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Questo Libro è La Storia Di Una Iniziazione

Date post: 13-Feb-2016
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L'iniziato Mark Hesdel
650
MARK HEDSEL UN VIAGGIO ALLA RICERCA DELLA VERITÀ NASCOSTA NEGLI ANTICHI MISTERI ______ja _ sssdaam^ "unanEKm:; - Questo libro è la storia di una iniziazione, raccontata da colui che l'ha vissuta in prima persona. Un percorso durato molti anni, per giungere, attraverso tecniche e scuole segrete, alla visione del mondo spirituale che si nasconde dietro il mondo materiale. Grazie all'appassionata ricerca di Mark Hedsel, pagina dopo pagina coglieremo aspetti della realtà che prima ci sfuggivano, ci renderemo conto che il mondo può essere letto come una ragnatela, i cui singoli fili si collegano l'uno all'altro, all'infinito. Inizieremo così a guardare luoghi, cose e immagini in modo nuovo, con occhi diversi: monumenti come san Miniato, Chartres, il duomo di Verona, opere come la Divina Commedia, le poesie di T.S. Eliot, le tragedie di Shakespeare, la musica di Mozart, tutto può essere interpretato secondo una dimensione che apre originali prospettive e fornisce risposte a enigmi altrimenti irrisolti. Mark Hedsel, nel suo viaggio «verso la verità», passa per l'Italia, la Grecia, l'Egitto, il Medio Oriente, gli Stati Uniti, l'india, il Tibet, visita luoghi che a prima vista non riconosceremo perché illuminati da una luce sconosciuta, incontra molti maestri spirituali e scopre che dietro tanti nomi famosi del passato - Apuleio, Dante, Goethe - si celano degli iniziati. NelV Iniziato simboli, parole e personaggi emergono dunque da una trama fitta, nella quale si
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MARK H E D S E L

U N V I A G G I O A L L A R I C E R C A D E L L A V E R I T À

N A S C O S T A N E G L I A N T I C H I M I S T E R I

_______ja_ sssdaam^

"unanEKm:; -

Questo libro è la storia di una iniziazione, raccontata da colui che l'ha vissuta in prima persona. Un percorso durato molti anni, per giungere, attraverso tecniche e scuole segre-te, alla visione del mondo spirituale che si nasconde dietro il mondo materiale.Grazie all'appassionata ricerca di Mark Hedsel, pagina dopo pagina coglieremo aspetti della realtà che prima ci sfuggivano, ci renderemo conto che il mondo può essere letto come una ragnatela, i cui singoli fili si collegano l'uno all'altro, all'infinito. Inizieremo così a guardare luoghi, cose e im-magini in modo nuovo, con occhi diversi: monumenti come san Miniato, Chartres, il duomo di Verona, opere come la Divina Com-media, le poesie di T.S. Eliot, le tragedie di Shakespeare, la musica di Mozart, tutto può essere interpretato secondo una dimensione che apre originali prospettive e fornisce ri-sposte a enigmi altrimenti irrisolti.Mark Hedsel, nel suo viaggio «verso la ve-rità», passa per l'Italia, la Grecia, l'Egitto, il Medio Oriente, gli Stati Uniti, l'india, il Tibet, visita luoghi che a prima vista non ri-conosceremo perché illuminati da una luce sconosciuta, incontra molti maestri spirituali e scopre che dietro tanti nomi famosi del passato - Apuleio, Dante, Goethe - si celano degli iniziati.NelV Iniziato simboli, parole e personaggi emergono dunque da una trama fitta, nella quale si intrecciano filosofia, letteratura, sto-ria, arte, astrologia e magia, in un gioco coinvolgente dove ogni pezzo si combina con gli altri a formare il grande affresco in cui ciascuno di noi può trovare la sua via.

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Mark Hedseì

L ' i n i z i a toUn viaggio alla ricerca della verità

nascosta negli antichi misteri

Con introduzione e note di David Ovason

MONDADORI

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Traduzione di Carla Lazzari

Il nostro indirizzo Internet è: http://www.mondadori.com/libri

ISBN 88-01-45249-8

© David Owson and Mark tìedsel 1998 First edition published bu Cent uri/ Boote Limited 1998 © 1999

Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.. Milano Titolo dell'opera originale: The Zelator

I edizione febbraio 1999

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Indice

3 Prologo20 La Via del Matto49 Capitolo primo

85 Capitolo secondo

123 Capitolo terzo170 Capitolo quarto

221 Capitolo quinto251 Capitolo sesto

285 Capitolo settimo331 Ultime parole

342 Appendice

345 Note

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Ringraziamenti

Il dono più prezioso è l'amicizia, disse il Serpente Verde di Goethe. L'amicizia ha il potere di scorgere la luce interiore al di là dell'ombra, ed è questa sua forza che rende prezioso il dono. ,

E tuttavia un esoterista non può parlare di luce senza pensare anche all'oscurità, perché sa che la fiamma e l'ombra sono tutt'uno. Si può imparare di più dai nemici che dagli amici, recita un saggio detto esoterico. E se persino un nemico ci può aiutare, allora qualunque incontro con un nemico può in teoria essere un dono di sapienza. Di conseguenza tutte le persone in cui ci siamo imbattuti nella vita, sia pure per un solo istante, meritano i nostri ringraziamenti.

Ci sono però taluni incontri - certe amicizie - che sembrano prive di ombre. Mark Hedsel mi ha raccontato un suo strano contatto con un iniziato, a Chartres. L'uomo era sbucato fuori dal nulla e, spiegandogli un simbolo esoterico, aveva rivelato a Mark la soluzione di un problema che lo tormentava da anni. Poi era sparito con la stessa rapidità con cui era comparso, prima ancora che Mark avesse il tempo di ringraziarlo o di chiedergli il nome. In quest'incontro c'è qualcosa di archetipico; così infatti sono molti incontri veri: profondi sul piano spirituale eppure tanto fuggevoli sul piano spaziale da scivolare via quasi inosservati. Sono certo che se avesse avuto la possibilità di manifestare la sua gratitudine, Mark avrebbe ringraziato quell'ignoto iniziato insieme ad altre centinaia di uomini e donne che gli hanno reso più agevole il viaggio sulla Via in questa Valle.

La mia riconoscenza va a Mark Booth, che ha insistito

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perché Mark Hedsel scrivesse questo libro, e ai redattori Roderick Brown e Liz Rowlinson, che hanno seguito il manoscritto dalla prima all'ultima tappa con grande sensibi-lità e gentilezza.

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L'iniziato

Adesso dobbiamo anche sopporta un asino che fa il filosofo?

APULEIO, L'asino d'oro /

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Nola per il lettoreIn tutto il libro Mark Hedsel scrive in prima persona plurale

per indicare di aver raggiunto la liberazione dalla propria soggettività.

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7,

Prologo

... l'uomo non è ancora Uomo.Né riterrò adempiuto il suo compito, raggiunto il suo fine, manifesta la sua vera forza, finché solo qua e là una stella dissiperà l'oscurità, qua e là una mente eccelsa guarderà dall'alto i suoi simili prostrati...

Uomini di tal schiatta sono anche ora sulla Terra, sereni in mezzo alle creature semiformate che da essi dovrebbero venir salvate e ad essi congiungersi.

R. browning, Paracelso

La prima volta che vidi Mark Hedsel fu a Londra nel mese cii otto-bre del 1955, alla Archer Gallery di Westbourne Grave. Parlava con la dottoressa Morris, la proprietaria della galleria, ormai ridotta in povertà, e con il pittore Austin Osman Spare, che esponeva una collezione di dipinti, pastelli e disegni.1

La dottoressa Morris aveva preso Spare sotto la sua ala e aveva organizzato la mostra per dargli modo di guadagnare qualche soldo per tirare avanti.2 Spare, come ho scoperto in seguito, sapeva che quella sarebbe stata la sua ultima mostra: aveva detto a un amico che sarebbe morto entro l'anno.3

Avevo già visto Spare in fotografia e perciò lo riconobbi subito. La sua poesia e le voci che correvano sui suoi strani poteri avevano suscitato il mio interesse. Era per questo che ero andato alla galleria, e anche perché percepivo che Spare era uno dei geni incompresi del nostro secolo. Non era più famoso come una volta, prima che perdesse il suo studio e i suoi quadri sotto i bombardamenti nazisti all'inizio della Seconda guerra mondiale.4

Fra quanti praticavano la magia nera si diceva che la sua rovina fosse dovuta al suo atteggiamento inflessibile nei confronti di Hitler. Nel 1936 pare che Spare avesse ricevuto l'invito a recarsi a Berchtesgaden per dipingere il ritratto del Führer, e che avesse risposto con un secco no.5 Il fatto che in quel clima di generale pacificazione egli si schierasse contro la dice lunga sulla sua forza.

Nello stesso istante in cui mi trovai faccia a faccia con lui capii quanto fosse appropriato il suo nome: era davvero spare, «indomito».6 Se poi io avessi colto il suo spirito fiero nel ciuffo ribelle dei ca-

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pelli brizzolati, nell'intensità dello sguardo, o negli abiti consunti e troppo larghi, non saprei dire. Dai suoi versi mi ero fatto l'idea di un uomo di grande spessore, ma sicuro di sé, sereno nella sua profondità spirituale; invece il volto sembrava inquieto, quasi tormentato. Correnti elettriche parevano irradiarsi dalla barba lunga sulle gote; i baffi radi sembravano puntare verso le mandibole, stirandogli la bocca in una linea sottile e compatta, come se le esperienze della vita lo avessero costretto a una severità che contrastava con la sua conoscenza spirituale. Persino la forza dell'intelletto, espressa con tanta chiarezza dall'ampia fronte, contribuiva a dare l'impressione di una lacerazione; la mente pareva tirata verso l'alto dal ciuffo ribelle dei capelli e verso il basso dal peso delle folte sopracciglia scure. In mezzo a questa foresta di peli che sembravano in lotta fra loro c'erano i due occhi più straordinari che avessi mai visto. Fui contento che non li volgesse verso di me, perché sentivo che con uno sguardo avrebbe potuto mettere a nudo la mia anima. Quando seppi, qualche anno dopo, che durante un'intervista alla BBC Spare aveva detto che se avesse voluto avrebbe potuto annichilire un uomo con una maledizione, non fui sorpreso.7

Benché la mia attenzione fosse stata anzitutto attirata da Spare, non potei fare a meno di notare la persona che gli era accanto. Anche in mezzo a tutti quegli artisti e poeti di vaglia, che erano venuti a rendere omaggio a Spare, quell'uomo aveva qualcosa di speciale. Mi sentii costretto a osservarlo con attenzione.

Allora non sapevo chi fosse Mark Hedsel, ma dal suo atteggia-mento pacato e insieme sofisticato, e dai gesti sicuri capii che non era una persona qualsiasi. Allo stesso tempo ebbi la sensazione, inquietante ma inequivocabile, di averlo già incontrato. Abbiamo sempre un brivido di presentimento quando intravediamo un frammento del nostro destino?

Mi era difficile dargli un'età, ma giudicai che fosse sulla trentina. Era una giornata d'ottobre non particolarmente fredda, ma l'uomo aveva una sciarpa azzurra intorno al collo e in testa un basco alla francese. Sottobraccio portava una cartelletta di cuoio. Il contrasto con Spare non avrebbe potuto essere più netto. Anche il pittore aveva la sciarpa, ma la sua era a scacchi e infilata dentro la giacca, alla maniera di un popolano londinese, di un cockney.8 Al suo confronto Mark Hedsel era un dandy: la sciarpa scendeva morbida sul bavero del cappotto e in lui c'era un tocco di quella raffinatezza ricercata che io mi figuravo

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contraddistinguesse quel nobile e misterioso occultista chiamato conte di Saint-Germain.9 Sì, lo ammetto: quel gior

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Prologono, quando posai per la prima volta gli occhi su Mark Hedsel,

del tutto ignaro che le nostre vite si sarebbero intrecciate negli anni a venire, l'immagine che mi si affacciò alla mente fu proprio quella dell'iniziato elegante e incompreso che si muoveva con tanta disinvoltura nelle corti della Francia prerivoluzionaria del XVTII secolo.

In seguito scoprii che quell'ultima esposizione delle opere di Spare aveva lasciato il segno nella vita di diverse persone. Due donne eccezionali, entrambe, sia pure in modo diverso, con un profondo interesse per la reincarnazione, si erano recate alla Archer Gal- lery qualche giorno dopo la mia visita. Le due donne sono ancora vive: una ha più di ottantanni, l'altra ne ha già compiuti novanta. Sono felice di dire che sono ancora mie amiche e ricordano la mostra dei quadri di Spare come un evento significativo per l'arte britannica. Tutte e due furono così sagge da acquistare alcune delle tele esposte.10

Nel 1955 io ero uno studente squattrinato e non avrei mai immaginato di possedere in vita mia lo straordinario pastello di Spare di cui mi innamorai il giorno della mostra (figura 1). Più di trent'anni dopo, una di queste donne, conoscendo il mio interesse per l'artista, prelevò quel pastello dalla sua ampia collezione d'arte arcana e me ne fece dono.

Austin Osman Spare era stato molto povero e forse per questo il pastello aveva una cornice tanto modesta. Fui felice quando, togliendo quella cornice così poco adatta, scoprii in un angolo il monogramma AOS, con cui il pittore si firmava. Mentre avvicinavo alla luce il pastello per osservare meglio la sigla non ebbi bisogno di sfogliare il vecchio catalogo della mostra per rintracciare il titolo di quell'opera. Mi era rimasto impresso nell'anima per tutti quegli anni: era Sangue sulla Luna.

Naturalmente, quando avevo letto quel titolo alla Archer Gallery, mi ero domandato che cosa mai significasse. Ma ero troppo giovane per avere il coraggio di chiederlo al pittore. In seguito, parlando con gli amici e anche con la signora che aveva acquistato il pastello, mi accorsi che nessuno sapeva il perché di quello strano titolo; io avevo letto diversi scritti di Spare ed ero certo che in esso ci dovesse essere un significato nascosto: sapevo che il pittore si interessava alla tradizione geroglifica, ma purtroppo quando cominciai a fare ricerche serie, Spare era scomparso portando con sé, così pensavo, ogni possibile risposta alla mia domanda.

Il significato di quel titolo finii per scoprirlo, ma questa è

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Prologoun'altra

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storia.11 Se accenno a questo enigma ora è soltanto per via di qualcosa che accadde al mio secondo incontro con Mark Hedsel.

Era passato più o meno un mese dalla mia visita alla Archer Gal- lery quando un giovedì pomeriggio entrai nella libreria Atlantis di Museum Street. Cercavo una copia di seconda mano di un classico deH'esoterismo orientale, Il segreto del fiore d'oro, nella traduzione di Wilhelm.

Per quanto ricordo, a quell'epoca a Londra c'erano soltanto due librerie esoteriche: la famosa Watkins di Cecil Court, diretta da quel colto esoterista che era John Watkins,12 e l'Atlantis, che apparteneva a Michael Juste, un arcanista di grande competenza.13

Il mio primo incontro con Michael Juste, avvenuto due anni prima, era stato molto strano, quasi inquietante. Nel 1953 io avevo appena quindici anni. Il mondo dell'arcano mi incuriosiva già, ma ero molto ignorante al proposito. Avevo da poco deciso che, invece di andare all'università, avrei studiato pittura all'accademia di belle arti. Il giorno - in cui varcai per la prima volta la porta della libreria Atlantis avevo un album da disegno in una mano e una cartelletta nell'altra.

Ripensando a quel momento così importante per la mia vita, mi pare di ricordare che l'Atlantis fosse illuminata da due lampade a gas. Naturalmente c'era già l'elettricità, ma Michael si ostinava a usare due vecchie lampade sistemate sopra quello che un tempo era il camino. Posso ancora sentire il sibilo dei beccucci nel negozio altrimenti silenzioso, e rammento quanto era buio e tetro, di sicuro non un posto dove starsene a sfogliare comodamente i libri. Ebbi la sensazione che l'Atlantis non fosse una semplice libreria, che la sua funzione fosse un'altra.

Una volta dentro il negozio, quando la vista si fu abituata alla semioscurità, mi accorsi di due facce che mi scrutavano, entrambe con penetranti occhi infossati e incorniciate da riccioli fluenti. In quel buio erano così simili che mi ci volle qualche istante per capire che una era quella di un busto di bronzo a grandezza naturale, la copia inerte della persona viva che, sorridendo della mia confusione, si presentò come Michael Juste.

«Ci siamo già incontrati» disse con naturalezza, fissandomi in attesa della conferma.

«Non credo» mormorai. Ero arrivato da poco a Londra e

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Prologo

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conoscevo al massimo cinque o sei persone in tutta la città.«Sì. È stato in Egitto. Tu eri uno scriba anche in quella vita.»Non voleva stupirmi. Parlava con un tono del tutto normale e

nella sua voce c'era una sicurezza sconcertante. Erano parole che avrebbero dovuto lasciarmi di sasso, e invece avevano un qualcosa di così rassicurante e fermo che soltanto in seguito mi resi conto della stranezza di quella conversazione.

«Ma in questa vita sarò un pittore» dissi, mostrandogli l'album. Quella mattina mi ero appollaiato davanti alla finestra dell'antica casa di Christopher Wren sulla riva sud del Tamigi, a buttar giù uno schizzo della straordinaria vista di St Paul, che si innalzava oltre i magazzini distrutti dalle bombe. Wren aveva comprato quella casa per seguire i lavori di costruzione della cattedrale, che risorgeva dalle ceneri dopo il Grande Incendio. Ora, da quella stessa finestra si vedeva la sua cattedrale risorgere da altre ceneri. Aprii la pagina in cui c'era il disegno e glielo mostrai.14

Michael Juste lo prese e lo guardò, annuendo. Ora nella sua voce c'era un filo di impazienza: «Eri uno scriba allora. Sarai scriba di nuovo. In questa vita» disse, restituendomi l'album da disegno eoa un gesto piuttosto brusco.

Erano passati due anni e mi trovavo di nuovo nella libreria Atlan- tis, quando il campanello sopra la porta tintinnò. Entrò Mark Hed- sel. Indossava la sciarpa e il basco come l'altra volta e sembrava uno studente parigino della rive gauche, ma più elegante. A tracolla aveva una borsa, che posò sul banco, vicino alla mia cartelletta. Compì quel gesto in modo curioso, prendendo la cinghia fra il pollice e l'indice e rivolgendo verso di noi il palmo della mano. Pensai che fosse una forma particolare di saluto per Michael: avevo sentito parlare di segnali del genere tra confratelli, ma era la prima volta che mi capitava di vederne uno.

Michael si rivolse a me, chiedendomi: «Come ti chiami?».«David Ovason.»«David, ti presento Mark Hedsel. Scoprirai che avete molte

cose in comune.» Ci fissò entrambi, prima l'uno e poi l'altro, come per indicare che le sue parole avevano un significato particolare.

«L'ho vista alla Archer Gallery» mi azzardai a dire, mentre Mark mi porgeva la mano.

«Alla mostra di Austin?»Annuii e gli strinsi la mano. «Parlava con Austin Spare.»«L'ho incontrato soltanto due o tre volte» disse Mark, rivolto a

Michael. «Prima che lasciassimo la galleria, aveva venduto otto

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L'iniziato

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quadri.»«Sono contento» rispose ridendo Michael. «Così per un po' non

andrà nei pub.»

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Prologo

«Gli piace bere?» chiesi piuttosto sorpreso.«No» replicò Mark. «Ci va per vendere le sue tele. È un genio

che fa l'ambulante. A volte espone i suoi lavori nei pub.15 E se qualcuno gli chiede un ritratto, glielo butta giù per quattro soldi.» Si rivolse di nuovo a Michael: «È un tipico genio inglese; un ego solitario, eccentrico e povero. Un reietto».

«Come Blake» aggiunse Michael con un sorriso.«Per più di un verso» assentì Mark. (Allora non capii a che

cosa alludessero con quelle parole. In seguito seppi che Spare era convinto di essere stato Blake in una vita precedente.)

Seguì un silenzio durante il quale Mark mi scrutò attentamente. Aveva un profilo dalle linee nette, un volto giovane e armonioso, ma nel suo sguardo c'era un'espressione matura che faceva pensare avesse superato la trentina da un pezzo: i suoi occhi erano gentili, penetranti e saggi, il suo tratto più peculiare. Dava l'impressione di osservare e valutare, ma senza la minima diffidenza.

«Vuoi venire a prendere un caffè, David?» mi chiese Mark. Continuò a scrutarmi, anche mentre mi rivolgeva questa domanda così innocente, come se a interessarlo non fosse tanto la domanda, e neppure la risposta, quanto io. Mi ero già fatta l'idea che Mark appartenesse a qualche scuola segreta e il cuore mi batteva all'impazzata.

Annuii e allungai la mano per prendere il mio album da disegno, ma nel farlo questo si spalancò e la pesante copertina rovesciò un bicchiere lì vicino che cadde a terra frantumandosi. Confuso, mi chinai a raccogliere i pezzi e li infilai in quel che restava del bicchiere.

«Mi dispiace molto.»«Non preoccuparti» disse Michael, troncando sul nascere le

mie scuse. «Sarà meglio che tu lo metta sotto l'acqua...»Lì per lì non capii, ma poi, seguendo il suo sguardo, mi accorsi

che perdevo sangue da un dito.Posai di nuovo l'album. Michael andò sul retro del negozio e

aprì una porticina che dava su una scala di pietra. Dietro sue istruzioni scesi per la prima volta nella cantina che stava sotto la libreria.

L'atmosfera era misteriosa, ma non sgradevole. Mi sentivo protetto. In seguito, quando cominciai a imparare qualcosa di più sul mondo segreto della magia, ripensai a quella cantina e capii perché mi era sembrata così strana: con qualche rituale magico Michael doveva averla sintonizzata in modo tale che

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L'iniziato

potessero entrarvi soltanto le persone sinceramente interessate all'arcano. Il locale era zeppo di libri occulti e rari, di quadri e cianfrusaglie arcane di ogni genere: oggetti magici, pettorali rituali, bastoni e altre curiosità. La cosa chepiù mi sorprese fu scorgere, in mezzo a tutto quel disordine, tanti dipinti, pastelli e disegni di Spare. Stipati sugli scaffali e ammonticchiati sul pavimento nella confusione più totale c'erano moltissimi libri e, benché non avessi tempo di sfogliarli, notai nel mucchio rilegature in pergamena splendidamente lavorate con nomi di occultisti famosi, fra cui Agrippa, Dee, Gichtel e Van Helmont.16

Mi lavai la ferita, estraendone una minuscola scheggia di vetro, fasciai come meglio potei il dito con po' di carta igienica per fermare il sangue e poi, risalendo la scala, ritornai nel negozio.

Quando entrai i due uomini mi guardarono stupiti come fossi un intruso. Sembrava che ridessero fra loro di qualcosa.

«Guarda» mi disse Mark, indicando l'album ancora aperto sul banco. Sul foglio c'era uno schizzo ad acquarello che avevo fatto qualche giorno prima: raffigurava una Diana cornuta, che avevo liberamente ripreso da un'illustrazione di Boris Artzybasheff che amavo molto (figura 3).

«Guarda» ripetè Mark. fIl sangue, un rivoletto che era colato dal dito ferito,

attraversava da una parte all'altra il disegno. Era come un lampo rosso che si stava coagulando e fendeva l'azzurro profondo del cielo notturno e il ventre nudo della celeste Diana.17

«Vedi? Sangue sulla Luna» disse Michael Juste.Rimasi turbato. Non avevo rivelato a nessuno il mio interesse

per il quadro di Spare. Volevano forse dimostrarmi di saper leggere nei miei pensieri, nella mia stessa anima? Quei due uomini possedevano già la visione superiore di cui parlavano i libri arcani sui segreti dell'iniziazione? A un tratto mi sentii piccolo piccolo davanti a loro.

Allora ero giovane e fu soltanto parecchio tempo dopo che capii come Mark e Michael non pensassero affatto al quadro di Spare. La loro attenzione era stata attratta dall'immagine di Diana nel mio album: in quel disegno insanguinato avevano colto un significato alchemico.18

Nel rivolo di sangue avevano entrambi percepito lo stesso significato nascosto: l'incontro del Sole con la Luna. In alchimia

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Prologo

l'unione di Sole e Luna - espressa con simboli diversi, ma interrelati, quali l'accoppiamento del Re e della Regina, o la figura dell'androgino, prediletta dagli incisori del XVI secolo - costituisce una fase importante nella produzione della pietra filosofale, la cui scoperta è il fine degli alchimisti (figura 4). Nel sangue sulla Luna Michael e Mark videro quel giorno il segno che io mi sarei occupato della coniunctio alche-mica, ossia che in me sarebbe sorto l'interesse per l'iniziazione. Da occultisti esperti sapevano che ogni atto - anche quello apparentemente più casuale - ha un suo significato profondo.

Mezz'ora dopo sedevo con Mark al Roma, il caffè italiano vicino alla libreria Atlantis, frequentato spesso dai lettori della biblioteca del British Museum. Morivo dalla voglia di rivolgere a Mark una domanda circa il sangue sulla Luna, ma non riuscii a trovare il coraggio. Restai perciò per mesi con la convinzione che Mark e Michael mi avessero letto nel pensiero.

Parlammo di esoterismo. Discutemmo in particolare delle tendenze più interessanti nelle scuole arcane contemporanee e della letteratura iniziatica che cominciava allora ad affiorare alla superficie. Ricordo che Mark accennò all'enigmatico All and Everything di ' Gurdjieff,19 che io non avevo ancora letto; alla autobiografia incompiuta di Alice Bailey20 e al Libro dei morti tibetano nella versione W.Y. Evans-Wentz.21

Poi improvvisamente Mark iniziò a parlare di personaggi famosi e io mi ritrovai come un pesce fuor d'acqua. Mi chiese se sapevo da chi era stato iniziato l'esoterista austriaco Rudolf Steiner. La domanda mi stupì: avevo sentito dire che Steiner era stato coinvolto in attività massoniche, e si mormorava che fosse stato compagno di Theodor Reuss nel gruppo esoterico Ordo Templi Orientis, ma l'idea che fosse iniziato a qualche società moderna non mi aveva mai sfiorato la mente. Mark non sembrò sorpreso quando mi limitai a scrollare le spalle e a fare cenno di no con la testa.22

Benché la conversazione si fosse arenata sulle secche della mia ignoranza, ben presto Mark riprese il comando della nave. Da Steiner passò agevolmente a parlare di teosofia, di cui almeno qualcosa sapevo, e poi tornò di nuovo alla Confraternita ermetica di Luxor23 di cui, come confessai, non

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sapevo nulla. Era evidente che cercava di scoprire da dove venivo e dove andavo, ma le sue domande erano sempre gentili ed estremamente articolate. Fin dal primo momento avevo percepito la ricchezza interiore di quell'uomo, ma non avrei mai immaginato che in un lontano futuro la nostra amicizia sarebbe maturata in modo creativo. Né prevedevo che le nostre vite avrebbero preso direzioni tanto diverse e che sarebbero passati molti anni prima che ci sedessimo di nuovo uno di fronte all'altro, a discutere gli stessi argomenti. 1 semi erano stati gettati nella libreria Atlantis, quando il sangue solare era colato sulla Luna; tuttavia ci vollero quarantadue anni- un intero ciclo lunare - prima che Mark Hedsel portasse a termine il racconto dello straordinario viaggio che egli aveva compiuto insieme ad alcuni dei maestri del nostro tempo.

«Aveva ragione Michael» osservai quando mi incontrai con Mark per parlare del suo libro. Era l'ultimo lunedì di agosto del 1991.

«In che cosa aveva ragione?»«Sono diventato uno scrittore.»«Vuoi dire uno scriba» mi corresse con garbo. Era proprio vero:

ero diventato uno scriba, uno che lavorava con i geroglifici più che con le parole. Forse era per questo che da ragazzo avevo deciso di darmi alla pittura, prima di iscrivermi alla facoltà di Lettere. Una figura è più vicina all'idea di quanto non lo sia una parola, che si limita semplicemente a evocare le immagini: la parola scritta è per definizione una fonte secondaria. Un volto può far salpare mille navi; ma la descrizione di un volto ben difficilmente ne spingerà una sola a prendere il largo. ,

«Ecco, adesso io sarò la figura» disse Mark «e tu mi aiuterai a tradurmi in parole.»

«Non capisco. Quale figura?» Erano passati tanti anni, ma le sue frasi così ben articolate erano ancora enigmatiche per me. «Quale figura?» ripetei.

«Io sarò la figura del Matto nel mazzo dei tarocchi.»Probabilmente lo fissai stranito, perché tutto si poteva dire di

Mark, tranne che fosse matto e, a quanto ne sapevo, non lo era mai stato. Lo osservai con attenzione. Era cambiato, tutti e due eravamo cambiati in quei quarant'anni. Non portava più né la sciarpa al collo né il basco. Adesso indossava un elegante

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Prologo

completo e una costosa cravatta di seta, tuttavia non sembrava granché invecchiato. Se era matto, sapeva nasconderlo bene. Mentre lo studiavo, mi passò davanti agli occhi, come un fantasma che tornava a ossessionarmi, l'antica immagine di quell'iniziato francese senza età che era il conte di Saint-Germain.

«La figura del Matto?» ripetei. «Che cosa intendi dire?»Rise. «Lo scoprirai lavorando con me al libro. Tu sarai il mio

pittore.» Sorseggiò il caffè. «Conosci la figura del Matto delle carte marsigliesi?»

Annuii. L'antico disegno raffigurava un Matto, che con il bastone in mano cammina lungo una strada.

Si batté la fronte con una mano. «È tutto qui, rinchiuso qui dentro. Ti darò la chiave.»

«Una specie di autobiografia?» Era quello che speravo: lavorando a un progetto del genere avrei imparato molte cose. Che occasione straordinaria mi offriva Mark.

«In un certo senso. Vedremo che cosa ne uscirà. Alcuni di quelli con cui ho lavorato sono ancora vivi. Dovrò cambiare i nomi delle persone e dei luoghi.»

«Diventeremo maestri del travestimento.»«Perfetto. Le grandi verità si presentano sempre sotto

mentite spoglie. Dopo tutto il mondo materiale è a dir tanto una maschera di quello spirituale. Credo sia questa la ragione per cui Michael Juste teneva in negozio il proprio busto.»

«Come travestimento?»«Come estrinsecazione della sua maschera. È meglio che la

maschera stia fuori. Se si insinua aH'interno, può diventare pericolosa.»

Sapevo a cosa alludeva. Non si dovrebbe mai credere all'esteriorità bugiarda. La maschera era in un certo senso una menzogna. «C'è un punto in cui l'immaginazione non solo dissimula la realtà, ma la fa apparire più vera.»

Scosse la testa, ridendo. «Nel mondo da cui provengo, questa la chiamano arte. Sei mai stato a Najera, La Rioja?» domandò.

«Al monastero di Santa-Maria-la-Real?»«Sì. Su uno degli scanni è intagliata la figura di un Matto.

Risale al XV secolo» (figura 5).Me ne ricordavo. «Suona il flauto, vero?»«Sì. Come il Matto dei tarocchi ha ai suoi piedi un cane. Anzi,

due, ma solo uno abbaia. La cosa interessante, però, è il suo abbigliamento.»

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L'iniziato

«Porta il cappello da buffone, se non sbaglio.»«Sì. Ma è la veste che è curiosa: è aperta davanti e dietro; così

le sue parti intime sono sempre esposte. Si tratta del Matto nudo.«E un'immagine che viene da lontano. La nudità è il segno che

il vero Matto è disposto a mostrare quello die gli altri preferiscono tenere nascosto. 11 matto che indica la via verso la visione superiore, che si raggiunge con l'iniziazione, è spesso considerato pazzo da quelli che dormono.»

(Sono assopiti tutti coloro che non intendono seguire un percorso spirituale, che, accontentandosi del regno delle apparenze, vogliono soltanto essere lasciati in pace, da soli, appunto a dormire.)

«Queste immagini medievali del Matto sono molto istruttive. La Festa dei pazzi era una ricorrenza estremamente importante, perché in essa confluivano correnti esoteriche sotterranee. Naturalmente ne saprai di più se scriveremo insieme il libro.»

«Un libro su Mark Hedsel nudo?»Rise. «Nudo solo in parte, ossia un matto trasformato

dalYimmaginazione.» E sottolineò il richiamo all'immagine contenuto nell'ultima parola.■ Seguì un breve silenzio.

«Immagini» mormorò pensoso. «Sai che alcuni degli artisti egizi che incidevano i geroglifici sulle mura dei templi non sapevano leggerli?»

«Veramente?»«I sacerdoti chiamavano lo scalpello mer, il cui suono era

identico a quello della parola che indicava la "morte". Non è un mistero? Esprime la consapevolezza che affinché qualcosa possa manifestarsi come immagine - come raffigurazione di un'idea - qualcos'altro deve morire.»24

Alzò le spalle con aria indifferente, ma io avevo capito che si stava avvicinando al cuore del metodo arcano - al concetto di scissione- che è il processo fondamentale dell'iniziazione e ha un ruolo essenziale nella Via del Matto.

«Forse» continuò «gli scalpellini egizi che usavano il loro mer ne ignoravano completamente il significato profondo. Il loro compito era rispettare i canoni dell'arte: conoscevano le regole del travestimento, ma non sapevano che cosa travestivano. Non avevano la minima idea di quali archetipi - dai loro sacerdoti chiamati neter - essi evocassero.25 Con ogni glifo che incidevano nella pietra, calavano dentro la forma materiale gli agenti spirituali: operavano magie senza saperlo.» Mi guardò fisso.

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Prologo

«Ammetterai che questa è un'attività che soltanto i matti possono svolgere.»

«Non solo loro» replicai. «Non è forse vero che tutti noi evochiamo archetipi - idee primigenie - che non comprendiamo appieno?»

«Certo. E esattamente a questo che mi riferivo. La vita di ognuno di noi rivela quali archetipi abbiamo seguito. Ecco perché il Matto è disposto ad attraversare la vita nudo di fronte al mondo: perché sa che ciò che sta in basso altro non è se non il riflesso di ciò che sta in alto.»

Mark Hedsel morì nel 1997, prima che il nostro lavoro fosse completato.26

I libri occulti spesso ammantano di un alone di mistero la morte di iniziati e maestri: ne sono una testimonianza le leggende fiorite intorno al conte di Saint-Germain, che, si dice, sarebbe vissuto per centotrent'anni cambiando pochissimo nell'aspetto.27

La morte di un iniziato non è poi così diversa da quella di una persona comune. Il vero iniziato, che non ha bisogno di trascorrere anni di purificazione sul piano spirituale, può tornare piuttosto in fretta nel mondo materiale, dentro un nuovo corpo. È in questo forse che consiste la presunta longevità degli iniziati, per non parlare dei patriarchi biblici come Noè. Mentre è poco probabile che il conte di Saint-Germain si sia visto in giro per l'Europa per un periodo ininterrotto di oltre un secolo, è invece più credibile che durante questo lasso di tempo egli si sia reincarnato almeno due volte e gli sia stato concesso di ricordare per intero le sue vite passate.

Alcuni processi alchemici possono arrestare in parte la degenerazione del corpo fisico: gli alchimisti medievali vivevano in media più del doppio dei loro contemporanei.28 Ma una domanda si impone: perché mai un iniziato dovrebbe voler arrestare la decadenza fisica o voler vivere molto più a lungo del normale, a meno che, naturalmente, non abbia un compito particolare da svolgere? Studiando le scienze arcane ci si accorge abbastanza presto che il mondo inferiore è un riflesso di quello superiore e che la struttura umana ha ricevuto in dono ritmi, cicli e periodi climaterici che trovano un parallelo nel cosmo, e persino nel moto dei pianeti e delle stelle. Un iniziato che decida di prolungare la sua vita fisica potrebbe essere pronto a forzare questi ritmi cosmici.

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Ma non sempre la longevità è una benedizione. Considerata la rapidità con cui il fisico degenera da un certo periodo in poi, crediamo non siano molti a desiderare di avere una vita molto più lunga del normale.

Se faccio queste considerazioni è soltanto perché voglio sia chiaro che Mark Hedsel è morto davvero, o meglio, se ne è andato dal piano fisico dell'esperienza che ci è familiare. Sono stato con lui fino all'ultimo, ho dato disposizioni per la sua cremazione e ne ho dispersoio stesso le ceneri. Se qualcuno cerca la tomba, o il luogo di riposo di quella polvere inerte che gli alchimisti chiamavano caput mortuum,29 non ha che da guardarsi intorno davanti all'ingresso del monastero che ha nome Sacra di San Michele e si trova nei pressi di Susa, in Piemonte.

Scalone dei morti, così si chiama quella ripida erta, non soltanto perché è buia e perché ai suoi piedi c'è un cimitero, ma perché quanti salgono verso l'arco zodiacale che la corona sono considerati i morti che dormono. Soltanto dopo che saranno passati sotto l'arco istoriato con le costellazioni e saranno arrivati alla terrazza pervasa di luce, avranno messo piede nel mondo dei vivi. Naturalmente è una transizione del tutto simbolica, ma emblematica di un evento che, dopo seimila anni, è ancora avvolto nel mistero. È il simbolo dell'iniziazione.

Sarebbe difficile immaginare una sepoltura più idonea per Mark Hedsel. Benché non sia stato lui a porre materialmente quell'arco così carico di simboli in cima alla scalinata, è stato lui, in una sua vita precedente, a sceglierne gli arcani disegni zodiacali. In una sua reincarnazione nel XII secolo Mark diresse le opere scultoree dell'arco. Disseminare le sue ceneri su quella gradinata è stato qualcosa di più che disperdere simbolicamente i resti di una singola vita: è stato il riconoscimento che un intero ciclo di ricerca impegnata si era chiuso. Sono convinto che Mark Hedsel appartenesse molto di più al XII secolo che non all'era moderna, e mi è sembrato giusto, con questa semplice cerimonia di spargimento delle ceneri, commemorare la dedizione di almeno due vite spese, ciascuna a suo modo, nello studio e nella diffusione della sapienza arcana. j

Queste parole sull'apparente fine di un adepto ci conducono a riflettere su quale sia la natura del processo iniziatico. L'iniziazione ha molti gradi, sicché, quando si dice di qualcuno che è un iniziato, più che chiarire si rischia di confondere. Già la

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Prologo

parola suscita diverse domande come: «Iniziato di quale scuola?», «E di quale grado?».

Nell'antichità bastava diventare adepto di uno dei più antichi misteri greci, quello della dea delle messi Demetra a Eieusi, per venir guardato da tutti con rispetto e timore reverenziale: l'iniziazione era infatti il segno che la persona aveva mutato il proprio essere e la sua conoscenza delle cose spirituali era cresciuta. Ma nell'era moderna il significato della parola iniziazione ha subito un cambiamento così radicale che fanatici dell'occulto e aspiranti al potere temporale hanno inventato dal nulla intere «scuole esoteriche», con gradi iniziatici che, nonostante i nomi altisonanti, non hanno mai avuto un valore reale.30 A partire dall'inizio del XX secolo queste scuole hanno distribuito gradi iniziatici a chiunque li richiedesse, come fossero semplici attestati. Quando il dottor R.W. Felkin (che nell'ordine ermetico dell'Alba Dorata, di cui faceva parte, si ammantava di titoli altisonanti) si recò in Germania in cerca di maestri che riteneva dotati di sapienza superiore, li trovò molto riluttanti a fornirgli qualsiasi informazione «perché non era massone». Egli allora si affrettò a soddisfare le loro richieste, iscrivendosi a una loggia di Edimburgo.31 Questo baloccarsi con l'iniziazione, ridotta a mero status, al conferimento di un titolo, ha poco o niente a che vedere con l'ermetismo serio. Il vero iniziato porta la sua iniziazione

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racchiusa dentro di sé, e ha un unico arbitro: il livello di essere e di conoscenza che egli ha raggiunto.

Mark Hedsel non ha fatto misteri sulla via da lui seguita, che era la Via del Matto: una via in parte estrinsecata nei disegni arcani dei ventidue atout dei tarocchi tradizionali, quelli di cui si serve la divinazione popolare. La via a cui Mark era stato iniziato conduce a una conoscenza talmente diversa da quella comune che quanti la perseguono rischiano continuamente di venire fraintesi. Basta un lapsus o un gesto inappropriato per passare davvero per matti.32

La Via del Matto, come si vedrà chiaramente da quello che segue, ha un legame molto stretto con lo sviluppo interiore dell'ego. Alimentare l'ego è un'impresa pericolosa: fra i seguaci di questa via sono pochi quelli che di tanto in tanto non incespicano e cadono.

«Mark, tu hai detto che questo sviluppo della coscienza dell'ego era molto evidente fra gli artisti. L'ego ha forse emesso i suoi primi vagiti nella Firenze del XV secolo?»

Mark sorrise, come se si aspettasse la mia domanda.«Diversi secoli prima, David. Vedi, poeti e musicisti

percepiscono l'evoluzione e i cambiamenti spirituali della psiche umana con molto anticipo rispetto agli altri. I pittori e gli scultori, nonostante la loro tanto decantata capacità di visione, sono più terreni dei poeti e dei musicisti: i poeti hanno antenne speciali per queste cose. In un certo senso sono i "raccoglitori del vento".33 Quando nell'aria c'è un cambiamento spirituale, i primi a fiutarlo sono in genere i poeti, che l'esprimono in liriche e canzoni. I poeti sono sognatori sensitivi. Tutti gli artisti - poeti, pittori, musicisti - sognano le loro immagini prima di inserirle nelle loro opere, ma il poeta sogna più profondamente.

«Dunque, i veri visionari sono i poeti. Sono loro a percepire gli sviluppi spirituali: nella letteratura europea i primi timidi segni del matto-savio compaiono fra i chierici-poeti erranti del Medioevo, fra i trovatori e i lirici della Francia meridionale, dove a quel tempo era tutto un fiorire di eresie.»

«La Via del Matto risale quindi all'XI secolo?»«Sì, può darsi, non sono un esperto della questione; ma a me

pare che il Monaco d'Orlac sia stato il primo, agli inizi del XII secolo, ad affrontare con vera convinzione l'idea del matto-savio.34 I suoi versi hanno il sapore della follia, che può facilmente essere scambiata per pazzia da quanti non sanno, da quanti non conoscono la visione esoterica.

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Prologo

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«Questo significa due cose: o le composizioni del Monaco d'Orlac erano ispirate a una religiosità troppo profonda per la gente comune, oppure erano scritte nella Lingua Verde, ossia nel linguaggio in codice degli esoteristi e degli alchimisti. In una sua poesia, dedicata a un amico poeta, il Monaco scrive: "In tutta la sua vita ha cantato soltanto poche folli parole da nessuno intese". Quel poeta era Ar- naut Daniel, il quale cantò splendidamente di aver cacciato la lepre con il bue, e nuotato contro corrente...35

«Tutto questo, naturalmente, se preso alla lettera, non ha molto senso. Il fatto è però che il Monaco d'Orlac e Arnaut Daniel erano fratelli sulla Via: il primo sapeva benissimo che cosa volesse dire Arnaut quando affermava di saper nuotare contro corrente e cacciare con il bue.

«Quello che affascina è che nella sua opera il Monaco, come tanti altri poeti del tempo, insiste a dire che nessuno può capire davvero quello che lui e i suoi "confratelli" scrivono.

«Sappiamo benissimo che i poeti spesso si lamentano di essere incompresi, ma nel caso del Monaco d'Orlac e dei suoi compagni la questione è diversa. A un poeta qualsiasi, che si rammarichi di hon essere capito, si può rispondere semplicemente: "Scrivi in modo più chiaro!". Ma una risposta del genere sarebbe ingiusta nei confronti di questi poeti provenzali, perché essi si sforzavano di comporre versi da una prospettiva completamente nuova. Nessuno li capiva perché essi avevano sviluppato organi spirituali con cui vedevano molto più in là del campo visivo dei loro contemporanei.»

Si schiarì la voce. «Uno di loro scrisse, cito a memoria: "E quando, nella città terrena, che è piena di pazzi, Dio risparmiò un uomo, fu considerato pazzo. Lo maltrattarono perché la sua saggezza non era la loro, perché per loro lo spirito di Dio è follia..."36

«Sono parole che possono sembrare prive di senso, e invece per l'ermetista esperto sono il segno che chi le pronuncia è già sulla strada che conduce allo sviluppo di un ego forte, ha già compiuto i primi incerti passi verso la Via del Matto.

«La tradizione del matto-savio - o del matto iniziato - è una corrente che attraversa tutta la letteratura medievale francese e culmina nel più grande "buffone" di tutti i tempi, in quel giullare del XVI secolo che fu François Rabelais.37 Con la sua straordinaria arguzia e comicità, Rabelais apparteneva di fatto alla tradizione trovadorica e sapeva che pochi dei suoi lettori

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l'avrebbero seguito nelle sue piroette intorno ai livelli più profondi di significato.38 Rabelais non nascose che il vero argomento dei suoi libri era l'iniziazione, ma ne celò i misteri e gli insegnamenti avvolgendoli nello splendore della Lingua Verde: dietro la sua giocosità ciarliera egli mantenne il silen-zio.39 Il genio dell'autore francese è tale che vale la pena leggere la sua opera comunque, anche quando non se ne colgono i livelli più profondi. Il suo è un vero matteggiare poetico. Non è un caso che sul frontespizio della prima edizione del suo giullaresco racconto iniziatico, pubblicato nel 1532, Rabelais abbia posto una xilografia del Matto (figura 6).

«Guardando questa interessante immagine è inevitabile pensare a una versione più sofisticata dello stesso tema, alle diverse versioni del Matto dipinte da Hieronymus Bosch (figura 7).40 Il Matto di Bosch indossa, com'era prevedibile, vesti cristiane: la sua figura compare per esempio nel contesto del Figlimi prodigo,41 ma chiunque abbia familiarità con lo spirito di inizio XVI secolo riconosce in essa la raffigurazione di un essere umano in travaglio, che cerca di rispondere alla nuova sfida dell'evoluzione dell'ego. Non per niente questo dipinto in passato è stato chiamato «Il Matto», e la follia è un tema che Bosch sviluppa in molte altre tele.42 Le ragioni di tutto questo si chiariranno a mano a mano che procederemo: qui volevo soltanto dimostrare che le immagini della poesia, fatte di parole, furono infine fissate in figure e simboli dalla pittura.

«La follia-saggezza di cui tanto si dilettavano Rabelais e Bosch era in realtà cominciata come la vera arte dei trovatori.»

Desideravo tornare un attimo indietro, e perciò chiesi a Mark: «C'è una ragione, parlo in termini cosmologici, per cui il poeta è dotato di una particolare sensibilità?».

«Sì. Il poeta usa le parole. La mia potrebbe sembrare un'ovvietà, ma la verità è che nelle parole ci sono misteri. Non è affatto un caso se al più grande mistero di tutti, il Logos, viene attribuito anche il senso di "Parola-Verbo". Quando il poeta usa parole e forme nuove, nessuno lo comprende, e questo i trovatori lo sapevano. Prima che una società sia in grado di recepire un'idea nuova, bisogna che si crei un nuovo lessico, le parole vecchie possono parlare soltanto di cose vecchie: sono come binari arrugginiti che corrono sempre nella stessa direzione. Le cose nuove, le direzioni nuove, richiedono parole nuove. Per un poeta vero è molto difficile parlare ai suoi contem-poranei, perché il linguaggio che egli usa e forgia verrà

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Prologo

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compreso interamente soltanto dalle generazioni future...»

La Via del Matto non è una via facile: è come camminare su una corda tesa, e percorrendola il Matto può inciampare e cadere nella comune pazzia. È una via fatta di scienza sottile, di strano sapere. È «la via che non è via», «la via che non può essere nominata»: due definizioni che testimoniano quanto essa sia ignota, tranne che fra gli esoteristi. I gruppi esoterici che si ispirano a questa via entrarono probabilmente in clandestinità nel XIV secolo, quando le autorità ecclesiastiche cercarono di estirpare il Festurn Fatuorum (Festa dei pazzi).43 I documenti sono rari, a parte i cenni e le allusioni contenuti nei testi e nelle tradizioni arcane, di cui esamineremo alcuni esempi. La scarsità di testimonianze è tale che abbiamo ritenuto opportuno, prima di inoltrarci con Mark Hedsel nel suo viaggio così insolito, soffermarci sul contesto culturale su cui si innesta la via da lui seguita. E per questo, prima che Mark inizi il suo racconto, cercherò brevemente di spiegare che cosa si intenda per Via del Matto.

!

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La Via del Matto

... noi parleremo soltanto delle cose che sono difficili e non afferrabili con i sensi, e che anzi sono quasi contrarie all'evi-denza dei sensi. , ,,, . „ .

Paracelso, Arcmdoxi Magica

La Via del Matto è la via del viaggiatore solitario in cammino verso l'iniziazione. Questo viaggiatore può anche studiare sotto la guida di uno o più maestri, ma cercherà in ogni maniera di conservare la propria identità e raramente si impegnerà nel giuramento di mantenere il silenzio se questo lo vincolerà a una scuola specifica o a un insegnamento particolare. Dire che il Matto errante è sulla Via (way o path, in inglese) equivale a dire che percorre la strada dell'esperienza, la quale in greco antico era chiamata pathein.’

Quella del Matto è la via dello sviluppo dell'ego.2 Nel linguaggio esoterico l'ego è l'io; e questo io è una gocciolina della Mente universale di Dio. Il termine sanscrito manas - che significa sia «individuo immortale» sia «mente superiore» - è l'equivalente del vero ego. E quella goccia di divinità che ha cercato l'esperienza attraverso il coinvolgimento nella materia. Questa minuscola particella viene calata nella materia affinché possa percepire se stessa, ossia acquisire esperienza nel regno della creazione divina.

Per questo suo legame diretto con la divinità, l'ego pienamente evoluto è indistruttibile. Tuttavia, per effetto del suo incarnarsi e quindi ottenebrarsi attraverso il coinvolgimento nella materia, l'ego umano non conserva l'onniscienza della sorgente da cui proviene. Per questa ragione, perché la sua conoscenza cosmica si trova a essere limitata dalla maschera che incappuccia l'io, solo raramente l'ego sviluppa tutto il suo potenziale spirituale. Di

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incarnazione in incarnazione esso dimora in quelle che in confronto alla luce dei piani spirituali non possono che essere chiamate tenebre. Ma se impe

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-------- ATMAN

------- BUDDHI f

i- MANAS JEGO

L ASTRALE4

------- ETERICO5

-------- FISICO6

gnerà tutte le sue energie, l'ego potrà riconquistare le potenzialità originarie e togliersi la maschera che lo acceca.

Finché è sulla Terra, incatenato a un corpo fisico, l'ego deve aprirsi la strada nella materia attraverso tre organi, o «corpi», che gli eso- teristi chiamano l'astrale, l'eterico e il fisico, di cui parleremo più avanti.3 Questi tre organi sono controllati dall'ego, raffigurato nella letteratura ermetica come un grande uccello - un pellicano, una fenice oppure un cigno - che discende dal mondo spirituale nel regno della materia per insediarsi nella carne. È un uccello piuttosto curioso, perché, anziché le solite due ali, ne ha tre.

L'ego non è completamente solo quando dal mondo superiore viene mandato alla deriva: lo accompagnano tre corpi spirituali, invisibili all'occhio fisico. Come la dea Venere, l'ego è circondato da tre Grazie, un trio che gli intreccia intorno una perenne danza: sono le compagne di questo ego appena nato, compagne che la letteratura esoterica moderna chiama atman, buddhi e rnanas.

L'ego è trascinato verso la Terra dai tre corpi inferiori, cHe come cuscinetti attutiscono il suo impatto con il mondo materiale e nello stesso tempo lo legano a esso.

Questa dell'ego, nutrito da forze spirituali e tuttavia sprofondato nella materia, non è un'immagine di facile comprensione. Forse si capirà meglio osservando la tabella che segue.

In questo schema l'ego viene raffigurato come una superficie ri-

Tavola 1 -1 sette corpi dell'uomo

Corpi spirituali non adeguatamemte sviluppatinei non iniziati, ancora in embrione nell'uomo comune.

Il sacro io. È il corpo invisibile che gran parte degli occidentali sta sviluppando ora.

È la sede del controllo della volontà.

Il corpo spirituale delle emozioni, dei desideri, ecc.11 corpo spirituale della memoria.Presiede all'attività cellulare del corpo fisico, al quale trasmette emozioni e desideri.

Ilsolo corpo visibile nell'uomo. Per sua natura (cioè quando è separato dall'eterico) entra in uno stato di morte e svolge attività molecolare. Durante la vita è mantenuto in attività cellulare tramite l'immersione nell'eterico.

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flettente - una sorta di specchio del potenziale - cosicché l'astrale, che sta al di sotto, si riflette nel manas che sta al di sopra: il fisico si riverbera nell'atman, il più elevato di tutti. In questa immagine dello specchio è contenuto il disegno della futura evoluzione dell'umanità: tanto per fare un esempio, sarà attraverso lo sviluppo del potenziale spirituale dell'aima?! - o atma - che il corpo fisico verrà redento.7

Dei sette corpi, quello fisico è l'unico visibile. Mentre i tre corpi inferiori in qualche modo si compenetrano, l'ego (quando è attivo nello spazio e nel tempo) è invece situato più intorno alla testa. 1 tre corpi superiori, sui quali l'umanità concentrerà i propri sforzi nelle epoche future, sono ora in stato embrionale: in un certo senso sono situati al di sopra della testa, anche se è fuorviante collocarli nello spazio e nel tempo.

Tutti ci illudiamo di sapere che cosa sia il corpo fisico; tutti, tranne l'iniziato, per il quale esso costituisce il grande mistero.8 Sicuramente però l'eterico, l'astrale e l'ego rappresenteranno una difficoltà per chi non ha familiarità con l'ermetismo moderno. Cercherò pertanto di presentare questi tre corpi analizzandoli alla luce della Via del Matto (figura 8).

L'immagine arcana più antica di questo Matto errante è quella raffigurata nelle prime carte dei tarocchi, apparse in Europa nel XV secolo. Benché inizialmente fossero usati per il gioco, i tarocchi vennero ben presto impiegati nella divinazione.9 I maggiori esperti di esoterismo sono arrivati alla conclusione che i tarocchi racchiudono un complesso sistema di idee ermetiche e che furono diffusi da qualche sconosciuta confraternita arcana.

La carta del Matto è ricca di simboli che rinviano alla via che da lui prende nome. Vi si vede un uomo barbuto che indossa il tradizionale berretto a sonagli del buffone. Sulla spalla destra ha un bastone alla cui estremità è appesa una bisaccia. Il suo cammino è ostacolato da un animale (alcune volte un gatto, altre un cane) che gli azzanna i polpacci o gli strappa la veste: un simbolismo curioso, che apre uno squarcio sulla tradizione iniziatica ermetica, praticata nei templi dell'antico Egitto.

A simboleggiare l'ego è la faccia, coronata dal copricapo con tre corni e con i campanelli, tradizionalmente indossato dal Matto. I tre «corni» non alludono, come alcuni hanno suggerito, all'associazione fra il Matto e la Luna, ma mostrano

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invece che l'ego umano è immerso nel fulgore dei tre corpi spirituali superiori, benché non ancora sviluppati: l'atman, il buddhi e il manas.10

Alla spiritualità allude anche lo sguardo del Matto, che è rivolto verso l'alto; e se la barba attira il suo volto verso il regno inferiore, animale, dell'astrale, gli occhi (che sono lo specchio dell'anima e in cui è riposta la pupilla che ricerca la conoscenza) puntano al cielo. Le volute che dalla barba salgono fino al copricapo, il quale termina in una sorta di ricciolo, vanno in senso contrario. Mentre la barba spinge il Matto verso l'animalità irsuta, il ricciolo sul berretto lo spinge verso i cieli: è la dualità archetipica che scorre sotterranea in quasi tutto il pensiero arcano. Si potrebbe addirittura immaginare che il ricciolo con cui termina la voluta del berretto sia un segno del terzo occhio segreto, quello che scruta in alto, nei regni spirituali.11

La parte irredenta dell'uomo - la sua ombra scura, come viene talora chiamata - è contenuta sicuramente nel fardello che il Matto porta sulla schiena. Lì dentro, diceva spesso Mark Hedsel, c'è il karma che il Matto ha accumulato, ci sono i suoi debiti e i suoi créditi spirituali.12 Lì dentro c'è qualcosa con cui chi è sulla Via deve primao poi misurarsi: la materia scura accumulata di vita in vita, che contrasta con la purezza della prima materia, o materia spirituale incorrotta, la quale appartiene all'anima per diritto di nascita.

L'arte medievale ricorreva spesso agli animali come simboli dell'astrale: il cane (o il gatto) che insegue e aggredisce il Matto non fa eccezione, è il suo elemento astrale, non addomesticato. E poiché il Matto non l'ha addomesticato, ovvero integrato nella sua anima, questo ha ima sua esistenza indipendente, è una sorta di essere-ombra, simile alla creatura astrale che il poeta Dante incontra quando intraprende il suo cammino verso l'iniziazione. L'astrale, essendo la sorgente delle emozioni, è anche la sorgente del movimento: una delle cose più difficili della vita è controllare le emozioni, che sono la manifestazione interiore dell'astrale, e i movimenti che ne sono la manifestazione esteriore. È questa e-mozione, o moto verso l'esterno, che l'azione aggressiva dell'animale esprime.

Uno dei primi consigli che riceve il neofita non appena

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mette piede sulla Via è di imparare a controllare l'impulso di dare espressione immediata alle sue emozioni, e dunque di imparare a controllare le emozioni stesse. Quando si intraprende un percorso esoterico, le emozioni dovrebbero diventare strumenti per esperire il mondo, e non invece qualcosa che irretisce, con il suo potere di illudere e la sua capacità di tracimare nell'anima. Con tenacia il neofita impara poco a poco a imbrigliare la bestia che ha dentro di sé. La Tavola 1 indica che uno degli scopi del controllo è trasformare l'astrale a tal punto da farlo diventare maiws.

I due bastoni che il Matto porta con sé sono l'emblema del suo corpo eterico, un simbolismo ribadito dalla loro origine: i bastoni provengono dalle piante e nella tradizione arcana la vita vegetativa è alimentata dalle energie eteriche. E questa la ragione per cui nel pensiero ermetico medievale l'eterico veniva chiamato anche ens vegetali ilis, o essenza vivificante.13

Nel caso questa interpretazione della carta del Matto dovesse sembrare capziosa, può servire osservare un'incisione seicentesca di argomento alchemico (figura 9) in cui sono rappresentati l'astrale e l'eterico secondo il simbolismo universalmente adottato al tempo. L'astrale, o ens animalis, è simboleggiato da un bambino, collegato con il cosmo da una sorta di cordone ombelicale: questo minuscolo essere umano racchiude in sé il corpo astrale dei sentimenti, la vita eterica e il corpo fisico.

L'eterico, o ens vegetabilis, ha per simbolo una pianticella fiorita: essa non possiede il corpo astrale dei sentimenti, ma possiede quello eterico, che la conserva in vita.

II corpo fisico, o ens mineralis, è rappresentato da una montagna, o da una grande roccia. Ma non si tratta di semplice materia inerte, come si arguisce dai sigilli dei sette pianeti che vi sono apposti: l'autore dell'incisione comunica così che tutte le possibilità spirituali esistono in potenza, sepolte dentro questa materia terrestre. In un contesto simile il numero sette indica di solito una connessione con i sette pianeti tradizionali.

L'immagine, tratta da un testo importante, opera dell'alchimista Becher, illustra con estrema chiarezza la natura deU'eterico. La forza vitale eterica contenuta nelle piante spinge i quattro elementi della materia ad assumere una forma, ma le piante, non avendo contatti significativi con il piano astrale, non vengono coinvolte nella vita emotiva che

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dell'astrale è il punto fondamentale.La parola latina che indica il bastone è virga, il cui suono

ricorda troppo da vicino «virgo», e quindi Vergine, per non evocare un altro suo ruolo, quello di fecondatore delle idee. Mark Hedsel ha insistito molto sulla connessione che il bastone può avere con la divinità egizia Maat,14 a cui, a loro volta, sembrano legarsi il francese mat, e l'italiano matto.

Il corpo fisico è, naturalmente, il corpo del Matto stesso, chiamato talora anche asino o somaro, forse per suggerire il fatto che è con trollato da un cavaliere: naturalmente l'ego. La semplicità del simbolismo non deve trarre in inganno: il corpo fisico è ritenuto uno dei grandi misteri, la cui vera natura spirituale è stata scarsamente esplorata, tanto che la tradizione ermetica lo definisce a volte «un concentrato di saggezza».15 Nelle carte dei tarocchi il corpo è separato dalla testa - la parte spirituale pensante - con l'artificio simbolico del bastone, che posato di traverso sulle spalle, segna un confine fra il capo e il tronco. Il corpo, nel simbolismo ermetico, è coperto: le vesti sono il simbolo degli elementi fisici che celano e insieme rivelano la forma interiore. Che sia così lo si capisce dallo strappo nel tessuto sulla gamba destra del Matto, da cui spunta la pelle nuda, a ricordare che dietro il travestimento si cela un essere umano.16 Uno strappo analogo presentano le vesti del Figliuol prodigo di Bosch (figura 7). In tutte queste immagini il corpo fisico è nascosto dagli indumenti, così come, durante la Festa dei pazzi, chiunque, compresi i sacerdoti, nascondeva il volto dietro una maschera.

Mark Hedsel sosteneva che l'asino con cui talvolta si designa il corpo nella Via del Matto è un richiamo esplicito a questa festa.17 Egli ricordava che nelle parabole sorte intorno ai misteri cristiani l'asino era stato redento perché aveva portato Cristo in trionfo per le strade di Gerusalemme: il segno di questa avvenuta redenzione era la nera croce che Gesù aveva lasciato impressa sulle spalle dell'animale. Il carattere esoterico del racconto è chiarissimo: il nostro corpo fisico, composto dai quattro elementi, è anche la quadruplice croce che dobbiamo portare.

Anche nella letteratura esoterica pagana l'asino è un simbolo misterico: è la creatura da cui può nascere l'iniziato ai sommi misteri. Nel più famoso racconto iniziatico del mondo antico il simbolismo dell'asino assume forme

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sofisticate e drammatiche: nell'Asino d'oro di Apuleio, il protagonista, Lucio, viene trasformato in asino perché si diletta di magia.18 Veramente quando aveva chiesto gli unguenti alla maga Pamfila Lucio non aveva alcuna intenzione di diventare un asino, anzi, voleva volare. Ma quando si ritrova, per la sua ignoranza della magia, chiuso in quella forma asinina, cambia subito idea e il suo desiderio più grande diventa quello di ritornare a essere uomo.

Dopo avere attraversato in veste di asino molte peripezie, spaventose e degradanti, Lucio si rende conto che soltanto il mondo spirituale può aiutarlo. Nelle ultime pagine del libro, mentre è ancora prigioniero del suo corpo d'asino, egli si sveglia «nel più misterioso dei momenti», quando la Luna è alta in cielo. Rivolge a Iside, la divinità lunare, la preghiera di liberarlo dalla sua forma bestiale, in

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L'iniziatovocandola con tutti i suoi nomi segreti. Viene ascoltato. La dea gli appare in sogno o forse durante una visione. In mezzo alla fronte ha ima Luna che come uno specchio promana la sua stessa luce. Soltanto il manto di Iside è completamente scuro e oscurante, ma sulla tunica si intravedono le stelle e la Luna piena. Iside ha con sé un sistro magico, come la dea egizia e come i sacerdoti iniziatici.19 Comunica a Lucio di essere venuta a soccorrerlo. L'asino si sveglia e scopre di essere in mezzo a una processione iniziatica, che, sotto certi aspetti, assomiglia ai cortei medievali della Festa dei pazzi, con un'unica differenza: in Apuleio la processione è in onore dei misteri di Iside e non di quelli cristiani.

Lucio sapeva fin dal principio delle sue tribolazioni che se fosse riuscito a mangiare una rosa sarebbe tornato alla condizione umana. Ebbene, un sacerdote iniziato, istruito dalla dea, si stacca dal corteo e porge all'asino un mazzo di rose. L'asino d'oro, arricchito dalla sapienza e dal dolore che la sua servitù di bestia gli ha procurato, mangia le rose e come per miracolo si trasforma in un uomo più elevato.20

Tale è lo stupore per il mistero della metamorfosi tanto agognata che Lucio resta paralizzato e non dice nulla. Non conosce parole capaci di esprimere la sua gioia e neppure per ringraziare la dea della sua generosità. Conformemente all'antica saggezza misterica, si ha qui l'affermazione che le parole servono soltanto nel mondo ordinario e valgono ben poco nei misteri supremi dello spirito.

Gli antichi, che tanto si preoccupavano del significato arcano del corpo fisico, hanno forse tentato di raffigurare con la stessa meticolosità i corpi superiori, quelli invisibili?

Considerando la struttura della Tavola 1 dovremmo essere in grado di inserirvi una serie di nomi e immagini che venivano usati nel passato.

Non è un caso che gli antichi assimilassero l'ego umano alla dea Venere, e la triade superiore alle tre Grazie: questi miti infatti riguardavano la parte più elevata dell'uomo (Tavola 2). La letteratura esoterica si è occupata a lungo dei nomi greci delle Grazie, perché in essi è racchiusa una grande sapienza. L'esoterista Marsilio Ficino - della cui cerchia facevano parte molti artisti che contribuirono allo sviluppo del Rinascimento in Italia21 - non solo ne tradusse i nomi, più o meno nel modo elencato qui di seguito, ma ne stabilì i nessi con i principi

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La Via del Mattocosmici.

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TRIADEINFERIORE

Gli scritti esoterici di Ficino influenzarono profondamente Botti- celli. Non sorprende quindi che il simbolismo venusiano, cui allude la Tavola 2, si presenti sotto nuova luce se rapportato ai due grandi capolavori dell'artista fiorentino, La nascita di Venere e La primavera, entrambi raffiguranti la dea Venere sulla Terra.22 La seguente Tavola 3 illustra le

corrispondenze fra i dipinti e il regno del mondo fisico.

Tavola 3 - Simboli dei corpi inferioriASTRALE Aria Trecce mosse dal vento. ETERICO Acqua Onde da cui nasce Venere. FISICO Terra La sabbia o il suolo che calpesta.

L'impulso e-motivo dell'astrale, che è il corpo del desiderio in perenne movimento nell'ansia di raggiungere l'oggetto agognato, è rappresentato dai capelli di Venere mossi dal vento. L'invisibile corpo eterico ha invece cadenze e moduli regolari, di cui è simbolo efficace il frangersi ritmico delle onde sul litorale.

