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Punto G 03

Date post: 06-Mar-2016
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numero 3 - dicembre 2013
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il Punto il Natale fa schifo, il Natale è bellissimo! Il Natale fa schifo quando lo sprechiamo in coda nei centri commerciali, quando lo gettiamo in regali inutili e costosi per persone di cui non ci interessa niente, quando lo lasciamo andar giù nello scarico dei finti sorrisi e dei cibi grassi, degli abbracci finti, degli impegni di cortesia e della stupida bestialità dei discorsi vuoti fatti intorno a un tavolo di gente che non ha niente in comune e vorrebbe essere un’altra parte. Non ci si può volere bene una sola volta all’anno. Il Natale è bellissimo quando lo si passa a scegliere cose significative per persone che contano davvero, usandolo come occasione per riunirsi oltre alle vite che ci impegnano davanti a pasti fatti per stringersi un po’, per sentire almeno una volta l’anno quanto ci si è vicini nonostante tutto, quanto conti davvero esistere l’uno per l’altro. E’ bellissimo quando è uno spunto di riflessione, una pausa di meditazione su ciò che è davvero importante, un momento per capire come rendere speciale il resto del tempo in cui dobbiamo solo agire e non abbiamo neppure il tempo di pensare. Non ci si può volere bene una sola volta all’anno. Ma è già qualcosa. Guido Giacomo Gattai http://www.FaceBook.com/GuidoGiacomoGattai Cari pi di Punto G, quest’anno siete sta delle merde. Lo capite che i regali vanno fa a Natale, non quando si sentono in cuore? Altrimen io qui fallisco. Già c’è la crisi. Per fa- vore, venitemi incontro e inoltratemi qualche ordine. E’ un ordine. E’ vero, come organizza- zione fa un po’ acqua. La gente si stressa a inventarsi i regali più ada e allora si ritrova ad arrangiarsi con cazzate costose o di moda con sopra un marchio che ne dovrebbe essere il valore. Si spendono un sacco di soldi, le paranoie sull’opportunità di fare un regalo sì ma di che po e quanto ci voglio spendere si appiccano da persona a persona come fiamma da foglia a foglia, la gente sta ore in automobile per andare ai centri commer- ciali, ingrassa di bruo perché non muove mai il culo (io sono grasso per- ché non dico mai di no, ma sport ne faccio) e come se non bastasse per un mese all’anno ho la posta to- talmente intasata, quindi se mi arriva una bollea o una leera dalla casa di massaggi di Bangkok (ho piccole quote di alcune società, affari miei) è probabile mi sfugga. Ma che ci volete fare? Gli affari sono affari. E se non guadagno come li pago gli elfi? Hanno anche messo su un sin- dacato… Sapete, voi sareste piaciu a mio fratello. Ma è molto tempo che non c’è più. Lui si faceva spedire le leere tuo l’anno. E le persone gli dicevano che cosa volevano regalare, non che cosa volevano ricevere. Babbo Donato. Ges- vamo l’azienda insieme, ma le cose così non an- davano, eravamo a crescita zero. Poi una volta ci fu una discussione… Lui voleva che ritaglias- simo la nostra quota di uli per iniziare a fare anche noi dei regali, ma… era tanto tempo fa, ancora avevamo pochi soldi, che potevo fare? Tirar fuori altri soldi dal cappello? E glielo dissi: “Io ho quel che ho, Donato”. Lui mi guardò con uno sguardo strano e mi rispose “Io ho quel che ho donato”. Forse non erano idee sbagliate, ma come si fa a conciliarle con questa vita qua? Mi hanno deo che l’hanno visto regalare semen ai contadini rovina del Bengala, lavorare con loro. Sempre col suo ridicolo vesto verde. Vabbè, alla fine non siete poi così male. Il vostro quest’anno l’avete fao, e per quanto giustamente vi chiediate di più, alla fine siete sempre nella lista dei buoni. Vedrò che cosa mi è rimasto e vi potrò mandare – ma Giovanni-- non aspear obbievi per la macchina foto- grafica grossi come tronchi, e Giorgio non aspeare slografiche col pennino in palladio. Intanto vi auguro un Natale splendido, denso (come il miele) di quel senmento di calore e festa che sa por- tare, in compagnia, a riparo dal freddo, con un grande pasto e vino buono, un Natale di regali sen, coro- namento di questo anno di Nostro Signore 2010, capace di rasserenare la mente per rare le giuste conclusioni sulla propria vita quando sarà il momento. Ma in fondo, aldilà di ogni augurio, il segreto del Natale è forse quello del creare una scusa buona per passare del tempo – fosse anche solo un giorno – esaamente come tu desideri. Avan e in alto, Babbo Natale P.S. Fortunelli, mi sono rimas i preservavi al mango. Giorgio More Italia: chi è? la storia d’Italia vista dagli occhi della povera gente 3. I contadini e le istuzioni. I contadini sono analfabe. Le percentuali di coloro che non sanno leggere, scrivere e far di conto non possono essere sempre indicate con sufficiente approssimazione alla verità se non all’incirca dopo il 1860, ma sono certamente alssime. Già è allarmante il dato che riguarda tuo il Paese, relavo al 1861: il 75% dei suoi abi- tan è analfabeta. La campagna, come c’era da aendersi è colpita più fortemente della cià. In molte zone agricole si incontrano percentuali che raggiungono e superano il 90%. In diverse parroc- chie vi è una sola persona che sappia leggere e scrivere: il parroco. E non sempre correamente. L’Italia del Sud, mediamente, è più arretrata di quella del Nord. Il parroco – che in mol casi è egli stesso di origine contadina - diviene un in- sostuibile strumento di comunicazione e di op- eravità nelle vicende quodiane. Ha un potere enorme: influisce sull’assunzione dei braccian e regola quella delle balie, rilascia i cerfica di bu- ona condoa, cura i registri anagrafici (nascite, matrimoni e morte)… Il contadino è del prete, soleva dire – con ragione – Garibaldi. Le conseguenze di questa deficienza cul- turale, così macroscopica, sono incalcolabili. L’esclusione dalla leura equivale a un’esclusione dal consorzio sociale. Il contadino non ha e non può avere un pensiero autonomo. Anche quando avverte l’ingiuszia (o le ingiuszie) di cui è vit- ma, non sa arcolare le sue ragioni, non sa farle valere. Precipita da ingiuszia in ingiuszia, da amarezza in amarezza. Finisce col detestare le carte che gli appaiono nemiche. Avversa tuo ciò che è nuovo e diffida di tuo. Ha in sospeo – spesso non senza fondato movo – lo stesso avvocato che lo tutela nelle controversie. Questa diffidenza si accentua nei momen dif- ficili. L’aumento del prezzo del pane, nel peri- odo giacobino-napoleonico, viene aribuito all’accaparramento delle farine e alla speculazi- one che ne consegue, ad opera degli stranieri (i francesi), dei ricchi padroni di terre, degli ebrei. Il contadino – che non ha mezzi di conoscenza crica - sospea di qualsiasi novità. Le riforme www.FaceBook.com/PartitoPerLaProtezioneDelSensoCriticoInEstinzione
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il Puntoil Natale fa schifo, il Natale è bellissimo!

