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Date post: 29-Mar-2016
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Rivista di divulgazione scientifica - Istituto Sorelle della Misericordia, Verona
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Difficilmente accade che nell’arco di pochi mesi sia data l’opportunità di confrontarsi con grandi temi della scienza. Invece a pochi mesi dall’affasci- nante viaggio nel darwinismo, i nostri giovani redattori sono chia- mati ora a confrontarsi con la figura di un altro gigante della cultura scientifica mondiale. For- se ancor più che per il fondatore dell’evoluzionismo, l’opera dello scienziato italiano ha richiesto impegno ai nostri giovani, perché più complessa e tormentata fu la battaglia culturale che nel XVII secolo si accese attorno alla figu- ra e alle tesi di Galileo. Eppure neanche la profonda rivoluzione rappresentata dal darwinismo avrebbe potuto realizzarsi senza quel ancora più antico rinnova- mento del procedimento scientifi- co introdotto dallo scienziato italiano. Di fatto il suo insegna- mento metodologico, prima anco- ra che le sue scoperte, può costi- tuire per i giovani sia uno splendi- do laboratorio storico attorno ai conflitti culturali dell’epoca, quan- to un paradigma di come si sia nel tempo evoluto il rapporto fra sapere scientifico, cultura umani- stica e fede, in un rapporto dive- nuto, proprio come per il darwini- smo, prima esplosivo, poi dinami- co ed infine fecondo, grazie alla di Paola Petrillo, docente tenacia e alla saggezza di chi, su entrambi i fronti, operarono per ben tre secoli alla composizione di posizioni apparentemente in- conciliabili. Per tali e tanti motivi pur nella ricca galleria di personalità tipi- che internazionali, poche figure come quella di Galilei fondono in sé spunti educativo didattici in campo scientifico, umanistico e religioso. Guidato dalla precaria sicurezza della sua scienza, una sicurezza che egli stesso contri- buì in maniera determinante a definire come perennemente sub iudice, e sottoposto a formidabili pressioni per recedere dalle sue tesi, Galileo seppe conciliare la necessità di sopravvivere come individuo alla necessità di far sopravvivere a se stesso le pro- prie idee, riuscendo alla fine a tramandare tanto la propria drammatica vicenda umana quanto quella della sua libera mente, sottraendo, per fortuna dell’umanità, l’una e l’altra all’o- blio. Chiamati al difficile compito di scrivere su tutto questo, i no- stri giovani articolisti sono stati invitati a rendere testimonianza di quegli eventi, rappresentando le varie posizioni alla luce della interpretazione dei moderni. EDITORIALE RIVISTA DI DIVULGAZIONE SCIENTIFICA GIUGNO 2009 Anno III, Numero 2 PROJECT INTERVISTA A M. HACK 2 LA RELATIVITÀ DEL- LA TEORIA 3 LE MACCHIE SOLARI 4 DAL PERSPICILLLUS 5 SOLAR PROBE PLUS 6 IPOTESI ELLIS 6 NANOTECNOLOGIE 7 RETORICA E PER- SUASIONE 8 Sommario Sommario Sommario Sommario LA RICERCA SCIENTI- PAMELA I SEGRETI DIUNA CORDA PIZZICATA 9 10 10 LETTERE COPERNICA- NE BRUNO E GALILEO LA RELATIVITÀ’ DOPO GALILEO 11 12 13 LE UNIVERSITÀ IL METODO 14 15
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Page 1: PROJECT

Difficilmente accade che nell’arco di pochi mesi sia data l’opportunità di confrontarsi con grandi temi della scienza. Invece a pochi mesi dall’affasci-nante viaggio nel darwinismo, i nostri giovani redattori sono chia-mati ora a confrontarsi con la figura di un altro gigante della cultura scientifica mondiale. For-se ancor più che per il fondatore dell’evoluzionismo, l’opera dello scienziato italiano ha richiesto impegno ai nostri giovani, perché più complessa e tormentata fu la battaglia culturale che nel XVII secolo si accese attorno alla figu-ra e alle tesi di Galileo. Eppure neanche la profonda rivoluzione rappresentata dal darwinismo avrebbe potuto realizzarsi senza quel ancora più antico rinnova-mento del procedimento scientifi-co introdotto dallo scienziato italiano. Di fatto il suo insegna-mento metodologico, prima anco-ra che le sue scoperte, può costi-tuire per i giovani sia uno splendi-do laboratorio storico attorno ai conflitti culturali dell’epoca, quan-to un paradigma di come si sia nel tempo evoluto il rapporto fra sapere scientifico, cultura umani-stica e fede, in un rapporto dive-nuto, proprio come per il darwini-smo, prima esplosivo, poi dinami-co ed infine fecondo, grazie alla

di Paola Petrillo, docente

tenacia e alla saggezza di chi, su entrambi i fronti, operarono per ben tre secoli alla composizione di posizioni apparentemente in-conciliabili.

Per tali e tanti motivi pur nella ricca galleria di personalità tipi-che internazionali, poche figure come quella di Galilei fondono in sé spunti educativo didattici in campo scientifico, umanistico e religioso. Guidato dalla precaria sicurezza della sua scienza, una sicurezza che egli stesso contri-buì in maniera determinante a definire come perennemente sub iudice, e sottoposto a formidabili pressioni per recedere dalle sue tesi, Galileo seppe conciliare la necessità di sopravvivere come individuo alla necessità di far sopravvivere a se stesso le pro-prie idee, riuscendo alla fine a tramandare tanto la propria drammatica vicenda umana quanto quella della sua libera mente, sottraendo, per fortuna dell’umanità, l’una e l’altra all’o-blio. Chiamati al difficile compito di scrivere su tutto questo, i no-stri giovani articolisti sono stati invitati a rendere testimonianza di quegli eventi, rappresentando le varie posizioni alla luce della interpretazione dei moderni.

E D I T O R I A L E

R I V I S T A D I D I V U L G A Z I O N E S C I E N T I F I C A

G I U G N O 2 0 0 9

A n n o I I I , N u m e r o 2

P R O J E C T

I N T E R V I S T A A M . H A C K

2

L A R E L A T I V I T À D E L -L A T E O R I A

3

L E M A C C H I E S O L A R I 4

D A L P E R S P I C I L L L U S 5

S O L A R P R O B E P L U S 6

I P O T E S I E L L I S 6

N A N O T E C N O L O G I E 7

R E T O R I C A E P E R -S U A S I O N E

8

SommarioSommarioSommarioSommario

L A R I C E R C A S C I E N T I -

P A M E L A

I S E G R E T I D I U N A C O R D A P I Z Z I C A T A

9

1 0

1 0

L E T T E R E C O P E R N I C A -N E

B R U N O E G A L I L E O

L A R E L A T I V I T À ’ D O P O G A L I L E O

1 1

1 2

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L E U N I V E R S I T À

I L M E T O D O

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alla Prof.ssa Margherita Hackalla Prof.ssa Margherita Hackalla Prof.ssa Margherita Hackalla Prof.ssa Margherita Hack

All’epoca di Galilei, pur tra mille difficoltà, All’epoca di Galilei, pur tra mille difficoltà, All’epoca di Galilei, pur tra mille difficoltà, All’epoca di Galilei, pur tra mille difficoltà, esisteva la possibilità che il singolo ge-esisteva la possibilità che il singolo ge-esisteva la possibilità che il singolo ge-esisteva la possibilità che il singolo ge-nio potesse riformare la Scienza … nio potesse riformare la Scienza … nio potesse riformare la Scienza … nio potesse riformare la Scienza …

Secondo la sua personale esperienza, Secondo la sua personale esperienza, Secondo la sua personale esperienza, Secondo la sua personale esperienza, nel mondo di oggi quale possibilità ha il nel mondo di oggi quale possibilità ha il nel mondo di oggi quale possibilità ha il nel mondo di oggi quale possibilità ha il singolo individuo (ad es. il ricercatore singolo individuo (ad es. il ricercatore singolo individuo (ad es. il ricercatore singolo individuo (ad es. il ricercatore italiano), di poter contribuire individual-italiano), di poter contribuire individual-italiano), di poter contribuire individual-italiano), di poter contribuire individual-mente al progresso della Scienza?mente al progresso della Scienza?mente al progresso della Scienza?mente al progresso della Scienza?

Oggi la scienza è quasi sempre un’impre-sa collettiva. Gli strumenti richiedono molte e svariate competenze, anche se ogni tanto può capitare il genio che pro-duce una rivoluzione. Questo è il caso della teoria della relatività di Einstein che ha rivoluzionato la fisica agli inizi del XX secolo. L’altra rivoluzione della fisica mo-derna, la fisica quantistica si deve a u-n’intuizione di Planck, ma poi ha avuto il contributo di molti altri fisici , come Bohr, Schrodinger ecc.

Oggi la ricerca è quasi sempre svolta da gruppi di ricerca in cui ognuno porta il suo piccolo contributo.

L’Italia di Galileo Galilei era all’avanguar-L’Italia di Galileo Galilei era all’avanguar-L’Italia di Galileo Galilei era all’avanguar-L’Italia di Galileo Galilei era all’avanguar-dia nell’astronomia. Come si colloca la dia nell’astronomia. Come si colloca la dia nell’astronomia. Come si colloca la dia nell’astronomia. Come si colloca la ricerca italiana in tale settore oggi? ricerca italiana in tale settore oggi? ricerca italiana in tale settore oggi? ricerca italiana in tale settore oggi?

Ai tempi di Galileo la scienza era un’im-presa individuale. Nell’800 due italiani hanno dato un grande contributo al pro-

gresso dell’astronomia: Giuseppe Piaz-zi che il 1 gennaio 1801 ha scoperto il primo pianetino, in orbita attorno al Sole fra Marte e Giove, il primo di una numerosa famiglia che contiene molte migliaia di oggetti , battezzato Cerere. Angelo Secchi con le sue osservazioni di spettri stellari nella seconda metà dell’800 è stato uno degli iniziatori dello studio della struttura fisica delle stelle. Oggi l’astrofisica italiana è una delle migliori nel mondo.Gli astronomi italiani fanno parte dell’ESO (European Southern Observatory) e dell’ESA ( European Space Agency) e hanno accesso ai maggiori strumenti sia a terra che nello spazio.

Cosa consiglierebbe ad un giovane Cosa consiglierebbe ad un giovane Cosa consiglierebbe ad un giovane Cosa consiglierebbe ad un giovane che volesse intraprendere lo studio che volesse intraprendere lo studio che volesse intraprendere lo studio che volesse intraprendere lo studio dell’astronomia? dell’astronomia? dell’astronomia? dell’astronomia?

L’astronomia oggi è una delle più im-portanti branche della fisica. Tutti i campi della fisica che studiamo e spe-rimentiamo in laboratorio vengono utilizzati per interpretare le radiazioni emesse dai corpi celesti. Un giovane che voglia fare ricerca in questo cam-po deve amare e conoscere bene la fisica, e anche abbastanza la matema-tica, avere costanza perché il lavoro di ricerca richiede applicazione e non scoraggiarsi davanti agli insuccessi. Oggi purtroppo i tagli inferti alla ricerca e alle università costringono molti giovani a anni di lavoro precario, con borse di studio o contratti a termine

Pagina 2 P R O J E C T

Cosa più la attrae e cosa non le piace Cosa più la attrae e cosa non le piace Cosa più la attrae e cosa non le piace Cosa più la attrae e cosa non le piace nella figura di Galilei? nella figura di Galilei? nella figura di Galilei? nella figura di Galilei?