Uno degli scopi della meditazione è distogliere l'ego dai piani inferiori, in cui regna il desiderio, affinché, non più trattenuto dal potere ipnotico del regno materiale, esso si involi verso l'alto. Così libero, l'ego scivola leggero come sulle acque immobili di un lago. Su questa superficie quieta l'ego può riflettere i cieli che stanno sopra e ricevere tutto il fulgore del divino di cui è parte. Nella Via del Matto questa forma di meditazione costituisce il preludio alla capacità di scrutare dentro i segreti della natura.

Una delle cose che la Via del Matto insegna è che per chi vuole restare a contatto con il divino il desiderio (karna) in sé e per sé non è desiderabile. Ma è altamente desiderabile - se non essenziale - desiderare di fare esperienza nel regno della

ATMAN Eufrosine La Grazia o «Gioiosa», appartenente al mondo sidereo.

BUDDHI Aglaia La Grazia o lo «Splendore», appartenente alla sfera solare.

. MANAS Talia La Grazia «Verde e fresca», appartenente ai semi della musica.

ECO Venere La dea della bellezza.

Tavola 2-1 corpi superiori secondo un antico sistema

TRIADESUPERIORE

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La Via del Mattomateria. Gran parte delle filosofie orientali dimostrano un'eccessiva predisposizione a insegna

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re il distacco dal mondo - il ritorno allo spirito - come mezzo per purificarsi dal kanm, ossia dal coinvolgimento nel mondo. La religione cristiana chiama questa fuga la Via negativa. La Via del Matto è l'esatto opposto: si ispira infatti al principio che se abbiamo un corpo fisico (tanto se «cavalchiamo l'asino» quanto se «siamo asini») non è per liberarcene, ma perché esso serva ad arricchire la nostra esperienza e la nostra conoscenza.

Percorrere la Via del Matto è come compiere un equilibrismo. Pur non volendo in alcun modo perdere i contatti con il suo io superiore, il Matto vuole assaggiare la vita, e viene continuamente tirato da una parte e dall'altra. Spigolando conoscenza qua e là, egli non solo arricchisce l'ego, ma soddisfa anche il bisogno del divino (di cui l'e- go è parte) di esplorare il piano materiale. Il Matto, però, non aspira a conoscere la superficie delle cose: mira sempre a penetrare al di là dell'illusione, a sondare la realtà nascosta dietro la sua insidiosa ragnatela. Egli sa che il piano materiale, da molti considerato la realtà ultima, è la più illusoria delle cose: è maya, un gioco di ombre.23 Ma questa convinzione racchiude in sé un conflitto: chi segue la Via del Matto desidera esplorare il mondo materiale pur essendo pienamente consapevole che è un campo minato, disseminato di irrealtà.

L'ideale che il Matto insegue compare, appena velato, nelle opere di molti artisti e in una ricca letteratura sviluppatasi a partire dal XVI secolo. Uno dei temi più frequenti è quello dell'incertezza del- l'ego e della sua riluttanza a calarsi interamente nel regno materiale, come richiede invece la Via del Matto.

In nessun'altra opera il dilemma dell'incertezza e dell'insicurezza che pervade i pensieri, i sentimenti e la volontà dell'ego è espresso con tanta chiarezza come nell 'Amleto. Benché Shakespeare abbia esplorato con mirabile intuizione la natura del matto in diverse sue tragedie,24

nessuna meglio di questa rispecchia il significato arcano dell'ego. L'ego del principe di Danimarca, ancora in formazione, non è abbastanza forte per liberarsi dal senso di morte che è la conseguenza inevitabile del coinvolgimento nella materia. Pochi eroi (ammesso che il principe Amleto possa essere definito tale) hanno percepito il potere di morte del pensiero umano con tanta forza da meditare su un cranio,

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soppesando i prò e i contro del suicidio. Pochi eroi hanno avuto, sul piano dei sentimenti, un rapporto così incerto con la propria amata da indurla alla follia e alla morte. Pochi eroi si sono immersi così a fondo nella materia da calarsi in una tomba aperta; e pochi eroi sono stati così confusi nel loro agire da uccidere con la spada un innocente nascosto dietro un arazzo, il simbolo shakespeariano del velo che nella letteratura arcana cela la dea Iside.25 Shakespeare sembra voler ritrarre la disgregazione delle normali categorie umane sotto l'impatto che l'ego subisce quando entra troppo a fondo nella materia. Questa confusione fa sì che il principe di Danimarca possa èssere considerato ora un genio ora un matto.

La tragedia è uno studio dello spirito umano sottoposto alle oscillazioni di un ego che non è ancora maturo e che sente di aver perso i contatti con il divino. In questo senso Amleto è poco più che un bambino. L'aveva ben capito Goethe, quando osservò che Amleto è il ritratto di una persona che è stata caricata di un peso superiore alle sue forze.26

Come molte opere esoteriche VAmleto è stato un libro profetico circa lo sviluppo futuro dell'uomo. In termini esoterici, il periodo che diede l'avvio al Rinascimento in Italia e all'età elisabettiana in Inghilterra, fu contrassegnato da una costante, anche se a volte drammatica, crescita dell'ego. A creare le condizioni di questa crescita fu la scuola esoterica patrocinata dai Medici nella Firenze del XV-XVI secolo. In Inghilterra, più o meno nello stesso periodo, l'intensificarsi dell'ego fu così violento e provocò un tale senso di separatezza dal mondo spirituale, da indurre Enrico VIII ad affrancarsi dall'autorità papale. Il sovrano inglese, forse inconsapevolmente, istituì una religione fondata su un rapporto fra l'ego umano e un Dio che era diverso da quello della Chiesa cattolica.

Nella magia numerologica cui si ispirano i disegni dei tarocchi, al Matto viene in genere assegnato lo zero. Alcuni arcanisti associano questa carta anche alla prima lettera dell'alfabeto ebraico, Yaleph. Qualcuno potrebbe vedere in ciò una contraddizione, poiché nella numerologia ebraica Yaleph corrisponde di norma al numero uno, tant'è vero che certi legano la lettera alla prima carta dei tarocchi, il Bagatto (figura IO).27

L'apparente conflitto fra lo zero e l'uno rispecchia in realtà

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la natura intima del Matto. L'uno, che se ne sta solo ed eretto davanti a tutti gli altri numeri, è un simbolo perfetto per l'ego: l'associazione fra il numero uno e il Matto era sicuramente intenzionale e riecheggiava la lettera «I» di io, l'ego. Soltanto chi possiede un ego può direio a quell'ego. L'ego è sempre solo davanti all'oggetto della sua esperienza. E l'unico spettatore di quello spettacolo di marionette che si svolge davanti ai suoi occhi. Forse è proprio in questo conflitto, fra il cerchio dello zero e l'asta del numero uno, che va ricercata la spiegazione dei curiosi sigilli per la meditazione (vedi il relativo capitolo) di cui Mark Hedsel mi fece dono poco prima di morire e in cui si combinano cerchi e linee rette.

Queste considerazioni sullo zero e sull'uno costituiscono il preludio al paradosso spirituale del Matto, al fatto cioè che il Matto, così come l'ego, è insieme zero e uno. Ciascuno dei due rappresenta qualcosa che sembra privo di fondamenta, una singola cosa separata dal tutto, e che tuttavia pare nello stesso tempo essere un'unità completa, un'individualità unica. Questo conflitto fra essere e non essere è uno dei temi sotterranei nel famoso soliloquio di Amleto, che comincia appunto con le parole «Essere o non essere...».28

Anche il bastone che il Matto porta con sé è un simbolo dell'io eretto, e dunque dell'ego. Il bastone sulla spalla destra (figura 8) è tirato verso il basso da un fardello rotondeggiante in cui si può vedere un'altra forma dello zero, un cerchio. Le due cose - bastone e fardello - rappresentano dunque l'alternarsi di essere e nulla che caratterizza la percezione umana dell'ego. «Ora son questo, ora son quello»: così si sentono tutti coloro che non hanno ancora sviluppato il loro ego al punto di diventare padroni di se stessi. Non per nulla il grande occultista del XVI secolo, Paracelso, consapevole di vivere all'inizio di un periodo caratterizzato dallo sviluppo dell'ego, scelse per le sue opere un motto latino, il quale, tradotto, suona più o meno così: «Non sia d'altri chi può essere di se stesso». È l'invocazione tutelare dell'ego nascente.29

Il sistema divinatorio della cartomanzia è nato nel Sud dell'Europa. Il nome della prima carta dei tarocchi, che è Fool in inglese, ma Le Mat in francese e II Matto in italiano,30 ha un'etimologia sanscrita ricca di significato: la radice ma, da cui

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proviene, è infatti uno dei termini che indicano la materia e compare in diversi vocaboli esoterici, fra cui mai/a.31 L'etimo suggerisce che «la via verso il basso» è la via della discesa nella «materia», o della sua contemplazione, attraverso cui si accumula la materia scura del karma.

Lo sviluppo dell'ego ha portato a una nuova sensibilità per la libertà individuale, libertà dai lacci sia religiosi sia politici. I primi a intravedere i germi di questa nuova concezione ancora in nuce furono, come ha chiarito Mark Hedsel, i poeti e gli artisti, i quali hanno sempre avuto antenne particolarmente sensibili a cogliere i mutamenti spirituali. Gli artisti così fortunati da appartenere alle scuole esoteriche, in cui si studiava l'iniziazione, cominciarono a creare immagini che, quando non venivano messe al servizio delle scuole stesse, toccavano punte di individualismo quali sarebbero state inconcepibili nell'epoca d'oro dell'arte bizantina o della Chiesa tardomedievale. Nel momento stesso in cui i pittori cominciarono a firmare le loro opere,

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La Via del Mattodimostrarono di non preoccuparsi più soltanto della gloria

di Dio o del loro mecenate, ma anche del proprio ego. Attraverso la firma o un simbolo personale, l'ego riconosce che una sua azione - un atto della volontà - sopravviverà oltre la sua vita o una sua incarnazione.

La lunga e famosa firma apposta da Jan van Eyck sul dipinto I coniugi Arnolfini, ora alla National Gallery di Londra, non rappresenta soltanto il nome dell'autore del quadro, ma ne ricorda il ruolo di testimone alle nozze: il pittore dice «Io c'ero».32 Ma non sempre i segni dell'ego erano così elaborati e non sempre si trattava di una firma. Alcuni artisti usavano simboli personali come cifra del proprio ego. Un fiammingo del XVI secolo, Herri Met de Bles, che sicuramente appar-teneva a qualche gruppo esoterico,33 adottò per esempio un tipo di «firma» molto più antico, utilizzando come simbolo personale una civetta, tanto che passò alla storia come «Il Civetta». La civetta però non era semplicemente l'equivalente della sua firma, era anche un simbolo della sapienza dell'io superiore. Era, come vedremo, un riflesso di quello stesso spirito aviario del quale Mark Hedsel ebbe un'esperienza così profonda a Ferrara. Heinrich Khunrath, un alchimista tedesco del XVI secolo, utilizzò una civetta come fregio in un suo libro: l'uccello porta gli occhiali, che sono l'emblema della visione superiore, e stringe due torce fra gli artigli. Accanto ha due candele accese, un vero e proprio profluvio di luci. Il motto sottostante recita: «A nulla servono torce, luci e occhiali se non si vuol vedere».34 La noc- tua, come si chiama in latino la civetta, era sacra a Minerva, la dea greca della sapienza: Khunrath riteneva evidentemente che il sapere arcano, a lui ben noto in quanto alchimista e Rosacroce, dovesse essere sottratto alle tenebre notturne ed esposto alla luce del giorno. Ma, come indica il motto, temeva che, anche quando questo sapere fosse stato rivelato, ben pochi avrebbero potuto vederlo.

Ogni scuola pratica discipline per l'iniziazione di natura e tendenza diverse, ma tradizionalmente la differenza sostanziale è fra l'insegnamento attraverso l'uso di simboli e immagini e quello basato sulla parola orale. Nei primitivi testi egizi di tradizione ermetica, tramandatici per lo più in lingua greca, i due metodi erano denominati rispettivamente epoptico e mystes. Alcune scuole li usavano entrambi. Per esempio nel

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culto eleusino di Demetra, molto diffuso nell'antica Grecia, i mystes venivano iniziati ai misteri minori e gli epoptes a quelli maggiori. Ma anche in sistemi combinati in questo modo i due metodi erano considerati così diversi che fra un'iniziazione e l'altra dovevano trascorrere almeno cinque anni.

Il metodo epoptico insegnava attraverso i simboli e le immagini, mentre il rnystes di solito era verbale e prevedeva la figura di un maestro che dava istruzioni, a volte in forma di dialogo. Da queste due vie principali si diramavano diversi sentieri che correvano in direzioni differenti, ma aventi tutti come fine il perfezionamento dell'uomo: attraverso vari gradi ascendenti l'uomo «naturale» veniva condotto fino allo stadio di uomo «spirituale».

Un documento dà un'idea della forza dell'antico metodo epoptico: è il misterioso Libro di Dzyati, al quale sosteneva di essersi ispirata Madame Blavatsky, l'esoterista del secolo scorso, per il suo capolavoro sulla scienza occulta The Secret Doctrine.35 Ma questo antico libro di immagini, questo libro senza parole, al quale fa riferimento Madame Blavatsky è ritenuto ben più di una semplice raccolta di simboli. L'e-soterista G.S. Arundale, che sulla conoscenza di questo testo ha costruito un'intera disciplina meditativa, scrive che il libro era dotato di un tale «magnetismo» che chiunque ne contemplasse le immagini ne ricavava intuizioni di grande profondità.36 Anche oggi, seguendo una via, si può raggiungere un analogo rapporto epoptico meditando su quei simboli antichi, e questa era sicuramente una delle pratiche di meditazione seguite da Mark Hedsel.37 Alcuni simboli sono dotati della capacità di «parlare» una lingua che non è assolutamente paragonabile alle forme di linguaggio scritte e parlate, né in queste può essere tradotta. 1 simboli possono aggirare il meccanismo pensante del cervello (abituato ad avere a che fare con le parole) e agire diretta- mente sull'anima. Ed è precisamente così che opera il metodo epoptico di iniziazione. Un tempo alcune forme d'arte erano concepite da autori con in mente questo tipo di simbolismo.

Nella maggior parte delle scuole arcane moderne prevale la tradizione orale del mystes. Da quando, cinque secoli fa, fu introdotta la stampa in Europa si è sviluppata una fiducia quasi ipnotica nel potere della parola, mentre è scomparsa quasi interamente l'antica capacità di leggere il contenuto interiore delle figure e dei simboli in un senso che non sia

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puramente interpretativo e analitico. Questa degenerazione di una facoltà naturale dell'anima ha influenzato le scuole occulte non meno che il pensiero e la vita quotidiani. Ci sono state invero alcune scuole che proprio per questo hanno insistito sulla necessità di sviluppare la sensibilità alla forza dei simboli e l'antica via epoptica attraverso quella che potremmo chiamare «visione meditativa». Il metodo consiste in un addestramento alla visione, basato su una verità dimostrabile: nell'uomo esiste una facoltà - attualmente sepolta nel profondo - in grado di sentire le parole della natura.

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Che cosa distingue la Via del Matto dalla normalità della vita, dai comportamenti consueti? Soltanto il suo impegno a sondare il sapere occulto e la sua «visione meditativa». È tutto qui il grande segreto, forse l'unico, di questa strada, perché quella del Matto è essenzialmente la via dell'esperienza, con cui si entra nel regno della materia, per contemplarlo nel profondo e potergli strappare i suoi segreti.

C'è uno stretto parallelismo fra certi impulsi specifici della Via del Matto e la via segreta dei Rosacroce. Come ben ha chiarito Mark Hedsel, nel tardo Medioevo i Rosacroce si assunsero come compito primario quello di ricollegare l'ego in evoluzione con la figura di Gesù attraverso un percorso nitidamente tracciato di cristianesimo esoterico.39

Molti storici ritengono che il movimento rosacrociano sia comparso soltanto nel XVII secolo e che per questo sia sfuggito alle persecuzioni delle sette ereticali. Ma non è così: le sue radici si'possono rintracciare - e qualcuno l'ha fatto - fin nel lontano XIV secolo.40 I libri e i simboli dei Rosacroce erano per gran parte di natura alchemica, com'era inevitabile, data l'esistenza di interessanti corrispondenze fra i loro metodi e le aspirazioni spirituali che stanno dietro all'alchimia.41

Quella dei Rosacroce era in origine una scuola esoterica cristiana, la quale sosteneva che la Resurrezione promessa da Cristo era anche una promessa della natura. Essi vedevano un parallelo fra uomo e natura, che nel loro simbolismo alchemico classificavano in base a tre «sostanze naturali» interrelate: il sale, il mercurio e lo zolfo, corrispondenti rispettivamente al pensiero, al sentimento e alla volontà.42

Nonostante i contenuti cristiani, il Rosacrocianesimo affonda le sue radici nell'ermetismo dell'antica Grecia, che a sua volta, come si vedrà, aveva origine in Egitto.43 Uno studioso di tradizioni ermetiche, Parthey, die ha analizzato la formazione di oltre quaranta fra filosofi, scrittori e statisti dell'antica Grecia, ha riscontrato che tutti quanti hanno avuto maestri egizi: così Platone era discepolo di Sech- nuphis, Pitagora di Enuphis, Eudosso di Chonuphis.44 E tali maestri avevano studiato nelle scuole ermetiche d'Egitto, per lo più in quelle di Iside e Osiride.45

L'analisi degli antichi testi arcani, di cui Mark Hedsel si è occupato a lungo, rivela l'esistenza di un filo che collega il sapere esoterico dell'antico Egitto con la tradizione occulta e

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la filosofia speculativa dei greci. Nelle sue forme classiche - che includevano la gnosi,46 l'alchimia e l'astrologia - questo sapere si è trasmesso all'Europa attraverso la cultura araba, soprattutto tramite le grandi scuole esoteriche della Baghdad del IX secolo. 1 Rosacroce l'hanno europeizzato e ricristianizzato, mantenendo in tal modo vivo un legame fra la tradizione esoterica dell'antico Egitto e l'ermetismo moderno.

Dai tempi della Grecia classica, e ancora di più da quelli dell'antico Egitto, l'umanità è cambiata, e le scuole si sono evolute per accogliere questi mutamenti. La cultura ermetica è molto complessa: comprende argomenti molto diversi, quali la reincarnazione, l'astro- logia e il karma, le sfere planetarie da cui l'uomo discende, l'unione con Dio, insieme a molte discipline mentali di carattere pratico, cui accenna Hedsel. Il fatto straordinario è che tutti - o meglio ancora, tutti i principali temi affrontati attualmente dagli occultisti ed erme- tisti - sono contenuti nei testi egizi più antichi ai noi pervenuti.47 Fra il moderno pensiero ermetico e la sapienza misterica dell'Egitto c'è una correlazione molto stretta; così stretta da poter dire, parafrasando un filosofo moderno, che la letteratura arcana degli ultimi duemila anni altro non è se non una raccolta di chiose all'antica letteratura ermetica, riesaminata alla luce del messaggio resurrezionale di Cristo, su cui si fonda la nuova saggezza misterica.

Occorrono requisiti particolari per intraprendere la Via? Il percorso iniziatico, l'abbiamo già detto, è diverso da quello della vita normale, e i requisiti per essere ammessi a una scuola di iniziazione non assomigliano affatto a quelli che si richiedono nella vita. Chi è a capo di una scuola esoterica sa benissimo che il segreto dell'umanità è tutto racchiuso nella volontà, e sa che se qualcuno desidera imboccare la Via non c'è scuola che possa impedirglielo.

Ogni scuola richiede, in teoria, suoi specifici requisiti preliminari, ma tutte in genere presuppongono che il neofita abbia la mente aperta e sia predisposto alla sperimentazione e all'impegno, pur non facendone una conditio sine qua non. Alcune scuole pongono come condizione che il neofita presenti una moralità ben sviluppata, e questo perché l'onestà non è soltanto un segno distintivo di luminosità e dolcezza, ma è uno strumento indispensabile di ricerca. L'immoralità - ossia l'abbandonarsi agli impulsi e agli istinti umani più bassi -

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porta alla cecità spirituale, e se chi è cieco negli occhi non può vedere le meraviglie che lo circondano, chi è cieco nell'anima non può vedere sul piano spirituale.

Non si va molto lontano se non si affina il mondo morale interiore e se non si redimono le tenebre che abbiamo dentro di noi: un dato

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La Via del Mattodi fatto che tuttavia non costituisce un requisito per

intraprendere la Via del Matto; le istanze etiche si presentano di solito in una fase successiva, e non per un ordine esterno, ma per un bisogno interiore: qui sta uno dei misteri di questa via. A mano a mano che il Matto avanza, comincia a spogliarsi dei suoi lati più oscuri. Inizia, per esempio, a non mangiare più carne, a non bere alcol, a non fumare.. Ma non lo fa tanto per mettere alla prova la sua forza di volontà, quanto invece perché diventa riluttante a compiere gesti che paiono d'ostacolo alla meditazione e agli esercizi indirizzati alla crescita spirituale.

Che cosa insegnano queste scuole, così misteriosamente a nostra disposizione per offrirci quelli che gran parte delle persone guarderebbero come enigmi incomprensibili? Insegnano, in sintesi, a conoscere il mondo spirituale, che è come un libro chiuso alla vista normale. E questo l'unico mistero in cui si viene istruiti. Tutto qui.

Eppure, sotto altri aspetti la cosa non è affatto così semplice’, perché il mondo spirituale è vasto. Esso si estende in un altro regno, al di là di quello materiale, nel quale penetra, sostenendolo con il suo potere invisibile. Sotto un certo aspetto - ma forse è l'unico - la conoscenza esoterica è come la conoscenza in generale: più si sa e più si vede lontano, più si sa e più si percepisce l'immensità del conosci-bile e l'impossibilità di comprenderlo tutto. Di fronte a questa intuizione dolorosa, al neofita si impone la domanda che costituisce il fondamento di qualsiasi percorso iniziatico: come può un semplice seme, qual è il cervello umano, sperare di contenere in sé questa illimitata sapienza creativa? E, come spesso accade a chi è sulla Via, nel momento stesso in cui dal cuore sgorga questa domanda, giunge la risposta: la mente può acquisire questa sapienza perché è stata forgiata da quella stessa sapienza. La materia grigia è in realtà il velo della sostanza spirituale delle stelle.

Dicono che soltanto chi è interamente risanato può guardare impunemente in faccia il mistero ultimo. «Il paese dai cui confini nessun viaggiatore ritorna» è il mondo spirituale che sta al di là, e dal quale, pensa Amleto, gli uomini normali non tornano più.48 Ma non è così per gli iniziati più alti, i quali possono invece riattraversare a loro piacimento quella barriera, purché siano disposti a indossare la maschera del tempo, che offre l'incarnazione, e a

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La Via del Mattomescolarsi agli altri esseri umani.

La Via del Matto utilizza un linguaggio e un repertorio lessicale che richiedono qualche spiegazione. Quasi tutti i sistemi esoterici

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hanno sviluppato una forma di comunicazione particolare: la Lingua Verde o Lingua degli Uccelli.49 E un codice arcano - Mark Hed- sel ne parla in più punti del suo libro - attraverso cui gli iniziati, e gli aspiranti tali, possono parlare fra loro di cose segrete in una lingua incomprensibile a chi non la conosca. La Via del Matto ricorre anch'essa al linguaggio esoterico, e in più fa ampio uso di termini specialistici arcani (che qui vengono tutti spiegati nel testo o nelle note). Questa Via è molto antica: Mark Hedsel ne rintraccia le radici storiche nel Medioevo; potrebbe pertanto sorprendere che egli im-pieghi talora vocaboli arcani - quali, per esempio, le parole sanscrite ahnan, buddhi e manas contenute nella Tavola 1 - entrati nell'uso europeo soltanto alla fine del XIX secolo. Ma la contraddizione è solo apparente, come si vedrà.

Tutti i veri insegnamenti esoterici rinviano a tradizioni che descrivono le diverse forme fisiche assunte dall'umanità ai suoi primordi. Alcuni testi arcani, che affrontano il tema di queste condizioni originarie, si ritiene risalgano a cinquemila o anche seimila anni fa e sono scritti in una lingua poco nota ai filologi, il senza r.50

Questa antica lingua descrive forme umane che erano molto diverse da quelle attuali: le più remote non avevano neppure il potere di discendere del tutto sulla Terra.51 In seguito queste forme calarono su quella che era allora la Terra, ma anch'esse avevano ben poco di materiale. In uno stadio ancora successivo esse assunsero forme adatte a vivere nell'acqua e infine corpi simili a quelli degli animali. Fu soltan-to in tempi relativamente recenti - prima dell'era di Atlantide - che il bipede intelligente sviluppò l'aspetto esteriore che ci è familiare.

Nel racconto di questa graduale, primigenia discesa nel corpo materiale, compaiono due terre che ora chiamiamo Lemuria e Atlantide, entrambe divenute famose per l'attenzione che dedicarono loro gli arcanisti angloamericani del XIX secolo.52 Intorno ai due continenti, alle leggende relative a queste e ad altre terre esistite in tempi ancora più remoti, è fiorita una vasta letteratura. Eppure essi appaiono ancora poco chiari, gli ultimi, poveri resti di un'Altantide potente, emersa alla storia soltanto nel momento del suo declino e crollo, forse dodicimila anni fa.53 Atlantide rimane un'ombra mitologica, alla quale far risalire quasi tutte le

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tradizioni esoteriche che sono emerse in Tibet, in India e in Egitto. La triste verità è che gran parte della produzione pseudoarcana intorno a questi continenti così lontani nel tempo, più che fornire qualche dato reale su Atlantide, rispecchia l'inventiva dei vari autori. Su Atlantide sono sicuramente esistite delle civiltà, ma la loro vera storia è ancora sepolta in archivi inesplorati.54

Le leggende su Atlantide contengono però un particolare sulla cui veridicità non ci sono dubbi: la storia di quanto accadde prima della catastrofe che si abbatté su questo grande continente. Platone, che ne parla agli inizi del V secolo a.C., la definisce cosa già antica: sono le migrazioni che hanno preceduto la fine di Atlantide, e che la letteratura esoterica moderna chiama «migrazioni guidate».55

Quando i capi spirituali compresero che la loro terra era destinata a sprofondare nell'ultimo, definitivo, cataclisma, i maestri delle scuole misteriche riunirono numerosi discepoli e intrapresero un viaggio lento e faticoso dall'agonizzante Atlantide verso oriente. A nordest del continente si estendeva la massa terrestre da cui sarebbero sorte in seguito le isole britanniche, la penisola iberica e la Francia. A sudest c'era il grande continente africano.

Questi gruppi, guidati da maestri iniziati, arrivarono finalmente nella valle del Nilo, che allora, molto più fertile di oggi, si presentava come una terra scura e dalla vegetazione lussureggiante. Qui si fermarono gli uomini di Atlantide e posero le fondamenta di quella che sarebbe diventata la grande civiltà egizia.

In tempi ancora più remoti altre due grandi migrazioni avevano interessato Atlantide: una in direzione dell'india settentrionale, l'altra dell'Egitto.56 Perciò già prima della nascita della civiltà egizia esistevano in altre parti del mondo culture basate sull'iniziazione. La più importante era forse quella sorta a nord, in parte nell'odierno Tibet, in parte in Nepal, con ramificazioni nell'india settentrionale e in Cina.

Dal punto di vista esoterico, le correnti migratorie partite da Atlantide - quella che si stabilì nel Tibet e in India e quella che si insediò in Egitto - erano molto diverse. Con il tempo la diversità si accentuò, perché i maestri che controllavano i gruppi istituirono sistemi e metodi iniziatici completamente differenti, a seconda dei luoghi e dei bisogni spirituali.

La cultura indiana e quella egizia ebbero in vari periodi

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contatti fruttuosi, ma comunque marginali rispetto alla tendenza generale della storia esoterica di queste grandi civiltà. In Oriente prevalse il sistema indotibetano, mentre in Occidente si affermò quello egizio, e fino a tempi recenti furono la tradizione arcana e la sapienza esoterica dell'antico Egitto a dominare in Europa.

Tutti i sistemi arcani in uso in Occidente discendevano, in ultima analisi, dalle scuole segrete d'Egitto: i misteri ermetici di Iside e diOsiride; gli antichi misteri greci di Asclepio a Cos, di Apollo a Delfi, delle kore, «vergini», a Eieusi (diffusi in Grecia e a Roma); i misteri cristiani degli ebrei palestinesi, alimentati dagli Esseni e dagli Gnostici; i misteri ermetici dell'alchimia e dell'astrologia fioriti durante il califfato arabo di Baghdad nell'VIII e IX secolo e quindi trasmessi all'Europa medievale; i misteri dei Rosacroce che nel XV secolo rivitalizzarono il messaggio cristiano, tutti devono la loro origine e le tecniche iniziatiche all'antico Egitto. Molti sono i fiumi e i rivoli, ma la sorgente è una sola.57

Di recente, purtroppo, alle acque di questa singola sorgente, che ha irrorato per tanti secoli le scuole occidentali, se ne sono mescolate altre. Negli ultimi centovent'anni, il pensiero esoterico ha sofferto, e insieme beneficiato, di una invasione di termini in sanscrito e di idee orientali. In particolare ne sono stati responsabili i teosofi, i quali verso la fine del XIX secolo introdussero nel pensiero europeo molte nozioni e parole orientali,58 certamente adeguate per chi aveva una natura orientale e seguiva una disciplina orientale, ma che non si sono dimostrate altrettanto benefiche per i seguaci delle discipline occidentali. La nostra tradizione iniziatica ha sempre avuto un orientamento cristiano, persino nelle scuole misteriche precristiane. Quella orientale, pur con tutta la sua sapienza, non riconosce per nulla il ruolo di Cristo. E proprio perché manca del tutto l'impulso cristiano, l'esoterismo orientale non può giovare allo sviluppo dell'esoterismo occidentale.

Naturalmente, la tradizione occidentale aveva già nel lontano passato assorbito termini orientali, giunti in Europa soprattutto attraverso le scuole segrete. Molti di questi sembrano di origine sanscrita e probabilmente si diffusero verso ovest con gli scambi commerciali circa cinquemila anni fa. Fra le tante parole importate ce n'erano diverse di chiara

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provenienza esoterica. Così, per esempio, l'espressione arcana sanscrita Dijaus pitar esiste ancora oggi, leggermente modificata, in gran parte delle lingue europee e, nella sua forma simbolica esatta, in tutti gli oroscopi. Queste due parole sono diventate Diou-pater in greco, e poi ]uppiter in latino, e dalla versione più tarda del nome, jovis, sono derivati termini quali gioviale e giovedì (il giorno di Giove). Allo stesso modo un intero lessico, costituito un tempo da termini specialistici dei centri misterici, è passato nell'uso comune, essoterico (ovvero accessibile anche ai non iniziati). Il filologo Ovven Barfield, per fare un altro esempio, mette in evidenza come le parole inglesi diurnal, dianj, diai e divine (cui corrispondono gli italiani «diurno», «diario», «meridiana» e «d/vi

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no») abbiano la stessa origine, e derivino dal termine sanscrito che indica Dio.59

Se è vero che le parole di questo tipo rivelano contatti molto antichi fra la Grecia e i centri misterici settentrionali del Tibet e dell'india, è anche vero che si tratta di eccezioni. Le ricerche esoteriche più recenti sulle tradizioni arcane hanno messo in luce come i termini usati un tempo nei centri misterici non provengano in genere dall'india (ossia dalla radice indoeuropea) bensì dall'Egitto. Di questa verità era così profondamente convinto lo studioso ed esoterista del XIX secolo Gerald Massey, che tentò di attribuire un'origine egizia a buona parte del lessico inglese.60 Il suo libro di etimologia in due volumi è a tratti ossessivo, ma costituisce ancora una lettura affascinante per i cultori dell'esoterismo: molte delle sue osservazioni sono illuminanti. Massey sostiene, fra l'altro, che la lingua un tempo parlata su Atlantide passò nell'egiziano e sanscrito delle origini, e che perciò è insensato far risalire al sanscrito tante parole greche/quando le si potrebbe altrettanto facilmente ricondurre all'antica lingua egizia.

Massey elenca una serie di esempi a sostegno della sua tesi e fra questi il vocabolo greco da cui deriva scettico. I filologi affermano che esso discende dal greco skeptikos «colui che esamina», parola che a sua volta - sostengono gli studiosi innamorati dell'etimologia sanscrita - deriva dal sanscrito spashta, «manifesto». Massey però avanza un'ipotesi molto più ragionevole, secondo cui scettico andrebbe ricondotta all'egiziano skeb, «riflettere». Se poi si tiene conto che nel-l'antico Egitto sep significava «giudice», mentre tek voleva dire «cosa nascosta», se ne può dedurre che sep tek era colui che emetteva giudizi su cose nascoste. Di conseguenza, il significato della parola, se non il suono, è cambiato pochissimo in cinquemila anni. Le ricerche filologiche di Massey inducono a mettere in discussione la nozione corrente che le parole come scettico e spettro (altro termine comune moderno che deriva dai centri misterici) siano latinizzazioni di termini epicurei greci. È infatti chiaro che la loro origine è egizia e precede di molti secoli la versione greca.

Diversi occultisti del primo XIX secolo, avendo capito quali pericoli fossero insiti nella tendenza orientaleggiante della teosofia, decisero di uscire allo scoperto. Fra questi c'era il grande esoterista Rudolf Steiner, profondo conoscitore della

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tradizione ermetica occidentale, e in particolare del pensiero rosacrociano.61 Steiner si accorse che lo sviluppo dell'esoterismo occidentale era legato alla figura di Cristo e che questo legame non poteva trovare nessuna forma di espressione fertile nella teosofia e nelle sue ramificazioni, perché esse erano ispirate a modelli e archetipi essenzialmente di discendenza orientale, che non tenevano in alcun conto l'idea cristiana.

In Occidente, sosteneva Steiner, esisteva un'unica corrente esoterica ancora attiva che avesse mantenuto un saldo legame con Cristo: era il sistema iniziatico ideato dai Rosacroce. Lo studioso fu fra i primi a intuire che il movimento rosacrociano si era sviluppato soprattutto per far fronte ai mutamenti spirituali che si sarebbero verificati in Europa a partire dal XVI secolo, quando si sarebbe diffusa una nuova sensibilità verso l'ego.02

Una delle conseguenze di tutti i fattori storici appena esaminati è, come ben sapeva Mark Hedsel, la difficoltà di parlare dei sistemi iniziatici moderni senza ricorrere a definizioni teosofiche. La Via del Matto, che ha un interesse molto marcato per la natura spirituale del linguaggio, è incline ad adottare parole e idee nuove ma, come molte altre scuole occidentali, ha imparato a guardare con sospetto la terminologia orientale, in primo luogo per la diversità fra i due sistemi iniziatici. È questo il motivo per cui Mark Hedsel ha cercato di ampliare e ridefinire il significato di alcuni termini teosofici, fornendo per molti di essi una spiegazione che mi sono sforzato di includere nelle Note raccolte alla fine di questo libro. Ma nonostante il tentativo di incorporare nel linguaggio del Matto termini di ampio uso, la verità è che essi si riferiscono spesso a modelli estranei alla visione moderna delle cose.

Mark Hedsel era convinto che la terminologia teosofica non costituisse uno strumento in grado di contribuire allo sviluppo dell'uomo occidentale, ma il suo spirito pratico non gli permetteva di ignorare che i termini esoterici usati oggi in Occidente discendono in gran parte dalla teosofia. Se questa non fosse stata così pervasi va, Mark avrebbe preferito ricorrere al lessico greco-latino, tramandato da quel grande Rosacroce che fu Paracelso, se non altro perché quasi sempre riconduce alle sorgenti ermetiche egizie che hanno alimentato

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quasi tutto l'esoterismo moderno.63

Certo è curioso che l'esoterismo, così orgoglioso del suo silenzio, sia continuamente assillato dalle parole. La necessità di tacere sulle verità esoteriche è sempre stata un tema importante per le scuole ermetiche e per le forme d'arte che esse hanno ispirato e incoraggiato. Intorno al 1520 il pittore fiammingo Quentin Metsys dipinse un quadro davvero notevole, conosciuto oggi, senza alcuna vera giustificazione, con il titolo Allegoria della follili (figura 11). Vi è raffigurato un uomo dall'aria strana, che ha sul cappello, quasi ne fosse il prolungamento, una testa di gallo: indossa letteralmente il cockscomb, «la cresta del gallo» che è il simbolo tradizionale del Matto.

Ai lati del gallo spuntano due grandi piume. Con il braccio sinistro l'uomo regge un lungo bastone, che termina in una sorta di omuncolo. La creaturina ha il sedere scoperto, là testa voltata quasi frontalmente rispetto all'osservatore e una collana di fronde intorno al collo. Non occorre un'analisi dettagliata del dipinto per capire che, lungi dall'essere un'«allegoria della follia», esso rappresenta il tema arcano del silenzio. In altre parole, con quest'opera il pittore si rivolge agli iniziati, come confermano diversi dettagli che risultereb-bero inspiegabili al di fuori del simbolismo iniziatico.

L'uomo, con quel suo grande naso aquilino e quel suo ghigno malizioso, può anche sembrare matto, ma il fatto è che egli sa qualcosa di cui non deve parlare... Lo ribadiscono le parole vergate in nero accanto alle sue labbra - sulle quali egli preme l'indice della mano destra sono due parole fiamminghe, mondeken toe, e significano: «tieni la bocca chiusa». Che cosa sa il Matto per meritarsi questo ordine di chiara origine misterica?

Anche la figuretta in cima al bastone ha un che di iniziatico. Verso l'estremità superiore l'asta di legno diventa plastica, gommosa: si direbbe che l'omuncolo lotti per nascere. L'idea stessa della nascita vergine di un piccolo uomo è già probabilmente un'arguzia, un gioco intorno alla parola latina virga, la verga-vergine che qui partorisce l'omuncolo. Forse la collana fronzuta che gli cinge il collo allude al pupazzo di paglia, evocando la funzione della creatura: è un povero pupazzo nato dalla Virgo (Vergine) stellare, che in mitologia è la dea vergine delle messi.64

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Sulla fronte, ben centrata in mezzo agli occhi, l'uomo dipinto da Metsys ha una grossa protuberanza: non potrebbe essere un riferimento al terzo occhio che sta per spuntare? La nascita di questo omuncolo, che fuoriesce dalla virga, non è per caso connessa con l'altro omino che, secondo la tradizione ermetica, dimora nella pupilla dell'occhio? Che sia l'omino da cui sboccerà l'iniziato dotato di una visione superiore? A tutte queste domande troveremo forse una risposta una volta finito di leggere quello che Mark Hedsel ha da dire su temi iniziatici quali la piuma, la cresta del gallo, l'Ishon (1'«omino») e il bastone trasmutatore, ossia la virga. Fino a quel momento limitiamoci a considerare il dipinto poco più che un ammonimento rivolto al Matto perché tenga la bocca chiusa e badi a

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quello che dice, un ammonimento che rinvia sempre al mistero del Logos.

«La magia esiste»: fu questa una delle prime cose che Mark Hed- sel mi disse quando cominciammo a lavorare al libro. «La magia esiste» ripetè, «ma è stata fraintesa.»

Lo guardai con aria interrogativa, nella speranza che si soffermasse su un tema così allettante.

«Molti pensano che la magia consista nel capovolgere le leggi di natura» proseguì. «E invece la vera magia non capovolge un bel niente. La magia è semplicemente il risultato che consegue quando l'attività creativa del mondo spirituale viene incanalata nel mondo materiale. I maghi sono coloro che conoscono le regole per "invitare" questo intervento spirituale.65 La magia ha molto più a che vedere con la conoscenza che con il potere: soltanto chi pratica la magia nera si preoccupa del potere.»

Sorrise con ironia. «Ma non credere che tutti quelli che si dicono maghi abbiano il potere di provocare l'intervento spirituale.»

«Se la magia, come dici tu, consiste nell'incanalare l'attività del mondo spirituale» osservai, «allora anche un giardiniere che fa crescere un fiore è un mago?»

«Ma certo. Come ha osservato un cabalista moderno, ogni volta che prepariamo come si deve una tazza di tè, invochiamo con successo i quattro elementi.66 Fai attenzione, però: a te sembra "naturale" che una pianta sbocci e dai per scontato che la fioritura segua le leggi della natura. È un'ipotesi molto ragionevole, ma non tiene conto di un fatto: noi non sappiamo cosa siano quelle leggi. In una pianta che cresce e fiorisce noi vediamo soltanto qualcosa che si sviluppa e si dispiega sul piano materiale. E invece essa è la manifesta-zione di qualcosa che avviene al di là della soglia dei nostri sensi, non credi?

«La scienza non ci dice quale sia la forza che spinge un seme nella terra e poi lo fa affiorare alla superficie, germogliare e fiorire con tanta colorata grazia. Quella grazia, quelle sfumature intense vengono forse dalla nera terra? La verità è che non sappiamo che cosa sia un fiore. La scienza ci ha sviato: pensiamo di aver capito, e invece ci siamo limitati a descrivere un processo di germinazione, radicazione, crescita e fioritura. Forse arriviamo a descrivere il fenomeno con una discreta precisione, ma non di certo a capirlo. Ci lasciamo

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La Via del Mattotroppo facilmente ingannare dalle manifestazioni esteriori, dimenticando il potere dell'invisibile. Se riuscissimo davvero a comprendere che cos'è un fiore, capiremmo anche l'operato dell'eterico e godremmo della visione spirituale che segna il primo passo sulla strada della vera iniziazione.

«Prendi, per esempio, la fase che chiamiamo "fioritura". Normalmente pensiamo che il fiore costituisca lo stadio finale nella vita di una pianta, ma ciò non è del tutto esatto. Esaminando la vita della pianta alla luce del pensiero esoterico, si colgono ulteriori sviluppi. L'ape può per certi versi essere considerata la continuazione del fiore, e allora il nettare appare come una fase superiore della pianta: non è certo per caso, osserva Goethe, che la farfalla in volo ricorda i petali di certi fiori. Guardando il fiore e la farfalla con immaginazione, si vedrà in quest'ultima uno stadio più alto di sviluppo, o se preferisci di evoluzione, della pianta. E anche il profumo del fiore (cosa forse più immediata da percepire) rappresenta uno stadio superiore della vita vegetale, un livello di sviluppo spirituale che va oltre il fiore... In questo senso il fiore, pur essendo abbarbicato alla terra, si estende in uno spazio molto più ampio di quello che occupa nel giardino.

«Noi moderni, con le nostre parole e i nostri atteggiamenti, abbiamo ucciso la capacità di cogliere l'intervento dello spirito, che potremmo chiamare magico. Anche se siamo pronti a dire di non sapere che cosa sia veramente la magia, non siamo però disposti ad ammettere di non sapere che cosa sia la natura. Certo, possiamo descriverne le forme esteriori, ma è soltanto quando ne percepiamo le forze interiori che la natura può essere compresa.»

Ho parlato di magia, ma in realtà dovrei parlare dei segreti dell'iniziazione, che è una forma di magia. Desidero essere assolutamente chiaro. La via iniziatica, nella sua forma più semplice, consiste in una serie di tecniche volte ad accelerare il normale sviluppo umano. A un profano questo processo può apparire magico, ma in realtà non contravviene alle leggi della fisica e della chimica. Se tutto procederà per il meglio nell'evoluzione della Terra, in un lontano futuro moltissimi esseri umani spiritualizzeranno interamente il proprio corpo e svilupperanno facoltà e abilità che ora apparirebbero quasi miracolose. Chi percorre la strada

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La Via del Mattodell'iniziazione cerca semplice- mente di accorciare i tempi per conquistare più in fretta queste facoltà e abilità superiori.

I miracoli non occorre cercarli: ci circondano da ogni parte. Al di là dei confini del mondo che noi diciamo nostro, ce n'è uno invisibile che sparge sulla Terra influssi e benefici senza i quali non potremmo continuare a esistere neppure per un istante. La Chiesa, le scuole

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esoteriche e i singoli maghi implorano incessantemente questo mondo affinché faccia discendere su di loro i suoi doni e ne sorregga le imprese e le aspirazioni: questa è la preghiera. E su questo si fonda l'attività che chiamiamo magica. La pratica della magia, quella che funziona, consiste semplicemente nel ricorso a tecniche particolari per ottenere benefici spirituali dal regno superiore.

La Chiesa cristiana delle origini conosceva i segreti dell'evoluzione umana e custodiva questa sapienza trasmessa dall'antica saggezza misterica greco-egizia e mescolata con la nuova saggezza misterica di Cristo. La Chiesa primitiva riconosceva come una delle componenti del mistero di Cristo il fatto che egli compiva sulla Terra il destino di cui, in un lontano futuro, avrebbero goduto per diritto di nascita tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Tracce di questi insegnamenti esoterici sono ancora presenti in molte delle pa-role usate dalle varie sette cristiane. Nei centri misterici, per esempio, il «corpo risorto di Cristo» era chiamato Augoeideian, «luce radiosa», un arcano che l'arte medievale raffigurava come un'aura irradiantesi intorno al corpo di Gesù. Sarebbe irrealistico immaginare che la Chiesa, come corpo politico, potesse essere custode fedele ed efficace di quest'antica saggezza esoterica. Il fine esoterico che si nasconde dietro il mistero di Cristo è stato meglio conservato da alcune minoranze religiose che la Chiesa ufficiale ha perseguitato, avendone frainteso il messaggio. Le persecuzioni, che cominciarono nel XIII secolo, assumendo poi il volto odioso dell'inquisizione cattolica, costituirono il tentativo sistematico di cancellare le vestigia della sapienza segreta sopravvissuta nei gruppi «ereticali» quali gli Gnostici, gli Albigesi e i Templari.67 La Chiesa aveva dimenticato che esiste, in certe anime, il desiderio innato di accelerare il proprio sviluppo spirituale in una direzione che l'istituzione cattolica non ha più seguito.

Il neofita intraprende un percorso - quale è la Via del Ma tto - che si propone di rendere più rapido lo sviluppo naturale. Il concetto di accelerazione della natura ha senso soltanto se si crede nella reincarnazione: tutta la saggezza misterica si fonda sull'idea della rinascita da una vita all'altra. Nell'ordine naturale delle cose, alcuni poteri particolari di visione si acquisiscono soltanto nell'arco di più generazioni: è lo

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sviluppo che avviene in quella che potremmo chiamare la scuola della vita, che non richiede addestramento né disciplina o conoscenze esoteriche particolari. La stessa crescita si può però avere nello spazio di una vita o due attraverso un insegnamento speciale.

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Le tecniche di questo sviluppo accelerato, le tecniche iniziatiche, sono ovviamente molto antiche e senza dubbio sperimentate, e tuttavia l'accelerazione non è esente da pericoli. Possono, per esempio, verificarsi circostanze in cui l'ego in evoluzione sia portato a credersi in un certo senso diverso, sovraumano. Quando questo accade, l'adepto va facilmente incontro a un processo degenerativo, sotto l'influsso di quella malattia dell'anima che si chiama egoismo. L'egoismo è un'illusione nutrita dai demoni i quali, come si vedrà nella narrazione di Mark Hedsel, sono sempre in agguato per distogliere dalla retta via coloro che perseguono l'evoluzione spirituale.

L'esoterismo moderno insegna che in tutti gli uomini dimorano esseri spirituali indesiderati: chiamati con i nomi più diversi nel corso della storia, sono poi stati catalogati dalla Chiesa cristiana medievale sotto la denominazione generica di demoni. Nelle tradizioni esoteriche moderne questi demoni sono a volte definiti ombre o doppi. La parola «doppio», volgarizzata in qualche modo nella versione tedesca di Doppelgänger, resta comunque un'eccellente definizione. Il doppio è una sorta di copia oscura, talmente simile all'essere umano che lo ospita, da essere con questo scambiato e considerato come un'entità separata.

Sotto altri aspetti, invece, il doppio è totalmente diverso dalla persona in cui dimora. Un essere umano sano trabocca di energia creativa, è capace di felicità, dimostra sollecitudine verso il prossimo e voglia di aiutare: sono esattamente le qualità che si propone di sviluppare chi intraprende la Via, in particolare nei confronti di quanti lo accompagnano nel suo percorso. Il doppio oscuro, invece, non possiede alcuna di queste grandi qualità umane: non ha né calore né gioia, semplicemente perché non è umano. Questo essere-ombra è in realtà il residuo di una corrente di sviluppo molto più anti-ca, è un intruso nella vita umana: è quasi un parassita, che si intrufola di soppiatto nell'essere in cui prende dimora.

Il fatto è che l ego quando è malato è già di per sé isolato e freddo- non mostra né calore né interesse vivo per gli altri - e questo ne fa uno strumento particolarmente adatto per il doppio oscuro. Il doppio è molto intelligente, ma non ha calore umano, e come ogni altra cosa esistente nel cosmo cerca uno specchio in cui riflettersi.

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I metodi e le tecniche elaborati all'interno dei circoli esoterici per combattere il doppio oscuro sono altamente evolute e nessun adepto si sente libero di discuterne apertamente. Noi non ci proponiamo di farlo, ma ci limitiamo a indicare l'esistenza del doppio e a definire almeno in parte il ruolo che esso svolge nella vita degli esseri umani.

Chi ha imboccato la via dello sviluppo, prima o poi dovrà affrontare il proprio doppio dentro di sé. Raramente l'incontro è piacevole, come si vedrà dal racconto di Mark Hedsel.

La prima volta che lessi il manoscritto di Mark fu proprio la questione del doppio che trovai più difficile da capire. Tuttavia ne percepivo l'importanza, perciò mi risolsi a chiedere a Mark di spiegare meglio la sua esperienza.

«Capisco la tua domanda» mi disse. «Neppure chi si è trovato faccia a faccia con il doppio impara a conoscerlo fino in fondo. La prima volta che mi sono imbattuto nella mia ombra è stato molto traumatico: è stato come guardarsi allo specchio e non vedervi la propria immagine, ma quella di un mostro oscuro che scimmiotta te e le tue movenze. Era una copia più brutta e degradata di me stesso. Parlava con una voce vagamente simile alla mia e tuttavia era freddo e di-stante, totalmente egocentrico e senza il minimo interesse per gli altri esseri umani. Sembrava che dentro di me ci fosse un'altra persona, pronta a parlare e a giudicare al posto mio. Ma forse la cosa più sorprendente era la totale negatività di questo essere, il suo odio quasi patologico per la gioia e il calore.

«A mano a mano che cresceva la mia comprensione della creatura, cominciavo a capire perché i testi esoterici definissero il doppio naturale e innaturale a un tempo. È naturale perché dentro di noi tutti abbiamo un doppio; è innaturale perché, più che di un ospite indesiderato, si tratta di una sanguisuga che drena energie. E naturale perché partecipa alla nostra vita; è innaturale perché non è mi-nimamente interessato al nostro benessere spirituale e al nostro destino personale.

«Mi sembrava di avere al mio interno un vecchio pedante e rinsecchito, che aveva un'avversione indicibile per il mondo circostante e che tuttavia poteva impadronirsi della mia vita quasi a suo piacimento. La sua voce era arida e insieme piagnucolosa, ma mostrava un'intelligenza straordinaria:

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manipolava parole e concetti con molta più abilità di quanto avrei saputo fare io. Il vecchio, pignolo e morto, era molto abile e inventivo, ma non aveva la minima traccia di creatività.

«Curiosamente, è stato quando ho intravisto questa freddezza interiore che ho capito dov'è riposto il segreto della vita: in quella che posso soltanto chiamare "gioia creativa". Ho pensato a WilliamBlake, che aveva percepito il suo doppio - da lui chiamato Spettro - e aveva compreso che lo spirito interiore dell'uomo deve abbandonarsi all'espressione della gioia eterna. È qui che la Via dei Rosacroce - seguita da Blake - e la Via del Matto si intersecano: entrambe riconoscono nelle tenebre interiori il doppio e nella luce l'energia creativa.

«La visione del doppio, e la constatazione che sembrava non esserci mezzo di scrollarsi di dosso questo mostro, sono state un'esperienza terribile. Riflettendo in seguito su questa creatura, ho capito quanto fosse inappropriato chiamarla ombra, o anche doppio, perché l'essere che dimorava dentro di me era in realtà più consistente di un'ombra e troppo distante dall'umanità per essere un doppio umano. Sarebbe molto più giusto chiamarlo "il morto".

«È uno stadio di grande sofferenza quello in cui, percorrendo la Via, ci si rende conto di essere sempre e ovunque accompagnati da un morto, un morto astuto, che non vede l'ora di usurpare il tuo essére.»

Mark rise. «Ma se non altro ho accennato all'antidoto, che è la gioia creativa... Il fatto è che il morto è essenziale. Vedi, David, prima di poter salire in cielo, il Matto deve liberarsi del morto. È il processo che gli esoteristi chiamano scissione. È la separazione della luce dalle tenebre: perché ci sia evoluzione occorre che le tenebre cedano il passo alla luce, ma prima che questo possa verificarsi, luce e tenebre devono essere separate. Soltanto allora potrà avvenire la scissione.»68

Non appena smise di parlare, Mark parve perdere ogni interesse per il tema del morto, come se ritenesse opportuno non addentrarsi troppo nell'argomento. Era pensoso, e quando riprese il discorso nella sua voce c'era una serietà nuova.

«Se pensi a quante volte gli iniziati hanno infranto il voto del silenzio, è sorprendente che ci siano ancora segreti.»

«Alludi a Plutarco e Apuleio?» chiesi.69

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«Sì, e a Rabelais e Saint-Germain.»70

Feci un cenno di assenso, ma intanto mi chiedevo dove volesse andare a parare.

«Tutte queste rivelazioni, però, hanno una cosa in comune...»

«Quale?»«Si fermano tutte a un certo punto. Non arrivano mai al

cuore dell'iniziazione. Si trasformano in racconto, in intrattenimento. Certo, traboccano di simbolismi, di intuizioni e arguzie, ma restano pur sempre storie, ai confini del mito. Per qualche strano motivo non arrivano mai alla verità. Descrivono soltanto gli eventi esteriori, i riti, a volte forse quello che gli autori hanno provato come esseri umani du-rante l'esperienza dei misteri... Questi scrittori non avrebbero mai potuto dire quello che avevano appreso sul Segreto dei Segreti, non avrebbero mai potuto rivelare quello che davvero li avvinceva, li spogliava di tutto e li conduceva nudi nello splendore che sta al di là.»

Rise. «Ricordi? Quando a Lucio-asino viene improvvisamente restituita la forma umana, egli resta senza parole. Le tenebre dell'asino si sono dissolte e Lucio (il cui nome significa “colmo di luce") si è liberato dall'oscurità, è diventato umano, dimorando nello spirituale.Io che ci sono stato capisco perché Lucio sia ammutolito. Non ci sono parole per esprimere le esperienze più elevate, soltanto simboli. C'è un limite a ciò che si può dire con le parole. Quando si travalicano i confini della normalità e si vuole comunicare quello che si è visto, bisogna parlare con la poesia o con i simboli.

«Ma neppure il furore poetico può accompagnarci fino in fondo. Se si prosegue sulla Via della visione, anche le regole dell'arte cominciano a cedere il passo. Si può, come fa Dante, compiere voli di simbolismo poetico così sublimi da riuscire a trascinare anche il lettore più ottuso oltre la realtà quotidiana, nel mondo spirituale.71 Oppure si può, come fa Rabelais, cercare rifugio nel tono burlesco del buffone, fare il clown, usando un linguaggio arcano che solo pochi possono riconoscere come tale. Si può anche, come fa Mozart, pro-rompere in una musica così eccelsa che i suoi raggi di luce giungono ad altezze raramente sfiorate...72 Ma nonostante tutto c'è un limite oltre il quale l'arte non riesce ad andare.»

Eravamo seduti fianco a fianco al tavolo, con il manoscritto

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aperto davanti a noi. Mi girai a guardarlo negli occhi, in cerca di una spiegazione. Parve riluttante a parlare e, quando riprese, lo fece lentamente.

«Ora so qual è la verità. Non sono soltanto le parole che ti trattengono... Non è solo l'incapacità dell'arte di andare oltre un certo punto...»

Tacque per un istante, poi un delizioso sorriso gli illuminò il volto.

«Sì, so cos'è. La verità ce l'ha indicata l'arguto Rabelais, lui che ha esplorato fino al limite estremo la Via del Matto, lui che era così abituato a fare il buffone che riusciva a dire cose importanti soltanto con il potere della sua antica arte comica. Rabelais ha sintetizzato bene il problema. Ha rivelato la natura dell'ombra che cala sull'ini- ziato quando tenta di parlare.»

Il suo sguardo finalmente rispose al mio.«Rabelais, timoroso di rivelare involontariamente segreti

proibiti, ha detto: "Questa storia potrebbe suonare assai piacevole, se non avessimo sempre innanzi agli occhi il timore di Dio".»73

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Capitolo primo

Chi ha oltrepassato il portale più interno diventa alquanto diverso dagli altri uomini: trabocca di felicità, di gioia e di pace.

j.a. COMENIO, Il labirinto del monde e il paradiso del

ciioiv

In un libro dotto e divertente sui santi irlandesi, Hubert Butler racconta un episodio della vita di Sant'Odrano di Iona, che è in realtà una parabola iniziatica.1 San Columba voleva costruire una chiesa, ma si accorse che il luogo prescelto era infestato dai demoni. Venne a sapere che queste creature infernali potevano essere scacciate soltanto se là dove dimoravano fosse stato sepolto vivo un sant'uomo. Sant'Odrano si candidò a questo onore e fu accontentato. Passati tre giorni, Columba decise di dissotterrare Odrano per chiedergli notizie del cielo. Questi rispose che la morte non ha nulla di straordinario e che l'inferno è diverso da come lo si descrive. Udendo queste parole, Columba gridò: «Tappategli di nuovo la bocca con la terra, che non possa più cianciare».

Odrano aveva scoperto un segreto al quale nessuno voleva credere e per tutta ricompensa fu messo a tacere. Ma Columba, dal suo punto di vista, agì saggiamente tappando la bocca a Odrano, perché se la morte e l'aldilà non sono come li si descrive, allora molti insegnamenti della Chiesa sono sbagliati. La parabola, se la si considera nel contesto più ampio dell'iniziazione, è interessante, perché chi ha viaggiato nell'altro mondo - il mondo spirituale - torna di solito con visioni che risultano poco comprensibili agli occhi di chi quel viaggio non l'ha compiuto. Verrebbe voglia di dire che il mondo è diviso in due schiere di uomini: quelli che hanno visto e sono tornati, e quelli che non hanno visto nulla.

Nella Papua Nuova Guinea usano un'incantevole espressione in pidgin-English: dicono ples dniin, «quaggiù», per indicare la Terra, il pianeta su cui viviamo noi umani.

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Insomma, questo posto qui.2 Scrivendo ples daun assaporiamo tutta la delizia di questa lingua, noi che ci troviamo nella felice condizione di cogliere la differenza fra il ples daun e il mondo superiore, quel mondo spirituale che è la nostra vera casa. Gli antichi maestri indiani chiamavano il mondo inferiore maya, ossia illusione. Il termine sanscrito suggerisce che ciò che ci è familiare, il ples daun, altro non è se non un gioco di ombre, eseguito da marionette, un inganno dei sensi umani.

I misteri sono così intimamente connessi con l'altro mondo che è difficile parlarne o scriverne con le parole consuete: esse, dopo tutto, sono nate per comunicare e condurre scambi nel regno della materia. Per fortuna esiste un altro linguaggio - anche se ignoto ai più - per le questioni più elevate. «C'è» disse quel grande padre di tutti gli iniziati che fu l'egiziano Ermete Trismegisto «una lingua ineffabile e sacra, la cui descrizione esula dalle capacità umane.»3 È la consapevolezza di questa verità - ossia dell'esistenza di una lingua segreta più profonda - che spinge gli iniziati a mantenere il silenzio sulle cose più alte, sui misteri di cui sono stati testimoni.

Interrogato sull'iniziazione, l'adepto di solito saggiamente tace. Se decide di parlare, lo fa in termini poetici, o mitologici, perché il mondo superiore si presta a essere commentato in modo illuminante soltanto se ci si accosta con l'arte e con le immagini che sono connaturate alla poesia. La lingua segreta è una lingua creativa, fatta di immagini.

La differenza fra chi ha avuto questa, o un'analoga, visione e chi non l'ha ricevuta, è grande, e le scuole che controllano tali cose si sono sempre adoperate per regolare gli scambi intellettuali fra i due diversi gruppi di persone. Non è bene che quanti hanno visto al di là del velo parlino troppo apertamente con quanti sono ancora al di qua. A chi, grazie ai buoni uffici dell'iniziazione, ha visto ed è tornato, viene di solito imposto il voto del silenzio, perché parlare liberamente con persone forse incapaci di comprendere una visione più ampia potrebbe ingenerare grande confusione.

E questa la ragione per cui fino a tempi recenti quasi tutti coloro che aspiravano all'iniziazione dovevano prima promettere di non rivelare a nessuno i misteri che avrebbero appreso. A volte il giuramento prevedeva che se accidentalmente o per errore la regola fosse stata infranta, al neofita sarebbe stata strappata la lingua con tenaglie roventi. Non è una promessa che gli uomini e le donne, consapevoli del

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simbolismo racchiuso nei loro voti, fanno a cuor leggero.A noi, nessuno ha mai chiesto un simile impegno, eppure

siamo riluttanti a parlare di ciò che sappiamo. Non è per paura delle tenaglie roventi, né di ciò che esse rappresentano: il nostro timore è che, se non sceglieremo con cura le parole, rischiamo di fuorviare il lettore. Non possiamo rivelare tutto quello che abbiamo appreso, perché il linguaggio che serve a descrivere i misteri non è quello dei comuni mortali. Ma di alcune cose possiamo parlare, ed esse getteranno un raggio di luce su molti aspetti che, per gran parte dell'umanità, sono ancora avvolti nelle tenebre.

L'immagine del raggio di luce è quanto mai appropriata, perché ci ricorda la spada di fuoco, a doppia lama, che si dice sia a guardia della porta dell'Eden. Un grande mistico del XVII secolo, Jacob Boehme, chiamò questa luce Schrack, «lampo»: era la luce galvanizzante che seguiva la decisione di agire.4

Nella concezione di Boehme, lo Schrack era l'energia irradiata da Marte, pianeta duale, dotato insieme di lati positivi e negativi.5 Il suo lampo poteva illuminare o bruciare, e talvolta persino distruggere.

1tempi sono ormai maturi per una simile illuminazione, o combustione. Gli esoteristi sanno già da molti anni che quando il tormentato XX secolo si chiuderà, tanti degli antichi segreti dovranno essere svelati. Anche ora, mentre scriviamo, alcune scuole esoteriche studiano, conservano e insegnano qualche antico mistero che altrimenti andrebbe perduto nel vortice dei mutamenti che seguiranno. La metafora che viene subito alla mente è quella dell'arca.

La conoscenza segreta è protetta. Gli egizi - o forse i greci che ne studiarono la tradizione ermetica - sostenevano che il Grande Segreto era racchiuso nella storia di Osiride, risorto per mezzo della magia della sua sposa, Iside. L'immagine della dea nei templi era avvolta da veli che il neofita aveva la proibizione di sollevare.61 veli erano sette ed erano protetti da altrettanti sigilli magici. Per ogni velo che toglieva, l'iniziato che osava compiere un tale sacrilegio doveva pronunciare un nome magico. Gli archeologi trovano ancora oggi, nascosti fra le bende delle antiche mummie egizie, minuscoli scarabei e si meravigliano della superstizione degli antichi. Pochi sanno che gli scarabei sono il segno esteriore di incantesimi ancora potenti, anche se invisibili.

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Nelle scuole arcane vige la tradizione di assegnare al neofita giunto al primo stadio iniziatico un nome nuovo. Quel nome segreto esisteva prima che egli intraprendesse la via dell'iniziazione - ancora prima che egli comparisse sulla Terra - ma gli viene rivelato soltanto alla prima tappa del suo viaggio nella conoscenza esoterica. L'uso del nuovo nome e il modo in cui esso viene presentato al neofita variano da scuola a scuola. Alcune vietano di pronunciare il nome, in quanto cosa sacra: il divieto ha lo scopo di conservarne intat

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Capitolo primota la vibrazione, affinché essa possa acquistare forza. In questi casi soltanto il maestro e il neofita conoscono il nome. Altre scuole concedono al maestro la facoltà di rivelarlo ai compagni (cheine), ma soltanto al momento opportuno, perché le vibrazioni di un nome sono influenzate dallo spazio e dal tempo, e possono a loro volta influenzare lo spazio e il tempo. Se un nome viene pronunciato o ascoltato nel modo sbagliato, può essere frainteso o male accolto. Un nome che abortisce sarà privo di qualsiasi potere: non guarirà né guiderà.

Nei misteri «nominare i nomi» è un rituale magico importante, che viene celebrato con la stessa meticolosità con cui nei paesi orientali si conduce il rito di dipingere l'occhio di Buddha.7 Pronunciare il nome significa portarlo alla luce del giorno - nel mondo familiare dei sensi - e determinare nella persona nominata una particolare qualità di vita e un modo particolare di svolgere la sua ricerca. Quando a Parigi il maestro ci rivelò il nostro nome - il nome segreto- non fummo in grado di comprenderlo. Dopo avercelo svelato, il maestro ci disse di andarcene e di riflettere sul suo suono.

Il nome segreto che a quel tempo ci imbarazzò era «Idiota». Eppure il maestro, che era di origine slava, l'aveva pronunciato con un accento gutturale che lo rendeva esotico e accettabile a un tempo.

«Non dimenticare che la tua risonanza interiore è il tuo nome. È il nome che porti dentro di te. Il tuo nome interiore, Mark, è "Idiota". Devi meditare su questo nome. Devi individuarne il significato riposto. Soltanto così potrai scoprire la tua Via. La Via dell'idiota è molto particolare e antichissima.»

Dovettero passare diversi anni prima che cominciassimo a capireil significato di quello strano nome. Molti di più ne occorsero perché ci rendessimo conto che quel nome aveva permeato a tal punto il nostro essere da segnare il destino che si sarebbe dispiegato durante questa nostra vita.

Forse sarà bene raccontare come tutto ciò sia avvenuto.

Studiavamo da alcuni mesi in una scuola di Rochechouart a Parigi. Il nostro maestro era di origine slava, ma le sedute si tenevano di solito in francese. Come nella maggior parte delle scuole moderne, il metodo di insegnamento comportava lo sviluppo sistematico dei tre piani spirituali dell'uomo -

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L'iniziatol'eterico, l'astrale e l'ego - tramite esercizi particolari. Una volta alla settimana ci riunivamo a discutere di qualsiasi questione che riguardasse l'esoterismo e la nostra prepara-zione. Da qualche tempo noi del gruppo studiavamo la Lingua Verde (l'antico linguaggio degli alchimisti e degli occultisti), uno studio ciie ci coinvolgeva in un complesso gioco di suoni e di associazioni di parole.

