naturale. La musica ha cambiato la

stessa natura dei musicisti e del senso del successo. Pensiamo a

grandi personaggi come Miles Davis, i Beatles, un periodo del

genere non potrà mai ripetersi, c’era allora una componente

umana molto forte ed oggi questo non lo sento. Ma non

disperiamo! Per quanto mi riguarda il mio lavoro è proprio

quello di toccare la vita delle persone con la musica. Ascoltare

coloro che sanno deliziarsi con le note musicali e buttarsi alle

spalle tutto ciò che non è storia del jazz. E’ vero, viviamo in

tempi diversi ma ciò che conta è trovarsi con persone che sanno

apprezzare la tua musica –.

Il compleanno di Chris cade circa un mese prima la

pubblicazione di questo libro negli Stati Uniti. Mi piace pensarlo

come il regalo di compleanno ad un uomo che sa molto di

ragazzo. Un grande artista che sa di persona per bene, di

normalità, di vicino di casa. Mi piace pensare questo libro come

un piccolo, millesimale mattoncino a vanto dei suoi meriti

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PrimiDieci USA, 2014 - Chris Botti

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artistici, messo lì, nel mucchio dei tanti mattoni piccoli e grandi,

testimonianze presenti e future dei suoi splendidi successi.

Per Chris Botti la Bellezza è “nell’arte, in ogni sua forma, in ogni sua rappresentazione. Purchè genuina, purchè espressione dell’anima dell’atista”.

Page 28: PrimiDieci USA, 2014

29

REGINA

CALCATERRA

avvocato dello stato di New York,

autrice

Quanto è successo a me

sono convinta che può

accadere a qualsiasi altro

bambino se influenzato

positivamente.

Page 29: PrimiDieci USA, 2014

29

Nata e vive a Long Island (New York).

Avvocato per lo Stato di New York

Fondo Assicurativo dello Stato di New York: Vice-

Consigliere

Moreland Commission on Utility Storm Preparation and

Response: Direttore Esecutivo

Autore del libro: “Etched in Sand”, pubblicato nel 2013

- New York Times Best Seller 2014

- New York Times - Wall Street Journal Best Seller: 2°

posto, sezione non-fiction

- New York Times Best Seller: 6° posto nella sezione

Saggistica libri e e-Books

- New York Times Best Seller: 8° posto, saggistica non-

fiction (17 agosto 2014)

Awards

"Children of Bellevue"

"Speak Out for a Child" Award, da CASA-NYC

"Maxine Postal Humanitarian" Award

"Woman of the Year" Award, dalla East End Women’s

Network

"Award of Courage", da Geraldine Ferraro

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PrimiDieci USA, 2014 - Regina Calcaterra

30

uando si dice il dolore ci fa diventare grandi.

La storia di Regina è tanto straziante quando

meravigliosa, una vita iniziata nell’abbandono,

negli abusi fisici, per crescere e diventare un simbolo, un’icona

del sostegno ai bambini disagiati o orfani.

In questo senso la sua vita è esemplare, ed è nel suo lungo

dolore che ho cercato le radici. Come padre, ho voluto io stesso

cercare di comprendere come una bambina possa vivere e poi

superare quella straziante condizione di affidamento costante ad

estranei. Il crescere senza amore materno, senza potersi lasciar

sprofondare nell’abbraccio tenero d’un genitore, senza poter

vivere quell’intensità data dai sorrisi, dalle buffe smorfie che

scambiamo continuamente con i nostri piccoli durante i loro

primi anni di vita.

Fa male la sola idea, e fa bene sapere che pur nelle avversità,

pur senza ricevere carezze ne tenerezze, ci sono bambini che

riescono a diventare adulti buoni, adulti grandi dentro e grandi

per gli altri.

Regina Calcaterra è oggi un brillante avvocato, una donna

elegante, affascinante, affermata, forte. Una donna che nessuno

può fermare. Si offre per ogni causa giusta, è attiva sul fronte

legale come sul fronte della tutela dell’infanzia e

dell’adolescenza, è autrice di uno dei libri più venduti negli Stati

Uniti durante il 2013-2014. Con coraggio e senza nascondere gli

aspetti più amari, più dolorosi della sua prima infanzia, Regina

racconta se stessa nel libro Etched in Sand, un New York Times

Q

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PrimiDieci USA, 2014 - Regina Calcaterra

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Best Seller 2014.

– E’ un libro in cui è la parte più viva di me stessa, nel bene

nel male. L’ho voluto scrivere per due ragioni, una è che i miei

fratelli ed io siamo cresciuti senza genitori e ci siamo dovuti

crescere da soli. Per mangiare dovevamo rubare. Questo per dare

un’idea della nostra situazione di allora. Tantissime difficoltà,

tali che spesso veramente non riuscivamo a credere di essere nati

così sfortunati! Eravamo tanto piccoli e ricordo che ogni giorno

ci domandavamo il perché non ci fosse capitata una vita

migliore.

Poi presto abbiamo capito che ci sarebbe potuta andare

anche molto peggio così abbiamo imparato a essere riconoscenti.

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PrimiDieci USA, 2014 - Regina Calcaterra

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Grati ad esempio del fatto che tutto ciò ci stava succedendo negli

Stati Uniti, dove almeno ci sono possibilità per cavartela, se

credi in te stesso. L’altro motivo è dovuto

alla riconoscenza verso le tante persone

che effettivamente ci hanno aiutato in

quella situazione. Almeno nel mio caso ci

sono state persone come insegnanti,

bibliotecari o persino sconosciuti che si

comportavano in modo molto gentile con

me, anche sapendo che ero una senzatetto.

Ci sono stati tanti adulti nella mia infanzia

che mi hanno insegnato molto di positivo

per migliorare me stessa. Persone che mi

davano coraggio, suggerimenti giusti. Tra

loro ci fu chi mi disse chiaramente, non lo

scorderò mai, che l’unico modo di uscire

dalla nostra completa povertà sarebbe

stato quello di andare a scuola.

Naturalmente non è sempre stato tutto positivo, tra i tanti che mi

hanno influenzato positivamente ci ne sono stati anche quelli che

l’hanno fatto in modo del tutto negativo! –.

Negli ultimi venticinque anni Regina Calcaterra si è dedicata alla

politica, alla carriera legale nel settore del management, sia nel

pubblico che nel privato. Oggi è avvocato per lo Stato di New

York ed era precedentemente il Direttore Esecutivo della

Commissione sulla Preparazione agli Eventi Catastrofici

(Moreland Commission on Utility Storm Preparation and

Response) del Governatore Moreland, dello stato di New York.

Incarico per il quale svolgeva indagini ed inchieste sulla

corruzione nelle aziende pubbliche nel settore energetico di New

York in relazione a diversi eventi catastrofici che colpiscono lo

Stato, tra cui l’uragano Sandy. Una carriera dunque

completamente immersa nella più potente èlite governativa e

legale di New York. Un mondo professionale e sociale che fino a

qualche anno fà era totalmente all’oscuro del suo vero passato,

tenuto da lei quanto mai riservato.

Ad esempio, fino al momento dell’uscita del suo libro non si

“Vorrei far capire alle persone, a tutti noi adulti, quanto forte sia il nostro potere di influenzare positivamente i bambini”.

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PrimiDieci USA, 2014 - Regina Calcaterra

33

era mai saputo che è cresciuta con una madre violenta, una

donna che ha abbandonato sia lei sia i fratelli a Long Island,

senza casa, senza soldi, senza vestiti. Regina si rivela nel suo

libro, svela l’assurda esperienza del crescere vittima della stessa

madre, donna alcolizzata, tossicomane, che la picchiava, la

legava al termosifone di casa per poi passare ai più piccoli. Il suo

è un raccontarsi composto, senza collera, senza vittimismo, un

raccogliere pensieri su un lungo periodo in cui una bambina

abusata e poi ripudiata si ritrovò a far da madre lei stessa ai

propri fratellini.

Abbandonati nella più completa indigenza e cresciuti per lo

più in strutture pubbliche della Contea di Suffolk, Long Island,

Regina e i suoi quattro fratelli rivedevano la madre solo in rari e

drammatici brevi periodi. Un’infanzia di abusi, di dolore, di

assenza, dove trovavano una qualche umanità nei soli intervalli

in cui riuscivano ad essere affidati ad occasionali famiglie. Anni

indicibili, come mi racconta, ma un’infanzia da cui è cresciuta

con un insegnamento straordinariamente positivo e che è quanto

desidera condividere con i lettori del suo libro.

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PrimiDieci USA, 2014 - Regina Calcaterra

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– Con Etched in Sand vorrei far capire alle persone, a tutti

noi adulti, quanto forte sia il nostro potere di influenzare

positivamente i bambini. Possono essere anche solo istanti, pochi

minuti quelli che trascorriamo con un bambino, ma se in quel

poco gli trasmettiamo gentilezza, positività, quell’input gli

rimarrà addosso per sempre. Se ogni adulto che si trova a dare

consigli, a instradare un bambino lo facesse con positività, con

dolcezza e rispetto, quando arriverà il momento di decidere cosa

fare della propria vita quel bimbo porterà in sé una sicurezza tale

da saper scegliere la strada giusta. Di questo ne sono la prova

vivente. E’ esattamente quanto capitato a me e sono convinta che

possa accadere a qualsiasi altro bambino se influenzato

positivamente. La gente che sta leggendo il libro sta reagendo,

sta comprendendo quanto potere quegli adulti avevano su di me

in termini positivi, se pur solo temporaneamente. Sempre più

persone si stanno rendendo conto di quale straordinario potere

possiamo avere nei confronti dei piccoli e della relativa

responsabilità che il nostro rapportarci a loro comporti. Che il

libro sia oggi un best-seller ne sono naturalmente felice, ma

l’elemento più gratificante è quello di sapere che dopo averlo

letto molte persone stanno reagendo, stanno prendono coscienza

del fatto che forse stanno ignorando dei bambini in difficoltà.

Persone che chiudono il libro e iniziano a riflettere sulla

possibilità di prestare maggiore attenzione ai bambini che vivono

attorno a loro, e si accorgono di questi come fosse la prima volta,

nonostante già ci vivessero a fianco –.

Con l’aiuto dei servizi sociali, a quattordici anni Regina

finalmente ottenne la così detta emancipazione, ossia ebbe la

possibilità sancita per diritto di staccarsi legalmente dalla madre.

Donna che nel frattempo in tutti quegli anni si era riaffacciata

occasionalmente nella vita sua e dei fratellini ma solo di rado e

solo per scaricare loro addosso ancora violenze, ancora

umiliazioni, e più volte tentando di portare con sé i due fratelli

piccoli. Venuto a sapere dell’emancipazione di Regina, la madre

si rifece viva ma solo per rapire, letteralmente, i piccoli dalle

mani degli assistenti sociali, rendendosi poi subito irreperibile.

Fu così che Regina da allora non ebbe modo di rivederli per

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PrimiDieci USA, 2014 - Regina Calcaterra

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molti, molti anni a seguire.

Questa coraggiosa quattordicenne era adesso in età da liceo

e i servizi sociali la affidarono ad una famiglia in modo da

permetterle di frequentare la scuola

superiore. Una nuova pagina di vita che

non si rivelò meno straziante e

sconfortante delle precedenti per la teen-

ager Regina, tanto da farle prendere

coscienza per la prima volta

dell’assurdità del sistema delle adozioni

in America.

– Quando i servizi sociali mi

diedero in affidamento a quattordici anni

mi dissero che una volta raggiunti i

diciotto avrei dovuto lasciare la famiglia

dove mi stavano collocando e che di

conseguenza mi sarei inevitabilmente

trovata sola e senza una casa. Senza

mezzi termini mi fecero capire che a

quel punto me la sarei dovuta cavare da

sola, perché con la maggiore età sarei stata di nuovo in stato di

abbandono, nuovamente una senzatetto. Ovviamente chiesi loro

che avrei potuto farmi adottare nuovamente, ma la loro risposta

fu che non sarebbe stato possibile in quanto ero una bambina con

status di “affidamento”. In poche parole, sarei stata considerata

una cattiva scelta, una persona da scansare, perché ero stata

abbandonata dai miei genitori. Ricordo che le giornate dei miei

primi anni di liceo non le trascorrevo come una normale teenager

americana, ero piuttosto continuamente presa dall’ansia,

spaventata dall’idea che di lì a qualche anno mi sarei ritrovata

senza famiglia e senza casa perché rifiutata dal sistema.

– Ecco come stavano le cose negli anni ’80 – prosegue

Regina. – Era assurdo e lo è tuttora. Bisogna far cambiare queste

normative, bisogna fare tutto quanto necessario perché diventi

possibile l’adozione per i ragazzi più grandi, trovar loro una

casa. E’ assolutamente inconcepibile. Ciò che succede oggi è che

“Quando i servizi sociali mi diedero in affidamento a quattordici anni mi dissero che, una volta raggiunti i diciotto, mi sarei ritrovata sola e senza casa.”

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PrimiDieci USA, 2014 - Regina Calcaterra

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quando si raggiungono i diciotto o i ventuno anni, a seconda

dello Stato in cui si vive, si viene eliminati dal sistema, nel senso

che come ragazzo o ragazza precedentemente data in

affidamento sei fuori gioco. Qual’è il risultato di tutto questo?

Oggi si sa che meno del 2% dei ragazzi in affidamento vanno al

college, e che un terzo dei detenuti negli Stati Uniti sono ex

ragazzi in affidamento. Vengono messi in strada senza alcun

sostegno strutturale, niente casa, niente famiglia. Anche nei casi

in cui sono aiutati con risorse, soldi, non si sta dando loro un

aiuto permanente. Ciò di cui hanno bisogno è una famiglia ed

una casa, per tutta la vita. Questo è il

percorso da seguire –.

E’ la sua missione personale. Infondo

chi meglio di lei può comprenderlo, da

oltre otto anni Regina Calcaterra

collabora con “You Gotta Believe”,

l’organizzazione statunitense che si

occupa di far conoscere al grande

pubblico la possibilità di adottare ragazzi

maggiorenni.

– Dopo diversi anni d’impegno oggi

sono presidente della commissione di You Gotta Believe – mi

racconta con l’entusiasmo di chi sta realizzando ciò che le è più a

cuore. – Ogni settimana riusciamo a far adottare i ragazzi più

grandi che sono in affidamento. Ad esempio, qualche mese fà ci

è capitata una coppia che non poteva avere figli; loro avevano

guardato un programma in TV chiamato Wednesday’s Child che

riguarda bambini in affidamento per fini adottivi. Decisero che

era ciò che avrebbero voluto fare, così s’iscrissero al nostro

programma. Nel programma tra gli altri era Brian che ha diciotto

anni e che è stato in affidamento per tutta la vita. In qualche

modo la coppia si è innamorata di lui, tanto che di lì a breve sono

diventati i suoi genitori. Brian oggi vive con loro a Long Island,

è un ragazzo che viene da anni e anni di affidamento e oggi,

finalmente, ha un posto dove vivere. Una famiglia.