Il Natale fa schifo quando lo sprechiamo in coda nei centri commerciali, quando lo gettiamo in regali inutili e costosi per persone di cui non ci interessa niente, quando lo lasciamo andar giù nello scarico dei finti sorrisi e dei cibi grassi, degli abbracci finti, degli impegni di cortesia e della stupida bestialità dei discorsi vuoti fatti intorno a un tavolo di gente che non ha niente in comune e vorrebbe essere un’altra parte. Non ci si può volere bene una sola volta all’anno.

Il Natale è bellissimo quando lo si passa a scegliere cose significative per persone che contano davvero, usandolo come occasione per riunirsi oltre alle vite che ci impegnano davanti a pasti fatti per stringersi un po’, per sentire almeno una volta l’anno quanto ci si è vicini nonostante tutto, quanto conti davvero esistere l’uno per l’altro. E’ bellissimo quando è uno spunto di riflessione, una pausa di meditazione su ciò che è davvero importante, un momento per capire come rendere speciale il resto del tempo in cui dobbiamo solo agire e non abbiamo neppure il tempo di pensare.Non ci si può volere bene una sola volta all’anno. Ma è già qualcosa.

Guido Giacomo Gattaihttp://www.FaceBook.com/GuidoGiacomoGattai

Cari tipi di Punto G,

quest’anno siete stati delle merde. Lo capite che i regali vanno fatti a Natale, non quando si sentono in cuore? Altrimenti io qui fallisco. Già c’è la crisi. Per fa-vore, venitemi incontro e inoltratemi qualche ordine. E’ un ordine.