Avevamo rivolto al nostro maestro una domanda su un vocabolo della Lingua Verde impiegata dall'alchimista Fulcanelli nel suo purtroppo breve cenno alla Festa dei pazzi che nel Medioevo si teneva ogni anno in Francia e in altre parti d'Europa.8 Fulcanelli fu uno dei primi, solitari occultisti a esplorare a fondo molte delle parole e delle immagini segrete ed esoteriche usate dai suoi confratelli medievali. La pubblicazione delle sue ricerche galvanizzò a tal punto le scuole esoteriche della prima metà del XX secolo che spesso è difficile discutere di alcune correnti ermetiche senza fare riferimento a Fulcanelli. Formulammo la nostra domanda con grande cura.

«Nel suo libro sul segreto delle cattedrali, Fulcanelli osserva die l'asino della Festa dei pazzi aveva un tempo percorso le vie di Gerusalemme. Dice che aveva calpestato quelle strade con il suo sabot. So che sabot significa sia zoccolo dell'asino sia calzatura di legnq, ma mi chiedo se la parola non abbia anche qualche significato arcano che faccia lume sulla Festa dei pazzi.»

11 maestro annuì. «Sì, sabot è una parola molto interessante. Ma per comprenderne il significato riposto occorre conoscere anche i segreti nascosti in quella replica pagana dell'entrata dell'asino a Gerusalemme che è la Festa dei pazzi, e il significato arcano dello stesso asino. In questa celebrazione anarchica, chiamata a volte anche Festa dell'asino, l'animale veniva sospinto oltre il portale della chiesa o della cattedrale, dentro la navata,9 in una oscena imitazione dell'ingresso a Gerusalemme. Nelle preghiere blasfeme che seguivano, i presenti anziché dire "Amen", ragliavano. Ciò potrebbe sembrare un sacrilegio, anche nel contesto della Festa dei pazzi in cui pure il dileggio e la licenziosità erano all'ordine del giorno. Ma noi dobbiamo porci un'altra domanda: quel sacrilegio aveva un significato arcano?

«In ebraico l'asino è hamor, e athon l'asina. Nella Bibbia, quando Zaccaria profetizza che il Signore arriverà in groppa a

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Capitolo primoun asino - profezia che si compirà con l'entrata di Gesù a Gerusalemme - egli usa la parola athon.10 L'ingresso di Gesù in groppa a un asino viene di solito interpretato come un segno di umiltà, della riluttanza di Cristo a presentarsi come re. Ma l'episodio può essere visto anche diversamente. Poidié in Palestina era proibito andare a cavallo (un divieto infranto, a quanto pare, da Salomone), l'asino godeva di una considerazione diversa da quella attuale: non era affatto ima creatura degradante, dal momento che se ne servivano anche i re e i ricchi (sia uomini sia donne), anzi, il termine "asina" nella forma plurale athona era spesso usato per indicare i potenti e i danarosi. È facile capire perché gli alchimisti (molti dei quali conoscevano l'ebraico, indispensabile per praticare la loro arte) si siano così entusiasmati alla storia dell'asino: nella loro Lingua Verde athona assomigliava troppo ad atanor, per non risvegliare il loro interesse. L'atanor era un forno ad alimentazione continua che gli alchimisti usavano per mantenere costante la temperatura: non sorprende quindi di vedere, in opere di alchimia, immagini alchemiche di Saturno o di "re" solari (che simboleggiano i gradi iniziatici) situate sopra i forni.

«Gli studiosi sono sempre stati in disaccordo sull'etimologia di "Gerusalemme", ma nella cabala, la legge esoterica degli ebrei, essa significa "fondamento di pace".11 Questa interpretazione ricorda l'importanza che veniva attribuita al tempio di Salomone, il quale si ritiene sorgesse in origine in questa città. L'asino, che durante il Fe- stum Fatuorum oltrepassava con il suo cavaliere la soglia della chiesa o della cattedrale, entrava in un certo senso a Gerusalemme, ossia nella pace. Ma quest'asino, che porta, per così dire, in groppa un'imitazione di Cristo, ha gli zoccoli, che in francese si chiamano sabots. Fulcanelli ha perfettamente ragione nel collegare sabot sia con Saba sia con Caba.12 Torneremo sulla prima parola fra un momento, per ora osserviamo che Caba rinvia al mistero della cabala, la tradizione esoterica degli ebrei.

«La terra di Saba è in realtà la terra dei sabei. Nell'antica Persia i sabei erano famosi maghi-astrologi, così potenti, che i maghi medievali usavano il loro nome come parola magica: e infatti "sabei" compare spesso sui sigilli e negli incantesimi (figura 12). L'idea del "potere magico" del nome "sabei" è filtrata anche nella mitologia medievale, tant'è vero che nella Legenda aurea, la regina di Saba, grazie al suo potere magico

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L'iniziatodi chiaroveggenza, riconosce in una tavola di legno, gettata come passerella su un fiume, la Croce di Cristo.13 Ma la cosa che qui ci interessa è che i sabei erano maghi famosi, e che la parola francese Saba con cui vengono indicati è molto vicina a sabots, "zoccoli" .

«Ma c'è dell'altro: Saba è molto simile a sabba, termine con cui si indicavano i convegni delle streghe:14 ancora oggi in francese faire un sabbat significa "fare un fracasso infernale". Espressioni come queste ci avvicinano all'esuberanza sfrenata che doveva caratterizzare la Festa dei pazzi.

«Siamo così arrivati a uno dei grandi segreti del Medioevo. La parodia della Chiesa - espressa nella pietra attraverso particolari come l'asino in abito talare, o in modo più effimero nelle rappresentazioni dell'annuale Festa dei pazzi - andava ben al di là della farsa. Alcuni iniziati, nel silenzio delle loro scuole, avevano da tempo capito che la Chiesa, abbandonato il suo fine esoterico, era diventata un organismo burocratico simile allTmpero romano. Furono questi iniziati a inventare, o comunque a ispirare, simboli segreti come quello dell'asino per attaccare una Chiesa troppo compiacente. In questo modo il frastuono del sabba veniva portato oltre i sacri portali della Gerusalemme simbolica, che avrebbe dovuto essere un luogo di pace, e si comunicava alla Chiesa che il suo andazzo non era passato inosservato. La domanda che questa festa anarchica poneva era: chi è il Matto? L'asino che porta Cristo oppure la Chiesa che ha cessato di portare Cristo?

«Tra i documenti iconografici più interessanti del periodo in cui la Festa dei pazzi era così popolare si trovano le filigrane riproducenti la figura dell'asino: in mezzo alle grandi orecchie dell'animale è inserita una stella a cinque punte (figura 13). Harold Bayley, studioso della materia, sostiene che questi segni appartengono alla lingua occulta di gruppi esoterici perseguitati dalla Chiesa: essi sono, dice, un'immagine dell'asino glorificato, iniziato, ossia dell'asino che ha riportato Mosè in Egitto e Cristo a Gerusalemme.

«E dunque anche le filigrane indicano l'esistenza di una via iniziatica asinina: è la Via del Matto, e a guidarla è una stella.15

«Di queste filigrane arcane ne esiste una serie che raffigura una testa d'uomo. La benda che gli copriva gli occhi gli è stata tolta ed egli guarda in alto con meraviglia (figura 14).

«Bene ha fatto Harold Bayley ad accostare questa immagine semplicissima alle parole del mistico

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Capitolo primoEckartshausen: "Soltanto Uno è in grado di aprire i nostri occhi interiori affinché possiamo contemplare la verità...". È tramite quest'Uno che "dalle nostre palpebre cadono i paraocchi dell'ignoranza...".16

«Vedi, Mark: è il Matto che sa di essere bendato. È il Matto che si mette in cammino per cercare la liberazione da questo stato. E alla fine è al Matto che verrà tolta la benda dagli occhi interiori.

«Ti interesserà sicuramente sapere, Mark, che l'idea di "togliere la benda" è contenuta nella radice greca della parola Idiota.»

A Parigi nevicava. Il colore plumbeo del cielo e lo sfarfallio delicato dei fiocchi di neve proiettavano una morbida luminescenza dentro la stanza, che era più buia e più intima del solito, forse perché il rumore del traffico era attutito.

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Il maestro era già entrato. Lo seguirono uno a uno tutti gli allievi del gruppo. Noi fummo fra i primi e andammo a sederci in terza fila: né troppo lontano, né troppo vicino. Sul tavolino accanto alla sedia del maestro c'era un libro. Il maestro doveva essersi accorto chelo sbirciavamo, allungando il collo per leggerne il titolo.

«Witkowski» disse, prendendo in mano il volume e tambureggiando con le dita sulla copertina. «Il viaggio illustrato di Witkowski attraverso l'arte pagana nelle chiese medievali.»17

Non disse altro finché il resto del gruppo non si fu seduto. Quando si fece silenzio, egli indicò il libro con un gesto della mano.

«Il grande alchimista Fu Ica nel li - al quale ho accennato più volte- fu affascinato da questo libro, e già solo questo sarebbe un buon motivo per guardarne le immagini. E sicuramente un volume molto utile per chi si interessa di sapere arcano. Chiunque compia un viaggio fra le chiese e le cattedrali di Francia dovrebbe portarlo con sé. Per essere un libro che si occupa di monumenti cristiani, è una guida all'arte pagana davvero originale.»

Intanto che parlava, il maestro cominciò a sfogliare il vecchio volume, con il volto raggiante di piacere.

«Adoro queste illustrazioni. Semplici incisioni, ma così stimolanti. Alcune immagini sono la prova che l'arte cristiana è stata completamente travisata dai moderni. Qualcuno oggi potrebbe pensare che la Festa dei pazzi, con tutta la licenziosità e il caos che la accompagnavano, costituisse un'eccezione, un ritorno a un'antica festività romana, un semplice imbarazzo per la Chiesa, un'isola inspiegabile di celebrazioni pagane in mezzo a un continente tutto cristiano. Ma non è affatto così. Le immagini profane che Witkowski ha raccolto nelle chiese e cattedrali d'Europa dimostrano come quello spirito che animava la festa fosse vivissimo nel Medioevo.18 La Festa dell'asino sgorgava da una forza vitale possente - una gioia primigenia - che è stata quasi interamente stravolta nell'era moderna, e che tuttavia sopravvive ancora, almeno in parte, nell'arte.«Gli antichi si accostavano all'arte in modo molto diverso dal nostro. Il loro approccio non era affatto intellettuale. Capivano, con una profondità spirituale per noi quasi incomprensibile, che la vera arte spalancava le porte del

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mondo spirituale. Questo lo sentono ancora oggi le persone con una vita spirituale profonda: si racconta che Picasso, nel suo studio, tenesse coperti con un telo alcuni dei grandi capolavori da lui acquistati, perché, diceva, erano troppo potenti. È questo il modo giusto di accostarsi all'arte. Le nostre pinacoteche e i nostri musei dovrebbero essere luoghi di meditazione e non luoghi di incontri chiassosi, perché l'arte vera è la sentinella del mondo superiore.»

Marilyn, seduta in prima fila, domandò: «Se l'arte, come lei afferma, riguarda le nostre emozioni più che l'intelletto, ciò significa che la capacità di capire l'arte va ricondotta alle nostre facoltà astrali?»

«Sì, è così. La domanda che vi dovete porre è: quale parte di voi entra in gioco quando osservate un'opera d'arte? Se guarderete soltanto con l'occhio fisico, non vedrete niente di prezioso. Forse riesco a spiegarmi meglio con la musica. Se ascoltate un capolavoro - per esempio il Triplo concerto di Beethoven - soltanto con l'orecchio, non sentirete quasi nulla. Dovete ascoltarlo con tutto il corpo. Il corpo deve restare perfettamente immobile, per farsi cassa di risonanza del corpo eterico e di quello astrale. Soltanto quando i tre corpi - fisico, eterico e astrale - si muovono all'unisono si comincia a godere della musica. La stessa regola vale per l'arte visiva. Ma quando si contempla un quadro è un po' più difficile dimenticare il corpo di quando si ascolta la musica.»

Marilyn intervenne di nuovo: «Questo approccio meditativo è connesso con l'esperienza estetica?».

«Sì. E anzi la fonte di ogni vera percezione della bellezza. L'esperienza estetica comporta una separazione nell'anima, in un certo senso una scissione, il distacco temporaneo dell'astrale dall'eterico. È un'esperienza di natura interamente spirituale, che nasce dal contatto con gli elementi segreti contenuti nelle opere d'arte. L'esoteri- sta Goethe, all'inizio del XIX secolo, era consapevole di questo elemento magico insito nell'arte: ecco perché sosteneva che non si dovrebbe mai parlare di un quadro o di una scultura se non avendoli davanti agli occhi.19 Se l'opera d'arte è assente, l'esperienza estetica non può avvenire, si può parlare soltanto della sua parte morta, ossia deH'immagine fisica, senza coglierne l'interazione con il piano eterico e quello astrale. E questa una delle ragioni per cui la storia dell'arte è così esanime e priva di senso: perché si occupa dell'aspetto fisico delle opere

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artistiche e non di quelli eterico e astrale, che sono vivi e ne costituiscono l'aspetto veramente magico.»

Maria, una ragazza molto carina che era seduta qualche fila dietro di noi, osservò: «Lei ha parlato più volte di schermi occulti, ma non sono certa di avere ben capito che cosa questo significhi in campo artistico. So che cosa sono gli schermi occulti, ma non vedo quale uso se ne possa fare in arte. Dopo tutto, un'opera d'arte la vediamo per quello che è. Non capisco come quello che vediamo possa costituire anche la maschera di qualcosa che non si vede.»

«Cercherò di chiarirti le idee mostrandoti un paio di esempi di grande scultura medievale.»

Il maestro prese il libro di Witkowski e l'aprì su due pagine che contenevano tre illustrazioni.

«Passatevele e osservatele mentre parlo.»Passò il libro a una giovane donna seduta in prima fila.«La xilografia a sinistra rappresenta una composizione

scultorea della chiesa medievale di St-Pierre a Moissac, nel Sud della Francia.20 Vi si riconosce una peccatrice, nuda, aggredita da creature che sembrano essere rospi e da serpenti. Un demonio la tiene per un braccio. L'immagine di destra proviene dallo stesso luogo e rappresenta due peccatori con sulle spalle due demoni.

«Un osservatore distratto potrebbe scambiare queste immagini per allegorie di peccatori all'inferno o in purgatorio, quasi esortazioni visive a non cadere nel peccato (figure 15 e 16).

«Una cosa deve essere subito chiara: gli scultori non intendevano raffigurare, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la vita all'inferno o al purgatorio. Le persone che vedete sono esseri umani normali, vivi, sono comuni peccatori. La donna aggredita dai serpenti è dissoluta, ecco perché i rospi mostruosi si interessano tanto alle sue parti intime e ai suoi seni, e perché il demone che l'afferra tiene il serpente in una posa così inequivocabilmente allusiva.21

«I due uomini con i demoni sulle spalle sono un'allegoria del peccato dell'avarizia: quello seduto, che tiene strette le borse con il denaro, è un avaro, che rifiuta l'elemosina al mendicante.

«Ma i due non sono all'inferno: entrambi sono ritratti in forma eterica e astrale. L'artista li denuda, ce li mostra come li vedrebbe chi possiede in alto grado il dono della chiaroveggenza ed è capace di percepire sui piani spirituali. I

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due uomini sono forme simboliche del corpo eterico e di quello astrale: un vero veggente riuscirebbe a vedere i rettili e i demoni odiosi che si sono impossessati di loro.

«La donna nuda non è all'inferno. È raffigurata come un essere vivo, benché quello scolpito non sia il suo corpo fisico. La sua anima, a causa della sua predisposizione a cadere in un certo tipo di peccato, è divorata continuamente da creature mostruose. Il suo corpo fisico può essere bello e attraente quanto si vuole, ma il suo corpo eterico - in conseguenza del peccato - è ottenebrato dai demoni che la divorano. Tuttavia l'immagine, lo ribadisco, non raffigura un peccatore all'inferno, bensì un corpo eterico malato qui, sulla Terra. È un corpo che ha un bisogno disperato di purificazione, di guarigione. Guardandolo, si capisce perché Paracelso chiamasse l'eterico "il corpo dei veleni".22

«La donna è nuda forse perché così il suo peccato, che è la lussuria, traspare con più evidenza. Ma la sua nudità, in così netto contrasto con le figure vestite degli uomini, ha anche un altro significato: indica che si tratta soltanto del suo corpo eterico, il corpo che gli artisti di Moissac avrebbero chiamato ens veneni, o vegetabilis.23 La donna ha le braccia alzate e con le mani si afferra i capelli: questo è il gesto dell'anima eterica. È lo stesso che compare nelle immagini cristiane dipinte o graffite sui muri delle catacombe a Roma, è l'atteggiamento chiamato "orans", della preghiera, alla cui origine c'è in realtà il geroglifico egizio ka:

«Tutti questi indizi non lasciano dubbi sul fatto che la peccatrice sia una persona viva, e noi abbiamo il privilegio di vedere lo stato del suo corpo eterico. Ecco dunque, Maria, un esempio di schermo occulto.

«Adesso osserva la seconda xilografia della scultura di Moissac (figura 16). Un veggente capirebbe subito che il mendicante si avvicina all'avaro sul piano astrale, e che a dirigere la transazione sono i demoni, i quali, in un certo senso, aggirano l'ego degli uomini. Si tratta di una transazione demoniaca, non umana. I demoni stanno in spalla ai due uomini, a dimostrazione che se ne sono impossessati. Non dimenticare die possessione deriva da una parola latina, che significa letteralmente "stare seduto su qualcosa".24

Quando, recitando il Padre Nostro, preghiamo Dio di non

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indurci in tentazione, diiediamo di trovare dentro il nostro ego la forza di resistere alle tenebre, che i demoni calano costantemente sul nostro corpo astrale.

«L'avaro e il mendicante, al contrario della donna dai facili costumi, sono vestiti. Questo in parte può dipendere dal fatto che lo scultore intendeva esprimere il rango sociale di ciascuno dei due: il primo è avvolto in panni laceri e ha una gamba nuda, mentre l'uomo seduto indossa abiti che ne testimoniano la ricchezza. Ma c'è anche un'altra ragione per cui le due figure sono vestite: gli indumenti indicano che sono rappresentate come se fossero a un livello successivo rispetto a quello eterico, ossia sul piano astrale, che a quell'epoca si chiamava animalis o ens astrale.

«Quegli abiti costituiscono di certo una forma di travestimento: nessuno dei due infatti ha le scarpe. In base alla simbologia arcana, questo significa che non sono sulla Terra materiale. L'elemento più

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"terreno" di questa immagine è la pesante borsa di denaro: è legata al collo dell'avaro, come una punizione, e pesa sulla sua anima, tirandola verso il basso. La sua funzione è la stessa del fagotto che il Matto dei tarocchi porta in spalla (figura 8).

«I demoni che si sono "impossessati" dei due uomini sono esseri astrali: le ali di cui è dotato quello di sinistra indicano che può volare sul piano astrale. Le corna dell'altro, a forma di falce, ci ricordano il legame dei demoni con la Luna. Ma come la donna non sa che il suo corpo eterico è divorato da mostri, così l'avaro ignora che il suo corpo astrale è oppresso dal denaro e dal demone che lo serra alla gola con le ginocchia. Non si tratta tanto di simbolismo, quanto di ciò che può essere percepito sul piano spirituale da chi ha occhi per vedere.»

Prese di nuovo il libro.«In questo splendido volume di Witkowski c'è un'altra

immagine che costituisce una sorta di omelia sulla natura dell'esoterismo e degli schermi occulti.

«A pagina 181...» sfogliò velocemente e poi porse di nuovo il libro aperto a un allievo seduto in prima fila perché guardasse la figura e quindi la passasse agli altri «troverete una xilografia molto interessante. È la riproduzione di una miniatura - conservata alla Bibliothèque Nationale Française - in cui è rappresentata la celebrazione di un battesimo (figura 17).25 Alcuni studiosi affermano trattarsi di San Giovanni che battezza Maria Maddalena, ma la cosa in sé non ha grande importanza. Nei primi secoli il battesimo avveniva per immersione totale, ed è per questo che la donna è nuda dentro una grande tinozza.26 Le onde sul pavimento non sono acqua che trabocca dal "fonte battesimale", come ci si potrebbe aspettare, ma indicano simbolicamente che il Battista è nel fiume Giordano. La donna, con le braccia alzate, compie esattamente lo stesso gesto eterico che abbiamo notato poco fa. Nella mano sinistra San Giovanni regge un libro - presumibilmente sta leggendo le formule rituali - mentre con la destra sfiora il capo chino della battezzanda. La scena, inutile dirlo, è iniziatica.

«Osservate il contrasto fra la pace e la compostezza della cerimonia e il tumulto che si è sollevato davanti al battistero. Sette uomini si azzuffano per sbirciare al suo interno attraverso fori e fessure: ma non è il battesimo che li interessa, bensì la donna nuda. Uno di loro è in un tale stato

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di eccitazione che sviene; un altro si strappa i capelli perché non riesce a spiare. Tutti sono travolti dalle loro emozioni astrali.

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«Se la composta scena interna è iniziatica, il disordine di quella esterna è sicuramente la rappresentazione dell'ordinaria follia del mondo. Quegli uomini sono incapaci di capire la natura spirituale dell'evento. Non vedono altro che i seni scoperti della donna: è come se guardassero la forma nuda di Iside, ma non ne cogliessero il senso interiore.

«L'immagine ci offre un quadro davvero straordinario del rapporto che i misteri intrattengono con il mondo normale. In un certo senso si può dire che l'iniziazione non è affatto nascosta. È vero che la porta del battistero è chiusa, come è giusto che sia. Nonostante la confusione all'esterno, dentro prosegue l'intenso rituale, il quale è come se si svolgesse in uno spazio e in un tempo diversi da quelli in cui vivono gli uomini che stanno fuori. L'analogia con la verità del-l'iniziazione è perfetta: l'iniziazione appartiene davvero a uno spazio e a un tempo differenti da quelli del mondo quotidiano, i cui occupanti non sono in grado di riconoscere non solo l'iniziazione per quello che è, ma neppure gli iniziati, anche quando li hanno proprio sotto gli occhi.

«Quei sette uomini sono incapaci di comprendere veramente quello che accade. Sono distratti dallo schermo occulto, ossia i seni e il corpo nudo della donna, che li risucchiano a livello astrale. Sono accecati dall'intensa passione, generata dal loro corpo astrale. Ognuno si autoacceca, probabilmente con uno dei sette peccati mortali che sgorgano da tale corpo. Se solo riuscissero a spostarsi su un altro livello, in una parte diversa di sé, più alta, le squame astrali cadrebbero dai loro occhi ed essi si renderebbero conto di assistere a un mistero, a un'iniziazione.

«Come questi uomini, anche i partecipanti alla Festa dei pazzi vedevano soltanto un somaro che, ragliando in modo sacrilego, veniva condotto in chiesa. Non scorgevano la saggezza nascosta dietro il velo dei simboli. Se soltanto quanti durante la Festa dei pazzi si comportavano come asini fossero riusciti a ritrarsi in se stessi per un solo istante e a ritrovare la pace interiore... se soltanto fossero stati capaci di trasferirsi in una parte diversa di sé, si sarebbero resi conto di assistere a un mistero profondo.»

Forse è davvero da idioti assumersi il compito di parlare dei misteri. Forse è sciocco, ma non bisogna dimenticare che etimologicamente la parola idiota si riaggancia alle eidos platoniche, ossia alle forme che stanno dietro il mondo fenomenico, e che attraverso il sanscrito è collegata anche

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con la luce lunare, un'ulteriore valenza che affiora nel termine etrusco idus, ormai sopravvissuto soltanto come riferimento a una specifica data: le Idi romane.27 In questo gli antichi erano più saggi: ritenevano che le idee, come una luce sottile, filtrassero fino a noi dal regno spirituale, che i loro semi non potessero essere germogliati spontaneamente nella mente di ciascun essere umano. Sapevano anche che occorreva qualcuno disposto a correre il rischio folle di spiegare queste cose agli altri.

Nella vibrante sezione finale dell'Asmo d’oro, è al tempo della Luna piena che Lucio - stanco di vivere i suoi giorni rinchiuso nella pelle dell'asino - rivolge una preghiera a Iside, la dea velata. È la preghiera che finalmente lo libererà dalla sua forma animale, restituendolo a quella umana. All'improvvisa metamorfosi Lucio si scopre nudo in mezzo a una processione in onore di Iside: il corteo avanza serpeggiando verso il luogo in cui si celebrano i riti di inizia-zione ai misteri isiaci. Apuleio intreccia dunque una parabola al suo racconto: l'asino, che era stato costretto a recitare la parte del matto, viene condotto dalla luce di Iside su un piano più alto del proprio io, che gli permette di spogliarsi del suo giogo bestiale. Lucio sente che non riuscirà mai a ringraziare a sufficienza la dea per un tale dono - «e non basterebbero neppure mille bocche e mille lingue, né un eterno instancabile flusso di parole».28

Già radicato in Grecia ai primi del IV secolo a.C., il culto di Iside fu sempre il più diffuso fra quelli dedicati alle divinità egizie, come Serapide e Anubis, in onore dei quali greci e romani eressero templi.I misteri di Iside si sono tramandati nella letteratura ermetica, nei miti sulla sua verginità e in quelli riguardanti il figlio Horus. Alcune delle immagini egiziane che raffigurano la dea con il figlio al seno (figura 18) o in grembo sono quasi identiche alle immagini e statuette successive della Vergine Maria con il bambino. La cosa forse è meno sorprendente di quanto potrebbe sembrare, se si considera che i misteri isiaci sono stati una preparazione all'avvento di Gesù e dei nuovi misteri della cristianità.

Poiché Iside veniva associata al Nilo, l'acqua costituì sempre un elemento importante nel suo culto; a Pompei, nel tempio a lei dedicato, protetto per molti secoli dalla lava del Vesuvio che lo aveva ricoperto, si riconosce ancora una

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cisterna che veniva riempita regolarmente con le acque del Nilo. E le feste isiache più importanti in Grecia erano le Ploiaphesia, che celebravano l'inizio della navigazione.29 D'altra parte il pavimento della chiesa, di cui la Vergine era protettrice, non si chiamava forse navata, termine che si ricollega alla navigazione? E dunque la vergine del mondo precristiano era imparentata con l'acqua, esattamente come la Vergine dei cristiani.

Proseguendo nell'affascinante racconto della sua iniziazione, Lucio narra come, dopo essersi spogliato della sua forma oscura di asino, egli venisse introdotto ai tre gradi dei misteri isiaci, conquistando l'alto rango di sacerdote nel collegio esoterico dei pastofori.

Lucio afferma di essere diventato un adepto di Iside alla vigilia delle Ploiaphesia e descrive dettagliatamente lo svolgimento di queste feste, rivelando anche alcuni particolari dei misteri proibiti. Ecco come racconta il momento dell'iniziazione nel tempio: «Arrivai ai confini della morte, posai il piede sulla soglia di Proserpina»: la sua «seconda morte» è uno stadio canonico nel processo iniziatico (figura 19).30

Al culmine estatico della sua esperienza, a Lucio è concesso di vedere quello che la letteratura esoterica chiama il Sole di mezzanotte. Rammenta, non senza tremore: «A mezzanotte vidi risplendere il chiaro fulgore del sole; mi avvicinai agli dei degli inferi e a quelli del cielo, e li adorai da vicino».31

Questo viaggio nel mondo spirituale sfiora il livello più alto dell'iniziazione, eppure Lucio confessa che in quell'occasione gli dei gli concessero altre grandi visioni e rivelazioni di cui non può parlare ai profani.

Aveva forse sollevato il velo di Iside?Quel velo ha tanto l'aria di essere un'invenzione letteraria:

definire Iside velata era un modo simbolico per rappresentare quella dea dei misteri, custode di segreti che non tutti potevano vedere e che nessuno doveva divulgare. Soltanto i suoi adepti potevano sollevare il velo. Ma anche il velo tanto famoso sembra sia nato da uno stravolgimento della parola greca peplos, che era incisa sulla statua della dea e significava «veste». Il monito iniziale aveva connotazioni anche sessuali, com'era prevedibile trattandosi di una dea bellissima: nessun uomo poteva guardare impunemente la sua nudità.32 E il Sole di mezzanotte non potrebbe essere un simbolo di Cristo - il

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nuovo dio del Sole Horus - allora invisibile a tutti tranne che agli occhi degli iniziati?

Con quali altri simboli si traveste questa dea potente? Consideriamo il mito medievale dell'unicorno, una creatura schiva, che non osa avvicinarsi agli esseri umani, i quali gli appaiono come alieni, lontani dalla luce delle stelle. L'unicorno prova stupore davanti alle cose del mondo, eppure è attratto dalla visione di una vergine immacolata, seduta su un poggio erboso. La vergine, bella oltre ogni dire, è protetta da ogni lato da soldati con la spada sguainata. Benché sia vero che in segreto i soldati la concupiscono, le loro spade sono tuttavia rivolte verso l'esterno, a difesa della vergine, perché a questo compito essi si sono votati divenendo servi di Marte. L'unicorno avanza timidamente e si inginocchia davanti alla vergine nella quale riconosce la Regina del cielo, la Vergine Celeste ammantata di stelle, che tiene fra le braccia un fastello di grano, simbolo delle messi di cui colmerà la Terra morente. L'unicorno posa il suo singolo corno nel grembo della Iside-Vergine innamorata, compiendo così l'atto cui tutti i soldati ambivano, ma che avevano avuto timore di compiere.

Il simbolismo del mito è trasparente a tal punto che non occorre neppure analizzarlo. I soldati impugnano la spada per tenere lontano il mondo esterno, mentre all'unicorno è spuntata una spada sul capo. Quel singolo corno è figlio delle facoltà immaginative.

Non sorprenderà forse scoprire che l'unicorno, la vergine Iside nelle sue molte forme, e le guardie compaiono in molte immagini alchemiche medievali, e anche nelle stampe popolari cristiane (figura20) . Uno studioso ne ha rintracciato oltre mille esemplari nelle filigrane tardomedievali, in un'epoca in cui simboli del genere erano tipici dei gruppi ermetici.33

Gli unicorni realizzati in filigrana - come gli ancor più famosi marchi sugli in folio - erano visibili soltanto in controluce (figura21) . Questo accentuava il significato arcano del disegno, perché la filigrana nascondeva la verità, ossia che la luce di Cristo avrebbe potuto rivelare tutti i segreti. La pratica della segretezza era piuttosto diffusa nel Medioevo. Persino gli alchimisti, che scrissero e pubblicarono migliaia di testi per illustrare la loro arte, accennavano di rado ai misteri di Iside: i loro segreti li riponevano in codici, sigilli e scritture cifrate

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che soltanto altri adepti potevano comprendere. Non rivelavano mai i segreti della loro arte ai profani, a quelli che avevano la spada sguainata.

Per gli estranei gli scritti e i disegni degli alchimisti sono lettera morta. Come tutti gli iniziati prima di loro, anche gli alchimisti hanno mantenuto il riserbo, hanno tenuto la bocca chiusa. Le tante pubblicazioni alchemiche non erano destinate a illuminare gli ignoranti: erano rivolte ai pochi sapienti. Analogamente alle chiese e alle cattedrali, che avevano un vestibolo esterno, il nartece, destinato ai catecumeni, e i «cori» o zodiaci sacri e persino cerchi della danza, riservati agli iniziati (figura 22), allo stesso modo i laboratori alchemici

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'f-v- ■ ¡ f ' : r . <Capitolo primo

avevano spazi riservati agli aspiranti.34 Questi erano luoghi d'Aria, cioè luoghi per ascoltare, leggere parole e studiare i segreti preliminari dispensati tramite l'elemento aereo. Soltanto dopo questo battesimo dell'Aria, il neofita poteva diventare zelatore, stare davanti al Fuoco e avere persino il permesso di contemplare il Fuoco Segreto del Sole nascosto.35

Ma prima che gli venisse concessa la visione più alta, egli doveva imparare a conoscere l'alchimia interna, che è la ricerca di quella prima materia - crittogramma di «Prima mater», una delle manifestazioni di Iside - da cui dipende il processo iniziatico.36

Nel frontespizio del libro di alchimia Arcana Arcanissima, che si propone di rivelare il Segreto dei Segreti a tutta l'umanità, Iside viene raffigurata con la veste lacerata sulla coscia, a simboleggiare che la dea è stata di nuovo denudata, ossia che i suoi segreti sono stati divulgati (figura 23). Molti dei disegni contenuti in questo testo nascondono il segreto dell'alchimia, che l'autore, il Rosacroce tedesco Michael Maier, definì appropriatamente aureum animi et corporis me- dicamentum, «aureo medicamento dell'anima e del corpo».37

Ma nessuno, che fosse ignaro della scienza segreta, avrebbe saputo quale interpretazione dare a queste rozze illustrazioni, in cui con curiose immagini si racconta l'intera storia dell'arte spagirica o alchemica.

Che cosa distingue dal resto dell'umanità chi ha contemplato le nudità di Iside? Spogliandosi della materia scura (o, com'è chiamata talora, materia nera) l'iniziato può contemplare la Prima mater, ossia Iside, che è la materia bianca. Egli, infatti, dicono gli alchimisti, si è spogliato del lato oscuro del suo essere, della materia nera che lo trattiene sulla Terra abitata dagli assopiti, vale a dire dagli schiavi della dea lunare, Selene.38 All'umanità si impone una scelta: o dormire con Selene, o svegliarsi con Iside. Una delle incisioni più belle prodotte dai laboratori alchemici del XVT secolo riporta un motto latino sul dovere per l'adepto di vigilare. È il suo compito principale: l'adepto deve restare sveglio, anche quando è immerso nel sonno naturale.39 Il segreto è tutto racchiuso qui, in questa ingiunzione, che ordina all'iniziato di non soggiacere all'influenza soporifera della buia Luna. Il vero alchimista, il vero iniziato, non deve ricadere nella condizione della moltitudine che dorme.

Ma torniamo al nostro ples dami. Siamo faticosamente usciti dal primo sonno (ci sono molti gradi di sonno) e abbiamo

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raggiunto la fase in cui ci è possibile vedere la differenza fra il mondo materiale e

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il mondo spirituale che aleggia al di sopra di esso, conferendogli la vita. Le cose non sono sempre state così. Un tempo confondevamo ciò che sta in alto con ciò che sta in basso: scambiavamo stupidamente la copia per l'originale. Poi, a mano a mano che la nostra comprensione è cresciuta, abbiamo cominciato a vedere in ciò che sta quaggiù il prodotto di ciò che sta lassù, il suo giocattolo. Abbiamo percepito l'alto come un luogo al di fuori del tempo - eterno, nel senso originario del termine greco - e il basso come impaniato nel tempo o, per dirla con i mistici orientali versati nella conoscenza del potere segreto dei suoni, come maya. Di questo rapporto abbiamo trovato conferma negli antichi libri, dove l'abbiamo trovato espresso come una verità nei disegni arcani. Ne abbiamo scoperto la raffigurazione perfetta nelle incisioni del teologo e mistico del XVIII secolo William Law, in cui il mondo quotidiano dei sensi è l'outworld, il mondo che sta al di fuori, sotteso da quello spirituale (figura 24). Qui la trinità superiore dello spirito proietta verso il basso la dualità delle tenebre e della luce, dalla cui polarità nasce l'outworld in cui dimora l'umanità.40 Il disegno riprodotto mostra la creazione dello spirito e della materia, che Law saggiamente rappresenta in termini alchemici come materia scura, simbolo del pies daun.

Anche noi, come l'occultista William Blake, che di Law fu avido lettore, siamo stati deliziati da questo termine outivorld, che è il ples daun. Quando ci siamo imbattuti in questa parola per la prima volta, vi abbiamo colto una sfumatura di quell'aria aliena che è propria del regno materiale, appeso, come una marionetta ai suoi fili, al mondo spirituale, forse poco più che una proiezione dei nostri fragili sensi umani. Quell'outivorld era un luogo remoto, una landa crepuscolare, in cui lo spirito si sentiva stranamente degradato e solo.

Poi un giorno si verificò quello che sognavamo da anni. Accadde, e sconvolse tutto ciò che credevamo di sapere. Ci fu concessa un'esperienza che scosse i nostri convincimenti più radicati sulla natura del reale. Grazie a quell'esperienza capimmo che lo spirito e la materia non sono polarità, bensì aspetti differenti della stessa cosa. E ci accorgemmo che la via che scende e quella che sale sono identiche, come aveva affermato il tre volte grande maestro ermetico, Ermete Trisme- gisto.41 Come Lucio nell'Asino d'oro potè ricordare con esattezza dove e quando si era svegliato dal suo incubo

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asinino, così a noi fu dato ricordare il nostro risveglio: in un'officina a sud di Ferrara, nel 1961.

Tutto cominciò in un luogo remoto e desolato in vai di Susa, nell'Italia nordoccidentale.

La Sacra di San Michele è quel che resta di un vasto complesso monastico un tempo importante centro di cultura e commerciale sulla strada per la Francia. Sorge in cima a un monte, di cui asseconda la ripidezza con una gradinata che dall'ingresso conduce ai terrazzi superiori e alla chiesa. Al primo terrazzo si sale lungo il cosiddetto Scalone dei morti, una scalinata asimmetrica e ripida che, affiancata da tombe e immagini di morte nella parte iniziale, termina con un arco istoriato con le immagini delle stelle: la scala è dunque metafora dell'ascesa spirituale dalla morte terrena alla vita celeste. Il simbolismo è perfetto nella sua semplicità, eppure non era nelle intenzioni degli architetti che costruirono la Sacra di San Michele. L'arco infatti venne eretto alcuni secoli dopo la fondazione del monastero: fu trasferito qui pietra su pietra dal battistero, che un tempo sorgeva fuori della cinta muraria e che ora è andato interamente distrutto.

I bassorilievi con le stelle, sotto cui bisogna passare per accedere alla chiesa, sono fra i più affascinanti d'Europa. Probabilmente furono realizzati a partire dall'XI secolo e alcuni indizi sembrano suggerire una loro derivazione dall'astrologia araba.42 La Sacra di San Michele è un luogo strano: è la testimonianza di un periodo in cui l'islam, il cristianesimo e l'antico mondo pagano si incontrarono per un breve momento prima che l'Europa sprofondasse di nuovo nel suo abituale schema di fratricidio e guerra. Quassù un monastero- fortezza celebrava il connubio di due diversi ideali religiosi: qualche decennio dopo il suo completamento, in altre e più cupe fortezze sarebbe risuonato il fragore delle armi, quando la potenza dell'islam avrebbe cominciato a minacciare, e in parte a inghiottire, il cristianesimo medievale.

Sul lato sinistro dell'arco sono scolpite undici immagini zodiacali: undici, anziché le dodici canoniche, perché lo Scorpione e la Bilancia sono fusi in un unico simbolo, appunto uno scorpione che stringe fra le chele una bilancia (figura 25). Era questa la forma modificata in cui le antiche immagini dello zodiaco, provenienti dai testi dell'astronomo romano-alessandrino Tolomeo, furono trasmesse agli architetti che

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costruirono le prime cattedrali romaniche.Sul lato destro compaiono quindici raffigurazioni delle

costellazioni. Quasi tutte sono identificate dal nome inciso sulla pietra: si tratta di esemplari probabilmente unici nell'arte lapidaria europea.43 Forse le immagini furono copiate da un'edizione araba dei Phenome- na, il poema sulle costellazioni scritto da Arato nel III secolo a.C. Purtroppo, però, i disegni del manoscritto originale sono andati perduti: l'unica cosa di cui si può essere certi è che questi bassorilievi risalgono all'humus culturale dell'antichità classica.

Attratti dal messaggio arcano, avevamo visitato la Sacra di San Michele varie volte, così spesso da indurre i nostri amici a pensare che fosse diventata per noi un'ossessione. Perché, ci domandavano, trascorrere tanto tempo a studiare quelle poche immagini dell'Xl secolo? Allora non sapevamo che risposta dare. Alla Sacra di San Michele raramente incontravamo qualcuno con cui discutere di questi simboli arcani e delle idee esoteriche in essi racchiuse. Però, a volte, sulla spianata sotto il monastero sostavano, con nostra gioia, famiglie che facevano allegramente merenda all'aperto. Qualcuno si avventurava anche per la Scala dei morti e girovagava intorno alla grande chiesa. Pochi tuttavia sembravano incuriositi dalle immagini cosmiche scolpite sull'arco e nessuno sembrò mai accorgersi degli interrogativi che esse ponevano. La cosa non mi sorprese: i simboli erano stati ideati da qualche scuola massonica segreta ed erano ispirati a una conoscenza arcana che li rendeva incomprensibili persino agli studiosi.

L'ultimo mercoledì di aprile del 196144 avevamo accettato di tenere una lezione a un gruppo di allievi di una scuola d'arte americana sul significato arcano delle immagini astrologiche, cui premettemmo una breve storia del simbolismo zodiacale e delle costellazioni dalla classicità fino al periodo medievale.

Alla fine della lezione ci si avvicinarono due giovani donne, Rachel e Christobel, chiedendoci se ci fosse qualcosa di simile alla Sacra anche a Verona. Ci dissero che avevano in programma di trascorrere un paio di settimane di studio in quella città a metà del mese successivo. Noi accennammo al contenuto esoterico della grande porta in bronzo della basilica di San Zeno, aggiungendo che se martedì 5 settembre si fossero trovate davanti alla chiesa, avremmo potuto parlare un poco del mistero che si nasconde dietro gli splendidi

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bassorilievi del portale. Consigliammo loro anche di fare una puntata a Padova, per vedere gli affreschi zodiacali nel grande Salone, e di trascorrere una giornata a Venezia per esaminare le immagini planetarie e zodiacali raffigurate sui capitelli della facciata del palazzo Ducale.

Tutti questi eventi accadevano nel mondo esterno, nell'outworld, nella nostra vita non segreta. Erano, per così dire, ombre proiettate dalla luce intensa in cui vivevamo. Eppure a quell'epoca il nostro mondo interiore era in subbuglio. Avevamo dedicato molto tempo allo studio delle figure astrologiche della Sacra di San Michele, ma non eravamo riusciti a trovare una sola risposta alle importanti domande che tali immagini suscitavano nella nostra anima. Non ave-vamo scoperto a quale scopo fossero state scolpite e perché non fossero entrate a far parte del repertorio dell'architettura romanica. Quelle immagini delle costellazioni non comparivano in altri monasteri, chiese o cattedrali: sembravano esistere soltanto alla Sacra di San Michele.

Nessun architetto del tempo pareva essersi accorto del loro significato arcano e nessuno le aveva più utilizzate. Avevamo solo un unico, tenue indizio per capire perché mai quelle immagini fossero state scolpite nella Sacra di San Michele: un singolare manoscritto, vergato in codice. Mentre conducevamo le nostre ricerche negli archivi della Biblioteca Vaticana sulle origini di quei simboli zodiacali, avevamo scovato un documento che sembrava promettente: conteneva il nome dello scultore, un certo Nicolaus.45 Quel nome era piuttosto comune nel XII secolo e non eravamo riusciti a collegarlo a nessuno degli scultori o astrologi noti dell'epoca. E tuttavia ndn avevamo dubbi che il nostro Nicolaus fosse un iniziato, perché nella disposizione delle immagini cosmiche, sebbene non fossero più nel luogo d'origine, si percepivano i segni del simbolismo e del potere esoterici. Ma nonostante tutti i tentativi fatti, l'identità di Nicolaus restò un mistero. Trovare la chiave per svelarlo divenne una vera mania.46

C'era un'unica cosa che sospettavamo Nicolaus avesse scritto, ma anche quella era un'enigma. Nel documento che ne tramandava il nome c'era un lungo, sibillino periodo in uno sgrammaticato latino medievale, che riuscimmo faticosamente a leggere, ma il cui significato ci sfuggiva. Nel testo sembrava esserci qualcosa che non capivamo.47

Dovevamo rintracciare le fonti letterarie da cui provenivano le

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parti più chiaramente leggibili del manoscritto. Finché non fossimo riusciti a individuarle, il codice sarebbe rimasto un enigma, così come sarebbe stato impossibile risalire all'identità di Nicolaus.

Quel giorno alla Sacra di San Michele ci sentivamo sull'orlo di una crisi. È ancora vivissimo in noi il ricordo dello stato d'animo in cui ci trovavamo quando ci sedemmo sul muretto del terrazzo più alto, affacciato sulla vai di Susa. Seduti con le braccia strette intorno alle ginocchia, contemplammo la splendida vista; poi aprimmo il cuore al mondo spirituale. Spiegammo che non ce la facevamo a risolvere il problema del codice di Nicolaus da soli. Avevamo tentato tutte le strade a noi note, e ora non ci restava che affidare la questione agli angeli. Se dovevamo procedere oltre, avevamo bisogno d'aiuto. Se questo non ci fosse stato concesso, ci saremmo lasciati alle spalle, irrisolto, il mistero della Sacra.

Quasi subito si avvicinarono a noi Rachel e Christobel e ci chiesero se sapevamo qualcosa sulle sacre porte di San Zeno a Verona.

Quel martedì pomeriggio, quando parcheggiammo l'automobile nella piazza davanti a San Zeno, Rachel e Christobel erano accanto a uno dei leoni marmorei che stanno a guardia del portico della chiesa. Fummo sorpresi di vederle, perché avevamo accennato solo vagamente a un incontro, e questo quasi due settimane prima; inoltre, sono così tante le bellezze dell'Italia settentrionale che possono tentare un viaggiatore facendolo deviare dal suo itinerario! Qualche istante dopo eravamo già sotto il portico ed esaminavamo le splendide formelle della porta bronzea.48 Era un pomeriggio caldo, soffuso di quella piacevole indolenza che si coglie in quasi tutte le piazze italiane, eppure in quell'aria pigra percepivamo un'attesa, come se stesse per accadere qualcosa di importante.

Per qualche istante guardammo in silenzio i pannelli: sotto i raggi del Sole i bassorilievi si stagliavano nitidi in mezzo alle ombre.

«Di che periodo sono?» chiese Christobel.«Alcuni del XII, altri del XIII secolo.»«Come quelli della Sacra di San Michele?»«Sì. Forse la Sacra è un poco più antica.»«Ci sono elementi astrologici?» domandò Rachel.«Non ovvi» replicammo. «Ma che ne dite di quello?» e

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indicammo uno dei pannelli.«È un'acrobata?»«No, non direi. È Salomè che danza.» Capivamo perché

Rachel avesse pensato all'acrobata. Salomè, presa dal desiderio di compiacere Erode, si contorce fino a formare un cerchio. Con una mano si afferra un piede e lo tira verso la testa, danzando, quasi letteralmente, in tondo (figura 26). «Osservate come la testa sfiori i piedi. Questa è astrologia. O almeno, astrologia medievale.»

«Perché?» la voce di Rachel era dubbiosa.«Ogni parte dell'essere umano è collegata con una parte del

cosmo.»Avremmo voluto avere davanti l'immagine medievale

dell'uomo zodiacale per illustrare i segni che governano il corpo umano, mentre spiegavamo: «La testa è sotto il segno dell'Ariete, la gola del Toro... i piedi dei Pesci. Perciò la testa e i piedi sono governati dai due punti estremi dello zodiaco (figura 27). Nel cerchio zodiacale i due segni si toccano: i piedi dei Pesci incontrano la testa dell'Ariete. Sa- lomè imita lo zodiaco, unendo il passato dell'Ariete al futuro dei Pesci.49 I primi cristiani eseguivano danze sacre, nel corso delle quali cercavano di sintonizzare il corpo con i movimenti dei pianeti. Questa è vera astrologia.»50

«Salomè sembra un pesce» osservò Christobel.«Sì, anche questo fa parte del simbolismo. In un certo

senso, Salomè è un pesce. Guardate.» Indicammo un punto sulla destra del pannello. «Ecco di nuovo Salomè, con il capo reciso del Battista. Lei è il pesce, e San Giovanni è l'Ariete: un altro simbolismo cosmico.»51

«Ci sono pesci in diversi punti» osservò Rachel. «Guardate, persino sulle foglie.» Quelli di alcune formelle sembravano quasi disegni astratti, con foglie e rami fra cui si annidavano uccelli e pesci.

«Sì.» Annuimmo, sorridendo. C'erano due pesci sotto due uccelli e formavano una croce. «Forse vi meraviglia vedere i pesci sugli alberi, come nei racconti biblici, ma non sono stati messi lì semplicemente per stupire. Le foglie e i rami sono un simbolo medievale per quello che noi oggi chiamiamo l'eterico,52 ma che lo scultore avrebbe probabilmente chiamato quintessenza.»53

«Il quinto elemento?»«Sì. L'elemento invisibile che tiene uniti gli altri quattro,

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senza il quale regnerebbe eterna discordia nel patto fra le cose.» Eravamo scivolati, senza accorgercene, nelle citazioni poetiche.54

«Quella stessa quintessenza di cui ci ha parlato alla Scala dei morti?» domandò Rachel.

«Proprio quella.55 Se osservate bene, vi accorgerete che in realtà l'intero pannello è un'allegoria del quinto elemento. Gli uccelli sono l'Aria, i pesci l'Acqua, le piante la Terra e l'orifizio a forma di fiamma fra gli uccelli e i pesci è il Fuoco.56 Al centro del fuoco ci sono le radiazioni cosmiche del quinto elemento.»

«E pensare che credevo bastasse conoscere la Bibbia per capire l'arte cristiana» disse con una smorfia Rachel.

Scoppiamo tutti e tre a ridere, più che altro per l'espressione buffa comparsa sul viso di Rachel. «Eppure anche la Bibbia ha livelli di simbolismo ancora inesplorati.» Pensieri sulla complessità delle metafore delle Scritture ci attraversarono come un lampo la mente, ma non volevamo fare discorsi troppo complicati con le due ragazze. Tuttavia, una o due cose era forse il caso di spiegarle.

«Non tutti i bronzi sono in realtà di ispirazione biblica; alcuni sono basati sulla Legenda aurea, una raccolta di miti, leggende e mezze verità sulla vita dei santi, trascritta da Giacomo da Varazze più o

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meno nello stesso periodo in cui furono scolpite queste porte. La formella con San Zeno che pesca racconta proprio un episodio della Legenda aurea.»

«Ma per lo meno qui il simbolismo è cristiano» osservò Christo- bel, che, essendo una credente convinta, era stata visibilmente turbata dalle immagini pagane della Sacra di San Michele.

«Se ti interessa il simbolismo cristiano, guarda quella crocifissione. Osserva come il Sole irradia la sua luce verso l'esterno. La testa al centro di quel cerchio è quella di Michele, l'arcangelo del Sole.»

«E chi è l'angelo sulla Luna?» domandò. La figura alata spuntava dalla falce di Luna, con le punte rivolte verso l'alto, come una barchetta (figura 28).

«È Gabriele, l'arcangelo della Luna. La Luna sovrasta la mano destra di Cristo e il Sole la sinistra. La Luna a barchetta è il simbolo dell'Acqua, mentre il Sole è il simbolo del Fuoco. Sono le due forze opposte del cosmo: nella concezione medievale il fuoco sale, mentre l'acqua scende. E tuttavia il mistero cristiano consiste proprio nel «miracolo» del fuoco che scende. Guarda: c'è un punto in cui la luce del Sole assume la forma di un'ala, si distacca dal disco solare e si posa sulla corona di spine di Cristo; questo significa che Cristo, benché crocefisso e morto, è ancora vivo. È vivo nella quintessenza.»

«Se non ricordo male» disse Christobel, «ci fu un'eclisse al momento della Crocefissione.»

«Sì, le tenebre oscurarono la faccia della Terra perché il Sole si era spento, o comunque qualcosa era accaduto. Gli artisti sono sempre stati affascinati dal significato simbolico dell'incontro fra il Sole e la Luna, in particolare nei dipinti che hanno per soggetto la Crocefissione. In questo pannello la luce ricompare in una forma più elevata, come corpo di Cristo. Il Sole-zodiaco proietta la sua luce su Gesù in croce, affinché, per suo tramite, l'umanità possa fruirne. Esiste un nesso fra questo simbolismo e quello dell'Ariete e dei Pesci contenuto nel pannello di Salomè. Nella Crocefissione la luce piove sul capo di Cristo e i due uomini ai lati della croce sfiorano i piedi di Gesù con i loro piedi. È la stessa allegoria dell'Ariete e dei Pesci. In termini strettamente cristiani è un commento ai primi versetti del Vangelo di Giovanni.»

«E i due uomini? Uno ha in mano uno strumento di tortura. Chi sarebbe?»

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«È Nicodemo. Ha le tenaglie. Con quelle strapperà le unghie dalle mani di Cristo.»

«E l'altro, quello che cinge Cristo con le braccia?»«Quello è Giuseppe d'Arimatea, che accompagnerà Gesù

nel sepolcro. È lui che, secondo la leggenda, ha portato in Inghilterra il Graal e l'ha sepolto a Glastonbury. Il suo piede tocca quello di Cristo. Di nuovo i Pesci. Indicano che Giuseppe d'Arimatea è diventato pescatore di uomini sotto la guida di un Pesce. Diversi secoli dopo la realizzazione di questa porta, William Blake scrisse poesie ed eseguì disegni sul tema di Giuseppe d'Arimatea (figura 29). Blake sapeva cogliere i simbolismi nascosti, e nel racconto della sepoltura di Cristo percepì un significato molto profondo.37 Era convinto che Giuseppe fosse in segreto un discepolo di Cristo e fosse poi giunto fino in Inghilterra, portando con sé il Graal, che aveva sepolto su un colle, così come aveva sepolto il corpo di Cristo in una caverna nella roccia.»

Le due ragazze osservarono la porta con rinnovato interesse. Rachel cominciò a contare i raggi del Sole. Erano ottantotto, come le fiamme del cerchio di fuoco del Signore della danza, Shiva.58

Christobel a sua volta contò i pesci sparsi nei vari pannelli. Arretrammo di qualche passo e restammo a guardare. Era affascinante vedere un'opera esoterica irradiare la sua influenza e trasmettere i suoi simboli arcani ancora dopo tanti secoli.

Appena prima, mentre parlavamo, avevamo notato un uomo allampanato, pantaloncini e camicia a scacchi aperta sul collo, con la faccia cotta dal Sole e un sorriso cordiale. Si aggirava nei dintorni, abbastanza vicino per ascoltare le nostre parole. In spalla aveva un grosso zaino sul quale era cucita una bandiera a stelle e strisce. Chissà se sapeva che quella bandiera era un simbolo segreto e che le strisce rappresentavano il pies daun, mentre le stelle bianche erano i cieli? E sapeva che sulla porta davanti a noi c'era, come sul suo stendardo, una stella a cinque punte - la stella di Betlemme - e che quella stella era un geroglifico sacro egiziano?

L'uomo indugiò per qualche istante sugli scalini del portico, poi all'improvviso se ne andò prendendo verso nord e ben presto scomparve alla nostra vista.

Christobel riportò l'attenzione sulla porta. Indicò la

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formella in cui compariva un uomo dalla lunga barba in groppa a un asino (figura 30).

«È Cristo che entra a Gerusalemme?»«Gli assomiglia molto, ma in realtà è Mosè che torna in

Egitto in cerca dei suoi fratelli. Il bastone che ha in mano è la bacchetta magica con cui ha compiuto i miracoli davanti al faraone.»59

Christobel andò a esaminare il pannello più da vicino. «Nel rotolo di pergamena che ha in mano non c'è scritto nulla.»

«È vero. Ma per un osservatore del XII secolo sarebbe stato ovvio che l'ingresso in Egitto di Mosè profetizzava l'entrata di Gesù a Gerusalemme, avvenuta anch'essa sopra un asino.»

La ragazza annuì. «È un'immagine iniziatica?»«Per quelli che sanno, sì. L'entrata a Gerusalemme è il

ritorno a casa, così come lo era, in fondo, il ritorno in Egitto: nella tradizione arcana l'esoterismo occidentale era il risultato della fusione di idee ebraiche ed egizie. È questo che "profetizza" il ritorno di Mosè. Ma l'immagine ha anche un altro significato, che riguarda la redenzione. Mentre Cristo non ha bisogno di redenzione spirituale, l'asino che lo trasporta si trasforma al contatto con il Salvatore. Gerusalem-me è il simbolo del mondo spirituale, la cui soglia può essere varcata dagli iniziati. Neppure una sciocca creatura quale è l'asino può oltrepassare le sacre porte senza essere toccata dallo spirito.»

Christobel rimase in silenzio per un poco, poi osservò: «Troppo spesso dimentichiamo che il cristianesimo è nato dall'unione di antiche credenze ebraiche ed egizie».

Concedemmo a questa acuta osservazione il silenzio che meritava, annuendo.

«Le porte di San Zeno sono l'unico esempio di arte esoterica esistente a Verona?» chiese la donna.

Soppesammo la domanda per qualche istante, sorridendo al ricordo di un altro asino, poco lontano.

«Posso farti un indovinello?»Christobel annuì con entusiasmo. «Come gli oracoli?»«Sì. Nell'antico battistero, che ora si chiama San Giovanni in

Fonte, accanto al duomo di Verona, c'è un fonte battesimale monolitico, di forma ottagonale. Alcune sue parti furono probabilmente scolpite da Brioloto, che, attivo fra il 1189 e il 1220, eseguì anche alcune delle sculture della facciata di San

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Zeno. Su ognuno degli otto lati del sacro fonte c'è un'immagine cristiana. Sul lato quasi di fronte alla porta è raffigurato Cristo che, in groppa a un asino, fa il suo ingresso a Gerusalemme... Bene, entrando in chiesa osservate l'arco sovrastante la testa dell'asino; è stato modificato, l'unico fra i quaranta del fonte battesimale. Ora io mi chiedo: perché? Perché su quell'arco Brioloto avrebbe dovuto scolpire un gatto con un topo in bocca?»60

La mia domanda le aveva incuriosite e dopo qualche istante Rachel e Christobel si misero in spalla lo zaino e imboccarono via Procopio, dirigendosi verso San Giovanni. Probabilmente non ci saremmo più incontrati. Le due ragazze, seguendo il nostro consiglio, sarebbero partite qualche ora dopo per Venezia per studiare i misteri astrologici racchiusi nella facciata del palazzo Ducale.

Forse non avrebbero mai saputo che il mondo spirituale le aveva usate come strumenti per portare fino a noi quell'uomo dalla camicia a scacchi aperta sul collo. Come l'arco giocava a gatto con il topo con la testa dell'asino, così il mondo spirituale giocava con noi.

Era tempo anche per noi di lasciare Verona. Tornammo all'automobile e ci dirigemmo verso Ferrara per rivedere ancora una volta gli affreschi astrologici più interessanti del primo Rinascimento italiano.

Entrammo a palazzo Schifanoia da via Scandiana, attraverso un portone che sicuramente era il meno maestoso di tutti quelli dei palazzi italiani.61 Mi sembrava incredibile che un ingresso così modesto conducesse a un tesoro qual era la stanza con gli affreschi dei Mesi. Come tante altre immagini arcane in Italia, anche queste vengono chiamate in modo improprio: non si tratta affatto della Rappresentazione dei mesi, bensì dello studio dei tre mondi interpenetranti della materia, dell'anima e dello spirito, unificati da un oscuro tema astrologico.62 Purtroppo non tutti gli affreschi si sono conservati; quelli sopravvissuti63 sono distribuiti in gruppi di tre sulle pareti. La rappresentazione di ciascun «mese» è a sua volta tripartita: la fascia superiore presenta il trionfo degli dei associati al mese, quella centrale i segni dello zodiaco con le relative personificazioni astrali e quella inferiore la vita umana rappresentata attraverso personaggi contemporanei del pittore cui sono attribuite alcune parti

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della decorazione: Francesco del Cossa.64

La sala dei Mesi fu probabilmente chiamata così perché il disegno ermetico della fascia centrale ha per tema i dodici segni zodiacali che venivano comunemente associati ai mesi. Anch'essa è suddivisa in tre sezioni verticali, non contrassegnate graficamente: si tratta di un espediente artistico per rappresentare i decani secondo quello che era considerato l'antico metodo egizio, la cui memoria era so-pravvissuta nell'astrologia medievale.65 In base a questo metodo, ogni arco dello zodiaco veniva suddiviso in tre sezioni identiche, chiamate talora «facce» e talora «decani» e caratterizzate da immagini specifiche.66 Esistevano diverse tradizioni per stabilire il pianeta governatore di ognuna di queste sezioni, ma in ogni caso venivano utilizzate tre distinte figure come simbolo di tali divisioni.67 Se ne può vedere un esempio nella rappresentazione delle tre «facce» dei Pesci nella figura 31. Sono le immagini appartenenti a questa tradizione che compaiono nella fascia zodiacale degli affreschi.

11 «mese» che stavamo osservando era in teoria dedicato a marzo. La fascia centrale raffigura infatti il capro dell'Ariete. Due simboli dei decani sono rispettivamente davanti e dietro l'animale in corsa, mentre il terzo lo sovrasta (figura 32).

Nella fascia superiore è dipinta una complessa scena mitologica, che ha al centro Minerva in trionfo sul suo carro: la dea della sapienza acquistò poi il carattere guerriero, ed è probabilmente per questo che è stata associata all'Ariete, segno dominato dal pianeta Marte.

La fascia più bassa degli affreschi raffigura il mondo terreno. In alto, a sinistra, il duca Borso dispensa la giustizia, una delle azioni associate all'Ariete. Più sotto, sempre a sinistra, lo si vede andare a caccia in sella al suo cavallo, con levrieri e falconi: la caccia è il diletto di Marte e dell'Ariete.

Purtroppo la parte inferiore della fascia, essendo la più facilmente raggiungibile, è quella che nel tempo ha subito i danni maggiori, conseguenza dell'abbandono e dell'incuria subentrati con la decadenza di Ferrara; per un certo periodo palazzo Schifanoia fu addirittura adibito a laboratorio per la lavorazione del tabacco e, benché fossero stati intonacati, gli affreschi furono rovinati daH'improprio uso quotidiano che fu fatto della sala dei Mesi.

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L'organizzazione degli affreschi in tre sezioni si ripete identica in quelli dedicati a settembre, o meglio al segno della Bilancia con i suoi tre decani. A interessarci in particolare era la fascia più alta, quella mitologica, perché vi si vede Vulcano, il dio che portò l'alchimia fra gli uomini, su un carro trainato da scimmie. Chissà se i pittori che l'avevano affrescato sapevano che la presenza di questi animali rinviava alla letteratura ermetica di Thot, il dio dalla faccia di scimmia (figura 51)? A sinistra del carro gli alchimisti battono il ferro sull'incudine, forse un'allusione al nome Ferrara, il luogo in cui si lavora il ferro.68 A destra ci sono due figure coperte da un lenzuolo che, se non fosse d'argento, potrebbe essere scambiato per un sudario (figura 33). Pare che dormano, ma non è affatto così: sono Marte e Ilia che si stanno amando, e dalla loro passione nascerà una nuova civiltà. La bella veste azzurra e bianca della ninfa è delicatamente distesa accanto al letto, mentre Marte, meno rispettoso delle cose materiali, ha gettato a terra l'armatura. I due amanti sono senza vesti (ossia privi del corpo fisico) a significare che si trovano nel mondo più alto, ossia quello spirituale. Marte, che è un dio, non dovrà discendere ai livelli più bassi del pies daun, finché non sarà di nuovo preso dal desiderio di congiungersi con una donna. Ilia invece, che è umana, dovrà tornare sulla terra firma, e per il suo peccato verrà punita con la morte.

Il segreto di questa coppia di amanti è raffigurato sul lato opposto del carro di Vulcano, dove si trova uno scudo. Sembra una porta verso lo spazio. Sullo scudo è dipinta la lupa che allatta Romolo e Remo. La ninfa adagiata nel giaciglio sta allora concependo, sotto la guida esperta di Marte, i due gemelli, e diventerà la madre dei leggendari fondatori di Roma.

Come suggerisce il tema dell'affresco, questo concepimento è un'alchimia spirituale: è la nascita dello spirito che fa da contrappunto all'alchimia più materiale dei fabbri sull'altro lato del carro. Anche il drappo argenteo che avvolge i due amanti ha un valore simbolico: è l'argento delle stelle, più che un metallo. Ilia era una delle vergini vestali, cui era proibita la conoscenza carnale, e Vulcano era al servizio di un fuoco esoterico.69 Racconta il mito che dopo la nascita illegittima dei gemelli il fratello Amulio gettò Ilia insieme ai figli nel Tevere: i gemelli si salvarono

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miracolosamente, ma'lei annegò.I fabbri a sinistra battono il ferro sull'incudine. Ma su che

cosa poggia l'incudine? Sembra una pietra nera. Quasi sicuramente è il lapis niger che ricorda la tomba del fondatore di Roma. Non sorprende che una simile pietra compaia in un simbolismo alchemico: forse indica la morte o la scissione di cui la morte non è che un segno - il ritorno dello spirito nei regni dello spirito. E intanto Vulcano, trainato da una coppia di scimmie e circondato da altre scimmie, sette in totale, 70

osserva dall'alto questa dovizia di simboli ispirati alla sua arte del fuoco.

Ci eravamo accostati il più possibile agli affreschi per osservare da vicino i ritratti dei compagni del duca, che si trovano nella fascia inferiore. All'improvviso, con la coda dell'occhio, notammo l'americano che avevamo visto davanti a San Zeno a Verona. Non aveva più lo strano zaino, ma quel suo sorriso aperto l'avremmo riconosciuto ovunque. Ci scambiammo uno sguardo d'intesa. Con un gesto circolare della mano, indicò gli affreschi della sala e con un lampo divertito negli occhi osservò laconico: «Non c'è da annoiarsi, qui!».71

Rispondemmo con un sorriso per dimostrargli che avevamo colto l'allusione.

Si avvicinò a noi e ci sfiorò il braccio. «È stato magnifico a Verona. Non avevo mai sentito nessuno parlare di simbolismo arcano così, in pubblico» disse con aria sicura di sé, come se non lo sfiorasse neppure il dubbio che la sua conversazione potesse non essere gradita, e ci tese la mano. «Richard Dayton» si presentò.

Gliela stringemmo: benché ci guardasse fisso, non c'era alcun simbolismo segreto nel suo gesto.