. Galileo aveva la curiosità di speri-mentare nuovi strumenti e basarsi sulle osservazioni e gli esperimenti e non su dogmi o pregiudizi. Per questo è l’iniziatore della scienza moderna

Per il futuro dell’astronomia, in base Per il futuro dell’astronomia, in base Per il futuro dell’astronomia, in base Per il futuro dell’astronomia, in base alle conoscenze attuali lei si aspetta alle conoscenze attuali lei si aspetta alle conoscenze attuali lei si aspetta alle conoscenze attuali lei si aspetta rivoluzioni del tipo di quelle occorse rivoluzioni del tipo di quelle occorse rivoluzioni del tipo di quelle occorse rivoluzioni del tipo di quelle occorse all’epoca e per merito di Galilei, o all’epoca e per merito di Galilei, o all’epoca e per merito di Galilei, o all’epoca e per merito di Galilei, o dobbiamo pensare che oramai si dobbiamo pensare che oramai si dobbiamo pensare che oramai si dobbiamo pensare che oramai si tratta solo di raffinare le conoscenze tratta solo di raffinare le conoscenze tratta solo di raffinare le conoscenze tratta solo di raffinare le conoscenze acquisite? acquisite? acquisite? acquisite?

Nella scienza, più nuove scoperte si fanno più si presentano nuovi proble-mi. Noi oggi conosciamo bene la struttura delle stelle, come si formano e evolvono, sappiamo che molte, forse tutte hanno sistemi planetari, conosciamo la struttura a grande scala dell’universo, sappiamo dell’esi-stenza della materia oscura e dell’e-nergia oscura, ma non sappiamo cosa sono.

Margherita HackMargherita HackMargherita HackMargherita Hack

Professore Emerito dell’Università Professore Emerito dell’Università Professore Emerito dell’Università Professore Emerito dell’Università di Trieste di Trieste di Trieste di Trieste –––– Membro dell’Accade- Membro dell’Accade- Membro dell’Accade- Membro dell’Accade-mia Nazionale dei Linceimia Nazionale dei Linceimia Nazionale dei Linceimia Nazionale dei Lincei

L’INTERV

ISTA

L’INTERV

ISTA

L’INTERV

ISTA

L’INTERV

ISTA

“Il Futuro di Galileo “Il Futuro di Galileo “Il Futuro di Galileo “Il Futuro di Galileo –––– Scienza e tecnica dal Seicento al Terzo Millennio” Scienza e tecnica dal Seicento al Terzo Millennio” Scienza e tecnica dal Seicento al Terzo Millennio” Scienza e tecnica dal Seicento al Terzo Millennio” è una mostra che si tiene a Padova in occasione dell’Anno Internazio-nale dell’Astronomia che celebra il quarto centenario delle osservazioni galileiane.

La mostra non è solo un omaggio al grande scienziato che ha vissuto, insegnato e condotto ricerche a Padova, ma presenta le opere di Galileo come punto di partenza per strumenti e tecniche realizzate successivamente fino ai giorni nostri.

La mostra si divide in sezioni che partono dalle osservazioni al cielo, condotte con il cannocchiale di Galileo, fino ad arrivare ad illustrare i mo-derni telescopi; giunge alle nanotecnologie e alla fisica moderna con gli esperimenti attualmente in svolgimento al CERN di Ginevra che cerca-no una risposta alle domande sull’origine dell’universo. Per uscire dalla mostra si percorre un corridoio in cui è rappresentata la scala dei tem-pi dell’evoluzione dell’universo dalla sua nascita fino alla comparsa dell’uomo. Quest’ultimo non rappresenta la fine di un percorso, ma l’inizio di un cammino per comprendere le leggi fisiche che governano il mondo in cui vive e l’universo stesso.

Il percorso espositivo permette di vedere strumenti antichi e moderni, vi sono pannelli che richiamano i concetti esposti in ogni sezione coa-diuvati dai filmati, inerenti agli argomenti trattati, e alle simulazioni multimediali.

Per le scolaresche è possibile accedere ad un laboratorio in cui gli studenti, in piccoli gruppi, realizzano gli esperimenti relativi al piano inclinato e allo studio del moto parabolico fissando ed elaborando i dati su delle schede appositamente preparate. (Michela Savoia—Liceo Scientifico Biologico “Mondin” - Verona)

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L A R E L A T I V I T À D E L L A T E O R I A D A G A L I L E O A D E I N S T E I N

Pagina 3 P R O J E C T

nave ad uno aperto in cui la cabina è costi-

tuita dalla Terra con tutti i suoi esseri vi-

venti per spiegare come sia impercettibile

il moto terrestre dato che noi stessi ne

siamo partecipi.

Dopo la formulazione di queste teorie a

livello puramente teorico Galileo si dedica

alla loro enunciazione in termini matemati-

ci e giunge alla formulazione delle leggi di

composizione degli spostamenti e delle

velocità: la prima afferma che lo sposta-

mento di un punto materiale rispetto ad un

sistema inerziale S è uguale alla somma

vettoriale dello spostamento s1 dello stes-

so punto materiale rispetto ad un altro

sistema di riferimento inerziale S1 e dello

spostamento st rispetto ad S che esso

subirebbe se fosse trascinato da S1

Cioè che, per esempio, preso un sistema

inerziale che ha il suo centro nel sole e

orientazione costante rispetto alle stelle

fisse lo spostamento di un uomo sulla terra

rispetto al sistema è uguale alla somma

dello spostamento dell’uomo rispetto alla

Terra e dello spostamento della Terra ri-

spetto al sole.

Allo stesso modo dalla legge di composizio-

ne delle velocità si deduce che,con la se-

conda legge, la velocità dell’uomo rispetto

allo stesso sistema inerziale sarà uguale

alla somma della velocità dell’uomo rispet-

to alla terra e della velocità della terra ri-

spetto al sole.

Queste geniali, e per il tempo non ovvie,

conclusioni spiegano in modo matematico

la relatività Galileiana che in pratica affer-

ma che le caratteristiche del moto dei corpi

sono relative al punto d’osservazione. Ba-

sti pensare che un uomo che in un’ora

percorre un chilometro prendendo come

Come tutte le teorie scientifi-

co-matematiche anche la relatività ha

subito una lenta e graduale evoluzione

nel corso dei secoli.

I primi a pensare questa teoria, dal

punto di vista puramente filosofico,

furono i filosofi dell’antica Grecia che

con la dottrina Eraclitea del pànta rei

(tutto scorre) intendevano spiegare

come la realtà che ci circonda sia in

continuo mutamento e come tutte le

cose continuino ad evolversi e quindi

non restino mai uguali a se stesse

tuttavia bisognerà aspettare G. Galilei

perché questa teoria venga astratta

dalla sua realtà puramente concettua-

le e filosofica, per essere studiata,

seguendo un metodo scientifico che

ne permetterà l’enunciazione in termi-

ni matematici.

Lo scienziato si dedicò allo studio del

moto dei gravi contribuendo a formula-

re la prima legge della dinamica e

introdusse concetti noti come

“relatività galileiana”.

Per affermare le sue ipotesi Galileo

paragona la Terra alla cabina senza

finestre di una nave dove si trovano un

tubo dal quale cade una goccia dentro

un vaso, un acquario con dei pesci e

delle farfalle che volano mentre la

nave è ferma. Quando la nave comin-

cerà a muoversi, con moto rettilineo

uniforme, la goccia continuerà a cade-

re nel vaso, i pesci continueranno a

nuotare e le farfalle a volare senza

incontrare difficoltà alcuna e noi non

avremo modo di accorgerci del movi-

mento della nave in quanto tutti gli

elementi nella cabina sono partecipi al

movimento. Quindi dopo aver studiato

il moto dei corpi in tre diversi sistemi

costituiti da aria, acqua e aria-acqua

Galileo estende l’esempio da un siste-

ma chiuso costituito dalla cabina della

sistema di riferimento la Terra, nello

stesso lasso di tempo ne ha percorsi

1168 prendendo come riferimento il

sole.

Sarà, in seguito, Albert Einstein a trova-

re la formula in grado di ampliare le

trasformazioni galileiane in modo com-

patibile con le scoperte effettuate nel

campo dell’elettrodinamica da Lorentz

e Maxwell, due scienziati che dimostra-

rono che la luce si muove a velocità

costante nel vuoto ossia che la luce nel

vuoto ha una velocità di diffusione ben

determinata, circa 300.000 Km/s .

A questa velocità infatti le leggi di Galile-

o non sono più valide in quanto partono

dal presupposto che in due sistemi dif-

ferenti il tempo scorra in modo uguale,

il che è vero se si rimane nell’ambito di

una fisica meccanica mentre quando

vengono presi in considerazione sistemi

che si muovono a velocità della luce

anche il tempo viene distorto.

Alla velocità della luce, infatti, la distor-

sione spazio-temporale sarebbe tale da

fa supporre che se un uomo potesse

viaggiare intorno alla Terra alla velocità

della luce vedrebbe “invecchiare” il

pianeta di decenni pur restando per lui

inalterato lo scorrere del tempo.

Con la teoria della relatività di Einstein

si mette in relazione l’energia con la

massa e la velocità della luce secondo

l’equazione E = m c2

Le scoperte di Galileo così come quelle

di Einstein furono sconvolgenti in quan-

to diedero all’uomo la possibilità aprire

nuovi orizzonti nell’ambito della ricerca

scientifica e contribuirono ad apportare

una trasformazione soprattutto cultura-

le alla società in cui vivevano.

Stefano Bolcati

IV AT - Liceo Scientifico Statale

“Quadri” - Vicenza

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L E M A C C H I E S O L A R I

“Sono circa a diciotto mesi, che riguardando con l'occhiale nel corpo del Sole, quando era vicino al suo tramontare, scorsi in esso alcune macchie assai oscu-re; e ritornando più volte alla medesima osservazione, mi accorsi come quelle an-davano mutando sito, e che non sempre si vedevano le medesime, o nel medesimo ordine disposte, e che talvolta ve n'eran molte, altre volte poche, e tal ora nessu-na. Feci ad alcuni miei amici vedere tale stravaganza, e pur l'anno passato in Ro-ma le mostrai a molti prelati e altri uomini di lettere; di li fu sparso il grido per diverse parti d'Europa, e da quattro mesi in qua mi sono state mandate da vari luoghi varie osservazioni disegnate, e in particolare tre lettere circa a questo argomento scritte al Sig.re Marco Velsero d'Augusta.” Galileo Galilei, lettera scritta da Firenze il 2 Giugno 1612 a Maffeo Barberini (futuro

papa Urbano VI)

Galilei — Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari, Roma, 1613 Firenze, Biblioteca Nazionale Centra-le, Post. 155, pp. 94-95

Ed è così che al tramonto alzando lo sguardo verso quel cielo di natura celeste, all’interno del quale ogni cosa era perfetta e immutabile, Galileo Galilei riuscì ad os-servare il Sole e riuscì a scoprire che sulla sua superficie erano presenti alcune mac-chie scure di varie forme e dimensioni le quali, con il passare dei giorni, potevano cambiare aspetto e posizione sul disco della Stella. Quelle forme erano un’altra

prova a sfavore della teoria tolemaica, quelle strane forme erano le macchie solari!

Le prime osservazioni delle macchie solari ad occhio nudo le dobbiamo ai cinesi e risalgono almeno al 28 a.C. ma Galileo, nel 1609, iniziò a studiarle sistematicamente subito dopo l’intro-duzione del telescopio in astronomia.

Tutto ha inizio quando, in una zona della fotosfera, si forma una regione scura di qualche migliaio di chilometri (detta "poro"); in genere le macchie solari scompaiono nel giro di qualche ora, mentre in alcuni casi cominciano ad espandersi gradatamente. Quando intorno ad esse si può notare una zona di penombra (seppur molto debole), possiamo parlare di macchia.

La vita media di una macchia singola è di qualche giorno; generalmente però esse nascono a coppia o a gruppi, e in tal caso possono avere una vita di qualche settimana. Alcuni gruppi di macchie possono essere particolar-mente longevi, e durare per mesi.

Esse hanno una temperatura relativa-mente bassa che si aggira intorno ai 4500°C, nelle zone in penombra è intorno ai 5500°C mentre nelle altre regioni fotosferiche adiacenti la tempe-ratura si aggira intorno ai 6000°C. Le macchie solari appaiono quindi scure solo per contrasto con le regioni foto-sferiche adiacenti soggette a tempera-ture più elevate. Le macchie solari sono, inoltre, sorgen-ti di campi magnetici che in qualche modo rallentano il flusso termico locale che proviene dall’interno del Sole. Una macchia tipica, infatti, ha un campo magnetico di intensità pari a 0,25 Te-sla, circa 10.000 volte più intenso di quello terrestre.