– Questo ti fa sentire bene, da senso alla vita di ciascuno di

“la coppia si è innamorata di lui, tanto che di lì a breve sono diventati i suoi genitori.”

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PrimiDieci USA, 2014 - Regina Calcaterra

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noi. Il senso che è quello di occuparci

quanto più possiamo delle persone che

non hanno la nostra fortuna, ossia la

serenità, gli affetti, le opportunità, una

casa. Non posso quindi che essere una

forte sostenitrice dell’adozione, ci sono

così tanti bambini negli Stati Uniti che

hanno bisogno di una famiglia. Bisogna

pensarci quando vuoi avere dei figli,

ricordarsi che lì fuori c’è un bambino che

aspetta, anche se non viene da dentro te. Una volta che lo porti a

casa tua, ti entra nel cuore e diventa tuo figlio a tutti gli effetti.

Soprattutto quando penso alle gravidanze ottenute in modo non

naturale, sostengo che le persone debbano riflettere sulla

possibilità di aiutare un bambino in difficoltà invece di portarne

uno nuovo al mondo. Capisco che ci siano persone con un forte

desiderio di avere un bambino proprio, ma ci sono altre opzioni.

E’ pieno di neonati in affidamento –.

Volge lo sguardo idealmente indietro Regina Calcaterra,

guarda il proprio passato con sempre maggior stupore oggi

mentre vive in una splendida villa nell’esclusiva North Folk di

Long Island, con il suo compagno di origini italiane e i suoi due

gioiosi Cocker Spaniels, Maggie e Oscar.

“A volte devo darmi un pizzicotto per assicurarmi che non sia un sogno”.

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PrimiDieci USA, 2014 - Regina Calcaterra

38

– A volte devo darmi un pizzicotto per assicurarmi che non

sia un sogno! – esclama sorridendo e prosegue – aver strutturato

attorno a me una vita piena di sicurezze, una casa accogliente,

calda. L'amore, gli amici, la salute. E’ sicuramente merito della

mia forza, della mio carattere e della mia dignità, ma anche

molto di quegli adulti che hanno saputo infondere la fiducia in

me stessa quando ero una bambina spaurita, persone che hanno

saputo trasmettermi positività sulla vita e sul futuro –.

E’ una finestra su un mondo ben poco noto ai più quella che

ci apre Regina con la sua testimonianza diretta, del tutto intima e

personale. Ci accompagna nello scoprire un mondo che non

conosciamo, a cui magari preferiamo non pensare, per non

soffrire, per non dovercene occupare, per non sentirci in colpa,

per sentirci fortunati.

Perché lo siamo.

Non so i lettori che hanno seguito sin qui ma, per quanto mi

riguarda, da oggi in poi le parole che rivolgerò ad un bambino

avranno una attenzione nuova, e sarà un approccio che del tutto

calcaterriano.

Per Regina Calcaterra la Bellezza è “famiglia, la mia famiglia di 4 fratelli e 12 nipoti. Bellezza è aver eliminato il ciclo dell’assenza di casa, dell’assenza di famiglia, il ciclo degli abusi”.

Page 39: PrimiDieci USA, 2014

40

MARIAFRANCESCA

CARLI

direttore generale,

JP Morgan Chase

Si devono fare

rinunce a volte molto

importanti per la tua

stessa vita se vuoi

arrivare a degli

obiettivi ambiziosi.

Page 40: PrimiDieci USA, 2014

40

Nata a Milano, vive a Manhattan (New York).

JP Morgan, fu fondata a New York nel 1877

JP Morgan Chase è nata nel 2000 dalla fusione di JP

Morgan e Chase Manhattan Bank

JPMorgan Chase & Co.: la più grande banca d’affari

americana, leader nei servizi finanziari globali

Serve oltre 60 Paesi

Ha oltre di 90 milioni di clienti

Oltre 240.000 dipendenti

I principali servizi al pubblico:

Investment Bank; Servizi finanziari retail

Card Services

Asset & Wealth Management

Commercial Banking; Treasury & Securities Services

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PrimiDieci USA, 2014 - Mariafrancesca Carli

41

l gigante ed il nanerottolo, così mi sono sentito

incontrandomi con Mariafrancesca Carli, uscendo

dall’ascensore al quarantatreesimo piano della sede della

JP Morgan Chase di Manhattan.

Naturalmente dei due il nanerottolo ero io, pur nella mia

dignitosa statura di un metro e ottanta.

Mariafrancesca è una donna brillante dal primo sguardo. Ti

affascina con il senso pratico immediato, un buon giorno,

l’accomodiamoci qui, il suo salutare rapidamente le segretarie ai

vari desk. Poi mi fa il caffè. Ecco il gigante che si rivela non solo

gentile, ma anche normale. Il gigante che svela l’umiltà di chi è

cresciuto a tanta grandezza con altrettanta sobrietà, sapendo

restare a tiro degli ordinari, dei nanerottoli come me in sostanza.

Fa strada nei corridoi, mentre mi dice che ci accomoderemo

in una sala riunioni per parlare tranquilli. Apre lei la porta e mi

sento in difetto per mancare al dovuto ruolo di cavaliere,

occasione perduta per fare la mia parte di maschietto. Ma

infondo siamo a casa sua… Entriamo e penso subito che deve

aver sbagliato, non pare proprio una sala riunioni. E’ un

ambiente elegante, grande e tutto vetri cielo-terra invaso da luce

accecante per quanto invadente. Un immenso cielo azzurro

accarezzato dai tetti dei grattacieli e degli altri edifici, tutti

ordinatamente sotto a noi. In basso, parecchio più in basso. Sono

sul tetto del mondo e mi lascio solleticare i piedi dalle

formichine che, come me fino poco prima, lì giù corrono, si

affannano tra quell’incrociarsi di streets e di avenues che adesso

paiono niente più che righine che si incorociano addolcite da

I

Page 42: PrimiDieci USA, 2014

PrimiDieci USA, 2014 - Mariafrancesca Carli

42

mille colori.

Così, seduti sospesi in uno spazio surreale, Mariafrancesca

ed io parliamo. Iniziamo la nostra conversazione come due

castellani medievali, accomodati ad un lungo tavolo di lucido,

elegante, mogano scuro. La sua gentilezza è informale, del resto

per quanto abbia vissuto più all’estero che in Italia, resta pur

sempre una milanese, con il senso innato dell’andare subito al

dunque, ma anche il desiderio di conoscere di più, capire.

Sì perché la dottoressa Carli, da Direttore Generale della JP

Morgan Chase, la più grande banca d’affari americana e leader

nei servizi finanziari globali, non sta lì tanto a raccontarsi, a

pavoneggiarsi sul chi lei sia. Vuole invece sapere di più

sull’iniziativa editoriale PrimiDieci perché le piace. Le piace

tanto, dice, e appare sinceramente orgogliosa del riconoscimento

che le offriamo come “PrimiDieci 2014”.

– Quando ho ricevuto la Nomination

Letter ero davvero molto sorpresa. Mi

sono chiesta più volte… perché, perché

io? Tra tutte le persone che potevano

essere scelte per un riconoscimento così

prestigioso. Insomma sono rimasta

molto sorpresa e lusingata. Poi assieme

alla lettera era anche il libro della

precedente edizione e l’ho trovato molto

interessante. E immaginare che poi ci

sarei stata io… Però, mi sono detta,

evidentemente il lavoro paga, e con qualcosa di ben più

gratificante della moneta! –.

Lo ammette Francesca Carli, per trovarsi dov’è oggi, proprio

lì in cima al mondo, di lavoro ce n’è voluto tanto, ma proprio

tanto: – tantissimo lavoro, ma è pur vero che ciascuno lavora

molto nel proprio settore se ha passione. Secondo me nella vita

difficilmente si riescono a conquistare i propri obiettivi se non si

lavora tanto. Il lavoro comporta ovviamente sacrifici; riuscire ad

ottenere proprio tutto quello a cui si ambisce è alquanto difficile,

e comunque ci sono aspetti che devono essere sacrificati durante

“evidentemente il lavoro paga, e con qualcosa di ben più gratificante della moneta!”

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PrimiDieci USA, 2014 - Mariafrancesca Carli

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il percorso. Si devono fare rinunce a volte molto importanti per

la tua stessa vita se vuoi arrivare a degli obiettivi ambiziosi e,

anche così, per avere successo alla fine si lavora sempre sodo, di

qualsiasi settore si tratti. L’unico modo quindi, ciò che dà la

spinta ed il coraggio a rinunciare per ottenere soddisfazioni è

solo la passione forte per quello che si fa. Se la cosa non è

interessante, lavorare molto, dedicarsi oltre ogni aspettativa è

difficile–.

Un percorso sicuramente

avvincente in termini di scelte

di vita e di carriera quello di

Mariafrancesca, tra la

formazione a Milano presso

l’Università Bocconi, gli Stati

Uniti quando era al MIT, poi

Londra e di nuovo Stati Uniti:

– dopo la laurea presso la

Bocconi a Milano, ho lavorato

per due anni in Italia, e già

allora uno dei miei sogni era

quello di andare all’estero.

Comunque l’esperienza

formativa della Bocconi per

me è stata un periodo

bellissimo, ho fatto quattro

anni fantastici e lì uno si

sceglie a vicenda, insomma

fai tante amicizie con cui ti trovi bene, tanto che molti dei

colleghi universitari sono poi diventati il mio core team e anche

loro, proprio come me, hanno iniziato a fare esperienze

all’estero. Questo piccolo gruppo di amici si è poi rivelato anche

una vera e propria fonte d’ispirazione, tanto che decidemmo tutti

di fare il master all’estero. Così, dopo laureata lavorai due anni

in Italia poi mi trasferii al MIT-Massachusetts Institute of

Technology, qui negli Stati Uniti, a Cambridge, per fare l’MBA

presso lo Sloan School of Management. Il corso durava due anni,

io l’ho finito un po’ prima e durante l’estate lavorai per la

Mariafrancesca Carli con Riccardo Lo Faro

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Goldman Sachs. Una volta terminato l’MBA decisi di diventare

associate a tempo pieno e alla fine rimasi in Goldman Sachs per

sedici anni! Due sono i momenti della mia vita che ritengo

sicuramente importanti, entrambi in relazione alla formazione: la

Bocconi, che è un’università fantastica, perché già venticinque

anni fà aiutava molto gli studenti ad andare all’estero. Ricordo

molte iniziative con cui motivavano allo studio e a svolgere

periodi lavoro all’estero, veri e propri eventi mirati alla

motivazione dello studente universitario, ai quali spesso

partecipavano oltre trecentocinquanta persone. Tra i relatori

c’erano lo stesso rettore e a volte anche il professor Monti, che

negli anni più recenti in Italia è stato anche Ministro del

Consiglio. L’altro momento chiave della mia vita è stato il

periodo al MIT Sloan. Quell’esperienza mi ha aiutato a

strutturare la carriera all’estero, ed è stata fondamentale per

ottenere poi il lavoro che volevo nel settore dell’investment

banking, quando entrai in GoldmanSachs. Da lì partì tutta la mia

carriera. Per me la Sloan è stata la chiave di accesso al mondo di

lavoro a cui ambivo da sempre. Un percorso che sarebbe stato

assolutamente più difficile se non avessi fatto il percorso tramite

MIT Sloan –.

Presso il MIT Sloan sono gli Executive Boards, comitati

esecutivi presieduti da ex-alunni, leader aziendali, nonchè leader

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PrimiDieci USA, 2014 - Mariafrancesca Carli

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istituzionali e governativi, il cui obiettivo è formare leaders con

principi innovativi volti a migliorare il mondo con il loro

contributo. Classe MIT - Sloan 1992, Mariafrancesca Carli è

tutt’oggi membro attivo della comunità degli alumni, e lo è sotto

forma di benefattrice, contribuendo costantemente a sostenerne

gli investimenti, ed anche come membro dello Sloan Executive

Board del Nord America.

– Sono particolarmente grata a questa università per come ha

cambiato la mia vita in meglio, sia personalmente che

professionalmente. Allo stesso modo di com’è andata a me potrà

andare ad altri, per questo sono fiera di far parte del Comitato

Esecutivo, e di contribuire quanto più possibile per aiutarla a fare

sempre di più. Devo molto a quell’università perché mi ha aperto

le strade che volevo perseguire, quindi aiutarla dal punto di vista

finanziario e anche con il mio tempo, mi è sembrato doveroso

per il futuro dell’università stessa. Le università americane hanno

questo aspetto del give back che trovo molto sensato. Agli

studenti viene chiesto di contribuire alla propria università a

vantaggio delle future generazioni e questo ti dà subito un’idea

del valore che viene dato alla formazione negli Stati Uniti, alla

necessità che tutti coloro che possono vi contribuiscano, ognuno

nel proprio modo –.

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Ciò che rende speciale questa

donna dal talento indiscutibilmente

formidabile, non è solo l’autorevole

incarico che ha presso la JP Morgan

Chase, tantomeno il suo

quarantatreeesimo piano con vista sul

mondo. Ciò che le fa meritare ancor

più ogni stima è il come mette in

pratica le proprie lodevoli

competenze manageriali. La

componente umana nell’esclusivo

settore degli investment bankers non

è affatto una qualità richiesta e

tantomeno comune.

In lei abbonda: – credo non ci sia poi nulla di così

formidabile in ciò che sono. Faccio il mio lavoro dando il meglio

di me, e ci sono arrivata semplicemente con tanto impegno. Sono

diventata un investement banker dopo alcuni anni trascorsi a

Londra occupandomi di Financial Funds. Questi sono gestiti su

scala globale da un nostro gruppo che offre appunto servizi di

investment banking, operando sia su corporate finance che su

capital markets. Lo scorso luglio 2014 abbiamo annunciato un

nostro intervento importante nel settore dei servizi di financial

funds alle famiglie. Ci rivolgiamo a quelle famiglie

particolarmente benestanti, titolari di aziende, con capitali

ingenti, e cerchiamo di aiutarle se hanno interesse a vendere le

proprie compagnie, se vogliono diversificare il business, oppure

se vogliono creare una gestione familiare. Ad esempio se il loro

business è nato in ambito dell’ospitalità, li aiutiamo a

diversificare investendo in altri settori, investendo in altre

compagnie per esempio del settore dei media. Questo è il nostro

lavoro. E’ diverso dalla gestione della ricchezza personale, il

private banking, dove c’è un ammontare preciso che viene dato

per essere gestito. L’Investment Banking è ben altra cosa, ed è

anche divertente perché devi trovare il cliente, poi ci sono le

squadre da organizzare, bisogna coordinare tutto il lavoro…

Devi essere bravo a vendere l’idea dell’investimento al cliente,

“credo non ci sia poi nulla di così formidabile in ciò che sono. Faccio il mio lavoro dando il meglio di me, e ci sono arrivata semplicemente con tanto impegno.”

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convincerlo a vendere e di farlo tramite noi, perché la

competizione è sempre forte. Alla base di tutto poi è il lavoro di

brain storming, di convincimento del tuo gruppo perché si porti a

termine il lavoro. Ecco, in breve

questo è ciò di cui mi occupo –.