E’ vero, come organizza-zione fa un po’ acqua. La gente si stressa a inventarsi i regali più adatti e allora si ritrova ad arrangiarsi con cazzate costose o di moda con sopra un marchio che ne dovrebbe essere il valore. Si spendono un sacco di soldi, le paranoie sull’opportunità di fare un regalo sì ma di che tipo e quanto ci voglio spendere si appiccano da persona a persona come fiamma da foglia a foglia, la gente sta ore in automobile per andare ai centri commer-ciali, ingrassa di brutto perché non muove mai il culo (io sono grasso per-ché non dico mai di no, ma sport ne faccio) e come se non bastasse per un mese all’anno ho la posta to-talmente intasata, quindi se mi arriva una bolletta o una lettera dalla casa di massaggi di Bangkok (ho

piccole quote di alcune società, affari miei) è probabile mi sfugga. Ma che ci volete fare? Gli affari sono affari. E se non guadagno come li pago gli elfi? Hanno anche messo su un sin-dacato…Sapete, voi sareste piaciuti a mio fratello. Ma è molto tempo che non c’è più. Lui si faceva spedire le lettere tutto l’anno. E le persone gli dicevano che cosa volevano regalare, non che cosa volevano ricevere. Babbo Donato. Gesti-vamo l’azienda insieme, ma le cose così non an-davano, eravamo a crescita zero. Poi una volta ci fu una discussione… Lui voleva che ritaglias-simo la nostra quota di utili per iniziare a fare anche noi dei regali, ma… era tanto tempo fa, ancora avevamo pochi soldi, che potevo fare? Tirar fuori altri soldi dal cappello? E glielo dissi: “Io ho quel che ho, Donato”. Lui mi guardò con uno sguardo strano e mi rispose “Io ho quel che ho donato”.Forse non erano idee sbagliate, ma come si fa a conciliarle con questa vita qua? Mi hanno detto che l’hanno visto regalare sementi ai contadini rovinati del Bengala, lavorare con loro. Sempre col suo ridicolo vestito verde.Vabbè, alla fine non siete poi così male. Il vostro quest’anno l’avete fatto, e per quanto giustamente vi chiediate di più, alla fine siete sempre nella lista dei buoni. Vedrò che cosa mi è rimasto e vi potrò mandare – ma Giovanni-- non aspettarti obbiettivi per la macchina foto-grafica grossi come tronchi, e Giorgio non ti

aspettare stilografiche col pennino in palladio.Intanto vi auguro un Natale splendido, denso (come il miele) di quel sentimento di calore e festa che sa por-tare, in compagnia, a riparo dal freddo, con un grande pasto e vino buono, un Natale di regali sentiti, coro-namento di questo anno di Nostro Signore 2010, capace di rasserenare la mente per tirare le giuste conclusioni

sulla propria vita quando sarà il momento. Ma in fondo, aldilà di ogni augurio, il segreto del Natale è forse quello del creare una scusa buona per passare del tempo – fosse anche solo un giorno – esattamente come tu desideri.Avanti e in alto,

Babbo Natale

P.S. Fortunelli, mi sono rimasti i preservativi al mango.