Le macchie solari riprese tra marzo e aprile 2001, durante l'ultimo periodo di

massimo della nostra stella, dalla sonda spaziale SOHO (Notare per

confronto le dimensioni della Terra.)

Le macchie solari seguono il movi-mento di rotazione del Sole e in pas-sato hanno aiutato gli astronomi a calcolare la sua velocità di rotazione. Una macchia solare infatti impiega 13,5 giorni per attraversare la faccia visibile del Sole, e rimane nascosta per altri 13,5 nella faccia nascosta. Quindi, se essa è ancora "in vita", ritornerà nel punto di partenza dopo 27 giorni (che corrisponde al periodo di rotazione sinodica - non a quello siderale - dato che anche la Terra si sposta in tale periodo). Questo ovvia-mente vale per le macchie che si tro-vano ad una longitudine solare media di 45°; infatti, la rotazione del Sole è differenziale aumentando dai poli verso l'equatore.

Le macchie solari sono un indice dell’-attività solare; più alto è il numero della macchie e più elevata è l’attività della nostra stella. Durante il minimo il Sole è senza traccia di macchie anche per molte settimane, mentre all'epoca del massimo si possono osservare da 10 a 20 gruppi di mac-chie sulla sua superficie. L'ultimo massimo si è verificato nel 2002, quindi il prossimo sarà previsto per il 2013.

Angelica Fiorini

III A Liceo Scientifico Biologico

“Mondin” - Verona

Il numero di macchie solari varia mol-to nel corso di ogni ciclo solare e da un massimo all'altro. Si noti come il picco di massima intensità si ripeta

ogni 11 anni.

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Pagina 5 P R O J E C T

Una fodera di cuoio e due lenti, così era costruito il primo telescopio (Perspicillus) di Galileo, che per primo lo puntò verso il cielo per scrutarne ed esplo-rarne l’oscurità.

Già Ruggero Bacone aveva studiato le pro-prietà delle lenti piano-convesse, ottenute sezionando una sfera di vetro con un piano, notando che l’ingrandimento dell’immagine era prodotto dalla lunghezza focale della lente e dalla distanza a cui si poneva l’oc-chio. Il primo vero telescopio rifrattore fu inventato nel 1608 in Olanda, e fu poi ripre-so da Galileo che lo perfezionò, raggiungen-do i 21 ingrandimenti.

Il telescopio di Galileo soffriva dell’effetto dell’aberrazione cro-matica, per cui le lenti non concentravano i fasci luminosi in un unico punto, ma lo dividevano in fasci che andavano dal rosso al violetto con la conseguente difficoltà di mettere a fuoco l’imma-gine. Per risolvere questo difetto, bisognava costruire lenti di piccola curvatura e di grande distanza focale; fu così che Heve-lius nel 1647 costruì uno strumento a focale di 3,5 m, successi-vamente, questo valore aumentò giungendo a 7,5 m o ai 50 m con lo strumento di Huygens, con l’applicazione della cosiddetta montatura aerea, soluzione che comportava l’applicazione di un filo teso su cui centrare l’oculare con la lente primaria. Nel 1663 James Gregory creò uno strumento che raccoglieva luce in uno specchio paraboloidico, il quale rifletteva la luce su di un secon-dario che la rifletteva al primario attraversandolo tramite un foro centrale. Nel 1668 Newton costruì il telescopio newtoniano, con un primario sferico modificato e un secondario inclinato a 45°. Successivamente Cassegrain costruì il suo celebre modello, mo-dificando quello proposto da Gregory, applicando come seconda-rio un convesso al posto di un concavo.

I telescopi moderni, oltre alle onde luminose, sono in grado di rilevare le onde radio e le onde delle bande dello spettro elettro-magnetico: microonde, infrarosso, ultravioletto, raggi X, raggi gamma.

L’ultimo discendente del perspicillus di Galileo, operativo al cen-to per cento è il telescopio orbitante Hubble. Grazie ai progressi evolutivi dei materiali e dell’informatica, il 24 aprile 1990, fu

possibile lanciare in orbita questo capolavoro di “tecnoscienza”, che dopo 19 anni fotografa ancora l’immensità dell’universo che ci circonda.

Il telescopio Hubble, frutto della collaborazione tra NASA e dell'A-genzia Spaziale Europea (ESA), è posizionato fuori dall’atmosfe-ra terrestre, a circa 600 Km di altezza, in orbita attorno alla Ter-ra. Hubble è stato il primo grande telescopio spaziale in grado di lavorare sia nel visibile, sia nell’infrarosso e nell’ultravioletto. Nonostante la sua area di raccolta sia piccola, infatti non supera 1/15 di quella dei più grandi telescopi da Terra, è in grado tra-smetterci immagini molto più nitide e con una risoluzione circa 10 volte migliore. Ciò è dovuto principalmente all’assenza di atmosfera, che crea rifrazioni e distorsioni della luce che deter-minano nei telescopi terrestri problemi di alterazioni di immagine non indifferenti. Invece l’immagine dei corpi celesti osservati dallo spazio è ferma e definita tanto che è possibile puntare una zona di cielo e mantenere il puntamento a lungo, avendo così un tempo maggiore per raccogliere la luce che proviene da corpi poco luminosi. Grazie a Hubble è stato possibile registrare nume-rosi eventi cosmici e ampliare le nostre conoscenza con molte scoperte; le più significative sono:

l’ acquisizione di immagini dettagliate della collisione della come-ta Shoemaker-Levy 9 con il pianeta Giove nel 1994; le prove del fatto che dei pianeti siano presenti anche attorno a stelle diverse dal Sole. L'immagine, rilasciata nel novembre del 2008, mostra il pianeta “Fomalhaut b” immerso nel disco protoplanetario di polveri e gas che circonda la sua stella, Fomalhaut.

la dimostrazione che la materia oscura della nostra galassia non può essere formata solo da deboli stelle non ancora osservate.

L’osservazione che la maggior parte delle galassie contengono un buco nero nel loro nucleo.

Nel dicembre 1995, Hubble riprese un'immagine chiamata lo Hubble Deep Field, una regione grande un trentesimo di milione-simo del cielo notturno e contenente numerose migliaia di deboli galassie. Un'immagine dello stesso tipo fu presa poco dopo nel cielo australe e risultò molto simile, rafforzando l'ipotesi che l'Universo fosse uniforme su vasta scala, e che la Terra occupas-se un posto come gli altri nell'Universo.

Alberto Tomasi

IV AT - Liceo Scientifico Statale “Quadri” - Vicenza

D A L P E R S P I C I L L U S A H U B B L E

I Telescopi più importanti:I Telescopi più importanti:I Telescopi più importanti:I Telescopi più importanti:

• Il Telescopio Spaziale Hubble si trova in orbita, fuori dall'atmosfera terrestre, per evitare che le immagini siano distorte dalla rifra-zione. Il telescopio lavora sempre al suo limite di diffrazione, e può essere usato per osservazioni nell'infrarosso e nell'ultravioletto.

• Il Telescopio Spaziale Spitzer è un osservatorio spaziale nell'infrarosso. Costruito dalla NASA, Jet Propulsion Laboratory e il Califor-nia Institute of Technology e lanciato il 25 agosto 2003, è il quarto ed ultimo del progetto Grandi Osservatori della NASA.

• COROT: missione dell'agenzia spaziale francese (CNES) in cooperazione con l'Agenzia Spaziale Europea, per lo studio delle superfi-ci stellari e l'individuazione di pianeti extrasolari.

• Il Telescopio Spaziale James Webb in infrarosso è sviluppato come sostituto (parziale) del Telescopio Spaziale Hubble. Verrà co-struito e gestito in cooperazione dalla NASA e dall'Agenzia Spaziale Europea. Il lancio del telescopio è previsto per il 2013.

• Il Very Large Telescope (VLT) è un complesso composto da quattro telescopi ognuno di 8 m. di diametro. Appartenente all'ESO e costruito nel deserto di Atacama in Cile combina la luce proveniente dai quattro specchi.

• Il telescopio Hale sul Monte Palomar, largo 5 metri, ha la montatura che permette di puntare molto vicino al polo celeste.

• Il telescopio del Monte Wilson, da 2,5 metri, fu usato da Hubble per provare l'esistenza delle galassie e per analizzare il loro spo-stamento verso il rosso.

• Il Radiotelescopio di Arecibo è il più grande al mondo con i suoi 300 m di diametro. Viene utilizzato per le indagini radio di pianeti e oggetti celesti.

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S O L A R P R O B E P L U S

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Ai tempi in cui si riteneva vera la teoria tolemaica “pareva che l’universo fosse a somiglianza di una corte, nella quale la Terra sedesse come in un trono”, ma, grazie alle intui-zioni di Copernico e alle osservazioni astronomiche di Galileo, oggi sappiamo che non è così: è il Sole a stare al centro del nostro sistema.

Da mezzo secolo gli scienziati provano a lanciare una sonda spaziale vicino al Sole per cercare di scoprire tutti i segreti della stella che permette la sopravvivenza di tutti gli organismi sul nostro pianeta e che ha affascinato generazioni di scienzia-ti. Tra questi anche Giuseppe Colombo dell’università di Pado-va che, grazie ai suoi numerosi studi volti ad unire scienza e tecnica, negli anni Settanta ha elaborato una missione che lui stesso battezzava “una freccia verso il Sole”.

Oggi questo sembra possibile e il progetto “Solar Probe PlusSolar Probe PlusSolar Probe PlusSolar Probe Plus”, finanziato e strutturato dalla NASA, sarà una missione straordi-naria e storica che permetterà di esplorare l’ultima regione del sistema solare mai stata visitata da una navicella spaziale, cioè la parte più esterna dell’atmosfera del Sole o corona. Inoltre, tramite le misurazioni che si effettueranno direttamen-te nel luogo, il progetto darà un contributo fondamentale alla nostra capacità di descrivere e prevedere le caratteristiche dell’ambiente radioattivo nel quale i futuri esploratori spaziali lavoreranno e vivranno.

Il lancio della sonda spaziale è previsto per Maggio 2015, in-fatti è ancora nella prima fase di costruzione nella sede NASA, ma grazie a questa sarà possibile risolvere due tra i grandi

misteri legati al Sole, cioè la nascita del vento solare che fa sentire i suoi effetti sul nostro pianeta nel bene e nel male e perché la corona solare è molto più calda della fotosfera

Considerando l’approccio più vicino possibile, “Solar Probe Plus” disterà 7 milioni di chilometri dal Sole che da questa distanza apparirà 23 volte più grande rispetto a quando lo si osserva dai cieli terrestri. Naturalmente la sonda ricava l’ener-gia necessaria direttamente dal Sole grazie a dei pannelli solari situati sotto la “corazza” in carbonio che deve resistere a tem-perature maggiori di 1400 °C e a livelli di radiazioni mai speri-mentati da nessun’altra sonda precedente.

La sonda è inoltre munita di un telescopio chiamato “Hemispheric Imager” che produrrà immagini in 3D della coro-na solare. La tecnica, chiamata tomografia coronale, è un fon-damentale nuovo approccio all’immagine solare ed è possibile soltanto perché la fotografia è scattata da una piattaforma mobile vicina al Sole, che vola attraverso le nuvole coronali.

Lo stesso Galileo quattrocento anni fa con il suo “perspicillus” è arrivato a scoprire le macchie solari capendo quindi che il Sole muta, non è sempre perfetto ed uguale e i suoi mutamenti influenzano necessariamente la vita sulla Terra. Oggi si cerca di scoprire più a fondo la natura di questa stella così importan-te per noi e il progetto “Soler Probe Plus” potrà costituire una grande svolta nella storia della scienza e della tecnica.