«Si occupa di queste cose?» domandammo.«Di solito quando spiego di che cosa mi occupo, tutti

scappano.»«Provi a dirlo.»«Insegno all'università. A Colonia. Studio i codici medievali.»Alzammo senza volere lo sguardo verso Vulcano, maestro

delle arti ermetiche. Era lui la risposta alla nostra preghiera alla Sacra di San Michele? ci domandammo. Era trascorso meno di un mese da quando avevamo chiesto aiuto al mondo spirituale, ed ecco che gli angeli sembravano già offrirci una soluzione. «Credo che dovremmo parlare» dicemmo.

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«Con piacere. Ferrara sembra intrisa di segreti fino al midollo.»

Richard Dayton passò con noi molte ore quel fine settimana. Stare con lui era una gioia: aveva una conoscenza straordinaria della letteratura medievale e dei sigilli. Naturalmente gli mostrammo una copia del testo di Nicolaus, ma, dopo un'ora o giù di lì, ammise di non riuscire a venirne a capo.

Ci domandò se avevamo provato a decifrarlo applicando i codici di Gioacchino da Fiore, il grande monaco del XII secolo, che amava nascondere le verità mistiche dietro numeri, lettere e parole segrete.72 Annuimmo. Avevamo cercato di leggere i versi in chiave di sette e di tre, e a invertire l'ordine delle lettere dell'alfabeto greco, l’alpha e Yomega. Tutto inutile. Ormai ci eravamo convinti che quel testo misterioso non si sarebbe arreso alle complesse manipolazioni medievali.

Cenammo insieme per l'ultima volta in un ristorante di piazza Castello, con vista sugli alberi e i fiori dei giardini. Durante il pasto Richard osservò che uno dei sigilli del codice, sicuramente una M, era identico a quello di un verso latino vergato sul timpano del duomo di Verona. Disegnò la lettera sul mio taccuino: Cfl In base alle leggi non scritte di codifica, la M era intercambiabile con il segno zodiacale del Leone.73

«Ma c'è dell'altro» disse con aria meditabonda. «Le prime tre parole del codice mi sembrano stranamente familiari.»

«X o XI secolo?» domandammo, sapendo die la data era cruciale.

«X secolo, sospetto. Mi pare di averle lette nella raccolta di liriche di Helen Waddell.» Cominciò a citare in latino, con il suo strano accento americano: «Ego fui sola iti sylva, Et dilexi loca secreta...». Poi assunse un tono più prosaico e tradusse: «Fui sola nelle selve e amai i luoghi nascosti...».74

«Ma queste sono le prime parole del codice!» esclamai.«Esattamente.» Sorrise con aria soddisfatta.«Luoghi nascosti...» riflettemmo. «L'inizio perfetto per un

codice cifrato.»«Se è una citazione, si può supporre che tutto il testo sia

composto da citazioni.»«Credo che sia questa la ragione delle prime tre parole.

Indicano in quale chiave leggere il testo latino.»«Non è molto, ma se non altro è un primo passo.»

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Come avevamo potuto essere così ciechi, sprecare tutto quel tempo cercando di applicare i codici numerologici medievali e le trasposizioni alfabetiche? Quelle prime tre parole latine indicavano chiaramente che tutto il testo andava diviso in sezioni separate.

«Sono sette versi: potrebbero essere i sette pianeti» suggerimmo.

Richard annuì. «È un'ipotesi plausibile, soprattutto se il codice ha a che vedere con i segni zodiacali e con le costellazioni.»

«Ma certo» ammettemmo.Più tardi, salutato Richard, tornammo in albergo. Ma non

riuscimmo a prender sonno. Quelle tre parole continuavano a comparirci davanti: finalmente avevamo un indizio, per quanto vago.

La mattina dopo, venerdì 22 settembre, partimmo da Ferrara appena si fece giorno. Era tempo di tornare in Inghilterra, dove ci attendevano diversi impegni. Il 25 dovevamo essere a Londra. Giunti alla periferia della città, mentre imboccavamo la statale per raggiungere l'autostrada, la macchina si fermò. La cosa ci sorprese: l'avevamo fatta controllare poche settimane prima a Firenze e poi, nono-stante gli anni, la nostra vetusta automobile non ci aveva mai tradito. La spingemmo al bordo della strada e chiedemmo a un passante dove fosse il garage più vicino. L'uomo fece un cenno dietro le nostre spalle.

«Non poteva scegliere un posto migliore per rompersi, la sua automobile» rise. «Ci penserà il vecchio Faccetti. Faccetti è un mago dei metalli.»

Fra le molte migliaia di iniziati ai misteri che proliferavano nell'antica Roma e i cui nomi ci sono stati tramandati, ne spiccano in particolare due per quello che hanno detto sull'iniziazione. Entrambi sapevano di cosa parlavano, perché erano adepti di grado molto elevato. Ma in comune avevano soltanto questo; per il resto si trovavano ai poli opposti della vita romana qual era nei primi, affascinanti secoli dell'era cristiana, quando la nuova sapienza misterica di Cristo cominciava a confluire nell'alveo dell'antica saggezza delle scuole pagane. Uno era Vettio Valente, l'altro Flavio Claudio.

Valente era un astrologo del I secolo d.C., un uomo niente affatto eccezionale. Eppure, per una delle tante bizzarrie che

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caratterizzano la storia, toccò proprio a questo iniziato trasmettere all'Occidente talune forme di oroscopo: alcuni temi natali da lui calcolati, e sfuggiti alle devastazioni del tempo, sono fra le più antiche testimonianze di oroscopo che l'Europa possegga.75

Flavio Claudio fu invece il protagonista del mondo romano della sua epoca e contribuì a eventi i cui riflessi si fanno sentire ancora oggi. Nel 355 d.C. Costantino lo chiamò a Roma da Atene, dove studiava filosofia pagana. Al suo arrivo gli affidò le lontane e turbolente regioni della Britannia e della Gallia, dove Flavio Claudio si trasferì. A poco a poco, grazie alla sua personalità austera e al coraggio esemplare, conquistò i soldati al suo comando a tal punto da essere proclamato Augusto. Quasi contro la sua volontà - e sicuramente obbedendo alle necessità delle scuole arcane del momento - egli diventò il personaggio più influente del mondo antico. La sua storia successiva non ci interessa qui, ma il solo fatto che sia più noto come «Giuliano l'Apostata» che come Flavio Claudio è di per sé eloquente: il suo istintivo paganesimo lo spinse a introdurre a Roma un movimento anticristiano in un periodo in cui il messaggio di Cristo aveva già messo radici.

Che cosa, dunque - a parte l'essere entrambi iniziati - accomuna il modesto astrologo Vettio Valente e Giuliano l'Apostata? Un identico atteggiamento verso i misteri. Degli scritti di Vettio Valente ci resta ben poco, ma in una sua lettera egli rimpiange di non essere vissuto nei tempi andati, quando gli iniziati si occupavano della scienza sacra dell'astrologia. Erano, dice Valente, tempi in cui «il chiaro etere parlava loro direttamente, senza travestimenti, senza nascondere nulla, in risposta al loro profondo scrutinio delle cose sacre».76

Giuliano l'Apostata era uno scrittore di talento, che, contrariamente a Vettio Valente, lasciò dietro di sé una grande mole di scritti, in gran parte giunti fino a noi. Fra i suoi appunti ci sono alcuni commenti sull'astrologia che riecheggiano - invero quasi alla lettera - i sentimenti di Vettio Valente. Giuliano distingueva fra due tipi di astrologia: una è quella che «fa ipotesi plausibili osservando l'armonia delle sfere visibili», ossia è un'astrologia pratica; l'altra, invece, è l'astrologia dei misteri, quella che, dice Giuliano, «insegna tramite le divinità o tramite potenti demoni». La stessa

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astrologia segreta che Vettio Valente aveva associato all'etere, Giuliano la legava agli dei che nell'etere dimorano.77

L'etere, che i filosofi successivi chiamarono a volte quintessenza, non è un'invenzione dell'immaginazione febbrile delle scuole. L'etere è tutt'intorno a noi, anche ora. L'enigmatico carboncino di Leonardo conservato alla National Gallery di Londra ed erroneamente chiamato La Vergine e Sant'Anna col Bambino e San Giovannino è tuttora immerso nell'etere, come lo sono la stessa National Gallery, l'autobus rosso che sferragliando corre per la via davanti alla pinacote-ca, e i cieli inquinati al di sopra. L'etere è ovunque, e tuttavia non tutti lo vedono. Occorre aver sviluppato una vista particolarmente acuta per scorgere nel bagliore del Sole le luci danzanti e le esplosioni grandi come la capocchia di uno spillo.

La Terra non ha le parole adatte per descrivere l'etere. Gli antichi artisti indiani avevano ideato forme grafiche per ciascuno dei quattro elementi - il Fuoco, la Terra, l'Aria e l'Acqua - e raffiguravano l'etere con il semplice simbolo di un cerchio. Qualche volta al suo interno tracciavano dei puntini per indicare che il cerchio era pieno.

Quando invece il cerchio era vuoto, uno zero, non si sapeva con certezza se l'etere fosse racchiuso in quella piccola circonferenza oppure stesse al suo esterno, in tutto il cosmo. Chi aveva disegnato quel sigillo sapeva sicuramente che anche la linea della sfera era un'illusione, era maya, perché l'etere non può essere né contenuto né circoscritto.78

Noi avevamo già visto l'etere varie volte. La visione di questa luce in movimento, che non possiamo descrivere con le parole terrene, non è una rarità. Molti di quelli che si sono incamminati sulla Via fanno questa esperienza. Non così i profani, che possono vedere l'etere soltanto in circostanze eccezionali.

L'etere non ci era dunque sconosciuto, eppure quel giorno il suo potere magico ci sembrò ancora più bello del solito, mentre danzava sopra il motore della nostra veneranda automobile sportiva; l'anziano Faccetti l'aveva accolta con gioia, perché aveva una predilezione per le vetture vecchie. Ci

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accorgemmo della sua competenza dal modo in cui sollevò il cofano: sapeva con esattezza dove cercare il gancio d'apertura e dove fissare l'asta metallica. L'automobile era in buone mani.

Le vibrazioni dell'etere cominciarono adagio, ma poi crebbero rapidamente. Capimmo che ci trovavamo in un punto dello spazio e del tempo in cui si apriva una porta d'accesso al mondo spirituale. Raramente l'etere si era rivelato senza essere invocato. Nessuno può aprire quella porta di sua spontanea volontà, perciò sapevamo che stava per accadere qualcosa di importante.

Il vecchio meccanico mise mano al motore e ne estrasse la testata, rotta, del carburatore. In un italiano gutturale, che capivamo a fatica, disse: «Eccola qui la colpevole. È rotta, spacciata» disse.

La parola rotta ci fece sorridere: proprio mentre eravamo sulla soglia dell'etere, un italiano usava una parola segreta dei misteri, che, come sostengono alcuni studiosi, è l'anagramma di farai, «tarocco».

«Ci vorrà qualche giorno» proseguì. «Forse bisognerà ordinare il pezzo in Inghilterra. Non è un'auto propriamente nuova, e per di più è straniera.» Lo disse con gentilezza, senza ironia. La nostra macchina era davvero vecchiotta.

Non potevamo rimanere ancora a Ferrara. Bisognava che l'automobile venisse riparata subito. Le forme eteriche danzavano in tale profusione intorno al motore che ci sentimmo particolarmente sapienti. Ancora oggi non riusciamo a capire come mai sapessimo della «polvere», dal momento che non eravamo mai stati in quell'officina. Forse a suggerircelo fu l'eterico. O forse fu Minerva, che proteggeva quel simbolo alchemico dell'Ariete d'oro.

«Non c'è bisogno di ordinare il pezzo in Inghilterra... Sullo scaffale dell'officina... sul terzo dal basso... c'è una polvere speciale. Va bene per incollare il carburatore.»

«Polvere? Che polvere? Non servirà a niente. È roba da matti.»

Ancora una volta, senza saperlo, il meccanico, con la sua allusione alla follia, era scivolato nella lingua dei filosofi.

«Glielo garantisco, funzionerà.» Forse nel tono della nostra voce c'era qualcosa di particolare, qualcosa di magico, perché Faccetti, il cui dito mignolo ne sapeva di più di macchine di tutto il nostro corpo, andò in officina e dopo qualche istante

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tornò sorridendo.«Non funzionerà» ripetè, agitando verso di noi il sacchetto

della polvere. «Non funzionerà di sicuro.»Le luci danzavano ormai con una tale intensità che ci

allontanammo dalla macchina, lasciando che il meccanico eseguisse da solo i suoi incantesimi. Ci sedemmo in fondo al cortile su uno chàssis rovescia to e prendemmo il nostro taccuino. Poi, mentre sulla punta della matita le scintille continuavano a danzare come le fate di Blake, ci accadde di decodificare l'antico testo di Nicolaus.79

Su quel cortile colmo di luce era calato il silenzio, benché tutt'intorno aleggiassero i rumori delle strade periferiche intasate dal traffico.

«E così, questo codice ha conservato il suo segreto per ottocento anni?» meditammo. Poi, quasi tremando, ponemmo una domanda alla quale mai prima avevamo pensato. E non ci avevamo pensato perché ci sono domande che non trovano risposta sul piano materiale.

«Chi era Nicolaus?» chiedemmo al Silenzio.Allora, per la prima volta in vita nostra, sentimmo la voce di

quel- l'Essere superiore. Non era una voce come quelle che si odono sulla Terra, perché traboccava di una saggezza serena, di una certezza che non si addice a questo mondo. Qualsiasi cosa avesse detto, sarebbe stata vera. I libri indiani parlano di un uccello favoloso, ì'hamsa, il cui canto di ineffabile bellezza si dice possa essere udito dagli esseri umani nei momenti salienti della loro vita spirituale: ecco noi ora sentivamo il fruscio delle sue ali.80

«Chi era Nicolaus?» avevamo domandato. E di rimando giunse la risposta che mai ci saremmo aspettati, ma che, per l'innegabile autorevolezza della voce, sapevamo essere vera.

«Tu» disse la voce. «Tu eri Nicolaus...»

Per molto tempo - se un'esperienza del genere può essere collocata nel tempo - restammo seduti in silenzio, mentre intorno a noi era tutto un turbinio e un'esplosione di luci. Le visioni che ci erano concesse erano innegabili e arricchenti: avrebbero di certo cambiato la nostra vita. Chinammo il capo in segno di accettazione, consapevoli che non avrebbe potuto essere altrimenti...

Poi quell'alta voce ci disse altre cose - non in risposta alle nostre domande, perché non avevamo più domande di fronte a quella saggezza straordinaria. Alcune delle cose che ci

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vennero dette in quel momento - nel momento che T.S. Eliot chiama «il momento senza tempo» -81 trasformarono la nostra vita, ma non hanno alcuna rilevanza in questo racconto.

La voce si ritrasse senza salutare, senza neppure l'atteso triplo Vale.62 La danza delle luci si addensò in una foschia, come gocce di rugiada, nella quale riconoscemmo la magica ros degli alchimisti, che era anche una rosa sfavillante, con il cuore di luce.83 Attraverso la lieve bruma della luce danzante brillarono gli occhi color rame del meccanico, che ci guardava ridendo.

«Ha funzionato! Non l'avrei mai detto. La polvere ha funzionato!»

«Lei è un bravo meccanico» dicemmo, cercando di concentrarci di nuovo sulla Terra. Sapeva di essere un alchimista, che aveva partecipato alla metamorfosi di un'anima?

Faccetti aveva ragione. La polvere aveva funzionato. La riparazione, anziché richiedere giorni o settimane, si era trasformata in un'operazione alchemica di poche ore, grazie alla maestria della magica polvere, l'Azoth. Non appena, usciti dal garage in retromarcia, ci ritrovammo di nuovo sulla strada, la prima cosa che facemmo fu prendere dal cruscotto le effemeridi che davano la posizione dei pianeti in quel giorno. Scorremmo velocemente le tavole e schioccammo la lingua: il cosmo, inutile dirlo, rispecchiava la nostra esperien-za terrena. La Luna, che governa i viaggi e le mutazioni, era in opposizione al nefasto Urano: era esattamente nella posizione lunare del nostro oroscopo natale.

L'automobile ci riportò in Inghilterra come se quell'uomo le avesse messo le ali. Durante il viaggio riuscimmo a liberarci dall'ossessione del codice della Sacra di San Michele e a trovare un nuovo punto di equilibrio interiore da cui partire per affrontare altre sfide esoteriche.

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Capitolo secondo

Anche la passione che ho rivelato a te e agli altri nella danza in tondo, la chiamerei un mistero.

CRISTO a Giovanni dopo la Passione, Atti di Giovanni

Raccontano i miti greci come Teseo, dopo avere ucciso il Minotauro a Creta, facesse vela verso l'isola sacra di Deio, portando con sé Arianna e alcuni dei giovani e delle vergini ateniesi che aveva salvato. Raggiunta la terra ferma, Teseo e i compagni si diedero'a una danza che riprendeva nei suoi movimenti le intricate sinuosità del labirinto da cui erano fuggiti.1 Quella danza era un'espressione di gioia traboccante, una celebrazione della fuga o il segno di un substrato esoterico legato al mito del labirinto?

Plutarco, che la descrive, la chiama «danza della gru», perché, dicono i critici, i danzatori ne imitano i movimenti. Eppure la danza labirintica di cui Plutarco parla non assomiglia affatto a quella di un uccello.2

Plutarco era, lo dice egli stesso, un iniziato e pertanto era abituato a celare le proprie verità ricorrendo alla Lingua Verde, per sviare i non adepti. La parola che egli usa per definire la danza ègeranos: che essa non abbia qualche altro significato, sfuggito agli interpreti? È un'ipotesi plausibile, dal momento che in greco geraneion indicava una sostanza alchemica.

In realtà non è necessario setacciare i documenti dell'arte spagiri- ca per trovare un significato più idoneo alla «danza della gru»: il termine greco, infatti, oltre a denotare quella che gli ornitologi chiamano la Crus cinerea, indicava anche la comune gru, la macchina usata per sollevare i pesi, una leva meccanica. I danzatori di Deio, che festeggiavano la vittoria sul Minotauro, ballavano forse con movenze tali da essere sollevati al di fuori del corpo fisico, verso le stelle?È una domanda tutt'altro che peregrina, poiché proprio questo

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lo scopo precipuo di alcune danze rituali, come indicano chiaramente i volteggi dei dervisci sufi, che ruotano in tondo per diventare tutt'uno con Dio e conquistare la quiete interiore. In Italia, come vedremo, esistevano scuole esoteriche di danza molto prima che i sufi introducessero le loro evoluzioni.

I disegni complessi tracciati dal vero danzatore non saranno per caso lo specchio del movimento cosmico, di quella che gli antichi bramini indiani chiamavano la danza di Shiva, divinità che rappresentava le forze generatrici nelle religioni vediche? I discepoli dell'iniziato Pitagora consideravano la danza un tentativo di riprodurre il moto dei pianeti e delle stelle, attribuendole uno scopo che è identico a quello che si propone la vera meditazione.3

Un documento, definito «il più raro dei manoscritti occulti»,4

descrive il viaggio che un neofita, librandosi al di fuori del corpo, compie nello spazio: racconta dunque costui di avere goduto per un istante del dono di innalzarsi sulla superficie della Terra. Dapprima egli viene sollevato da una guida invisibile e sale così in alto che il nostro pianeta gli appare come una vaga nuvola. «Fui portato» ricorda «a un'altezza immensa. La mia guida invisibile mi abbandonò e io discesi di nuovo. A lungo rotolai nello spazio...» Poi la guida lo solleva ancora, conducendolo a distanze incommensurabili. «Ho visto globi volteggiare intorno a me e terre gravitare verso i miei piedi...»5 Nonostante la paura che lo prende, l'esperienza che questo neofita racconta non è tanto una prova quanto un preludio di quello che ora viene chiamato viaggio astrale, un viaggio nel mondo sidereo dei regni spirituali.

Le descrizioni di viaggi astrali, su fino alle stelle, non sono affatto una rarità nella letteratura arcana. Ma in questo innalzarsi, dietro una guida invisibile, non potrebbe forse esservi la conferma del significato esoterico che abbiamo suggerito per la «danza della gru?». Narrando il suo viaggio astrale, l'autore, che potrebbe essere il conte di Saint-Germain, era sicuramente convinto di raccontare un episodio della danza descritta da Plutarco. Ogni capitolo di questo im-portante libro è preceduto da un'immagine esoterica. Quella relativa al racconto dell'innalzamento nei cieli contiene tre immagini e quattro blocchi di scritte in un codice segreto (figura 34).6 Uno dei tre oggetti è un'antica ara, su cui arde una fiamma ascensionale. Un secondo è un candeliere con un'unica candela, la cui base è formata da serpenti di bronzo

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intrecciati. Il terzo è una gru in volo. Come la fiamma sull'altare e la candela sollevano verso l'alto l'anima della luce, altrettanto farà la gru.7

La nostra tesi è che chi entra in uno stato di meditazione profonda, sia attraverso l'immobilità sia attraverso la danza, viene sollevato verso il mondo spirituale da forze invisibili, esattamente come fa una gru. Viviamo su un pianeta che è in perenne danza. La sua coreografia è ancora segreta, anche per gli astronomi, perché, se è vero che la Terra si muove in circolo intorno al Sole, è anche vero che oscilla, e che in termini cosmici il suo centro solare è ben lontano dall'essere fisso. Chi saprebbe descrivere con precisione la vera traiettoria di un movimento così complesso? Noi stessi facciamo parte del cosmo, della Terra, e di queste traiettoria e danza cosmiche. Quanti cercano dentro di sé la quiete per raggiungere il regno dello spirito sono già in movimento, per il fatto stesso di dimorare sulla Terra. Quali che siano le motivazioni di chi medita, ogni meditazione avviene nella danza.

La sostanza di cui è fatto il mondo è un'immagine riflessa sulla superficie immobile di uno stagno. Senza la superficie, in cui acqua e aria sembrano incontrarsi, non ci sarebbe alcun riflesso, e il riflesso è l'unica cosa che esiste. La speranza più grande per l'anima che si evolve fra tanta illusione sta nella meditazione, nel fortificare la mente. Questa fissità nel bel mezzo del cerchio di fuoco roteante in cui danza il dio Shiva8 è il silenzio davanti al pulsare del cuore della natura. La speranza, come ha detto T.S. Eliot, sta «nel punto immobile del mondo che gira».9

11 silenzio interiore che nasce dalla meditazione è minacciato dall'interno e dall'esterno. A volte i pericoli sono come onde lievi che lambiscono la riva; a volte sono furibondi marosi che si schiantano contro il litorale. Come la persona retta che ha commesso una cattiva azione ha periodici sensi di colpa ogni volta che riaffiorano i ricordi, così tutti gli esseri umani immersi nella vita sono soggetti ad attacchi di karma negativo. Sia le aggressioni interiori, sia quelle esteriori, che i saggi orientali chiamano vasana, nascono dal karma passato.10

I vasana affiorano alla coscienza, uno dopo l'altro: sono, dice la letteratura sanscrita, come onde sulla sabbia. I primi monaci cristiani non erano poetici come gli yogin indiani e propendevano piuttosto per immagini teriomorfe: le onde del mare erano ai loro occhi animali e demoni mostruosi che

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distraevano la mente con fantasie deliranti, maschere dietro cui si nascondevano i sette peccati capitali.

Qual è la natura di questa danza della gru, danza della vita, in cui siamo lambiti da onde karmiche? La danza esterna - sia che ci innalzi fino ai cieli, sia che ci faccia semplicemente roteare nello spazio - dipende in realtà da un'altra danza: quella del sangue. È la circolazione sanguigna che stabilisce il ritmo della nostra danza intima: è un mare interno, le cui onde sono anch'esse simili a vasana e misurano inesorabilmente il flusso e il riflusso degli imperativi karmici.

Con la parola sangue torniamo all'origine delle cose. Noi veniamo al mondo fra lacrime e sangue, e anche troppo spesso ce ne andiamo fra lacrime e sangue. È un'affermazione che non ha bisogno di chiose: è autoevidente. Eppure essa contiene un significato esoterico che occorre chiarire.

Il sangue, che Goethe ha esaltato come il più sacro dei fluidi, trasmette non soltanto quell'antico infingimento che è l'ereditarietà, e quell'altro più moderno che sono i geni, ma anche il karma, che non è una finzione, bensì il cumulo dei peccati che danno forma alle nostre vite. Insegnano le scuole segrete che, affinché il karma si dispieghi e i nostri debiti vengano cancellati, dobbiamo immetterci nel fiume dell'umanità e immergerci per un certo tempo nel flusso del sangue: dobbiamo sottometterci al corpo che muta ed è soggetto alla stessa molteplicità delle trasformazioni cui soggiace la Terra. A questa tradizione esoterica, secondo la quale il corpo e il sangue sono connessi con la redenzione, alludono gli antichi testi gnostici, quando ipotizzano che il nome Adamo significhi sia «rosso» sia »terra» e che dalla terra, attraverso i misteri, possa nascere la «luce» umana.11 È questa etimologia che ci permette di capire perché mai un testo sacro possa attribuire al nome Adamo il significato di «terra vergine», «terra color sangue», «terra rossa come il fuoco» e altri ancora.12

Come il sudore della fronte, le lacrime e il sangue sono i liquidi che versiamo per redimere il nostro karma finché soggiorniamo nel corpo.13 Nella letteratura alchemica, il sangue è rosso e le lacrime sono bianche. Cominciamo con le lacrime.

Le lacrime contengono il sale, che è uno dei maggiori misteri dell'alchimia. Nei testi arcani il sale è il residuo del fuoco, così come le lacrime salate sono il residuo di una fiamma emotiva interiore.14

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In alchimia il sale è uno dei Tre Principi, presenti sia nel cosmo sia nell'uomo: una triade mistica, composta dal sale, dal mercurio e dallo zolfo. Benché si presenti come una polvere bianca, inerte, il sale è uno dei grandi misteri e dei simboli dell'iniziazione. Nella tradizione alchemica esso era l'emblema di un patto sacro che non poteva mai essere rescisso, simile a quello che il neofita stringeva con la sua scuola o il suo maestro. «Il patto di sale» di cui parla l'Antico Testamento potrebbe avere un significato diverso da quello che gli viene di solito attribuito.15

Il Nuovo Testamento è meno evasivo al proposito: in Matteo, infatti, «sale della terra» sono gli eletti, ossia gli iniziati e non, come si tende oggi a pensare, quanti sono poco più che semplici contadini.16 Nei secoli lontani gli eletti sedevano al posto d'onore, «più in alto del sale», perché avevano conquistato il sale che avevano dentro di sé. Come si spiegherebbe altrimenti tutta l'importanza che nei convivi medievali veniva attribuita al salinum, ossia alla saliera?17

Gli studiosi, naturalmente, potrebbero obiettare che le nostre associazioni linguistiche intorno alla parola sai contengono tracce di etimologie di origine diversa. Può anche darsi, però resta il fatto che già nei primi testi latini a noi pervenuti sai, oltre a denotare il comune sale da cucina, aveva il significato di «astuzia» e «arguzia». Un bravo buffone era sempre «un matto con del sale in zucca» e veniva remunerato per i suoi meriti, dunque non era affatto pazzo nel senso comune del termine.

Paracelso, il grande maestro del Rinascimento italiano, descrive in vari suoi testi alchemici la formula per realizzare l'acqua di sale, espressione con cui indica, in modo appena velato, l'iniziazione.18 Egli consiglia di «distillare un numero sufficiente di volte Ìinché il sale non si distaccherà». Non ci vorrà molto, dice Paracelso, perché il sale «non penetra nella natura interiore». Quando il sale se ne sarà andato, «allora nel liquido si troverà l'oro». Questa descrizione è quasi un sommario del processo iniziatico: la rimozione della scorza, che non penetra nella natura interiore, e il recupero del sacro, nascosto all'interno. Analizzando la formula, ci si accorge che essa non produce, né per Paracelso né per noi, Yacqua di sale, bensì un'acqua desalinizzata, ossia un iniziato che non può più piangere. «Prima che gli occhi possano vedere, devono essere incapaci di lacrime» dice il testo arcano.19

Gli alchimisti ponevano talora a emblema del sale il più

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semplice di tutti i sigilli: un minuscolo quadrato □ o un piccolo rettangolo. Con quelle quattro linee che descrivono uno spazio vuoto - come lo spazio fra l'Aria e l'Acqua - intendevano delineare i misteri dei quattro elementi o disegnare una bara? Il reverendo Brewer, un colto collezionista di idee curiose, totalmente ignaro di esoterismo, ci ricorda la consuetudine, tuttora esistente, di porre una manciata di sale nella cassa del morto.20

C'è forse un nesso fra il sale e la morte? Un altro sigillo del sale - usato con frequenza dai gruppi alchemici rosacrociani - era un cerchio tagliato a metà da una linea orizzontale 0. Quel sigillo derivava dalla theta maiuscola di Thanatos, che in greco significa «morte».21

In numerosi testi alchemici il sale rappresenta il processo mentale, che è un processo di morte. Il sale è il residuo dell'attività spirituale che avviene nella nostra testa: come nella triade alchemica, è la scoria che resta quando la vita è volata via, è il cranio, il caput mor- tuum, la polvere bianca residua dopo l'estrazione dell'oro. È la cenere del pensiero.

Quando la testa - o la sua attività spirituale che chiamiamo mente - raggiunge il punto in cui non è più in grado di capire, in cui l'ordine dell'universo sembra frantumarsi, allora produce lacrime salate.

Ma perché mai il pensiero - quel processo che ha prodotto la nostra tanto decantata civiltà di superficiale razionalismo - dovrebbe essere associato alla morte nei circoli arcani? Noi moderni non dovremmo invece sostenere che il pensiero è la nostra salvezza, la strada che ci condurrà alla terra promessa? Qualsiasi iniziato che abbia un granello di sale, inutile dirlo, contesterebbe questa interpretazione. L'autore anonimo di A Discourse of Fire and Salt («Discorso del fuoco e del sale») spiega chiaramente che fra il sale e il fuoco avviene uno scambio mistico. Ci sono due sali, afferma questo adepto, l'uno nato dall'attività del fuoco e l'altro il residuo rimasto quando le fiamme si spengono, che è a sua volta «un fuoco potenziale»- In questa perpetua interazione fra fuoco e sale che sta alla base del mondo fenomenico il sale rappresenta lo stato inerziale della morte. Nessun alchimista tuttavia sosterrebbe mai che una cosa può morire nel senso di essere esclusa per sempre dalla vita. La morte è un interludio fra una vita e l'altra.

Un tempo, però, esisteva il sale del vero pensiero, che non era neppure sfiorato dalla contaminazione della morte. Allora,

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anche le invenzioni delle menti più raffinate, come quelle dei poeti romani, erano saporite come il sale, erano salsae, ossia mordaci e facete.22 Di certo i versi sgorgavano di getto dalla mente dei loro autori; in latino salire significa «saltare», «guizzare fuori», da cui la parola saltatore: i latini sapevano che dalla sfera spirituale le idee penetravano d'un balzo nella mente dei poeti. Una parola dal suono così simile al nome di quel semplice condimento quotidiano non può che suggerirci qualche profondo significato riposto. Sono molti i misteri del mondo antico che la parola sale richiama: c'erano, per esempio, i Salii, quei «saltatori» splendidamente vestiti, danzatori dell'aria, che costituivano uno dei tanti collegi sacerdotali romani. Di loro sappiamo soltanto che cantavano e parlavano in una lingua incomprensibile, che erano votati al culto di Marte e formavano una confraternita esoterica.23

Poiché quasi tutte le testimonianze sui Salii sono andate perdute, la storia non ha nulla da dire sulla vera importanza di quel gruppo misterico di dodici membri: non resta che cercare nella mitologia una risposta alla domanda su quale fosse la loro funzione. Racconta dunque la mitologia che dal cielo era sceso uno scudo e che, secondo una predizione, la città che l'avesse conservato avrebbe governato il mondo. Allora Numa, che fu re di Roma nel VII secolo a.C., allo scopo di proteggere quello scudo prezioso, ne fece saggiamente eseguire undici copie perfette, affinché fosse impossibile individuare quello vero. Poi elesse fra i patrizi dodici sacerdoti che custodissero lo scudo e di conseguenza preservassero il futuro della città e il suo imperium. Il misterioso scudo sceso dal cielo era chiaramente un'altra versione del Palladio segreto, che rimase anch'esso a Roma per un'era.24

Se mai c'è stato un mito iniziatico, è sicuramente questo. I dodici Salii danzanti non soltanto erano deputati a custodire un dono del cielo, ma erano gli unici a sapere quale dei dodici scudi fosse quello vero. La lingua incomprensibile che parlavano era la Lingua degli Uccelli - ossia il linguaggio segreto dell'esoterismo - e i loro «salti» erano una forma di danza sacra.

tRochechouart, il quartiere di Parigi dove abbiamo studiato,

è abbastanza recente. Nel secolo segnato da quell'esperimento sociale su vasta scala che fu la Rivoluzione francese, la zona era ancora largamente coperta da campi e orti, con qualche sparsa taverna dove si vendeva un vino che

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«faceva saltare», ancora prima di ubriacare.25 A dare il nome al quartiere era stata Marguerite de Rochechouart, che fu badessa di Montmartre fino al 1727. La prima urbanizzazione delle campagne era cominciata per impulso di Napoleone, il quale vi aveva eretto il grande abattoir, il «mattatoio», il cui posto fu in seguito preso dal meno cruento Collège Rollin. Le rovine dell'abbazia di Marguerite de Rochechouart erano inserite nei piani urbanistici da decenni, quando nel 1875 fu posta la prima pietra del Sacré-Cœur. I campi e gli orti erano stati ricoperti di cemento da tanto di quel tempo che alcuni degli edifici eretti al loro posto mostravano già i segni di quella piacevole decadenza tanto cara agli artisti. Il boulevard ospitava un tempo Le Chat Noir, di cui si ricordano ancora gli appassionati d'arte per le litografie di Toulouse-Lautrec, che ne era assiduo frequentatore, e gli esoteristi, per l'antica magia contenuta nel nome della taverna.

La prima volta che mettemmo piede in quella parte di Parigi, negli anni Cinquanta, non avevamo in mente Toulouse-Lautrec, e neppure la badessa di Montmartre, bensì l'alchimista più famoso del nostro secolo. Era nelle stanze del pittore Julien Champagne, in rue de Rochechouart, che sembrava essere sbucato fuori dal nulla il misterioso esoterista Fulcanelli: il suo grande libro sui codici ermetici delle cattedrali di Francia, che ha in parte infranto il silenzio sull'alchimia, fu pubblicato nel 1926.26

Noi l'avevamo letto e riletto, ma a quel punto della nostra vita non avevamo ancora compiuto uno studio approfondito dei luoghi di cui parlava. Il principale apporto di Fulcanelli alla nostra conoscenza esoterica era stato di introdurci alla Lingua Verde. Fulcanelli è ancora oggi un mistero, probabilmente ancor più grande di quanto non pensino i bibliofili e gli storici della materia. Il suo allievo prediletto, Eugène Canseliet, che scrisse la prefazione al Mistero delle cattedrali, gli attribuisce il titolo di maestro, nonostante fosse già scomparso dal suo gruppo ermetico da alcuni anni.27

Al Mistero delle cattedrali Fulcanelli fece seguire tre anni dopo una seconda opera, quasi a dimostrare di essere ancora vivo e ancora maestro di sapienza ermetica: Le dimore filosofali. Era vivo, ma la sua identità restava un enigma. Era il 1929, e Fulcanelli doveva avere una cinquantina d'anni o anche di più, a giudicare dalle testimonianze contemporanee. Immaginate dunque la nostra confusione quando, nel 1978, un esoterista incontrato in Italia ci disse di essere amico personale di

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Fulcanelli, il quale, affermò, viveva allora nei pressi di Firenze e si occupava ancora di alchimia. La cosa forse non era poi così strana: un alchimista che sembrava essersi impadronito del Grande Segreto avrebbe probabilmente potuto vivere tanto più a lungo della norma. Dopo tutto, uno dei nomi con cui veniva chiamata la misteriosa pietra dei filosofi era aquae iuventutis, «acque della giovinezza», meglio nota come aqua vitae, ossia l'«acqua della vita».

In quei lontani giorni eravamo innocenti. Non sospettavamo neppure che l'intero cosmo è concepito per insegnare, che l'intera vita è una scuola. Davamo tutto per scontato e ci sembrava perfettamente naturale che la scuola in cui per la prima volta avremmo cominciato a studiare sotto la guida di un maestro fosse in boulevard de Roche- chouart, un luogo intriso dei ricordi dell'antico esoterismo che scorreva nelle vene dell'elusivo Fulcanelli.

In quell'autunno parigino del 1956 le foglie degli alberi vibravano sulle terrazze del Sacré-Cœur con i loro rossi, arancioni e gialli: Parigi, benché ancora così vicina alla terribile occupazione nazista, sembrava immersa in un'eterna primavera.

Nello scantinato sotto la casa il gruppo era immerso nelle vibrazioni ancora più intense di una danza giunta in Europa dal Tibet, dalla Cina e dal Nepal. Quei passi li avevamo visti eseguire la prima volta vicino a Kathmandu, da un bambino di sei-sette anni, serio, con la testa rapata.28 L'interprete aveva chiamato la danza Thatrug, che significava, ci disse, «Danza delle direzioni».29 Quella danza ci era sembrata facile, ma soltanto perché allora non ne conoscevamo ancora l'arcano: non sapevamo che a ogni direzione di cui ci si impadronisce si aggiunge un nuovo elemento, sicché la danza diventa una terribile odissea, un infinito, spaventoso esercizio di incessante concentrazione.

Praticavamo la danza da alcuni mesi, ma sempre con difficoltà. Avevamo imparato a coordinare i piedi, le mani, la testa e la spina dorsale per eseguire le figure richieste dalla complessa musica per piano, ma non eravamo riusciti ad andare oltre. Non ce la facevamo a sincronizzare le movenze con le complesse serie di mantra in sanscrito, che dovevano essere ripetute in più ordini codificati, in modo da corrispondere ai movimenti del corpo.

Le parole dei mantra, naturalmente, non venivano pronunciate ad alta voce. All'inizio la cosa ci aveva sorpreso,

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finché qualche altro allievo, occupato come noi nella danza, ma più avanti sulla Via, non ci aveva spiegato che era consuetudine del nostro maestro ascoltare le parole interiori di ciascuno di noi.

La nostra lotta personale sembrava senza speranza. Anche il maestro doveva aver capito che non avremmo mai imparato il Thatrug. Ogni volta che danzavamo, i suoi occhi si posavano sui nostri piedi, che si muovevano in modo asincrono rispetto alla sequenza delle parole interiori. Il suo volto era sempre impassibile, ma arrivò il momento in cui non gli restò altra scelta se non farci cenno di fermarci e metterci da parte. Era un'umiliazione. Essere additati a quel modo era un segno di fallimento. Nell'ipotesi più benevola poteva significare che con i nostri tentativi disturbavamo la concentrazione degli altri.

Per una volta tanto l'insegnante non ci indicò i cuscini sparsi all'altra estremità della stanza, dietro i danzatori. Alzò il dorso della mano verso di noi e con un dito ci chiamò a sé.

In uno dei libri apocrifi cristiani, gli Atti di San Giovanni, si legge che l'ultimo giorno Cristo danzò in cerchio con i suoi dodici discepoli e che questi, all'approssimarsi dell'ora della morte, scapparono. «Fuggimmo come anime perse o come sonnambuli, chi a destra, chi a sinistra.» Persino Giovanni - l'iniziato fra i discepoli - racconta di non essere riuscito a sopportare la sofferenza della Croce e di essersi rifugiato in lacrime sul Monte degli Ulivi; e mentre lui era lì, all'ora sesta su tutta la Terra era calata l'oscurità.30

Giovanni era certo di essere fuggito di sua spontanea volontà per non assistere alla morte del maestro. Era certo di essere stato lui a decidere di salire sul Monte degli Ulivi con il suo dolore. Ma quando Cristo gli apparve vivo al centro della grotta, illuminandola con il suo corpo trasformato che irradiava luce, Giovanni capì di essersi sbagliato. Cristo gli spiegò di averlo spinto in segreto sul Monte degli Ulivi. L'aveva fatto perché Giovanni potesse «udire ciò che il di-scepolo deve apprendere dal maestro e l'uomo da Dio».31 La danza con Gesù, la fuga e l'ascesa al Monte degli Ulivi erano state una sorta di maya, tutt'al più una forma di sonnambulismo: erano accadute, e tuttavia non per volontà di Giovanni. Senza saperlo, l'apostolo era in potere del maestro, il quale solo sapeva ciò che il discepolo aveva ancora bisogno di imparare.

L'evento, narrato in un testo apocrifo che i padri della

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Chiesa scartarono a causa del suo docetismo - ossia perché non riteneva reale il corpo di Cristo - 32 è un resoconto accurato di ciò che può accadere nelle scuole. Non sempre l'allievo è in grado di capire la mente o il potere manipolatorio degli iniziati di grado più elevato: non sempre riesce a interpretare correttamente le intenzioni del maestro.33

Fu quanto accadde a noi, che fraintendemmo il vero scopo del nostro maestro in rue de Rochechouart.

Sostammo accanto al maestro con il viso rivolto verso i danzatori. Praticavamo il Thatrug - quella facile danza del bambino nepalese - da settimane ma non ne avevamo mai osservato i movimenti dall'esterno. Anche in un gruppo in cui l'ego dovrebbe fondersi e diventare tutt'uno con quello degli altri, l'attività spirituale di un simile esercizio lo sospinge nelle profondità del corpo fisico.34 Eravamo stupefatti. E mentre guardavamo tutto mutava. Tutto sembrava intensificarsi, spiritualizzarsi a tal punto da far sembrare irreali i corpi, che pure erano i protagonisti della danza. Quella visione ci offriva forse un indizio sul perché la dea della danza Kali è talora raffigurata con cinque teste, ciascuna dotata del terzo occhio - quello più elevato - e con una moltitudine di braccia. Kali era un essere spirituale, che nessuno avrebbe mai visto sulla Terra, e tuttavia la sua energia era in un certo senso presente nei danzatori, così immanente nella loro sofferenza, che ci parve come se le molte facce e le molte braccia tese dei danzatori si fondessero nell'unica figura di quella terribile dea.

L'afrore che di solito permeava la stanza era svanito. Ora che non dovevamo più ubbidire alle note con le movenze del corpo, la musica assunse una bellezza straordinaria. Morbidi colori sembravano contornare i ballerini.

Quelle non erano affatto persone «normali», eppure quando avevamo cominciato a lavorare insieme e ne avevamo scoperto le debolezze le avevamo trovate estremamente normali. Facevano lavori normali e la loro vita esteriore sembrava del tutto normale. Uno, che si diceva fosse stato partigiano durante la guerra, gestiva una tabaccheria. Un altro era architetto e un altro ancora faceva pratica in uno studio legale. Due delle ragazze erano infermiere, e almeno altre cinque o sei studiavano alla Sorbona. Benché fossimo in Francia, i francesi erano soltanto due o tre. C'erano due inglesi, tre americani, un polacco e due spagnoli. I rimanenti

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erano immigrati, provenienti soprattutto dai paesi slavi, i tragici relitti degli anni di guerra. Non c'erano tedeschi: le ferite della Seconda guerra mondiale non erano ancora cicatrizzate e i parigini manifestavano ostilità aperta verso quel popolo. Parlavamo francese con un forte accento straniero, e così capitò anche a noi di entrare in qualche negozio il cui proprietà- rio si accertava che non provenissimo dalla Germania, talora fissandoci con impudente scortesia, talaltra facendoci domande dirette.

Nel gruppo c'era una ragazza di straordinaria bellezza, vestita con quella grazia apparentemente semplice che è una componente così importante del fascino francese. Come avesse potuto un'ebrea così bella sopravvivere agli anni di guerra in Francia era un mistero.

Quale non fu il nostro stupore quando ci accorgemmo che nel corso della danza non riuscivamo quasi più a distinguerla dagli altri. Le facce dei danzatori erano a tal punto trasformate dalla luce interiore - illuminate da phos, la luce di cui parlano gli antichi testi ermetici - da apparire tutte bellissime. Pareva vi si fosse impresso lo spirito. Possibile, ci domandavamo, che lo sforzo spirituale potesse trasmutare a tal punto il corpo da renderlo irriconoscibile?

Osservando la danza, capimmo perché mai gli alchimisti affermassero che «l'umana forma divina» era un atanor. Questa parola araba viene di solito tradotta con «fornace», ma è una interpretazione insoddisfacente. La caratteristica precipua de\Y atanor alchemico è di essere dotato di un sistema di autoalimentazione, che ha la funzione di mantenere costante il calore. Era questo che scorgevamo nei ballerini: erano trasformati da un calore spirituale autogenerato. Usando impropriamente un termine teosofico, potremmo dire che erano «nati dal sudore».35 Tutti conosciamo l'espressione «bellezza radiosa», ma finché non assistiamo a questa trasformazione operata dal sudore non ne comprendiamo interamente il significato. In quella metamorfosi fisica non c'era forse un indizio sul motivo per cui i discepoli non avevano riconosciuto Cristo risorto?

«Voltati» disse il maestro. Non guardava nella nostra direzione, e tuttavia sapevamo die parlava a noi.

Esitammo, perché non capivamo bene che cosa volesse.«Voltati verso la parete. Di spalle» ripetè con tono quasi

brusco.Ci girammo come in castigo, distogliendo lo sguardo da

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quella radiosità. Perché il maestro voleva che smettessimo di guardare? Era una punizione, un'altra umiliazione, un'altra imposizione?

«Adesso ascolta» sussurrò con voce roca.Tendemmo l'orecchio, ma non eravamo ben certi di cosa

avremmo dovuto ascoltare. I tonfi dei piedi nudi sul pavimento di legno? La musica? Ci sforzammo di farlo. Per la prima volta ci accorgemmo che la stanza aveva un'eco. Chi non ha mai provato a compiere un simile esercizio non sa quanto sia difficile ascoltare nel modo giusto. La trama uditiva è così ricca che si è anzitutto portati inconsdamen- te a selezionare. Poi è facile lasciarsi prendere a tal punto dall'attività dell'ascolto da dimenticarsi di ascoltare. Le voci interiori si ri-presentano in continuazione anche in chi è sulla via dell'iniziazione, interrompono e distolgono dalla realtà.

Mentre stavamo con la faccia rivolta verso il muro, in lotta con la nostra attenzione interiore, cominciò ad accadere qualcosa di strano: una delle note musicali prese a distaccarsi dalle altre. Era come se d fosse una musica dentro la musica, come se qualcuno suonasse in lontananza un tamburo, il cui ritmo non aveva nulla a che vedere con il motivo che risuonava nella stanza. Quel pulsare più profondo si fece così insistente da sovrapporsi a tutto il resto. Ci sembrava di essere un embrione, immerso nella musica delle sfere, intento ad ascoltare soltanto il battito del nostro cuore. Mentre ascoltavamo un'immagine fluttuò nella nostra mente: era l'immagine di un grande palazzo, con molte porte. Chissà perché, pensai all 'Epopea di Gil- gatnes, quell'antica epica babilonese dal sottofondo esoterico, e al battito del cuore dell'eroe, che va in cerca dell'amico, discendendo le buie scale che conducono al regno delle ombre.36

Fu in quel momento che cominciammo a piangere lacrime salate. Non provavamo dolore. Nessuna tristezza. Soltanto avevamo le lacrime che sgorgavano dagli occhi. Era come se a piangere fosse un altro: in noi non c'era alcun desiderio di farlo. Ogni volta che dal piano usciva quella nota, spuntavano le lacrime. Non era sofferenza, non era memoria: era quella singola nota musicale a evocare il nostro pianto. Percepivamo la musica complessa al cui suono danzavano gli altri, e tuttavia quella singola nota emergeva e assumeva un suo ritmo, e i nostri occhi si riempivano di lacrime.

Stavamo vivendo l'esperienza della scissione descritta dagli

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alchimisti: la separazione, il distacco della luce dalle tenebre, di cui è emblema il contrasto fra la fiamma che lotta per salire verso l'alto e la candela. Stavamo depositando il sale, perché nella nostra anima sorgeva una fiamma d'oro, l'alto si scindeva dal basso. Quando avviene questa separazione la parte superiore si innalza come la luce di una candela, mentre quella inferiore ricade al centro della Terra, scoria salata.

Avevamo chiuso gli occhi e non li riaprimmo più finché non cessò la musica. A quel punto i danzatori uscirono dalla sala. Sentimmo i loro piedi scivolare sul parquet tirato a cera e provammo un grande sollievo perché la nostra umiliazione era finita. Restammo con le spalle girate al maestro, che era ancora seduto al suo posto. Cessata la musica, cessarono anche le nostre lacrime.

«Hai pianto?» chiese il maestro, invitandoci a sedere sui Cuscini.

La domanda era retorica, ma annuimmo.«Quando la nota esteriore corrisponde alla nota interiore

spuntano sempre le lacrime. È una legge.» Per quanto esasperante, questo parlare per sentenze era il tratto caratteristico del modo di insegnare del nostro maestro.

Tacque a lungo. Poi ci rivolse uno sguardo interrogativo.«A quale poema epico hai pensato?»«A Gilgnmes. All'Epopea di Gilgames» ci affrettammo a

rispondere, per nascondere la sorpresa. Ma forse non c'era nulla di cui sorprendersi, perché in quell'antico poema babilonese il grande re GilgameS imbocca anch'egli la Via che conduce alla ricerca di significato.

11 maestro annuì di nuovo. Poi parlò, soffermandosi, con la sua tipica enfasi, su parole inattese, come se sottolineandole intendesse attribuire loro un senso al di là di quello ordinario. A volte parlava in francese, a volte in un inglese smozzicato. Il suo tedesco e il suo italiano erano perfetti, eppure non usava mai il primo e raramente il secondo.

«Prima di scoprire il dolore di Ishtar, GilgameS si era fatto costruire stanze sacre nel palazzo di Erech. La porta della terza stanza era concepita in modo tale che chiunque ne varcasse la soglia iniziava a piangere. I babilonesi chiamavano quella porta Bilu-sha-Ziri.37 È un nome che non devi mai dimenticare. Davanti a essa non c'era bisogno di guardie, perché il suo scopo non era sbarrare l'accesso, bensì rivelare. Tutti gli uomini di ricchezza interiore, che visitavano il Signore del Mondo - ambasciatori o schiavi che fossero - prima di

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giungere alla sua presenza versavano lacrime. Quella porta di Bilu aveva il potere di far sgorgare ad arte le lacrime.»

Sapevamo che le nostre non erano state lacrime normali.«La tua direzione non è quella di questa danza, né della

musica, e neppure di questo luogo. La danza non significa niente per te, ora. Però non devi dimenticare le porte. C'erano due porte, una per il suono interiore, l'altra per quello esteriore.»

Benché parlasse lentamente, ci riusciva difficile seguirlo. Tacque, come se avesse concluso. Poi però riprese il discorso, e questa volta in inglese.

«Tu permetti a queste cose di mulinarti - credo si dica così nella tua lingua - di mulinarti nel cervello. Sei un tipico inglese. Siete stati voi a introdurre questo modo di pensare. Presto però finirà, non ce ne sarà più bisogno.» Passò all'italiano, per puntualizzare qualcosa sul piano semantico, perché la parola italiana per head è «testa». «La testa non può offrirti alcuna fesfimonianza delle cose che insegui, che cerchi. Le lacrime sgorgano soltanto a chi ancora non capisce. Sono il test della comprensione. Devi imparare a liberare la testa da queste cose. Pensi troppo con la testa. Impara a guardare di più. Sgombra la mente e guarda. Osserva la sorgente del suono. Guarda l'orecchio. Se guardi l'orecchio capirai perché a Erech ci sono due porte. L'orecchio è im ingresso, o una garza, un velo? Filtra o blocca? Nel velo c'è un mistero più grande di quanto non si creda, Mark. È uno dei misteri che dovrai esplorare. Per ora posso soltanto dirti che quel velo simile a una delicata trina bianca è fatto di sale.»

Raccontano i miti egizi che il dio Ptah, dalla testa d'uomo, creò il mondo dalla nera creta. Ptah provèniva dall'antico centro misterico di Menfi, che allora era chiamata Hi Ku Ptah, ossia «La casa di Ptah». I greci ne storpiarono il nome in Aegyptos ed è appunto dalla loro pronuncia imperfetta che deriva Egitto.

Nei recessi del grande tempio di Abu Simbel c'è ancora l'immagine di Ptah. Dal 10 febbraio in poi, per venti giorni consecutivi, e per altrettanti a partire dal 10 ottobre, il Sole perfora le tenebre del sepolcro, indorandone con i raggi le divinità di pietra. Ma soltanto tre immagini sono inondate da questa calda pioggia d'oro. La quarta, quella di Ptah, non ne è neppure sfiorata: essa rimane nella sua buia desolazione durante tutti i quaranta giorni di luce. Ptah resta avvolto

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nell'oscurità, destinato a dimorare in perpetuo nell'ombra, come si addice a un dio funebre. Il mondo, secondo la mitologia egizia, è stato creato da un dio delle tenebre.

Nei miti occidentali sulla creazione, è il serpente a rappresentare quest'oscurità. Dapprima il serpente del paradiso era soltanto un rettile astuto, ma poi divenne il diavolo e infine Satana.38 Di un serpente in un giardino si parlava già prima del cristianesimo: era La- done, che nella mitologia greca sorvegliava i pomi d'oro delle Esperidi.39 Ma Ladone non aveva alcun legame con la tentazione, né con la caduta o la nascita dell'umanità: la sua funzione era esclusiva- mente quella di guardiano.

Furono gli alchimisti, esperti di significati nascosti, a riconoscere in seguito la vera identità di Ladone: era «il serpente che sta dentro», il guardiano delle ricchezze interiori. L'albero da lui sorvegliato era all'interno dell'uomo. E se quell'albero mistico, che produceva pomi mistici, aveva una forma fisica, essa era quella della spina dorsale serpentina, con il suo tronco vertebrato e le ramificazioni nervose che si estendono fino alla testa. Il meraviglioso frutto dell'albero era il cervello umano, e il suo fiore aveva nome «chakra della Corona».40 Gli alchimisti sapevano che il serpente attorciglia la sua forma sinuosa intorno all'albero che sta dentro la forma umana, eppure spesso lo raffiguravano all'esterno per rivelarne la terribile forza (figura 35).

Il mito greco ha un qualcosa di straordinario: trasmette la sensazione che i mitografi fossero schierati dalla parte del serpente-drago, il quale, dopo tutto, era il custode dei magici pomi, simbolo della saggezza segreta di cui vanno in cerca alcuni esseri umani. Questo frutto spinale viene sì chiamato mela nel mito delle Esperidi, ma d'oro. Anche il frutto dell'albero dell'Eden fu chiamato mela, ma il nome latino, tnalum, contiene un doppio senso, perché designa sia il frutto sia il male. Le due immagini finivano spesso per fondersi e l'albero con i suoi frutti fu spesso identificato con l'essere umano, infestato dal male, in conseguenza della caduta, architettata dal serpente.41

Nei miti greci il serpente-guardiano era accudito da tre figure femminili, anch'esse legate alle tenebre. Persino in Grecia, alle sorgenti della nostra civiltà occidentale, quando la vita conservava ancora la sua freschezza ed era delizioso dimorare in un corpo umano, le Figlie della luce - le Auree Figlie Vespertine - erano nate dall'oscurità. Le tre Esperidi,42

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anch'esse custodi delle mele d'oro, erano figlie di Èrebo e della Notte, o, secondo altre versioni, erano nate dall'unione della dea degli abissi Ceto con il fratello, il mostro marino For-co, padre delle terribili Gorgoni. In entrambe le versioni, a generare le Esperidi furono divinità notturne, o, come si direbbe oggi, demoni. L'Èrebo, che in greco significa «oscurità», era la buia regione da cui dovevano passare le ombre dei defunti prima di giungere all'Ade. Platone, nel Timeo, attribuisce a Forco la responsabilità di avere «piantato» le anime umane nella materia, facendone così «nature sensibili». E Forco fu colui che costrinse l'umanità a calarsi lungo la corda del pozzo che discendeva nelle buie caverne della Terra.

Michael Maier, alchimista del XVII secolo, preferì ignorare l'oscurità implicita nella storia delle Esperidi, facendone le figlie di Giove e della mortale Temi e situando il loro giardino segreto a Occidente, forse in ricordo delle favolose terre di Atlantide.43 Nel suo libro arcano, Atalanta Fugiens,44 egli assegnò alle Esperidi i nomi di Agle, Arethusa ed Hespertusa (figura 36).

L'interesse di Maier era rivolto alla sorte toccata ai pomi aurei trafugati e portati sulla Terra, perché in essi scorgeva i semi della saggezza spirituale: i pomi erano per lui gli ideali, diventati idee nel mondo umano. Il fatto che il mito li descriva come mele è forse meno importante del fatto che fossero tre, il numero sacro dell'alchimia, che rinvia ai Tre Principi: il sale, il mercurio e lo zolfo.45

Dopo avere ucciso il serpente Ladone, Ercole consegnò i tre pomi a Venere, che se ne servì per uno dei suoi piani più subdoli. La bella Atalanta aveva promesso di sposare l'uomo che l'avesse battuta nella corsa. Uno dei contendenti era Ippomene, verso il quale Atalanta non aveva mostrato un interesse particolare. Ma Venere, forse per creare zizzania fra i mortali, consegnò al giovane Ippomene le tre mele d'oro delle Esperidi e gli suggerì di farle rotolare davanti ai piedi di Atalanta lanciata nella corsa. La ninfa si fermò a raccogliere i pomi a mano a mano che cadevano, permettendo a Ippomene di vincere la gara e di reclamarla in sposa.

Ma nonostante l'intervento degli dei, la storia di Atalanta e Ippo- rnene non si conclude con le nozze. Ippomene infatti non seppe resistere all'oscuro demone del desiderio, che sta acquattato anche dentro i migliori: trascinata Atalanta in un tempio, la prese contro l'altare, profanandolo.

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Come potesse Ippomene sperare di non offendere la madre degli dei e attirare su di sé la punizione più terribile non viene detto. E neppure è spiegato perché anche la vittima, Atalanta, dovesse essere punita con tanta severità: questa resta una delle domande più stuzzicanti di tutta la mitologia greca. A ogni modo, violentatore e violentata furono trasformati in leoni.

Le incisioni che illustrano YAtalanta Fugiens di Maier sono fra le più belle di tutte quelle alchemiche. Da esse appare evidente che Maier spoglia l'antica mitologia di gran parte del suo significato originario, che era connesso con il dualismo e con l'eterno conflitto maschio-femmina. Ma a noi non importa qui esaminare quali distorsioni Maier apporti alla mitologia per adattarla ai suoi scopi. Quello che ci interessa è che l'ultima incisione della serie mostra il serpente- drago avvinghiato a una figura femminile, che viene indicata come Venere (figura 35). Questo serpente, come abbiamo già visto, è il fosco serpente che è dentro di noi, il quale strangola phos, ossia la luce dell'ego.

Era stata Venere a intercedere per Ippomene, era stata lei la sua complice negli eventi successivi, e forse persino nella violazione di Atalanta nel tempio. Ed è Venere a essere infine imprigionata fra le spire del drago, particolare quest'ultimo che ricorda l'incontro fra Èva e il serpente. Quale messaggio leggerà mai un esoterista in questo complesso racconto?46

fIl frontespizio del libro di Maier, Atalanta Fugiens, il cui

sottotitolo è «Nuovi emblemi riguardanti i segreti alchemici della natura», racconta questo delizioso mito in una serie di vignette ambientate in un giardino (figura 36).47

Come si può vedere, a uccidere Ladone e a perpetrare il furto iniziale dei pomi d'oro è un uomo che indossa una pelle di leone. Che sia questa l'illustrazione dell'eterna verità esoterica per cui ciò che sta fuori finirà inevitabilmente per diventare ciò che sta dentro? In esoterismo questo rovesciamento viene talora espresso con il detto che la bellezza morale - la bellezza, o luce, interiore - in una vita, si trasforma in bellezza esteriore in una vita successiva. È la prima legge della reincarnazione: ci ricorda che la storia di Atalanta è in parte il racconto di una discesa nella materia, per la china della rinascita.48 Si direbbe che inevitabilmente ciò di cui ci si circonda in una vita diventi interiorità in quella successiva: chi indossa la pelle del leone come emblema

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esteriore assumerà le viscere del leone.L'Atalanta Fugiens di Michael Maier è corredata da una serie

di cinquanta emblemi, che sono i più arcani di tutte le serie pubblicate dalla Tipografia esoterica de Bry ai primi del XVIII secolo. Ogni emblema e ogni testo sono costellati di messaggi ermetici, e Maier giustamente avverte i suoi lettori che il libro non è concepito semplice- mente per essere letto, ma anche come strumento per aiutare la meditazione.

Non sorprende perciò che l'alchimista Jean d'Espagnet elogiasse gli Emblemata perché «dipingono con sufficiente chiarezza per occhi veggenti» i segreti della Grande Opera, che è l'alchimia.49 Lo stesso Maier dichiara che il suo libro è rivolto ai sensi di persone particolari. L'elemento più importante è il nesso che egli stabilisce, nei suoi emblemi segreti, fra la conoscenza superiore e i tre pomi che sono in apparenza l'oggetto della sua trattazione.

I pomi d'oro, che Ercole aveva conquistato e donato a Venere, erano tre. La triade simboleggia i tesori della sapienza segreta strappata al serpente: è questione controversa se essa rappresenti la triade superiore (costituita da atman, buddhi e manas) oppure quella inferiore, formata dall'astrale, l'eterico e il fisico. In ciascuna delle scene raffi-gurate sul frontespizio del volume di Maier compaiono, com'era prevedibile, tre mele d'oro. Alludono forse all'esistenza di tre modi diversi di acquisire questa preziosa conoscenza?

L'ipotesi non è insensata, perché, come dice Maier sempre nel frontespizio, il libro è «destinato in parte agli occhi e all'intelletto ... e in parte all'orecchio»:50 è dunque rivolto a una triade di sensi.

Gli occhi possono vedere i disegni arcani.L'intelletto può seguire le massime e i motti latini (che non

si limitano a ribadire quanto afferma il testo).Gli orecchi possono seguire la musica.E con il terzo punto che Maier compie qualcosa di

straordinario, forse di unico, in un testo d'alchimia: inserisce nel suo libro della musica cantabile!

La musica si compone di cinquanta fughe scritte con una notazione tardomedievale e costituisce un altro nesso con le Esperidi, le tre custodi dei pomi, le quali erano famose per la dolcezza del loro canto.51

La fuga, come forma musicale, fa da parallelo al titolo, Atalanta Fugiens, ossia Atalanta che fugge, e in questo gioco di

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specchi Maier divide le cinquanta fughe in tre parti, tre come le Esperidi i cui tre pomi sono coinvolti nella fuga.

Le triadi, come i tre sensi, alludono ai tre titoli che Maier prende dalle scuole esoteriche: gli occhi, l'intelletto e gli orecchi. Naturalmente sono occhi che vedono al di là, così come l'intelletto penetra al di là e gli orecchi odono al di là, oltre l'ordinario, nei regni dello spirito. Sono gli organi di percezione che riescono a oltrepassare i veli di Iside.

La triade della percezione si rispecchia nell'inizio del libro. Al primo elemento della triade, la vista, è rivolto il frontespizio: con gli occhi possiamo studiare la storia figurata di Atalanta e la sua discesa, insieme a Ippomene, nel corpo del leone. La storia è raccontata in una rappresentazione continua, e per evitare che la vista ci inganni, accanto alle figure sono scritti i nomi dei personaggi: mancano soltanto quello del violentatore e della violentata, perché i due sono nel tempio, ossia nel luogo sacro in cui è vietato infrangere il silenzio e pronunciare nomi.

Il secondo elemento della triade, l'intelletto, è rappresentato dal ritratto di Maier, perché per interpretarlo dobbiamo usare questo strumento (figura 37). Per capire questa immagine dobbiamo decifrare il significato dei simboli, le abbreviazioni e le scritte latine sottostanti: nulla ci viene detto in modo esplicito, tutto è sotto forma di enigma. In un contesto del genere l'età dell'autore diventa importante. L'iscrizione che accompagna il ritratto dice che Maier è in neta- tis suae 49, ha cioè quarantanove anni. In quell'anno si completa il settenario del settimo pianeta, Saturno.52 E Saturno è il pianeta che governa l'intelletto. L'autore tiene nella mano destra, come si addice a uno studioso, un libro. L'indice è piegato a segnare un punto al suo interno, mentre il medio è disteso. In chiromanzia, il medio è il dito di Saturno, che governa l'intelletto e il pensiero.

Il terzo elemento della triade, l'udito, si rispecchia nel primo emblema che segue il ritratto: è un'omelia sulla musica. La testa e le braccia dell'uomo, che a un lettore moderno potrebbero apparire in fiamme, emanano in realtà correnti d'aria: è la personificazione del vento, e nel ventre di questo uomo-vento c'è un embrione (figura 38).

QueH'embrione è l'iniziato ancora implume, che ascolta la musica delle sfere: la sua forma, come quella di tutti gli embrioni, è simile a un orecchio. Ascolta forse la versione musicata dei versi di Maier, il cui spartito è stampato sulla

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pagina accanto? L'ipotesi non è azzardata: a suggerirla è la struttura stessa del libro. Quando si chiude il volume, le due pagine si sovrappongono e le parole latine embryo vento risultano letteralmente appiattite sull'embrione nel ventre del vento. La musica sfiora la forma auricolare di questo figlio nascente dell'uomo, così come la musica delle sfere risuona inascoltata all'orecchio di tutti gli esseri umani, che in quanto tali si preparano all'iniziazione.53

È dietro simili raffigurazioni che gli alchimisti celavano i loro segreti, e Michael Maier, in questa serie di incisioni, nasconde a tutti, fuorché agli iniziati, i tre doni delle scuole esoteriche. I segreti vengono custoditi, così come lo erano i pomi da Ladone, il serpente-saggio.

Non a caso nella seconda incisione della serie (figura 39) il bambino, non più embrione a forma di orecchio, succhia il latte dai seni

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possenti dell'Anima Mundi.54 E a ribadire l'analogia, ai suoi piedi ci sono Romolo e Remo con la lupa, e Giove bambino con la capra di Amaltea.55

Soffermiamoci a riflettere su due particolari del secondo emblema, che allude alla Magnesia segreta dei saggi.56

Quando Giove bambino cessò di prendere il latte dalla capra, per gratitudine ne prese un corno e gli conferì potere magico: chiunque l'avesse posseduto avrebbe potuto realizzare tutti i suoi sogni. È da questo mito che trae origine la leggenda della cornucopia. Come in tutte le fiabe, un sogno che si avvera pare un dono meraviglioso, e tuttavia non sempre si tratta di un dono desiderabile, come dimostrano altri racconti. Bisogna andare cauti con i sogni.