Giorgio Moretti

Italia: chi è?la storia d’Italia vista

dagli occhi della povera gente

3. I contadini e le istituzioni.

I contadini sono analfabeti. Le percentuali di coloro che non sanno leggere, scrivere e far di conto non possono essere sempre indicate con sufficiente approssimazione alla verità se non all’incirca dopo il 1860, ma sono certamente altissime. Già è allarmante il dato che riguarda tutto il Paese, relativo al 1861: il 75% dei suoi abi-tanti è analfabeta. La campagna, come c’era da attendersi è colpita più fortemente della città. In molte zone agricole si incontrano percentuali che raggiungono e superano il 90%. In diverse parroc-chie vi è una sola persona che sappia leggere e scrivere: il parroco. E non sempre correttamente. L’Italia del Sud, mediamente, è più arretrata di quella del Nord. Il parroco – che in molti casi è egli stesso di origine contadina - diviene un in-sostituibile strumento di comunicazione e di op-eratività nelle vicende quotidiane. Ha un potere enorme: influisce sull’assunzione dei braccianti e regola quella delle balie, rilascia i certificati di bu-ona condotta, cura i registri anagrafici (nascite, matrimoni e morte)… Il contadino è del prete, soleva dire – con ragione – Garibaldi.Le conseguenze di questa deficienza cul-turale, così macroscopica, sono incalcolabili. L’esclusione dalla lettura equivale a un’esclusione dal consorzio sociale. Il contadino non ha e non può avere un pensiero autonomo. Anche quando avverte l’ingiustizia (o le ingiustizie) di cui è vit-tima, non sa articolare le sue ragioni, non sa farle valere. Precipita da ingiustizia in ingiustizia, da amarezza in amarezza. Finisce col detestare le carte che gli appaiono nemiche. Avversa tutto ciò che è nuovo e diffida di tutto. Ha in sospetto – spesso non senza fondato motivo – lo stesso avvocato che lo tutela nelle controversie. Questa diffidenza si accentua nei momenti dif-ficili. L’aumento del prezzo del pane, nel peri-odo giacobino-napoleonico, viene attribuito all’accaparramento delle farine e alla speculazi-oneche ne consegue, ad opera degli stranieri (i francesi), dei ricchi padroni di terre, degli ebrei. Il contadino – che non ha mezzi di conoscenza critica - sospetta di qualsiasi novità. Le riforme

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leopoldine, concepite spesso per avvantaggiarlo, ad esempio per farlo divenire piccolo proprietar-io terriero, non lo attraggono. Non ha il capitale, sia pur modesto, per compiere l’operazione; se riesce a procurarselo entra presto in una situ-azione debitoria insostenibile che lo obbliga a cedere il terreno appena acquistato a condizio-ni sfavorevoli. In realtà delle riforme conosce soltanto alcuni aspetti esteriori che colpiscono la sua credulità e le sue tendenze all’idolatria. Ad Arezzo, una delle tante immagini sacre pre-senti nel territorio, diviene la protettrice dai ter-remoti, la Madonna del Conforto, e il simbolo dell’importante insorgenza clerico-reazionaria del “Viva Maria” che dilaga in tutta l’Italia cen-trale. Ancora oggi la si festeggia più di quanto si faccia per il patrono della città. Si tenga presente che, per larga parte dell’Ottocento, il lavoratore – operaio o contadi-no che fosse – non gode di alcuna assistenza né quando si ammala, né quando invecchia. Soltan-to sul finire del secolo, in parte per influsso della legislazione sociale bismarckiana (1881-1889) e in parte per sollecitazione delle società di mutuo soccorso e delle prime organizzazioni socialiste si prendono provvedimenti in questa direzione, iniziando il processo che porterà alla teoria e alla pratica dello Welfare State, oggi messo in discussione, negli Stati occidentali, da una grave crisi economica. Nell’Ottocento, la famiglia col-pita dalla disgrazia in uno o più dei suoi membri importanti, non ha altra risorsa che rivolgersi a un’incerta carità, gestita anche quella, in preva-lenza da ecclesiastici. Il fenomeno, del resto, per-dura anche oggi, sia pure con altri destinatari e con altre forme. (Si pensi all’assistenza praticata dalla Caritas).I contadini incolti e illetterati, esasperati dalla fame e dalle ingiustizie, perdono, ogni tanto, im-provvisamente e imprevedibilmente, il lume de-gli occhi, ed esplodono in rivolte, tanto violente quanto cieche e disordinate. Invadono le sedi comunali, i palazzi del potere, e li distruggono. Danno al fuoco le odiate carte, gli archivi e i reg-istri. È la jacquerie, così chiamata dall’appellativo ironico di Jacques Bonshommes, dato ai conta-dini. Le jacqueries, a lor volta, sono le eredi delle bacaudae romane, a testimonianza, se ce ne fosse bisogno, che il pauperismo e il vano ribel-lismo dei contadini corre attraverso i secoli fino ai nostri giorni.Bakunin, massimo rappresentante dell’anarchismo delle campagne, da lungo tempo stabilitosi in Italia, vede queste fiammate come manifestazioni spontanee, istintive che, unendo-