Giulia Dalla Montà

IV AT - Liceo Scientifico Statale “Quadri” - Vicenza

Da un modello aristotelico di universo unico, chiuso, finito, fatto di sfere concentriche e qualitativamente differenziato in due zone cosmiche ben distinte, al centro del quale sta la Terra, con la Rivoluzione scientifica si è passa-ti ad un universo unico e chiuso al cui centro c’è il sole attorno al quale ruota-no tutti i pianeti su orbite ellittiche che però perdono la loro materialità e diven-tano immaginarie. Da questo modello si è poi passati ad un universo infinito, in continua espansione nel quale in Sole non è più il centro, ma il sistema solare è solo uno dei tanti sistemi che formano l’universo che sono in continua espan-sione, in continuo allentamento dal centro nel quale è avvenuto il Big Bang.

Un giorno la forza gravitazionale inverti-rà l’espansione dell’universo facendolo

collassare nuovamente in un unico centro.

G. Ellis, uno dei più importanti co-smologi contemporanei, ha però avanzato una nuova teoria con la quale si potrebbero spiegare facil-mente fenomeni come l’accelerazio-ne dell’espansione dell’universo, i buchi neri e l’energia oscura. Il no-stro sistema solare infatti sarebbe all'interno di una gigantesca bolla di vuoto e potrebbe essere al centro dell'universo, inoltre Ellis afferma che “la nostra bolla, comunque, non sarebbe priva di materia in assoluto, perchè le stelle e le galassie più vici-ne a noi sono composte da materia, ma la densità dell'universo che sta al di là di essa sarebbe molto superio-re”.

Se questa ipotesi venisse verificata “Sarebbe un vero terremoto per la cosmologia. Se si scoprisse che vivia-mo in una bolla di vuoto, tutte le os-servazioni fatte fin qui dovrebbero essere considerate frutto di una pro-spettiva parziale e sarebbero ben lon-tane dall'avere un significato universa-le. Non saremo più sicuri della nascita, dell'evoluzione e del destino dell'uni-verso. Bisognerebbe ripartire da ze-ro” (G. Ellis).

Ma chi ha ragione? È solo l'arte del dubbio che porta a nuove conoscenze!

Tomasi Alberto

IV AT - Liceo Scientifico Statale

“Quadri” - Vicenza

E L L I S U N ’ I P O T E S I N U O V A O S E M P L I C E P R O V O C A Z I O N E ?

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Il nome di Giuseppe Colom-bo, matematico, fisico e astronomo dell’Università di Padova è legato alle tecnologie dei satelliti “al guinza-glio” (“Tethered Satellite System” o TTS), in altre parole, all'idea di una zattera spaziale creata riutilizzando i serbatoi di propellente lasciati nello spazio dagli Space Shuttle e all’abilità di determinare con precisione le orbite migliori per le sonde interplanetarie e i movimenti dei pianeti “riottosi” come Mercurio. Colombo, negli anni ’70, è stato anche l’ideatore e l’iniziatore delle tecnologie riguardanti l’ascensore spaziale, un progetto che, considerato a lungo solo un’ipotesi fantascientifica, è attual-mente oggetto di studi da parte della NASA. Un ascensore spaziale è un lungo cavo, con centro di massa in GEO (orbita geostazionaria Terra) a 35.786 km di altitudine, che si estende dalla superficie del nostro pianeta fino allo spazio. Alcuni veicoli elettromagnetici, che viaggiano lungo il cavo, vengono impiegati come sistema di trasporto di massa per lo spostamento di persone e carichi tra la Terra e lo spazio. I progetti di ricerca ipotizzano una torre di base alta circa 50 km, alla cui cima è fissato il cavo, di diametro non supe-riore al metro. Per evitare che la strut-tura precipiti sulla Terra essa deve essere collegata ad una grande massa al di là dell’orbita geostazionaria con lo scopo di controbilanciare il peso: il cavo, quindi, è sostanzialmente in orbita attorno alla terra. Da quattro a sei "ascensori tracce", che si estendono fino ai lati della tor-re, permettono ai veicoli elettromagne-tici di viaggiare a velocità che raggiun-gono migliaia di km/h. Disegni ancora ipotetici prevedono la costruzione della torre in un sito equa-toriale, perché la zona è praticamente priva di uragani e trombe d'aria e si allinea correttamente con orbite geo-stazionarie. Alcune ricerche di laboratorio hanno determinato che l'energia necessaria per spostare un carico, per mezzo dell’ascensore spaziale, dalla terra fino all’orbita geostazionaria risulta relativamente basso: a confronto con

l’odierno costo di circa $ 22.000 per kg con lo Space Shuttle, si stimano, addirit-tura, $ 2 per kg! Il progetto non sembra ancora attuabile, in quanto si stanno studiando nuove tecnologie in grado di soddisfare i re-strittivi requisiti per la costruzione di una struttura quasi impensabile. Gli scienziati e gli ingegneri ricercano dei materiali ultra-resistenti, elastici e dure-voli. Nel 1966, quattro ingegneri americani giungono alla conclusione che il carico di rottura necessario, relativo al cavo, deve essere il doppio di quello di qua-lunque materiale esistente inclusi grafi-te, quarzo e diamante e, quindi, il cavo deve possedere una resistenza alla trazione superiore a 100 GPa (pressione necessaria per creare nano-tubi in carbonio), altrimenti il costo di-venta insostenibile. L’acciaio più durevole ha una resistenza alla tensione che non supera i 5 GPa, mentre le fibre di quarzo possono arri-vare a più di 20 GPa e la resistenza alla trazione dei filamenti di diamante è solo lievemente superiore. Numerosi anni di studio hanno condotto ad una soluzione che, tuttavia, deve essere perfezionata: le nanotecnologie, che puntano a sfruttare e ad applicare i metodi e le conoscenze derivanti dalle nanoscienze, osservando, misurando e manipolando la materia su scala atomi-ca e molecolare. Queste scienze costituiscono il punto d’incontro di discipline diverse che van-no dalla fisica quantistica, alla chimica supramolecolare, dalla scienza dei ma-teriali, alla biologia molecolare e stanno gradualmente acquisendo un sempre maggior livello di esperienza ed applica-zione. Fino a vent’anni fa, si conosceva-no solo due forme cristalline del carbo-nio, il diamante e la grafite, entrambe costituite da atomi di carbonio legati assieme in modo diverso. Analizzando la fuliggine creata dall’evaporazione della grafite, invece, si è scoperto che il carbonio può assemblarsi in molte altre forme ordinate, simili a fogli singoli di grafite, che torcendosi variamente su se stessi danno origine a filamenti o sfere, cioè a fullerene e nanotubi. Il fullerene, uno dei vari allotropi del carbonio, è un insieme di molecole composte intera-

mente di carbonio che prendono una forma simile a quella di una sfera vuota, di un ellissoide o di un tubolare. Il fullerene approssimativamente sferi-co è denominato buckyball, mentre il fullerene cilindrico è noto come bu-ckytube o nanotubo. I nanotubi, che hanno diametro com-preso tra 7 nm e 10 nm, sono stati osservati nell’85 dal chimico america-no Richard E. Smalley e poi, nel 1991, studiati e diffusi dal ricercatore nippo-nico Sumio Iijima. Il corpo del nanotubo è formato da soli esagoni, mentre le strutture di chiusu-ra sono formate da esagoni e pentago-ni; proprio a causa di quest’ultima conformazione, essi presentano spes-so dei difetti strutturali o delle imper-fezioni che deformano il cilindro e che rendono di conseguenza il nanotubo inutilizzabile. Nasce così la necessità di purificare il prodotto, ma, anche se i sistemi di purificazione sono numero-si, presentano tutti il problema di non essere in grado di separare i nanotubi ideali senza danneggiarli. Il costo di produzione elevatissimo porta la ricer-ca ad essere limitata ai grandi centri di studio e sviluppo, ma i nanotubi di carbonio hanno superato, in qualità, tutti gli altri materiali e appaiono avere una resistenza alla trazione teorica che si avvicina all'intervallo di valori richiesto dalla struttura dell'ascensore spaziale. I nanotubi di carbonio, infatti, possono avere una resistenza alla tensione superiore a 100 GPa, però, la più elevata resistenza mai osservata in un nanotubo a parete singola è di 63 GPa, e tali tubi, mediamente, si spezzano tra i 30 e i 50 GPa. Probabilmente la più resistente fibra prodotta con i nanotubi avrà, allo stes-so modo, solo parte della resistenza dei suoi componenti. Gli scienziati sono comunque ottimisti e ritengono che ulteriori sviluppi in questo campo siano in grado di permettere la realiz-zazione di questo ambizioso progetto. Baron Filippo

IV AT - Liceo Scientifico Statale

“Quadri” - Vicenza

N A N O T E C N O L O G I E A P P L I C A T E A D U N P R O G E T T O S P A Z I A L E

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R E T O R I C A E P E R S U A S I O N E

La grandezza di Galileo sta nell’aver avuto fede in una teoria al tempo non completamente dimostrabile e soprattutto di essere stato in grado di difenderla con una presentazione tendenziosa non sempre oggettiva dei fatti. Il “Dialogo sopra i due massimi sistemiDialogo sopra i due massimi sistemiDialogo sopra i due massimi sistemiDialogo sopra i due massimi sistemi” è una

fusione, un impasto omogeneo tra scienza e retorica, tra dimostrazioni matematiche ed espedienti persuasivi. Questo testo rappresenta il primo esempio di divulgazio-ne scientifica moderna, che abbandona il latino dei dotti a favore della lingua italiana e di una tecnica di esposi-zione più vicina al dialogo filosofico. Anche la scrittura in volgare dell’opera denota dunque l’intento di Galileo di “suadere” ed argomentare, non solo studiosi di profes-sione, ma anche “intendenti” che si dilettano di studi scientifici.

Nelle frequenti frasi ipotetiche bi – affermative il primo periodo della possibilità è usato “a tenaglia” in quanto, resa vera la protasi, si verifica di conseguenza l’apodosi: “…Se il moto retto è semplice per la semplicità della linea retta e se il moto semplice è naturale, dovrà convenire a qualche corpo naturale semplice; o se no, la supposizione di Aristotele è manchevole…”.

Una seconda strategia è rappresentata dal cosiddetto “noi inclusivo” che, spostando il soggetto dalla prima persona singolare a quella plurale, permette di estendere la responsabilità di affermare teorie innova-tive ad una comunità di intellettuali che si riconoscono nel credo galileiano. Allo stesso tempo si persuade e si rende partecipe il lettore: “…Essendo noi convenuti…Possiamo dunque concludere…”.

E’ evidente la caratterizzazione del linguaggio e delle espressioni tra un personaggio e l’altro che forma la vera e propria “parola” individuale: lo stile discorsivo

di Simplicio, ostinato rappresentante della teoria tolemaica, è caratterizzato da una struttura disordinata, talvolta con-traddittoria, e da un lessico inappropriato. Salviati, nobile fiorentino storicamente esistito, amico dello scienziato, e-spone il suo pensiero attraverso un’anadiplosi continua, dimostrando una solida conoscenza scientifica di fondo; in tale modo la sua teoria appare inconfutabile: “…per meglio dichiararmi dico che…Iddio conosce le infinite preposizioni di cui noi conosciamo alcune poche”. Sagredo esprime spes-so il dubbio, la perplessità ed introduce digressioni o rilievi ironici, allentando la tensione del dialogo: “che dirò di tanti e diversi strumenti?”.

Galileo usa un lessico diverso per ognuno anche per quanto riguarda i verbi: Simplicio, a cui le teorie aristote-liche appaiono o sembrano dimostrate, è sbeffeggiato da Salviati e da Sagredo, che utilizzano sempre verbi ed espres-sioni di certezza”…non è dubbio, è evidente, bisogna neces-sariamente confessare”. L’obbiettivo dello scienziato è quin-di anche quello di persuadere, poiché la validità della dimo-strazione scientifica non è sufficiente: sono necessari sua-dēre e movēre.

Galileo si serve inoltre dell’ironia, arma della ragio-ne, che presuppone l’intelligenza di chi scrive, ma anche di chi legge o ascolta. Ne fanno uso non solo Salviati e Sagre-do, ma l’autore stesso. Nel proemio del Dialogo Galileo si rivolge ad un destinatario definito“discreto lettore”, ossia un lettore in grado di discernere, di leggere tra le righe, di di-stinguere il falso dal vero. Per sfuggire alle accuse della chiesa, Galileo è infatti obbligato a fingere di essere d’accor-do con il santo uffizio, per poi lentamente scivolare sulle proprie posizioni.