L'Anima Mundi è ritratta in una posa simbolica. Con una mano, che è emblematica della via di destra, essa stringe il bambino al seno da cui sgorga il latte. Con l'altra mano, emblematica della via di sinistra, indica la lupa, che, pur avendo allattato i futuri fondatori di Roma, resta pur sempre una fiera, simbolo di tenebre così fitte da non avere ancora neppure cominciato a cercare la via verso Gerusalemme, verso la rigenerazione.57

Fra questi due estremi del potenziale sviluppo umano - fra la capra che ha nutrito il padre degli dei e la lupa che ha allattato il padre di Roma -58 si erge la madre-nutrice che gli alchimisti chiamano Magnesia. L'embrione che appariva nell'emblema precedente ora è nato e poppa il latte di questa madre così poco aggraziata. «La Terra è la sua nutrice» annuncia il testo latino con un'allusione sottile (eppure tipicamente alchemica) alla famosa Tavola di Smeraldo dell'al-chimia primigenia.59

L'immagine racchiude un mistero: che liquido sugge il pargolo dal seno? Se troveremo la risposta a questa domanda saremo sulla buona strada per arrivare a capire la natura dell'iniziazione.

Assicurano i testi alchemici che il liquido che sprizza dalle mammelle di Magnesia non è latte. È lac Virginis, dicono, latte della Vergine - asessuato e acquoso, bianco come il sale.60 E Yacqua ermetica che, come ricorda Fulcanelli, «non bagna le mani». È un latte che ricorda il mercurio metallico, perché anch'esso non bagna le mani, ma è più etereo. È l'acqua inestimabile che sgorga dalla sorgente di Holmat.61 È il fluido prezioso che cola dai fianchi di Cristo Crocefisso al tocco della

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lancia di Longino, probabilmente lo stesso raro fluido della fontana dell'Eden (figura 20). È un liquido sacro, che non è mai stato latte, neppure quando sprizzava dalle mammelle di una donna oceanica (figura 40). È l'acqua salvifica della fonte alchemica, il sa- orificio continuo degli iniziati che versano le loro lacrime senza sale per il bene del mondo.

In alchimia le lacrime salate sono il segno che la mente si trova in uno stato di frustrazione: le fiamme del desiderio hanno ridotto la materia alla sua componente salina. Le lacrime mortali sono la spia che la mente è finita in un vicolo cieco. Ecco perché si dice che il vero iniziato non ha lacrime: non perché sia incapace di soffrire, ma perché comprende ogni cosa e la sua mente, non essendo frustrata, non ha bisogno di lacrime. In questa semplice verità è racchiuso il primo segreto dell'iniziazione.

Dicono che la nostra fine sia il nostro principio. Nasciamo al mondo materiale fra lacrime e sangue e al mondo spirituale fra sangue rosso e bianche lacrime. Eppure la fine è sempre diversa dal principio. Alla fine non portiamo più con noi il peso della terra, la scorie della materia, ma le cose spirituali che abbiamo fatto nostre, quelle cose invisibili che come calamita abbiano attirato verso di noi. Parole identiche nascondono dunque idee diverse e i liquidi che contrassegnano l'inizio non sono gli stessi che contrassegnano la fine.

Nei loro manoscritti e libri gli alchimisti dicono che il sangue e l'acqua della mater vergine sono purificati e che uno dei nomi di questa madre alchemica purificata è Magnesia. Magnesia è la donna «magnete» che attira a sé per nutrirli quei figli dell'uomo che trovano insufficiente il mondo materiale e desiderano diventare figli di Dio, ossia iniziati.

Tutto sarà diverso per il neofita che si nutrirà del latte di questa alba mater,62 perché la visione che Magnesia offre è la visione che il neofita cerca: la prima apertura al mondo spirituale. Quando avrà avuto questa rivelazione e la prima parte del suo viaggio si sarà conclusa, tutto si trasformerà. E accadrà in un batter d'occhio, proprio come, nei misteri precristiani, ogni cosa mutava per chi aveva danzato a Eieusi e assistito al grande mistero della dea ctonia Demetra, che era poi la Magnesia del mondo antico.

Nel giugno del 1613, quando la principessa Elisabetta, figlia di Giacomo I d'Inghilterra, giunse novella sposa al castello di Heidelberg, fu accolta con diversi giorni di festeggiamenti

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organizzati dai più grandi esperti d'Europa. Sfilarono, con il loro carico di divinità mitologiche, carri trionfali di un fasto straordinario, ispirati al simbolismo arcano prediletto dal Rinascimento.63

Alla sfilata partecipava anche il giovane sposo di Elisabetta, Federico V, elettore palatino, che compariva mascherato su uno dei carri più munifici. Impersonava Giasone, pronto a salpare sulla bella nave Argo, con un equipaggio di cinquanta argonauti, per andare alla conquista del Vello d'oro.

Quel ruolo era per Federico quasi una seconda natura. Intelligente e sensibile, l'elettore palatino era sicuramente un Rosacroce64 e dunque consapevole del significato arcano del mito degli argonauti che aveva ispirato YAtalanta Fugiens di Michael Maier...

Ma il ruolo dell'argonauta si addiceva a Federico anche per un'altra ragione, ancora più importante: l'Argo65 alludeva all'ordine del Toson d'Oro al quale egli apparteneva, ordine che aveva inglobato nel proprio emblema l'elemento esoterico racchiuso nel simbolismo del vello, così evidente per gli alchimisti che cercavano l'oro interiore. Possedere il Vello d'oro era ritenuto una garanzia indispensabile della retta condotta dei cavalieri. L'ordine del Toson d'Oro era nato come gruppo esoterico che si era assegnato il compito di conservare la purezza morale delle classi cavalleresche e indirizzare la politica europea.66

Il Vello d'oro del mito, sicuramente il più famoso di tutta l'antichità, non era un manto qualunque: era dotato di un potere magico che può essere interamente compreso soltanto da quanti riescono a cogliere i significati mitologici riposti. Ma gli antichi attribuivano tale potere a tutte le pelli di animale: in Grecia, nei riti ctoni dei primi secoli, si riteneva che il vello avesse la capacità non soltanto di allontanare il male ma anche di liberare da ogni impurità e influenza nefasta chiunque lo toccasse.67 Il vello che veniva usato in taumaturgia e in magia proveniva sempre da animali sacrificali, ossia dedicati agli dei.

Sta proprio in questo, nel concetto del vello in quanto «proprietà degli dei», l'origine esoterica che fa da sottofondo al mito omonimo. Come la pietra filosofale, anche il vello era una sorgente di salute e protezione, e insieme elargiva doni di inestimabile valore spirituale: si comprende così come mai un ordine esoterico, il cui fine era la difesa dei principi etici, lo scegliesse come emblema. Il Vello è d'oro perché è spirituale,

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l'oggetto del desiderio di tutti gli alchimisti che vogliono imitare il viaggio della nave Argo ed essere così coraggiosi da uccidere il drago Ladone nascosto fra gli alberi.

Nei primi due decenni del XVII secolo il castello di Heidelberg era famoso, e giustamente, come centro di cultura rosacrociana ed esoterica, ma più celebri ancora erano i suoi magnifici giardini. L'ingegner Salomon de Caus, che aveva diretto i lavori, aveva spianato con l'esplosivo la cima del colle per costruire quei giardini che erano considerati l'ottava meraviglia del mondo.68 Vi facevano bella mostra non soltanto i fiori, ma congegni e macchine strane: divinità semoventi, statue parlanti e altri spettacolari meccanismi dall'aspetto magico, inclusa, forse, una copia del cavallo meccanico di Erone, che pur decapitato continuava tranquillamente a bere acqua.69 Perdere la testa, eppure conservare ancora la mistica capacità di abbeverarsi alle acque della vita, era un'allusione al mistero dell'Ariete e dei Pesci.70

I libri di alchimia del XVII secolo sono costellati di incisioni raffiguranti giardini con fontane meccaniche e statue, che si ispiravano probabilmente a quelli realizzati a Heidelberg da Salomon de Caus. Ne è uno splendido esempio il testo Cabala (1616) dell'alchimista tirolese Steffan Michelspacher.71

Dietro questo grande sfoggio di abilità tecnica e intellettuale si nascondevano in realtà i primi tentativi dei Rosacroce di «portare alla luce del giorno» il loro nuovo programma di sviluppo esoterico. La loro scelta era caduta sull'alchimia e sull'astrologia come giusta via verso un illuminismo cristiano.

Gli antichi potevano sfiorare il Vello d'oro per curare l'anima; i Rosacroce avrebbero fra breve offerto all'umanità la possibilità di sfiorare la mano di Cristo - la mano del Re Pescatore, nell'emblema dei due pesci - e del singolo Pesce - che simboleggia l'Era dei Pesci.

Eravamo giunti a Heidelberg seguendo le tracce di alchimisti come Maier, contemplando ciò che restava delle città e delle biblioteche in cui era vissuto e aveva studiato.

Come la giovane Elisabetta, anche noi sostammo dapprima a Oppenheim, dov'erano stati stampati alcuni dei più famosi libri occulti del XVII secolo. Fu qui che incontrammo Adriano Luksch, esperto di orologi medievali. Conversando con lui, decidemmo di cambiare l'itinerario che ci eravamo proposti di seguire a favore di quello che speravamo si sarebbe

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dimostrato un viaggio più istruttivo. Dopo la visita al castello di Heidelberg, avremmo preso verso est, per andare in quella che allora si chiamava Cecoslovacchia e trovarci con Adriano a Praga, dove abitava: non vedevamo l'ora che ci illustrasse i segreti dell'antico orologio zodiacale di cui era profondo conoscitore. Ma un viaggio a Praga ci attirava comunque: avevamo sempre desiderato vedere il «Vicolo d'Oro», la fila di casette degli alchimisti ricavate nelle mura del castello, e rendere omaggio alla tomba dell'alchimista-astrologo Tycho Brahe.

Heidelberg è sotto il segno della Vergine.72 Ci incuriosiva il fatto che nel giorno del nostro arrivo, nell'aprile del 1958, il pianeta Plutone fosse entrato da pochi minuti in questo segno, prima di ricadere sotto l'influsso del Leone. Con il cupo Plutone, dio degli inferi, sospeso in questo segno di Terra (e in un grado empatico nel nostro tema natale) potevamo aspettarci che accadesse qualcosa di straordinario, forse che riemergesse qualcosa del passato rimasto sepolto.

Ma se queste erano state le nostre aspettative, andarono deluse. Non successe niente di strano e il nostro soggiorno a Heidelberg fu deliziosamente privo di imprevisti. Per qualche giorno fummo occupati in città, dove prendemmo alloggio in un albergherò vicino all'università. Avevamo un paio di appuntamenti e desideravamo condurre qualche ricerca nella biblioteca universitaria. Fu perciò soltanto nelle prime ore del giovedì seguente che potemmo visitare il castello, prospiciente il fiume Neckar.

Fummo i primi ad arrivare davanti alla cancellata quel giovedì mattina. Tutt'intorno non c'era anima viva. Suonammo il campanello, seguendo le istruzioni del custode al quale avevamo telefonato, e aspettammo pazientemente che venisse ad aprire. L'alba era stata magnifica, e ora, mentre varcavamo i cancelli entrando nella grande corte, sui blocchi di pietra arenaria, scaldati dai raggi del Sole, sembrava colare oro fuso.73 Quel fulgore aureo del passato ci riportò subito alla mente l'immagine dell'Argo dorata di Federico, che in quella stessa corte sembrava galleggiare sulla terraferma, annunciando con il suo simbolismo segreto i misteri del sidereo Ariete.

C'era poco tempo per contemplare il Sole che giocava con le figure planetarie e mitologiche che ornavano l'enorme facciata: avevamo infatti preso appuntamento per vedere l'unica stanza dell'edificio di cui parlavano a lungo i trattati

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medievali. Eravamo venuti a visitare l'antico laboratorio di alchimia, situato all'interno del castello. Nell'attraversare la corte fummo tentati di indugiare, ma i colpetti di tosse del custode, tanto discreti quanto espliciti, ci ricordarono che non c'era tempo da perdere. Forse la nostra presenza non era ufficiale, forse il responsabile del museo era all'oscuro della nostra visita.

Strascicando i piedi, aprendo porte, il custode ci precedette giù per le scale; con il suo lungo cappotto di foggia militare e il pesante mazzo di chiavi alla cintola sembrava un carceriere medievale: in lui non c'era neppure l'ombra della gioia interiore che si coglie nell'arte e nella letteratura di quell'epoca e i suoi occhi inespressivi non recavano traccia dell'eccitazione che animava il nostro sguardo. Quell'uomo era come murato dentro i guai della sua vita, un essere arcigno che pareva indifferente all'antica bellezza che lo circondava. Già quando l'avevamo salutato, osservando che bella luce ci fosse quel giorno, si era limitato a grugnire e a prendere in modo quasi furtivo il Trinkgeld, la mancia che gli avevamo offerto, senza mostrare il minimo segno di piacere.

Ci eravamo illusi di poter vagare liberamente nella sala circolare sotto la volta di pietra, ma quell'uomo accigliato non era dello stesso parere. Era verbolen, disse, superare il cartello. Un custode meno teutonico avrebbe forse permesso a uno studioso di oltrepassare quella fragile difesa, ma capimmo che non era il caso di suggerire uno strappo alle regole: in Germania le regole raramente sono fatte per essere infrante. E comunque la ragione era dalla sua parte, perché in fondo alla scala che conduceva allo spazio circolare una recinzione provvisoria impediva l'accesso.74

Due dei camini del XVI secolo erano ancora intatti, così come lo era un forno di metallo, un atanor di epoca imprecisata.

Tutt'intorno alla stanza, fissati alle pareti, correvano numerosi tavolini di pietra, al di sopra dei quali erano appesi degli scaffali con alambicchi, storte, palloni e tutti gli strumenti di cui si servono i farmacisti e gli alchimisti. Scorrendo con lo sguardo quegli antichi attrezzi, non riuscivamo a liberarci della strana sensazione che Y atanor non si trovasse al posto giusto.

In un angolo della mente qualcosa ci tormentava. Percepivamo che quella sala circolare era cambiata. Nella biblioteca universitaria avevamo visto le incisioni del XVI

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secolo che la raffiguravano, ma non riuscivamo lo stesso a capire esattamente in che cosa consistesseil mutamento. Una ristrutturazione integrale era da escludere, perché il laboratorio aveva una forma di una semplicità estrema e i muri in pietra non intonacati dovevano essere molto simili a quelli originali, a meno che, naturalmente, in passato non fossero stati ricoperti di affreschi poi scomparsi con il tempo. Anche il nome era cambiato: adesso la sala si chiamava Apothekerturm, ossia «torre del farmacista».

L'enorme spazio sotto il soffitto a forma di storta non mandava alcuna vibrazione: se qualche spirito aveva indugiato dopo la dipartita degli ultimi alchimisti doveva essersi involato chissà quando. Stavamo per andarcene e risalire le scale per tornare in cortile quando la nostra attenzione fu attratta dalle pareti.

Era come se lo sguardo potesse penetrare al di là, o meglio dentro, di esse, nella loro essenza: la pietra era viva, vibrante. Le pareti non erano veli, non erano così immateriali da poterle scostare con la mano, né erano trasparenti, ma non erano neppure solide. Erano in un certo senso meno consistenti della forma ad arnia del laboratorio che esse definivano.

Sentivamo di essere sul punto di stabilire un contatto con qualcosa che era sepolto nel nostro profondo, ma il custode già ci faceva cenno di andarcene. Non appena volgemmo le spalle alle pareti per imboccare la scala, la strana sensazione svanì e tornammo a quel livello dell'essere che siamo soliti chiamare realtà.

Il sole era ancora in tutto il suo splendore quando riemergemmo nella corte: decidemmo di approfittare dell'inatteso tepore per visitare i famosi giardini del castello.75

L'«ottava meraviglia del mondo», con i suoi prati e fiori rari, i prodigi meccanici, i complicati labirinti, le fontane e i giochi idraulici, era stata interamente demolita nel XVII secolo durante la Guerra dei trent'anni, scoppiata poco dopo le nozze di Federico ed Elisabetta, che si erano visti costretti a lasciare Heidelberg. Camminando sui prati incolti, non ci aspettavamo di certo di cogliere un soffio del loro passato di Rosacroce. Poi, seminascosto fra i cespugli, ci imbattemmo nel busto a grandezza naturale di Goethe. Ci bastò scorgerlo per ricordare che quel grande uomo aveva amato i giardini di Heidelberg e vi aveva trascorso in meditazione lunghi periodi, seduto proprio lì vicino. Quel busto ci parve un segnale della

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continuità della tradizione rosacrociana in Europa. Nonostante le devastazioni subite a partire dal 1622, quei giardini restavano pur sempre una grande impresa: erano stati strappati alla terra, erano, per così dire, una montagna filosofale scavata da un Rosacroce che doveva aver conosciuto Simon Stu- dion, quell'uomo straordinario che, con la sua analisi accurata delle profezie, aveva trasmesso al XVII secolo le idee degli esoteristi chelo avevano preceduto, nascoste negli scritti di gruppi iniziatici quali i gioachimiti, aggiungendo così altri anelli a una salda catena.76 Proprio lì, in quel luogo, il Rosacrocianesimo delle scuole invisibili si legava a Simon Studion, e Simon Studion a Salomon de Caus, e questi a Goethe, il quale a sua volta era connesso con il Rosacrocianesimo del XX secolo con più vincoli di quanti se ne possano elencare in breve.

I misteriosi giardini erano durati pochi anni, eppure costituivano ancora l'essenza materiale di una catena aurea che unisce le fratellanze segrete. Il lontano passato dei Rosacroce era custodito in cima a un colle spianato, e qui si fondeva con l'esoterismo successivo, alimentato da Goethe. Ma il più grande studioso di Goethe era stato Rudolf Steiner, il quale, ai primi del XX secolo, aveva proclamato apertamente i meriti del Rosacrocianesimo esoterico.

Questa concatenazione, questa nostra visione della continuità delle scuole segrete, ci stavano forse conducendo a capire il senso dei vaghi presentimenti che avevamo avuto nel laboratorio alchemico?

L'atanor era dentro il laboratorio. Ora, aH'improvviso, ricordammo qualcosa che Rudolf Steiner aveva detto circa il progetto del suo magnifico centro di antroposofia, il Goetheanum di Dornach:77 egli aveva insistito, per ragioni di natura assolutamente spirituale, che la caldaia del riscaldamento centrale fosse posta a una certa distanza dall'edificio e non al suo interno.78 Che conclusioni trarre da queste associazioni? Il laboratorio di Heildelberg, che secondo gli antichi alchimisti era un'immagine dell'uomo, era forse il prototipo del Goetheanum? O il Goetheanum era invece la fioritura, prima in legno e poi in cemento, dell'albero dello spirito rosacrociano che era rinato a Heidelberg nel XVII secolo?

Ci sedemmo su una panca in quel pianoro creato dall'uomo sui colli prospicienti il fiume Neckar ed entrammo in meditazione.

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Le immagini non tardarono a venire. Vedemmo le pareti del laboratorio che avevamo appena visitato. Ora nello specchio ustorio della mente esse pulsavano di vita. Ma non era quella vita, e non erano neppure le pulsazioni innaturali della pietra, a galvanizzare la nostra attenzione; era la sensazione di qualcos'altro che stava al di là, qualcosa che non riuscivamo ad afferrare. La forma fisica si dissolveva sotto l'impatto della forma spirituale sottostante. La sensazione che qualcosa fino allora celato fosse sul punto di affiorare alla luce del Sole ci accompagnò per tutto il periodo del soggiorno a Heidelberg. Mentre ce ne andavamo dai giardini, ci chiedevamo: era questo l'inconfondibile marchio di Plutone, signore delle cose nascoste, che avevamo colto nell'aria al nostro arrivo in città?

Il viaggio verso oriente, verso la Cecoslovacchia, non fu così semplice come avevamo immaginato. Alla frontiera fummo bloccati dalla burocrazia e giungemmo a Praga soltanto alla fine di aprile.

L'ultima domenica del mese, prima di arrivare nella città, ci recammo a Karlstejn, che era stata un tempo la roccaforte dell'ultimo sovrano iniziato d'Europa, il grande Carlo IV.79 In questo castello Carlo conservava le insegne imperiali e le numerose reliquie che si riteneva fossero state «testimoni» della morte e Resurrezione di Cristo. A questa preziosa collezione Carlo aveva poi aggiunto i gioielli della corona.

In quegli anni erano pochi i turisti occidentali che visitavano l'Est europeo, e nelle terre che un tempo erano state la Boemia regnava la desolazione. La vicina Praga era ancora senza dubbio un vivace centro intellettuale e artistico, ma la maggior parte delle attività più creative molto probabilmente si svolgevano in case private e durante riunioni segrete, quasi a dispetto della situazione politica generale. La fortezza di KarlStejn, nonostante la passata grandezza, appariva ora priva di spiritualità. Vagammo per l'immenso castello, soli, a parte naturalmente la guida d'obbligo, una Fraulein Fischer che non vedeva l'ora di far pratica d'inglese, perché, come diceva lei, «l'inglese è la lingua del futuro».

La stessa aria desolata che aleggiava sulle campagne gravava su gran parte delle stanze del palazzo in stato di abbandono. C'era però una sala in cui, in mezzo a tanto squallore, si insinuava una luce interiore ancora intatta: era la cappella di Santa Caterina.80

Da quasi sette secoli le pareti di quel piccolo oratorio sono

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ornate di pietre dure levigate, ma si dice che al tempo di Carlo tutta la loro superficie fosse coperta da affreschi dai vivaci colori.81 In una nicchia sopra l'altare c'era ancora un dipinto che Carlo doveva conoscere: un'immagine di Gesù Bambino fra le braccia della Vergine. In esso le figure sacre si ergevano alte sopra l'imperatore e la moglie Anna, inginocchiati ai due lati, e Gesù era chinato per toccare la mano di Carlo.82

Il dipinto era molto deteriorato, eppure, forse perché al riparo di una nicchia, contribuiva a dare l'impressione che le successive modifiche apportate alle pareti - le incrostazioni di pietre e tutto il resto- fossero semplicemente una specie di manto protettivo per conservare i simboli segreti degli affreschi originari. L'intera superficie pareva pulsare di una vita che promanava dall'interno. In quell'oratorio percepivamo lo stesso potere litico che avevamo captato nel laboratorio di Heidelberg. La sensazione ci accompagnò per qualche istante, ma ancora una volta non ritenemmo saggio abbandonarci liberamente alla meditazione in presenza della guida.

Alla grande torre si accede soltanto tramite un ponticello di legno che si stacca dalla torre Maria. E una misura di sicurezza, adottata, a quanto pare, da Carlo in persona. Chissà, ci chiedemmo, se nella mente dell'imperatore non ci fosse anche il ricordo del ponte di Bifrost che nella mitologia nordica collegava il mondo esterno con Asgard, la città di Aesir, in cui dimoravano i compagni del dio Odino.83

Al secondo piano della grande torre si trova uno dei luoghi ritenuti un tempo fra i più sacri d'Europa: la cappella della Santa Croce, in cui Carlo conservava le reliquie e i fastosi gioielli imperiali. Quando entrammo la cappella era vuota e avvolta nella semioscurità. Una vista meravigliosa si parò davanti ai nostri occhi. Anche qui, come nella cappella dedicata a Santa Caterina, le pareti erano incrostate di pietre dure - quarzo, diaspro e ametista - incastonate in stucchi do-rati. Le più grandi (forse identificabili con il calcedonio rosso) erano disposte in modo da formare una serie di croci.

Una volta a crociera sovrastava le quattro grandi pareti terminanti ad arco coperte di quadri, soprattutto ritratti di ecclesiastici. Le divinità egizie avevano custodito la soglia che conduceva ai tesori celesti, minacciando di punire nell'aldilà quanti erano venuti meno alla loro ricerca, ma questi alti prelati custodivano un tesoro più terreno. Oppure no? Karlètejn nascondeva forse un segreto più profondo di quanto

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non si ritenesse comunemente?Che Carlo IV, iniziato a un alto grado, vi avesse tenuto

incontri esoterici? Che fosse questo il vero mistero di Karlstejn, il cui nome significa «pietra di Carlo»? Che la «pietra di Carlo» fosse il sègreto degli alchimisti, la pietra filosofale? Perché mai altrimenti decorare le pareti con pietre alle quali tutti i lapidari medievali attribuivano capacità taumaturgiche e redentrici? Tutte quelle che eravamo riusciti a identificare - le varie qualità di quarzo, il diaspro e l'ametista -8'1 erano pietre magiche, le pietre con cui, racconta la Genesi, erano co-struite le mura della Città Santa. Gli architetti volevano forse equiparare questo tesoro al cielo?

Anche la volta massiccia, innalzata nello spazio, era disegnata come una volta celeste. L'intera superficie, in parte di pietra e in parte di gesso, era ricoperta da sontuose dorature, in cui erano inserite piccole stelle di vetro, che catturavano la luce delle candele con cui era illuminata la cappella. Quel barbaglio di specchi minuscoli come capocchie di spillo non poteva che essere un simbolo del regno sidereo, che è la vera dimora dell'iniziato.

Nella cappella, dicono i documenti, erano custoditi alcuni tesori. A quel Segreto dei Segreti si accedeva da una porticina posta sotto l'altare, che fu murata nel XIX secolo.85 Qualche decennio prima, nel ripulire la stanza del tesoro, era stata rinvenuta la testa di un coccodrillo.86 Al ritrovamento era stata attribuita scarsa importanza: si pensò che fosse una delle tante curiosità che l'imperatore riportava dai suoi viaggi. E invece la presenza di una testa di coccodrillo nella parte più riposta di una cappella in cui si celebra la creazione contiene sicuramente un simbolismo più profondo. La letteratura ermetica ha descritto la discesa dell'anima nel corpo fisico attraverso l'incarnazione, attribuendole dei simboli a ogni stadio. Da principio l'anima è il falcone d'oro, perché è connessa con il dio egizio Horus, il cui simbolo è il falco. Poi, passata nel regno del tempo, essa assume la forma di un giglio d'oro, chiamato a volte anche giglio di luce. Segue quindi una fase di preconcepimento, in cui l'anima assume l'aspetto del serpente sacro, ì'uraeus, che i testi ermetici definiscono «Anima della Terra». Infine essa muta le sue sembianze in quelle del cocco-drillo, perché all'atto della nascita viene investita delle passioni comuni all'umanità.87

Forse quella testa di coccodrillo era una componente fondamentale della magia che permeava la costruzione della

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cappella. Forse era un seme egizio sepolto nei sotterranei: un monumento a ricordo delle origini delle scuole rosacrociane che erano nate dalla saggezza ermetica e sarebbero fiorite in Europa.

Mentre meditavamo su questo modello di cosmo, fummo pervasi dalla stessa sensazione che avevamo provato nella cappella di Santa Caterina: le pareti sembravano vive, ma questa volta con maggiore nitidezza e intensità. Alla mente, come sempre ansiosa di trovare spiegazioni, si affollarono racconti di spiriti eiementali,88 custodi delle pietre - poste lì per ordine dei maghi - e vecchie storie sui pittori medievali che sapevano dipingere immagini capaci di sanare e parlare.

Il giorno dopo, lunedì, arrivammo a Praga prima dell'ora di pranzo e andammo al caffè sulla Staromèstské Nàmèsti, l'antica piazza del mercato dove avevamo appuntamento con Adriano Luksch, esperto di orologi.

Prima di sederci ad attenderlo, entrammo nella chiesa di Tyn lì accanto, per rendere omaggio aH'alchimista-astronomo danese Ty- cho Brahe davanti al suo sarcofago finemente scolpito.89 Avevamo anche intravisto l'orologio astronomico, ma ci eravamo limitati a dargli un'occhiata in attesa che l'esperto ci insegnasse a guardarlo.

Capita raramente di potersi sedere al tavolino di un caffè che, come accade in questa immensa piazza di Praga, abbia di fronte tanta storia scritta nella pietra. Ogni singolo edificio sembrava suggerire l'atmosfera dell'epoca in cui era sorto. L'antico municipio - le case a esso retrostanti portavano ancora impressi i segni delle bombe tedesche cadute durante la Seconda guerra mondiale - dominava la scena, insieme ai grandi campanili della chiesa barocca di San Nicola e della gotica Tyn, con la facciata quattrocentesca. Lì vicino si trovava la casa in cui aveva vissuto Kafka e, davanti a noi, c'era il monumento liberty dedicato a Jan Hus, il riformatore religioso boemo, che, salito sul rogo in Germania, aveva continuato a cantare il Kyrie eleison in mezzo alle fiamme.

Carlo IV aveva davvero ridato vita a Praga. Subito dopo la sua ascesa al trono di Boemia, alla morte del padre caduto nel 1346 nella battaglia di Crécy, egli per prima cosa aveva fondato l'università, una delle prime d'oltralpe. Il re, che era un iniziato cui spettava il compito di preparare il terreno per la diffusione del cristianesimo esoterico nel Nord, aveva capito che la chiave di quell'espansione stava nell'istruzione.

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Riflettevamo su quel poco di storia di Praga che ci era noto, quando arrivò Adriano, battendosi comicamente il petto per scusarsi del ritardo. Ma il pianeta Mercurio sarebbe stato retrogrado per almeno altre ventiquattro ore e perciò non ci aspettavamo di certo la puntualità da nessuno.

Si accese una sigaretta. «Sei stato a vedere il famoso Vicolo d'O- ro?» chiese.

«Sono a Praga da meno di un'ora. Ho visto la tomba'di Tycho Brahe e ho dato un'occhiata all'orologio...»

Ci interruppe con una scrollata di spalle. «Purtroppo è quello che fanno quasi tutti: danno un'occhiata, ma noi lo guarderemo davvero. Esamineremo uno a uno tutti i suoi simboli.»

Venti minuti dopo eravamo davanti alla torre del municipio. L'orologio era probabilmente più grande di quanto non fosse quello della cattedrale di Strasburgo, ancora più ornato e complesso,90 ma i due capolavori avevano degli elementi comuni. Intanto ognuno aveva due grandi quadranti: uno per segnare il tempo sulla Terra (figura 41), l'altro che indicava il tempo in base alle stelle (figura 42). Entrambi avevano un corteo di automi, raffiguranti l'ordine diurno dei pianeti. Quel giorno in particolare era lunedì e la Luna cavalcava il suo carro con la testa coronata da una falce d'argento.

«Adriano, che cos'è quel castello d'oro al centro del quadrante inferiore?» domandammo. Sul fondo d'oro zecchino erano inseriti piccoli medaglioni con la rappresentazione delle attività umane associate a ciascun mese e segno zodiacale.91

Al centro campeggiava un castello a tre torri (figura 43).«È Praga. Secondo alcuni è un'immagine stilizzata della

porta del ponte sulla Moldava fatto costruire da Carlo IV su progetto di Peter Parler: la si riconosce in numerosi stemmi qui in città.»

Fu la prima delusione: sapevamo che Adriano aveva torto. La sua era la spiegazione ufficiale. Eravamo certi che il castello d'oro al centro del quadrante era il simbolo di Gerusalemme, la Città Santa. Quel

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l'anello d'oro era circondato dai cerchi concentrici dello zodiaco e del tempo seriale, ossia dei mesi. L'aureo castello era al centro del mondo cosmico, dove, secondo la concezione medievale non si trovava Praga, bensì Gerusalemme, la Città di Dio. Le tre torri del castello simboleggiavano la Trinità. La porta aveva la saracinesca sollevata, perché quel castello era aperto a chiunque. La Città di Dio era posta al centro di tutta l'attività umana, ed era esattamente questo che la città turrita raffigurava: non poteva che essere archetipica.92 La parte più esterna del quadrante consisteva in una banda bianca che riportava in un'elegante grafia i nomi dei trecentosessantacinque santi dell'anno; una figura alata indicava con una bacchetta il nome di quello del giorno. Noi non ricordavamo quale fosse il santo di quel 28 aprile, né da quella distanza riuscivamo a leggerlo.

«E la figura alata?» domandammo.«L'angelo? Indica i giorni, secondo il calendario

ecclesiastico.»Ancora una volta provammo una fitta di delusione. Quello

era l'arcangelo Michele, come testimoniavano la spada e lo scudo rotondo.93

«E l'uomo che gli sta di fronte?»«E un astronomo arabo» rispose Adriano. «Osserva, ha in

mano un telescopio. Quasi tutte le conoscenze astronomiche utilizzate per costruire l'orologio provenivano da Baghdad.»

Questo era vero, ma ormai avevamo capito che era inutile far domande sulle due figure situate sotto l'orologio perché appartenevano alla tradizione esoterica. Si trattava di bassorilievi, scolpiti nella pietra, e ritraevano due uomini addormentati. Uno era scivolato in avanti, in un sonno profondo, mentre l'altro aveva la testa appoggiata al braccio e gli occhi chiusi. Erano gli assopiti ovvero il simbolo della comune umanità, immersa nel sonno e inconsapevole degli aurei misteri cosmici che la sovrastano (il quadrante d'oro dell'orologio). Si sarebbero mai svegliati alle meraviglie del cosmo su in alto prima che la morte li cogliesse?

«Ho ottenuto il permesso per entrare nella torre» disse con un tono casuale Adriano. «Se vuoi, possiamo esaminare il meccanismo interno.»

Accettammo con entusiasmo l'offerta e trascorremmo un paio d'ore ad ascoltare affascinati le spiegazioni di Adriano sul funzionamento dell'orologio. Era questa la sua vera competenza.

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La sera andammo allo Stavovské Divadlo, il teatro d'opera in cui era stata data la prima del Don Giovanni di Mozart.94 Dopo lo spettacolo vagammo per le vie della città vecchia e, percorrendo il ponteCarlo, giungemmo fino alla cattedrale di San Vito. Camminavamo senza meta, osservando i simboli sugli antichi edifici. Perché predominavano le immagini del pesce d'oro? Praga era una città del Leone, situata in un paese governato anch'esso dal Leone.95 Cominciammo a contare le immagini del castello a tre torri che incontravamo, ma erano così numerose che ben presto rinunciammo.

Forse Adriano aveva ragione, forse era davvero una sciocchezza pensare che al centro del disegno dell'orologio ci fosse un simbolismo cosmico. Possibile che il castello turrito fosse l'emblema sia della Città di Dio sia di Praga, a seconda del contesto in cui compariva? Gli artisti medievali erano forse convinti che Praga fosse la Città di Dio?

La mattina dopo, all'alba, tornammo a guardare l'orologio astronomico e a meditare senza distrazioni. Il quadrante superiore aveva una lancetta, con una grande palla d'argento all'estremità, indicanteil rapido movimento diurno della Luna rispetto allo zodiaco. Quella mattina la Luna era appena entrata nella Vergine. La seJonda lancetta mostrava la Luna in armonioso rapporto trino con il Sole, il quale si trovava nel segno di Terra del Toro.

Ancora una volta ci soffermammo sul quadrante inferiore, sul centro immobile del mondo spirituale. Lo sguardo ci cadde sulla strana immagine del Capricorno racchiusa in uno dei medaglioni. Perché il capro-Capricorno portava con sé un bambino? Era la prima volta che vedevamo un simbolo del genere. Il Capricorno veniva di solito raffigurato con la testa caprina e il corpo pisciforme, mentre in Oriente l'immagine era quella del coccodrillo, il makara. Il makara, coccodrillo-capro-pesce, era uno dei maestri iniziati che avevano in-segnato all'umanità. Quel bambino era forse un embrione che rappresentava la Terra, portato in spalla da un dio celeste? Il Capricorno recava con sé il bambino cui doveva fare da maestro? Quel bambino non avrebbe potuto essere l'anima, appena desta, dei due uomini immersi nel sonno, giù in basso?

Fu mentre ce ne stavamo lì a ruminare su questi simboli che si ripresentò la strana sensazione che ci aveva turbato a Heidelberg e KarlStejn. Tutta la superficie dorata del

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quadrante inferiore cominciò a vibrare, come manovrata da qualche delicato meccanismo interno. L'orologio, i bassorilievi che lo circondavano, la torre e Praga tutta erano vivi. Poi d'un tratto fu come se la nostra anima fosse risucchiata verso quel cerchio d'oro, fino al suo centro, fino alla porta con la saracinesca sollevata. In quell'attimo capimmo cos'era il velo che vibrava intorno a noi: era il primo velo di Iside, quello scuro, che nessun uomo comune poteva sollevare. Quel velo della natura aveva subito un'improvvisa metamorfosi: era diventato quello che Plutarco definì «la pura, morbida veste che non pesa sull'osservatore»,il velo che non aveva sostanza né massa.96

Poi, mentre si faceva strada in noi la coscienza che tutto ciò che ci circondava era il velo sollevato di Iside, cominciammo a capire il senso di ciò che avevamo provato a Heidelberg e a KarlStejn. Ora sa-pevamo che mentre guardavamo l'orologio e la Città di Dio al suo centro, ricordavamo.

Altrimenti, come avremmo potuto sapere che il castello a tre torri era un'immagine della Città di Dio? Forse, nei tempi andati, a Praga c'era stato davvero un castello a tre torri e forse Adriano aveva ra-gione nel dire che era un simbolo di Praga. Eppure noi sapevamo che quella non era l'immagine di una città terrena, bensì della Città Ce-leste. E come potevamo saperlo, a meno che non fossimo in contatto con il piano archetipico?

Era una domanda importante, eppure raramente, troppo rara-mente, ci soffermiamo a chiederci perché sappiamo e che cosa sap-piamo. C'è la conoscenza che viene dai libri, c'è quella che viene dagli altri, dall'esperienza... Tutte cose vere. Però esiste anche un altro tipo di conoscenza che non dipende dal mondo della materia, contaminato dal tempo. Platone chiamò questa conoscenza anamnesis, ossia reminiscenza.97 Dove avesse dimorato l'anima prima di quel momento forse era irrilevante: l'importante era che dentro di noi avevamo una facoltà capace di ricordare. Forse le nostre erano memorie di vite precedenti o di un tempo in cui la nostra anima, libera nel mondo spirituale, era stata testimone dello svolgersi della storia. Quello che contava era l'aver visto al nostro interno un tesoro aureo di saggezza, custodito da un drago, Ladone, che altri poi chiamarono il velo.

A quel tempo frequentavamo ancora la scuola di Parigi. La chia-miamo di Parigi benché ormai si fosse spostata più a sud, nella valle della Loira. Quando tornammo dopo un lungo viaggio attraverso la Boemia, sostammo a Bellegarde e sottoponemmo le nostre esperien-ze al maestro.

Egli ci scrutò per qualche istante e sorrise lentamente prima di

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parlare.«Più di tutti mi è piaciuta la storia dei dormienti. Gli uomini ad-

dormentati, giù in basso, guardano quelli che dormono più in alto e si domandano perché siano immersi nel sonno... È ironico, n'est-ce- pas?» disse scoppiando a ridere.

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Poi tornò serio. «Quello che devo dirti, Mark, è che i tuoi muri si sono mossi perché stai cominciando a mettere le ali. Non è naturale che le ali spuntino in questo stadio - e tuttavia tutto il lavoro esoterico è contro natura e tu ti stai accorgendo che cosa significhi mettere le ali... Forse non imparerai mai a danzare come si deve, Mark. Ma probabilmente imparerai a volare.»

Alla sua battuta accennammo un debole sorriso.«Queste esperienze le devi coltivare. Tutti quei libri che leggi, tutto

il gran parlare che fai, tutta la tua intelligenza, non ti aiuteranno a mettere le ali, Mark. Devi imparare ad ascoltare e a guardare. Ecco che cosa ti stanno dicendo i muri che si muovono.»

Sorrise di nuovo, ma ora nella sua voce c'era una morbidezza in-consueta. Fino ad allora, tutte le volte che aveva parlato con noi, aveva sempre lasciato trasparire una sfumatura ironica, come se pensasse che non eravamo ancora pronti per far parte di una scuola. Adesso quella sfumatura era scomparsa.

«Sei ancora giovane e hai un lungo cammino davanti. H tuo rac-conto mi dice che a guidarti sono i tuoi impulsi interiori. Potrei dire che hai un orecchio interno per le cose», disse, battendosi un paio di volte il dito sul lobo, come a sottolineare le sue parole.

«E una Via molto particolare, la tua. Dovrai lavorarci ancora. Dovrai imparare ad ascoltare te stesso, a toccare le cose che hai dentro. È un'arte che non può insegnarti nessuno. Sono poche ormai le persone che ascoltano l'io interiore. Ti stai incamminando su una strada solitaria.»

Parlando, si strofinava il mento con l'indice, come se cercasse le parole giuste. Parlava in francese, che non era la sua lingua naturale.

«Vedi, fra le prime esperienze di chi segue la Via del Matto ce n'è una simile a quelle che tu hai descritto.» Ci guardò con gli occhi sgranati, un po' sardonici, come faceva sempre quando stava per ri-volgerci una domanda. «Il mondo materiale si stava dissolvendo?»

«I muri, il quadrante dell'orologio... Sì.»«E da questa dissoluzione della forma hai imparato qualcosa?»«Ho imparato molte cose» rispondemmo con una certa enfasi. «Ho

imparato che cos'è il velo di Iside, il peplos.»«Non dimenticare, Mark, che di veli ce n'è più d'uno. Il peplos è

soltanto lo scuro velo esterno, lo schermo occulto per coloro che non sanno.» La sua voce cambiò e assunse un tono sollecito. «Ma non ti ha dato un senso di insicurezza? Quando le pareti si sono dissolte, non ti sei sentito smarrito?»

«No. Affatto.»«Questo è un buon segno. Tu hai visto la verità. La natura, il mondo

dei fenomeni, è un velo che copre l'attività spirituale e tanto vale

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rendersene conto all'inizio dell'evoluzione esoterica. Ma quest'espe-rienza, benché essenziale nelle prime tappe, non deve indurti a pen-sare che il mondo quaggiù sia irreale. Ti è stata mostrata un'unica cosa, e cioè che il mondo quaggiù non è esattamente come l'avevi immaginato.» Iniziò a esprimersi in inglese, lingua che parlava meno bene del francese, con voce stranamente gutturale e un forte accento slavo. «Il mondo quaggiù è un velo. È un velo così trasparente che è possibile acquisire - conquistare - la capacità di vedere attraverso la Terra stessa, penetrarla completamente; trapassarla da parte a parte con lo sguardo.»

«Le soleil de minuti» ci avventurammo a dire in francese. In un cer-to senso, detto così, suonava meno forte del «sole di mezzanotte» e ci chiedemmo se ne conoscesse il significato.

«Ze Zun of ze Midnight» replicò scherzosamente in inglese, facendo il verso a se stesso. «Sì, il mondo materiale è così inconsistente. Gli antichi saggi lo chiamavano giustamente il velo, perché il velo è qualcosa di impalpabile. Credo che in inglese qualcuno faccia un gioco di parole e lo chiami valle di lacrime (veti, "velo", e vale, "valle", hanno lo stesso suono). I giochi di parole nascondono una verità: gli egiziani ritenevano che il velo di Iside fosse fatto di lacrime che colavano dal cielo.» Tornò di nuovo al francese. «Ma lacrime o non lacrime, il velo del mondo è molto reale. Soltanto chi non è disposto a voltare le spalle a questo velo, chi è pronto ad affrontarlo con decisione, riuscirà a trovare la sua Via in questo nostro tempo. Il velo non ha lingua, e tuttavia possiede la parola. Se ascolti con attenzione e afferri quello che dice, imparerai cose straordinarie.»

Ancora una volta il maestro tacque, pensoso. Da qualche parte un pianoforte suonava un motivo ballabile. Domandarsi se quei suoni meccanici avessero anch'essi la parola sarebbe stato sciocco: la musi-ca è una forma più alta di linguaggio.

«Benché la tua esperienza sia abbastanza comune fra i giovani in-camminati sulla Via, raramente è così drammatica come è capitato a te. Dici che ti è successo in tre occasioni e che ogni volta era più in-tensa?»

«Sì.» L'ultima esperienza di dissolvimento, a Praga, era stata così intensa che avevamo avuto la sensazione di essere risucchiati dentro il quadrante d'oro dell'orologio.

Appoggiò di nuovo l'indice al mento e poi chiese: «Questo labo-ratorio alchemico di Heidelberg è sotterraneo?».

La domanda ci sorprese. «Sì.»«E gli orologi di Praga erano in alto, sopra la tua testa?»«Sì.»«Immagino che il quadrante dell'orologio fosse rotondo, ma dimmi,

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Capitolo secondo

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la pianta del laboratorio era circolare?»«Sì.»«Allora, vedi, ha agito su tre livelli: sulla tua volontà, sui tuoi sen-

timenti e sui tuoi pensieri. Nel primo caso i tuoi piedi erano a contatto con un cerchio mentre il velo si sollevava. Nel secondo caso la tua faccia era rivolta in alto, verso un altro cerchio. Queste sono cose importanti. L'architettura agisce sui nostri corpi spirituali in strani modi. Sai, una parte del nostro essere spirituale imita tutto ciò che ci sta davanti. Quando vediamo un simbolo, imitiamo quel simbolo. È questa una delle maniere in cui i "non intelligenti" - cioè quelli non immersi in quell'intellettualismo che oggigiorno raccoglie tanti con-sensi - nutrono il loro spirito. La loro coscienza non coglie le voci dei simboli, ma il loro corpo assorbe come una spugna il potare di quei suoni senza suoni. Il cristianesimo è per tutti, non solo per gli intelli-genti. L'intelligenza spesso costituisce un ostacolo sulla via della vera comprensione.»

Parve riflettere su ciò che aveva appena detto. «Ho usato il verbo imitare, ma non è preciso. Tuttavia, se anche mi servissi del termine esatto, quello che si usa nella sapienza ermetica, non lo capiresti an-cora. Ma la parola non è importante: si imitano le forme esterne, ten-tando di assimilarle nel proprio essere. Questa imitazione può portare a grandi tensioni interiori le quali si risolvono o con le lacrime o con un'apertura che conduce al mondo spirituale.»

«Sentivo le lacrime dietro l'esperienza, le sentivo premere.»«Sì, è normale. Normalissimo.»Ci fu un lungo silenzio. Alla fine il maestro sorrise e osservò: «Le

lacrime sono normali in queste circostanze, Mark, ma quello che hai provato non era affatto una cosa normale. Devi esserne grato. Non sempre si vede con tanta chiarezza la natura del velo scuro.»

«Grazie. Me ne ricorderò.»«Vedi, in Europa ci sono chiese medievali concepite per agire pre-

cisamente su questi tre livelli dell'uomo. La cripta opera sulla volontà, le navate laterali agiscono sulle emozioni e l'altare sopraelevato (o, in alcuni casi, le immagini sopra l'altare) sul pensiero. Tieni gli occhi bene aperti e cerca di vederle, queste chiese: anche quando non sono ideate come luoghi di iniziazione cristiana, architettonicamente sono organizzate in questo modo. Inginocchiandoci, camminando al loro interno, possiamo entrare a contatto con parti segrete del nostro io.»

Di nuovo quello sguardo interrogativo.«Hai letto Goethe?» mi chiese con un tono che lasciava supporre un

significato più profondo dietro quella semplice domanda.«Poche cose. Il Viaggio in Italia...»«Un uomo nella tua posizione dovrebbe leggere Goethe. Tutti quelli

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L'iniziato

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sulla Via dovrebbero leggere Goethe. Dovresti portarti sempre un suo libro in tasca, Mark. Goethe era più avanti di quasi due secoli rispetto ai suoi contemporanei e sapeva meglio di chiunque altro che alla natura ci si deve accostare con sensibilità artistica ma anche con attenzione ai fatti. Goethe ha detto qualcosa che faresti bene a tenere a mente. Ha detto: "Il vero pur essendo divino non appare direttamen-te. Dobbiamo indovinarne la realtà dalle sue manifestazioni".»

Sorrise e gli occhi gli si fecero stretti come fessure. Il maestro era piccolo, con le guance rasate, sguardo intenso in un volto che, nono-stante tutto quello che sapevamo sulle sue capacità interiori, ci ricor-dava sempre quello di una donnola. (Se Leonardo da Vinci avesse dovuto farne il ritratto, sicuramente l'avrebbe raffigurato alla maniera in cui aveva ritratto Cecilia Gallerani, con quegli occhi da ermellino. Cecilia era l'amante di Ludovico il Moro, duca di Milano, e pare detestasse Leonardo che aveva colto la somiglianza fra il suo volto e il muso dell'ermellino che teneva in grembo.)98 Il maestro sorrise di nuovo e si alzò dai cuscini.

Più precisamente, scattò in piedi; aveva un'energia straordinaria, era come una molla. Un istante prima se ne stava seduto a gambe in-crociate sui cuscini, e subito dopo era già eretto, come se da una po-sizione all'altra non si fosse verificato alcun cambiamento spaziale.

Negli anni seguenti abbiamo visto molti vecchi alzarsi dai cuscini dei loro diwanir arabi99 con la stessa grazia, e soltanto allora abbiamo capito dove il nostro maestro ne avesse imparato l'arte.

Insomma si alzò, e prima di andarsene ci rivolse un piccolo inchino, una forma scherzosa di salaam all'orientale. Poi si voltò e uscì.100

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Capitolo terzo

Perché tutto ciò che colpisce il senso corporeo io lo ritengo sim-bolico, un unico, possente alfabeto per menti infantili: e noi in questo basso mondo con le spalle voltate alla luminosa Realtà, affinché possiamo imparare con fresca, integra comprensione la sostanza dall'ombra.

S.T. COLERIDGE, The Destiny of Nations

Lo storico Ignaz von Dòllinger ha affermato che se ci chiedessero quale è stato il giorno più funesto di tutta la storia dovremmo ri -spondere il 13 ottobre 1307. Quel giorno Filippo il Bello, re di Francia, diede ordine di arrestare i Templari francesi.

Dòllinger vede giustamente in questa data un punto nodale della storia del mondo, perché fu allora che avvenne l'ignobile tentativo di distruggere un ordine esoterico da parte di chi invece avrebbe dovuto «sapere».1 Probabilmente lo storico pensava che gli arresti in massa prima, e la dissoluzione dell'ordine poi, avessero interamente cancellato l'importante impresa esoterica che era compito dei Tem-plari svolgere. In realtà il loro lavoro non si concluse, perché, se è vero che la storia dei movimenti esoterici non è mai più stata la stessa dopo la repressione attuata dal re di Francia, è altrettanto vero che alcuni Templari riuscirono a rifugiarsi in Germania e in Inghilterra dove erano più al sicuro e minori erano i pericoli dellTnquisizione.2 Il programma segreto di riforma dei Templari divenne clandestino, com'è nella migliore tradizione delle correnti occulte perseguitate. Fu questa probabilmente la ragione per cui il Rosacrocianesimo, che segnò la successiva, importante fase di sviluppo esoterico, emerse in Germania e mise radici in Inghilterra molto prima che in Francia. Detto questo, però, Dòllinger ha ragione nel vedere negli eventi del 1307 una crisi mondiale, di cui la sorte toccata ai movimenti esoterici fu lo specchio.

Chiunque intraprenda la via dello sviluppo spirituale che conduce all'iniziazione prima o poi va incontro a una crisi che è l'equivalente di quella del 1307. Il neofita, a volte perché perseguitato, a volte perché cade in errore, arriva prima o poi a un bivio, davanti al quale è co-stretto a entrare in clandestinità oppure a cambiare direzione.

Il nostro «giorno infausto» ci venne incontro in Italia, negli anni

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L'inizinto

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Sessanta.

Nel primo canto del Purgatorio Dante racconta come, mentre si di-rigeva verso l'inferno, gli si fosse parato davanti un animale non identificato, che chiamò lonza.3 La creatura non lo minacciò, né gli impedì in alcun modo il passaggio. Non sappiamo esattamente che aspetto avesse, né capiamo, ragionando in termini di normale sim-bolismo, perché Dante l'abbia introdotta. I critici letterari sostengono di solito che la lonza è una pantera ed è l'allegoria del «piacere o della lussuria». Ma l'esoterista sa ben altro: sa che la lonza è il simbolo di quello che in tempi relativamente recenti è stato definito «il guardiano della soglia».4 Quella fiera è un'entità spirituale davanti alla quale devono passare tutti i mortali che vogliano entrare nei regni spirituali del purgatorio e dell'inferno.5 La lonza non minaccia, né ostacola il poeta perché nel suo poema visionario a Dante è stato concesso il privilegio di viaggiare nelle sfere spirituali con il corpo intatto e sicuro che non gli accadrà nulla di male. A differenza di tutte le altre entità che incontra nei tre regni ultramondani - angeli, defunti e demoni - egli proietta un'ombra. Quell'ombra è il segno che nel mondo spirituale egli è un intruso: è un uomo, penetrato nelle sfere più alte alle quali di norma non ha accesso. È, in breve, un iniziato che cammina nei cieli. Ed è per questo che gli è permesso oltrepassare il portale custodito dalla lonza, la quale vaga nei pressi, a guardia di quella soglia fra la Terra materiale e i regni spirituali.

L'espressione «guardiano della soglia» è piuttosto recente, ma le entità demoniache che essa denota sono antiche come le montagne. Il guardiano è una sorta di cuscinetto interposto fra due mondi: controlla per impedire a quelli non ancora pronti di mettere piede in un regno che non sarebbero in grado di tollerare senza una protezione speciale.

Poiché la loro origine è molto lontana nel tempo, questi demoni- custodi sono stati chiamati con molti nomi nella tradizione esoterica, e alcuni degli strani mostri disegnati dai primi alchimisti ne sono una raffigurazione (figura 44).6 Se qui li indichiamo con il nome moderno è soprattutto perché esso esprime con maggiore compiutezza la natura dell'esperienza spirituale che gli alchimisti demonizzavano o traducevano in parole e simboli arcani. Qualcuno potrebbe pensare che la quieta fiera dantesca non abbia nulla di terribile, ma l'arcanista riconoscerebbe subito nella parola lonza una profondità di significato infernale.7

Poiché il mondo spirituale gli ha concesso di varcare la soglia del-l'inferno, del purgatorio e del paradiso, Dante non viene sottoposto alla prova, come invece accade di norma all'adepto, quando si accin-

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Capitolo terzo

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ge a penetrare in un regno spirituale più elevato per acquisire cono-scenza attraverso la visione diretta dei segreti più riposti. A questo esame l'ha preparato il processo iniziatico, affinché egli possa conti-nuare l'esplorazione senza incontrare ostacoli indebiti. Se un altro, che non fosse Dante, si trovasse in quella buia foresta faccia a faccia con la lonza, verrebbe probabilmente aggredito e allontanato dalla soglia dietro la quale si estende il mondo superiore. La prova è parte integrante del processo iniziatico, e se ne coglie ancora l'eco fra le tribù primitive. Ebbene, una delle prove iniziatiche meglio docu-mentate è proprio l'incontro con il guardiano della soglia.

Le verità esoteriche che si nascondono dietro la figura della lonza sono state colte con vero genio artistico dal poeta e pittore occulto Austin Osman Spare. Egli ha trasformato il singolo custode in una pluralità di entità, raffigurandole in disegni, parole e diaframmi che indicano chiaramente come egli considerasse queste creature guar-diani posti fra questo e l'altro mondo. Ispirandosi alla tradizione oc-culta, Spare ha fatto di queste entità una sorta di finestra della men-te, che separa la coscienza ordinaria dal regno spirituale. In una serie di disegni, che Spare giustamente associava aU'Inferno dantesco, i guardiani sono ritratti nel vano di una finestra, mentre la figura che rappresenta la normale coscienza umana è seduta su una sedia, circondata da entità demoniache (figura 45).8 I disegni sono accompagnati da un testo, il cui messaggio è molto chiaro per tutti coloro che «camminano nei cieli», ossia nei regni dello spirito:9

Ho inviato la mia anima nell'invisibile, a decifrare qualche lettera del dopo vita: e in un baleno la mia anima è tornata, e mi ha detto che io stesso sono paradiso e inferno.10

Per Spare, come per Blake, penetrare oltre il velo, andare oltre il guardiano o i mostri, comporta una nuova strutturazione dell'io. Ol-trepassata la soglia, le illusioni che inchiodano l'ego nello spazio e nel tempo vanno in frantumi. Varcare quella soglia senza esserne trasfigurati è un'impresa quasi impossibile.

Il senso di separazione spirituale, che contrassegna la normale esistenza, ha confini che scompaiono nei regni superiori. Sul piano più alto la distinzione fra esteriore e interiore si fa sfumata.

Spare, come Dante, era un profondo conoscitore della mitologia,

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L'iniziato

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il che spiega come mai tanti suoi quadri siano riflessioni arcane su antiche verità mitologiche. In un suo scritto egli medita intorno al-l'antica immagine greca della farfalla, in cui riconosce il simbolo del-l'anima umana, presa nelle spirali della reincarnazione. La farfalla rappresenta lo sfocarsi dei margini fra il regno dell'esistenza ordinaria e il regno superiore in cui può venire a trovarsi l'iniziato passando da un mondo a quello successivo. Nel corso di questa transizione, il confine fra io e gli altri, fra il fuori e il dentro, si fa indistinto. Spare, il quale aveva capito l'illusorietà della distinzione che si fa di solito fra mondo interiore e mondo esteriore, scriveva: «Se ferisci la Farfalla, ferisci te stesso, ma la convinzione di non ferire te stesso ti protegge dalla ferita, per un po'!».11

Naturalmente il momento della verità, cui accenna Spare, è quello della morte.

Se con l'iniziazione riusciremo faticosamente ad andare oltre il velo dei guardiani, o se vi saremo proiettati all'improvviso dalla morte, ci accoglieranno tutte le azioni che abbiamo compiuto durante la vita: i nostri atti esteriori assumeranno allora l'aspetto dell'esperienza interiore. Quasi riflesse in uno specchio magico, ci verranno mostrate le immagini delle nostre azioni terrene: tutte le ferite che avremo inferto alla farfalla (e in verità a tutte le creature) torneranno a ossessionarci come un incubo. Ben presto cominceremo a sentire sulla nostra pelle la sofferenza che abbiamo procurato.

Una volta superata la soglia, il male che abbiamo fatto agli altri diventa il nostro male. Questa sofferenza dell'anima contribuirà a redimere almeno in parte i gesti di crudeltà che abbiamo compiuto: il feritore diventa ferito - e questa è una verità cosmica, in cui gli iniziati riconoscono il segreto del purgatorio. Lo stato purificatorio altro non è se non il disvelarsi sul piano spirituale della realtà di tutte le azioni che abbiamo compiuto sulla Terra. Oltre la soglia tutte le illusioni scompaiono: ci vedremo come ci hanno visto gli altri, ci sopporteremo come gli altri ci hanno sopportato.

Quali sono le circostanze in cui si seguono le orme di Dante e si incontra la lonza? Di norma gli esseri umani varcano la soglia soltanto dopo la morte. E soltanto dopo la morte effettuano l'esperienza del purgatorio, un dispiegarsi di qualcosa che era già latente quand'erano in vita - latente nell'ombra perché creato da loro stessi.

Ma in via eccezionale la soglia può essere oltrepassata con l'ini-ziazione. Nessuno può raggiungere gli stadi iniziatici più alti senza imbattersi nel guardiano. Nessuno può dimorare nella luce più intensa senza essere purgato.

L'antichità esprimeva l'idea della purificazione con un simbolismo

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Capitolo terzo

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molto semplice: con l'immagine di una pianta, il moli. Nella mitologia classica il bulbo nero di questa pianta sacra doveva essere reciso per lasciare soltanto il prezioso fiore bianco. Il bulbo, con la sua negritudine, era il peccato; il fiore, con il suo biancore, era l'anima,lo spirito, che doveva spogliarsi della sua parte buia per innalzarsi verso i regni superiori. Il moli è sopravvissuto nell'ambito della magia, ma soltanto come nome, perdendo tutte le sue proprietà purificatrici.12

Eppure l'idea che l'anima sia un fiore, avvinto per le radici alla nera terra, è uno splendido archetipo, che esprime alla perfezione la condizione umana: le radici nutrono e tuttavia tengono incatenata al suolo l'anima.

Ma quando veniamo sradicati, quando le illusioni che avvolgono la vita ordinaria vengono strappate, dalla morte o dall'iniziazione, giunge il momento della verità: i mostri interni si manifestano anche all'esterno. E un'esperienza atroce scoprire durante queste epifanie che tutte le nostre azioni, tutti i nostri pensieri e desideri/anche i più riposti, si incarnano al di fuori di noi: è un saggio di ciò che sono l'inferno e il purgatorio.

Alla Sacra di San Michele, mentre studiavamo le costellazioni me-dievali scolpite sull'arco in cima alla Scala dei morti, la nostra atten-zione fu attratta in particolare da un'immagine: un bassorilievo raf-figurante il Centauro, l'uomo-cavallo, che stringeva fra le mani un coniglio o forse una lepre (figura 46). Indagini successive ci rivelarono che quella bestiola aveva un'ascendenza strana e infausta: benché avesse un'apparenza innocua, nella tradizione stellare medievale era nota come la Bestia.13 Il suo timido aspetto era una maschera, che nascondeva, come avremmo scoperto in seguito, uno spirito di estrema depravazione.

La bestia interiore è uno dei tanti nomi attribuiti alla creatura che in varie forme se ne sta acquattata dentro ciascuno di noi. È, letteral-mente, il mostro interiore: la parte buia dell'anima umana che attende di essere redenta. Secondo le teorie astrologiche che associano i metalli ai pianeti, la bestia interiore è il pesante piombo che portiamo dentro di noi in qualche angolo dell'anima.14

Nella tradizione ermetica e in quella alchemica a ciascuno dei sette pianeti corrisponde un metallo: il Sole regna sull'oro, la Luna sul-l'argento, e così via. Il pianeta Saturno, freddo e lontano, governa il piombo e nel linguaggio ermetico è proprio questo metallo greve che il Matto porta nel fagotto appeso al bastone (figura 8). Su un livello simbolico più profondo, il piombo è il peso morto del karma che deve essere redento attraverso il processo alchemico dell'iniziazione. Il Matto ermetico, con la sua sporta e il suo bordone, ha lontane

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ascendenze: il Pastore o Hermes pastorale degli antichi testi ermetici reca in spalla una bisaccia e in mano un bastone.15

La bestia interiore dell'esoterismo moderno è stata «personificata» e «spiritualizzata»: a torto o a ragione, è stata chiamata «il guardiano della soglia».16 Il guardiano sta sulla porta, a ricordarci i debiti karmici che attendono di essere rimessi, le tenebre che devono essere trasformate in luce, affinché «il rosso Adamo» - di cui abbiamo già parlato - diventi una creatura luminosa, quella che gli antichi ermetici chiamavano phos.17 Come quasi tutti i predatori, anche la bestia interiore dev'essere stanata ed esposta il più possibile alla luce diurna, in cui i neri mostri si dissolvono o perdono parte del loro potere.

Il vero orrore della bestia è che dimora dentro ciascuno di noi: ecco perché la via iniziatica conduce inevitabilmente a darle la caccia. Nessuno che percorra la Via può sottrarsi al confronto con il mostro: prima o poi, lungo il cammino, egli sarà costretto ad affrontare la bestia che ha dentro. Se non lo farà, sarà la bestia ad alzare la testa e ad aggredirlo. L'antico mito di Teseo e del Minotauro è una metafora perfetta di questa verità esoterica. Il mostro (creatura del peccato, nata da un illecito connubio)18 è imprigionato in un labirinto che, con i suoi corridoi tortuosi, è un'immagine delle circonvoluzioni del cervello umano, rinchiuso dentro il cranio. Nelle spirali del nostro cervello erra un Minotauro contro cui dobbiamo lottare con il coraggio di Teseo. Quando la bestia oscura viene sfidata dentro il labirinto - nei luoghi segreti della mente - si accende il conflitto che le discipline religiose chiamano «la notte oscura dell'anima».19 Quando invece la creatura arriva dall'esterno, percorrendo le gallerie di maya e seminando distruzione, allora diventa «la Prova».

In arte questa creatura delle tenebre assume di solito l'aspetto di un mostro accidioso, avvolto nelle sue spire. Lo si vede spesso sotto questa forma nelle migliaia di monumenti ai caduti in quei furibondi assalti della bestia che furono le due guerre mondiali. Sovente è il drago che San Giorgio, con la fulgente armatura, schiaccia sotto il tallone. Quest'immagine è di antica origine: il mostro è in effetti una sorta di dinosauro, il retaggio, almeno in parte, di mondi molto remoti, quando gli esseri umani assunsero una forma fisica.20 La bestia ci fa ripiombare nell'arcaicità, nelle storie irrisolte e irredente delle

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Capitolo terzo

nostre vite passate. Così come la sua ascendenza è antica, altrettantolo è la sua mitologia: essa infatti aveva già contorni ben definiti nella letteratura assirica, in cui era raffigurata sotto le spoglie del mostro acquatico Tiamat.21 Il Minotauro, il mostro partorito da Pasifae, aveva per padre un toro donato da Poseidone, dio del mare, che è il simbolo universale dell'anima umana.

L'idea che dentro ogni essere umano stia in agguato una bestia ri-sale a epoche molto lontane: il Leviatano, il mostro interiore di cui Blake scrisse con tanta passione, è probabilmente ancora più antico di Tiamat. Quando Anubis, il dio egizio, giudicava i morti, ponendo su un piatto della bilancia il cuore del defunto e sull'altro la piuma della verità (maat), aveva al suo fianco il mostro Amemit, «il divoratore». Il significato di quest'immagine è inequivocabile: Amemit è il lato oscuro che desidera divorare ciò che gli appartiene.

William Blake diede la caccia alla bestia, che egli chiamò «lo Spet-tro», con grande destrezza e con altrettanta maestria ne parlò.22 L'o-roscopo natale di Blake è caratterizzato da un forte influsso di quella parte dei cieli chiamata Bestia.23 Nessun buon astrologo sarebbe sor-preso di scoprire che i temi della poesia di Blake sono già scritti nelle stelle: se il dentro è sempre un riflesso del fuori, allora la nascita, che avviene al centro del cosmo, non può che riflettere il grande cerchio dello zodiaco che sta alla sua periferia.24 Il discorso vale non soltanto per i geni come Blake, ma anche per vite che ai non iniziati potrebbero sembrare vuote o prive di capacità creative. Che gli antichi disegni delle stelle si rispecchino nel destino di ciascuno di noi non è affatto sorprendente: se infatti non rinasciamo periodicamente dalle stelle, allora da dove veniamo?