si le une alle altre, rivoluzioneranno l’intera società. In verità le non molte insurrezioni contadine che possono richiamarsi a Bakunin o a forme atipiche di ribellismo (Bologna, 1874, Matese, tra Campania e Molise, 1877, la Boje, 1882-1885, nel mantovano e nel cremonese, i Fasci siciliani, 1891-1893), ecc. senza un’organizzazione, senza capi riconosciuti, nau-fragano rapidamente sotto la repressione, anche se contri-buiscono a porre le premesse delle Leghe, vive soprattutto agli inizi del XX secolo. Merita, tuttavia, di essere ricordata l’impresa di Carlo Pisacane che muove verso un socialismo ancora embrionale e del tutto velleitario, ma in cui vengono prese in considerazione “libere comuni contadine”. La sciagu-rata spedizione di Sapri (1856) – che ha un suo precedente nell’altrettanto sciagurato tentativo dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera (1844) – dimostrerà quanto immatura sia la propensione contadina verso il Risorgimento, alla metà del secolo.L’unità d’Italia sarà possibile solo quando dall’iniziale av-versione diffusa (si pensi ai movimenti del “Viva Maria” già citati e a quelli sanfedisti del cardinale Ruffo), i contadini passano a un diverso atteggiamento. Si può, addirittura, avanzare l’ipotesi che la condizione del successo del Risorgi-mento sia il progressivo, lento mutarsi dell’ostilità contadina in indifferenza e infine, in alcuni casi rintracciabili all’interno dell’impresa dei Mille e soggetti a molti rilievi critici, anche di vicinanza e di sostegno.L’impreparazione dei contadini ad affrontare le realtà di cui erano vittime era vista con chiarezza da Gramsci il quale scriv-eva: La psicologia dei contadini era, in tali condizioni, incon-trollabile: i sentimenti reali rimanevano occulti, implicati e confusi in un sistema di difesa contro gli sfruttamenti, mera-mente egoistica, senza conti-nuità logica, materiata in gran parte di sornioneria e di finto servilismo. La lotta di classe si confondeva col brigantaggio, col ricatto, con l’incendio dei boschi, con lo sgarrettamento del bestiame, col ratto dei bambini e delle donne, con l’assalto al municipio; era una forma di terrorismo elemen-tare, senza conseguenze sta-bili ed efficaci. Queste parole erano scritte all’indomani della prima guerra mondiale, ma si applicavano benissimo anche agli anni e ai decenni precedenti.Non migliori erano i rapporti dei contadini con il potere militare. La coscrizione obbli-gatoria, introdotta da Napo-leone, era semplicemente odi-ata. I contadini vi reagiscono

dandosi alla macchia, alla clandestinità, organizzando forme di brigantaggio in ogni dove. I sistemi di recluta-mento differiscono, come c’era da attendersi, da Stato a Stato, ma quelli poi confluiti nell’Italia unita sono biz-zarri e iniqui, fondati sull’estrazione a sorte (tanto più lunga sarà la ferma quanto più basso e cioè piccolo sarà il numero estratto) e sulla possibilità di compra-vendita dei numeri, criterio che favoriva, ovviamente, coloro che erano in migliori condizioni economiche. Anche il sistema delle esenzioni era complesso e consentiva ul-teriori ingiustizie.Il pagamento delle imposte era concepito ugualmente in forme oppressive per i contadini i quali, parados-salmente, finivano con il pagare più dei proprietari. Il sistema fiscale, già in sè stesso vessatorio, fu ulterior-mente aggravato con l’introduzione (1868-69) della cosiddetta tassa sul macinato che andava a colpire i prodotti cerealicoli. Il mugnaio – che assumeva così le funzioni dell’esattore - era tenuto a registrare il nu-mero dei giri delle sue macine ad ogni sua operazione e a far pagare la somma corrispondente al contadino. Il criterio era semplice, ma non mancavano divergenze e liti sul calcolo dei giri. In discussione tuttavia era ancor prima il principio, ritenuto dai contadini gravemente iniquo. Si raggiunse così il pareggio del bilancio statale, perseguito dal governo della destra storica e, in parti-colare, da Quintino Sella, ma il prezzo del pane, già alto,

aumentò ancora. Si ebbero proteste e disordini un po’ dovunque, in particolare in Emilia. La repressione non fu indolore: costò 250 morti e un migliaio di feriti.