Realismo e comicità sono usati inoltre come armi contro l’astrattezza scolastica e la pigrizia intellettuale degli aristotelici: le parole dei dialoganti funzionano talora come didascalie, poiché descrivono il comportamento scenico dei personaggi, concretizzando la rappresentazione comica. Attraverso le parole di Simplicio per esempio, si intravedono i gesti di Sagredo che scuote la testa sogghignando o alza gli occhi al cielo: il lettore stesso, vedendo tanto facilmente ridicolizzato il rappresentante delle teorie aristoteliche, è portato di conseguenza a ritenere ancora meno attendibili le sue tesi.

Galileo è certo della teoria, la difficoltà risiede nel riuscire a dimostrarla e a difenderla. Come dice Ludwick Fleck, “la scienza è un’impresa sociale basata sul consen-so” .

Sonia Griffante IV AI Liceo Scientifico Statale “Quadri” - Vicenza

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L A R I C E R C A S C I E N T I F I C A T R A L I B E R T À E C O N D I Z I O N A M E N T I

Pagina 9 G I U G N O 2 0 0 9 A N N O I I I , N U M E R O 2

“Di fronte al proseguirsi nel mondo degli attacchi alla libera

ricerca e conoscenza, alla libertà di coscienza e di pensiero,

alla stessa libertà religiosa e di parola e alle altre forme di

oscurantismo sia di matrice politico-ideologica sia di natura

dogmatico-religiosa, riteniamo urgente e necessario compiere

ulteriori passi verso il consolidamento del Congresso mondiale

come sede permanente di confronto e di iniziativa per i diritti

umani, civili e politici fondamentali di ogni cittadino”

(Dichiarazione finale del Secondo Incontro del Congresso Mon-Dichiarazione finale del Secondo Incontro del Congresso Mon-Dichiarazione finale del Secondo Incontro del Congresso Mon-Dichiarazione finale del Secondo Incontro del Congresso Mon-

diale per la Libertà di Ricerca Scientifica diale per la Libertà di Ricerca Scientifica diale per la Libertà di Ricerca Scientifica diale per la Libertà di Ricerca Scientifica – Bruxelles, 5Bruxelles, 5Bruxelles, 5Bruxelles, 5----7 mar-7 mar-7 mar-7 mar-

zo 2009)zo 2009)zo 2009)zo 2009)

L’enorme bagaglio di conoscenza della scienza moderna è il

frutto di scoperte di grandi menti che hanno lasciato il loro

contributo fondamentale al sapere dell’umanità: Keplero,

Newton, Einstein, solo per citarne alcuni. Ma essa esiste fon-

damentalmente grazie a un pisano nato nel 1564 che cambiò

radicalmente il concetto di scienza e determinò il metodo pro-

prio del mondo scientifico odierno: Galileo Galilei.

Uno dei maggiori meriti che riconosciamo a Galilei è la rivendi-

cazione dell’autonomia della scienza dalla religione, che si

identificava nella Chiesa Cattolica, o da qualsiasi altro condi-

zionamento, come per esempio quello filosofico, che coincide-

va allora con l’aristotelismo. Egli, proprio grazie all’ostinazione

con cui affrontò il suo contenzioso giudiziario con l’Inquisizio-

ne, contribuì per primo a separare scienza e fede, dichiarando

che esse non interferiscono affatto, dato che lavorano su piani

separati: la fede parla ed opera sul piano metafisico del mon-

do, mentre la scienza sul piano fisico. Nasce così, seppur con

difficoltà, la fisionomia della scienza odierna.

Ma questa scienza, dopo 400 anni, è davvero diventata libera

da qualunque tipo di influenza? Bisogna premettere che la

scienza non può essere "libera" nel senso in cui può esserlo

una attività scelta per vocazione: è un'impresa collettiva che

ha bisogno di istituti, laboratori, giornali, manager, in sintesi,

un apparato che richiede denaro. Indubbiamente questa in-

fluenza del sistema capitalistico nella ricerca scientifica assu-

me una sfumatura negativa, almeno dal punto di vista per

esempio di quelle persone affette da una malattia rara che

non può essere curata a causa della terapia troppo costosa o

non presente sul commercio, perché appunto, essendo scarsa

la domanda, l’offerta viene a mancare, in quanto il guadagno

sarebbe minimo e la spesa utilizzata per finanziare la ricerca

troppo elevata.

La seconda influenza riguarda il campo politico, e quindi, nello

specifico, l’etica. Il problema in questo caso si pone nel giudi-

care quanto sia negativa questa intrusione. E’ noto come la

scienza, in questi ultimi tempi, abbia affrontato in modo rivolu-

zionario problemi decisivi della condizione umana, dal momen-

to della fecondazione al momento della morte. Li ha affrontati

con straordinarie possibilità di avanzamento sul piano clinico e

su quello della conoscenza, ma anche con il grande rischio di

minare la libertà della persona umana alla radice dei suoi diritti

fondamentali, dei quali essa in nessun modo può essere espro-

priata. Proprio a partire dalla necessità di un raccordo fra

scienza ed etica sono progressivamente sorti in tutto il mondo,

anche se in varie forme, i Comitati di bioetica e, contemporane-

amente al loro sviluppo, sono venuti alla luce interrogativi,

proposte, e desideri di sottoporre le conquiste scientifiche e-

sclusivamente alle leggi del mercato. Si può essere credenti o

no, ma non si può ritenere occasionale che sui temi della bioe-

tica i richiami della Chiesa cattolica siano sempre più pressan-

ti, e che, seppure in vario modo, tutte le posizioni religiose o

ideali, morali o politiche si trovino di fronte a interrogativi fon-

damentali, che si sintetizzano tutti in uno in particolare: esiste

un limite alla ricerca scientifica?

Per questa domanda vi sono tante risposte, tutte diverse e

discordanti le une dalle altre. Forse si ha anche paura di trova-

re una risposta definitiva, forse perché troppo scomoda, troppo

unica, per andare a genio a questa società in cui regna il relati-

vismo. Quando la si troverà, sarà il momento in cui la scienza

potrà affermare di aver trovato un equilibrio all’interno di essa,

un punto di riferimento attorno a cui girerà, nel rispetto di se

stessa e del mondo che la circonda.

Beatrice Accordini

III A Liceo Scientifico Biologico “Mondin” - Verona

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Quando si parla di materia oscura, per gli scienziati è un po’ come andare a caccia di fantasmi: infatti la materia oscura non emette luce visibi-le, onde radio, raggi x, radiazioni elet-tromagnetiche, e per questo motivo non può essere rilevata direttamente, né tantomeno isolata in laboratorio. Eppure tale materia dovrebbe costitui-re circa il 30% dell’energia dell’Univer-so e il 90% della sua massa.

Ma è dimostrato che esista l’antimate-ria? Questa domanda interessa nume-rosissimi scienziati .Se è certa l’esi-stenza di materia oscura, non è altret-tanto semplice poterlo dimostrare. Solo con il ripetersi di esperimenti che daranno lo stesso esito si potrà giun-gere ad una legge.

Le prime evidenze della presenza di antimateria nell’Universo, risalgono a studi del 1930 riguardanti il moto di ammassi di galassie e la presenza di nubi di gas nelle parti più esterne del-le galassie e nello spazio fra esse.

L’esperimento Pamela rappresenta oggi un importante passo avanti nella cono-scenza della materia oscura: la registra-zione di un eccesso di positroni potreb-be difatti essere un segnale dell’esi-stenza di tale materia.

Realizzato da un gruppo internazionale di scienziati coordinati dall’Istituto Na-zionale di fisica nucleare (INFN), lo stu-dio ha appunto rilevato un’abbondanza di positroni, particelle di carica positiva e di massa uguale all’elettrone. Queste particelle nello spazio interagiscono tra loro, per poi annichilirsi o decadere, dando quindi il via alla produzione di flussi di altre particelle ad alta energia.

Sono proprio questi i flussi che Pamela misura, a bordo di un satellite russo in orbita intorno alla Terra a un’ altezza tra i 350 e i 600 km.

Si tratta, ovviamente, di dati sperimen-tali, che richiedono d’obbligo l’uso del condizionale, poiché tali flussi potrebbe-ro essere provocati anche da altri feno-

P A M E L A : U N P O ’ D I L U C E N E L L A M A T E R I A O S C U R A

Galileo e la musica Galileo e la musica Galileo e la musica Galileo e la musica

Galileo ricevette dal padre Vincenzo, liutaio e autore del trattato “Dialogo della musica antica e della moderna”, un’educazione musicale completa. Può sembrare strano che la musica, che la maggior parte delle persone giudica refrattaria al rigore della scienza, sia servita come bagaglio culturale ad uno dei più famosi fisici della storia, e tanto più che possa ave-re avuto per lui qualcosa di “quadrato”. La codificazione, inve-ce, che tanto diamo per scontata (do, re, mi, fa, sol, ecc., diesis e bemolle compresi), ha origini nelle speculazioni matematiche di Pitagora. Il filosofo di Samo, infatti, oltre a dilettarsi con i triangoli, studiò come una corda che produceva una certa nota, accorciata secondo una determinata proporzione numerica, ne emetteva un’altra con una precisa “distanza”dalla prima. Na-sce da qui la questione che impegnò per quasi duemila anni generazioni di musicologi intenti a creare una scala che rispet-tasse i canoni estetici e permettesse un’ampia possibilità e-spressiva.

Impostata sui rapporti di “distanza” tra le note, nel primo Rina-scimento la conoscenza musicale era molto estesa, ma veniva ricondotta all’autorità dell’antico matematico o giustificata con mistici simbolismi legati ai numeri (come del resto facevano i pitagorici). Non sembrava, però, “concludente a bastanza” per Galileo che, sulle orme del padre, si rifiutò di accettare spiega-zioni fondate sull’ipse dixit e tentò di trovare una spiegazione fisica a queste leggi, accettate dai più come evidenti e sconta-te. Parla di musica nel Saggiatore ( la famosa favola dei suoni ) e in “Discorsi intorno a due nuove scienze” dove descrive

come, osservando per caso un bicchiere pieno d’acqua, nel produrre due suoni che derivavano da corde una la metà dell’-altra, si accorse che nel caso della nota più acuta le increspa-ture del liquido gli sembravano più numerose. Resistendo alla tentazione di sentenziare subito che fossero il doppio, progettò un esperimento e verificò che, in effetti, la proporzione era la stessa. Capì, allora, che l’altezza di un suono dipende non dalla lunghezza della corda, ma dalla frequenza della sua oscillazio-ne, che, nell’aria, causa l’onda meccanica che a sua volta col-pisce il nostro timpano. Arrivò anche alla conclusione che "...Tre sono le maniere con le quali noi possiamo inacutire il tuono (tono) a una corda: l'una è lo scorciarla; l'altra, il tender-la più, o vogliam dir tirarla; il terzo è l'assottigliarla...". E’ per questo che, ad esempio, il “mi cantino” di una chitarra emette una nota molto acuta (cioè ad alta frequenza): oltre ad essere una corda molto sottile è anche molto tesa.

G. Galilei, così, entra a tutti gli effetti nel novero dei fisici (in cui rientrano anche Cartesio, Keplero e Newton) che, incantati e -si può quasi dire- ispirati dalla musica, svelarono una parte di ciò che c’è dietro al suo multiforme fenomeno, dando origine allo studio delle onde. Tra i più importanti campi della scienza mo-derna, questa branca della fisica, come per uno scherzo del destino, si è rivelata a dir poco preziosa nell’ideazione di nuovi telescopi che ci hanno permesso di vedere l’universo come mai era stato possibile prima, e ben oltre le lune di Giove.

Federico Ceretta

III AI - Liceo Scientifico Statale “Quadri” - Vicenza

I S E G R E T I D I U N A C O R D A P I Z Z I C A T A

meni. Tuttavia, come afferma Piergior-gio Picozza dell’ INFN, l’ipotesi di lettu-ra dati come segnale di materia oscu-ra risulta essere la più probabile e accreditata. “Questi dati – specifica – sono uno dei più importanti contributi di questi ultimi anni alla conoscenza del mistero della materia oscura”.