Blake era un Rosacroce, un iniziato che aveva studiato a fondo il più grande degli scrittori appartenenti a quel movimento, il mistico Jakob Boehme, il ciabattino tedesco grande esperto di astrologia.25

Anche Blake aveva studiato l'astrologia, e la conosceva a sufficienza per conversare con un astrologo influente e originale quale fu il pittore inglese John Varley.26 È presumibile dunque che egli fosse consapevole dell'influsso della bestia sul suo oroscopo natale e sulla sua vita. E infatti in una poesia egli giunge quasi a chiamare per nome la manifestazione esteriore della creatura duale.

Il mio spettro intorno a me giorno e notte come una bestia feroce presidia la mia Via: la mia Emanazione dall'interno piange incessantemente per il mio peccato.27

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Le implicazioni di questo duplice Spettro ed Emanazione di Blake ci divennero più chiare analizzando la tradizione astrologica riguardante la sua controparte celeste, la Bestia dei cieli. Stando al mito, un giorno Licaone, il sanguinario re d'Arcadia, sacrificò sull'altare un bambino: poiché dentro il sovrano non era ancora avvenuto il processo di scissione, il suo comportamento esteriore era ancora dettato dalle sue tenebre irredente. E un'altra volta cercò di indurre Giove a cibarsi di carne umana. Per la sua prima colpa, Licaone, alla sua morte fu trasformato nella Bestia; con la seconda colpa provocò il diluvio, che per poco non estinse la razza umana. La parte di cielo occupata dalla Bestia esercita dunque un influsso che ha alle sue radici un assassinio commesso da un uomo di malvagità cosmica. Il racconto contiene in nuce la grande verità che Blake riconobbe: la Bestia è una creatura duale. Con il suo atto Licaone provocò la morte di un singolo e rischiò di sommergere il mondo intero.28

Naturalmente, un conto è scrivere spassionatamente del mostro interiore che si nasconde nella straordinaria visione poetica di Blake, e un altro è descrivere in poesia la sofferenza che accompagna il risve-glio di questa creatura dentro di noi, allorché il mostro appare all'e-sterno, assumendo la forma di Spettro. Evaso dal cervello-labirinto, il mostro avanza come il Leviatano nella visione di Blake «con tutta la furia di un'esistenza spirituale».29 Quando compare, gli eventi che se-guono assumono spesso carattere drammatico, di tragedia personale.

William Blake rappresenta per alcuni aspetti lo spirito umano il quale non si lasciò ingannare dalle sirene del materialismo che per-vase prima l'Inghilterra e poi l'Europa con la Rivoluzione industriale. Mentre in quella parte del mondo quasi tutta l'umanità veniva trascinata verso il basso, verso un rapporto più intimo con la materia, con quella che gli esoteristi chiamano maya, Blake vigilò, ponendosi a difesa del primato dello spirito, facendosi testimone del mondo superiore visionario con il quale intratteneva rapporti così stretti.

Esaminando la storia dellTnghilterra prima dell'avvento del Ro-manticismo, si individuano due grandi capi di quel movimento che portò al materialismo così aborrito da Blake: il politico e saggista Francesco Bacone e il chimico Robert Boyle. Bacone pose le fonda- menta del materialismo che poi si sviluppò nella civiltà occidentale; Boyle, suo discepolo, si sforzò di convogliare il fiume della scienza nell'alveo della sperimentazione e dell'induzione, processo che, come egli sapeva, avrebbe portato, fra l'altro, a mettere in discussione e addirittura in ridicolo le idee alchemiche.

L'analisi più acuta della vita precedente di Bacone la effettuò Rudolf Steiner con le sue ricerche spirituali. Durante un importante ciclo di

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conferenze tenute nel 1924, un anno prima di morire, Steiner rivelò che in un'incarnazione precedente Francesco Bacone era vissuto a Baghdad nel IX secolo.30 La conoscenza di cui Bacone si era nutrito in quel brillante centro intellettuale islamico (dove si studiavano l'alchimia e l'astrologia con rara precisione e profondità) l'aveva portata con sé nella sua successiva rinascita nell'Inghilterra del XVI secolo. A Baghdad, afferma Steiner, Bacone era stato il grande Harun al Raschid, il più prestigioso intellettuale islamico del tempo.

Grazie alla posizione che occupava in campo scientifico, artistico e letterario, Harun acquisì una cultura quasi enciclopedica. Nella Baghdad del IX secolo la scienza - e in particolare l'alchimia - co-minciava a liberarsi dalle catene della speculazione pura: gli studiosi iniziarono a condurre esperimenti finalizzati, per carpire alla natura segreti e poteri. È in questo impulso intellettuale a trovare un'utilità pratica nella natura (che costituisce oggi la principale motivazione della ricerca scientifica) che Steiner rintraccia le origini di quello che si sarebbe poi chiamato materialismo.

L'erede di Bacone, Robert Boyle, fu uno dei fondatori della Royal Society, la più antica associazione scientifica britannica, che venne istituita nel 1660. Boyle faceva parte di quel nucleo ristretto di studiosi che già da una quindicina di anni si riunivano informalmente e i cui incontri portarono alla fondazione della società. Quel gruppo Boyle lo definì, con le parole del riformatore e Rosacroce Comenio, «Collegio invisibile»,31 espressione che indica chiaramente come la società affondasse le sue radici nell'humus rosacrociano della prima metà del XVII secolo.

Nella nostra analisi dello sviluppo del materialismo in Occidente Robert Boyle occupa un posto di estrema importanza, soprattutto perché siamo convinti che sia stato lui - sotto l'influsso di impulsi nati in una sua precedente incarnazione - a mettere in pratica con grande determinazione il metodo sperimentale proposto da Bacone. La storia ufficiale celebra Boyle come studioso di grande versatilità, con propensioni arcane che lo spinsero a studiare l'ebraico, il greco, il caldeo e il siriaco, e in lui vede il fondatore della moderna chimica, colui che la spogliò dei suoi panni paracelsiani, ossia esoterici.

Il nostro interesse era rivolto soprattutto al suo atteggiamento emotivo nei confronti dell'alchimia. Boyle sapeva che l'alchimia si preoccupava di questioni spirituali, sapeva che era la scienza arcana dell'anima. Proprio per questo essa ostacolava la scienza dell'inve-stigazione della materia che egli propugnava, quella che in seguito fu chiamata «filosofia meccanica» per distinguerla da quella spirituale.32

Boyle era fermamente convinto che la nuova scienza sperimentale avrebbe poggiato su solidi principi soltanto se si fosse occupata di

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L'iniziato

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cose che potevano essere misurate, percepite e pesate. Questa sua convinzione racchiudeva già in sé l'intera storia della scienza moderna, dal suo apogeo alla sua agonia.

Eppure il suo pensiero conteneva molti elementi a sostegno di un approccio alchemico alla natura.33 A differenza di molti moderni scienziati e storici dell'alchimia, Boyle non credeva affatto che i Tre Principi fossero materiali. Sapeva che il sale rappresentava il principio del pensiero, lo zolfo il principio della volontà mentre il mercurio conciliava i due opposti. Eppure, a mano a mano che leggevamo la sua prosa involuta, ci appariva sempre più chiaro che egli aveva stravolto le intenzioni dell'alchimia, e che l'aveva fatto consapevol-mente. Alcuni suoi saggi non differiscono in nulla da quelli degli oc-cultisti, erboristi e ciarlatani del suo tempo. Ma sotto la spinta del-l'entusiasmo per la spiegazione materialistica della realtà, spesso Boyle sorvola sulle implicazioni spirituali delle sue ricerche. Ciò si vede, fra l'altro, negli esperimenti die conduce con l'aria. L'afferma-zione di Boyle «il suono consiste nel moto ondulatorio dell'aria» è lontana dall'approccio moderno alla natura, e tuttavia non coglie l'elemento su cui più si arrovellavano gli alchimisti più profondi; vale a dire che il suono, di per sé, non è un moto ondulatorio dell'aria, bensì è un'esperienza psico-spirituale che avviene nell'anima umana.

Quale fosse l'atteggiamento di Boyle nei confronti dell'alchimia e del regno spirituale lo si vede chiaramente dal lessico cui ricorre, dove compaiono espressioni come «effluvio», «affinità chimica» e «corrente pestilenziale». Tutti questi termini, benché fossero appena entrati in uso a quei tempi, in realtà non erano che una riformulazione dell'antica teoria delle «simpatie».34 La nuova terminologia, con il suo rifiuto delle antiche strutture che avevano dato linfa alle ricerche alchemiche, mirava a condurre a un tipo diverso di scienza. Un amico di Boyle, lo scrittore Daniel Sennert, sosteneva in un suo saggio che alcuni ragni avevano un veleno così potente da penetrare (tramite il processo degli «effluvi») nelle suole delle scarpe di chi li schiacciava. Boyle, a sua volta, affermava che la selvaggina ferita impregnava a tal punto l'aria di effluvi da avvelenare i cani che la inseguivano. Fenomeni simili, naturalmente, erano già stati osservati e spiegati nell'antica letteratura occulta sugli amuleti, che era profondamente impregnata di teoria delle simpatie: l'unica novità al riguardo stava nella terminologia.

Consapevole che lo sviluppo della nuova scienza materialistica richiedeva un nuovo lessico, Boyle coniava nuove definizioni a ogni occasione. Eppure, nonostante la profondità della sua concezione scientifica di derivazione baconiana, non gli riuscì mai di spogliarsi del

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tutto della sua antica visione spiritualistica, sicché le terapie che egli propone nei suoi libri non sono poi molto diverse dalla magia simpatetica degli autori antichi. Egli dice, per esempio, che se un cane viene morso da un altro cane rabbioso lo si può guarire con la piantaggine (l'erba stellare), ma nella sua ricetta le proprietà tera-peutiche dipendono dalla numerologia, o comunque dalla progres-sione numerologica, in cui la medicina viene somministrata: il potere curativo dello specifico è riposto nelle sue virtù occulte.35

Le simpatie invisibili - o virtù - erano gli anelli della grande catena dell'essere, che andava da Dio fino all'uomo, ed era una catena spirituale e invisibile.36 Nel momento in cui l'elementd spirituale venne sottratto, la catena si spezzò. Il mondo, rimasto sconnesso, senza più il supporto dello spirito, non poteva più essere concepito come un tutto armonico: era diventato un aggregato di entità che, pur potendo talora mostrare affinità chimiche, non erano unite in un unico scopo spirituale. Questa direzione del pensiero, che è ora quella prevalente nel mondo esteriore, è il materialismo.

Alla definitiva divaricazione fra alchimia e chimica contribuirono molti contemporanei di Robert Boyle. In un numero di anni sorpren-dentemente ridotto la chimica si trasformò in indagine della materia e cessò di essere la ricerca di una metamorfosi spirituale segreta, qual era stata l'alchimia nelle sue forme precedenti. La parola «chimico», usata come sinonimo di alchimista, divenne un termine di- spregiativo, e tale rimase fino al 1661, quando Boyle pubblicò la sua influente opera, The Sceptical Chemist («Il chimico scettico»).

Tutte queste correnti, accomunate dall'essere una fuga dallo spirito, sembrarono confluire nella vita e nell'opera di Boyle, ed era proprio questo a suscitare il nostro interesse. Ma le nostre ricerche arcane su questo autore incontrarono ostacoli assai curiosi.

La vita di alcune persone presenta difficoltà irrisolvibili per l'oc-cultista che intraprenda la ricerca delle loro precedenti incarnazioni, tanto che a volte si riesce a malapena a rintracciare qualche vaga in-dicazione sul tempo e il luogo in cui si svolsero. Fu quanto ci accadde con Boyle. Intuivamo che i suoi atteggiamenti, come quelli del maestro Bacone, avrebbero potuto essere fatti risalire alla Baghdad del IX secolo, ma mentre l'esistenza di Bacone quale Harun al Ra- schid è stata ben documentata, non riuscivamo a identificare l'indi-vidualità che infine è diventata Robert Boyle.

Ci interrogavamo da diverso tempo sull'identità di Boyle nel ca-liffato di Baghdad: era evidente che egli doveva aver gravitato intorno alla corte, controllata da Harun al Raschid, e forse aveva anche lavorato con lui. Ma non riuscivamo, con le nostre sole forze, a entrare

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in contatto con questa corrente di storia passata. La vita precedente di Boyle restava per noi inaccessibile.

Per nostra fortuna avevamo sentito parlare di un italiano che aveva sviluppato elevatissime facoltà di chiaroveggenza. Ne discutemmo con il nostro maestro e decidemmo di chiedere aiuto a quel sapiente, che al tempo abitava nei pressi della vecchia università di Bergamo.

Il veggente, che chiameremo Muscos,37 cominciò spontaneamente a fare alcune osservazioni sui nostri corpi spirituali: ce ne descrisse i colori e i cambiamenti. In particolare lo incuriosiva una fascia rosso scuro intorno allo stomaco.

«Stai ancora lottando con...»«Un problema morale...» tagliammo corto. Il contrasto fra le ener-

gie che avevamo investito in quella questione e la miseria dei risultati costituiva già di per sé una forma di imbarazzo per noi.38

«Sì, è vero. Ma questi colori sono soltanto una coloratura. Ben pre-sto diventeranno pentimenti, che l'artista superiore coprirà con un colore diverso, cancellandoli.39 La tua pittura va verso un nuovo stile. Di questo problema fra poco potrai dire: "È sparito per sempre".» Disse proprio così, «sparito», cioè «scomparso alla vista», un verbo curioso da usare per qualcosa che è del tutto invisibile a uno sguardo normale. Era come se ci tenesse a rivelare subito la peculiarità della sua posizione.

La sua visione ci aveva profondamente impressionato. Era una visione chiara, eppure egli riusciva a tradurla facilmente in un lin-guaggio comune. Quell'uomo aveva capacità eccezionali. Gli chie-demmo: «Come mai non è diventato maestro?».

«Credo di essere più utile, di questi tempi, lavorando a un livello più basso.» Non era modestia la sua, era senso pratico.

Aggrottammo la fronte. In quel momento non eravamo di certo a un livello basso.

«Ma questo non c'entra. Tu sei venuto da me in cerca di informa-zioni, di una risposta alle tue domande. È una cosa che mi interessa

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molto, ma capita raramente. La gente di solito non viene perché riconosce in me un maestro, ma perché ha problemi. Problemi di vita.»

«Un bulldozer per rompere una noce?» osservammo.Muscos rise della metafora, «Sei troppo gentile. Ma sì, hai ragione:

forse sono davvero un po' come un apripista che corre sopra le noci».Ancora prima di incontrare Muscos avevamo immaginato che non ci

sarebbe stato bisogno di spiegargli perché eravamo venuti: l'avrebbe capito subito da solo.

Ci fissò per qualche istante, ma in realtà i suoi occhi erano rivolti all'interno ed erano leggermente velati. Era immerso in un'immobilità totale, come se non respirasse, sembrava una statua di Buddha. Poi parlò.

«Adesso so perché non riesci a stabilire un nesso preciso fra Boyle e la corte di Baghdad. Forse guardi verso la regione sbagliata e forse anche il periodo non è del tutto esatto.40 Dentro di me, pientre guardo, affiora il nome del grande Alkindi». Fece un sorriso quasi di rim-provero, e notammo che il suo sguardo era di nuovo rivolto verso l'esterno. «Per fortuna non devo scrutare ogni volta la corrente. Il latte e le acque sacre non si incontrano mai tranne che in questo fiume argentato.»

Parlava la nostra lingua. Sapevamo esattamente a che cosa allu-deva. La parola corrente, che aveva pronunciato con tono casuale, mi aveva messo i brividi. Nell'esoterismo il Mare Vergine era un'e-spressione ormai in disuso, ma l'avevamo incontrata molte volte studiando Paracelso.41 L'idea di questa sorgente alimentatrice di sa-pienza virginale era stata espressa nel XVII secolo con alcune delle immagini alchemiche più curiose (figura 40). Il lac Virginis, il candido latte della Vergine, era la bianca luce delle stelle, che si tramuta in saggezza quando discende sulla Terra. Muscos vedeva dentro la no-stra anima con tanta chiarezza da discernere anche questa minuscola traccia di interesse? O forse c'era un legame vivo fra lui e il più Matto dei Matti erranti, Paracelso? Eravamo davvero sulla stessa Via, e l'uomo che avevo di fronte era tanto più avanti di me che non riuscivo a riconoscere in lui un fratello?

«Alkindi, se ben ricordo» proseguì Muscos, «benché fosse total-mente immerso nella tradizione astrologica e alchemica araba, aveva una concezione niente affatto popolare nella Baghdad del IX secolo.»

«La sua concezione dell'alchimia?»«Ah, lo sai!» rise Muscos, e poi aggiunse: «Ma certo, che Io sai!»,

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Sorrise del suo errore, poi proseguì: «Alkindi sosteneva che l'arte dell'alchimia è ingannevole. Sosteneva che la trasmutazione non è possibile. Una credenza strana per quei tempi! Significava che Alkindi negava il potere trasformatore della quintessenza».

Annuimmo. Neppure noi eravamo mai riusciti a capire perché.Muscos riprese a parlare, ma nella sua voce c'era ancora una nota

divertita: «Ecco, vedi, Alkindi era come un altro bulldozer al lavoro, una minaccia per chi gli stava intorno. Egli sfidava i pregiudizi, un mestiere che non è mai popolare, in alcun tempo e luogo. Ricordi il titolo del suo libro di alchimia?».

«Gli inganni degli alchimisti?»«Sì. Non ci ritrovi il tuo Mr Boyle?»Soppesammo le sue parole ma non ci riuscì di fare il salto dal ca-

liffato del IX secolo all'Inghilterra del XVII secolo.«Non vedi?» insistette. «Boyle ha scritto un libro intitolato The

Sceptical Chemist. L'affinità è troppo grande per passare inosservata in una catena di vite!»

Nello stesso istante tutte le tessere del mosaico si incastrarono alla perfezione. Percepimmo subito anche altri legami, meno ovvi, fra i due uomini. «Lei intende dire che la concezione dell'alchimia di Alkindi, benché espressa in termini diversi, è riemersa negli scritti di Boyle?» La nostra era un'ovvietà, perché quell'uomo eccezionale ci aveva già illuminati. Tutto era ormai chiaro aH'anima cosciente, che è il riflesso della superficie di quel fiume eterno.

«Si direbbe di sì, non ti pare?»Non prendevamo più in mano le opere di Alkindi da molto tempo,

però ricordavamo che effettivamente contenevano alcuni temi presenti nel libro seminale di Boyle. Che l'alchimia fosse un'arte priva di validità era una delle conclusioni cui era giunto Boyle e una delle motivazioni che avevano ispirato le sue prime ricerche sperimentali.

«È un paragone che regge» disse Muscos. «Le critiche di Boyle, come quelle di Alkindi, erano basate su quella che si può soltanto definire una visione unilaterale dell'arte. Nelle sue incarnazioni, come arabo e come inglese, egli sembra non aver mai preso in conside-razione il lato spirituale dell'alchimia. La sua fu una sorta di volontaria cospirazione del silenzio.»

Muscos aveva ragione. Il destino di Boyle era stato chiaramente quello di ignorare, o accantonare, il lato spirituale dell'alchimia: do-veva farlo se voleva ridisegnare le teorie della materia che avrebbero condotto il mondo verso il materialismo. La verità è che se Bacone prima, e subito dopo i suoi discepoli, fra cui Boyle, non avessero so-spinto la scienza verso il materialismo, la Rivoluzione industriale non avrebbe mai avuto in Inghilterra lo sviluppo che ebbe.

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«Se» e così dicendo Muscos alzò gli occhi per incontrare i miei nel gesto prediletto da molti maestri, «se l'argomento ti interessa, potresti dare un'occhiata alla storia di Ragley Hall nel Warwickshire, che sotto la guida di Lady Conway e di quelì'altro genio misconosciuto del tempo, Van Helmont, fu il principale centro esoterico d'Inghilterra.»42

È così che i veri saggi lanciano suggerimenti che portano ad anni di ricerche. A quell'epoca, però, non avevamo idea di quale impresa egli ci stesse proponendo facendoci il nome di quel Rosacroce. Una volta risolto il problema di Boyle, Van Helmont divenne la nostra nuova ossessione.

Ci congedammo in uno stato di euforia. Ci ritrovammo nella luce intensa della grande piazza Vecchia, nella città alta, a osser/are l'in-treccio di sfingi, leoni e serpenti dalla testa di cammello che custodi-scono la fontana. Non avremmo potuto trovare simboli più appropriati dopo la nostra conversazione con Muscos: erano simboli dell'uomo interiore, disseminati intorno all'acqua che sgorga dal sottosuolo, l'acqua della saggezza terrena. Le sfingi erano l'emblema del pensiero umano, i leoni dei sentimenti e i serpenti, con la testa di cammello e il corpo robusto avvinghiato alle colonne, rappresentavano la volontà. Quelle figure erano state scolpite in un'epoca in cui i Tre Principi alchemici erano ancora vivi: ben pochi nel XVIII secolo avrebbero avuto difficoltà a interpretarne il senso.43

Era mezzogiorno, e il Sole picchiava forte. Ci rifugiammo all'ombra delle volte del palazzo della Ragione, con l'enorme meridiana e le incisioni degli splendidi sigilli zodiacali sotto i nostri piedi.441 sapienti progettisti avevano posto nella città alta di Bergamo una fontana e un orologio; la prima simboleggiava la saggezza derivata dalla Terra, il secondo, la saggezza emanata dalle stelle: era forse per questo che la sua scala di taratura era in marmo bianco come il latte?

Eravamo esaltati. Le intuizioni di Muscos avevano confermato al-cuni dei nostri sospetti sullo sviluppo della scienza in Inghilterra. Boyle aveva avuto un strano atteggiamento verso l'arcano e, benché ritenuto un Rosacroce, i suoi legami esoterici non erano affatto chiari. L'unica cosa certa è che egli era in stretto contatto con molti espo-nenti di una potente scuola esoterica, collegata con l'impulso rosa-crociano.

All'ombra del palazzo del Podestà non c'era posto per sedersi, entrammo dunque nella cappella Colleoni, in quella pace interiore che contrastava in modo così netto con le sue corrusche e confuse forme marmoree.45 La cappella era vuota. Ci sedemmo su una sedia di vimini accanto all'altare e ci immergemmo nei pensieri. Dall'alto ci guardavano le tre statue di Bartolomeo Manni, fra le due colonne tortili, simbolo del tempio di Salomone.46 Che rapporto c'era fra i due

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pilastri massonici, Jachin e Boaz, e i serpenti che, avvinghiati, si inerpicavano a proteggere la fontana nell'antica piazza davanti alla chiesa? Rappresentavano davvero il mistero della bisessualità dell'i-neffabile, di Dio, come ritenevano alcuni studiosi?47 O erano invece reliquie di un tempo in cui gli dei erano sempre in coppia, come Iside e Osiride, Astoreth e Baal, e così via?4B I serpenti con le loro spire erano senza dubbio ermafroditi e quindi non potevano essere emblemi dell'elemento maschile e di quello femminile. La volontà umana - lo zolfo giallo degli alchimisti -, a differenza del pensiero e del sentimento, era ancora bisessuale o androgina.49

Distogliemmo l'attenzione da quei simboli esterni per riflettere sulla nostra conversazione con Muscos. Adesso avevamo le idee più chiare. Ciò che avevamo appreso su Boyle, sulla sua vita precedente, ci aveva aiutato a capire meglio quella discesa nelle tenebre che prende il nome di Rivoluzione industriale. Come tutti i movimenti storici importanti, era stata progettata secoli prima della sua realizzazione ed era il prodotto dell'attività delle scuole che sovrintendono lo sviluppo delle epoche storiche. Ora l'intera questione ci appariva chiara: il materialismo aveva comportato la separazione di due impulsi, uno tendente verso l'oscurità, l'altro verso la luce. La parte buia aveva costituito il preludio a una visione particolare, quella scientifica, della natura privata dello spirito. Dalla luce che si era liberata con questa scissione erano nati l'impulso rosacrociano e il movimento romantico con esso imparentato, che vedevano la natura in termini spirituali.

Il 15 febbraio 1961, un mercoledì, mentre il gruppo si stava scio-gliendo dopo una seduta a Bellegarde, il maestro ci fece cenno di fermarci, facendoci capire che desiderava parlare con noi a quat-tr'occhi. Ricordiamo con precisione la data perché fu quel giorno che arrivò Melita. In qualsiasi altra occasione avremmo accolto con gioia un segno di distinzione quale la concessione di un colloquio privato con il maestro. Quella volta, però, ci sentimmo defraudati, perché l'apparizione di Melita aveva avuto nella nostra anima l'effetto di un tuono.

Del tesoro di saggezza iniziatica che l'antica Cina ci ha tramandato fa parte il Libro delle Mutazioni, o l-Ching: pur essendo stato ormai svilito e ridotto a strumento di pratiche divinatorie egocentriche, quel testo costituisce tuttora uno dei sistemi iniziatici più interessanti del mondo. L'impiego corretto dei suoi trigrammi ed esagrammi permette di esaminare tutti i fenomeni mayici di questo mondo sempre mutevole.

L'I-Ching studia le manifestazioni del creato in cui cerca di rin-tracciare l'interazione degli archetipi. Alcuni studiosi sostengono che

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gli archetipi operanti siano otto; altri invece affermano che siano sessantaquattro; altri ancora, analizzando le permutazioni cui appunto le sessantaquattro figure del libro possono dar hiogo, ritengono che gli archetipi siano miriadi.

Fra le sessantaquattro figure di base, gli esagrammi, ce n'è una che riguarda la verità interiore.50 Il carattere cinese che denota la verità consiste nel disegno stilizzato di un uccello che posale sue zampe protettive sulla testa di un uccellino implume: per gli antichi cinesi la verità era una cosa delicata, appena uscita dall'uovo, bisognosa di protezione. L'esagramma va letto su due piani: a un primo livello esso si riferisce alle conseguenze, nei loro vari stadi, della verità e della sincerità interiori nel nostro mondo quotidiano. A un livello più profondo esso indica le conseguenze dell'amore: l'amore infatti non è altro che il riconoscimento in un'altra persona della verità insita nella sua anima.

Nelle condizioni cosmiche che l'esagramma delinea si intravede con grande chiarezza come in alcune circostanze l'amore possa condurre alla sofferenza dell'anima. Il Libro delle Mutazioni mostra come un uomo - ma potrebbe benissimo essere una donna - che non abbia pienamente afferrato la natura cosmica dell'amore, possa cercare di trasformare in oggetto d'amore l'anima che egli ha percepito. È così che si confondono amore e possesso. Quando questo accade, quando l'amante cerca di legare a sé un amore, l'anima precipita in uno stato di squilibrio. «Ora batte sul tamburo: ora non batte più. Ora ride, ora piange» dice il testo cinese. Vedendo e legando a sé la sua amata - la sua anima - quest'uomo subirà un cambiamento immediato, perché non sarà più in grado di stabilire chi è l'amante e chi l'amato, chi l'inseguitore e chi l'inseguito. Questa, suggerisce 17- Ching, è la condizione dell'amore umano e dipende dall'anima degli amanti se l'amore sarà per loro la più grande di tutte le gioie oppure il peggiore di tutti i patimenti.

Fu il testo di questo esagramma che ci venne in mente vedendoMelita, quasi fosse una stella polare venuta a guidarci nel vortice della nostra anima. Melita era di una bellezza stupefacente e sembrava traboccare di una luce interiore così intensa da essere quasi visibile all'esterno. Fin dal primo istante desiderammo parlarle, salutarla come un'amica da tempo perduta. Dietro la gioia innocente c'era una forte attrazione sessuale. Mentre stavamo seduti sulla panca di legno ad ascoltare le domande e le risposte dei compagni, avevamo quasi la sensazione che la presenza di Melita dietro di noi irradiasse un intenso fulgore. Per la prima volta provammo sulla nostra pelle il conflitto fra lo zolfo e il sale che fa parte dell'essere di tutti gli uomini e di tutte le donne.

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Quando il maestro ci fece cenno di avvicinarci, Melita se ne andò insieme agli altri. Non avevamo avuto il tempo di presentarci. Nei giorni che ci separavano dal successivo incontro, vivemmo come ab-bacinati dal desiderio sognante di starle vicino.

Quando la sala fu vuota e il tè pronto, il maestro tornò su una do-manda che gli avevamo posto in precedenza. Riguardava il nome da lui identificato come nostro: Idiota.

Egli osservò: «Non occorre cercare a lungo nella letteratura esote-rica per accorgersi che la parola idiota è stata usata dagli arcanisti per nascondere temi segreti. Tante volte quella che ai profani pare pazzia, è soltanto uno schermo dietro cui si cela una saggezza superiore.51

Questa è una delle ragioni per cui il libro di Sebastian Brandt, LÌ nave dei folli, era così popolare nel tardo XV secolo, e tale rimase per molto tempo: quel libro celava al suo interno verità profonde sull'idiozia che è nell'uomo» (figura 47).52

«Credevo che Li nave dei folli fosse un libro satirico.»«Sì, lo è, ma di che cosa? È una satira della società, non della foiba.

In realtà quel testo non è un fiore del deserto, ma ha dietro di sé una lunga tradizione: Brandt subì l'influsso dello Specchio dei folli di Nigel Wireker, che era circolato in manoscritto già nel XII secolo. Nella Nave dei folli l'attenzione è più concentrata sulla sensualità e sulla sregolatezza connaturate alla natura del Matto, quasi sicuramente a causa degli eccessi di quella istituzione che era la Festa dei pazzi. Tutte queste cose le devi inquadrare nel loro contesto: il matto ribelle di Brandt e i suoi epigoni sono lo specchio di una reazione nei confronti della Chiesa. Alla fine del XV secolo, quando Brandt scrisse il suo libro, l'idea della riforma della Chiesa e del distacco da Roma riscuotevano ormai grande consenso. La natura esoterica di scritti come questo la si comprende soltanto se si ragiona in termini di crescita dell'ego umano, una crescita che non poteva non condur-

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re a una rottura delle convenzioni ecclesiastiche. Il giovane ego è fol-le. Ma la domanda è: che cos'è la follia, e che cos'è la saggezza? Il fiore può essere sapiente in termini di luce, ma la radice è saggia per quel che riguarda la terra. Capisci che cosa intendo dire?»

«Il Matto è radicato nella scura terra?»«È forse un caso se la terra d'Egitto veniva chiamata un tempo

"terra nera"?»Annuimmo. Era chiaro che il tema del Matto nell'esoterismo era più

complesso di quanto sospettassimo. Non avevamo dubbi sul fatto che il Matto dei tarocchi raffigurasse un matto-savio. Accadeva la stessa cosa anche in quel genere di letteratura al quale apparteneva La nave dei folli?

«Il racconto del mondo dei pazzi tracciato da Brandt ha poco a che vedere con la nave, che anzi si direbbe aggiunta in un secondo momento. E probabilmente è proprio così, perché in quel contesto la nave è il simbolo della Chiesa (ti ricordi il nesso fra nave e navata?). Il mondo di cui parlava Brandt era in realtà Narragonia: d'edizione pirata del libro, stampata a Strasburgo nel 1494, è intitolata infatti La nuova nave di Narragonia.53 La parola Narragonia in tedesco è l'equivalente di 'Terra dei matti". E questo ci porta a una tradizione medievale ben consolidata: in Germania la terra dei matti si chiamava Schluraffenland...»

«La Cuccagna delle fiabe?» Le tessere del mosaico cominciavano a incastrarsi.

«Proprio così, Mark. Che cos'era la Cuccagna?»«Un paese favoloso, dove si viveva nell'ozio e nel lusso, dove le

case erano di pan di zucchero, le strade lastricate di torte...»«Esatto. Le strade erano ricoperte di Kuchen - cioè torte - da cui

deriva la parola Cuccagna. La letteratura profana non possiede un nome migliore per indicare il piano astrale. Le favole raccontano di bambini che, smarriti nel bosco, si imbattono in strane case fatte di pan di zucchero: quei bambini in realtà si trovano davanti all'astrale e sono in pericolo, perché non hanno una conoscenza adeguata per affrontare questo regno. La strega delle fiabe è il guardiano della soglia.»

«Il Matto dunque segue la via che porta all'astrale?».«Allo spirituale» ci corresse il maestro. «Pensa alla Via del Matto,

alla Voie du Mat. Rifletti bene e dimmi dove hai già sentito questa parola.»

«Non è il Mat di maya e di materia?»«Accontentiamoci di questo per il momento, anche se ci sono con-

nessioni ben più pregnanti. Perché maya e perché materia? Perché la magna mater introduce la forma materiale nel mondo. Non è un caso

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che queste parole, di significato così diverso, abbiano un'origine co-mune nel sanscrito ma. Il folle, il Matto, è colui che si congiunge (mate, in inglese) con la mater, per produrre la materia...»

Prese la tazza fra le due mani e sorseggiò il tè. Sembrava immerso in pensieri profondi. Qualche istante dopo riprese il discorso.

«Il Matto è uno che vede al di là di quest'illusione materiale, il Matto va per così dire oltre la mate ria. E questo ne fa una persona preparata a soffrire. Non penso soltanto al fatto che il Matto è disposto a fare un salto nel buio, o almeno dovrebbe esserlo, un salto nel grande vuoto, forse fra le fauci spalancate del coccodrillo.» (Il riferi-mento era a un disegno particolare del Matto dei tarocchi.) «No, il matto è anche disposto a soffrire con pazienza. Ha un pesante fardello appeso al suo bastone, che è dritto. Capisci che cosa voglio dire? Un bastone dritto. Sai che cosa significa? Perché un Matto dovrebbe andare in giro con un peso attaccato all'estremità di un bastone dritto? E che cosa c'è in quel grosso fagotto legato al bastone?» Alzò una mano, ridendo. «Non cercare di rispondere. Le tue conoscenze libresche non mi interessano. Pensaci. Che cosa c'è nel tuo pesante fardello, Mark? Se consideri quel bastone e quel sacco, ti accorgerai ben presto che il Matto non può andare molto lontano senza soffrire, perché il Matto è un uomo che ha scelto di lottare con la materia. Quella curiosa immagine del Matto racchiude una verità. Ricorda il suo strano copricapo. Ne abbiamo già parlato, ma adesso dobbiamo riprendere il discorso, perché presto per te le cose cambieranno.»

Annuimmo, anche se in realtà non sapevamo a che cosa alludesse. Quali mutamenti ci aspettavano?

«Il copricapo del Matto ha tre punte. In realtà quel suo triplice cappello è la lettera shin dell'alfabeto ebraico, con le sue tre punte.» Ne tracciò il disegno nell'aria W. «Conosci la shin?»

Annuimmo.«Con le sue "tre fiamme" gli antichi studiosi ebraici raffiguravano la

trinità suprema dell'albero sefirotico. La tripla shin stava in cima all'albero, così come la testa sta in cima alla spina dorsale.54 Qualsiasi esoterista che volesse ritrarre in modo veritiero colui che va ramingo per la via sarebbe costretto ad attribuirgli una triplice corona. Potrebbe essere la triplice corona del papa, incastonata di gioielli, simbolo dell'imperium romano che ha indossato le vesti simboliche dell'iniziazione. Ma potrebbe anche essere il cappello a tre punte del Matto, con i campanelli in cima alle punte che tintinnano a ricordo dell'onnipresente, silenziosa musica delle sfere. Così intesa, la triade della lettera shiti potrebbe chiamarsi atman, buddhi e manas, ma quale ne sia il nome, è chiaro che il matto deve pensarci bene prima di indossare quel triplice copricapo.

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«Shin significa "spirito" e il suo numero è il 300. Eliphas Levi, quello sciocco prete spretato, che ha individuato un legame fra la carta del Matto e ì’aleph, ha rivelato la sua "ignoranza e sviato un'intera generazione, perché è l'I il numero deìl'aleph.55 Il Matto dell'e-soterismo sa riconoscere il valore dello spirito ed è disposto a sacrifi-care tutto pur di conquistare l'accesso ai regni superiori, così ben custoditi dalle tre fiamme della shin. E questa la ragione per cui deci-de di indossare il suo berretto a sonagli: è il segno che egli è pronto a patire le tre fiamme, tre, come le ferite di Cristo.

«La shin è in realtà il simbolo di una strada fatta di pathein, la via della sofferenza. Perché vedi, giovane Mark, anche il dolore è una Via. Talora la chiamano la Tripla Via. Cerbero aveva tre teste e stava a guardia delle porte che conducevano alle fiamme dell'inferno. A proposito di mitologia classica... Pensi forse che Ulisse e i suoi com-pagni abbiano intrapreso quel loro viaggio senza sapere che avreb-bero sofferto?»

Sfilò un atout dal mazzo di carte che aveva in mano e ce lo porse. Era l'immagine del Matto dei tarocchi. In basso c'era scritto Le Fou, che in francese significa «Il Matto». A lato c'era la lettera ebraica shin.

«Oltre a significare "matto" in francese, mat, in inglese, vuol dire "albero maestro". I marinai non in grado di resistere al canto delle sirene, ben sapendo che quel canto avrebbe portato con sé soltanto dolore e morte, venivano legati all'albero maestro, perché potessero sentirlo senza impazzire. Il Matto, come Ulisse, è astuto e ascolta quel canto, perché è legato ben stretto al suo albero maestro.56 Ecco un significato del bastone dritto che porti sulle tue spalle.

«Osserva bene questa carta. L'ha fatta un simbolista di fine XIX secolo, Oswald Wirth. In seguito, qualcuno ha modificato il disegno, e ha raffigurato un Matto che cammina verso il precipizio (figura 48). In alcune immagini popolari - realizzate da occultisti con la tendenza a drammatizzare le questioni esoteriche - il precipizio diventa un lago, dalle cui acque spunta un coccodrillo - il makara della tradizione arcana - che spalanca le fauci verso il Matto. È per questo che in alcuni sistemi esoterici la Via del Matto è detta anche la via della sofferenza. Il jester ("giullare", in inglese) delle corti francesi canzonava, diceva arguzie, compiva gestes, ossia imprese ben fatte, le quali esistevano in nuce già molto prima di diventare poesia epica con le chansons de gestes. Le gesta, cioè gli atti di coraggio, e la chiacchiera apparentemente oziosa del jester, del buffone, sono etimologicamente imparentati.»57

Infilò la carta nel mazzo.«Chi decide di accelerare l'evoluzione, di rendere più rapido lo

sviluppo naturale, può evitare di reincarnarsi più volte, ma così fa-

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cendo concentra inevitabilmente la sofferenza. Anche il dolore è una via della conoscenza, come avrai capito dalle vite dei martiri e dei santi. Ecco perché dovresti leggere con rispetto la storia di Ulisse. Egli sapeva quali pericoli l'attendevano, sapeva quale sofferenza avrebbe colpito lui e i suoi compagni. Se ti restasse ancora qualche dubbio sul fatto che questo antico testo greco sia esoterico, ricorda che i testi sull'odissea del ritorno da Troia si chiamavano Nostoi (."Ritorni"), espressione che è diventata un termine totalmente segreto degli alchimisti.»58

Con un cenno del capo ci indicò che il colloquio era terminato, e contemporaneamente estrasse una carta dal mazzo. Era il Papa, con la sua triplice corona. «Fai attenzione a queste cose: la shin superiore può avere significati molto diversi: può essere un simbolo di potereo un segno di saggezza, a seconda di come la si usa.»

Eravamo in apprensione quando ce ne andammo. Il maestro ci stava forse dicendo che era giunto per noi il momento di assaggiare un sorso dell'amaro calice del dolore? Eravamo pronti a quella prova? Avevamo già visto il maestro all'opera con altri. Una parola, quella giusta, e un uomo o una donna potevano essere ridotti a un relitto. Dopodiché quelle persone così annientate si trovavano di fronte alla scelta se abbandonare il gruppo o restare, ma nell'uno o nell'altro caso, si scoprivano profondamente cambiate. E se la distruzione era un'arte che poteva essere praticata senza pericoli soltanto da un iniziato al più alto grado, la ricostruzione e la ristrutturazione sembravano richiedere una comprensione e una sapienza ancora maggiori.

E tuttavia i giorni trascorsero senza che il maestro ci dispensasse alcuna sofferenza, e una domanda cominciò a tormentarci: «Perché non noi?». Passavamo in rassegna i nostri difetti e ci rendevamo conto che il peggiore di tutti sfuggiva al nostro controllo. Il maestro aveva dato un nome globale ai peccati più gravi di tutti i componenti del gruppo: li aveva chiamati aspetti irredenti.59 Alla maggior parte delle nostre manchevolezze, ci aveva detto, possiamo porre rimedio noi stessi dall'interno, con l'attenzione, la disciplina e la meditazione. Ma restava pur sempre il nocciolo duro, una carenza interiore, un peccato nei cui confronti il singolo era impotente, un peccato che poteva essere redento soltanto con l'intervento della grazia.

A offrirci la conferma pratica della terribile verità, che avevamo co-nosciuto in forma teorica attraverso la lettura o ascoltando il maestro, ci pensò la vita. Scoprimmo che non esistevano lavoro, preghiera o supplica che - per quanto grandi fossero - potessero eliminare quel

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difetto così connaturato in noi. Permeava ogni nostro atto, ci accom-pagnava ovunque, da quell'essere-ombra che era. Più tentavamo di estirparlo, più affermava la sua supremaziafPiù lo studiavamo, più la nostra attenzione sembrava irrobustirlo. Assumeva vita propria, di-ventava un mostro incontrollabile. Danzava davanti ai nostri occhi, beffandosi delle nostre aspirazioni: cominciavamo a intravedere l'es-sere mostruoso che sta «sulla soglia». Forse non era un caso che l'uo-mo che così l'aveva battezzato appartenesse alla stessa tradizione letteraria della creatrice di quel moderno Prometeo che è Frafnkenstein.60

Capimmo che per questo male c'era un solo rimedio: bisognava lasciarlo ardere all'aria aperta. Eppure il maestro aveva deciso di non rendere pubblico il nostro peccato. Pareva che non volesse cau-terizzare la ferita, non ancora.

Con il senno di poi ci accorgiamo di quanto fossimo ingenui e di quanto profonda fosse la saggezza del maestro. Non avevamo capito che potevamo essere medici di noi stessi e che, come egli stesso ci aveva più volte detto, la vita è maestra. Non avevamo capito che al-cuni peccati sono così radicati nel profondo che soltanto l'io possiede la saggezza necessaria per trascinare la vittima fiduciosa fra le fiamme risanatrici.

Sarebbero passate alcune settimane prima che ci si presentasse quello che il maestro aveva previsto. Intanto continuammo le nostre ricerche sulle reincarnazioni degli uomini i quali, promuovendo la Rivoluzione industriale inglese, avevano condotto l'umanità ad avere con la materia un rapporto strettissimo.

All'inizio del 1961 il maestro trasferì la scuola da rue de Roche- chouart alla periferia di Bellegarde, a nord della valle della Loira, e noi allievi ci recavamo da lui almeno due volte alla settimana. Meli- ta abitava già a Orléans e noi cominciammo a trascorrere la notte a casa sua. Non era facile raggiungere Bellegarde e perciò ipotizzammo che il maestro si fosse trasferito in quel luogo per renderci più difficili le cose.

Ogni tanto anche qualcun altro del gruppo veniva a casa di Meli- ta dopo le sedute, a conversare oppure a leggere insieme qualche libro suggerito dal maestro. Qualche volta facevano la loro comparsa anche quelli che chiamavamo «gli astrali superiori», ossia gli allievi più avanzati che erano con il maestro da molto più tempo. Fra questi c'era un italiano piuttosto esuberante che si chiamava Rafaelo Cansale.

Rafaelo era molto più anziano di noi - aveva circa venticinque anni di più - e sembrava non solo molto ricco, ma anche di antica nobiltà. Era sempre vestito di tutto punto e lasciava intendere che era

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costretto a indossare abiti così formali per la posizione sociale che occupava. Ci raccontò che lavorava per una nota agenzia parigina di relazioni pubbliche, e sicuramente doveva avere un grosso conto spese. L'enorme Jaguar parcheggiata in quella strada di un quartiere povero di Orléans pareva sempre fuori luogo, eppure Rafaelo non manifestò mai il minimo segno di snobismo. A volte, quando gliene veniva il capriccio, caricava in macchina tutti quelli che erano nel-l'appartamento di Melita e li portava in centro, a cenare a sue spese nei ristoranti più costosi. Trovavamo un poco strano che un adepto se ne intendesse tanto di vini e bevesse con tanta facilità, perché il maestro ci aveva consigliato di astenerci dall'alcol.

Con Rafaelo diventammo amici. Eravamo orgogliosi che un uomo il cui sviluppo esoterico era così avanzato fosse disposto a trascorrere tanto tempo con noi. Rafaelo aveva una profonda conoscenza arcana e durante i nostri incontri la conversazione era spesso di tono molto elevato.

Intanto, come sempre avviene, accadde l'inatteso: ci innamorammo di Melita. Ogni occasione era buona per vederla e starle accanto, eravamo disposti anche ad assumere compiti supplementari pur di incontrarla. Eravamo «rapiti». Chi è stato innamorato capirà questa parola, ma non chi non è stato così fortunato, perché l'amore è un'e-sperienza che non si può descrivere.

Con quale completezza e straordinaria saggezza scegliamo il sen-tiero da percorrere insieme. Quando è in gioco il destino, camminiamo con la stessa sicurezza con cui si arrampicano le capre. Dimenti-chiamo i miti, che sono le stelle polari di chi si arena nelle secche terrene. Nessun imperativo imponeva a Ulisse di approdare a Eea, di chiedere informazioni alla maga Circe, nessuno se non quello dettato dal destino.61 È esattamente quello che accade quando allunghiamo la mano per afferrare il nostro archetipo amoroso.

Eppure, quando due anime si incontrano, quando rispetto al tempo terreno e al luogo cosmico i loro oroscopi sono disposti in modo tale che la Luna della donna si trova nello stesso grado del Sole dell'uomo, esse saranno inevitabilmente attratte l'una verso l'altra, e si sposeranno; per farlo, afferma la tradizione cabalistica, l'uomo e la donna devono stare faccia a faccia, affinché nessun estraneo possa intrecciare lo sguardo con quello dei due amanti. L'intero cosmo co-spira per unirli e con tale intensità che se all'amore deve essere posto fine, se i due innamorati vengono separati, se gli archetipi vengono strappati alla loro sede nei ci&ii, una simile impresa può essere compiuta soltanto dagli dei. Ecco perché durante la cerimonia l'offi-ciante ricorda ai fedeli che nessun uomo può sciogliere ciò che Dio ha unito.

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Ci sposammo un lunedì del 1961, quando il Sole era a ventun gradi dell'ascendente di Melita, lo Scorpione. Melita, che con la sua bellezza e grazia avrebbe potuto scegliere chiunque, si era legata a noi. A quel tempo nessuno di noi due sapeva che a volte anche le stelle piangono. Anni dopo, molti anni dopo, quando parlammo con gli amici di eventi accaduti a persone ormai vecchie, essi ci chiesero se sapevamo quello che sarebbe accaduto. E sinceramente rispondem-mo «sì».

Osservate con l'occhio della mente queste immagini di trentacin- que anni fa, chiazzate di rosso. Ecco Melita. Passeggia nei giardini del Lussemburgo con un uomo giovane: calpestano le lunghe ombre dei rami degli alberi. È appena iniziata la primavera e gli alberi sono quasi spogli, ma Melita, così ben versata in cose arcane, sa che, nudio vestiti di verde, essi sono il simbolo dell'albero sefirotico e ciascun ramo porta altri dieci rami, all'infinito. Melita è vestita da maschiaccio: pantaloni stretti, sfrangiati sulle ginocchia, una camicia aderente annodata sotto il seno, che le lascia scoperta la vita. In testa ha un cappello di paglia da contadino cinese, che culmina in un'unica punta. È così bella che i due vecchi giardinieri smettono di lavorare e si appoggiano al manico della zappa per ammirarla mentre cammina nel loro parco. Il giovane che le sta al fianco ha un'aria un po' troppo severa ma la ragazza trabocca di felicità.

«Ascolta» gridò mentre attraversavamo i giardini del Lussemburgo. Il Sole di prima mattina proiettava le lunghe ombre dei rami sull'erba dei prati. «Ascolta: le ombre scricchiolano quando le calpestiamo.»

Neppure Circe avrebbe potuto stregare un marinaio fino a quel punto. Eppure Melita era una donna disposta a condividere con noi la vita dello spirito. Era venuta dal nostro stesso maestro in cerca di senso e neppure la promessa che trovavamo l'uno nell'altra era suf-ficiente a smorzare la nostra fame interiore. Eravamo veri nostoi (dal greco nostos, «ritorno») in mezzo ai marosi. Restammo e lavorammo e meditammo e tentammo di raggiungere i gradi di iniziazione verso cui tendevamo.

Melita. Anche ora, quasi quarant'anni dopo, mentre dettiamo queste parole a un amico, la nostra voce trema. Ricordiamo la sua bellezza, la grazia delle forme e l'indipendenza dello spirito. Adesso che tanto tempo è passato, e l'immaginazione è quieta, riusciamo a pensare a Melita per quello che era venuta a insegnarci. Il dolore che ci ha portato l'abbiamo dimenticato, molto tempo fa.

Due mesi dopo il nostro matrimonio, nella prima settimana di gennaio del 1962, il maestro, per ragioni che non ci furono mai rive-

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late, decise di trasferirsi di nuovo, ma questa volta in Italia. Aprì il suo centro in un'antica villa sotto il castello di Beicaro, alle porte di Siena, ma andò a vivere in città, in un piccolo appartamento in via Bianchi di Sopra.62 Poco dopo anche noi lo seguimmo. Affittammo una casetta di vignaioli sul pendio sotto le mura di Monteriggioni. Melita trovò lavoro come traduttrice presso un'agenzia di viaggi a Siena e noi continuammo le nostre ricerche esoteriche approfittando delle ricchissime biblioteche di Firenze, attività cui affiancavamo qualche traduzione e, occasionalmente, qualche articolo per i giornali.

Rafaelo veniva agli incontri una volta ogni quindici giorni, anziché due volte alla settimana. Il lavoro in Francia non gli permetteva di rinunciare alla casa parigina. Non solo; ci aveva anche lasciato in-tendere che la sua famiglia non sospettava del suo lavoro esoterico e che non avrebbe né capito né apprezzato un eventuale trasferimento dall'attico di Parigi a Siena. Ora, anziché percorrere in automobile le lunghe distanze, Rafaelo arrivava a Siena in aereo e poi noleggiava lì un'automobile. A volte, quando potevamo, lo andavamo a prendere noi e lo accompagnavamo in città. Per ragioni che non chiarì, egli non trascorreva mai la notte nella nostra piccola casa di campagna, ma pernottava in uno dei costosi alberghi di Siena. Scherzando, diceva che siccome Dante aveva messo Monteriggioni all'inferno, un uomo nella sua posizione non poteva rovinarsi la reputazione fermandosi a dormire in quel borgo.63

Rafaelo doveva aver stabilito rapporti molto stretti con il maestro, perché cominciò a trattenersi a lungo a Siena e a Beicaro, apparente-mente per sbrigare affari personali. Non sempre ci informava del suo arrivo e almeno un paio di volte lo scorgemmo a Siena, in piazza del Campo e per le vie della città, in periodi in cui eravamo convinti fosse a Parigi. La prima volta attraversammo di corsa il grande ventaglio della piazza per salutarlo e con sorpresa percepimmo che non era contento della nostra presenza. Qualcosa nei suoi modi ci indusse a credere che fosse occupato in faccende molto importanti per conto del maestro, faccende che ^on potevano attendere. La seconda volta, ricordando l'accoglienza piuttosto gelida che avevamo avuto, fingemmo di non vederlo. Lo osservammo mentre percorreva con aria da padrone via Piccolomini delle Papesse: un vero capo dei capi, dalla cima dei capelli fino alla punta delle scarpe, bianche. Anche quel giorno pensammo che egli fosse in missione per conto del maestro e che fosse meglio non disturbarlo.

C'erano stati dei segnali durante la settimana. Quasi profetici. Il lu-nedì, un rospo era caduto dalla cappa del cinquecentesco’camino della

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cascina, atterrando sulla grande stufa. Non avremmo mai pensato che un rospo potesse emettere simili suoni, eppure ci parve di sentire la creatura gridare, mentre si accartocciava sulla piastra rovente. La ghisa sopra la stufa era tutta impiastricciata di fuliggine e il lezzo della carne bruciata era insopportabile. Più tardi, mentre cercavamo di grattar via dal metallo quell'ammasso annerito, continuava a risuo-narci nella mente un'invocazione di qualche mito iniziatico: «Non più quelle fiamme. I polpastrelli delle mie dita sono piombo fuso, i miei occhi sono oro liquido, la mia anima la nera fuliggine dell'Antico. Non arrostirmi più con quelle fiamme. Neppure la perfezione più alta merita simili pene».64 Scrostammo la bestia carbonizzata con un coltello da cucina e la gettammo nel forno. Volevamo cancellare anche la minima traccia prima che Melita rientrasse.

L'odore di carne bruciata - così strano nella cucina di due vegeta-riani - era talmente forte che ci costrinse a uscire. Spalancate tutte le finestre e la porta, ce ne andammo con i nostri libri sotto il portico, dove tentammo di leggere, senza tuttavia trovare la necessaria con-centrazione. La morte del rospo ci penetrò nell'anima come una pre-monizione e l'immaginazione cominciò a giocare con i significati più riposti di un evento die con un simbolismo così evidente aveva lasdato sopra il forno della stufa una nera massa sacrificale.

Il giorno dopo, entrando in retromarcia nel vialetto di casa, Melita investì un gatto. La sera quando tornammo, ci raccontò fra le lacrime che il gatto aveva la schiena spezzata e le costole gli sbucavano dalla pelle come le stecche di un vecchio ombrello. Ma la cosa più orrenda era che l'animale non era morto sul colpo. Melita non aveva sopportato di vederlo soffrire a quel modo, di sentirne i lamenti; così, con fatica aveva sollevato una grossa pietra dal giardino lì vicino, l'aveva appoggiata sulle ginocchia e piano piano l'aveva trascinata, tenendosi accovacciata, fino al gatto che miagolava e l'aveva lasciata cadere sopra la bestiola. Solo allora erano cessati i pietosi lamenti.

Melita pianse tutta la notte. Stranamente, rifiutò di farsi consolare e mentre l'oscurità cedeva lentamente il passo all'alba cominciammo a percepire che non piangeva soltanto per il gatto che aveva investito.

Quella mattina saremmo dovuti andare a Siena per fare alcune ri-cerche in una biblioteca privata il cui proprietario ci avrebbe ospitato anche la notte. Ora, però, non ce la sentivamo più di lasciare Melita in quello stato e perciò andammo a distenderci in studio sulla chaise-longue per tentare di dormire un poco.

Melita dovette pensare che fossimo andati a Siena, perché quando ci svegliammo la casa era vuota. O almeno, non c'era nessuno nelle stanze da basso. Poi realizzammo che probabilmente Melita, spossata

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dopo quella terribile notte, era rimasta a letto. Salimmo in punta di piedi le scale e infilammo la testa nella stanza. Avevamo indovinato: dormiva ancora.

Telefonammo al suo ufficio per avvisare che quel giorno non sa-rebbe andata al lavoro e con sorpresa ci fu detto che lo sapevano già. Scendemmo in cucina a preparare la colazione. Mentre riempivamo il bollitore, ci ricordammo del gatto semisepolto sotto la pietra del giardino, e uscimmo per sotterrarlo. La Fiat di Melita era parcheggiata dove l'aveva lasciata al momento dell'incidente e la nostra auto era ancora in mezzo al cancello, con il cofano che sporgeva verso la strada. Vicino alle ruote della Fiat di Melita c'era la pietra con cui aveva schiacciato il gatto; il selciato era percorso da rivoletti di san-gue ormai raggrumato. Sollevammo la pietra e con lo stomaco con-tratto spingemmo il corpo schiacciato dell'animale verso i cespugli. Lo seppellimmo senza cerimonie nella morbida terra.

Non ci fu possibile spostare la Fiat di Melita, perché non trovammo le chiavi. E siccome non potevamo entrare con la nostra automobile, la parcheggiammo in una stradina laterale, un po' più avanti, dove sarebbe stata al sicuro. È con gesti semplici come questi che La- chesi delle tre Parche intesse i destini per le forbici di Atropo.65

Dopo colazione tornammo in studio e ci mettemmo a scrivere. Capitava raramente che ci addormentassimo mentre lavoravamo, ma forse perché la notte ci aveva sopraffatto, gli occhi si chiudevano per la stanchezza. Portammo il libro sulla chaise-longue per riposare leggendo, ma pochi minuti dopo eravamo già profondamente ad-dormentati.

Ci svegliammo con una sensazione di freddo intenso. Il riscalda-mento centrale non era programmato per accendersi nelle ore diurne, ma nella stanza c'era un gelo «innaturale. Avevamo l'impressione che stesse nevicando. Guardammo l'orologio. Erano le tre del pomeriggio. Avevamo le gambe irrigidite, eppure in quel giorno di fine settembre fuori splendeva il sole.

Andammo in cucina. Melita doveva essersi alzata, perché sul tavolo c'erano pane e formaggio. C'era anche un bicchiere con un po' di vino. Un bicchiere di vino, quando mai Melita beveva vino? Guardammo fuori della finestra. Melita aveva spostato la Fiat. Adesso era parcheggiata come al solito vicino al muro. Andammo sotto il portico e nel vialetto vedemmo la Mercedes a noleggio di Rafaelo.

Sicuramente sono in giardino, pensammo, vicino al laghetto dei gigli, dove di solito ci sedevamo quando Rafaelo veniva a trovarci. Bevemmo il caffè e poi ci avviammo in giardino per salutarli. Il sedile di pietra accanto ai cespugli era vuoto.

In soggiorno non c'era nessuno. Forse erano andati in paese a far la

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spesa per la cena. In quel momento udimmo un rumore, in tutto simile al miagolio di un gatto. AH'improwiso, come sbucate dal nulla, nella nostra mente si fusero le immagini della fuliggine, del rospo gemente e del gatto con il pelo macchiato di sangue: ora sapevamo, Corremmo di sopra e spalancammo la porta della camera da letto. Erano lì, tutti e due, insieme, nudi corpi bianchi, come nel Sermone di fuoco.66

Mentre guardavamo Melita e Rafaelo, ci accartocciavamo sul ferro rovente della stufa. E non c'era modo di sfuggire alla graticola, di scappare da quelle fiamme interiori.

Assurdamente, Rafaelo afferrò il lenzuolo e si coprì. Poi saltò giù dal letto e infilò la porta sbattendosela alle spalle. Impiegammo qualche istante a riaprirla, ma quando ci riuscimmo lo vedemmo correre per le scale. Arrivato quasi in fondo, inciampò nel lenzuolo e andò a sbattere contro il montante della balaustra, ferendosi alla fronte.

Lo inseguimmo, balzando giù per i gradini come se volassimo, eppure lui correva più forte, spinto dalle terribili sorelle. La chiave era all'esterno del portone e Rafaelo ebbe la presenza di spirito di girarla nella toppa. Per continuare il nostro inseguimento fummo co

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stretti a tornare indietro e correre alla porta della cucina. Ora pote-vamo seguire le tracce del sangue sul pavimento di marmo del por-tico in direzione del vialetto.

Forse aveva lasciato la chiave inserita nel cruscotto, perché sen-timmo ruggire il motore e grattare la marcia mentre la macchina si allontanava. Smettemmo di inseguirlo. Girammo la pesante chiave nella porta della cucina e ci accertammo che anche la porta dell'atrio fosse chiusa con il chiavistello. Ci sedemmo, appoggiando i gomiti sul tavolo, cercando di riprendere fiato. Davanti a noi c'era un vaso di fiori autunnali, i petali caduti, immobili.67

Più tardi salimmo in camera da letto. Melita non c'era più, né ci aspettavamo di trovarla. Guardammo fuori della finestra per accertarci che la sua macchina fosse sparita. Raccattammo i panni di Ra- faelo, li buttammo in un lenzuolo come si fa con la biancheria sporca, li portammo in cucina e con un coltello ne facemmo tanti pezzettini che infilammo nel forno della stufa. L'odore del tessuto che bruciava aleggiò per ore nella stanza, come il lezzo del rospo carbonizzato.

Il telefono ci distolse dal nostro vaneggiamento. Era Melita; era all'ospedale con Rafaelo. Aveva detto ai medici che era scivolato nella doccia. Aveva bisogno che le mandassimo un taxi all'ospedale con i suoi vestiti. Riagganciammo senza dire una parola.

Non parlammo ad anima viva di quello che era successo. Qualcuno fece domande, ma nessuno riusciva a spiegarsi perché Rafaelo e Melita fossero diretti verso sud su due macchine diverse. Melita era dietro alla Mercedes nella sua piccola Fiat. Un contadino, benché fosse assolutamente vietato, aveva dato fuoco alle stoppie nei campi lungo l'autostrada. Improvvisamente il vento si era fatto più forte e aveva cambiato direzione. Le fiamme erano dilagate e il fumo aveva invaso la carreggiata, addensandosi come un velo impenetrabile sotto un ponte. Trovandosi davanti quell'improvvisa barriera, un camion aveva urtato la fiancata del ponte e si era messo di traverso in mezzo alla strada.

Come succede sempre sulle autostrade italiane, tutti andavano troppo forte. Nel giro di qualche secondo sedici macchine si ammuc-chiarono l'una sull'altra. La Fiat di Melita urtò contro il cofano della Mercedes di Rafaelo e le due automobili, uscite di strada, si rove-sciarono in un fossato. Lei morì all'istante. Lui fu estratto dai pompieri un'ora dopo; rimase in coma per diversi giorni e poi spirò senza riprendere conoscenza.

All'obitorio guardammo la bellezza devastata di Melita quasi senza emozione. Aveva sbattuto la faccia contro il volante. Forse l'ultima

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cosa che aveva visto mentre stava per schiantarsi era il marchio a tre raggi della Mercedes che le stava davanti. Il simbolismo del triplo distruttore ci raggelò. Il nostro cervello si dimostrò pietoso, impedendoci di percepire firfo in fondo la realtà delle cose. Sapevamo che questo era soltanto il corpo, e che anche Melita guardava, con le mani alzate in segno di stupore. Aveva bisogno di preghiere e letture speciali, ma noi eravamo cosi intorpiditi che fino al giorno dopo non trovammo la forza interiore per compiere quei gesti.

Quel mese stesso ce ne andammo dalla casa sotto il dantesco Monteriggioni e tornammo in Inghilterra. Non era nostra intenzione lasciare il maestro in quel modo, né in qualsiasi altro modo, ma lo la-sciammo. Il nostro cuore, che poco prima traboccava di gioia, adesso era un vaso rotto che ci sembrava potesse contenere soltanto dolore. E tuttavia, con il passare degli anni, quando il tempo cominciò a lenire le ferite, non avemmo più dubbi che avevamo imparato ed eravamo cresciuti, e che la nostra anima era più ricca a causa di ciò che era accaduto a Siena. Ora sapevamo che il maestro aveva ragione: il Matto con la testa di shin, destinato a imparare dalla sofferenza e dal dolore, dovrebbe pensarci due volte prima di indossare il suo cappello.

L'arte della fiamma è l'arte dell'alchimia, ma l'alchimista sente le urla dei metalli grezzi che bruciano? È vero, come insegnano le scuole ermetiche, che il cosmo non sente il dolore degli uomini e contempla soltanto lo splendore che verrà? Nella nostra anima ogni gelosia si era consumata con il fuoco. Come può un Matto essere geloso, essere divorato dall'orgoglio, quando gli è stata concessa una simile illluminazione? Quale Matto ha il potere di giudicare da che parte cadrà nell'oltretomba la piuma di Maat?

Dopo l'esperienza di Monteriggioni restammo a lungo senza radici.Alla fine decidemmo di lasciarci alle spalle il Vecchio Mondo e di

esplorare il Nuovo: partimmo per gli Stati Uniti. Il momento non ci sembrava propizio per lavorare sotto la guida di un maestro e deci-demmo di seguire un corso di spiritismo per esplorare quella che al-cuni hanno chiamato la Terra delle ombre.68

Certi amici americani ci avevano parlato di una grande medium inglese, Lady C., a quel tempo attiva a Boston, Massachusetts, la qua-

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le, pur non avendo bisogno di guadagnarsi da vivere con le sedute spiritiche, aveva deciso di accettare alcuni allievi con lo scopo dichia-rato di guidarli alla comprensione di questo regno degli spiriti.

A quell'epoca eravamo quasi digiuni di spiritismo. Avevamo letto alcune delle opere del grande veggente americano, Andrew Jackson Davis, e conoscevamo i suoi moniti sulla influenza nefasta dei diakka, gli esseri malvagi ed egocentrici che aleggiano intorno a talune forme di medianicità;69 ma la nostra ignoranza al proposito era grande e pensavamo che dal contatto con questi fenomeni non ci sarebbe venuto alcun male.

Dopo un breve colloquio, Lady C., alla quale fummo presentati da un amico, ci invitò a frequentare il suo circolo e a condurre con lei alcuni «esperimenti» durante gli incontri bisettimanali che teneva a Boston.

Nei primi anni Sessanta ci guadagnavamo da vivere scrivendo brevi articoli, di solito su temi archeologici, destinati soprattutto alle riviste accademiche. Lady C. non poteva aver letto le nostre pubblicazioni, che trattavano di argomenti molto specialistici, ma ci disse che dalla nostra aura percepiva chiaramente che ci occupavamo di giornalismo. Senza aspettare conferma da noi, ci pose una condizione: se volevamo lavorare con lei «allo sviluppo psichico», dovevamo impegnarci a non divulgare nessun episodio e nessun incontro spirituale di cui avremmo potuto essere testimoni. Acconsentimmo.70

Il divieto ci incuriosì: il nostro maestro infatti, pur avendoci talora avvertito che era bene non rivelare ai profani alcune delle cose dette durante le sedute, mai fino ad allora ci aveva imposto il silenzio totale.