Roberto G. Salvadori

MANGIARE BENEcucina vegetariana per tutti i gusti

In questo mese freddo sarà bene suggerire un pi-atto energetico e ricco di sali. E’ una ricetta che proviene dalla Valtellina dunque ricca di burro e formaggioPer 4 persone suggerisco queste dosiPer la pasta: 250gr di farina di grano saraceno, 100gr di farina di grano duro (in mancanza di questa andrà bene anche la normale 00), Unire le due farine ,aggiungere un pizzico di sale e im-pastare con acqua fino a ottenere una “palla” soda e elastica. A mano (o con la macchinetta) tirare una sfoglia dello spessore di una moneta da 5 cent. Ricavarne delle tagliatelle larghe circa 1/2cm. e lunghe 10 cm.Mentre le tagliatelle si asciugano si preparerà il condimento per il quale occorrono: 400 gr .di pa-tate, 300 gr. di cavolo verza o cappuccio, 100 gr. di

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bietole, 40 gr di burro40 gr di olio, 2 spicchi di aglio, una manciata di foglie di salvia, 40 gr di grana padano o parmigiano reggiano, 250 gr di fontina o altro formag-gio di malga.Tagliare le patate a tocchetti, il cavolo e le bietole a striscioline, mettere tutto in una pentola capiente con abbondante acqua salata e portare a ebollizioneIntanto in un pentolino mettere olio, burro aglio e salvia facendo sof-friggere dolcemente senza far prendere colore all’aglio. A parte grattare i 2 formaggi.Quando la pentola con acqua e verdure comincia a bollire calcolare 10 minuti di cottura, poi aggiungere le tagliatelle già pronte e far trascor-rere altri 10 minutiCon il mestolo forato tirare fuori metà del misto tagliatelle patate e ver-dure e mettere un primo strato in un piatto di portata cospargendo con una parte del contenuto del pentolino (burro..) e dei formaggi. Ripetere l’operazione con il resto delle tagliatelle e dei condimenti. Lasciare ripo-sare qualche minuto prima di servire.Naturalmente si tratta di un piatto unico. Le tagliatelle (o pizzoccheri) si trovano anche già fatte e, sebbene meno saporite, si possono certa-mente usare.Dopo un simile pasto suggerirei una bella tisana calda ottenuta facendo un decotto di ginger, chiodo di garofano e un profumo di cannella.

Anna Sardini

JOE COSPORCO: ADESSO È NATALE!Buon Natale, maledetto lettore pervertito. Lo so che ci godi come maiale in calore a sentire storie a proposito di quanto non riesco mai a risolvere un caso, a proposito di tutte le scarogne fottute che mi capitano dalla mattina alla sera. Ma questa volta sarà diverso. No. Non ho da raccontarvi una storia in cui le donne si contendono il mio flaccido corpaccione di grasso e vecchio alcolista, e nemmeno una storia in cui trito le budella a un pericoloso criminale e faccio la figura dell’eroico. E nemmeno ho intenzione di raccontarvi un’avventura del mio fratellastro Vin Cosempre. Semplicemente non vi racconterò una storia. Già, perché è Natale per tutti, porcorevolver, e anch’io ho diritto a non umiliarmi, un giorno l’anno. Vi parlerò del Natale, invece che di me. Ho sempre odiato il fottuto Natale di questo paio di caricatori. Tutta la gente se ne sta chiusa al caldo nella sua casuccia e il mondo è felice. Io, invece, me ne sto chiuso nella mia stamberga di Noskifo Road a tracannire birra Hot Piss e guardare la mia squadra del cuore che perde per l’ennesima volta, per l’ennesima partita. È così retrocessa, ormai, che hanno fatto un girone tutto per lei. Si mettono metà da una parte e metà dall’altra, l’allenatore finge di essere l’arbitro e – incredibile ma vero – riescono sempre a perdere. Tutte e due le mezze squadre. Nel senso che non segna nessuno ma si prendono cosi terribilosamente a sfracagnate sul muso che ne finisce un paio all’obitorio tutte le domeniche.Il mio cane non è mai in casa, per Natale. Ha scoperto che dal ramo paterno ha dei parenti nobili in Scozia, e così trascorre tutte le vacanze in questo spettacolare castello dove – lui dice – danno da mangiare ai cani molto meglio di quanto io abbia mai mangiato nel corso della mia lunga ma inutile vita di ippopotamo castrato. Leggo la lettera che mi scrive