John Pierpont Morgan è stato il

fondatore della J.P. Morgan & Co. nel

1877. Nel 2000 la JP Morgan si fuse

con la Chase Manhattan Bank,

prendendo l’attuale nome di J.P.

Morgan Chase. Oggi serve oltre

sessanta Paesi, con più di 90 milioni

di clienti e circa 240.000 dipendenti.

La dottoressa Carli è Managing

Director della sede principale, a

Manhattan, New York. E se lo deve a

qualcuno, mi dice, lo deve solo alla sua famiglia: – mio padre mi

ha sempre incoraggiata molto fin da bambina, sempre molto

pushy. A lui ed a mia madre devo moltissimo. A mia mamma per

altri aspetti e non meno importanti, ma a mio padre riconosco

l’incoraggiamento, la fiducia. E poi il suo insegnarmi che non si

fa mai abbastanza, non è mai abbastanza. Il principio che mi ha

trasmesso secondo cui l’impegno in ciò che si fa deve essere

sempre costante e sempre maggiore –.

Mariafrancesca è una di quelle rare persone che sanno

ascoltare e domandare, assai più di quanto abbiano desiderio di

parlare. II caffè che mi ha offerto era squisito, naturalmente

italiano, e vorrei non lasciarla. Vorrei continuare a farmi

solleticare i piedi dalle formichine lì sotto, da quel pullulare di

multiculturalità, multi-etnicità, multi-religiosità che coesistono

nella piena, straordinaria armonia di Manhattan, ben quarantatre

piani sotto a noi. Restare tra le nuvole in ogni senso, questo

vorrei adesso, ma il tempo della nostra eccellenza italiana negli

USA, PrimiDieci 2014, Mariafrancesca Carli, è denaro. Lei non

lo dice, probabilmente non lo pensa neppure. Ma chi potrebbe

dubitarne quando si ha di fronte la donna che gestisce fondi di

miliardi di dollari per il gruppo bancario più grande d’America?

“mio padre mi ha sempre incoraggiata molto fin da bambina, sempre molto pushy. A lui ed a mia madre devo moltissimo.”

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E’ un arrivederci quello che mi dà Mariafrancesca e la cosa

mi piace assai. Un incontro vissuto nell’headquarter globale

della JP Morgan Chase, ad un’altezza da accarezzare le nuvole,

sorseggiando caffè con vista Paradiso.

Per Mariafrancesca Carli la Bellezza è “Italia. Nelle nostre città ovunque ti guardi attorno vedi monumenti straordinari. Bellezza è Italia.”

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MAURO

FERRARI

scienziato, ricercatore

Come ricercatori abbiamo la responsabilità etica e morale di fare tutto quello che ci è possibile per sconfiggere il cancro ed estirparlo dalle patologie umane.

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Nato a Udine, vive a Houston (Texas).

Presidente e Amministratore Delegato del Houston Methodist

Research Institute

Direttore programma di Nanotecnologia Oncologica

dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Bethesda, a Washington.

Autore di 230 pubblicazioni su rivista

Autore di 7 libri

Titolare di 40 brevetti

Ideatore della biocapsula BIOMEMS, per trapianti cellulari

Texas Medical Center, Houston, il più importante centro medico

degli Stati Uniti d’America:

200 mila tra medici, scienziati e tecnici

6 miliardi di dollari in finanziamenti per ricerca

6 milioni di pazienti ogni anno

Presso il Texas Medical Center è il Methodist Hospital Research

Institute,Dipartimento di Nanotecnologia:

1.200 dipendenti

120 i ricercatori in nanotecnologia (20 sono italiani)

100 milioni di dollari dal governo USA per ricerca: è il

gruppo che ha ottenuto più finanziamenti in tutto il Texas.

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l voler raccontare la persona ancor prima ed ancor

meglio dei successi professionali che la caratterizzano è

l’anima di questo libro, intimo desiderio del suo stesso

autore.

Mauro Ferrari è uno dei maggiori esperti mondiali di

nanotecnologie in campo oncologico e diabetologico. E’ stato fra

i primi a sperimentare le nanotecnologie in ambito medico,

concretizzando passi fondamentali nella lotta contro il cancro.

Ho avuto il privilegio d’incontrarlo in due interessanti ed

approfondite conversazioni e il professor Ferrari che ho

conosciuto mi si è rivelato principalmente come un uomo di

profonda fede, un vero altruista prima ancora delle sue

innumerevoli, autorevoli cariche di scienziato, presidente,

amministratore delegato, direttore.

– Penso che il lavoro che state facendo sia di altissima

qualità, e sono convinto che la vostra iniziativa resterà nel

tempo. Per altro voglio anche dire che, per quanto sia importante

l’impatto di PrimiDieci sulla comunità americana, credo che

questo vostro lavoro potrebbe essere ancora più utile agli Italiani.

Dovreste far sì che sia diffuso in Italia, in particolare tra i

giovani, perché il nostro è un Paese in forte crisi, economica, di

valori, di energia, crisi profonda in tutta una serie di aspetti

cruciali. Credo che conoscere storie di italiani di successo

all’estero, non la mia che non conta niente, ma quella degli altri,

secondo me è importante perché permette agli italiani e

specialmente ai giovani, di riconoscere in se stessi delle doti in

cui a mio avviso hanno smesso di riconoscersi. Il modo di porsi

dei giovani verso le difficoltà, verso il proprio quotidiano, questo

I

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cercare sempre di sopravvivere, “in qualche modo me la cavo”.

No, non è sufficiente me la cavo. Un paese con tante tradizioni,

tanta qualità, dotato di un’enormità di

orizzonti possibili non deve vivere sul

me la cavo, ma deve vivere. Come dice

il Vangelo di Luca, dalle persone a cui

è stato dato molto, è giusto aspettarsi

molto. Essere nati in Italia con la

cultura straordinaria che possediamo,

porta con sé la responsabilità etica di

voler essere un paese guida, nell’essere

utile agli altri in tanti modi, in

medicina, ingegneria, scienze

umanistiche. Storicamente siamo

sempre stati un popolo guida, nell’arte,

nella storia nella scienza, in tutto ed

ora c’è questo ripensare a se stessi

come un popolo minore. Non siamo un

popolo minore, non lo siamo mai stati, ma questa responsabilità

d’essere un paese guida, purtroppo l’Italia non se la riconosce

più. Manca un po’ di fiducia e coraggio in questo senso. Se ad

esempio guardiamo al settore della ricerca in Italia, la gente

spesso parla del fatto che i finanziamenti non sono sufficienti.

Questo è vero, ma la cosa che mi preoccupa di più è l’assenza

del coraggio di buttarsi nell’avventura e togliere gli impedimenti

burocratici, strutturali, difensivi, corporativi, che impediscono al

reale talento di volare. Bisogna dare spazio ai corridori. Ci sono

opportunità enormi. Bisogna permettere all’individuo di

lanciarsi, senza essere impacchettato in queste strutture difensive

che sono secondo me riflessioni di un momento d’involuzione

del popolo italiano che ha poca fiducia in se stesso. Sono certo

che il lavoro che state facendo aiuti a stimolare questo tipo di

predisposizione e spero che contribuisca a dare fiducia e

coraggio a coloro che hanno visioni trasformative –.

Scienziato impegnato principalmente nella ricerca sulle

nanotecnologie e nel campo della bioingegneria applicate in

medicina, Mauro Ferrari negli Stati Uniti è il presidente e

“Un paese con tante tradizioni, tanta qualità, dotato di un’enormità di orizzonti possibili non deve vivere sul me la cavo, ma deve vivere.”

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amministratore delegato del Houston Methodist Research

Institute, uno dei principali centri di ricerca medica in America,

nonché direttore dell'Institute of Academic Medicine e presidente

della “The Alliance for NanoHealth”.

Nato a Udine, ha conosciuto la moglie Paola mentre nel suo

stesso liceo, se pur frequentando anni di corso diversi, ed oggi

hanno insieme una splendida famiglia che definisce letteralmente

“una grande gioia”. – Paola era la mia fidanzata al liceo, solo che

non lo sapeva! Abbiamo cinque figli, Giacomo che ha 26 anni,

un genio del computer, lavora a Seattle. Era prima con la

Microsoft adesso in una start-up che sta andando molto bene. Poi

due gemelle, Kim e Chiara di quasi 24 anni, che realizzano

cartoni animati a San Francisco, e che si sono laureate

praticamente per far contento papà, una in neuroscienza e l’altra

in scienze politiche. Adesso finalmente fanno quello che hanno

sempre voluto fare, frequentando un master come cartoniste.

– Molto, molto creative, sono un’esplosione gloriosa di

creatività, – prosegue il professor Ferrari – poi Ilaria e Federica

sono due gemelle più giovani, di 18 anni tra poco ed hanno

appena finito la scuola superiore. Una studia ingegneria alla

Columbia a New York e l’altra in Texas a Houston dove studierà

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aspetti del public health nel settore della medicina. Una famiglia

molto grande, molto unita e molto interattiva in tanti aspetti –.

Il percorso formativo e la

successiva affermazione nel settore

medico e scientifico di Mauro Ferrari

sono sicuramente avvincenti: – sono

figlio di militari e in famiglia sono

stato il primo ad andare all’università –

spiega con evidente soddisfazione.

– I miei piani per affermarmi nella

vita erano prima gli sport, poi la

musica, poi in qualche modo sono

approdato a studiare fisica matematica,

mi sono laureato in matematica

all’Università di Padova, occupandomi

di problemi di fisica. Una magnifica

opportunità si è rivelata quando mi fu

offerta la possibilità di andare a

studiare a Berkeley per la mia tesi di

laurea. Mi hanno poi voluto lì per studiare ingegneria meccanica,

pagandomi il master e il dottorato, e sempre a Berkeley ho

proseguito al fianco di un professore occupandomi di ingegneria

civile e scienza dei materiali.

– Per motivi personali proprio lì cominciai ad occuparmi di

storie di medicina. Avevo tutte queste tecnologie con cui

lavoravo, ed è venuto naturale chiedersi se avessi potuto usarle

per risolvere problemi storici irrisolti, come il cancro

metastatico, il problema dell’instabilità della placca nelle

coronarie per problemi di cuore, e altri ancora. In che modo si

può usare il micro e il nano? Io ho spinto molto e ad un certo

punto mi sono reso conto che per portare soluzioni nel settore

clinico, non è possibile partendo dalla tecnologia, ma sarebbe

stato necessario partire dalla medicina, conquistarsi la fiducia di

quel mondo e poi importare informazioni basate su tecnologie

diverse o su scienze diverse. Così decisi di cambiare la mia vita.

Lasciai Berkeley quando in quel momento erano ben 17 i premi

“Avevo tutte queste tecnologie con cui lavoravo, ed è venuto naturale chiedersi se avessi potuto usarle per risolvere problemi storici irrisolti, come il cancro metastatico.”

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nobel come professori. Per quanto assurdo poteva sembrare

lasciarla, ero però convinto che sarebbe stato il passo giusto, e mi

trasferii in un’università buona ma non tra le migliori al mondo,

l’Ohio State University, in modo da creare un nuovo

dipartimento di bioingegneria. Questo mi permetteva di avere

cittadinanza anche nel mondo della medicina e non solo di

ingegneria. Da professore ordinario cominciai così anche a

studiare medicina, ho fatto i miei esamini con tutti gli studenti,

pur sempre lavorando a tempo pieno all’università. Fu un

momento magico, era il periodo in cui decisi di lanciare un

programma nazionale di nanotecnologia applicato al cancro. Ero

evidentemente il primo ad occuparmi di questo settore tanto che

mi offrirono la carica di direttore del programma. Ho passato due

anni a Washington, il programma è partito e, ad oggi, sono stati

investiti 700 milioni di dollari, ha dato luogo a farmaci nuovi,

procedure nuove. Un lavoro intenso per capire come funziona il

cancro. –

E’ di quel periodo l’incarico del professor Ferrari, tra l’altro

unico italiano del team di scienziati convocato dal Governo

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americano, di dirigere l’innovativo programma di

Nanotecnologia Oncologica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di

Bethesda a Washington. Il programma cui obiettivo è la sconfitta

definitiva del cancro entro l’anno 2015.

– Completato quel mio percorso

professionale sono tornato alla vita

privata se vogliamo, come professore e

come direttore di dipartimento. Prima

presso la facoltà di medicina

dell’Università del Texas dove ho creato

il primo dipartimento di nano-medicina al

mondo e, successivamente, al Houston

Methodist dove sono scienziato da cinque

anni. Qui continuo ad avere il mio

laboratorio, ma sono anche presidente

dell’istituto di ricerca che ha più di 1000

dipendenti che si occupano di una serie di

applicazioni cui il nano è una piccola

parte. Un paio di anni fà mi è stato dato

anche l’incarico di vicepresidente del

sistema ospedaliero dello Houston

Methodist, che è uno dei principali negli

Stati Uniti.

Come mi spiega Ferrari, la nanotecnolgia fonda la propria

importanza strategica nella cura dei pazienti grazie all’assoluta

efficacia: – il problema è che il farmaco iniettato al paziente

nella chemioterapia finisce quasi interamente sulle parti sane del

corpo e solo in minima parte sulla massa tumorale quindi i danni

collaterali, in questo modo inevitabili e spesso gravi, finiscono

con il compromettere la terapia. L’utilizzo delle nanotecnologie

permette prima di tutto l’ottimizzazione degli effetti dei

medicinali, nonchè di utilizzare in campo clinico una serie di

altri farmaci ad oggi non utilizzati proprio per i loro effetti

collaterali –.

Mauro Ferrari è un uomo di fede cristiana. Una profonda,

assoluta fede in cui lo scienziato ha potuto ritrovare serenità in

“il problema è che il farmaco iniettato al paziente nella chemioterapia finisce quasi interamente sulle parti sane del corpo e solo in minima parte sulla massa tumorale.”

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PrimiDieci USA, 2014 - Mauro Ferrari

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particolare a seguito della propria straziante esperienza familiare,

quando diversi anni fà perse la prima moglie Maria Lusia proprio

a causa della malattia che oggi lui combatte scientificamente e

clinicamente. Un lutto che la visione e la grandezza di

quest’uomo hanno saputo trasformare in bene comune, in

servizio al prossimo, come lo definsce lui stesso.

– Nella sua sofferenza lei mi ha aperto gli occhi e mi ha

insegnato tanto. Per come ha saputo affrontare la malattia e

nell’avermi aiutato a capire quali erano i problemi irrisolti nei

confronti della malattia stessa. Alla fine il significato unico di

fare il mestiere che

faccio è quello di

aiutare il paziente. E’

stato un monito quello

ricevuto da Maria

Luisa, un

insegnamento che ho

poi raccolto anche da

altri pazienti che

seguo. Infondo io non

sono un medico, io

sono lì per aiutarli a

trovare soluzioni ai

problemi, molto spesso anche in senso spirituale. Sono

profondamente cristiano, prego in continuazione, la mia giornata

tipica si apre pregando in casa mia, pregando in ospedale dove

c’è una cappella, pregando quando arrivo a casa, pregando ad

ogni pasto, pregando coi miei pazienti ed ad ogni circostanza

possibile. Scrivo preghiere e interagisco con i pazienti che mi

scrivono da tutto il mondo, spesso intorno alle vere fondamenta

della vita, ovvero quelle dello spirito. Per me non c’è dubbio che

è la fede il principio ispiratore nel servizio. Il precetto è molto

semplice, quello che ha spiegato Gesù Cristo quando gli hanno

chiesto quali sono i comandamenti più importanti. Devi pensare

al prossimo, devi pensare al signore. Dopo di che tutto il resto

viene facile, magari è complicato o doloroso, ma molto chiaro –.