La casa dove la medium teneva le sue riunioni non era lontana dalla vecchia chiesa episcopale di Copp's Hill, vicino al cimitero in cui è sepolta la famiglia Mather, divenuta tristemente famosa durante la caccia alle streghe.71 Nella cerchia di Lady C. correva voce che in quella stessa abitazione fosse vissuto, un centinaio d'anni prima,lo spiritista William Mumler, il fotografo che aveva scattato le prime immagini di uno «spirito», il fantasma di un giovane cugino, morto da dodici anni. Non sapevamo se la leggenda fosse vera oppure no, ma Mumler era comunque un bostoniano e aveva certamente contribuito a rendere famose le fotografie medianiche, non foss'altro per via del processo per truffa che gli era stato intentato a New York.72

La casa sembrava di epoca posteriore a quella in cui era vissuto Mumler, ma la leggenda che lo riguardava ci era gradita perché sembrava stabilire un nesso fra la nostra attività e un passato signifi-cativo. L'ingresso del circolo, che presumibilmente un tempo era stato quello della servitù, si raggiungeva scendendo alcuni scalini che

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conducevano a una porta laterale, nascosta sotto la scala del portone principale. 11 sottoscala era buio, la porta scrostata: si aveva l'im-pressione di trovarsi davanti a una di quelle aperture attraverso le quali «scivolano gli innocui fantasmi nel lóro vagabondare».73 Non vedemmo mai la parte superiore della casa, come se l'attività che si svolgeva in basso fosse tenuta ben distinta da quella che si svolgeva su in alto, nei quartieri abitati. Nella sala sotterranea i pesanti ten-daggi erano sempre chiusi e in quell'ambiente semisigillato l'odore dei fiori freschi (che, ci fu fatto credere, avevano lo scopo di attirare gli spiriti benefici) era opprimente. Avremmo dovuto capire fin dall'inizio che quell'oscurità sonnolenta non poteva condurre a una vera attività spirituale, ma allora avevamo pochi dubbi sulla moralità delle sedute.

Benché Lady C. insistesse a chiamare «esperimenti» lè sue inizia-tive, non ci volle molto per capire che il termine era improprio. In realtà le sue erano poco più che normali sedute in cui «vedeva e sen-tiva le voci». Non ci sembrava che Lady C. esplorasse nuovi territori e registrasse gli eventi con scientificità: i suoi erano esperimenti sol-tanto nel senso che la parola aveva nelle pratiche magiche medievali, erano insomma poco più dell'antica «evocazione degli spiriti».74

Alle sedute partecipavano una quindicina di persone, tutte desi-derose di aprirsi allo sviluppo psichico. Erano per lo più anziane, e sicuramente avevano già subito lutti e desideravano mettersi in con-tatto con i loro cari. Benché il gruppo si chiamasse «circolo», in realtà le sedie erano disposte a forma di ellisse: a un vertice c'era una chaise-longue vittoriana, riccamente ornata, in cui Lady C. sedeva come insediata su un trono e dominava con lo sguardo tutti i presenti. La forma ellissoidale ricordava quella di un uovo, o di un embrione, e ci venne spontaneo domandarci che cosa covasse in quella feconda oscurità. La risposta non tardò a venire.

Di solito i messaggi provenienti da qualche fonte «spirituale» non identificata venivano ricevuti da Lady C., la quale poi li passava al destinatario. Benché quasi tutti i messaggi fossero di una banalità spaventosa, essi avevano comunque qualche significato per chi li ri-ceveva. In genere erano a carattere consolatorio o di incoraggiamen-to, e lasciavano intuire una preoccupazione da parte del mondo degli spiriti per il benessere dei vivi. Non avevano valore letterario, né filosofico.

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L'iniziatoIn alcuni casi Lady C. scriveva i messaggi. Benché la parola chati- nelling a quell'epoca venisse già talvolta usata per indicare quel tipo di comunicazione, era molto più usata la vecchia terminologia me-dianica, e si dava così per scontato die con channelling e con evoca-zione degli spiriti si intendesse la stessa identica cosa. Lady C. prati-cava soprattutto la scrittura automatica.75 Come molti medium prima e dopo di lei, la signora era in contatto con una entità che si presentava con un nome e lasciava persino intendere di essere vissu-ta durante le prime persecuzioni cristiane. Eravamo troppo inesperti allora per capire quanto questo approccio ai regni spirituali potesse essere pericoloso.

Non riuscivamo in genere a stabilire se i messaggi degli «spiriti» provenissero davvero, come sosteneva Lady C., da entità disincarnate. Secondo la tr adizione ermetica personalità quali Cleofa, Filippo l'Apostolo o Giovanna d'Arco non avrebbero mai potuto mettersi in contatto con persone del nostro tempo,76 così come lo spirito di Galeno o quello di Swedenborg non avrebbero potuto conversare con il giovane Andrew Jackson Davis, come egli aveva ingenuamente immaginato.

Capitava di rado che un messaggio di Lady C. contenesse una predizione. E tuttavia una volta un suo messaggio medianico fu, come direbbero gli psicologi, premonitore. A una delle signore presenti fu consigliato di non prendere l'aereo come aveva in programma di fare: si trattava, se ricordiamo bene, di un volo diretto in Texas. Un paio di settimane dopo la destinataria del messaggio ringraziò Lady C.: l'aereo con cui sarebbe dovuta partire era precipitato e tutti i passeggeri erano morti.

Anche noi ricevemmo diversi messaggi che si sarebbe potuto pensare provenissero da un altro regno. Lady C. sembrava possedere una straordinaria capacità di percepire l'aspetto di amici e parenti defunti. In particolare ci giunsero messaggi da quello che secondo Lady C. avrebbe dovuto essere il nostro nonno materno. La medium non fu in grado di specificarne il cognome, ma ne fornì con esattezza il nome di battesimo, Sebastian, un nome tutt'altro che comune. Lo descrisse come un uomo di portamento militare, sempre vestito im-peccabilmente, che prestava servizio nell'esercito inglese, benché, come disse, «in terre lontane». In effetti il nonno era stato un alto uf-ficiale verso la fine del XIX secolo, all'epoca d'oro del Kaj, com'era chiamato il governo britannico nel subcontinente indiano prima del 1917. Noi l'avevamo visto un paio di volte da bambini, quando era già vecchio. Possedevamo ancora qualche fotografia ingiallita, in cui10 si vedeva seduto al posto d'onore fra i ranghi serrati degli ufficiali e dei soldati al suo comando.

La nostra esperienza più profonda con Lady C. fu però tale da in-

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Capitolo terzodurci a dubitare della validità della nostra partecipazione al gruppo di Boston. Durante una delle sedute quindicinali nella stanza oscurata, Lady C. cadde inaspettatamente in trance. Non era questo il suo modo abituale di entrare in contatto con il regno delle ombre. Di solito, quando riferiva messaggi o forniva ai presenti indicazioni utili per il loro sviluppo psichico, si mostrava pienamente cosciente. Quella volta, invece, reclinò il capo sul petto e parve cadere in un sonno profondo. Capimmo allora il motivo della chaise-longue, perché quando la testa le ciondolò, uno dei suoi assistenti le andò subito al fianco e la sorresse. Lady C. cominciò a parlare, descrivendo quella che doveva essere stata un'esperienza di «chiarudienza».

«Vedo un uomo alto che entra nella stanza. Ha una grande barba. Entra dalla porta, ma dai suoi gesti capisco che non ama le porte. Le porte conducono nelle stanze e a quest'uomo non piace stare al chiuso. Preferisce essere libero. Quest'uomo ama la campagna.»

Esitò.«No, fa cenno di no, alle mie parole. Ama gli spazi aperti. Sì. Adesso

mi sta mostrando il mondo che ama.»Dopo qualche istante di silenzio, Lady C. riprese a parlare.«Sì, c'è un grande crinale di sabbia. Saliamo insieme e in cima ve-

diamo altre ondulazioni di sabbia. È questo il mondo che ama. Mi indica che qui non ci sono stanze. Soltanto tende, in lontananza.»

Il suo corpo scivolava lentamente in avanti, ma Lady C. continuava a parlare.

«Ora si siede sul pavimento, al centro del nostro cerchio. Si toglie11 cappello. È uno strano cappello. In realtà è una sciarpa rossa. Mi pare di vedere delle strisce rosse nel tessuto. La piega distintamente in quattro. Ora si alza con la sciarpa in mano. La porta a...»

Lady C non guardò verso di noi, né si svegliò, ma fece il nostro nome.

«È davanti a te, Mark. Non dice niente, ma ti sorride. Si volta verso di me, mi fa cenno che tu capirai i suoi gesti. Sarai il solo qui a capire. Ora si mette un dito sulle labbra e lascia cadere la sciarpa sulle tue ginocchia. Cerca di dirti qualcosa, ma non vuole passarmi il messaggio. Dice che non capirei. Ti fissa per qualche istante. Vedo che è un amico.

«Ora svanisce. Anche la sciarpa sulle tue ginocchia è svanita. Ci sono ancora alcuni fili di ectoplasma,77 ma si stanno accartocciando. Tutto quello che posso dirti è che il nome di quest'uomo comincia per A.»

Noi non vedemmo l'ectoplasma, ma riconoscemmo senza ombra di dubbio il nome che cominciava per A.

Al suo risveglio, Lady C. non ricordava più nulla di ciò che era accaduto.

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L'iniziatoLa storia dello spiritismo è soprattutto una storia di inganni, come dimostra con chiarezza qualsiasi libro competente sull'argomento.78

Ma l'esperienza con Lady C. ci convinse che i medium a volte possono davvero avere percezioni su un altro piano e trasmettere le loro visioni. Diciamo questo basandoci esclusivamente su quello di cui siamo stati testimoni e nella piena consapevolezza che i fenomeni cosidddetti «psichici» sono al novantanove per cento fraudolenti. Sappiamo anche che «l'altro piano» al quale abbiamo accennato non è affatto un piano superiore e non ha niente a che vedere con l'oltre-tomba. Dal racconto di Lady C. riconoscemmo nel visitatore un nostro amico, Ahmed, che avevamo incontrato a Baghdad a metà degli anni Cinquanta.

Era la nostra prima visita in quella città e non conoscevamo nes-suno. Ci stupirono il degrado e lo squallore di quel centro un tempo tanto importante: sembrava aleggiarvi ancora l'ombra di Hulegù il Mongolo, che l'aveva messa a ferro e fuoco nel XIII secolo, trasfor-mando una terra fertile in una landa desolata. La sola, vera bellezza che scoprimmo a Baghdad fu la superba architettura islamica delle sue antiche moschee.

Il secondo giorno ci fermammo a osservare un uomo che scavava lungo il perimetro di una delle moschee. Pensammo fosse un ar-cheologo, perché lavorava con infinita cautela, arrestandosi ogni tanto a spazzolar via la terra indurita da qualche frammento di coccio o di pietra. Dopo un po' l'uomo sollevò la testa e i nostri sguardi si incrociarono. Ci salutò con un cenno del capo, depose il pennello morbido sull'orlo della buca e risalì.

Portava la kefiah che Lady C. aveva identificato come una sciarpa rossa. La kefiah è una buona protezione contro il Sole e le tempeste di vento del deserto (a volte le folate di sabbia sferzano con tale vio-lenza da tagliare la pelle), ma ha anche una valenza più profonda, che non è semplicemente pratica. Soltanto un arabo potrebbe spiegare in tutte le sue sfumature il sottile simbolismo insito in questo copricapo, il quale un tempo deve essere stato l'emblema di un grado iniziatico di qualche scuola esoterica, prima di essere adottato dalle persone comuni, più o meno com'era accaduto alla mitria, che da simbolo dei seguaci esoterici di Mitra era diventato la liberia, o berretto frigio, dei rivoluzionari francesi.79

«Se vieni con me ti faccio bere il miglior caffè di Baghdad» disse l'uomo, come se ci conoscessimo da sempre. Aveva gli occhi di un azzurro intenso come il cielo sopra le nostre teste. «Mi chiamo Ah- med, figlio di Mohammad Benawi» disse, ponendo la mano destra sul cuore alla maniera araba.

«E io mi chiamo Mark Hedsel.»Benché avessimo parlato in francese, doveva avere colto imme-

diatamente il nostro accento, perché ci domandò: «Preferisci parlare

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Capitolo terzoinglese?».Annuimmo ed egli passò a quella lingua con una straordinaria di-

sinvoltura.«Mio padre era arabo e faceva il meccanico all'aeroporto inglese di

Habbanyia. Mia madre è italiana, ma saggiamente rè tornata in Calabria. Uno strano miscuglio di sangue e di geni, non c'è dubbio! Ho imparato l'inglese da mio padre - possa Dio concedere riposo alla sua anima - e il francese in Francia, perché ho studiato ingegneria al Cairo e poi a Parigi, alla Sorbona.»

Il caffè nero, servito alla maniera araba da graziose cuccume di rame e filtrato con foglie verdi, era buono, ma capimmo subito che ad attrarre il nostro nuovo amico non era il caffè, ma un vecchio flipper che lui chiamava le flippeur.

«Sai giocare al flippeur, al biliardino?»«Con poco stile» dicemmo ridendo, «ma con grande passione.»A paragone di quelli europei, era un flipper molto primitivo. Gran

parte delle lampadine dietro la sinistra immagine militaresca erano saltate, eppure l'attrezzo sembrò rinascere sotto le mani di Ahmed, che scuoteva, incitava e blandiva la pallina perché obbedisse ai suoi comandi nel labirinto di luci lampeggianti, di spirali di metallo e di trabocchetti.

«Giochi da dio» ci congratulammo.«Una gioventù sprecata, seguita da una maturità sprecata» bor-

bottò, continuando a smanettare disperatamente. «L'alternativa era fare il poeta. Ho fatto l'ingegnere.» Ahmed aveva forse un paio d'anni più di noi: era un gigante allampanato, scarmigliato, con una gran barba che lo faceva sembrare più vecchio di quello che era. «E tu?» chiese guardandoci con la coda dell'occhio. «Che cosa ti porta a Baghdad?»

«Mi hanno offerto un passaggio in un convoglio. Volevo vedere le moschee e il museo.»

«E la gente no?» suggerì. «La gente di qui è fantastica. Io sono così fantastico che ti farò vedere le moschee e il museo. Tutti quelli che vengono a Baghdad vogliono vedere la pila.»

«La pila?»«Non sai cos'è la pila?» Si finse incredulo. «Sono certo che conosci i

mostri guardiani di Erech, con le splendide ali e l'umana testa barbuta; e l'uomo-pesce e le grandi statue dei re.80 E non conosci la pila? Se ce la facessi a tirarmi via da questo gioco serissimo, ti porteri immediatamente al museo a vedere questa meraviglia.81 Ma il gioco viene prima di tutto.»Mentre manovrava l'apparecchio continuammo a parlare, a raccon-tarci episodi delle nostre vite. Aveva una conoscenza sterminata della letteratura e della poesia arabe e ben presto capimmo che aveva an-che letto moltissmi testi esoterici, perché ogni tanto citava nell'origi-

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L'iniziatonale persiano il Mathnawi di Rumi, traducendolo poi in inglese: «È la pioggia di Dio che piangiamo. È il lampo di Dio che ridiamo».82

La nostra sensazione che fosse in contatto con qualche scuola si rafforzò quando Ahmed ci raccontò alcuni episodi sulla vita dell'al-chimista Dhu'l-Nun, famoso per la sua «folle saggezza».83 La «Storia del tesoro» che Ahmed ci narrò era una delle tanti varianti sui tesori nascosti dell'antica tradizione araba, frequenti nei racconti popolari di Aladino, imbevuti di misticismo sufi. Narra dunque questa storia che Dhu'l-Nun e alcuni suoi amici trovarono uno scrigno pieno d'oro e di gioielli, che aveva per coperchio una tavoletta di legno su cui era scritto il nome di Dio in lettere arabe. Gli amici presero l'oro e i gioielli, Dhu'l-Nun invece volle per sé il vero tesoro, che era il nome venerato di Dio, affinché potesse comprenderlo. Per ricompensarlo di avere capito qual era la cosa più preziosa, Dio spalancò a Dhu'l- Nun le porte della saggezza. La scelta che egli aveva fatto poteva sembrare folle alla gente comune, ma per chi conosceva Dio, era una scelta sapiente. Dhu'l-Nun aveva compreso che il nome di Dio era la sola cosa al mondo che valesse la pena «afferrare», perché l'avrebbe innalzato fino al cielo.84

Dopo aver raccontato la storia in uno stupendo inglese, terso e conciso, Ahmed osservò che essa era il simbolo di come agiva la poesia. A noi invece parve il racconto di un'iniziazione.

Ad affascinarci in Ahmed era la sua poeticità spontanea: qualunque fosse il suo credo religioso, ogni suo gesto era intriso di poesia. Tanti forse, sotto la spinta dei pregiudizi del nostro tempo, che li rendono inclini a gettarsi sull'oro e sui gioielli anziché sul vero tesoro, darebbero una spiegazione genetica dell'atteggiamento di Ah- med: direbbero che aveva l'anima ardente di un italiano mescolata al, naturale ascetismo del beduino. Noi, però, lo vedevamo sotto un'altra luce: l'amore per le parabole sufi e per la poesia, e il silenzio sulle questioni arcane erano per noi il segno che Ahmed era immerso nella preparazione spirituale. La nostra'conclusione fu che doveva appartenere a qualche setta sufi, che imponeva sempre e comunque il silenzio sui misteri.85

Ma al di là delle sue credenziali esoteriche, in Ahmed si avvertivano un amore immenso per la vita e una profonda diffidenza verso i valori comuni. Ahmed era una delle anime più indipendenti e libere che ci sia stato concesso il privilegio di incontrare. Da lui abbiamo imparato molte cose sui valori umani e grazie alla sua amicizia abbiamo persino conquistato un tocco di eleganza nel gioco del flipper. All'inizio quel gioco c'era sembrato uno spreco di tempo, ma Ahmed era un maestro e ci dimostrò di che cosa era capace la vera maestria. Imparare a giocare al suo livello era impensabile. Non avevamo dita abbastanza sottìli per manovrare bene i tasti e soprattutto non avevamo la raffinata sensibilità che occorreva per saper cogliere il momento in

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Capitolo terzocui, scuotendo il mondo dalle fondamenta, avremmo fatto TILT e il gioco si sarebbe concluso. La sua abilità era per noi irraggiungibile ma, se non altro, accanto a lui provavamo l'aspirazione a emularlo. Ci accorgemmo che per Ahmed il momento di massima eccitazione era quello in cui la pallina si metteva in moto. Mentre faceva scattare la molla e guardava la palla schizzare nello spazio sul suo volto comparivano una luce e un'espressione quale avevamo osservato nei dervisci quando volteggiando giungevano al culmine della loro danza frenetica.

Sentivamo che il flipper era per Ahmed una parabola della vita, il tentativo perenne di sottrarsi al TILT finale. Lui era la pallina, lanciata nel gorgo delle trappole e delle molle. Era libero come la pallina, perché non apparteneva né all'Italia né al Bahrein, dove era nato: co-me la pallina scorrazzava fra le tante luci e i trabocchetti del gioco, seguendo una direzione dettata da qualche strano impulso esterno. Quel gioco era la vita, ed era mortalmente serio: bisognava giocarlo con grande cura e abilità.

Quand'era al flipper Ahmed portava sempre la kefiah, che piano piano gli calava sulla fronte. A volte, mentre si curvava sul vetro di protezione, la kefiah gli si abbassava al punto di coprirgli gli occhi e costringerlo a giocare più con il tatto che con la vista.

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L'iniziato

«Enkidu!» gli gridammo un giorno, vedendolo giocare apparen-temente cieco.86 Annuì, per dire che aveva capito, e la kefiah scese ancora più giù, ma Ahmed continuò con la stessa energia. Più tardi, mentre sorseggiavamo il caffè, disse: «Mi hai chiamato Enkidu perché ero diventato un selvaggio?».

Facemmo cenno di sì. Mentre saltellava davanti alla macchina, con le dita pronte a premere i pulsanti, con tutto il corpo che volteggiava per spostare l'attrezzo, era un selvaggio.

«Ti sei posto la domanda dei poeti? Ti sei chiesto chi muove la palla? E chi muove l'uomo?» Ci scrutava con i suoi occhi azzurri.

Annuimmo. «Tu eri il selvaggio. Credo che Enkidu sia il tuo nome segreto.»

Quel nome ci era venuto spontaneo alle labbra, eppure ci trascinò in un'avventura straordinaria. Felice di avere scoperto che avevamo in comune qualcosa, Ahmed rimase con noi per tutto il giorno e ci lesse V Epopea di Gilgames. Era già notte quando terminò, ma il suo entusiasmo non si era ancora spento.

«Domani» disse, «domani andiamo a visitare Warka.»«Warka?»«Warka, amico mio, è il posto dove una volta sorgeva l'antica

Erech. Dove regnava Gilgames. Dove Gilgames incontrò il suo sel-vaggio, Enkidu.»

Partimmo che era ancora buio, viaggiando in macchina finché la pista nel deserto non divenne impraticabile e quindi a dorso di cam-mello.

Ahmed camminava a lunghe falcate sulla sabbia battuta, tirando per la cavezza i due cammelli. Sul suo volto era dipinta la gioia. Noi non eravamo altrettanto felici, perché mentre durante il giorno c'era stato un sole radioso, con la notte si era alzato un vento gelido. Arri-vammo a Warka che era già buio da un pezzo. Ci calammo a tentoni nelle trincee piene di detriti degli scavi dietro il tempio, in cerca di un posto dove dormire e con la paura di svegliare i serpenti.

Ahmed trovò un pezzo di legno e con quello batté sulla sabbia morbida tutt'intorno alla fossa.

«Non sopporto i serpenti. Di notte il deserto ne è pieno. Le paure sono tutte così irrazionali?»

Cercammo di dormire avvolti nei cappotti, rannicchiandoci nello stretto cunicolo coperto di assi dietro il tempio Bianco. Sopra di noi le stesse immobili stelle che GilgameS aveva contemplato dai suoi palazzi di èumer. I quattro grandi fari siderei che egli aveva visto

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/Capitolo terzo

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erano ancora al loro antico posto, anche se con un altro nome.87 Fa-ceva troppo freddo per dormire, e per ingannare il tempo Ahmed ci disse i nomi di alcune stelle, di cui ci raccontò antiche leggende. A volte recitava il loro nome prima in arabo e poi in persiano.

«Orione si chiama "il Gigante" in arabo, vero?» domandammo.«Sì, Al Jabbar» confermò. «Per alcuni è questo il suo nome. Così lo

chiamano i poeti. Al Jabbar significa proprio "il Gigante". Non mi sorprende che sia questa la prima costellazione di cui parli: spicca tal-mente nel cielo. La sua immagine racchiude un'unità psichica: sono le stelle, non la nostra immaginazione, a disegnare la figura di un gi-gante con la cintura in vita. A tenere unita quella figura è qualche for-za che sta dietro le stelle, qualche intensità nascosta. Gli antichi accadi chiamavano la costellazione Uru-anna, "Luce del cielo",88 ma gli arabi la portarono più vicino alla Terra, battezzandola Algebar.»89

«Nel XVI secolo alcuni europei la resero ancora più terrena: im-maginarono che la costellazione in arabo si chiamasse Al Shuja, che significa "il Serpente"», osservai.90

«Significa ancora serpente. Posso capire che gli europei che non conoscevano l'arabo abbiano fatto confusione. Ma il Gigante in realtà era un dio, non è mai stato un serpente, Nell'astrologia egizia Orione era Horus, una delle divinità maggiori.»

Era vero. Nello zodiaco di Denderah, il Gigante era Horus nella barca, circondato dalle stelle. E ancora prima Orione era stato chia-mato Sahu.91

«E la Cintura?» domandammo.«La Cintura di Orione?»Annuimmo.«È Al Nijad.92 Si diceva che le sue tre stelle si rispecchiassero qui

sulla Terra nelle tre piramidi di Gìza. Cosa ne pensi?»«È una vecchia idea, ma non regge se la esamini bene.»93

«In una notte come questa, però, sarebbe più giusto parlare delle fredde stelle del Nord.» Indicò la costellazione dell'Orsa Maggiore. «Quella è Al Dubhe, l'Orsa Maggiore. Ma prima che gli arabi pren-dessero a prestito dai greci questo nome, i fenici l'avevano chiamata Parrasis, che significa "stella Polare", "stella guida". Forse guidava i marinai. Forse guidava i costruttori delle piramidi. Chi può dirlo?»

«È stato il freddo a farti venire in mente Al Dubhe.»«Perché?»«Hai pensato ad Al Dubhe perché gli antichi credevano che ruo-

tasse intorno al gelido Polo? La stella polare è immobile perché con-gelata nello spazio e nel tempo?»

Rise.«I persiani erano saggi: per loro l'Orsa era un feretro che traspor-

tava i defunti. È questo il vero freddo, la morte. L'Orsa è collegata con la morte. Mawlana racconta la storia di un orso a guardia di un uomo

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L'iniziato

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che l'aveva salvato da un drago. Un giorno l'uomo si addormentò e l'animale stette di sentinella perché non gli capitasse alcun male. Vicino alla faccia dell'uomo cominciarono a ronzare le mosche e l'orso le scacciò con la sua grande zampa. Ma quelle tornavano in continuazione e allora l'orso prese una grande pietra e quando ri-presero a ronzare intorno, per colpirle e mandarle via, lanciò la pietra che fracassò la testa dell'uomo.»

«È una bella storia. Se ne trova un'eco nella parola arktikos con cui i greci indicavano l'Artico: arktos, infatti, significa "orso". L'astrologia mi ha insegnato che le stelle, fonte della nostra vita, sono anche assassine.»

«Noi arabi abbiamo un proverbio che dice: "L'amicizia con l'orso è fonte di guai".»

«È vero, verissimo. È stato l'astrologo Tolomeo, il quale era nato in Egitto, a insegnare agli arabi che certe stelle sono assassine. È un concetto universale. Anche gli indiani dell'America del Nord hanno riconosciuto l'orso fra le stelle. Che sia un caso?»

Ahmed rise: «Esiste il caso?».«Non nella mia filosofia. Pensa a quanto è fitto il velo.»«Ah, il velo dai tanti nomi, l'uzur.94 Che cos'è la realtà? Guarda, hai

appena indicato tre stelle nella cintura di un gigante, tre stelle che ai tempi di Gilgames dovevano essere molto simili a quello che sono ora. Eppure, la stella mediana, Alnilam, si muove a oltre venticinque chilometri al secondo, e Alnitak a dodici-tredici chilometri. Stiamo parlando di secondi. Non ti pare che basti la distanza per capire che tutto è maya, illusione? Se le stelle non sono un velo, allora niente lo è.» Annuimmo. Ahmed proseguì: «E in quest'illusione la Luna sembra muoversi ancora più velocemente delle stelle! I miei antenati avrebbero determinato la posizione della Luna in base alle stelle fisse, i manzil.95 Guarda, questa notte la Luna è vicina ad Al Fargh, "il Secchio d'acqua". Questo un tempo avrebbe significato che non era il momento di mettersi in viaggio...».

«E noi invece siamo venuti fin qui...»«Sì» rise, «e così moriremo congelati senza la nostra "pelle d'orso":

l'acqua del nostro secchio si sta ghiacciando. Tuttavia abbiamo il libero arbitrio: possiamo sfidare gli antichi fati. In questa sfida forse non c'è saggezza, ma c'è almeno dignità. Quando sono nato, il Sole era su quella stella, su Fomalhaut, quella lassù, nella testa dei Pesci meridionali. Il nome arabo si riferisce alla sua posizione: la stella appartiene a Fum al Hut, alla "Bocca del pesce". Era una delle quattro stelle reali in Persia, al tempo in cui fu scritta L'epopea di Gilgames. Una volta ero molto orgoglioso di questo legame del mio Sole, perché il pesce è simbolo della saggezza nascosta, ma poi un giorno ho scoperto che gli arabi prima lo chiamavano Al Difdi al Awwal, che

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/Capitolo terzo

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significa la "Prima rana", e non mi sentii più tanto sicuro di me, né dei miei ascendenti e del mio destino.»

Gracchiò e scoppiammo a ridere.«Nelle favole occidentali la rana si trasforma in principe...»«Un pensiero confortante, ma preferirei essere un pesce.»

Più tardi, quando il freddo si fece troppo intenso anche per puntare il dito nudo verso il cielo, ci stringemmo ancora di più nei cappotti. L'aria era troppo gelida perfino per parlare.

A mezzanotte faceva così freddo che anche A.hn\ed si arrese. Andò a tentoni fra le rovine dietro il tempio e prese un telone che proteggeva un'area di scavi archeologici. Dopo averlo sbattuto bene, per esser certi che dentro non si fosse arrotolato qualche serpente, piegammo il telo a metà e lo stendemmo a terra. Avvolti nei nostri cappotti ci infilammo lì dentro, se non altro eravamo protetti dal vento tagliente. Capivamo come dovevano essersi sentiti Enkidu e GilgameS nella fredda desolazione degli inferi. In noi, nella nostra immaginazione, si compì una transizione naturale dalla condizione di congelamento in cui eravamo prima alla fredda infelicità degli inferi in cui i due eroi si erano stretti l'uno all'altro, e cominciammo a parlare deW Epopea di Gilgames.

«Vuoi che te la reciti?» chiese Ahmed.«La sai a memoria?»«Qualche verso. Ma solo in arabo. Noi arabi impariamo a memoria

la grande poesia. Fa parte della nostra tradizione.» Rise ironicamente. «La recitazione aiuta a trascorrere le notti nel deserto!»

«Conosci le parole di Sabitu?» domandammo. «Il passo in cui lei consiglia a GilgameS di abbandonare la Via e di rinunciare alla ri-cerca?»

«Al contrario di te» disse Ahmed, fissandoci. Dal bavero sollevato del cappotto il suo alito si alzava in una nuvoletta. Poi egli cominciò a recitare la versione araba del poema, traducendola verso per verso. Anche in quella forma frammentata YEpopea conservava il suo vigore e la sua bellezza.

GilgameS, dove ti affretti? Non troverai mai la via che cerchi. Quando gli dèi crearono l'uomo, gli diedero in fato la morte, ma tennero la vita per sé. Quanto a te, GilgameS, riempi il tuo ventre di cose buone; giorno e notte, notte e giorno, danza e sii lieto, banchetta e rallegrati.96

Sabitu voleva persuadere Gilgames ad abbandonare il suo perico-loso cammino: egli avrebbe dovuto accontentarsi di una normale vita umana... Ma Gilgames non ascoltò le sue parole. Il grande re cercava altro: possedeva già l'oro e i gioielli, lui che era il più potente della Terra, e non avevano ai suoi occhi alcun valore. Sapeva che se non fosse riuscito a evitare la morte, la vita non avrebbe più avuto in

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serbo gioie per lui. Che gioia poteva esserci per chi sapeva che l'unica meta era la morte? Ecco perché, contravvenendo a tutti i consigli, partì con Enkidu per quel viaggio verso la fine del mondo - fino al mare della Morte - in cerca della magica pianta che sola, gli avevano detto i maghi, poteva dargli la vita eterna.

«Ricordi i versi sulla pianta della vita?»«E sul serpente» replicò. «La pianta e il serpente sono quasi un'u-

nica cosa, sono inseparabili. Tutti e due sono simboli della spina dorsale. Uno è morto, l'altro è vivo.»

«Quale dei due è morto, Ahmed, la pianta o il serpente?»«Ah, questa è una domanda a cui dobbiamo rispondere da soli.

Nella Bibbia il serpente pronuncia parole d'inganno e morte, non è vero? Forse è per questo che ho paura dei serpenti. Ma ascolta le voci del mio passato.»

Ancora una volta riprese a recitare versi dell'Epopea:La pianta che luminosa rifulge come il cielo nella chiara e stellata notte del

deserto, che con il suo fulgore confonde gli occhi degli uomini, è stretta fra le fauci di quel nero serpente, trattenuta giù per molte tese nell'oceano della disperazione.

Era l'oceano interiore, e questo significava che i semi della pianta sono sepolti nell'uomo. Ahmed riprese a recitare:

Trattenuta in acque amare note a uno solo, quell'uomo semidivino, con occhi selvaggi di solitudine quell'uomo semidivino che brama la consolante morte.

Quell'uomo saggio, solo ai confini del mondo, è UtnapiStim, l'unico a sapere dove cresce la pianta della vita e dove dimora l'astuto serpente che la custodisce.

«Ma neppure tanta conoscenza rese felice Utnapistim» osser-vammo.

«E lui aveva conquistato la vita eterna. Quanta tristezza c'è nell'E

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popea. È la tristezza di un'epoca storica in cui l'umanità attendeva un Redentore.»

La capacità di visione di Ahmed ci sorprese. Il Redentore non sa-rebbe giunto per altri duemila anni, eppure gli uomini erano già in disperata attesa del suo avvento.

«Sì» mormorammo. «Mi sembra questo il messaggio dell'epica. Senza quel messaggio siamo tutti perduti. L'Epopea di Gilgames è quella di tutti gli uomini e di tutte le donne.»

«Soltanto l'idea di una redenzione può attenuare l'orrore di quella scena agli inferi. La tavola di Dhu'l-Nun, su cui era scritto il nome di Allah, era una scialuppa di salvataggio.» Ahmed lo disse con la consueta semplicità, e tuttavia dalle sue parole capimmo quanto la sua anima bramasse lo Spirito.

La parte più straziante dell'Epopea è il momento in cui, dopo la morte dell'amico Enkidu, GilgameS discende a cercarlo nell'inferno babilonese, dove i morti mangiano soltanto cenere e siedono in si-lenzio come corvi muti: egli non può salvare l'amico, ma si è gua-dagnato la possiblità di rivederlo un'ultima volta. Durante l'incontro GilgameS domanda a Enkidu di parlargli del buio regno degli Spiriti.

«Amico mio» risponde Enkidu, «non posso dirti di questo tetro mondo. Non posso. Se ti dicessi tutto, ti siederesti e piangeresti.»

E Gilgames: «E allora sediamoci e piangiamo insieme. Nonostante tutte le lacrime, desidero sapere del regno degli Spiriti».

Quasi evocato dal nostro tema poetico, il primo chiarore dell'alba spuntò all'orizzonte del deserto. Lentamente, la luce dissolse le forme mostruose del tempio e mezz'ora dopo salì all'orizzonte il disco rosso del Sole, trasformando le rovine in un sacro bai/t nuri97 II mondo tutt'intorno rispose con un fremito a questa promessa di un'altra fornace.

Ahmed era già in piedi; si era tolto il cappotto, e stava facendo ginnastica per riattivare la circolazione. Intrecciò le mani dietro la nuca e guardò verso il disco del Sole, in fondo al deserto.

«Hai ragione. Credo davvero di essere un selvaggio. Nessuno ha mai addomesticato il deserto, e io ne sono figlio. Il deserto è la vera casa del selvaggio, perché non c'è wasta9H dentro i suoi confini. Il de-serto non si concede a nessuno.» Fece un gesto circolare con la mano in direzione dell'orizzonte dalla parte opposta, verso la zona abitata.

«Anche i caffè, luoghi soffusi di aromi, sono troppo confinanti, a meno che non custodiscano al loro interno la grande avventura di un flipper. Il flipper ti dà la sensazione di avere a che fare con le stelle, di controllare con le tue dita il moto dei pianeti metallici nei cieli.» Sorrise.

«Sì, il flipper è la rete che cattura il selvaggio, Enkidu.»Ridemmo di questa elaborazione del concetto, perché nei tempi

andati rete era uno dei nomi del karma, ma poi osservammo:

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L'iniziato

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«No, Ahmed. Sai benissimo che non è stata una rete a catturare Enkidu.»

Cogliendo l'allusione, Ahmed si unì alla nostra risata. «Hai ragione, amico mio. Nessuna rete potrebbe imprigionare quel gigante, quell'uomo selvaggio del deserto. È stata una donna - la prostituta del tempio - a intrappolarlo. Colei che l'ha catturato, con le sue danze sotto la tenda e le sue lascive lusinghe, era una schiava di Ishtar. Qualcuno dice che fosse Ishtar in persona, velata come una schiava, e innamorata di Enkidu." Tu mi hai chiamato Enkidu, ma io non mi farò catturare da una donna, amico mio. La mia vita è troppo breve. Non c'è spazio per le tenebre di una simile prigione.»

«Quando giocavi a flipper, la kefiah ti copriva quasi interamente il volto. Mi hai ricordato Enkidu agli inferi.»

Meditò per un istante e poi osservò: «Quando GilgameS si reca da Enkidu nel regno delle ombre, l'amico non ha ancora perso l'amore e la nostalgia per il mondo dei vivi. Con l'anima angosciata egli sollecita GilgameS a fuggire da quelle tenebre e a godere la vita terrena fin che può. Cenere e lacrime gelate sono forse la sorte sgradita dei morti, ma i vivi dovrebbero rifuggirne, andare in cerca della vita. Non dimenticare mai» disse serio, «che YEpopen finisce nella tristezza. Enkidu rimane nelle tenebre dell'aldilà. UtnapiStim rimane con la sua solitudine. GilgameS rimane senza l'agognata pianta della vita».

La kefiah di Ahmed era stato il messaggio velato che avevamo rice-vuto nella stanza buia. Lady C., nel suo stato di trance, aveva avuto perfettamente ragione: noi eravamo davvero i soli ad avere capito.

Non le spiegammo il significato del suo strano incontro, ma noi lo conoscevamo, o almeno, così pensavamo.

Quel significato si sarebbe rivelato pienamente qualche settimana dopo.

Non appena ce ne andammo da quella seduta quasi onirica, deci-demmo di metterci in contatto con Ahmed, per sapere se anch'egli avesse avuto sensazioni strane, simili alle nostre, nello stesso istante. Chissà se sapeva che cosa era accaduto nella séance di Boston? Que-sta nostra domanda l'avrebbe divertito. E comunque egli sapeva di certo che ad alcuni maestri dervisci veniva attribuito il dono della bilocazione quando raggiungevano l'estasi durante la danza.100

Quella sera stessa scrivemmo una lunga lettera ad Ahmed, rac-contandogli l'accaduto e facendo qualche ipotesi sul senso della vi-sione. Ci stava forse consigliando, gli chiedemmo, di andarcene da quella buia stanza medianica? La considerava l'equivalente degli inferi babilonesi? Dovevamo rinunciare a quegli «esperimenti» nell'oscurità, in cui delle entità potevano balzar fuori dalle tombe? E se il suo messaggio non voleva dire questo, poteva chiarirci quella strana visione? Perché nella visione quell'io si era tolta la kefiah e l'aveva

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Capitolo terzo

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posata sulle nostre ginocchia? Era una forma di omaggio araba, a noi ignota?

Come sempre, inviammo la lettera fermo posta nel Bahrein, dove l'avevamo rintracciato l'ultima volta. Sapevamo che la risposta avrebbe potuto tardare anche diversi mesi.

Tre settimane dopo ricevemmo un messaggio con il timbro postale di Safat, nel Kuwait. La missiva era stata inviata al nostro indirizzo di Londra, e da qui spedita negli Stati Uniti. Il timbro postale rivelava ch'era stata imbucata circa una settimana prima dello strano incontro avvenuto durante la seduta spiritica.

A scrivere era uno sconosciuto. Diceva che Ahmed era passato dall'Arabia Saudita in Kuwait, per lavorare per qualche tempo alle ricerche petrolifere nel deserto meridionale, i giacimenti di Getty. Poco dopo il suo arrivo era stato morso alla coscia da un serpente velenoso ed era morto dopo due giorni e mezzo di sofferenze. Esaudendo la sua ultima richiesta, l'avevano sepolto nel deserto.

La lettera diceva che fra le poche cose personali di Ahmed c'erano alcune nostre lettere ed era dalla più recente che l'uomo aveva preso il nostro indirizzo per comunicarci la triste notizia.

Quando era apparso nel sotterraneo buio di Lady C., Ahmed era già morto da diversi giorni. Ora capivamo l'ultimo gesto dell'ombra. Non era un monito, no, nient'affatto: era il segno che egli aveva cessato di vagare nel deserto come un beduino sempre inquieto. Si era tolto la kefiah per mostrarci che la sua mente si era infine aperta alle stelle superiori?

In un certo senso le stelle che tanto lo affascinavano e i serpenti le-gati alla Terra che tanto temeva avevano avuto l'ultima parola. Era stata la stella Fomalhaut, situata nella testa dei Pesci meridionali, a togliergli la vita. Era lei Vernerete, l'assassina, che dava la morte con il morso del serpente.101

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Capitolo quarto

Così nacque l'umanità. L'umanità fu creata dalle lacrime che sgorgarono dal mio Occhio.

Canto del dio egiziano Atum, Bremner Rhind Papyrus

Il 27 dicembre 1666 John Frederick Helvetius, medico del principe d'Orange, fu avvicinato nel suo laboratorio d'alchimista all'Aia da un adepto a lui sconosciuto e mai identificato dagli storici.1 Quell'incontro cambiò la sua vita, portandolo a una comprensione nuova deH'alchimia, di cui scrisse poi le opere che l'hanno reso famoso nei circoli ermetici.2

In un successivo incontro lo straniero - che Helvetius chiamò «l'artista Elia» —3 diede al medico un minuscolo frammento di pietra filosofale, con la quale avrebbe potuto convertire in oro il piombo. Helvetius obiettò che «quella sostanza dal pallido colore di zolfo» era grande quanto un seme di coriandolo, e sarebbe riuscita a trasformare ben poco piombo. Il forestiero riprese immediatamente la sostanza e, con un sorriso, la spaccò in due con l'unghia del pollice. Poi prese il pezzetto più piccolo e lo porse a Helvetius.

«Anche così» disse «sarà sufficiente.» Le sue parole si dimostrarono esatte: infatti con quel frammento, come racconta Helvetius, riuscì a trasformare in purissimo oro quasi un'oncia di piombo. Anche noi, al pari di Helvetius, ci siamo sempre stupiti di quanto sia piccola l'attività spirituale necessaria per ottenere risultati straordinari. Una piccolissima parte di quella pietra interiore che è lo sforzo spirituale riesce a trasformare enormi quantità dell'inerzia plumbea che tutti abbiamo dentro la nostra anima. La pietra filosofale donata a Helvetius era il giallo dello zolfo, e con lo zolfo gli alchimisti indicano la forza di volontà, con cui si possono smuovere le montagne. Ci ha sempre stupito constatare quali visioni si aprano nel regno spirituale che sta dietro il velo dei fenomeni con un piccolo sforzo di volontà, forse perché il regno spirituale è così generoso nella sua munificenza, così pronto a dare a chi sia preparato a cercare e ricevere.

A volte basta una sola parola, detta al momento giusto e nel modo giusto, per cambiare per sempre la vita di chi è sulla Via.

Come succede in tutte le storie di natura alchemica, anche questo

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Capitolo quarto

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racconto, in cui si narra l'incontro di Helvetius con il misterioso adepto, nasconde più livelli di significato. E d'altra parte, se Helvetius annotò con tanta cura il momento e la data dell'episodio fu di certo perché erano importanti sul piano astrologico. Nelle ore antimeridiane di quel giorno non meno di cinque pianeti si trovavano nel Capricorno, e in particolare Saturno, che governa il piombo e il processo alchemico della sua trasmutazione, si trovava nel ventunesimo grado, «il grado dell'erudizione».4 Helvetius era dunque convinto che il processo alchemico, come tutte le operazioni della volontà autentica, coinvolgeva l'intero cosmo: la vera magia infatti riesce soltanto quando i cieli e la Terra sono in armonia.

L'insegnamento che un iniziato come quello incontrato da Helvetius impartisce consiste nel magistero segreto della pietra filosofale. Gli uomini che insegnano questo mistero sono i maestri (l'attuale Master Degree era un tempo un grado iniziatico). In latino il maestro non si chiamava in origine magister, bensì magester, nome che pertanto era connesso a mage (magus), da cui forse discendeva direttamente. L'adepto-archetipo di Helvetius gli diede dunque una lezione di sapienza magica: gli insegnò le leggi del mondo spirituale. Nelle Sacre Scritture Cristo è chiamato «Maestro» e almeno in un'occasione è associato all'Elia biblico.5 Helvetius narra forse una parabola sulla capacità trasformatrice di Cristo quale alchimista cosmico? Questo artista Elia - o qualcuno che molto gli assomiglia - viene spesso citato come colui che contattò diversi «cercatori» alchimisti e incarna senza dubbio l'archetipo del maestro. La parabola ci ricorda che esiste un Elia segreto, un maestro pronto ad avvicinare chiunque desideri veramente la realizzazione e lo sviluppo interiori.

Queste due parole, magister e magus, con il loro antico significato, vengono ancora usate in alcune società segrete. Prendiamo, per esempio, la Regola della società dei Rosacroce inglese. Vi sono pre-visti sette gradi.6 I due più alti sono magister templi e magus, ossia maestro del tempio e mago o sapiente. Sono i titoli che vengono con-feriti come riconoscimento a quei fratelli che hanno appreso il magi-stero dell'insegnamento segreto dei Rosacroce, vale a dire i segreti della trasformazione operata da Saturno. Di questa tradizione e delle sue connessioni con il Capricorno nell'ambito della letteratura esoterica parleremo più avanti.

Le logge massoniche hanno tuttora una suddivisione dei gradi molte) più sofisticata: esse posseggono una serie di tìtoli iniziatici - da Apprendista a Maestro Segreto, a Elu dei Quindici, fino a Maestro del Segreto Reale - che arriva fino a trentadue gradi, del cui substrato esoterico è stata divulgata una spiegazione, sia pure parziale.7 Titoli e gradi ci ricordano come l'iniziazione sia a sua volta composta da varie iniziazioni ai misteri minori, che costituiscono le tappe verso la visione globale del Grande Mistero.

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Il sottofondo arcano contenuto in parabole alchemiche come l'in-contro di Helvetius con l'adepto-archetipo rivestono un evidente in-teresse per quanti percorrono la Via. Gli incontri fra chi è in cammino e gli adepti più avanzati sono affascinanti per coloro che intendano partecipare a un gruppo esoterico o che abbiano già intrapreso un cammino. Ma se abbiamo ricordato l'episodio di cui fu partecipe Helvetius è anche per un'altra ragione: è per il granello di polvere trasformatrice che l'adepto portava con sé e usava. In alchimia questo seme rimanda all'idea di potenza che, nella tradizione arcana, ha un significato leggermente diverso da quel che si intende di solito.8 Qui, come in certe forme di medicina che dall'alchimia sono nate, una minuscola porzione di sostanza può contenere un potere magico che sembrerebbe quasi inversamente proporzionale alla sua dimensione. Un frammento della pietra filosofale non più grande di un seme di coriandolo trasforma quasi un'oncia di piombo, con una proporzione di circa 1:1000. Deve essere ben potente questa pietra per operare una tale magia e deve essere ben saggio l'alchimista per sapere come liberare una tale potenza. L'idea di rivelare la potenza nascosta nelle minute quantità sembra sia passata dall'antica alchimia alla più moderna scienza omeopatica.

L'omeopatia, con la sua magia della dose minima, venne introdotta nella cultura occidentale nel XVIII secolo da Samuel Hahnemann. Come il suo più celebre predecessore, Paracelso, anche lo studioso tedesco seguì la sua Stella, come chiamava il destino, nonostante tutte le avversità. In quel secolo nella medicina imperavano le san-guisughe e i salassi;9 con la nascita di una nuova chimica dall'alchimia e l'emergere di una nuova scienza dalla magia naturale dell'oc-cultismo medievale, i tempi erano ormai maturi per un nuovo approccio al lato spirituale della medicina, che rischiava, altrimenti, di restare schiacciato sotto il peso della scienza materialistica. Il genio che seppe cogliere il momento giusto per sviluppare questo lato spirituale fu proprio Hahnemann.

La sua medicina omeopatica aveva per fondamento l'idea che le malattie possono essere curate con dosi di farmaci tali da provocare i sintomi e talora anche la patologia del malessere di cui soffre il pa-ziente. Non era la prima volta che si affermavano principi del genere: qualcosa di analogo suggerivano già certi antichi trattati di medicina e alchimia, compresi alcuni passi di Paracelso.10 Nell'XI secolo l'arabo Avicenna insegnava che il magisterìum perfetto consisteva in una parte su mille: di qui alla conclusione che egli esprimesse in tal modo un principio omeopatico il passo è breve.11 Tuttavia è più probabile che egli intendesse definire la potentia della pietra filosofale, ovvero la straordinaria verità che lo sconosciuto rivelò a Helvetius.

Negando l'esistenza di una vera omeopatia prima di Hahnemann non intendiamo minimamente affermare che questo grande innova-

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Capitolo quarto

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tore ignorasse le pratiche mediche delle tradizioni arcane rosacrociana e alchemica, per le quali egli nutriva, al contrario, un interesse profondo. Hahnemann era infatti un massone praticante, un iniziato, e dunque di necessità doveva avere familiarità con il pensiero ermetico. Nel 1777 era iscritto alla loggia massonica di Hermannstadt, alla quale fu quasi sicuramente introdotto dall'influente barone von Brukenthal, presso il quale svolgeva le funzioni di bibliotecario e medico. Trasferitosi a Lipsia nel 1817, non abbandonò l'Arte, entrando a far parte della loggia di Minerva delle tre palme.12 A quell'epoca la massoneria contava fra gli affiliati uomini del calibro di Goethe, Schiller, Wieland, e un massone praticante come Hahnemann non poteva permettersi di non conoscere certi segreti della tradizione terapeutica alchemica e dei Rosacroce. Egli perciò arricchì sicuramente la sua conoscenza della medicina tradizionale e di Pa-racelso con l'acquisizione delle nozioni di alcune delle correnti più segrete che alimentavano la tradizione iniziatica della sua scuola.13

Il termine «triturazione», oggi ampiamente usato per descrivere la produzione dei farmaci omeopatici, Hahnemann lo prese in prestito dalle antiche pratiche farmacologiche, come quelle seguite da Paracelso e da altri dottori ed erboristi del tardo Medioevo. La parola indicava la riduzione di una sostanza a polvere sottilissima, e in particolare si riferiva al procedimento per cui dieci parti di un farmaco o di una sostanza medicinale venivano diluite con l'aggiunta di novanta parti di liquido. L'impiego di questo termine da parte di Hahnemann potrebbe indurci a sospettare un legame fra il suo me-todo e la precedente medicina medievale, ma ciò sarebbe scorretto poiché la triturazione di cui parla la farmacologia omeopatica com-porta una diluizione di ordine completamente diverso da quella praticata nella farmacopea antica.

Il principio della triturazione omeopatica è semplice, tanto che bastano gli appunti di Hahnemann per capire un metodo che viene seguito ancora oggi. Se si trattava del preparato di una pianta, sup-poniamo l'aconito, questa veniva schiacciata e se ne estraeva con l'alcol la tintura madre. Questa veniva poi diluita con nove parti di una soluzione di acqua e alcol, per ottenere la prima potenza decimale, la quale era a sua volta diluita con altre nove parti di acqua e alcol, ottenendo la potenza del secondo decimale. Dopo ogni diluizione, il composto ottenuto andava agitato con forza. Si procedeva così finché non si raggiungeva la potenza decimale richiesta.

Viene da pensare che già alla terza «triturazione» la tintura madre così diluita abbia perso tutto il suo potere originario; che ne sia ri -masto tutt'al più un paio di molecole. Alcuni omeopati sostengono che al terzo passaggio resta soltanto la milionesima parte della quantità di farmaco iniziale. Nella medicina tradizionale un preparato del genere

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sarebbe considerato poco più che un placebo, ma la pratica fornisce una smentita clamorosa: il processo di triturazione che dovrebbe indebolire la potenza del farmaco in realtà produce l'esatto contrario.

L'omeopata dottor Molson impegnò un giorno le guardie costiere di Brighton a tritutare il comune sale da cucina - il natrium muriaticum dell'omeopatia - fino a ridurre la sostanza originaria ben oltre l'uno- su-un-milione della terza triturazione. Ne risultò, egli disse, una mi-stura «quasi esplosiva», così potente che egli ebbe timore di sommini-strarla ai pazienti.14 La cosa straordinaria è che, dal punto di vista della fisica, la triturazione omeopatica sfida il senso comune.

Evidentemente la forza di un farmaco triturato risiede in qualcosa che non può essere né visto né misurato, se non in base agli effetti che esso ha sul malato. È questa la ragione per cui l'omeopatia ha ri-cevuto così scarsa considerazione da parte della scienza e della me-dicina ufficiali, eredi di una scienza e di un'arte le cui radici affondano nella misurabilità.

Consapevoli che i sorprendenti effetti della triturazione sfuggono alla ragione, alcuni omeopati hanno adottato il termine di Hahnemann, potentizzazione, in alternativa alla definizione «triturazione». Ma ben consapevole che cambiarne il nome non è sufficiente a modificare il mistero sostanziale della dose minima, il grande omeopata J.T. Kent scrisse: «Se proseguiamo sulla linea della potentizzazione, perdiamo l'idea di potenza che alla mente di un non iniziato è qualcosa di manifesto».15 Quando Hahnemann adottò la parola potenza per descrivere la forza sviluppata dalla triturazione, sapeva benissimo che si trattava di un termine arcano, usato per indicare la relazione fra il regno spirituale e il mondo materiale.16

Il primo libro di Hahnemann sull'omeopatia, pubblicato nel 1805, elencava ventisei rimedi. Fra questi c'erano l'aconito e la belladonna, due veleni che, come egli dimostrò al di là di ogni ragionevole dubbio, avevano effetti benefici se sottoposti alla triturazione. Ciò che rese diversa la medicina di Hahnemann da tutte le pratiche precedenti fu la ricerca sistematica, il metodo sperimentale del medico che provava i suoi farmaci diluiti su amici e colleghi consenzienti, usati come cavie per costruire «il quadro del farmaco». Similia simili- bus curentur, ovvero «che i simili curino i simili», dichiarò Hahnemann nel 1810, con una frase divenuta famosa e sorprendentemente vicina a quella, ancora più esplicita, di Paracelso, il quale aveva detto similia similibus curantur: «i simili sono curati con i simili».17

È dimostrato che Paracelso, e altri medici prima di lui, curavano davvero i pazienti con tracce di sostanze «simili» contenute in minu-scole quantità di erbe, piante e così via. Alcuni indizi indurrebbero addirittura a pensare che essi avessero capito i principi che rendevano efficaci queste terapie. Tuttavia la loro «eboristeria simpatetica»

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Capitolo quarto

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sembra non avere alcuna parentela con il procedimento di triturazione proposto da Hahnemann. Il fatto è che il concetto paracelsiano di «curare il simile con il simile» rinvia all'antico principio ermetico delle «segnature» planetarie, zodiacali e stellari. La letteratura ermetica ha sempre sostenuto che una malattia può essere curata con un rimedio che abbia un «segno» simile. Benché tutti i fenomeni celesti facessero piovere i loro «segni sulla Terra», alchimisti, astrologi e dottori li riconducevano di solito ai sette pianeti. Essi ritenevano, per esempio, che i preparati a base del velenoso aconito potevano essere usati per curare certi mali saturnini, semplicemente perché la pianta era governata dal pianeta Saturno.

Analogamente, in erboristeria l'artemisia recava l'influsso del «pianeta» per antonomasia, la Luna. Essa veniva usata nei normali preparati medici - così come nella stregoneria popolare e in altri riti occulti - come mezzo per liberare la coscienza psichica, avendo il potere di indurre sia sogni profetici sia proiezioni astrali, o sky- walking. Anche gli arcanisti che non andavano in cerca di risultati di ordine psichico riconoscevano la natura lunare dell'artemisia e rite-nevano che i sogni fossero ricordi imperfetti di proiezioni astrali, in gran parte dimenticati al risveglio. Sapevano che una pianta lunare quale l'artemisia poteva contribuire a incrementare non soltanto la capacità di sognare ma anche la memoria dei sogni.

Gli omeopati, pur sorvolando sull'importanza dell'influsso lunare, non potevano non rilevare come uno degli effetti del farmaco fosse il sonnambulismo. Sapevano che al paziente poteva accadere di alzarsi nel cuore della notte, mettersi a lavorare e quindi non ricordare quasi mai nulla al mattino. Al loro preparato, ottenuto con la triturazione, essi attribuirono il nome classico di artemisia, un nome che tuttavia evocava immagini legate al sonno e ai sogni. Nella mitologia greca Artemisia era infatti una dea lunare, associata con Selene, la dea che, come vedremo, sedusse Endimione mentre dormiva e10 tenne nella condizione onirica, tipica degli assopiti, da cui tutti coloro che seguono la Via cercano di risvegliarsi.

Per quanti sforzi facessimo, non riuscivamo a scuoterci di dosso le tenebre di Siena. Non c'era meditazione né esame interiore che ci liberasse dai demoni che avevamo dentro. Alla fine, tuttavia, deci-demmo di tornare alla disciplina del Matto sotto la guida di un mae-stro. Avevamo appena preso la decisione quando sentimmo parlare di un eccellente insegnante di questa Via die viveva negli Stati Uniti. Gli scrivemmo a New York, chiedendogli di studiare con lui per un periodo di prova. Con nostra grande sorpresa la risposta giunse a stretto giro di posta. Nella lettera, scritta con una calligrafia da studioso, il maestro si diceva felice di averci con lui per un anno, dopodiché

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avremmo deciso che cosa fare per il futuro.Era la nostra prima visita a New York. Nell'aria c'era una viva at-

mosfera di rigenerazione. 1 Beatles, che già stavano emergendo dalla loro piccola tana di Liverpool, avrebbero ben presto raccolto il loro primo successo negli USA. A New York la Philharmonic Hall aveva appena aperto i battenti, e incontrato i suoi primi problemi di acustica. Andy Warhol aveva cominciato a demolire la società con le sue immagini della Coca-Cola. Nei cieli, John Glenn aveva già compiuto11 suo triplice giro intorno alla Terra nella sua capsula spaziale Mer- cury. Erano in atto i preparativi per la costruzione di una gigantesca Unisfera,18 una sfera vuota che rappresentava la Terra. Mentre osservavamo la costruzione del grande globo cavo, la nostra mente, incline a cogliere i simboli, ebbe l'impressione che si stesse costruendo, nel centro di New York, un'immagine del mondo visto come una vuota illusione.19

Nelle strade di New York, Parigi e Londra si respirava un'aria di liberazione sessuale che ricordava la Berlino degli anni Trenta de-scritta da Isherwood, il quale sosteneva che negli occhi vigili delle ragazze si coglieva il segno che di lì a poco sarebbe scoppiata la guerra.

Il nuovo maestro si dimostrò ben presto del tutto diverso da quello con cui avevamo lavorato a Parigi e a Siena. Era grassoccio, allegro ed espansivo: sfoggiava un pizzetto molto ben curato. La teatralità dei suoi gesti faceva pensare a un passato da attore e siccome intorno agli occhi aveva rughe di riso dava l'impressione di essere in uno stato di perenne contentezza. Aveva un vezzo che sembrava enfatizzare questa sua effervescenza: posava spesso il pollice sul mento e con l'indice si dava colpetti veloci sul labbro inferiore. Era come se con la mimica del volto si disponesse al riso che gli saliva costantemente da dentro.

Egli era un intellettuale nel senso migliore del termine. Era uno studioso noto e rispettato nel suo campo - autore di libri di storia specialistici - che, come molti altri esoteristi, lavorava dietro uno pseudonimo.20 Aveva un interesse particolare per le implicazioni spirituali dell'attività creativa, e forse proprio per questo era diventato un apprezzato studioso di Goethe.

Anche la casa in cui lavoravamo era molto diversa da quelle fran-cese e italiana. Non abbiamo mai capito se il maestro avesse solo af-fittato la parte dell'abitazione in cui viveva; noi ci riunivamo in un grande studio che aveva su un lato una galleria, sicché si aveva sem-pre la spiacevole sensazione di essere in attesa della comparsa di musici che attaccassero a suonare. Lo studio era nella 57a Strada Ovest e si diceva che fosse appartenuto un tempo al pittore america-no Hassam, il quale dipingeva un poco alla maniera dell'impressionista

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Capitolo quarto

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francese Monet.21

I quadri di Hassam che vedemmo nei vari musei ci colpirono molto.22 Non erano affatto copie pedisseque di Monet: avevano una loro personalità lirica e una struttura di fondo che ricordava più Cé- zanne che Monet.23 Mentre facevamo ricerche su Hassam, comin-ciammo a renderci conto della grande quantità di studi che erano esistiti nella 57a Strada Ovest, dove, negli anni Ottanta, abitavano molti personaggi ricchi e famosi: forse che Hassam avesse lavorato qui era soltanto una favola.24 Sicuramente, però, il locale in cui ci riunivamo era stato in passato lo studio di un artista e nell'atmosfera aleggiava una forte sensazione di creatività e di gioia, che si ac-cordava alla perfezione con lo stile esuberante del nostro nuovo in-segnante.

La curiosa, eppure concretissima, tradizione omeopatica si mescolò stranamente con la demonologia il giorno in cui il maestro rispose a una nostra domanda sulla Via Bassa, chiamata a volte erroneamente Via Proibita e, più correttamente, Via di Seth. Nella tarda tradizione ermetica egizia Seth era il Signore delle forze del male e la Via di Seth era vietata a tutti coloro che amavano e seguivano la luce.

Ci vollero non più di due o tre settimane - e una profonda espe-rienza spirituale - perché capissimo il motivo per cui il maestro aveva associato due idee così diverse come l'omeopatia e la demonologia. Quando finalmente comprendemmo il senso delle sue parole, avemmo un'altra conferma di quanto fosse profonda la sua capacità di percepire i bisogni dei suoi allievi.

Uno del gruppo aveva posto una domanda sulla Via iniziatica di Seth: a suscitarla era stata la sorprendente notizia che Ron Hubbard,il fondatore di Scientology, aveva partecipato a una pratica di magia nera avente a che vedere con la cosiddetta «Grande Bestia», vale a dire con Aleister Crowley.25 L'allievo che aveva sollevato la questione, come noi nuovo del gruppo, era stupito che alcuni cercassero la via delle tenebre quando si sapeva che le vie della luce non solo erano meno pericolose, ma svolgevano un ruolo primario nell'iniziazione.

Il maestro sembrava d'accordo.«È vero, anche se strano, che in varie parti del mondo - ma special-

mente in Europa e nell'America del Nord, dove le pressioni sulla cre-scente vita spirituale degli esseri umani sono più che mai intense - al-cuni gruppi cercano risposte alle domande della loro anima nei regni demoniaci nascosti.

«La via delle tenebre ha radici profonde nel mondo occidentale e molte delle sue credenze sono diventate parte inscindibile dalla nostra civiltà. Le ragioni di questo fenomeno sono piuttosto complesse. Ma forse basterà che io vi dica che non si può stare sulla Via per molto tempo senza accorgersi che tutto nel mondo deve avere la sua forma-ombra. E questo accade perché il mondo è in equilibrio, e il sopra

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riflette il sotto. Anche il nostro metodo iniziatico deve avere la sua controparte oscura in qualche luogo della Terra. Che ci siano esseri umani al servizio delle tenebre è inevitabile, semplicemente perché alcuni scelgono di seguire la luce.

«La forma-ombra delle vere scuole iniziatiche si manifesta nelle varie Vie di Seth. Come probabilmente saprete, tutto il sapere inizia-tico dell'Europa può essere fatto risalire all'antico Egitto, ai documenti iniziatici archetipici dell'ermetismo26 e persino a quello che viene chiamato il Libro dei morti. Analogamente si può rintracciare una scuola egizia parallela che si occupa del lato oscuro del mondo spirituale, oggi chiamata la Via di Seth.»

Fissò uno di noi.«John, devi chiedere qualcosa?»«Sì, signore. Come ha potuto un uomo di grande intelligenza e

sensibilità come Aleister Crowley lasciarsi coinvolgere in pratiche che non hanno nella sostanza alcun valore in vista dell'evoluzione dell'umanità?»

«Non intendiamo sottovalutare l'intelligenza, la cultura e la visione spirituale di Crowley, ma in sostanza egli era privo della fibra morale che occorre per un giusto sviluppo spirituale. Il suo ego non era equilibrato - forse perché abusava di droghe - ed egli ha compiuto azioni che sono vietate a un vero magus: ha manipolato le persone. Crowley era davvero convinto che le sue idee avrebbero contribuito all'evoluzione del mondo. Purtroppo, però, si sbagliava. Non era abbastanza saggio.27

«Aleister Crowley, pur con tutti i suoi difetti, aveva un'immensa conoscenza della letteratura occulta. Il suo sapere era di quel genere che alcuni circoli ermetici definirebbero "di testa", perché non viene trasmesso alle altre parti dell'essere umano e non penetra nella sua vita morale.

«Una prova di questa intelligenza tutta di testa si può vedere nella scelta del nome Lam dato da Crowley all'extraterrestre che diceva di avere incontrato. Il ritratto che egli ne tracciò è famosissimo, perché è stato stampato sul frontespizio di uno dei suoi libri.28

«Lam è un nome curioso. Perché mai Crowley chiamò così il suo alieno? Da esoterista egli era consapevole che per radicarsi in una cultura una parola deve unire in sé sia i cieli sia la Terra. In fondo è proprio questo che succede quando si semina, e infatti un tempo i contadini sapevano bene che non bastava tener conto delle stagioni, ma occorreva considerare anche le fasi lunari e le costellazioni.

«Per creare questa potente unione nella sua parola seminale Crowley adottò una lettera araba che, secondo alcuni testi arcani, univa i cieli con la Terra. Questa lettera Lam è la quinta di un incan-tesimo arabo, chiamato Basmallah e basato sui primi versetti del Co-rano.29 La sua scelta teneva conto anche di un altro fattore: il Ba-

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smallah, sotto forma sia orale sia scritta, viene usato per tenere lontani i diciannove guardiani dell'inferno.30 Lam è una di quelle "parole di potere" tanto rispettate dai maghi, che sanno usarle con grande efficacia.

«Crowley sapeva di dover adottare un nome che fosse connesso sia con le stelle sia con la Terra; ma era anche alla ricerca di una formula, di un meccanismo spirituale, per tenere lontani i demoni. È

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questa la cosa importante per noi. Quasi tutte le pratiche di magia nera, quando vengono attuate da adepti neri, mirano a utilizzare questo potere triadico. In effetti il nome Lam - con le sue tre lettere europee - è una tripla invocazione. Come le formule magiche del Libro dei morti, Lam rappresenta il tentativo di frenare una certa classe di guardiani demoniaci, affinché l'anima possa attraversare i passaggi segreti posti fra le stelle e la Terra.

«La parola Lam si direbbe inventata da Crowley per gli scopi pu- ramenti egoistici - al servizio del proprio io - che stanno alla base della magia nera, contrariamente a quanto accade nel Libro dei morti, che si pone al servizio dei fini sacri dell'iniziazione (figura 19).

«Nonostante l'infelice nome, i papiri che costituiscono il cosiddetto Libro dei morti hanno tutti per oggetto la vita: i titoli die gli antichi egizi davano a questi documenti sono tutti connessi con l'ascesi ini-ziatica alla luce. Secondo un noto studioso, gli scribi egizi chiamavano questa raccolta il Libro della venuta alla luce, titolo che compare in ima sorta di colophon dei papiri.31

«Nell'antico Egitto le pratiche di iniziazione alla luce erano contro- bilanciate da numerose pratiche iniziatiche nere, legate a Seth, il fra-tello-sposo di Netti. Secondo la mitologia egizia Seth regnava sull'Alto Egitto,32 mentre il fratello Horus reggeva il Basso Egitto. In questa sovranità archetipica si può scorgere l'emergere del dualismo che ca-ratterizzò le pratiche iniziatiche egizie e che, di conseguenza, colora di sé tutto il moderno esoterismo occidentale. Fra le molte assodazio- ni di interesse immediato per lo studioso di esoterismo c'è il fatto che Seth governava sulle stelle circumpolari e aveva come totem il maiale. L'associazione del maiale - che è considerato una creatura lunare - con le stelle polari ha una spiegazione esoterica profonda.