tracannendo la seconda cassa di Hot Piss. Ne compro sempre un centinaio di casse, per es-sere sicuro di stare bello sbronzo fino all’epifania e non accorgermi della felicità che è in giro. Non voglio più finire in gatta negra per aver tentato lo strangolamento di un bambino ridente. E a volte la sbronza non basta ad annullare le mie villeità criminatali. Solo tre giorni fa ho dovuto pagare un’ammenda di trecento dormodollari (n.d.r.: moneta in corso a Stankonia) per aver strappato una barba a un finto Babbo Natale in un grande magazzino ed essere fuggito a cavallo della sua renna sventolando la bianca peluria come un trofeo di caccia e stonando una versione tra il Punk e l’Heavy Metal di Silent Night. La multa, chiaramente, mi è stata aggroppata perché non avevo pagato i diritti di esecuzione in pubblico della canzone. Mia madre mi telefona e mi dice: - Io e papà pensavamo di farti gli auguri per telefono, così non ci vieni a trovare risparmiamo sul regalo. E poi , vabbé, anche perché non ti possiamo sopportare, come sai, e quindi non ti vorremmo vedere proprio per Natale… ci guasteresti la festa, capisci?- Non ti preoccupare per me, mammina, ho chi mi tiene compagnia anche qua.- Hai trovato una pazza che ti sopporta!? È down?- No, mamma, non ho nessuna donna. Parlavo della televisione e della birra.- AH! Meno male. Per un attimo ho temuto che tu molestassi una di quelle povere ragazzine sfortunate… Beh, buon Natale errore della mia vita. Spero che questa telefonata ti basti e tu non chiami più.- Io non vi chiamo mai, mammina. - Beh, comunque se tu fossi in punto di morte… beh, il coroner ci notificherebbe la notizia, perciò non chiamarci lo stesso. Risparmi. Ciao.So che mia madre fa così solo perché deve frenare l’emozione di sentirmi. Anche il mio fratel-lastro fa tanto il duro ma poi a Natale si ricorda di me.- Ciao Vinnie, come va?- Bene, Joe. Io sono qui a casa con quella ragazza di cui ti avevo parlato, Etta N’Tobellakeabbaglia.- Quell’afroamericana che posa per lo Skianto Journal?- Proprio lei. Volevo sapere come stavi tu… sempre televisione e birra, eh?

- Già…- Sai, stavamo parlando di te, con Etta. Le dicevo: mio fratello è proprio come una tenia. È solitario, è un verme e sta in culo a tutti ah ah ah! Non è una bellissima battuta, Joe? Non è la fine del mondo? Ah ah ah!- Da ridere fino al sesto della Mercalli, Vinnie.- A proposito: stavolta c’hai messo un po’ più del solito, a rispondere. Speravo che ti fossi suicidato come tutta quella gente che si vede nei giornali: sono soli per le feste, capis-cono essere delle nullità e che non possono neppure fare nulla per non esserlo… e la fanno finita. Perché non t’ammazzi anche tu, pallone di pus? Eppure la corda te l’ho regalata da tanto tempo, l’accendino e il cherosene anche… non hai che la scelta! Pensaci: tu vali molto meno di qualunque altro che io abbia mai visto o sentito suicidarsi! Ahahah…Riattacco. Mio fratello ce la mette tutta per farmi ridere. Sa che sono giù e mi vuole alzare il morale. Ma a volte ci prende troppo gusto e ride troppo. Riattacco perché so che gli fa male, ridere troppo. Però mi rendo conto di avere davvero un fratello dal cuore d’oro: è lì con una supermodella e pensa a me. Stappo un’altra Hot Piss e la trachenno. Rutto

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fragorozzamente. Proprio un cuore d’oro. Già: come l’oro. Duro e freddo.Telefono alla mia donna, la fascinozza Donna Nonmale. Mi rispose la sua familiare segreteria:- Questa telefonata sta provenendo dal numero privato di Cosporco, Joe. Tutte le chiamate provenienti da ques-to numero sono automaticamente rigettate dal centrali-no, siamo spiacenti.L’ha messa su da tre, quattro mesi. Uno dei suoi soliti espedienti per fare colpo su di me, l’avevo capito subito. Non l’ha ancora tolta. Probabilmente un po’ vuole far colpo su di me, un po’ è frenata dal mio fascino irre-sistibile. Le faccio un po’ paura, la metto in soggezione. Povera pupattola. Prendo dallo scaffale un album fotografico. Lo sfoglio svogliosamente. A quattro anni mi rivedo mentre gio-cavo a guardie e ladri con mio fratello Vinnie. Lui faceva la guardia e io il ladro. Mi diceva che se non facevamo così le avrei prese, ma in realtà le prendevo lo stesso. Tutte le volte mi acciuffava, mi sfarfallava di scatolate, mi ammaccava il grugno con il suo fucile di legno e quando poi il fucile si spaccava a furia di rompermelo addosso lui andava dalla mamma e si lamentava che gli avevo rotto il fucile. Mia madre gli ricomprava il fucile, mi smarimetteva ulteriormente a colpi di scopa eppoi mi lasciava quattro o cinque giorni senza mangiare se la scopa mi si spaccava addosso a furia di sganassate. L’affetto fisico, è la cosa che sentito di più in famiglia quando ero piccolo. A otto anni Vinnie era il primo della classe e io l’ultimo, come sarebbe stato poi nel resto della vita. Mi facevo passare i compiti da lui e me li passava sbagliati appos-ta. La meastra lo sapeva, ma visto che le stavo sugli in-fragambe lasciava perdere. A ricreazione io avevo sem-pre la merenda più piccola e sfigata, perché la mamma