Come disse nel 2001 al New York Times Bruce H. Margon, astronomo all'Università di Washington: “ È una situazione alquanto imbarazzante dover ammettere che non riusciamo a trovare il 90 per cento [della materia] dell'Universo”. Certamente è un’affer-mazione ironica, ma sottolinea che lo studio non può ancora dirsi terminato e che almeno in parte all’uomo la ma-teria oscura resta per ora un mistero.

Veronica Dal Porto

IV AT -Liceo Scientifico Statale “Quadri” - Vicenza

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Le cosiddette Lettere Lettere Lettere Lettere copernicanecopernicanecopernicanecopernicane furono scritte da Galileo durante il suo secondo soggiorno fiorenti-no, dopo la pubblicazione del Sidereus Nuncius (1610) e le sue osservazioni sulle macchie solari. In questi stessi anni, lo scienziato pisano abbracciò la teoria astronomica del sistema eliocentrico, che il suo cannocchiale puntato in cielo non faceva che avvalorare: Galilei intraprese così la dimostrazione, la divulgazione, la difesa delle concezioni copernicane pres-so gli ambienti intellettuali, laici ed eccle-siastici. Avventura che gli costò l’imputa-zione di eresia soprattutto da parte dell’-ordine domenicano (continuatori del pen-siero tomista e aristotelico), per le ragioni universalmente note.

Fu proprio per difendersi dalle prime ac-cuse di ribaltare e tradire la verità delle Sacre Scritture che Galileo scrisse le no-stre quattro Lettere che, pur essendo inviate privatamente, vennero ben presto fatte circolare in pubblico come mezzi per diffondere il copernicanesimo.

La prima epistola La prima epistola La prima epistola La prima epistola è indirizzata al Padre al Padre al Padre al Padre benedettino Benedetto Castelli benedettino Benedetto Castelli benedettino Benedetto Castelli benedettino Benedetto Castelli (discepolo di Galileo e lettore di matematica a Pisa), e reca la data 21 dicembre 1613. 21 dicembre 1613. 21 dicembre 1613. 21 dicembre 1613.

Nel nucleo fondamentale di essa, Galileo affronta il problema della profonda diver-sità, nell’essenza e negli scopi, fra il lin-guaggio scientifico e quello biblico. In particolare, evidenzia come sarebbe erra-ta una interpretazione letterale della Bib-bia, perché ciò porterebbe «a contraddi-zioni, gravi eresie e bestemmie». Nella Scrittura, infatti, si troveranno molte pro-posizioni lontane dal vero se ci si arreste-rà a considerare il «nudo suono litterale» delle parole, il loro significato mero e immediato; secondo Galileo, dobbiamo invece comprendere che gli antichi profe-ti, pur ispirati da Dio, per adattarsi al livel-lo culturale dei popoli del loro tempo, dovettero rendere la loro scrittura figurata e ricca di simboli, di immagini e racconti atti a stimolare l’interesse e la compren-sione anche negli incolti; al contrario, coloro il cui sapere è superiore a quello del volgo, è necessario intendano la Bib-bia secondo i «veri sensi».

E’ pur vero, sostiene Galilei, che Bibbia e Natura provengono entrambe dalla Divini-tà, ma se la prima dovrà essere interpre-tata in molti suoi passi per spogliarla della sua veste “mitologica” e riportarne la verità all’essenza, sembra proprio biz-zarro che per comprendere la seconda, la quale già procede in modo inesorabile e necessario, dovremmo affidarci ai luoghi della Scrittura e revocare in dubbio quan-

to invece è supportato dalle «sensate espe-rienze e necessarie dimostrazioni».

La seconda letteraLa seconda letteraLa seconda letteraLa seconda lettera, invece, del 16 febbraio 16 febbraio 16 febbraio 16 febbraio 1615161516151615, è la prima delle due rivolte a Monsi- a Monsi- a Monsi- a Monsi-gnor Dinignor Dinignor Dinignor Dini, referendario apostolico a Roma e, dal 1621, Arcivescovo di Ferrara.

Nell’epistola, che risente del clima di denun-cia che i domenicani (in particolare Tomma-so Caccini e Niccolò Lorini) instaurano con-tro il copernicanesimo, Galilei vuole comuni-care a Mons. Dini la sua posizione rispetto alle accuse che gli sono state mosse, con riferimento anche alla lettera al Padre B. Castelli scritta due anni prima.

In particolare, Galileo si preoccupa di sottoli-neare da un lato la dannosità per la Chiesa di sostenere con testardaggine e miopia l’intepretazione letterale delle scritture nelle questioni naturali, e dall’altro la cattolicità e la buona fede di Copernico.

La terza delle Copernicane La terza delle Copernicane La terza delle Copernicane La terza delle Copernicane è una seconda lettera a Monsignor Dini a Monsignor Dini a Monsignor Dini a Monsignor Dini (23 marzo161523 marzo161523 marzo161523 marzo1615).

Galilei, sollecitato dal Dini, gli fornisce spie-gazioni intorno a quanto aveva affermato nello scritto del 16 febbraio.

Secondo Dini, sarebbe assai meglio se, per quanto riguarda l’opera di Copernico, si riu-scissero a «salvare le apparenze», aggiun-gendo qualche postilla o chiarimento al te-sto, per non incorrere nella censura eccle-siastica. Galilei risponde difendendo la scel-ta di Copernico che, a suo avviso, credeva nella mobilità della terra poiché si era reso conto, dopo tutte le osservazioni, le misura-zioni e i calcoli effettuati, che questa teoria si accorda con la realtà, configurandosi co-me un modello ad essa aderente. Rifiutare, dunque, di salvare le apparenze, determine-rebbe – senza paradossi soltanto apparenti – danni minori per la Chiesa, che ostinata-mente continua ancora a sostenere una teoria falsa (quella geocentrica). Nel seguito della lettera vengono esposte sinteticamen-te alcune delle osservazioni di Galilei che si accordano con il sistema copernicano.

La quarta e ultima lettera La quarta e ultima lettera La quarta e ultima lettera La quarta e ultima lettera è dedicata a Cristi- a Cristi- a Cristi- a Cristi-na di Lorenana di Lorenana di Lorenana di Lorena, Granduchessa di Toscana (1615161516151615).

Vi si affronta il problema dei rapporti fra scienza e fede, con argomentazioni fondate

sull’interpretazione del testo biblico. Proba-bilmente fu proprio quest’ultima epistola a scatenare

l’ira degli inquisitori, ai quali pareva che Galileo volesse insegnare alle gerarchie ecclesiastiche qualcosa in fatto di esegesi biblica.

Galileo spiega le ragioni che lo hanno indot-

to a scrivere questa lunga missiva. Egli introduce il

tema ricordando come molti uomini an-che dotti, non avendo seguito il richiamo di S. Agostino a non temere la verità per amore del proprio errore, si facciano scu-do delle Sacre Scritture per mantenere un’opinione su un argomento che non è di fede, ma che riguarda le «sensate e-sperienze e certe dimostrazioni». Galilei pertanto, benché convinto, forte dei suoi studi, della teoria eliocentrica e del fatto che la terra si muova intorno al proprio asse ed al sole, lamenta l’accanimento nei suoi confronti, retto soltanto su affer-mazioni prive di basi se non teoriche e cocciutamente ottuse. Peraltro, chi lancia le accuse contro lo scienziato lo fa come se questa teoria fosse stata ideata da lui stesso, e non da Copernico molti anni prima.

Copernico, infatti, chiamato a Roma per revisionare il calendario ecclesiastico, espose il suo credo scientifico nella sua celeberrima opera dedicata a Papa Paolo III, il De revolutionibus orbium caelestium. Letto dai dotti laici ed ecclesiastici, il libro non fu mai messo in discussione fino ai giorni di Galileo da coloro che, senza a-verlo compreso o magari letto, iniziarono a criticarlo perché contrario alla Scrittura.

Galilei si appresta a spiegare la ragione dell’errore dei suoi critici, che consiste ancora una volta in una sbagliata lettura dei Testi Sacri. Egli evidenzia come sia un atteggiamento discutibile quello dei teolo-gi che sostengono il primato della teolo-gia sulle altre scienze, affermando la sua indiscutibile

autorità sia in ambito di questioni di fede sia in quelle naturali. Ma il fatto più curio-so è che una proposizione scientifica dimostrata, che vada contro le Sacre Scritture, non prevede un’analisi da parte dei teologi, bensì una revisione da parte di coloro che l’hanno dimostrata. A que-sto punto, si pone in essere una situazio-ne bizzarra: proprio al sostenitore del copernicanesimo, in quanto scienziato puro e coerente, tocca trovare la ragione dell’errore della teoria affermata, mentre i teologi che la negano non hanno oneri di alcun tipo dato che, dal loro punto di vi-sta, la teologia è sempre vera nelle con-clusioni che afferma senza che si debba passare da dimostrazioni.

La Chiesa persisterà nel suo deciso rifiuto di ascoltare Galileo, e di accogliere le teorie da lui veicolate e sostenute con tanta accoratezza. L’anno successivo alla pubblicazione della lettera alla Grandu-chessa Cristina, nel 1616, il Sant’Uffizio emana un decreto che vieta a chiunque di sostenere e diffondere il copernicane-simo. Il Cardinale Bellarmino lo comuni-cherà personalmente al nostro scienziato il 26 febbraio.

L E T T E R E C O P E R N I C A N E

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B R U N O E G A L I L E O : U N C O N F R O N T O D I M E T O D O E D I C A R A T T E R E

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Bruno e Galileo sono due figure fondamentali nella storia della rivoluzione

scientifica del XVII secolo. Entrambi giunsero a conclu-sioni scientifiche innovative ed im-portanti, ma sicura-mente affrontarono la realtà del loro tempo in modi e-stremamente diver-si, per non dire antitetici.

L’elemento fonda-mentale della per-sonalità di Giorda-no Bruno è dato dal

valore che egli attribui-sce alla

ragione, che secondo lui da sola bastava ad avvalorare le sue tesi. A Bruno non interessano le prove, si fida della sua ra-gione, sente di poter giungere alla verità attraverso una fulminante intuizione. Non ha la pazienza del naturalista ma è piutto-sto impulsivo, istintivo. La sua predilezione per la magia è sintomatica di questo suo approccio epistemologico e non deve af-fatto sorprendere perché “magia e scienza costituiscono, alle soglie della modernità, un intreccio non facilmente districabi-le” (Paolo Rossi). Bruno possedeva una personalità fortissima che lo portava tal-volta ad essere arrogante e, cosciente della sua genialità, a non mettere mai in discussione le sue idee.

Galileo, come Bruno, fa un utilizzo prodi-gioso della ragione ma contrariamente a lui sente di non poterle affidare tutta la sua fiducia. Egli va in cerca di prove: vuole dimostrare quel che la ragione intuisce e costruisce e i sensi percepiscono. Perciò decide di eliminare la divisione aristotelica tra arte manuale e speculazione contem-

plativa, costruendo con le proprie mani macchine che hanno il compito di con-trollare e guidare la ragione, dando inizio al decisivo connubio fra scienza e tecni-ca. Galileo, da vero uomo di scienza, si mostra aperto al dialogo e ad eventuali critiche purché siano supportate da pro-ve concrete; giunge persino a mettere alla prova la validità dei suoi strumenti cercando di convincere anche i più scet-tici a testarli. Il suo atteggiamento è molto più paziente, molto più dubbioso, molto più riflessivo di quello di Bruno.

Sebbene sempre più convinto che aristo-telici e teologi rinunciassero volontaria-mente a ragionare, sebbene sempre più sfiduciato ed isolato in un mondo acca-demico sordo al confronto, Galileo non smise fino all’ultimo di cercare il dialogo e la serena controversia argomentativa con chi si ostinava su posizioni avverse. Ma dovette alla fine constatare che non era possibile il dialogo e il confronto con chi non voleva dialogare e confrontarsi a priori.