Questo è Super Mauro, come lo chiamano colleghi ed amici

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PrimiDieci USA, 2014 - Mauro Ferrari

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e, se pur suggerisco di andare a documentarsi sugli straordinari

aspetti scientifici e clinici del lavoro suo e del proprio team, è

alle sue parole che lascio chiudere il nostro emozionante

incontro, un suo pensiero anche recentemente condiviso con la

stampa: – gli eventi privati mi hanno indicato una strada e hanno

dato un senso alla continuità della vita, al mistero imponderabile

dell’esistenza. I miracoli ci sono ma vanno guardati con occhi

capaci di riconoscerli nelle cose che ci accadono –.

Per Mauro Ferrari la Bellezza è “un eco della presenza del Signore”.

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MARIO

FRATTI

commediografo,

drammaturgo,

critico teatrale

Katherine Hepburn

scrisse a Fellini: ‘Fratti

e Yeston hanno scritto

un capolavoro, lascia

che lo portino a

Broadway’.

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Nato a L’Aquila, vive a Manhattan, New York.

91 opere teatrali, tradotte in 19 lingue; alcune, tra le più celebri:

Suicidio (1962)

I frigoriferi (1964), trasformata in musical

Il rifiuto (1965)

Mafia (1974)

Six Passionate Women (1978)

Nine (1981)

Avventure erotiche a Venezia (Tangentopoli) (1996)

I nove martiri (2009), dedicata ai nove martiri de' L'Aquila

Paganini (Musical)

Puccini (Musical)

Marilyn Monroe (per la Radio Vaticana)

Awards

5 “Tony Awards” per Nine, adattamento dal film "8 e 1/2" di

Fellini; con oltre 600 rappresentazioni – stagione 1982-83

"Otto René Castillo Award for Political Theatre"

“O’Neill” Award

“Richard Rodgers” Award

2 “Outer Critics Circle” Awards

8 “Drama Desk” Awards

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PrimiDieci USA, 2014 - Mario Fratti

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er conoscere alcuni tra i migliori cuochi italiani

bisogna andare a New York, Los Angeles, San

Francisco, Londra, Tokyo, Shanghai, o ancor più

lontano. Per conoscere alcuni tra i più grandi drammaturghi,

commediografi, grandi scrittori italiani, stessa cosa.

La lista è lunga e riporta un fatttore comune a tutti i nostri

espatriati di successo: l’apprezzamento. Chiamiamolo

riconoscimento, chiamiamola opportunità, più che altro

chiamiamola soddisfazione professionale. Com’è possibile che

per ottenere la meritata considerazione delle nostre fatiche

professionali dobbiamo lasciare la terra della cultura per

eccellenza, la terra della creatività, della bontà umana? Noi

italiani siamo stimati ovunque nel mondo, basta che varchiamo il

confine e tutti ci riconoscono per le profonde qualità umane, per

l’altrusimo, per i millennni di cultura che geneticamente

rappresentiamo, per il nostro stile, per la nostra eccezionale

capacità di curare il dettaglio, in ogni ambito professionale, ed il

saperlo fare con amore. A casa nostra, possiamo essere il nuovo

Michelangelo, ma perché qualcuno se ne accorga dobbiamo

andare a dipingere e scolpire in mezzo mondo, ottenere

riconsocimenti lì, essere apprezzati, premiati, ben pagati e

qualcuno nel Bel Paese forse capisce che gli è sfuggito qualcosa.

Un qualcosa che è patrimonio della nostra Terra e

continuamente, ripetutamente, generazioni dopo generazioni,

viene considerato talmente poco da aver svilito sempre più

un’Italia che è stata il paniere della grandezza culturale, culla

delle molteplici arti e mestieri.

Caro Mario, tu ne sei l’esempio più eminente, te lo

P

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PrimiDieci USA, 2014 - Mario Fratti

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riconosciamo senza mezzi termini. Ti hanno fatto scappar via

poco più che ragazzo con le tue opere nelle mani, ti hanno

catturato gli americani e ti si sono portato via, già allora

lasciando nel Bel Paese quel vuoto che permane ancor’oggi. Un

vuoto non vuoto d’accordo, fortunatamente arricchito da realtà

eccelse ma, perlo più, soffocate.

Quando Mario Fratti lasciò l’Italia

era il 1963 ed era già uno

sceneggiatore di teatro di successo.

Un successo represso

evidentemente, ma sempre

successo. Tanto il suo romanzo

“Diario Proibito” quanto il lavoro

teatrale “Il Nastro” erano entrambi

basati sugli effetti del Fascismo e

del dopo-guerra. Argomento

indubbiamente ancora poco

digeribile in quegli anni tanto che il

suo stesso lavoro teatrale, se pur

riscosse un forte successo di critica

e vinse persino il Premio RAI, non arrivò mai sul palco perché

venne giudicato letteralmente sovversivo. Sovversivo? Mario

crebbe la sua infanzia aquilana con il ricordo, tra i tanti, della

fucilazione da parte dei fascisti di nove suoi coetanei. Ragazzi tra

i 15 ed i 16 anni che ben presto in lui accesero il desiderio della

testimonianza. Le sue opere giovanili erano tutt’altro che

sovversive, erano eroiche, esprimevano coraggio, raccontavano il

rifiuto di alcuni partigiani a confessare persino sotto tortura, poi

fucilati dai tedeschi. Erano gli anni ’60, quasi vent’anni erano

trascorsi da quei fatti e nei suoi scritti l’aspetto sovversivo Mario

proprio non lo riusciva a intravedere, in un’Italia che si

presentava al mondo come democratica. Da quei giudizi

decisamente opinabili sono oggi trascorsi altri cinquant’anni e

solo molto recentemente, nel settembre 2013, Diario Proibito è

stato finalmente pubblicato grazie all’editore italiano Graus.

Un’opera talmente sovversiva da aver persino vinto il

"Premio Capri Poesia"!

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PrimiDieci USA, 2014 - Mario Fratti

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Il suo stile diretto, il senso di

testimonianza nuda, cruda, ed il

relativo frequente confronto negli

anni ’60 con una realtà italiana assai

poco aperta a recepire i suoi lavori

portano ben presto Mario Fratti a

volgere lo sguardo verso tutt’altra

platea. Quando al Festival di

Spoleto del 1962 va in scena la sua

opera Suicidio, questa viene

immediatamente apprezzata da Lee

Strasberg, noto regista teatrale,

produttore cinematografico, attore

ed insegnante di recitazione, allora

anche direttore dell’Actor's Studio

di New York. Strasberg lo invitò a

portare le sue opere a New York e il giovane autore italiano non

se lo fece ripetere due volte.

– Quando iniziai a lavorare con lui a New York mi resi

subito conto della professionalità e di quanto lavoro duro ci

fossero dietro al successo di Broadway. Presentarono prima

Suicidio e dopo circa un mese altre due mie opere, Accademia e

Il Ritorno. Andarono bene, la risposta della critica fu ottima

anche dalla stampa e dal pubblico, così non mi lasciarono più

andar via! La fortuna per me fu anche che conoscevo già molto

bene la lingua inglese, è una lingua che ho sempre amato

moltissimo, anche perché, essendo monosillabica è perfetta per il

teatro. Conoscere l’inglese è stato un fattore niente affatto

secondario per affermarmi nel mondo del teatro americano. Altro

aspetto fondamentale è ovviamente stato quello della

preparazione, della formazione. Mi portavo dietro un bagaglio di

conoscenza e di esperienze già importante, i miei studi

universitari, le opere che avevo già scritto e che erano già andate

in scena –.

Nato e cresciuto a L’Aquila, Mario Fratti si trasferisce a

Venezia nel 1947 per gli studi universitari. Si laurea in Lingue e

Letterature Straniere all’Università Ca’ Foscari e sin dalla fine

“Quando iniziai a lavorare con lui a New York mi resi subito conto della professionalità e di quanto lavoro duro ci fossero dietro al successo di Broadway.”

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PrimiDieci USA, 2014 - Mario Fratti

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degli anni cinquanta da avvio ad una

fertile produzione drammatica. Dal

1963 si trasferisce negli Stati Uniti

dove l’affermazione gli permette di

realizzare opere che divengono sempre

più celebri ottenendo riconoscimento

internazionale con lavori come

Suicidio, The Cage, The Academy,

Mafia, ed eccezionale notorietà con la

sua Nine, ispirata al film “8 ½” di

Federico Fellini. Quest’ultima

completata tra il 1981 e il 1982

divenne subito un musical di grande

successo di pubblico e di critica, con

oltre duemila produzioni in oltre venti

paesi e l’assegnazione di cinque prestigiosi Tony Awards. La

versione più recente è interpretata da Antonio Banderas ed è

rimasta per molti mesi in programmazione al teatro Eugene

O'Neil di Broadway. Novantuno in totale le sue opere ad oggi,

tradotte in ben diciannove lingue.

– Nine è stato sicuramente un successo in America e nel

mondo al di sopra di ogni aspettativa. Sono anni che va in scena

ed è sempre attuale e

sempre riproposta

con nuovi attori più

celebri.

Un successo che

certamente nasce da

tanto, tantissimo

lavoro, praticamente

sette anni che ho

dedicato alla sua lavorazione assieme al compositore Maury

Yeston. E poi la critica positiva alle sue prime rappresentazioni.

Ricordo che alla Prima c’era anche la mia amica Katherine

Hepburn che il giorno dopo scrisse una lettera a Fellini dicendo

“Fratti e Yeston hanno scritto un capolavoro. Per favore lascia

che lo portino a Broadway” –.

“Nine è stato sicuramente un successo in America e nel mondo al di sopra di ogni aspettativa. Sono anni che va in scena ed è sempre attuale.”

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PrimiDieci USA, 2014 - Mario Fratti

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Mario a New York è professore emerito presso l’Hunter College

ed ha insegnato a lungo anche presso la Columbia University:

– per me l’insegnamento è una passione. Ho insegnato letteratura

italiana, americana e il playwriting, ovvero l’arte dello scrivere

commedie. Comunicare con i giovani è una gioia, non l’ho mai

considerato un lavoro. L’opportunità di insegnare l’ho sempre

considerata una piacevole missione per illuminare i giovani sui

problemi di oggi. Giovani da cui ho tratto grandi soddisfazioni

poichè dei miei studenti oggi una trentina sono diventati

insegnanti, quattro o cinque sono diventati commediografi e tutti

continuano a restare in contatto con me e siamo buoni amici –.

Se è vero com’è vero che gli italiani portano con sé una

ricchezza inestimabile in termini culturali, ovunque decidano di

andare a vivere, Mario ne è certamente un esempio perfetto.

Rispecchia pienamente quella figura d’italiano che ha saputo

offrire all’America il meglio della propria cultura, pur

integrandosi completamente con quella statunitense.

E’ l’uomo dei due mondi, come l’hanno definito più volte i

critici americani: “un caso alquanto raro perché conosce

perfettamente le sfaccettature sociali, culturali, umanistiche,

politiche di entrambi i continenti, americano ed europeo. Sa

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PrimiDieci USA, 2014 - Mario Fratti

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combinarli assai gradevolmente perchè oggettivamente sa

interpretarli e presentarli al pubblico con una realtà schietta ma

anche poetica”.

Diventa cauto Mario Fratti quando ci confrontiamo sulle

opportunità o meno che l’estero oggi possa offrire ai giovani

italiani, autori teatrali, drammaturghi, registi: – un autore italiano

ha la grande fortuna di dominare la propria lingua, di essere

contenitore di tanto patrimonio. Dovrebbe dedicarsi all’Italia,

cercando di aiutare la letteratura italiana. Andando all’estero,

perde moltissimo. Diventa un immigrato che probabilmente, per

esempio qui a New York, se non ha delle basi importanti, una

formazione precisa, e tanta, tanta forza e determinazione, finisce

come cameriere in un ristorante.

– A un giovane –

prosegue Mario – magari

suggerisco di rimanere in

Italia, godersi la nostra

bella lingua italiana e di

persistere quando scrive

un’opera. Se invece ha

quella formazione

necessaria a mettersi in

gioco nel mondo, e se

avesse la conoscenza

perfetta di una lingua straniera, come del francese, dell’inglese o

del tedesco, allora potrebbe benissimo trasferirsi in qualsiasi

paese e usare, come accadde per me, la lingua come strumento,

come arma. Ma se è un autore serio, quel giovane ovunque

vivesse e si dedicasse alle proprie opere dovrà farlo in modo

sincero. Nei suoi testi deve usare autobiografia e confessione, e

deve persistere perché sarà bloccato decine e decine di volte, da

registi o produttori che non lo capiscono. Quando lui ha messo il

proprio cuore nell’opera, deve insistere, andare in giro e

continuare a mettercela tutta e sperare. Mai perdere la speranza –

Mario Fratti, con il suo straordinario amore per il teatro,

l’esperienza radicata in oltre sessant’anni di opere, è

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PrimiDieci USA, 2014 - Mario Fratti

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indubbiamente un grande autore, una persona che per molti

decenni ha fatto e continua a fare molto per la lingua e la cultura

italiana in America. Meriti umani e professionali che vorrei

sfondassero il muro del tempo e che assordassero sonori ogni

generazione, volto di un’eccellenza italiana in terra statunitense.

Per Mario Fratti la Bellezza è “armonia nella collettività umana. Il saper vivere con gli altri. Accettare e caprie gli altri”

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PIER CRISTOFORO

GIULIANOTTI

chirurgo,

chirurgia robotica

Eliminare la

sofferenza è uno dei

principali obiettivi

di una medicina

futura che sia

migliore.

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69

Nato a Pontremoli (Toscana), vive a Chicago (Illinois).

Tra i migliori chirurghi al mondo nel campo della chirurgia

robotica;

Presidente della Scuola Internazionale di Chirurgia Robotica

presso l’Ospedale Misericordia di Grosseto;

Fondatore e Direttore dell’Advanced Robotic Research and

Training Laboratory, Chicago;

collaborazioni con istituti di chirurgia in Europa:

- European Surgical Institute (ESI), Norderstedt, Germania;

- IRCAD, Institut de Recherché contre les Cancers de

l'Appareil Digestif, Francia.

Alcuni tra i suoi “record” in Chirurgia Robotica:

la prima “whipple” (asportazione della testa del pancreas);

la prima asportazione di un polmone;

la prima riparazione di un aneurisma renale;

il primo prelievo da vivente della metà destra del fegato a

scopo di trapianto;

l’asportazione di parte del pancreas con contemporaneo

autotrapianto delle cellule che producono insulina, al fine

di evitare un diabete post operatorio.