doveva preparare la merenda per mio fratello e non poteva perdere tempo con la mia. Nonostante questo Vinnie si mangiava sempre anche la mia. Come ho fatto a diventare grasso come un elefante gonfiato al compressore, non l’ho mai capito. Poi venne il college. A educazione fisica mi faceva sgam-betto, in classe mi tirava i pallini bagnati di saliva, a scienze mi passava i bigliettini con le scritte osceniche e il profes-sore me li beccava sempre in mano, a storia dell’arte mi bastonava con la riga, a musica con il flauto, a geografia con l’atlante. L’edizione con un’appendice di 200 pagine per gli aggiornamenti politici. Mio fratello Vinnie ha sempre pensato tanto a me. E non-ostante questo è sempre rimasto il primo, e io ho sempre pensato così poco a lui, e sono sempre rimasto l’ultimo. Beh, come scusante devo dire che devono aver contribuito anche le craniale che lui faceva mi battere contro il paraurti della sua Jeep per far vedere alle ragazze che era davvero resistente. La Jeep.Ricordo che Babbo Natale arrivava sempre e solo per lui. Arrivava, faceva la sua risata babbonatalica e dava il sacco dei regali a Vinnie, dicendogli che era stato davvero buono. Il mio unico rapporto con quel vecchio pederasta di Babbo Natale fu che una volta uscendo dal camino inciampò su di me che mi ero messo a dormire sul tappeto del salotto per vederlo arrivare. Cadde a terra con tutti i suoi regali. Si rialzò e mi prese a calci urlandomi bestemmie in sei o sette lingue. Poi dette i regali a Vinnie, che nel frattempo rideva come una iena che guarda un film dei fratelli Marx, infine mi sputò addosso e andò via. Mi dissi:- Caro Babbo Natale… se ti ribecco da grande ti rompo quel grasso culo da surfista della slitta. Lui, come se mi avesse letto dentro, rispose:- Provaci e vedi che causa che ti fa la Coca Cola, stronzetto.Ad ogni modo è stato bene attento a non farsi ribeccare,

quel barbuto lottatore di sumo disoccupato.Ho deciso di andare a trovare la mia Donna. Sapevo che mi voleva, infondo. Così sono arrivato sotto casa sua e le ho suonato. Si è affacciata alla finestra e mi ha detto:- Cosporco, non posso credere che sei ancora tu! – si è girata verso la casa e ha chiamato – Amore, amore! C’è ancora quel vecchio lercio che mi perseguita, gli vai a dare una lezione, per favore?Da dentro casa una voce più tonante di mio rutto ha risposto:- Lo trito e torno, piccola.Dalla porta è uscito un macacantonio alto due metri e un botto e largo come un frigorifero.Ancora affacciata alla finestra Donna ha detto:- Ti presento il mio nuovo ragazzo, si chiama Danny Ir-reparabily e fa il lottatore di wrestling. Voglio stare alla finestra e vederti sfracellare come una mosca, laido mostro!Così, mentre Donna rideva come un pagliaccio in una nube di gas esilaroso, il macacantonio mi scantuffò di smanestri. Quando fui a terra mi prese a calci, poi mi sputò e andò via mentre la mia bionda diceva:- Ancora Danny, dài, ancora!E lui rispondeva:- Di più lo ammazzo. Non voglio andare in galera il gior-no di Natale per colpa sua. - Hai ragione Danny, non se lo merita. Torna su, festeg-giamo con un panettone Opuly.Mentre l’ambulanza mi portava via, l’unico pensiero che ebbi fu: “Preso a calci e sputi come da piccolo… come quando incontrai Babbo Natale… grazie, Donna: adesso è Natale!”.

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