Bruno, invece, continuò a sguinzagliare la sua libertà di pensiero fino a fomenta-re dentro di sé un odio viscerale verso la sorda ottusità del mondo accademico, degli aristotelici e dei teologi. A differen-za di Galileo manifestò un atteggiamento epistemologico e caratteriale molto poco propenso al dialogo e al confronto. E, non avendo la rigorosità del metodo di Galileo, ma affidandosi solamente alla ragione e al suo spirito critico e polemi-co, non si scostava molto dall’atteggia-mento dei suoi avversari: dal punto di vista del metodo, egli rimaneva nell’alve-o della tradizione poiché non faceva uso di strumenti tecnici e non era abituato a cercare le prove delle sue asserzioni. La

sua era pura speculazione che prendeva innanzitutto piede dalla sua devastante carica polemica, come se le sue intuizioni sorprendentemente moderne fossero nate prima di tutto come uno spontaneo frutto della negazione delle certezze della tradi-zione. E allora è molto significativo che questo caratteraccio e questa debole capacità dimostrativa vengano fuori in maniera palese negli atti del processo, come ha rilevato Luigi Firpo, che ne è uno dei massimi studiosi: “il Bruno era nelle sue asserzioni dommatico e intransigente non meno dei suoi censori” e il suo “esteriore contegno, le orrende bestem-mie, i gesti insultanti, le affermazioni per-turbatrici del sentimento cristiano delle anime pie non eran fatti per attirargli sim-patia”.

Gli esiti dei due rispettivi procedimenti giudiziari del resto la dicono lunga. Galileo fu costretto ad abiurare e la sua decisione non fu, come ha sostenuto Odifreddi “il peccato originale della nuova scienza”, ma rappresentò il prezzo da pagare per continuare privatamente i suoi studi. Inve-ce, l’atteggiamento ostinato e sdegnoso di Bruno (che disse ai suoi aguzzini: “Forse con maggior timore pronunciate contro di me la sentenza, di quanto ne provi io nel riceverla”) contribuisce a dissipare l’om-bra di martirio che secondo l’opinione comune avvolge la sua figura.

Angela Moretti

III A Liceo Europeo “Mondin” - Verona

Ettore Ferrari Ettore Ferrari Ettore Ferrari Ettore Ferrari ---- Giordano Bruno, La lezio- Giordano Bruno, La lezio- Giordano Bruno, La lezio- Giordano Bruno, La lezio-ne di Oxford (Roma, Campo dei Fiori, ne di Oxford (Roma, Campo dei Fiori, ne di Oxford (Roma, Campo dei Fiori, ne di Oxford (Roma, Campo dei Fiori,

1888)1888)1888)1888)

Giordano Bruno

(Monumento di Campo dei Fiori)

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Pagina 13 P R O J E C T

I primi problemi con il concetto di relativi-tà introdotto da Galileo, sorsero quando l’esperimento di Michelson-Morley dimo-strò che la velocità della luce non variava in base al sistema di riferimento, e ciò entrava in disaccordo con la meccanica classica, in quanto secondo il teorema di addiziona mento delle velocità, se un corpo si allontana da una fonte luminosa a 200000Km/s la luce che viaggia a 300-000Km/s, dovrebbe raggiungermi a 100-000Km/s, poiché io mi sto allontanando da lei. Questo esperimento afferma, inve-ce, che la luce mi raggiunge alla velocità di 300000Km/s, e quindi la meccanica classica e implicitamente le trasformazio-ni galileiane non erano in grado di descri-vere un simile fenomeno.

Per dare una spiegazione a queste nuove scoperte si necessitava di nuove leggi e quindi di nuove trasformazioni. Decisivo è stato l’intervento di Lorentz, che partendo dal presupposto che la velocità della luce è costante, sviluppò una nuova serie di formule chiamate appunto trasformazioni di Lorentz:

Dove c indica la velocità della luce.

Le trasformazioni di Lorentz descrivono il rapporto tra la posizione di un evento rispetto a due sistemi di riferimento: se noi prendiamo un evento E, le sue coordi-nate rispetto a un sistema di riferimento S saranno x,y,z,t, e quelle rispetto a un sistema S’ in moto rispetto a S saranno x’,y’,z’,t’, e il rapporto tra i due sistemi di coordinate S e S’ sarà definito dalle equa-zioni di Lorentz.

Da queste formule è facile notare come, all’aumentare della velocità del corpo, v, il denominatore diventi più piccolo, e quindi il risultato finale diventi più eleva-to; se la velocità aumenta fino a diventare pari a quella della luce, il denominatore diventa uguale a zero e il tempo si ferma.

Queste formule saranno alla base della teoria della relatività di Einstein, il quale costruì un nuovo modo di vedere l’univer-so. Partendo dalle equazioni della relativi-tà di Einstein si sono ricostruite tutte le formule della fisica classica, che valgono per velocità lontane da quella della luce.

Un effetto della teoria della relatività sul tempo è l’intervallo di tempo che intercor-

re tra due eventi; su questo Einstein fece un esperimento mentale, riportato nell’immagi-ne sottostante, nel quale ipotizzò di avere due amici: Bob e Alice. Bob si trovava sul marciapiede della stazione mentre Alice viaggia su un treno all’80% della velocità della luce. A bordo del treno è posizionato un orologio particolare, in quanto il battito dell’orologio è determinato da un raggio luminoso che deve partire dalla base, riflet-tersi sullo specchio posto sulla parte supe-riore del treno, e poi ritornare sulla base. La parte superiore della figura seguente rappre-senta ciò che vede Alice a bordo del treno, secondo il cui sistema di riferimento la luce deve percorrere 1,8 metri all’andata e 1,8 metri al ritorno, e quindi complessivamente 3,6 metri; mentre la parte sottostante della figura rappresenta la situazione vista dal sistema di riferimento di Bob, il quale vede il treno, e quindi l’orologio muoversi. Il raggio di luce, secondo Bob, percorre 3 metri di andata e 3 di ritorno. Considerato che la velocità della luce è pari a 3*108m/s, avre-mo che:

TAlice = Distanza/velocità = 3,6m/3*108m/s=1,2*10-8s

TBob = Distanza/velocità = 6m/3*108m/s=2*10-8s

Questo comportamento della luce è spiegato dalla formula:

Questa è la dimostrazione che l’intervallo di tempo tra due eventi non è costante, ma varia in base al proprio sistema di riferimen-to, e quindi il tempo che intercorre tra due eventi non è assoluto, come sostenuto da Galileo, ma varia da osservatore a osserva-tore.

Questa nuova teoria della relatività ha, di conseguenza, aperto la strada a una nuova concezione dell’universo, quella legata alle

quattro dimensioni, tre spaziali e una temporale, e ha quindi modificato tutte le leggi della meccanica classica.

Gli effetti che la relatività ha sul tempo non sono gli unici, in quanto sempre dalle formule scritte in precedenza si ottiene che all’aumentare della velocità le lun-ghezze si contraggono. Questa afferma-zione può apparire singolare, ma ad una attenta osservazione si può notare che se noi prendiamo una lastra solida lunga un metro, rispetto a un sistema che si muove con lei, i suoi estremi sono x’inzio=0 e x’fi-ne=1, mentre per un sistema fermo le coordinate sono:

,

e quindi la loro distanza è di me-tri, e quindi meno della misurazione effet-tuata con l’altro sistema di riferimento.

Un'applicazione del fenomeno della relati-vità è il GPS che oggi è diventato un og-getto di uso comune. Per funzionare cor-rettamente, il GPS deve tener conto degli effetti relativistici: infatti i 24 satelliti im-piegati per questo scopo perdono 7 mi-crosecondi al giorno per gli effetti relativi-stici sul tempo. Oltre a questo effetto, bisogna tenere in considerazione gli effet-ti della gravità sul tempo, in quanto la gravità rallenta in tempo, e quindi il satel-lite guadagna 45 microsecondi al giorno. A calcoli fatti, l’anticipo complessivo è di 38 microsecondi al giorno, e per questo si ricorre ad un aggiustamento dell’orologio da terra. Questo aggiustamento porta l’errore nella rilevazione della posizione di un corpo ad appena 15 metri, mentre senza le correzioni si avrebbe un errore di circa 11 km.

Questa rivoluzione scientifica non è anco-ra finita, in quanto la teoria della relatività di Einstein e la meccanica quantistica portano a due diverse visioni del mondo: la prima ad un mondo in cui tutte le inte-razioni sono locali; la seconda contempla l’azione a distanza come un fenomeno non locale. Queste diverse conclusioni fanno capire come manchi ancora una visione unitaria del mondo fisico.

Alessandro Mella

Liceo Scientifico Biologico “Mondin” - Verona

L A R E L A T I V I T À D O P O G A L I L E O

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Nel suo studio sulla nascita della scienza moderna, Paolo Rossi si sofferma su un aspetto delicato della rivoluzione scientifica del XVII secolo, constatando che “le università non furono al centro della rivoluzione scientifica. La scienza moderna nacque al di fuori delle universi-tà, spesso in polemica con esse e si tra-sformò, nel corso del Seicento e più anco-ra nei secoli successivi, in una attività sociale organizzata in grado di darsi sue proprie istituzioni”. Per quanto strano pos-sa oggi sembrare al tempo di Galileo l’uni-versità rappresentava effettivamente una forza reazionaria, che ostacolava il pro-gresso della conoscenza scientifica invece di promuoverlo, poiché si limitava ad una mera trasmissione ed imposizione di teo-rie classiche (Aristotele, Galeno, le Sacre Scritture…). Quasi in contrapposizione alle Università sorsero dunque , nel Seicento;

le Accademie, che si presentarono come istituti di ricerca finalizzati non alla tra-smissione ma all’avanzamento del sapere mediante scambio di informazioni, discus-sione di tesi, realizzazione in comune di esperimenti. Lo stesso Galileo, pur rico-prendo incarichi di docenza universitaria a Padova e a Pisa, entrò a far parte della prima Accademia, quella dei Lincei, creata nel 1603 e così battezzata per sottolinear-ne lo spirito lungimirante. Fu in quell’am-biente che Galilei riuscì a raggiungere le conclusioni scientifiche che lo hanno rese-ro tanto celebre quanto inviso ai tradizio-nalisti . Applicando nella ricerca pratica il

suo metodo Galileo, infatti, fece molte delle sue scoperte proprio nella sua stessa abitazione, affiancando l’attività di costruzione di strumenti tecnici alla ricerca teorica, ovvero fondando quel connubio fra scienza e tecnica che è oggi alla base della scienza moderna, ma che, secondo il principio platonico e aristotelico che il costruttore di macchi-ne andava sprezzantemente chiamato bánausos (colui che esercita un’arte meccanica, manuale), era inconcepibile al suo tempo. In tal modo all’aristotelico Cremonini che proclamava: “Se dovessi dar retta ai miei occhi direi che non ave-te torto. Ma poichè il grande Aristotele ha detto il contrario, penso che ci siano buone ragioni per dubitare anche dei nostri stessi sensi”, Galileo rispondeva ironicamente: “Ditemi professore: è vero o no che il caldo e il freddo li sentite con i vostri sensi e non chiedete ad Aristotele se dovete coprirvi?”.

Vi è oggi da riflettere sulla esperienze di Galilei. Confrontando una riflessione di Thomas Kuhn , secondo cui l’evoluzione della conoscenza scientifica esordisce sempre col “tentativo di disimparare gli schemi di pensiero indotti dall’esperien-za e dall’istruzione precedenti”, col pen-siero del filosofo Paul Feyerabend , che nel suo “Contro il metodo”, afferma che in Occidente vi siano ancora oggi come allora troppe autorità e troppi schemi a intralciare lo sviluppo libero della cono-scenza, sembra che alcuni pensatori

moderni mettano in quardi dal moderno scientismo. Paul Feyerabend

per dimostrare che un’obbedienza asso-luta al metodo è nociva, ha studiato il comportamento di ricerca di Galileo, giun-gendo alla conclusione che proprio lui, il padre del metodo scientifico, per primo andò contro il metodo. Famose le conclu-sioni della sua argomentazione: “la scien-za è un’impresa essenzialmente anarchi-ca” e “l’unico principio che non inibisce il progresso è: qualsiasi cosa può andar bene”.