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PrimiDieci USA, 2014 - Pier Cristoforo Giulianotti

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’infanzia di ciascuno di noi è stata sempre afflitta, chi

più chi meno, dalla paura del dottore.

Da bambini la sola idea di dover andare dal medico

era già terrore. Dolore. Il solo mettere il piedino dentro la sala

d’attesa con tutti quei musi seri, quegli adulti seduti lungo le

pareti a sfogliavare giornali e bimbi impauriti rannicchiati sulle

loro gambe, tutto era ansia pura. Quando poi giungeva il nostro

turno e ci trascinavano dentro, la paura diventava panico. Una

fifa incontrollabile, un pianto che scoppiava immediato, molto

ma molto prima che il medico perfino ci sfiorasse. E quando

questo per tranquillizzarci iniziava a far smorfiette, versetti, a

dirci paroline gentili, lo odiavamo ancora di più. Lui era il

dottore e come tale per noi significava “dolore”, punto e basta.

Per tutti noi bambini era semplicemente una sola cosa, anzi due:

brutto e cattivo. E così restava nel nostro immaginario per anni.

Ancora oggi, se pur grandi e svezzati, quando ci fanno

accomodare su quei lettini avvolti dal lungo foglio di carta

bianco che srotolano sotto il nostro posteriore, beh quel senso di

fifa, se pur velata da un buon controllo razionale, resta…

Se vi dicessi che esiste chi quel dolore lavora per eliminarlo

dalla faccia della Terra? Eliminare almeno l’idea che il dolore

debba essere una componente rilevante del percorso chirurgico?

Nessuna magia, ma per carità! Solo la tecnologia più scrupolosa

messa in opera da esseri umani dalla sensibilità prodigiosa.

A qualcosa di buono servirà pure la nostra epoca, affogata

nella tecnologia spesso anche abbastanza superflua. E se esiste

un ambito in cui la sua utilità diviene a dir poco sublime è

proprio la chirurgia. Quando si parla di salvare vite umane

L

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PrimiDieci USA, 2014 - Pier Cristoforo Giulianotti

71

sofferenti, non credo esista tecnologia più amabile di quella che

ci aiuta ad alleviare il dolore fisico.

Missione di Pier Cristoforo Giulianotti è proprio questa. Lui

è il dottore buono, il medico che vuoi per amico. E’ quel

chirurgo da cui nemmeno il bimbo più spaurito scapperebbe più.

Il Professor Giulianotti è oggi noto come uno dei migliori

chirurghi al mondo nel campo della chirurgia robotica. Quella

chirurgia minimamente invasiva, assolutamente precisa, eseguita

dalle manine di un robot guidate dalla paziente e specializzata

cura di un illustre chirurgo “robotico”. Giulianotti per l’appunto,

un toscano d.o.c., nato a Pontremoli, nella parte più

settentrionale della Toscana, un’area bellissima ed antichissima

chiamata Lunigiana.

Il suo percorso, tanto quello formativo quanto quello

professionale, sono vero modello di eccellenza italiana votata

alla comunità globale. Un esempio di come a volte l’esser

testardi nell’inseguire la propria vocazione possa portare ad

affermazioni professionali a dir poco sbalorditive.

La carriera di Pier Cristoforo Giulianotti ha avuto inizio con

il cardiochirurgo Gaetano Azzolina, presso il Santi Giacomo e

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PrimiDieci USA, 2014 - Pier Cristoforo Giulianotti

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Cristoforo di Massa. Successivamente si trasferisce a Pisa presso

la prestigiosa Scuola Normale Superiore dove anni prima si era

laureato e specializzato; con nuovo trasferimento è a Grosseto,

presso l’Ospedale Misericordia, per la direzione del

Dipartimento di Chirurgia Generale. Nel 2000 inizia le

applicazioni di chirurgia robotica eseguendo interventi di natura

altamente complessa, operando sia in Italia che negli Stati Uniti

dove poi si trasferisce definitivamente con la famiglia, nella città

di Chicago.

– Vengo da una famiglia di militari, mio padre era un

ufficiale dell’esercito, una personalità sicuramente molto

diligente, molto forte, e si aspettava dal figlio una carriera in

ambito militare. Aspettative da cui io dissentivo totalmente! Mi

disse chiaramente che se avessi voluto fare di testa mia e studiare

medicina mi sarei dovuto mantenere da solo. Così, finito il liceo,

dal quale mi diplomai col massimo dei voti, continuai a studiare

come un matto per il concorso d’ingresso alla Scuola Normale di

Pisa. Concorso che vinsi ed entrai quindi all’università, nella

facoltà di medicina, felice che avevo raggiunto l’obiettivo della

mia autonomia come mio padre mi aveva prospettato, felice

soprattutto di essere in grado di seguire la mia vocazione.

– Seguì così il mio intero percorso

formativo professionale con la

specializzazione – prosegue il professor

Giulianotti – ma le mie prime vere

esperienze pratiche avvennero solo

quando ebbi l’opportunità di affiancare

due grandi chirurghi. Dapprima lavorai

per alcuni mesi con il dottor Gaetano

Azzolina all’ospedale di Massa Carrara,

poi proseguii con un altro chirurgo generale, il professor

Sarteschi. Solo dopo queste esperienze ebbi modo di rientrare

come assistente di ruolo all’Università di Pisa non appena ci fu

un concorso. Trascorsi molti anni a Pisa e quando ebbi le

possibilità economiche per spostarmi mi trasferii all’ospedale

Misericordia di Grosseto, dove tempo dopo mi fu affidato

l’incarico di direttore del Dipartimento di Chirurgia Generale –.

“Per me la chirurgia è un atto d’amore e di rispetto dell’anatomia e della fisiologia.”

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PrimiDieci USA, 2014 - Pier Cristoforo Giulianotti

73

Ben presto Pier Cristoforo inizia ad interessarsi alle

applicazioni robotiche della chirurgia, per lui una sorta di

seduzione verso una nuova forma di chirurgia a cui, come mi

racconta, allora non veniva dedicata molta attenzione.

– Oggi in tema di guerre si parla delle bombe selettive che

evitano morti collaterali. Di per sé è un concetto assurdo perché

è comunque guerra ed io odio tanto la guerra quanto ogni forma

di violenza, ma l’aspetto della selettività è propriamente insito

nel tipo di chirurgia che pratichiamo. Per me la chirurgia è un

atto d’amore e di rispetto dell’anatomia e della fisiologia. Non

mi piacciono le perdite di sangue, i danni che si fanno in modo

collaterale negli interventi

chirurgici, purtroppo anche

con le migliori intenzioni.

E’ un concetto affascinante

quello di poter raggiungere

quest’obiettivo, di poter

fare un viaggio dentro il

corpo umano senza fare

danni. Alla fine degli anni

’90 mentre lavoravo al

Misericordia di Grosseto ebbi la fortuna di trovarmi con un

direttore generale, il Dott. Gianfranco Salvi, che comprese il mio

entusiasmo e la mia dedizione alla chirurgia robotica, come me

anche lui si rese conto di quanto rappresentasse la nuova

frontiera della chirurgia mini-invasiva e che avrebbe

ulteriormente migliorato la tecnica laparoscopica che già aveva

rivoluzionato la chirurgia tradizionale negli anni ’90. E così

avvenne. Mi assecondò nel mio furore d’innovazione, nel mio

desiderio e nella necessità di intraprendere una strada nuova,

tanto che mi aiutò ad acquistare nel settembre 2000 uno dei primi

prototipi commerciali. Il Dott. Salvi dimostrò molto coraggio e

forza decisionale, gli investimenti che gli avevo fatto fare

apparentemente andavano un po’ contro tutto e contro tutti, le

critiche furono ferocissime, ma lui si rivelò assolutamente

visionario. Aveva capito che era la strada giusta, e il tempo ed i

successi che ne seguirono gli diedero piena ragione. Ciò

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PrimiDieci USA, 2014 - Pier Cristoforo Giulianotti

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dimostra quanto anche in Italia ci siano amministratori

assolutamente onesti e coraggiosi –.

Molto anche grazie alla determinazione del Professor

Giulianotti, oggi la chirurgia robotica è applicata sempre

maggiormente negli interventi in vari paesi del mondo. Se si

volesse sintetizzarne l’applicazione potremmo spiegarla come

una chirurgia tramite cui nella zona da trattare vengono fatti dei

fori di un centimetro di diametro circa; in questi fori vengono

inseriti dei tubicini attraverso i quali passano le manine

miniaturizzate del robot guidate dal chirurgo. Quest’ultimo è

seduto davanti al monitor in cui appare in particolare l’area

interessata per l’intervento. Ha una visuale nitida, perfetta, in alta

definizione dell’interno del corpo del paziente e tramite la

strumentazione muove quelle manine robotizzate per far sì che si

possa operare la parte malata senza alcun margine di errore. Con

questa chirurgia per molte patologie il paziente non ha alcuna

necessità di restare ricoverato in ospedale: attraverso un robot si

possono fare interventi da cui i pazienti sono dimessi dopo poche

ore. Se poi vi fosse bisogno di assistenza, entra in gioco la

telemedicina, che monitora il paziente a distanza; per molti casi

si fa già, come per alcuni interventi selettivi allo stomaco. Ecco

dunque l’obiettivo della tecnologia robotica, sempre più sicura e

perfetta, come auspica Giulianotti, e il sogno di migliorare

l’assistenza post-operatoria diventa sempre più realistico.

– Quando si parla di chirurgia robotica, si usa un termine

imperfetto e poco appropriato – tiene a precisare il professore –

la chirurgia robotica non è un processo automatizzato, non è una

macchina che esegue un intervento in modo automatico come la

parola robot lascerebbe suggerire. In realtà dovremmo dire

interventi computer-mediati. L’utilizzo di questa metodica sarà

presto la routine per tutti gli interventi. Penso infatti che tra

cinquant’anni non si parlerà più di chirurgia aperta e saranno

tutti interventi molto selettivi, fatti con tecniche tele-assistite.

Interventi estremamente raffinati e mini invasivi. Il nostro

destino è quello di coabitare con l’intelligenza artificiale, con

macchine intelligenti che ci posso aiutare a realizzare il sogno

dell’intervento perfetto. L’intervento perfetto teoricamente è

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PrimiDieci USA, 2014 - Pier Cristoforo Giulianotti

75

quello di entrare senza nemmeno fare un piccolo foro, entrare in

modo invisibile nel corpo umano, fare un’operazione e tornare

indietro senza causare danni collaterali.

– Con la chirurgia tradizionale abbiamo lavorato secoli –

prosegue – e siamo arrivati al punto in cui non possiamo andare

oltre, se non attraverso il rapporto con il mondo virtuale. Il solo

modo per interagire perfettamente con il reale, è usare l’irreale.

E’ un paradosso filosofico. Perché il computer è un mondo che

non esiste. Solo attraverso questa entità di non esistenza, di

virtualità, riusciamo a modificare il reale in modo perfetto. –

Fondatore e tutt’oggi presidente della Scuola Internazionale

di Chirurgia Robotica presso l’Ospedale Misericordia di

Grosseto, a metà anni duemila Giulianotti si trasferisce negli

Stati Uniti dove è professore di Chirurgia e direttore della

divisione di Chirurgia Robotica dell’autorevole University of

Illinois Medical Center di Chicago, una delle più prestigiose

università americane nel campo degli studi medici e per lo

sviluppo della ricerca, in particolare nella chirurgia robotica e

mini-invasiva. Nel 2008 inaugura l'Advanced Robotic Research

and Training Laboratory, l'unico centro di perfezionamento di

chirurgia robotica in tutto il Midwest americano.

Pier Cristoforo Giulianotti e la moglie Paola

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PrimiDieci USA, 2014 - Pier Cristoforo Giulianotti

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Pier Critosforo Giulianotti, il

dottore buono, il medico di cui non aver

paura ne da bambini tanto meno da

grandini, mi parla di come sia possibile

eliminare la paura del dolore, la

sofferenza. Ed è uno spiegarsi che fa

davvero sperare perché il suo approccio

è men che mai medico, bensì

profondamente umanistico. Pier

Cristoforo ci accompagna verso un

futuro dove la sofferenza in campo

medico dovrà pian piano essere

eliminata grazie alle nuove tecnologie

ed a persone che, come lui, pongono la

dignità del paziente sopra ogni altro

aspetto dell’approccio chirurgico.

– Ciò che penso sulla paura del

dolore è che questo sia un

conflitto ineliminabile, se pur

riusciamo sempre più a spostarne

i termini in avanti. Penso che il

dolore sia ineliminabile e,

dobbiamo riconoscerlo, in

qualche modo il dolore è una

sorgente di conoscenza, è una

sorgente che rafforza la nostra

capacità di capire, di sentire. Il

dolore è ineliminabile ma la

sofferenza fisica accoppiata con

la malattia, questo è qualche cosa

che profondamente ci umilia e ci

indebolisce. Eliminare la

sofferenza è e deve essere uno

dei principali obiettivi di una

medicina futura che sia migliore. Ed è anche la direzione della

medicina robotica, che si propone come target l’abolizione del

dolore fisico. E’ qualcosa che si può veramente migliorare –.

“Il dolore è ineliminabile ma la sofferenza fisica accoppiata con la malattia, questo è qualche cosa che profondamente ci umilia e ci indebolisce.”

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PrimiDieci USA, 2014 - Pier Cristoforo Giulianotti

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L’idea che nelle mie viscere debbano entrarci manine di

robot mi fa pensare molto ai film di fantascienza, ma il piacere

che questo possa alleviare il mio e l’altrui dolore fisico è vera

pace dei sensi. Mette finalmente e definitivamente pace tra i

ricordi di bambino fifone e l’idea che il dottore debba per forza

essere “brutto e cattivo”!

Per Pier Critosforo Giulianotti la Bellezza è “tutto ciò che ci fa essere simili ad un modello universale. Ciò che ci fa entrare in un concetto universale”.

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SYLVESTER

STALLONE

attore, sceneggiatore,

regista, produttore

Non volevo vedere la

sceneggiatura di “Rocky”.

Più vedevo che piaceva, più

resistevo. L’avevo scritta

per me, per recitarla io.

Dovevo esserne io il

protagonista.

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Nato a Manhattan (New York), vive a Los Angeles (California).

uno degli attori più pagati di Hollywood;

primo a superare il tetto dei 15 milioni di dollari: 16 milioni

per Rambo III (1988)

primo ad ottenere 20 milioni (produzione di Daylight -

Trappola nel Tunnel)

inizia con Rocky (1979): personalmente incassa 23.000

dollari, il minimo salariale (mentre il film incassa 225 milioni)

il più recente, Expandable III (2013), incassa 15 milioni

3 Oscar per “Rocky”

Awards

2002: “Action Star of the Millennium”

2008: “Inaugural Golden Icon Award”, Festival del Cinema di

Zurigo

2009: “Glory of the Filmmaker Award”, Festival del Cinema

di Venezia

2010: “Guy’s Choice Award”, Spyke TV

2010: “Visionary Award”, Hollywood Reporter Key Arts

Event

2010: IGN Action Hero Hall of Fame. Comicon Convention,

1st inductee

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PrimiDieci USA, 2014 - Sylvester Stallone

80

a storia di Sylvester Stallone è particolarmente

interessante perché assolutamente esemplare in

termini di obiettività, abnegazione, coraggio,

perseveranza.

Qualità che costituiscono ogni italiano nel proprio affermarsi

negli USA e nel resto del mondo, e per questo orgogliosamente

riconosciuto da PrimiDieci Society nelle proprie edizioni.

Sapere cosa si vuole e non permettere ad alcuno di

scoraggiare, nemmeno scalfire i nostri sogni. Spesso lo si dice a

gran voce, e lo sostengono fortemente persino alcune persone

celebrate in questo stesso libro. Sylvester Stallone personifica

pienamente queste qualità, e conoscere la sua vita per ciò che è

stata davvero, assai prima della poi tanto esplosa celebrità, può

essere utile come magnifico esempio di coraggio e tenacia

soprattutto alle giovani generazioni, attuali e future.

Il suo niente affatto facile percorso giovanile ci offre una

traccia da seguire, più che altro una linea, retta, da condividere,

se ciò a cui miriamo è soddisfare noi stessi come persone oltre

che come professionisti.

Dei molti, moltissimi celebri attori di questi

ultimi cinquant’anni, abbiamo riconsociuto

in Sylvester Stallone un PrimiDieci per le

sue qualità appunto personali, per come

indica a noi tutti la strada da percorere: fare

esattamente ciò che si vuole, ma farlo bene

e con una determinazione ed un coraggio

incondizionati.

L

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PrimiDieci USA, 2014 - Sylvester Stallone

81

Un insegnamento di vita, senza dubbio, ai molti giovani che

invece, forse in Italia ma come altrove, oggi di dubbi ne hanno a

valanghe. Dubbi sul proprio Paese, dubbi su quale lavoro fare,

dubbi sul dove cercarlo, sul dove farlo. Dubbi sulle proprie

capacità. E’ l’esempio tra i più simbolici dell’interesse smisurato

in ciò che si vuole fare, la passione sfrenata, il coraggio di

lanciarsi ed il coraggio di credere che rialzandoci la prossima

volta andrà meglio. L’audacia di sfidare le altrui opinioni su di

sé, la stessa sicurezza in sé stessi come fondamenta per la

realizzazione della nostra passione, del sogno che l’avviluppa.

Ciò che Stallone ha patito da

ragazzo, il messaggio che ci ha dato

con la sua vera vita, e il piacere di

guardare films carichi di energia,

amicizia, speranza, forza, questi sono

tutti meriti indubbi che non possiamo

non riconoscere a Sylvester Stallone.

Le sue fatiche, quelle vere, la simpatia

del suo personaggio pubblico, il suo

aspetto a volte goffo, a volte quasi

sempliciotto, il sorriso mai trattenuto,

sempre donato a qualsiasi intervista,

sono caratteristiche fondate in una

personalità accortamente privata molto

più di quanto s’immagini. Questo è il

Michael Sylvester Gardenzio Stallone

che ho incontrato e che mi piace oggi celebrare e raccontare.

I suoi nomi sono parecchi e sono del tutto italiani. Al nostro

incontro è la prima cosa che gli ho chiesto, ossia come abbia

fatto a nascondere per ben cinquant’anni tutti questi nomi e,

soprattutto, un nome come Gardenzio?

– Mio padre Frank era figlio di Silvestro Stallone, mio

nonno italiano. Presi il nome da lui, che era nato in Puglia, a

Gioia del Colle. Faceva il barbiere prima di emigrare qui in

America. Diciamoci la verità, già Silvestro non è tanto usuale,

ma Gardenzio! Davvero non ho mai saputo come gli fosse

“Mio padre Frank era figlio di Silvestro Stallone, mio nonno italiano. Presi il nome da lui che era nato in Puglia, a Gioia del Colle.”

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PrimiDieci USA, 2014 - Sylvester Stallone

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venuto in mente –.

Non ha avuto un’infanzia facile Sly, come è conosciuto da

tutti Michele, Silvestro, Gardenzio. I primi cinque anni della sua

vita li ha trascorsi con la famiglia nel quartiere di Hell's Kitchen,

non distante dal Midtown di Manhattan, allora praticamente un

sobborgo povero e malfamato. Ma le sue difficoltà iniziarono

assai prima, proprio nel momento in cui è venuto alla luce.

Abbiamo sempre notato, un po’ tutti, quel suo sguardo

apparentemente intontito, magari senza il coraggio di dircelo

perchè vedevamo in lui una celebrità. Ma la forma del suo volto,

la sua espressione qualcosa di strano l’ha sempre avuta e questo

è dovuto al parto problematico che la madre, Jacqueline, dovette

patire. Sylvester fu aiutato a venire al mondo con un forcipe e

sarà per caso, sarà per errore umano, il neonato Rocky Balboa ne

uscì con il nervo facciale reciso, tanto da causargli

successivamente una lieve paralisi del lato sinistro del volto.

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PrimiDieci USA, 2014 - Sylvester Stallone

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Poiché il detto dice che piove

sempre sul bagnato, Sylvester

crebbe anche con seri problemi di

rachitismo. Problemi che solo il

tanto sport, praticato sia da bambino

che da adolescente, lo aiutarono

lentamente a risolvere.

Tra i genitori non mancavano i

problemi, il padre di Sly era spesso

violento, lui stesso mi racconta di

essere stato picchiato più volte

quando era bambino. La madre

lasciò la famiglia presto così

Sylvester, con il fratello più giovane Frank Jr, rimasero a vivere

con il padre per alcuni anni.

Sono gli anni '50 e a scuola Sly non va affatto bene. Solo

quindicenne era stato già espulso da ben quattordici scuole.

Temendo che fosse senza speranza viene spedito dalla madre

assieme al fratello, e tutti assieme iniziano a vivere a

Philadelphia.

Frequenta la Devereaux High School,

fa molto sport tra cui scherma e

football americano, e si allena in una

palestra a quel tempo gestita dalla

madre. Qualcosa cambia in Sylvester

poiché, seppur come studente

continuava a non valere un gran che,

tanto per le qualità recitative

(partecipava a rappresentazioni

teatrali nella high school), quanto per

meriti sportivi, ben presto vince una

borsa di studio. La sfrutta subito per

iscriversi all’Università di Miami dove è deciso a frequentare la

facoltà di Arte Drammatica. Ma lui è Sylvester Stallone e il

carattere ribelle non ce l’ha solo nei film: trascorso qualche di

tempo si rende conto di non resistere ingabbiato tra le mura di

“un professore un giorno, vedendomi spesso distratto, mi mise davanti la foto di un barbone e mi disse “ecco quale sarà il tuo destino se non studi!”

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PrimiDieci USA, 2014 - Sylvester Stallone

84

una classe universitaria e decide di abbandonare il corso di

studio. – In verità lasciai perché un professore un giorno,

vedendomi spesso distratto, mi mise davanti la foto di un

barbone e mi disse “ecco quale

sarà il tuo destino se non studi!”.

Un vero arrogante! Era puro e

semplice terrorismo psicologico.

Questo gli urlai in faccia e me ne andai sbattendo la porta della

classe. Dopo di che in verità per qualche tempo un po’ ho

rischiato…, ma direi che alla fine non lo sono diventato! –

Lasciata l’Università di Miami torna a New York dove

intraprendere la carriera di attore. Un desiderio che gli si rivela tutt’altro che facile. Pur di mantenersi e persistere nella sua idea

di carriera in quegli anni fa di tutto: lavora come pulitore di

gabbie nel Central Park Zoo, fa da maschera al cinema e il

buttafuori nei locali. Nel 1973 Stallone aveva fatto provini

praticamente con ogni singolo agente di casting di New York e si

era presentato a migliaia di provini, e tutto con assoluto scarso

successo. Non si perde d’animo e contemporaneamente si mette

a scrivere copioni su copioni, sfornando numerose sceneggiature

mentre attende l’occasione giusta come attore. E l’occasione

arriva. Era il 1974 quando viene scelto come uno dei protagonisti

di The Lords of Flatbush e con i soldi guadagnati decide di

lasciare New York per Hollywood. Arrivato nel mondo fatato

delle grandi celebrità cinematografiche mondiali, al giovane

Sylvester non resta che cominciare daccapo, ed eccolo in una

serie infinita di provini e incontri ben poco concludenti con

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PrimiDieci USA, 2014 - Sylvester Stallone

85

agenti di casting. Durante quel primo periodo hollywoodiano

riesce solo a ottenere alcuni piccoli ruoli in televisione e ruoli

minori in qualche film. Ma non smette mai di scrivere

sceneggiature. E’ convinto che, in qualche modo, i film che

scrive hanno senso e dovranno piacere a qualcuno, prima o poi.

Sempre nel 1974 sposa l'attrice Sasha Czack, conosciuta

quando era usciere allo storico cinema Baronet & Coronet di

Manhattan. Matrimonio da cui avrà i suoi primi due figli:

Seargeoh "Seth", nato con una forma di autismo, e il

secondogenito Sage, che intraprese la carriera di attore, anche

recitando con il padre in due film: “Rocky V” e “Daylight -

trappola nel tunnel”.

Matrimoni a parte, è la scalata al successo di Sly che

affascina, poiché dimostra una tenacia a dir poco sorprendente,

evidenzia come non abbia mai mollato un centimetro. L’infanzia

difficile e assai sofferta, i ragazzi che a scuola e in strada lo

prendevano in giro, il dover ripetutamente cambiare scuola

perché, pur di difendersi dalle offese, ne picchiava uno dopo

l’altro. E poi gli infiniti tentativi di far breccia nel mondo del

cinema. Anni e anni di difficoltà e sfortuna vera e propria che

poi, un giorno, lo premiano. E’ il 1976 e tra le tante pagine di

sceneggiature che insiste a proporre ai big di Hollywood nasce il

pugile Rocky Balboa.

Una sceneggiatura che piace

subito a diversi produttori pronti

ad acquistarla. Avrebbero

affidato il ruolo del protagonista

ad un attore famoso, ma Sly si

rifiuta: – in quei tempi Sasha ed

io facevamo la fame. Ricordo che

in quei mesi avevamo a mala

pena cento dollari nel conto in

banca ma non volevo assolutamente vendere la sceneggiatura di

“Rocky”. Più vedevo che piaceva, più resistevo. L’avevo scritta

per me, per recitarla io. Dovevo essere io il protagonista. Era

basata sulle mie esperienze, sulle mie sofferenze, ero convinto

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PrimiDieci USA, 2014 - Sylvester Stallone

86

che sarei stato il protagonista migliore

per quella parte. Una sceneggiatura che

avevo praticamente partorito come un

figlio, dalla mia sofferenza, dal

vedermi in quel pugile perdente che si

riscatta a forza di duro lavoro,

credendo solo in sé stesso, sopportando

offese, ingiurie, e che diventa

campione del mondo. Quel

personaggio l’avevo creato veramente

per un caso! Una sera stavo guardando

un incontro di pugilato in tv con mia

moglie e vedo un pugile, praticamente

un ragazzo, Chuck Wepner,

considerato da tutti come un niente, un

perdente. Ma quello combatteva contro il grande Muhammad

Ali! Insomma, quel giovane perdente mise al tappeto Ali nel 14°

e 15° round. Ecco, in quel momento, vedendo Wepner

massacrato dai pugni e pure in piedi a sventolare i guantoni in

segno di successo, lì ho visto me stesso ed è nato Rocky Balboa

–.

La perseveranza che premia.

Tra i produttori di Hollywood che propongono di

acquistargli la sceneggiatura erano Winkler e Chartof, ma

volevano fosse interpretato da attori del calibro di Ryan O'Neal,

Burt Reynolds o James Caan. Arrivano ad offrirgli 300.000

dollari per la sceneggiatura ma Stallone, sempre lo Stallone con

non più di cento dollari in banca, non cede. Anzi, riesce a

convincerli e arriva il successo mondiale: Sly ha la parte nel film

che lui stesso ha scritto e in breve diviene il pugile più famoso

della storia del cinema, portandosi a casa la nomination all'Oscar

come miglior attore protagonista e quella per la miglior

sceneggiatura. Solo Charlie Chaplin e Orson Welles prima di lui

erano arrivati a tanto: due candidature nello stesso anno oltre al

David di Donatello come Miglior Attore Straniero. “Rocky”

vinse tre Premi Oscar: miglior film, miglior regia e miglior

montaggio, con un incasso di 225 milioni di dollari. Mentre il

“vedendo Wepner massacrato dai pugni e pure in piedi sventolando i guantoni in segno di successo, lì ho visto me stesso ed è nato Rocky Balboa”

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PrimiDieci USA, 2014 - Sylvester Stallone

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guadagno di Michele, Silvestro, Gardenzio Stallone fu il solo

minimo salariale: 23.000 dollari.

Un po’ impertinente gli chiedo se

sa cosa dice la gente quando pensa ai

suoi ruoli, sicuramente di grande effetto,

ma dove lo si critica forse per una

recitazione basata per lo più

sull’impatto scenico e non sul dialogo.

– Sono critiche che mi hanno spesso

fatto sorridere. La gente forse dimentica

che già nello stesso Rocky c’erano solo

sei minuti di combattimento, e tutto il

resto era dialogo –.

Risparmierò qui il prolifico elenco

di tutti i suoi film come sceneggiatore,

attore, regista, produttore. Dai tantissimi

che hanno ottenuto successi impensabili, popolarità mondiale, a

quelli dall’esito assai minore. Elenco ricco, smisurato, facilmente

disponibile online con un click di mouse, una rapida occhiata nel

web o in libreria.

“La gente forse dimentica che già nello stesso Rocky c’erano solo sei minuti di combattimento, e tutto il resto era dialogo”

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PrimiDieci USA, 2014 - Sylvester Stallone

88

Mentre altra cosa è comprendere l’effetto umano di tanta

popolarità, risultato di un’incessante perseveranza ma anche

della più vera fame e della costante dedizione. Quanto ritengo sia

qui interessante raccontare è la simpatia del personaggio dal

volto semiparalizzato che raramente viene evidenziata, ancor

meno raccontata.

Perché è così, Sly è simpatico davvero. Ti parla con serenità,

con la sua voce lievemente roca ti fa sentire piccolo piccolo e

non perché se ne sta sul ring in calzoncini e guantoni, ma perché

sai che lì sopra c’è arrivato dopo tanta, tanta sfortuna, tante

percosse del padre, tante difficoltà, tanti insuccessi. Capace sin

da giovanissimo di riconoscere i propri limiti, come il nome per

cui era preso in giro a scuola, o i suoi occhi all'ingiù, la bocca

storta. Una persona reale con difetti reali che diviene icona

mondiale di forza e di successo in un mondo irreale. L’uomo che

sul ring della vita c’è salito restando sempre in piedi, ecco cosa

ci insegna ancora oggi quel ragazzino rachitico, pessimo studente

della Hell’s Kitchen di Manhattan diventato negli ultimi

cinquant’anni uno degli attori più popolari al mondo. L’attore il

cui nome sin dal 14 giugno 1984 è iscritto su una delle grandi

stelle dorate del celebre marciapiede di Hollywood, noto come

l’Hollywood Walk of Fame.