Al di là delle evidenti provocazioni di Feye-rabend e delle sue forzature ad hoc nell’a-nalisi del caso Galileo, le sue riflessioni ci stimolano a porci comunque una doman-da cruciale: l’università oggi è in grado non solo di trasmettere conoscenza e abilità ma anche di insegnare a disimpara-re?

Celeste Calicante

III A Liceo Europeo Mondin—Verona

U N A R I V O L U Z I O N E C O P E R N I C A N A : L E U N I V E R S I T À N O N P I Ù A L C E N T R O D E L L A R I V O L U Z I O N E S C I E N I T F I C A

Cinque anni di Università d’ eccellenza, con un percorso che comprende laurea triennale e laurea magistrale; seminari e corsi integrativi tenuti da docenti di prestigio internazionale; professori e tutori dedicati a speciali attività di formazione e orien-tamento.

E’ la Scuola Galileiana di Studi SuperioriScuola Galileiana di Studi SuperioriScuola Galileiana di Studi SuperioriScuola Galileiana di Studi Superiori, nata dalla collaborazione tra l’ Ateneo di Padova e la Scuola Normale di Pisa, aperta agli studenti iscritti all’ Università di Padova. Lo studente deve superare sia la selezione del corso universitario che quello della Scuola Galileiana. La frequenza è gratuita e gli allievi hanno l’obbligo di superare tutti gli esami con una media di 27/30.

Gli allievi godono di servizi personalizzati (alloggio gratuito al Collegio Morgagni, pasti, computer,visite, viaggi ..) e sono seguiti da un Tutor

Galileo Galilei, al quale la scuola è intitolata, insegna matematica all’ Università di Padova dal 1592 al 1610, periodo che defi-nirà “li diciotto anni migliori di tutta la mia età”. Il celebre pisano è stato non solo un grande matematico e astronomo, ma an-che un filosofo e letterario. Ispirandosi alla sua figura, la Scuola comprende un settore umanistico e uno scientifico.

Il numero ristretto (solo 24 alunni) di “galileiani” consente un rapporto allievo-professore molto intenso, basato sul continuo dialogo e scambio culturale. L’ obiettivo è trasmettere un metodo in cui le diverse discipline si integrino in un sapere vasto ma armonico, proprio secondo l’ esempio di Galileo.

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Se la scienza deve a Galileo Galilei la definizione dei canoni entro cui condurre una moderna ricerca scientifica, la moderna didattica potrebbe trarre i medesimi vantaggi in cam-po educativo se applicasse il metodo galileiano alla formazio-ne dei giovani.

Se difatti si analizzassero le quattro fasi del metodo galileiano (osservazione dei fenomeni naturali, formulazione induttiva di ipotesi, sperimentazione mediante modelli e formulazione deduttiva di una legge scientifica mediante calcolo matemati-co), si scoprirebbe che mentre ciascuna fase corrisponde di fatto ad altrettanti naturali evoluzioni del comportamento giovanile (osservazione del mondo circostante, realizzazione di uno modello sperimentale di adattamento, emarginazione o maturazione in base alle esperienze conseguite), le regole prescritte da Galilei per la corretta realizzazione di quelle fasi costituirebbero, se applicate in veste pedagogica, degli ausili preziosi per gli educatori.

A partire dalla osservazione, che Galileo prescrive di effettuare senza preconcetti, sino alla fase della sperimentazione, che il grande scienziato volle sempre trasparente, razionale e ripro-

ducibile, un giovane educato a ragionare nella vita quotidiana secondo il metodo galileiano sarebbe indotto a riconoscere non all’autorità della fonte, ma all’autorevolezza sperimentabile dei fenomeni la sorgente delle norme comportamentali, dei diritti e dei doveri della convivenza civile. In particolare l’adozione siste-matica del principio di verificabilità, ponendo il giovane di fronte al concetto di responsabilità di fronte al gruppo, ovvero di analisi pubblica dei suoi stessi comportamenti, lo indurrebbe in forma quasi maieutica a riconoscere l’insostenibilità in campo razionale di alcuni atteggiamenti di prevaricazioni (bullismo, nonnismo, teppismo, ecc) purtroppo così spesso presenti nel mondo giovani-le contemporaneo. Al contrario la valenza socializzatrice, e quindi gratificante, di un comportamento verificabile come costruttivo e volitivo dal gruppo potrebbe indurre ogni singolo a porre le pro-prie energie al servizio del bene comune, attraverso l’affinamento delle proprie affinità e inclinazioni in vere e proprie specifiche competenze. La popolarità per competenza sostituirebbe, con il metodo galileiano, la popolarità per prepotenza nella scala dei valori giovanili.

Dott. Luigi Damasco

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I L M E T O D O G A L I L E I A N O C O M E I N D U T T O R E D I E D U C A Z I O N E C I V I C A

Nel “dialogo sopra i due massi-mi sistemi del mondo” Gailleo Galilei , ben cosciente della valenza ideologica della sua operazione, tenta la doppi a confutazione filosofica dei concetti di incorruttibilità dei corpi celesti e di imper-fezione della Terra, nel tentativo di svin-colare il pensiero scientifico dal fissismo della scuola scolastica aristotelica. Attra-verso l’adozione, del tutto innovativa, della prova tangibile di una tesi mediante strumentazioni tecniche ed esperimenti pratici, Galilei provò che era materialmen-te possibile dimostrare sia l’ infondatezza della impostazione cosmologica dominan-te , sia la plausibilità della teoria coperni-cana, basato sull’ abbandono del geocen-trismo tolemaico. Al di là della portata rivoluzionaria di questi presupposti, il primo risvolto della nuova prospettiva di indagine riguardò i corpi celesti. Grazie alla speculazione galileiana essi diventa-rono oggetto di studio e di ricerca scienti-fica, al pari dei corpi terreni. La fonda-mentale riflessione sviluppata nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo si pone come condizione preliminare affin-ché le caratteristiche attribuite ai corpi celesti dovessero necessariamente esser presenti anche nei corpi terreni e quindi nella Terra stessa.

Esemplare è la questione relativa al moto circolare dei pianeti e della terra. Il moto circolare si addice a giustificare la pre-messa teorica che il moto circolare non è

solamente caratteristica dei corpi cele-sti, ma intrinseca ed utile anche ai corpi materiali, Terra compresa. Se è vero ciò, allora necessariamente ne deriva che «gli attributi del generabile o ingenerabi-le, alterabile o inalterabile, partibile o impartibile, etc. egualmente e comune-mente convengano a tutti i corpi monda-ni». Con il termine mondani Galilei inten-de ed agglomera sia i corpi celesti sia quelli terreni, eliminandone quindi la differenza. L’obiezione del rappresentan-te del modo tradizionale di pensare, nel dialogo Simplicio, non potrebbe essere più netta: «Questo modo di filosofare tende alla sovversion di tutta la filosofia naturale, ed al disordinare e mettere in conquasso il cielo e la Terra e tutto l'uni-verso. Ma io credo che i fondamenti de i Peripatetici sien tali, che non ci sia da temere che con la rovina loro si possano

construire nuove scienze».

Una Terra mutevole non è più imperfet-ta. Afferma l’onesto scienziato Sagre-do:«Non è dubbio alcuno che la Terra è molto più perfetta essendo, come ella è, alterabile, mutabile[...]». In cosa consiste la perfezione? Forse nell’avere l’immuta-bilità delle pietre o dei cristalli? Se la Terra fosse in questa condizione andreb-be considerata un corpaccio inutile. Vi è quindi una ulteriore importanza data alla Terra, in relazione anche a quella nuova apertura verso il cielo e verso la cono-scenza non considerata fino a quel mo-

mento. Siamo di fronte ad uno scontro tra il vecchio e il nuovo modo di pensare. Un pensiero che, più che eliminare l’au-tentico contributo degli autori del passa-to, in primo luogo del grande Aristotele, ma che vuole mettere in luce un modo scorretto di uso della sua filosofia.Nella sua opera Galilei pone una critica al principio di autorità, nel quale son pre-senti due diversi sistemi concettuali.: il principio di autorità, appoggiato e perse-guito ad esempio dalla Chiesa e dalla “tradizione”, era caratterizzato da un sapere strettamente legato ai libri, all’-autorità della Scrittura, all’autorità della tradizione filosofica, a ciò che era già stato detto e scoperto nel passato. Essi rifiutavano qualsiasi possibile novità e incremento della conoscenza da parte dell’uomo. Galilei riteneva che, in que-sto modo, qualsiasi osservazione e ri-flessione fosse negata. Inoltre aveva un diverso interesse per l’uomo e per il mondo. L’errore dei conservatori consi-ste sia nel disinteresse a capire il fun-zionamento del mondo quanto a ritene-re unico scopo dello studio il perché il’ universo era stato creato e a quale fos-se la sua destinazione. Galilei, in parti-colar modo, si scaglia contro gli aristote-lici, sottolineando come i pensieri più moderni non vadano ad intaccare in negativo quelli dei “conservatori”. Gali-lei, infatti, sostiene che:«se i nostri pen-sieri saranno veri, nuovi acquisti si sa-ranno fatti, se falsi, col ributtargli, mag-giormente verranno confermate le pri-me dottrine». Questa sua considerazio-ne, potrebbe esser interpretta come una sua mancata restrizione e il suo porre in dubbio sia le conoscenze tradi-

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PROJECT PROJECT PROJECT PROJECT ---- Rivista di divulgazione scientifica Rivista di divulgazione scientifica Rivista di divulgazione scientifica Rivista di divulgazione scientifica

Reg. Trib. di Verona n° 1789 del 20/02/2008

Direttore ResponsabileDirettore ResponsabileDirettore ResponsabileDirettore Responsabile: dott.ssa Daniela Bruna Adami

Direttore ScientificoDirettore ScientificoDirettore ScientificoDirettore Scientifico: prof.ssa Paola Petrillo

Coordinatori redazionaliCoordinatori redazionaliCoordinatori redazionaliCoordinatori redazionali: proff. Dorina Artuso, Francesco Gaspari, D. De Rossi, E. Pagan - Ist. “L. Mondin” (VR)

prof. M. Gabriella De Guio - Liceo Scientifico Statale “Quadri” (VI)

RedazioneRedazioneRedazioneRedazione: B. Accordino, F. Baron, C. Begnoni, S. Bolcati , C. Calicante, F. Ceretta, , G. Dalla Montà, V. Dal Por-to, A. Fiorini, M. Formiga, S. Griffante, M. Invoglia, M. Lucchin, A. Mella, A. Moretti, M. Savoia, A. Tomasi,

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Collaboratori esterni: Collaboratori esterni: Collaboratori esterni: Collaboratori esterni: dott. Luigi Damasco

Si ringraziano per la collaborazione a questo numero:Si ringraziano per la collaborazione a questo numero:Si ringraziano per la collaborazione a questo numero:Si ringraziano per la collaborazione a questo numero:

Presidi: proff. E. Adorno (Liceo Scientifico Statale “Quadri” - VI), C. Biella (Istituto “L. Mondin” - VR)

Alunni delle classi: III A e V A Liceo Scientifico Biologico e III A Liceo Europeo Giuridico—Economico “Mondin” (VR); IV AT e III AI Liceo Scientifico Statale “Quadri”- (VI)

Editore: Editore: Editore: Editore: Istituto Sorelle della Misericordia - Verona

Tutti i diritti sono riservati

Per questo numero sono stati consultati siti internet, autori, testi e riviste tra cui:

Paolo Rossi, La nascita della scienza moderna, Laterza, Roma-Bari 2002.

Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1969.

Paul Feyerabend, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Feltrinelli, Milano 1979.

www.scienzagiovane.unibo.it/; www.gravita-zero.org/; www.oloscienze.com; www.asimmetrie.it/; www.astrolink.mclink.it/

Nel prossimo numero il tema sarà:

2010 2010 2010 2010 ---- Anno internazionale della biodiversità Anno internazionale della biodiversità Anno internazionale della biodiversità Anno internazionale della biodiversità


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