Ci lasciamo mentre mi parla poi delle sue passioni e scopro

che legge molto, legge classici sia americani, inglesi, e ne sa

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PrimiDieci USA, 2014 - Sylvester Stallone

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assai più di me su Dante e Leonardo Da Vinci. E’ appassionato

d’arte e dipinge, dedicandosi alla pittura surrealista ogni

momento che riesce a ritagliarsi, mentre colleziona opere uniche

come Bacon, Rodin, Magritte, Degas.

Ecco, questo è il Silvester Stallone che ho incontrato e che

mi piace ricordare quando da oggi in poi riguarderò, per la

millesima volta, “Rocky”.

Per Sylvester Stallone la Bellezza è “la mia famiglia. La mia bellissima, numerosa famiglia.”

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90

ROSEMARIE

TRUGLIO

vice presidente formazione e ricerca,

sesame workshop

I genitori devono

imparare a conoscere il

loro ruolo nell’educazione

dei bambini.

“ ”

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90

Nata a Hoboken (New Jersey), vive a Manhattan (New York).

Vice Presidente Formazione e Ricerca, Children

Television Workshop (Sesame Workshop), dal 1997.

Membro dell’Advisory Board del Children's Digital

Media Center, Alliance for a Media Literate America.

Membro del Council on Excellence in Children's Media

della Scuola di Comunicazione Annenberg.

È stata Professore di Formazione e Comunicazione

presso il Teachers College della Columbia University,

New York.

2001: pubblica “G is for Growing”, basato su trent'anni

di ricerca sull’educazione e formazione dei bambini e

Sesame Street.

Awards:

" Distinguished Alumni Award”, Kansas University

“Distinguished Alumni Award”, Rutgers University

Page 92: PrimiDieci USA, 2014

PrimiDieci USA, 2014 - Rosemarie Truglio

91

egli anni ottanta ero ragazzino in Italia e ricordo i

Muppets in televisione. Non li guardavo, se non

pochi momenti di tanto in tanto. Se li ricordo già

allora, è perché mi stupiva il fatto che fosse mio padre a farlo.

Mi chiamava: “vieni a vedere questi buffi cosi, sono davvero

uno spasso, sono geniali!” diceva. E non una sola volta, ma in

diverse occasioni. Era affascinato dal messaggio intelligente di

quei pupazzi dai colori sgargianti e dal fare umano. Se lui li

trovava così interessanti, doveva pur valere la pena che li

provassi a seguire anch’io. Ed effettivamente, una volta ascoltati

capii che erano tutt’altro che goffi, buffi burattini di pezza

saltellanti. Dietro quell’apparente ridicolaggine c’era in loro un

comuncarti qualcosa di molto realistico ed il dialogo, tra una

risata e l’altra, faceva riflettere. A condire il tutto per renderli

ancor più unici spesso era la presenza di celebri attori americani

che li affiancavano, e con loro interagivano divertiti.

Solo in questi anni ho poi scoperto che è qui a New York, a

Manhattan, il cuore di tanta creatività divertente e pur geniale.

Un’intera squadra di professionisti specializzati nelle diverse

discipline dell’educazione infantile, la pisicologia, ed a capo dei

quali è una donna, Rosmarie Truglio. Una dottoressa in

psicologia infantile, una formidabile, simpatica, tenace italo-

americana che stabilisce e gestisce l’intero programma educativo

dei dialoghi e che delinea i comportamenti dei divertenti

Muppets.

– Sono molto orgogliosa e onorata di essere parte di una

grande squadra che è quella di Sesame Workshop,

l’organizzazione che produce Sesame Street. Celebreremo presto

il nostro 45° anniversario! – E’ un’esplosione di entusiasmo

N

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PrimiDieci USA, 2014 - Rosemarie Truglio

92

quella di Rosemarie nel raccontare la dedizione della sua intera

squadra al programma: – sin dall’inizio, quando Sesame Street

venne creato, fu avviato un programma sperimentale per

comprendere se e quanto la televisione potesse in qualche modo

preparare i bambini all’esperienza scolastica. Proprio allora fu

stabilito un modello collaborativo secondo cui tanto i produttori

quanto la squadra di programmazione e gli autori avrebbero

dovuto lavorare tutti assieme con gli psicologi del team. Sono

quest’ultimi che conoscono la psicologia comportamentale dei

bambini e che possono indicare a tutto il resto della squadra

come impostare l’intera linea della trasmissione, in termini di

dialogo e di scena. Tra gli psicologi sono poi anche quelli

specializzati nell’infanzia, e sono loro che curano la trasmissione

sotto il profilo della continua attenzione a non dare messaggi non

adeguati e tanto meno diseducativi ai più piccoli.

– E’ stato quindi un modello molto funzionale quello basato

sulla collaborazione tra tutti. Sicuramente è questo il motivo

principale per cui Sesame Street ha ottenuto negli anni così tanto

successo ed è sempre più amato in America e nel resto del

mondo. Il mio lavoro quotidiano è dato da un’energia speciale,

dinamica, che condivido con i miei colleghi come Caroline

Parenti, la direttrice esecutiva di Sesame Street, e Joe Miseri,

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PrimiDieci USA, 2014 - Rosemarie Truglio

93

anche lui italo-americano, autore responsabile del programma.

– È un lavoro di rispetto, – prosegue Rosemarie – di

reciproca comprensione, una collaborazione autentica che crea

un mondo fantastico. I personaggi che noi creiamo hanno

contenuti di grande valore per i bambini, ma il mio obiettivo è

anche quello di far guardare lo show agli adulti, i genitori. Noi

forniamo ai genitori delle linee guida perché imparino loro stessi

assieme ai bambini. Quando lo show in tv è terminato i genitori

hanno l’opportunità di trasmettere ai loro figli quanto appreso dal

nostro “messaggio educativo”. I genitori devono imparare a

conoscere il loro ruolo nell’educazione dei bambini –.

Influenza dei genitori verso i figli di cui la stessa Rosemarie

ha tratto grande beneficio, quando il suo desiderio di ragazza per

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PrimiDieci USA, 2014 - Rosemarie Truglio

94

lo studio della psicologia infantile fu molto sostenuto dal padre.

– Io sono la più piccola di tre fratelli, che sono di sette e di

dieci anni più grandi di me. Da bambina, durante la mia infanzia

ero molto determinata. Vivevamo sopra una macelleria nel New

Jersey, tutta la famiglia era coinvolta nel business, mio padre

Albert, mia madre Lucy. Mio papà fu il primo a intravedere in

me la vocazione accademica e mi stimolò in ogni modo affinchè

intraprendessi gli studi necessari per realizzarmi in quel campo.

Ancora piccola, avevo forse nove o dieci anni, già mi occupavo

tanto dei bambini del quartiere anche perché molti di loro non

avevano alcuna possibilità, le loro famiglie erano molto, molto

modeste, così ero io ad occuparmi di loro come baby-sitter o con

ogni altro lavoretto utile per aiutarli.

– Quando poi ho iniziato a frequentare il college ho subito

scelto di studiare la psicologia

infantile, volevo occuparmi di

educazione o di pediatria. E’ stato

dunque questo l’inizio del mio

percorso formativo: lo studio e la

ricerca sul comportamento dei

bambini. Finito con il college, ero

ancora più determinata e decisi di

ottenere una specializzazione, il

dottorato di ricerca in psicologia

infantile. Per la mia famiglia non è

stato uno shock, perché sapevano che

avevo ambizioni accademiche, ma è

stato comunque difficile. Mia mamma, da buona italo-americana

voleva che mi sposassi e che rimanessi a vivere nel quartiere.

Mentre la persona più sorprendente è stata proprio mio padre. Il

suo è stato un sostegno combattuto, perché naturalmente mi

avrebbe voluto più vicino a loro ma ha fatto tutto il possibile, ha

dato tutto se stesso per affiancarmi, incoraggiarmi nel mio

percorso verso il successo accademico –.

La dottoressa Rosemarie Truglio è oggi Vice Presidente

Formazione e Ricerca del Children Television Workshop, noto

come Sesame Workshop, l'organizzazione che produce Sesame

“Mia mamma, da buona italoamericana voleva che mi sposassi e che rimanessi a vivere nel quartiere.”

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PrimiDieci USA, 2014 - Rosemarie Truglio

95

Street. Una no-profit fondata dal produttore televisivo Joan Ganz

Cooney e Lloyd Morrisett a metà anni ‘60 con l’obiettivo di

supervisionare la produzione dei programmi televisivi dedicati ai

bambini, in particolare quelli provenienti da famiglie a basso

reddito.

L’eperienza professionale di

Rosemarie Truglio è radicata

in molti anni di formazione e

di ricerca nel campo

dell’educazionee e della

comunicazione; è stata

Professore di Formazione e

Comunicazione presso il

Teachers College della

Columbia University.

Attualmente è nell’Advisory Board del Children's Digital Media

Center, Alliance for a Media Literate America, nonchè nel

Council on Excellence in Children's Media della Scuola di

Comunicazione Annenberg. Rosemarie Truglio è anche autrice

di diverse pubblicazioni sulle tematiche di sviluppo del bambino

i cui articoli sono apparsi in riviste di psicologia e sviluppo

infantile. Nel 2001 ha pubblicato, assieme Sholly Fisch, “G is

for Growing”, il risultato di 30 anni di ricerca su i bambini ed il

lavoro di Sesame Street.

Nei suoi diciassette anni dedicati a Sesame Street l’impegno

principale è focalizzato sui programmi di studio del ruolo della

televisione nella socializzazione e nell’educazione dei bambini.

Ciò con il preciso obiettivo di garantire al pubblico un messaggio

responsabile. Tramite continue ricerche comportamentali e le

relative analisi sul materiale televisivo prodotto per Sesame

Street, la dottoressa Truglio si fa garante della sicurezza dei

contenuti, dal punto di vista educativo, in rispetto alla particolare

età dei bambini.

Rosemarie Truglio con Riccardo o Faro

Page 97: PrimiDieci USA, 2014

PrimiDieci USA, 2014 - Rosemarie Truglio

96

Dalla fantasia di Rosemarie e del suo team è stato ad

esempio creato il personaggio Cookie Monster, per far

comprendere ai bambini come la cattiva alimentazione possa far

loro male, introducendo in questo modo questioni molto serie

soprattutto negli Stati Uniti, a bambini in tenera età.

– Il mio lavoro consiste nell’identificare quelli che sono i

problemi critici nell’educazione, nella salute o nella società, tali

da influire nella vita dei bambini qui negli Stati Uniti – spiega.

– La questione dell’alimentazione per i nostri bambini è

importante. Confrontando le statistiche abbiamo notato che per la

prima volta i bambini piccoli ancor prima dell’età scolare

stavano diventando sempre più in sovrappeso. Con la

conseguenza che alcuni tra questi si sviluppava il diabete di tipo

2, legato proprio all’alimentazione. Sesame Street decise così di

trattare il problema nei propri show sviluppando un tipo di

comunicazione che fosse efficace sui bambini. Volevamo a tutti i

costi insegnare ai bambini cosa volesse dire essere in salute. E’

all’età più o meno di due anni che si comincia a fare scelte

alimentari autonome poiché prima di quell’età sono i genitori che

nutrono il bambino. Quando i bambini iniziano ad avere le

Rosemarie Truglio ed il suo team alla direzione di Sesame Street

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PrimiDieci USA, 2014 - Rosemarie Truglio

97

proprie preferenze per il cibo cosa si può fare per incoraggiarli a

provare cibi nuovi? Magari sani? Ci sono cibi che si possono

mangiare sempre e alcuni solo qualche volta e se è un

personaggio come Elmo ad esprimere questo concetto, i bambini

prestano attenzione perché loro si

identificano con lui. Loro si

identificano con i nostri personaggi, si

crea una relazione psico-sociale,

perché ad esempio Elmo e Big Bird

sono reali per loro, non solo

personaggi in tv. E’ nato così “Cookie

Monster”, dal lavoro, dallo studio e

dalla collaborazione tra tutti noi

sull’idea di un nuovo personaggio con

cui potessero identificarsi, nel bene o

nel male. Cookie Monster mangia

biscotti, insieme a tutto il resto, come

tazze, sedie, ecc.

– Ma mangia anche molti biscotti!

La questione che si era posta era come

poter spiegare ai bambini la necessità

di avere un certo equilibrio nel nutrirsi. Grazie a Cookie Monster

siamo riusciti a comunicare che non si possono mangiare i

biscotti tutto il tempo, e che è importante consumare anche la

frutta per esempio! E così i biscotti sono diventati un cibo da

mangiare ogni tanto. Quando insisto sulla questione che anche i

genitori dovrebbero seguire Sesame Street è perchè così hanno

modo di utilizzare il “nostro” linguaggio, magari dicendo ai loro

figli “ti ricordi come Cookie Monster cantava quella canzone che

dice che il biscotto va mangiato solo qualche volta?”–.

Così è proprio Rosemarie Truglio la scienza dietro il

messaggio dei simpatici Muppets. La ricerca e la psicolgia celata

nei pupazzi assai bizzarri i cui contenuti sono studiati con

attenzione clinica in ogni pur minimo dettaglio. La necessità di

un programma televisivo che offra garanzia di vera funzione

educativa per i bambini piccoli è una questione sempre più

attuale e Sesame Street è sempre stato apprezzato per essere tale.

“Grazie a Cookie Monster siamo riusciti a comunicare che non si possono mangiare i biscotti tutto il tempo, e che è importante consumare anche la frutta per esempio!”

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PrimiDieci USA, 2014 - Rosemarie Truglio

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Conoscere oggi colei che in prima persona mette in opera tutto

ciò mi mettte davvero una gran voglia di lasciar guardare i

Muppets in tv ai miei figli per giorni di fila, naturalmente con me

lì, vicino a loro!

Per Rosemarie Truglio la Bellezza è “l’amore sconfinato per il bene dei bambini”.

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100

LUIGI

ZINGALES

economista,

professore di finanza

Le cose cambiano

in meglio quando

veniamo coinvolti

coscientemente tutti.

“ ”

Page 101: PrimiDieci USA, 2014

100

Nato a Padova, vive a Chicago (Illinois).

Robert C. McCormack professor of Entrepreneurship and

Finance” presso la University of Chicago Booth School of

Business

Presidente della “American Finance Association”

Direttore del “Center for Economic Analysis del PCAOB”

Docente di facoltà presso il National Bureau of Economic

Research

Ricercatore per il “Center for Economic Policy Research”

Docente presso l’European Governance Institute

editorialista per Il Sole 24 Ore e l’Espresso

dal 2007 (per sette anni) è stato membro del consiglio di

amministrazione di Telecom Italia

attualmente nel C.d.A. di ENI come rappresentante del

Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Awards

Premio Bernácer, 2003

Nasdaq Award, 2002

National Science Foundation Grant in economia

2012: inserito nella lista redatta dalla rivista Foreign Policy

dei 100 pensatori più influenti al mondo

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PrimiDieci USA, 2014 - Luigi Zingales

101

e idee vanno espresse in modo chiaro e diretto.

A volte può essere necessario il coraggio, altre

l’inclemenza della sincerità, ma non v’è dubbio

che chi riesce a esprimere il proprio pensiero in

modo schietto, confrontandosi coraggiosamente con opinioni

avverse, critiche e schernimento, almeno può dire di aver

vissuto davvero.

Può ben dire d’esserci stato e di aver tracciato il proprio

solco in un mondo fatto per lo più di vie di mezzo,

compromessi, di probabilmente e di forse. Di cambi bandiera e

di venti che girano più a spirale che a maestrale. Nella perenne

confusione e inconcludenza della politica italiana, così come

nello stallo economico in cui soprattutto i paesi come il nostro

versano, un uomo tira su la testa e urla a gran voce il cosa, il

come, il quando fare. Non è un politico, non è un

imprenditore, è un po’ tutte due e niente del genere, ma di

certo è uno che sa il fatto suo.

Laureato in economia summa cum laude all’Università

Bocconi di Milano, con un PhD in Economia al MIT -

Massachusetts Institute of Technology, Luigi Zingales è

l’Italiano che ha le idee chiare sulla nostra epoca. Professore di

Finanza all’University of Chicago Booth School of Business,

il professor Zingales, tra gli economisti più citati a livello

internazionale, è membro di numerosi think-tank e centri di

ricerca americani ed europei, ha avuto collaborazioni con

l'ONU in tema di microfinanza ed è presidente dell’American

Finance Association.

La lista degli incarichi e dei riconoscimenti scorre ancora

L

Page 103: PrimiDieci USA, 2014

PrimiDieci USA, 2014 - Luigi Zingales

102

lunga ma a Luigi Zingales questa introduzione temo non

piacerà poi tanto. Uomo per il quale titoli e meriti sono

qualcosa su cui costruire il bene comune e non per gonfiarsi il

proprio nome, fondamentalmente Zingales è un illustre,

rinomato professore di economia e finanza con una vera

coscienza.

Ben lungi dal limitarsi al

mero studio astratto

dell’economia, Luigi

Zingales vede

indispensabile nel ruolo

dell’economista un

profondo, serio impegno

sociale. Operatore

consapevole del proprio

ruolo nel poter rendere la

società in cui viviamo un

luogo migliore.

Un porsi che fa

sicuramente riflettere, un

impegno che merita ogni

stima, soprattutto quando

siamo poi costretti a

riconoscere che ogni

buona intenzione, come

anche ogni gran buona azione

concreta, spesso s’infrangono contro il

ben noto “muro di gomma”. Un

modus operandi in Italia, ma non solo,

in cui ancor’oggi permangono

profonde espressioni d’indicibile

corruzione, che lo stesso Zingales ha

denunciato nel suo recente libro

“Manifesto Capitalista”. Un retaggio

culturale che continua a far arretrare

sempre più l’Italia per mancati risultati

“la questione della corruzione nel nostro paese è radicata in un vero e proprio retaggio culturale.”

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PrimiDieci USA, 2014 - Luigi Zingales

103

in termini di sviluppo economico e danno paesaggistico,

totalmente contrario all’ambito bene comune a cui si rifà

l’illustre economista.

– La questione della corruzione nel nostro paese è radicata

in un vero e proprio retaggio culturale, che è molto sticky per

usare una parola inglese. Un retaggio non impossibile da

cambiare ed io credo che un cambiamento sia possibile. Ci

vuole secondo me la volontà politica di farlo, e questa volontà

però nasce da una consapevolezza diffusa, la gente deve essere

consapevole di quanto questo sia un danno enorme e che come

tale debba essere sradicato. Le cose cambiano in meglio

quando veniamo coinvolti coscientemente tutti. Ad esempio

ricordo ancora oggi quanto mi capitò diversi anni fà, lo ricordo

benissimo. Ero con la mia famiglia in aeroporto, a Roma, e

mio figlio era nel

passeggino.

– Eravamo tutti in una

saletta d’aspetto e c’era

un signore che fumava

tranquillo, appoggiato

persino sotto il cartello

Vietato Fumare. Come

se non bastasse, era in

piedi vicino il

passeggino di mio

figlio che allora aveva tre mesi. Provai con gentilezza a fargli

notare che era proibito fumare e che era alquanto fastidioso,

specialmente per il bambino. Questo signore si arrabbiò in

maniera veramente furiosa, iniziò a urlare insultandomi,

dicendo che sarei morto di cancro io, e altre ingiurie che

neanche sto a ripetere. Insomma, offese molto pesanti. Poi

guardiamo all’oggi: nessuno fuma. Ovviamente c’è una legge

che proibisce di fumare, ma sorprendentemente per gli

standard italiani, la legge viene rispettata. E’ la gente che ha

capito che rispettarla migliora la vita. Tutto ciò è riuscito

perché avvenuto in un contesto di social awareness sui danni

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PrimiDieci USA, 2014 - Luigi Zingales

104

dal fumo. Se prima la gente insultava e non capiva, quando ad

un certo punto si è creata una consapevolezza diffusa sugli

effetti nocivi del fumo, allora è seguita l’azione politica di far

passare la legge e di farla rispettare. Questo secondo me è un

elemento positivo perché cambiare si può, ma per cambiare

bisogna prima di tutto essere convinti che quello che facciamo

oggi non funziona. Purtroppo secondo me in Italia questa

convinzione comune a tutti ancora non c’è. Tra la gente in

Italia non è affatto diffusa la convinzione che si possa vivere

senza corruzione. Non ci si confronta apertamente sugli effetti

totalmente negativi che la corruzione ha sulla nostra società e

sulla nostra economia, e che di fatto è un male assoluto e che

come tale debba essere sradicato, senza alcuna forma di

compromesso –.

Potrà pure non gradirle le qualifiche ridondanti il

professor Zingales ma i suoi interventi, le sue analisi e le sue

indicazioni nel settore economico, finanziario e politico hanno

un peso decisamente autorevole. Le sue ricerche spaziano

dalla corporate governance allo sviluppo finanziario,

dall'economia politica agli effetti economici della cultura. E se

è vero che bisogna dare a Cesare ciò che è di Cesare, sono

senza dubbio i suoi impegni

professionali a consentirgli una presa

di posizione chiara e consapevole.

Tra i suoi molteplici incarichi negli

Stati Uniti Zingales è Robert C.

McCormack professor of

Entrepreneurship and Finance

presso la University of Chicago

Booth School of Business; nel 2013 è

stato eletto Presidente della

American Finance Association ed e’

stato recentemente nominato

direttore del Center for Economic

Analysis del PCAOB - Public Company Accounting Oversight

Board. E’ attualmente docente di facoltà per il National

Bureau of Economic Research, ed è ricercatore per il Center

“a me spiace sempre quando sono costretto a incoraggiare i giovani italiani che sono all’estero di restare dove sono.”

Page 106: PrimiDieci USA, 2014

PrimiDieci USA, 2014 - Luigi Zingales

105

for Economic Policy Research, ed è docente presso l’European

Governance Institute. Ha recentemente elaborato il Financial

Trust Index, uno studio realizzato per monitorare il livello di

fiducia che gli americani hanno verso il loro sistema

finanziario. Se tutto ciò non fosse abbastanza per tenerlo

completamente impegnato, vale ricordare che Luigi Zingales

collabora alla commissione per il Capital Markets Regulation,

che ha recentemente condotto un’analisi sull’impatto che gli

interventi di tipo legislativo, giuridico e di controllo hanno

sull’efficienza delle aziende pubbliche. In Europa, per il suo

continuo impegno come ricercatore nel settore economico-

finanziario, è stato riconosciuto nel 2003 il miglior giovane

economista finanziario europeo ed insignito del Premio

Bernácer; nel 2002 riceve il “Nasdaq Award” ed il National

Science Foundation Grant in economia. Nel 2012 è stato

inserito nella lista redatta dalla rivista

Foreign Policy dei 100 pensatori più

influenti al mondo, unico italiano

presente oltre al Presidente della BCE,

Mario Draghi.

Il suo lavoro è costantemente

pubblicato negli Stati Uniti su testate

autorevoli come il Journal of

Financial Economics, il Journal of

Finance e l’American Economic

Review. In Italia, oltre ad essere

editorialista per Il Sole 24 Ore e

l’Espresso, dal 2007 per sette anni è stato membro del

consiglio di amministrazione di Telecom Italia come

rappresentante degli investitori istituzionali mentre è

attualmente nel C.d.A. di ENI come rappresentante del

Ministero dell’Economia e delle Finanze. Un economista

definito liberista Lugi Zingales, le sue analisi sono concrete e

praticabili tanto quanto possono essere le sue ricette per

portare il nostro Paese al pari delle economie forti, ad uno

sviluppo sì economico ma anche sociale che sia degno delle

nostre origini, della nostra storia umana e culturale. Non meno

“le società moderne, le imprese moderne, si basano su un principio di selezione che è un principio meritocratico.”

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PrimiDieci USA, 2014 - Luigi Zingales

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importante, una ricetta che sappia dar senso ai giovani italiani

di talento, sempre più costretti a lasciare il proprio paese in

cerca di realizzazione e soddisfazioni professionali all’estero.

Per quanto radicato da molti anni negli Stati Uniti, Luigi

Zingales è frequentemente in Italia. Conosce a fondo le realtà

economiche e sociali di entrambi i mondi ed ha anche in

questo opinioni molto chiare.

– Come Italiano a me spiace sempre quando sono

costretto a incoraggiare i giovani italiani che sono all’estero di

restare dove sono, ben consapevole di quante opportunità in

più hanno restandoci. Il problema non è tanto che molti

giovani italiani vadano a studiare o lavorare all’estero. Il

problema è che pochi giovani dall’estero vengono a studiare o

lavorare in Italia. Queste sono le vere sfide che l’Italia deve

affrontare. Uno dei problemi maggiori che noi abbiamo oggi

in Italia è secondo me una mentalità estremamente provinciale,

quindi non aperta al mondo nel suo complesso. Perché l’Italia

possa evolversi e mettersi in linea con le altre potenze

economiche secondo me è importante che innanzitutto sia in

grado di importare la mentalità meritocratica largamente

diffusa in molti altri paesi del mondo. In Italia abbiamo

un’attitudine molto familistica a preferire il parente, l’amico, il

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PrimiDieci USA, 2014 - Luigi Zingales

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conoscente, spesso perché non ci fidiamo di chi non appartiene

a questa sfera molto limitata della conoscenza personale.

Invece le società moderne, le imprese moderne, si basano su

un principio di selezione che è un principio meritocratico.

Principio che secondo me è poi ciò che motiva le persone a

studiare e fa sì che le imprese vengano gestite meglio,

crescano, diano più posti di lavoro e così via. Il principio

nepotistico è invece un principio basato su una posizione di

rendita, e di monopolio. La competizione internazionale, la

crisi economica, stanno lentamente distruggendo questa

posizione di rendita e di monopolio. Pertanto, a mio avviso, la

speranza che l’Italia cambi non sta tanto nella speranza che chi

governa muti atteggiamento. Non accadrà mai che colui che

sta al potere si renda conto di non essere più capace e

improvvisamente si faccia da parte –.

Quando esprime le proprie convinzioni sugli interventi

culturali, sociali ed economici che l’Italia dovrebbe affrontare

Luigi Zingales lo fa con passione. Soffre davvero per la sua

Italia, lo dice, lo scrive come columnist di Il Sole 24 Ore, e del

settimanale l’Espresso, lo riporta ripetutamente nel suo blog. Il

suo è un orgoglio tutto italiano che mi riconferma: – sono

estremamente orgoglioso di essere italiano. Lo sono talmente

che non ho ancora preso la cittadinanza americana. Nonostante

abbia vissuto qui per ventisei anni, ho ancora la mia carta

verde. Sono molto affezionato al mio passaporto –.

Un orgoglio tutto italiano che condivido e con cui ci

salutiamo, lasciandolo tornare alle sue ricerche, i suoi studi, i

suoi impegni, ma portando con me il ricordo di un economista

genuino. Un uomo le cui idee e analisi sono solchi universali

in un terreno eternamente, infinitamente mutevole.

Per Luigi Zingales “la bellezza sta nella sensazione nel cuore. Le visioni della natura che riempiono molto il cuore”.

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PrimiDieci USA, 2014 ▪ L’AUTORE

Raccontare i “PrimiDieci”:

Dieci biografie, dieci storie di vita e di successo, dieci ritratti diversi e originali per

dipingere persone uniche che all’eccezionalità del loro talento uniscono caratteri forti

e cuori grandi e appassionati. La capacità di trasmettere tutto questo attraverso le

parole scritte è quella di Riccardo Lo Faro, biografo e ghostwriter.

Nato a Roma, con studi universitari in Italia e negli Stati

Uniti, Riccardo Lo Faro da oltre dieci anni è biografo e

ghost-writer con sede a Manhattan, New York e clienti

negli USA, Europa ed altri paesi. Precedenti esperienze di

lavoro lo hanno portato in Australia, con la Sea World

Australia; in Sud Africa, con la Ladbroke PLC - Hilton

Hotels International; in Italia, con Veio Country Club di

Roma e con Hotel Mirage di Cortina d'Ampezzo.

E’ stato il corrispondente da New York per il mensile di

cultura internazionale ‘NewYorkCityV’, pubblicato negli

USA (New York), in Italia, anche distribuito sui voli della

Delta Airlines. Dal 2004 a New York è il responsabile

editoriale di 'Convivial Spirit', rivista dell’Accademia

Italiana della Cucina, Delegazione di New York –

istituzione culturale della Repubblica Italiana, con

delegazioni in tutte le regioni italiane e nelle maggiori città estere.

E’ scrittore e giornalista, iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio (Italia), ed è

membro del Foreign Press Center presso il Dipartimento di Stato USA, a New York.

E’ autore di libri, memoriali, articoli ed altri contenuti editoriali, per lo più in

anonimato, su incarico da clienti privati, aziende ed istituzioni, tra cui: Nazioni Unite -

Rappresentanza della Santa Sede, New York; Fashion Institute of Technology, New

York; Accademia Italiana della Cucina, sedi di Milano e New York; Polizia di Stato -

rappresentanza consolare negli Stati Uniti; Banca d’Italia, Roma; ICE, Istituto per il

Commercio Estero, New York; Sea World, Southport, Australia; Ladbroke PLC -

Hilton Hotels International, South Africa.

Ha fondato PrimiDieci Society e le relative iniziative culturali-editoriali: PrimiDieci e

PrimiDieci-Under40 di cui è anche l’autore, pubblicati annualmente negli USA e dal 2015 in Gran Bretagna.

[email protected] ▪ www.riccardolofaro.com


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