«Seth è una parola di potere: è il nome del rappresentante della via delle ombre. In Europa e negli Stati Uniti ci sono ancora uomini e donne di cultura e talento considerevoli che si dedicano al culto di Seth. Scuole di questo tipo sono sempre esistite e sovente sono con-dotte da individui che hanno avuto uno sviluppo interiore tutt'altro che armonico. Spesso, troppo spesso, costoro, pur essendo molto in-telligenti, lasciano a desiderare sul piano morale.»

Fece una pausa e rivolse uno sguardo circolare al gruppo, forse per segnalare un lieve cambiamento di rotta.«Poco fa ho accennato al collegamento fra Seth e il totem del maiale. Qualcuno potrebbe pensare che sia da leggere in questo legame il motivo per cui alcune sette religiose considerano impuro tale animale. In realtà, più facilmente, la ragione per cui alcuni gruppi guardavano con sospetto al maiale più che totemica era legata al fatto che il maiale è uno dei pochi animali che sudano. Ebbene, l'acqua che esso trasuda è un bene estremamente prezioso nel deserto. Probabilmente era antieconomico mantenere e nutrire animali che consumavano in

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quantità così elevate l'acqua che preserva la vita ed è così scarsa nel deserto. La maggior parte delle sette religiose che considerano immondo il maiale hanno avuto origine nel deserto.

«Ma la questione va ben oltre la semplice economia. Potrebbe davvero essere questa caratteristica del maiale - il fatto che l'animale trasudi acqua dai pori come gli esseri umani - ad avere indotto gli antichi a stabilire un nesso fra Seth e il maiale. Nella mitologia egiziai quattro figli di Horus, il dio della luce, erano collegati con i misteri dei canopi. I canopi erano quattro vasi in cui si conservavano gli or-gani dei defunti dopo che il corpo era stato imbalsamato e avvolto nelle bende secondo il rituale.33 Ebbene, gli iniziati egizi affermavano che gli esseri umani avevano una controparte celeste. Le quattro divinità dei vasi - ossia i loro equivalenti stellari - erano situate nel la costellazione del Carro degli dei, a guardia delle stelle circumpolari che appartenevano a Seth.34 Le quattro stelle racchiudevano nei cieli stellati il sidereo Seth così come i quattro vasi canopi racchiudevano le viscere dei morti. I quattro guardiani canopici e i quattro guardiani stellari non sono soltanto un esempio del modo in cui le scuole iniziatiche cercavano di esprimere in un unico simbolo l'elemento terrestre e quello cosmico: sono anche un esempio di interiorizzazione ed esteriorizzazione, del fatto che la via d'entrata e la via d'uscita sono la stessa cosa, che inspirare è una parte essenziale del- l'espirare e così via. Come vedete, queste associazioni contengono significati esoterici profondi.

«Voi tutti siete già pienamente consapevoli della legge arcana per cui l'interiore deve diventare esteriore, l'esteriore interiore; una legge che è il fondamento dei misteri dell'incarnazione e dei riti egizi della mummificazione; ma non è di questo che ci occuperemo ora. Ciò che conta ai fini del nostro discorso è che il maiale di Seth viene definito in base a quel che trasuda, ovvero la preziosa acqua.

«I guardiani di Horus, invece, sono definiti in base a ciò che essi racchiudono, vale a dire gli organi. Il maiale di Seth è un mezzo per-manente di trasmissione di liquidi dagli organi interiori al mondo esteriore; i guardiani canopici sono mezzi di esclusione permanente, che impediscono agli organi di raggiungere il mondo esterno. Il sim-bolismo contenuto in tutto questo è profondo e ha molte ramificazioni nella mitologia egizia e nelle sue derivazioni occulte.

«Forse sapete che alcuni seguaci di Seth, i tifoniani, erano chiamati "occhi rossi", poiché si diceva fosse proprio quella caratteristica a distinguerli. Questo nome ci offre un esempio di esteriorizzazione. È come se il rosso delle viscere contenute nei canopi stillasse dagli occhi dei seguaci di Seth. I contenitori degli organi morti trasudavano. Si nascondono verità profonde in questa tradizione, che collega le stelle con la vita e la morte.»

Ci fu silenzio, mentre il maestro raccoglieva le idee.

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«Ma torniamo alla domanda iniziale: perché mai alcuni cercano di stabilire contatti con i demoni? Le persone che si mettono al servizio dei demoni sono carenti sul piano morale. Anche le scuole bianche, naturalmente, hanno investigato i poteri demoniaci, ma queste ricerche sono sempre state affidate a iniziati di altissimo livello, con-sapevoli di ciò che facevano. Crowley, al contrario, credo che non lo fosse. Anche le scuole bianche hanno talora fatto ricorso alle potenze delle tenebre: sapevano che senza le tenebre non può esserci luce; il buio e la luce sono interdipendenti. L'evoluzione dell'umanità può procedere verso la luce soltanto se alcuni uomini ricadono nelle te-nebre. Non può esistere una Via Alta senza una Via Bassa. Se non ci fossero state scuole bianche disposte a ricorrere ai demoni e se non ci fosse stato un regno delle tenebre non sarebbero esistiti oracoli come quello sull'Acheronte di cui parla Omero (figura 49).35

«Oltre a fungere da centri divinatori per il pubblico, questi oracoli preparavano i neofiti all'iniziazione. Ma il loro scopo primario era impedire che i profani venissero a contatto con i demoni, poiché si riteneva che ciò richiedesse una preparazione e una protezione par-ticolari. Oggi molti circoli arcani sembrano avere smarrito l'antica saggezza, ed è questa la ragione per cui lo spiritismo è diventato una pratica pericolosa.

«La Via Bassa è più veloce ma meno sicura della più lenta Via Alta. C'è una domanda che dovete porvi: perché la porta dell'inferno era custodita da un cane? Quel cane dalle tre teste, Cerbero, era la scura immagine-ombra dell'uomo che, nella sua essenza spirituale è anche triplice: è corpo, anima e spirito, mentre il mostro dell'Ade ha tre teste e una coda come quel serpente che provocò la discesa dell'uomo nella materia (figura 50).36 Non è per caso che la coda serpentina si snoda verso il basso, puntando al centro della Terra. Non è per caso che lo psicopompo che conduce le anime dei morti nell'inferno è spesso raffigurato con una testa di cane. Questa oscura forma con la testa canina è quella del dio egizio Thot, il tre-volte- grandissimo, il guardiano di tutta la saggezza iniziatica. Chi cerca davvero la conoscenza non vuole avere nulla a che fare con il cane dalla triplice testa che monta la guardia al mondo delle tenebre.

«Nei documenti iniziatici dell'antico Egitto Thot veniva spesso raffigurato con una testa di babbuino (figura 51). Poiché nell'antica arte magica era il più grande degli dei, fu pesantemente attaccato dai primi cristiani. Ecco perché agli albori del cristianesimo la figura della scimmia, legata alla sua immagine, passò a rappresentare un demonio.37 Dobbiamo redimere la scimmia che ognuno di noi si porta dentro, trasformandola di nuovo nel dio della saggezza; ma questa redenzione è impossibile per chi continua ad assecondare o a nutrire la scimmia. La Via Bassa non è la stessa cosa della Via Alta; le scuole bianche la vietano così come vietano le droghe che alterano la mente,

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perché entrambe possono essere fatali e sono quasi sempre distruttive.

«Sì, perché come vi ho già detto qualsiasi ingresso illecito nel mondo dello spirito può rivelarsi fatale. Non si può coartare lo spi-rituale: chi tenta di entrare nella luce senza essere pronto subirà sempre le prove e i pericoli delle tenebre. Se sarà fortunato, il clan-destino che ha forzato la porta dell'iniziazione finirà nella follia. Per oltrepassare quella soglia occorre una preparazione molto intensa: bisogna sviluppare organi particolari per perforare impunemente il velo che separa il mondo materiale da quello spirituale. Ci sono demoni che cercano di persuadere l'uomo del contrario, inducendolo a valicare il velo senza preparazione. Quando questo accade, l'anima impreparata non potrà più tornare interamente. Ci capiterà sempre più spesso di vedere il tessuto sociale del mondo lacerato da anime che hanno raggiunto i livelli più bassi del piano astrale per mezzo della droga e hanno poi scoperto di non poter tornare indietro. Il loro è davvero l'inferno sulla Terra, perché a quel punto essi non appartengono più né a questo né all'altro mondo. Sapendo di correre un simile pericolo, perché mai tentare, quando ci sono altre vie, legittime?»

Il maestro aveva proibito a noi tutti di ricorrere a qualsiasi tipo di droga, pena l'espulsione. Non intendeva discutere le ragioni di questo divieto, limitandosi a dire che le droghe possono danneggiare lo sviluppo spirituale per la durata di più vite.

«Anche i narcotici più blandi e le droghe vegetali hanno un effetto deleterio sull'anima e sullo spirito umani: sono i semi di Seth, cibo per il demone-scimmia. Prendiamo per esempio la pianta velenosa dell'aconito. Chi assume questa sostanza comincia a temere il futuro, ad avere paura della morte e contemporaneamente a convincersi di poter prevedere il giorno, non troppo lontano, in cui questa avverrà. Tuttavia, come rivelano i wiccan grimoires - i libri di stregoneria - uno degli effetti comuni dell'aconito è la chiaroveggenza. Con l'aiuto di questo veleno si comincia a vivere nel mondo spirituale prima di es-sere pronti per una dimora così impegnativa. Il successo del tentativo di inserirsi in un regno al quale non si è preparati comporta un allen-tamento del legame con il mondo fisico. Anche se la vittima sopravvi-ve, spesso le sue facoltà intellettuali ne risultano così indebolite da convincerla che è tutto un sogno. Anche questo è il marchio del mon-do superiore: a paragone suo e della sua grande ricchezza, infatti, questo nostro mondo quotidiano assomiglia davvero a un sogno. Se l'aconito viene assunto in dosi elevate, sopravviene la morte. È una morte dolorosissima; non solo, poiché è autoinflitta, il dolore non ter-mina quando ci si spoglia del corpo. La chiaroveggenza che precede questo tipo di morte è soltanto un segnale che lo spirito si sta separando dal corpo fisico per immettersi nel piano astrale. Uno degli

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effetti più tipici dell'aconito è una tale sensazione di libertà dal corpo da avere l'impressione di riuscire a volare.

«L'assunzione di questo veleno è un esempio di un modo illegittimo di entrare nel mondo spirituale: e se l'ingresso è completo e il nuovo venuto non è un iniziato, da quel mondo non tornerà più. Questa è una delle ragioni - una delle tante - per cui le scuole nascondono i loro segreti ai profani. Volendo, potete entrare nel mondo spirituale in un attimo: il problema sta nel ritrovare la via del ritorno. E in un attimo potete entrare nel mondo dei demoni se non vi interessa troppo ritornare sulla Terra. Ma» aggiunse sorridendo «sono quasi certo che lo desiderereste abbastanza in fretta se vi capitasse di vedere i demoni.»

Fece una pausa. Forse pensava al cane che segue il Matto dei ta-rocchi, perché rivolgendosi a noi con un cenno del capo chiese:

«Sei mai stato aggredito da un animale selvatico?» Credo che co-noscesse già la risposta.

«Da un cane» replicammo sinceramente, «da un cane idrofobo.»«Sì, un cane arrabbiato può fare molta paura, ma un demone ha la

ferocia di un cane moltiplicata per cento: è spietato e non ha alcun ti -more degli esseri umani. Di fronte ai demoni, noi uomini siamo sol-tanto vittime indifese. Le immagini più spaventose degli antichi gri-moires non sono niente, non sono altro che pallide imitazioni, a confronto del potere e dell'aspetto terribile dei demoni. Pensate cosa dev'essere trovarsi in balia di un'entità che non conosce pietà ed è totalmente indifferente alla sofferenza degli altri.

«Ma la spietatezza dei demoni potete sentirla anche qui, sulla Ter-ra, perché il potere demoniaco si trova subito oltre la soglia, in quello che gli scienziati chiamano il mondo submolecolare, o subatomico. Quel mondo in realtà è il regno dei demoni. Quello che vi dico non ha niente a che vedere con la dimensione dei demoni, mi capite? Non è questione di misure: quello che voglio dire è semplicemente che i demoni vivono oltre il limite del nostro mondo quotidiano. Però non dimenticate che gli scienziati non sanno nulla dei mondi inferiori. Non sanno che il mondo inferiore è vivo quanto quello superiore. Come ha detto Anthony Rusca: "Non c'è neppure un pizzico di cielo, di terra, di acque, sotto o sopra la terra, che non sia pieno di demoni".»38

Lavoravamo con il nuovo maestro da qualche settimana quando questi ci portò a un livello di sviluppo più alto con una sola parola. Tale parola aveva in sé una connotazione demoniaca e quando, in seguito, ne considerammo gli effetti, comprendemmo c}ie la sua introduzione nella nostra psiche aveva avuto un potere simile a quello esercitato in omeopatia dal farmaco diluito alla milionesima po-tenza.

A quell'epoca tutto il nostro gruppo si era trasferito in una grande

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casa di campagna a nord di New York. Il maestro ci raggiungeva una volta al mese per un weekend lungo, durante il quale assegnava a ciascuno di noi un compito specifico, e spesso originale. Dovevamo meditare sulle pietre e sulle piante, e poi la sera raccontare le nostre osservazioni durante la riunione di gruppo, oppure vangare in giardino o fare altri lavori di vario genere. Qualunque fosse l'attività, il maestro badava più all'attenzione con cui la svolgevamo che ai risultati raggiunti. Insisteva a dire che l'attività creativa trova in se stessa la propria ricompensa; anche quando il lavoro creativo poteva avere conseguenze utili (quali un quadro, un brano musicale, una poesia o un bel giardino), questo «risultato» era comunque irrilevante: «L'attività creativa non solo è compensa trice, ma è anche un sacrificio. Dovete imparare a non aspettarvi altro, oltre alla gioia della creatività, del dispendio di energia creativa».39

In quella particolare circostanza avevamo trascorso l'intero pome-riggio a ripulire dai rovi un vecchio orticello, pensando di piantarvi le patate, ma il Sole era ormai tramontato e ci stavamo riposando.

Il maestro era in cucina, a controllare i cuochi (era egli stesso un cuoco eccellente). Sulla cucina si aprivano due stanze: in una chiac-chieravano gli allievi, e le loro voci facevano da sottofondo al finale

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dell'arcana Suite lirica di Alban Berg, le cui note giungevano dalla seconda stanza.40

Mentre passavamo davanti al maestro con le braccia cariche di le-gna per il fuoco, egli ci chiese come per caso: «Che cosa sai di Sas- suwunnu?».41

Non avevamo mai sentito quella parola prima d'allora, eppure essa ebbe sulla nostra psiche un effetto esplosivo. La cosa curiosa fu che, pur non conoscendo la parola, capimmo immediatamente che cosa significasse. Un'ondata di luce si sollevò dentro il nostro essere, come se il mondo esterno fosse improvvisamente diventato color cremisi, come se si fosse verificato un passaggio dalla luce all'oscurità e noi ci fossimo ritrovati, per un millesimo di secondo, a guardare un negativo fotografico. Un'altra sfumatura di colore - forse dovremmo dire un'altra luce - sembrò salire come un lampo dalla cintola verso l'alto, e poi, stranamente, andare oltre la nostra testa. Nella nostra mente regnava una calma strana, in totale contrasto con il fermento delle emozioni. Era la prima volta che vivevamo l'esperienza della separazione fra le tre attività contigue dell'uomo in cui si distinguono chiaramente la vita intellettiva, quella emotiva e quella viscerale della volontà. La parola ci aveva insieme lanciato al di là e reintegrato all'istante.

Sapevamo - come lo sapessimo lo ignoriamo - che la parola era di origine mesopotamica e di un periodo molto remoto. Benché non l'avessimo mai sentita prima (o almeno non in questa vita, e forse da molte vite) capivamo a cosa si riferiva e che era immensamente mal-vagia. La parola sembrava averci colpito, risuonare nella parte supe-riore della cassa toracica, sotto la clavicola. Così è stato, anche se fino a oggi non abbiamo trovato una spiegazione del fenomeno.

Quella parola aveva evocato immagini distinte, o in qualche modo oscure, che sapevano di crudeltà, ma recavano anche tracce di memorie strettamente personali. Sembravano immagini provenienti da una vita precedente, che affioravano da un passato molto remoto- quasi dei fantasmi - i preta, gli spettri famelici del mondo orientale, che fino ad allora eravamo impreparati ad affrontare.42

La parola rimase con noi come una sorta di riverbero interiore. Probabilmente dimostrammo qualche segno di risposta al maestro, senza interrompere le faccende in cui eravamo occupati. Dev'essere andata proprio così, perché dopo avere messo la legna sul fuoco, an-dammo nella stanza accanto a riavviare la musica di Berg. Siste-mammo il registratore e scambiammo qualche parola con gli altri. Eppure, in quella frazione di secondo, dentro di noi era cambiato qualcosa. La parola ci aveva condotto in un mondo completamente diverso di esplorazione e visione spirituale.

Anche mettendo la legna sul fuoco sentivamo di compiere un'azio-ne significativa. Sapevamo che ogni gesto, anche quello apparente-

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mente più casuale, era ricco di significato. «Ogni volta che qualcosa sale, qualcos'altro deve scendere» diceva ogni tanto il maestro, e noi lasciavamo cadere i detriti anneriti di un albero un tempo vivo nelle fiamme che immediatamente si protendevano verso l'alto in una gi-randola di bianchi e di rossi. Ogni dettaglio sembrava importante. Gli anelli dei tronchi segati erano i documenti concentrici del tempo e delle macchie solari di ogni anno, disegnati da ignote potenze eteriche e da sofferenze dementali: erano un calendario arboreo dei moti solari avvenuti molto prima che noi nascessimo. Stavamo bruciando il passato in un atto sacrificale. Il faggio, come tutta la natura, aveva avuto la sua forma e la sua crescita dalla Luna, la sua energia concet-tuale dal Sole. Ora la sua forma si sarebbe dissolta in nero fumo, men- tre la sua energia si sarebbe trasformata in una debole imitazione di quel calore spirituale da cui era venuta. Tutte queste furono conside-razioni istantanee, che avevano il sapore della verità: nel profondo c'era la certezza che quei legni erano parte di noi stessi e che mai qualcosa poteva essere davvero sacrificato perché, come ribadiscono i sacri testi, non c'è un donatore e niente viene donato.

D'istinto sapevamo che quella parola ci aveva iniziato a un nuovo viaggio. Forse ora potevamo attingere alle intuizioni raccolte in una precedente incarnazione. Quando l'esperienza cominciò a recedere, una cosa ci fu chiara: che era infinitamente meglio portare questi fantasmi verbali nella nostra coscienza che permettere alle loro tene-bre di agire nel subconscio. Ora la coscienza avrebbe potuto bruciarli sul rogo dell'attività spirituale, come le fiamme avevano bruciato quel calendario ligneo del passato. Gli eventi di Siena sembravano remoti e sapevamo che quei fantasmi non sarebbero più tornati a turbarci.

Come spesso accade quando si passa a un livello più elevato e ci viene offerta la possibilità di un ulteriore sviluppo, le forze demo-niache cominciarono a manifestarsi sul piano astrale. In campo eso-terico questo fenomeno è visto come la conseguenza naturale della scissione che si verifica a ogni stadio evolutivo.43 L'idea della luce superiore che calpesta l'elemento lunare più buio è spesso espressa nell'iconografia alchemica dall'immagine di una donna in piedi sopra la Lima (figura 52).

L'indesiderata attività demoniaca che cominciò in seguito, a colo-rare la vita della nostra anima fu terrorizzante e le esperienze che l'accompagnarono non costituiscono un argomento particolarmente piacevole della nostra storia. Basti dire che gli attacchi di queste en-tità ai livelli inferiori dell'astrale divennero così feroci che ci sentimmo inadeguati ad affrontarli e invocammo Cristo perché ci guidasse.44 E la risposta fu immediata ed efficace.

Dopo che la parola Sassuwunnu ci fece mutare direzione spirituale, ci accorgemmo che la nostra linea di pensiero era cambiata. Per

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ragioni che non ci erano ben chiare, eravamo riluttanti a porre do-mande al maestro quand'eravamo tutti riuniti per la discussione. Era come se ci fossimo ripiegati su noi stessi e percepissimo che la nostra lotta interiore poteva essere affrontata soltanto con la meditazione personale e non attraverso l'ascolto delle parole di un altro, per quanto sagge esse potessero essere.

Ai mutamenti provocati da quella singola parola se ne aggiunsero anche altri, che riguardavano le nostre domande. Eravamo attirati dalla natura della Luna e dell'altro pianeta muliebre, Venere. Era co-me se la nostra attenzione fosse attratta dal lato femminile dell'oscu-rità e della luce, rappresentati dall'aspetto purificatorio della Luna e dalla luce bruciante di Venere. Nel risponderci il maestro fece alcune osservazioni affascinanti e inattese sulle associazioni lunari nelle an-tiche tradizioni esoteriche e le poche domande che formulammo in quel periodo riguardavano proprio questi due pianeti.

«Sapete che cos'è il maiale del terzo giorno?» disse rispondendo a una domanda che gli avevamo rivolto sulla Luna. Benché il maestro guardasse proprio noi, tutti gli altri scossero la testa, come se la do-manda fosse rivolta personalmente a ognuno. Forse era una domanda retorica, perché egli riprese subito a parlare: «Il maiale del terzo giorno è un'espressione proveniente dagli antichi misteri. A Eieusi, prima dell'iniziazione ai grandi misteri che si teneva nel mese di be- dromione, si celebravano gli Halade Mystai.45 Nelle prime ore del mattino i candidati all'iniziazione si dirigevano verso il mare, portando con sé dei maialini, che lavavano e poi sacrificavano. La spiegazione abituale - potremmo persino dire quella esoterica - di questo sacrificio è che il sangue di maiale veniva considerato particolarmente puro ed era molto apprezzato dagli dei degli inferi.I futuri iniziati seppellivano i maialini in buche profonde, dopo aver dedicato il sangue e il corpo delle vittime agli dei degli inferi. Poiché il sacrificio si compiva il terzo giorno del grande mistero, la vittima era chiamata maiale del terzo giorno».

Inarcò le sopracciglia e sorrise. «Ebbene, come in tutti i misteri iniziatici l'espressione non era del tutto precisa, nascondeva qualcosa. Il maiale del terzo giorno non era del terzo giorno, bensì del secondo giorno e mezzo, perché i sacrifici avvenivano sempre di mattina. I riti si celebravano in riva al mare, il che costituisce un indizio per comprendere questo tipo di simbolismo arcano: due giorni e mezzo è infatti un periodo lunare. In tale arco di tempo la Luna attraversa completamente un segno zodiacale: dal punto di vista cosmico si tratta di un dodicesimo del mese. Cominciate a capire ora il significato riposto dell'espressione "maiale del terzo giorno"?»

Ancora una volta la domanda era probabilmente retorica. E co-munque nessuno parlò.

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«In un certo senso, questo maialino del terzo giorno è l'umanità, il sudore liquido della Terra. L'umanità è schiava della Luna, soggetta com'è al ritmo dei due giorni e mezzo e a tutte le periodicità lunari.46

In un altro senso il maiale del terzo giorno è l'animale di Seth, il lato più buio deH'umanità, quello scartato, il lato che rifugge dalla luce, il lato lucifugo.

«E questa una verità che si legge sia nel chiaro simbolismo del sa-crificio del maiale sia nelle sue implicazioni arcane più profonde. I centri iniziatici avevano sempre saputo che l'umanità è in balia della Luna, che gli uomini e le donne normali dormono sotto l'influsso dei suoi poteri. A volte questa prigionia è espressa dal simbolo tipi-camente lunare del serpente, come l'Apep egizio (figura 53) o il ser-pente alchemico, avvinghiato alla forma umana. Di solito questo serpente ha la colonna vertebrale umana (figura 35), e tuttavia ap-partiene alla Luna. È forse questa la ragione per cui i capelli della dea lunare Ecate sono intrecciati di serpi: una delle credenze più diffuse è che alcuni serpenti siano i defunti tornati sulla Terra. Le serpi fra i capelli di Ecate indicano fino a qual punto il serpente sussurri ancora parole che evocano immagini nel pensiero dell'umanità. Quelle immagini discendono dalla Luna, che è il regno dell'immaginazione.

«La mitologia greca ci insegna che Endimione - l'essere umano archetipico - viene immerso in un sonno ipnotico da Selene, la dea limare, perché ella possa soddisfare il suo desiderio. Questo mito ci ricorda che, nella tradizione esoterica, la morte fisica è equiparata alla morte spirituale dell'iniziazione, il momento in cui si viene trasportati in un più alto regno dell'essere. Questa "morte" è il sacrificio che non è un sacrificio: è, ovviamente, una morte mistica.

«Il simbolismo del maiale del terzo giorno ora dovrebbe essere chiarito: la creatura è un surrogato del sacrificio che non è un sacrifi-cio, perché la perdita è insignificante se confrontata con il guadagno. Una pergamena di grande valore, redatta dall'alchimista inglese George Ripley,47 contiene un riferimento a questo tipo di iniziazione nel contesto dell'uccello sacro di Hermes48 e del Drago lunare,49 in cui la pietra filosofale è definita la pietra che ha il potere di "risvegliare i morti". Questa pietra impartisce la morte iniziatica, che non è morte. Colui che ne viene toccato muore ed è a un tempo vivificato.

«Forse è questa la ragione per cui la camera iniziatica più alta, nella grande piramide di Cheope, contiene al suo interno una tomba aperta, un sarcofago scoperchiato. Il "sarcofago" in greco era in origine un "divoratore di carne"; si diceva che la pietra di cui era fatto avesse una proprietà caustica così forte da consumare la carne in quaranta giorni. Scomparso il corpo, lo spirito era libero di tornare a vivere. Èlo stesso simbolo di rigenerazione che si rintraccia nel racconto della Resurrezione di Cristo: il sepolcro nella grotta è vuoto.50 La tomba

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aperta era una camera iniziatica, in cui veniva deposto il corpo mentre i sacerdoti celebravano le cerimonie sullo spirito del defunto.

«Quello che accade al nostro principio più alto in questa scissione del sacrificio porcino è in stretto rapporto con il simbolismo del maiale del terzo giorno. Come in un sacrificio di fuoco, Je fiamme salgono verso l'alto mentre i resti carbonizzati scendono verso il basso, così il sacrificio del maialino del terzo giorno è una scissione. Fate attenzione a questo termine. Non si può avanzare molto negli studi ermetici senza farsi un'idea abbastanza precisa di ciò che la scissione spirituale comporta. Nella Grande piramide, un corridoio conduce verso il basso, verso le viscere della Terra: è scavato nella viva roccia e termina nel pozzo dell'ordalia. A metà strada parte un altro corridoio che si inerpica verso l'alto, verso le camere dell'ini- ziazione per terminare davanti al sarcofago scoperchiato, la tomba aperta.

«Su un piano, quindi, il maiale è il simbolo della natura inferiore, che deve essere sepolta o, più precisamente, affidata alle orde infer-nali, cui giustamente appartiene, mentre lo spirito iniziato ascende le scalae della perfezione.51 Soltanto gli iniziati, come ben sapete, possono sacrificare alle Halade Mystai: si può dunque presumere che, nel momento della morte simbolica, sia soltanto la parte bassa del "maiale" - il corpo e il sangue - a essere consegnati al mondo inferiore. Il mondo superiore trasporta lo spirito in un regno più alto, nelle meraviglie dell'iniziazione. Dopo il sacrificio, i neofiti ritornano al Telesterio di Eieusi e l'iniziazione prosegue.

«E dunque il maiale del terzo giorno è un simbolo della parte scartata, la parte oscura, sospinta verso il basso dopo la scissione che è la conseguenza immediata dell'iniziazione.»

«Come mai» chiese una delle giovani donne presenti «tanta insi-stenza sui tre giorni? In fondo non era che un sacrificio come tanti altri celebrati nell'era precristiana.»

«A mano a mano che i vostri studi progrediranno, imparerete che il passaggio da due e mezzo a tre non è soltanto un tentativo di mascherare le cose. Scoprirete che il numero tre riveste un profondo significato relativamente alla scissione spirituale.52 Il tre deriva gran parte del suo significato numerologico proprio dalla nozione di scissione. Ricorderete che sul tempio di Apollo a Delfi c'era scritto: "Il numero è la legge del cosmo". Il tre rappresenta la fusione, la saggezza, l'amore e l'espressione spirituale. Nel considerare queste cose, ricordate però che il maiale del terzo giorno era in realtà un maialino di due giorni e mezzo: perché raggiunga la completezza del tre deve intervenire qualcos'altro, qualcosa che viene espresso soltanto nei misteri e di cui non possiamo parlare apertamente. Il numero lunare, il due e mezzo, è sbilanciato, mentre il tre è perfettamente equilibrato: l'uno ha un altro uno ai suoi lati: 1+1+1. Considerato il nesso di questo numero con la Luna, non sarà forse una

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sorpresa sapere che il tre può venire anche raffigurato attraverso un sigillo a tre punte, formato dalla congiunzione di due mezzelune: . Le ultime due raffigurazioni del numero tre sono, com'è ovvio, equilibri lineari, mentre il simbolo della Bilancia è una verticale. - r> ~ La curvatura superiore rappresenta il sole, la retta inferiore la Terra. Il terzo elemento è costituito dallo spazio intermedio. La disposizione è quella di un equilibrio verticale, che mette in relazione l'alto con il basso.

«L'equilibrio perfetto della Bilancia è diverso dal periodo lunare di due giorni e mezzo che contrassegna l'essere umano "incompleto", ancora assoggettato alla Luna. Quell'essere è ancora assopito. Come il numero tre rappresenta l'equilibrio perfetto, così i tre giorni sono il tempo dell'iniziato che ha ucciso il maiale: l'iniziato è l'essere umano completo, non più addormentato e non più soggetto agli imperativi delle periodicità lunari. In un certo senso il tre è il numero della Resurrezione, espresso nei tre anni di magistero di Cristo e nei tre giorni del Golgota.

«Forse ora comincerete a capire perché le immagini alchemiche che raffigurano una donna in piedi su una falce di Luna (figura 52) vogliono essere un'illustrazione di questi processi iniziatici. La donna, che è l'anima, si è elevata al punto da ergersi in trionfo sopra il maiale di due giorni e mezzo! 11 suo equilibrio su quella falce instabile è il segno che essa ha raggiunto il livello del tre.»

Con un cenno del capo si rivolse alla ragazza più carina del gruppo.«Forse non lo sai, Caroline, ma il tuo nome comincia con la lettera

che è associata all'equilibrio del numero tre. L'equilibrio è un dono dello spirito. Ecco perché la pietra orizzontale svolgeva un ruolo così importante nei misteri egizi. Quel geroglifico raffigurava l'incontro del Sole e della Terra.»

Allungò il braccio e tracciò un disegno sulla lavagna.«Questo è l'unico geroglifico esistente sul muro esterno della

Grande piramide. Il suo suono ha una potenza primigenia. La piramide si chiamava Akhet Khufu, ossia "l'orizzonte di Khufu". Questo simbolo altamente significativo è posto al di sopra del corridoio che perfora le fondamenta rocciose dell'enorme struttura .

«E come tale è sopravvissuto fino ai tempi moderni. Penso abbiate già capito che da qui deriva il simbolo della nostra Bilancia, la bilancia cosmica, che ora consiste di tre elementi: .»

Dopo avere disegnato il sigillo, il maestro fece scorrere il dorso della matita lungo lo spazio ricurvo che separa il disco solare dall'o-rizzonte terrestre. «Lo spazio invisibile è importante quanto il Sole e la Terra. Anche i simboli arcani apparentemente più semplici affondano le loro radici nell'antichità ermetica.»

Rise fra sé, e, sfiorandosi la barba con la mano sinistra, si picchiettò

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il labbro inferiore con aria divertita. Forse si era reso conto che i suoi pensieri lo portavano in una direzione che non desiderava seguire. Ritornò al tema principale. «Dovremmo imparare tutti quanti a conoscere il significato numerologico del nostro nome. Caroline, la C che noi usiamo ora è una forma arrotondata della gamma dell'alfabeto greco, che è connessa con il numero tre.»53

Con il dito tracciò nell'aria la forma semplice, rettilinea della gamma.

«Quattro gamma disposte in cerchio, con lo stesso centro, formano la svastica, il simbolo solare. Dal punto di vista numerologico, queste quattro gamma costituiscono il numero dodici, e ricordano il percorso del Sole lungo la fascia zodiacale:

«La C è dunque come ritagliata dalla svastica, staccata per così dire dal Sole. A un livello più profondo la svastica è anche simbolo della reincarnazione, perché il tre e l'uno si combinano di vita in vita.54 La cosa importante è che questo numero solare, essendo formato da multipli di tre, è connesso con i gradi più alti dell'iniziazione. Le persone normali sono legate soltanto al numero lunare, più basso, di due e mezzo, che non può essere utilizzato per comporre una svastica.

«Nel simbolismo buddhista, la svastica è di solito un'immagine speculare, che intende suggerire un movimento contrario rispetto a quello solare. Questo rovesciamento è tipico di un simbolo apparte-nente al regno astrale. Ma se torniamo alla svastica europea, ci ren-diamo conto dell'esistenza di un simbolismo parallelo: la gamma era anche il simbolo di Gea, la dea della Terra. Di conseguenza, anche la C è staccata dalla Terra: il simbolo rispecchia una realtà cosmica, il distacco della Luna dalla Terra.

«Si possono imparare molte cose meditando sul nostro alfabeto e sul suo rapporto con le antiche forme. La gamma greca è un suono interiore sacro: è per questo che il suono stesso è tagliente. Quandolo si emette, si percepisce il taglio in gola. È un suono che recide l'in-teriore dall'esteriore e che ha un potere magico: esistono suoni con cui si può distruggere o creare.» „

Tracciò nell'aria un altro disegno, un'altra gamma li . «La squadra massonica è in realtà una gamma, con tutte le relative associazioni numerologiche e arcane risalenti agli antichi misteri egizi in cui la gamma era talmente sacra che il suo geroglifico era costituito da un trono. È con l'aiuto della gamma interiore che scopriamo la nostra rettitudine interiore, che ci comportiamo come persone "quadrate" di

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fronte al mondo che sta dentro e a quello che sta fuori.55 Non intendiamo abbassarci ai livelli di alcuni circoli occulti, tessendo come loro le trame arcane che vanno tanto di moda, ma questo tipo di associazioni è molto importante quando cerchiamo di penetrare nella mente degli antichi. Pensare che ragionassero come facciamo noi è un errore gravissimo. Gli antichi avevano una capacità molto superiore alla nostra di effettuare associazioni cosmiche. Il loro pensiero era più sottile, meno appesantito dalla mineralità. Essi riuscivano a vedere gli esseri spirituali che per noi ora sono soltanto nomi semidimenticati. Immaginate di dover discutere con qualcuno dei vostri compagni se i cavoli esistano oppure no: con la stessa facilità essi discutevano dell'esistenza delle nove schiere di angeli e dei quarantadue giudici interiori. Come si può parlare di qualcosa che non si riesce a percepire?

«Bene. Ora forse potrete cogliere il nesso fra il maiale di tre giorni e la Luna, o così almeno spero. Al livello simbolico più basso, anche la lettera C è una falce, l'eterno simbolo della Luna. La forma della gamma è costituita dall'unione di una linea orizzontale con una ver-ticale: la prima riguarda la Terra, la seconda lo spirito. È una lettera di scissione, che passa attraverso la materia e lo spirito. Proprio come fa la Luna. Ma questa è la qualità lunare redenta, perché è un tre: è completa e in armonioso equilibrio.»

Seguì un lungo silenzio.«Ma il maiale... Diamo un altro sguardo al simbolismo del più volte

citato maiale del terzo giorno. Quel maiale siamo noi, in attesa del sacrificio. Noi siamo in balia della Luna; siamo Endimione ad-dormentato e dobbiamo rendere alla Luna ciò che porta la sua im-pronta. Immaginiamo per un istante che il sacrificio del maiale del terzo giorno simboleggi i tre giorni...» enfatizzò le parole per sottoli-neare che avevano un significato molto più profondo di quanto po-tesse sembrare «che trascorriamo nella sfera della Luna dopo la morte.56 Come sapete, nella tradizione cristiana questo periodo si chiama purgatorio; neU'esoterismo ha altri nomi che imparerete a conoscere. Il maiale del terzo giorno è un simbolo» calcò sulla parola «del periodo che dobbiamo trascorrere in purgatorio. Se riflettete, vi accorgerete che non si tratta di un simbolismo arbitrario. Il maiale, attraverso la sua associazione con Seth, è una creatura lunare e il pe-riodo in purgatorio è "un sacrificio di sangue", perché durante que-st'esperienza si lavano i peccati del sangue: potremmo dire il sudore dei nostri peccati. In purgatorio sacrifichiamo - pagando un alto prezzo - i nostri peccati. Queste entità - i nostri peccati - sono divorate dai demoni in una sorta di bramosia di sangue. Siamo rimasti aggrappati ai nostri peccati per tutta la vita e separarcene non è facile: ci devono essere strappati via.

«Il purgatorio è una sorta di centro di smistamento cosmico - o

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meglio un luogo di apprendimento forzoso - in cui le entità e le di-sposizioni nate dal peccato trovano compimento e rigenerazione. Senza l'esistenza di questo luogo di purificazione, l'atmosfera spiri-tuale della Terra sarebbe già da tempo completamente avvelenata.

«La faccia scheletrica della luna, che guarda il mondo dall'alto con le sue orbite vuote, è un monito perenne delle conseguenze inesorabili del peccato umano. Sulla credenza che la Luna sia il centro cosmico del purgatorio le fonti documentali sono numerosissime: essa è, per così dire, incapsulata nella dottrina e nel simbolismo cristiani. Al livello più banale, l'idea stessa che i demoni abbiano le corna rimanda probabilmente alla Luna, che è la loro patria naturale; essi portano, in un certo senso, il marchio della C della mezzaluna.

«Avevi perfettamente ragione, Mark» disse, rivolgendosi con nostro dispiacere direttamente a noi e rendendo così pubbliche le con-versazioni private che avevamo avuto, «a collegare la Luna agli assalti dei demoni e ai regni oscuri delle cedute spiritiche e della chiaroveggenza atavica. Gli esseri demoniaci amano le tenebre. Le sedute spiritiche si tengono in stanze buie per favorire gli imbrogli degli evocatori di spiriti, ma è anche vero che gli esseri spirituali che si servono delle sedute per fare del male prediligono l'oscurità. Sono lucifuges■ sfuggono la luce. E come non possono capire il bisogno di luce, così non possono capire l'amore umano.

«Gli antichi si servivano delle tenebre per entrare in contatto non tanto con i demoni, quanto con gli esseri superiori. Fra i motivi per cui i cosiddetti "condotti d'aria" della Grande piramide sono orientati verso precise stelle c'è quello di permettere agli influssi siderali di penetrare neH'oscurità in cui si svolgeva l'iniziazione.57

«Gli antichi costruivano i loro cerchi di pietre per sfruttare il buio a scopi specifici. Sapevano che la Luna durante un'eclisse, quando sprofonda neH'oscurità, esercita un effetto più debole. In questi fran-genti certi influssi diabolici e malvagi che si sono accumulati nell'aura della Terra possono fuggire. È come se nei cieli si aprisse una valvola di sfogo, che si immette nel cosmo lungo l'oscura galleria della Luna nera che se ne sta sospesa all'ombra della Terra. Questa Luna nera - la Luna di Ecate infestata di serpenti dell'antica mitologia - è molto diversa da quella luminosa. In alcuni degli antichi centri essa veniva addirittura chiamata con un nome diverso.58

«La Luna illuminata è, in parte, riscaldata spiritualmente dal Sole. Bisogna essere in sintonia con le realtà cosmiche per percepire la differenza fra la Luna buia e la Luna piena. Quando il Sole viene eclissato dalla Luna buia, spesso gli uccelli fuggono dai cieli terro-rizzati.59 La loro paura è la testimonianza di una grande saggezza. Bisogna assistere a un'eclisse, solare o lunare, per percepire quest'e-sperienza cosmica. Nell'aria corre un brivido, quale non si sente mai in circostanze normali. Il terrore primigenio della Luna, diffuso fra gli

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antichi, non era del tutto irrazionale: a quel tempo gli uomini avevano una consapevolezza diversa, che permetteva loro di percepire realtà cosmiche a noi ora celate. Non capirete mai perché si costruissero gli antichi cerchi di pietra se non imparerete a conoscere la Luna buia.»

Mentre il maestro parlava, uno del gruppo mostrava segni crescenti di preoccupazione. Muoveva i piedi e scuoteva la testa, con-trariamente a quanto avveniva durante queste conversazioni, in cui di norma mantenevamo la massima quiete, in base al principio che il linguaggio corporeo doveva essere tenuto sotto controllo, se non altro per favorire la chiarezza del pensiero. Dopo qualche istante il maestro disse con gentilezza:

«Philip, devi fare un'osservazione?».«Sì.» Nella sua voce c'era un vago tono di sfida. «Lei parla della

Luna come centro del purgatorio, eppure nella letteratura esoterica- dagli egizi a Dante - il purgatorio è collocato al centro della Terra. Come si spiega questa contraddizione?»

«È una buona domanda. Per rispondere in modo esauriente, dovrò introdurre un argomento che avrei preferito affrontare molto più avanti. Quello che vi dirò ci condurrà fino ai confini di ciò che è lecito in riunioni di questo tipo, in un gruppo di cui fanno parte persone che non hanno ancora raggiunto il grado più alto di iniziazione.»

L'atmosfera era elettrica: percepivamo la presenza di tutti gli altri nella stanza quasi fossero parte di noi. Quando ci separammo, e ognuno prese la propria strada, l'eccitazione che ci aveva assalito non cessò. La sentimmo scorrere per tutta la settimana fra le nostre anime anche durante gli incontri più banali. Era come se a un livello più alto fossimo tutti in attesa di apprendere questo più profondo segreto della Luna.

La casa di New York in cui viveva il maestro era appartenuta un tempo a persone importanti. Si diceva che nei primi decenni del XX secolo vi si riunissero informalmente, e forse vi celebrassero anche riti, diversi iscritti all'ordine ermetico dell'Alba Dorata. Benché si trattasse di una società segreta europea, le sue radici arcane erano sepolte negli Stati Uniti, come sembravano testimoniare anche gli incontri che si sarebbero tenuti in questa casa.00 A volte sembrava quasi di percepire l'atmosfera rarefatta di Annie Horniman,61 di Yeats,62 e persino di personaggi interessati al lato più oscuro del regno astrale, come Crowley, che sembrava fossero circolati per quelle stanze. Al tempo in cui i locali venivano utilizzati dal nostro maestro tutti questi legami erano ormai recisi: i vari ordini magici, nati dalla frammentazione di quello dell'Alba Dorata, si erano trasferiti in altre zone degli Stati Uniti, in Gran Bretagna, o sul continente europeo. Se accenniamo ai legami precedenti, non è soltanto per ricreare l'atmosfera del luogo, ma anche per preparare il terreno a un episodio

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importante connesso con il nostro maestro di New York.Per potergli stare vicino, a quel tempo abitavamo in una stanzetta

dietro il suo studio. Non pagavamo l'affitto, ma in cambio facevamo qualche lavoretto manuale e sbrigavamo altre varie faccende. In questo modo ci fu possibile stabilire un rapporto più intimo e parti-colare di quanto non accada di norma fra lo zelatore e il maestro. Il nostro maestro aveva una passione per il caffè turco, e uno dei nostri compiti al mattino presto era di prepararlo, con tutta la serietà ri-chiesta da un rituale derviscio, e di portarglielo in camera da letto. Benché da allora siano trascorsi quarantanni, ogni volta che sentiamo il profumo di una certa marca di caffè, non possiamo fare a meno di ricordare quel periodo a New York.

Un giorno il maestro ci chiese di pulire la soffitta. Non ci spiegò perché, ma scoprimmo in seguito che aveva deciso di installare una scala pieghevole di alluminio per accedere a quello spazio. Pare vo-lesse farne un luogo di meditazione.

Pulire la soffitta si rivelò un compito più difficile del previsto, perché lassù non c'era luce elettrica e il pavimento era di assi: per essere certi che i fragili travetti fossero abbastanza robusti da reggerlo, li rinforzammo a uno a uno con cavi di metallo, che fissammo alle travi del tetto. In passato qualcuno aveva evitato questa complessa operazione posando sui travicelli un paio di porte come improvvisata passerella; con il tempo vi si era accumulata sopra una tale quantità di cianfrusaglie che ci domandavamo come avessero potuto le vecchie assi non crollare sotto tutto quel peso.

Non sapremo mai se il simbolismo nascosto dietro la richiesta del maestro fosse intenzionale. Avevamo capito già da tempo che i mag-giori ostacoli al nostro sviluppo spirituale erano costituiti dalla man-canza di un pensiero addestrato e dall'accumulo di detriti nella nostra mente, e il maestro non poteva non essersene accorto. Ma se la nostra visione intellettuale era misera, non altrettanto lo era l'imma-ginazione, che anzi era molto ricettiva. In quella fase essa ci permet-teva di intravedere appena qualche sprazzo delle cose che stanno dietro il velo, ma le percepivamo come se fossero lì a portata di mano, già materializzate su un piano inaccessibile ai nostri sensi normali.

Nella semioscurità, alla luce della torcia, provammo improvvisa-mente la netta impressione che le porte orizzontali fossero quelle poste sopra la cella verticale in cui Vivien aveva adescato Merlino trascinandolo verso la morte.63 Le ante sembravano posate su un'a-pertura che conduceva a un pozzo, al pozzo e alla cantina magica delle leggende arturiane. Se ne avessimo sollevata una, Merlino sa-rebbe disceso laggiù, restandovi sepolto per il resto dei suoi giorni. Ciò che più ci colpì in questa immagine iniziatica fu il fatto che nella tomba non si entrava nel modo consueto, ma con una discesa verti-cale, come nell'antico segno della Bilancia. Questo pensiero - o forse

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dovremmo dire questa raffigurazione immaginaria - ci giunse spon-taneo. Che poi l'immagine fosse in realtà una forte premonizione, l'avremmo saputo soltanto un anno dopo.

Nel giro di pochi minuti, mentre tentavamo di trasportare un cavo elettrico nelle tenebre della soffitta, in modo da poterla ripulire di tutta quella sporcizia, la nostra faccia, le mani e gli abiti avevano intanto assunto un colore necrotico quale quello di Merlino ritenuto morto. Il maestro voleva forse che scoprissimo qualcosa sulla condizione del nostro pensiero? Voleva che imparassimo a conoscere il processo di morte del pensiero ordinario che avviene in quella soffitta inaccessibile da noi chiamata cervello? In ogni atto e richiesta del maestro cercavamo a quel tempo un significato simbolico.

La soffitta era cosparsa di antiche ragnatele e ricoperta di una pa-tina secolare di polvere. Quell'unica lampadina non illuminava granché. Eppure, in quella semioscurità, scoprimmo una gran quantità di bric-à-brac e tre piccoli tesori. C'erano numerosi pettorali di Rosacroce che dovevano essere stati indossati durante le cerimonie rituali, una jenny-haniver semidistrutta e uno strumento a fiato rica-vato da una tibia umana, con la campana piccola e di squisita fattura e l'imboccatura ornata di maschere.64 I tesori erano più preziosi. 11 primo era un grimoire personale, rilegato in cuoio nero, con un pen-tagramma in oro e argento sul retro. Il secondo era una scatola di le-gno contenente lastre come quelle usate dai fotografi alla fine del XIX secolo. Il terzo era un dattiloscritto in sanscrito e in inglese che pareva contenere un testo con traduzione a fronte. Il fascicolo era avvolto in una carta oleata che lo proteggeva.

Il wiccan grimoire sembrava uno di quelli che tenevano i primi di-scepoli dello scrittore Leland.65 Il nome del proprietario era, come accade di solito, espresso sotto forma di motto, ma riuscimmo co-munque a identificarlo in seguito. Benché fosse morto da qualche anno, lo si ricordava ancora per la sua amicizia con Crowley e per essere stato l'autore di due volumetti di sapienza ermetica. La firma di Crowley che compariva sul risguardo di copertina, insieme al sigillo Caput Draconis associato a questo mago, avrebbe potuto essere uno dei tanti falsi che circolavano quando Crowley era ancora in vita.66

Il secondo tesoro, un cofanetto di legno di pero, conteneva circa venti lastre fotografiche, di cui soltanto sei con brutte incrinature. All'inizio pensammo che fossero ritratti di persone irrigidite come accadeva all'epoca, davanti alla lentissima macchina fotografica usata dai fotografi di fine XIX secolo. Ma dopo avere ripulito le lastre ci accorgemmo che erano fotografie di spettri.

Un testo collegato, sia pure alla lontana, con la «Grande Bestia», com'era chiamato Crowley, e con una serie delle cosiddette «foto-grafie di spettri», era un ritrovamento piuttosto eccezionale. In realtà la cosa più illuminante fu l'apparentemente normale testo bilingue. Il

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manoscritto non aveva né rilegatura, né titolo, che dovevano essere stati eliminati di proposito. Le iniziali J.W. scritte a matita sulla prima pagina ci fornirono il primo indizio e alla fine ci convincemmo che il dattiloscritto in sanscrito-inglese era un florilegio dal Sat-Chakra-Nipurana di Sir John Woodroffe, uno studio sui chakra del fior di loto, il cui titolo inglese era The Serpent Power.67 Il libro divenne per qualche tempo la nostra lettura preferita. Fu proprio mentre cercavamo l'edizione ufficiale, completa, di quest'opera! che intravedemmo a quale livello possa arrivare un maestro come il nostro.

Di solito incontravamo il maestro con il gruppo di studio ogni giovedì. Il mercoledì, mentre cercavamo ancora la vera fonte dei frammenti del Sat-Chakra-Nipurana, ci imbattemmo nella fotografia di Sir John Woodroffe sul frontespizio delle prime edizioni del libro, pubblicato in India. Nel ritratto sbiadito Woodroffe era in piedi accanto alla base dell'enorme carro di pietra che costituisce il tempio di Konarak nell'india meridionale.68 Ora sappiamo che sopra il capo di Woodroffe, ma non visibile nella fotografia, al riparo di una tettoia c'è una nicchia contenente la statua di granito azzurro del dio solare Surya, una delle grandi meraviglie deU'India.69

In quei lontani giorni non eravamo ancora stati a Konarak e non avevamo ragione di pensare a quella raffigurazione straordinaria. I nostri pensieri - forse semplificati dalla pulizia della soffitta - erano molto più elementari. Perché, ci domandavamo mentre guardavamo l'immagine, il fotografo indiano P.K. Dutta aveva ritratto Sir John di profilo? Era una posa così goffa, così poco elegante.

Woodroffe portava male le vesti indiane. Adesso naturalmente questo fatto non ci sorprenderebbe più: nel frattempo abbiamo viag-giato a lungo per il subcontinente e in Estremo Oriente e abbiamo visto molti europei vestiti come Woodroffe, alla maniera indiana. Ma non ne abbiamo mai incontrato uno che portasse quei panni con grazia, e ne sappiamo anche il motivo: dipende dal conflitto fra le forze astrali e quelle eteriche. Il subcontinente indiano e la sua vita spirituale sono permeati di una grazia astrale del tutto estranea al- l'Occidente.70

Sir John Woodroffe è stato forse il più grande studioso di sanscrito dei suoi tempi. Per molti versi era un genio, e tuttavia neppure lui riusciva a portare le vesti indiane come invece sa fare qualsiasi con-tadino in quel paese. Ha l'aria imbarazzata mentre porge il suo profilo alla macchina fotografica. Ma perché il profilo? Continuavamo a domandarci. Accantonammo la domanda e cominciammo a sfogliare il libro di Woodroffe in cerca di riferimenti, per quel che ne ricordavamo, all'anahata chnkra, vale a dire al fiore fiammeggiante che arde nella regione del cuore.

La questione del profilo - e la sua risposta - si sarebbe ripresentata in modo davvero curioso.

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La domanda che ponemmo al maestro riguardava qualcosa che ci aveva lasciato perplessi mentre sfogliavamo il libro di Woodroffe.

Il maestro rise alle nostre parole. Forse non era sorpreso, perché qualche settimana prima gli avevamo mostrato il manoscritto polve-roso recuperato in soffitta.

«Sì, quello che dici è vero. Le tue parole sono esatte e penetranti. Ma a die servono? Sì, benché sgorghino dal cuore, affondano le radici nella verità. Ma, amico mio, a che servono queste domande? E a che servono le mie risposte?»

Distolse le sguardo da noi e lo rivolse verso il resto del gruppo.«Ascoltate, perché io sono vecchio e le parole dei vecchi hanno una

risonanza che le altre non posseggono. Nonostante tutti i miei anni, so soltanto una cosa, ed è da questa cosa che emergono le risposte a tutte le vostre domande. È là che conduce l'iniziazione, qualunque essa sia. Tutto quello che so, dopo tanto cercare, è che il segreto di tutto è l'amore.»

Nella stanza calò un silenzio profondo.«In principio non c'era altro che l'amore. In quei giorni di lotta non

c'era altro che l'amore. E ora, che la fine è vidna, mi è concessa la grazia di sapere che non c'è altro che l'amore, qui e ora, e nel mondo dell'aldilà. Nei miti egizi, quando Atum creò l'aria e l'acqua, fu per mezzo dell'amore, e fu per mezzo dell'amore che egli tentò di unirli di nuovo. Fu con l'amore che egli vincolò il terzo occhio sulla sua fronte. È con l'amore che questo occhio ricrescerà negli esseri umani. Lo scopo di tutte le iniziazioni è promuovere l'amore.»

Quel giovedì sera, mentre gli altri usavano a uno a uno dallo studio, il maestro ci chiamò con un cenno e noi ci avvicinammo. Pensavamo volesse parlarci della soffitta, che avevamo quasi finito di sistemare. Dovevamo soltanto accordarci sul colore da dare alle pareti che avevamo eretto per nascondere i tiranti.

«Le tue domande devono sgorgare dal cuore, amico mio.» Sem-brava soltanto un'osservazione e perciò annuimmo. «Soltanto dal cuore» ribadì. Mentre terminava l'ultima frase si girò verso di noi e ci fissò con i suoi occhi grigio acciaio. «Naturalmente sai che non c'è tempo per domande che non vengono dal cuore.»

Annuimmo di nuovo, ma a dire la verità non capivamo dove volesse arrivare. Si chinò verso di noi e ci toccò la fronte, proprio sopra la radice del naso.

«Il profilo...» cominciò. La parola riecheggiò nella nostra anima co-me un'eco: era questa la vera domanda che avevamo nel cuore quando avevamo contemplato la fotografia di Sir John Woodroffe. Perché, ci eravamo chiesti, Woodroffe aveva voluto farsi riprendere di profilo? «Il profilo di un essere umano è una cosa speciale per chi ha occhi per vedere. Il profilo rivela il karma a chi sa queste cose. Se guardi attentamente un volto, nel profilo vedrai la storia delle vite

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passate.»Fece una pausa, e d sorrise con espressione radiosa. I maestri non

hanno mai preferenze fra gli allievi, tuttavia, siccome vivevamo in casa sua, fra noi era nato un legame speciale.

«Perché fai domande sul guscio esteriore, sulle parole, mentre dentro di te hai tante domande vive? 11 tuo compito è ora di conside-rare il profilo e stabilire quale legame esso ha con l'amore. Chiediti perché, per esempio, gli egizi dipingevano gli occhi frontalmente, anche quando mostravano la faccia di profilo. Perché? Chiediti anche perché Yuraeus rivela le sue energie compresse, pronte a colpire, soltanto quando è visto di fianco. Qui c'è un mistero profondo. Pensa a queste cose. L'uomo vero lo si vede da molti angoli visivi, e da nessuno è mai lo stesso. Perché succede questo?

«Nelle scuole ci sono segnali e parole d'ordine connessi con gli occhi. Un segnale consiste nell'accarezzarsi le sopracciglia. Considera soltanto questo - non desidero infatti discuterne il significato con te: il gesto acquista un senso solamente se la persona che lo compie ha il viso rivolto verso di te. Non è possibile compiere quel gesto simbolico quando si sta di profilo. Pensaci, perché sono cose importanti. E come potrebbero non esserlo, se gli antichi avevano deciso di mettere in relazione gli occhi con il Sole e la Luna? Dal punto di vista spirituale, un uomo o una donna visti di profilo non sono la stessa cosa che visti di fronte. Ripeto: considera queste cose, perché sonomolto importanti. È un regalo che ti faccio, concedendoti questa co-noscenza, benché tu abbia così pochi anni. Devi portare dentro di te queste parole finché non le avrai fatte tue. Nel frattempo ricordati che il profilo racconta il passato più facilmente di quanto non faccia il viso rivolto verso di te.»Tacque e scoppiò in una di quelle sue risate profonde, che gli sali-vano dal ventre, dondolandosi avanti e indietro nella posizione del loto. In quei momenti sembrava una bambola damma. Era una strana immagine a cui pensare, perché il maestro era un uomo di immensa dignità e di straordinaria grazia nei movimenti.«Questo forse tì insegnerà, amico mio, a chiedere soltanto le cose che ti salgono dal cuore.»Come sempre il maestro aveva ragione e a noi non restò che chinare il capo, vergognandoci del nostro errore.Rise di nuovo, ma l'espressione del volto era gentile. «Mark, quello di cui ti sto parlando puoi trovarlo in Goethe. Ma vorrei che tu meditassi su queste cose ed estraessi la verità dalla tua anima. Sol-tanto così essa ti apparterrà. Soltanto così potrai farla tua. Una verità che non è tua non è una verità.»Per un attimo pensammo che il nostro incontro privato fosse giunto alla fine, ma egli sorrise di nuovo.«A proposito di Goethe... Lo conosci il suo racconto del serpente?»71

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Scuotemmo il capo.«È una storia sul profilo e sulla posizione frontale. Il serpente verde rimanda al primo, il fiore al secondo.»Scuotemmo ancora il capo: non riuscivamo a comprendere.«Non importa. Capirai più avanti. Nel racconto, il re d'oro chiede al vecchio: "Quanti segreti conosci?""Tre" risponde il vecchio."E qual è il più importante?" domanda il re d'argento."Quello rivelato" replica enigmaticamente il vecchio."Vuoi spiegarcelo?" domanda il re di bronzo."Quando avrò imparato il quarto segreto" è la sua risposta.»Il maestro annuì in segno di approvazione. «Ora hai davanti a te un altro vecchio. Ma questo tuo vecchio è più audace, forse più sciocco... Forse mi ha reso sciocco il caffè che mi hai preparato; come Ibsen con il suo Peer Gynt sono diventato incauto!»72

Ancora una volta scoppiò nella sua risata profonda, di pancia.«A ogni modo, qualunque sia la ragione, sono più sciocco del vecchio di Goethe, perché sono disposto a rivelarti il quarto segreto... Il quarto segreto è l'amore. Se ami davvero, allora non puoi porre le domande sbagliate. Se ami davvero, allora gli organi della crescita, come il terzo occhio, si svilupperanno a modo loro. L'amore è di per sé una via iniziatica. L'amore insegna come guardare il mondo.»73

Allungò la mano e con il dito disegnò un cerchio sul tavolo. Mentre si piegava in avanti continuò a scrutarci da sotto le folte sopracciglia, studiando la nostra reazione.

«Il cerchio. Che mistero in un cerchio! Il cerchio è magico perché include e insieme esclude. Qui» e batté con l'indice sul tavolo «include una parte del tavolo, e sembra escludere tutte le altre e la stanza in cui è il tavolo, e la strada in cui è la casa, e la città in cui è la strada... e i pianeti, le stelle, il cosmo. La linea che definisce i contenuti del cerchio definisce anche i contenuti di ciò che il cerchio esclude nelle sei direzioni dello spazio. Ecco perché il cerchio magico è così potente, per il mago che sa.»

Mise l'accento sulla parola «sa» (knows, in inglese), forse per ricor-darne il nesso con la parola greca gtiosis, che a volte ubavamo nelle nostre conversazioni di gruppo.

«Il mago che sa può scegliere fra le cose escluse, esterne, e porre tutto ciò che vuole dentro il cerchio che include. È così che il mago si protegge dai demoni, perché essi non possono invadere i suoi modelli di pensiero. Nessun cerchio tracciato può essere disgiunto dal pensiero da cui è nato».

«Allora ogni cerchio è un cerchio magico?» Formulammo la do-manda come se fosse retorica.

«Precisamente» sembrò approvare. «Ora, guarda quel cerchio. Che cosa vedi?»

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«Il ripiano del tavolo.»«Bene. L'occhio esteriore del giovane guarda verso l'esterno.»Si protese verso di noi e ci toccò in mezzo agli occhi.«E adesso cosa vedi?»La visione non sembrava più sul tavolo ma in un cerchio disegnato

all'interno della nostra fronte nel punto dell'ajtia.7* Ma le parole situano la visione nello spazio e nel tempo, mentre in realtà non si trovava nello spazio e sembrava già trascendere il tempo. Una visione è una visione, e non ci sono parole in grado di descriverla, tranne, forse, sbiaditi surrogati. Il cerchio pareva essersi tramutato in lingue di fuoco e aver messo le ali. C'erano quattro enormi ali intorno alla parte superiore, eppure non era chiaro quale fosse l'arco superiore e quale l'inferiore, perché quel cerchio di fuoco non aveva nulla di spaziale. Seduta all'esterno del cerchio, e tuttavia racchiusa in un ovale di fiamme, in quella che avrebbe potuto essere una nicchia sa-cra - ma ancora una volta è sbagliato parlare in termini spaziali - c'era una donna. La sua forma era bianca, come se fosse illuminata dalla Luna piena, e nel contempo era rossa. Il rosso - che sembrava vibrare - era più intenso verso la parte superiore del corpo, in quella che si potrebbe definire la testa, che però non era una testa umana, perché aveva sei facce. Ogni faccia aveva tre occhi, e il terzo occhio era aperto come gli altri due. Le sei braccia sembravano danzare. Forse danzava, o forse era una giocoliera, che compiva giochi di destrezza.

Distinguevamo quattro oggetti, che avrebbero potuto essere fra le sue mani, oppure nel cielo intensamente azzurro che era dietro e so-pra le sue mani. Uno degli oggetti assomigliava a un cranio umano. La domia fece un gesto verso di noi, ma non riuscimmo a comprenderne il senso. Eppure ci sembrava che gli oggetti apparissero separati soltanto a causa dei limiti della nostra comprensione, ma che in realtà fossero la stessa cosa: ciascuno era l'aspetto esteriore dell'altro. Insieme alla visione di questi oggetti che volteggiavano nell'aria ci giunse il suono della loro parola comune, benché nella visione non ci fossero suoni: in alcuni stati superiori è possibile avere esperienze uditive che non trovano corrispondenza nelle vibrazioni del mondo quotidiano. La parola era kala-kuta, e sapevamo che era l'emissario segreto della morte. Quella parola senza suono sembrò aleggiare sopra la parte destra del cerchio interiore, che ora aveva assunto la forma di un petalo.

Forse la donna ristette a lungo. Non sappiamo, perché il tempo ha poca importanza. Sembrò rimpicciolirsi finché non divenne un puntino piccolo come un seme nel cerchio della nostra mente. Sapevamo che il cerchio aveva una superficie di oltre ottocento milioni di chilometri ed era pieno della luce di dieci milioni di Soli. La donna era scomparsa dalla nostra visione, e tuttavia sapevamo che restava in potentia, come un seme dentro il nocciolo di fiamma. Ma nel contempo

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percepivamo che anziché essere soltanto al centro del cerchio essa si estendeva anche alla periferia. L'intera circonferenza pulsava come un cuore che batte, una forma viva in attesa di dispiegarsi.

L'immagine si fece più personale. Durante la visione era come selo spazio fosse stato sempre diviso in due metà esatte, di uguale im-portanza. Adesso una metà sembrava rappresentare l'inizio e l'altra la fine. Fummo tentati di cercare le lettere alpha e omega, ma le lettere che vedemmo non appartenevano ad alcuna delle lingue a noi note.Con nostra grande sorpresa, non fu l'inizio a rotolare in avanti nel tempo, ma fu la fine che cominciò ad arretrare, e le immagini che ve-devamo erano quelle della nostra vita. Dapprima furono rapide scene capovolte di ciò che doveva ancora venire, poi queste si amalga-marono con ciò che era già accaduto. Le immagini mescolate fra loro continuavano a proiettarsi alla rovescia.

Leggendo questa descrizione, qualcuno potrebbe pensare che si trattasse di un processo di inversione temporale, ma in realtà le im-magini si presentavano all'istante, senza tempo, perché il tempo non esiste nel mondo della visione. Né la morte vi ha alcun potere. La ri -petizione della vita e della morte che vedevamo rovesciate nello specchio non esercitava alcun dominio sulla nostra anima. Sia la morte sia la vita servivano soltanto a chiarire. Fu attraverso questa chiarificazione che i due petali cominciarono a formare una catena ininterrotta.

Allora capimmo che uno degli oggetti nelle mani della donna gio- coliera dalla faccia rossa era un rosario, e che se avessimo guardato con più attenzione avremmo visto che ogni grano era un cerchio di fuoco diviso in due metà, con una donna che sorreggeva un altro cranio e un altro rosario. L'immagine si raddoppiò, le donne diven-tarono quattro, con quattro crani dalla forma simile alla Luna. Mentre guardavamo, la fine si fuse nella forma embrionica dell'inizio. Restavano ancora due divisioni, due petali, ciascuno era una pro-messa di passato e futuro.

Poi, dopo tutto quest'infinito circuito di tempo, la visione cominciò a svanire e non ci restò che il cerchio, dapprima tracciato con la luce sulla nostra fronte, poi in una forma immaginaria sul tavolo.

«L'hai vista?» domandò il maestro.«L'ho vista.»«Era Vajna. Era la visione del terzo occhio. L'occhio che vede se

stesso.»«E la donna che è diventata quattro donne?» domandammo.«È Hakini.»75

Picchiettò l'indice sul mento con aria riflessiva. I suoi occhi cerca-rono i nostri per sottolineare l'importanza di ciò che stava per dire.

«Quando contempli la visione, ricordati che è solo l'inizio. È una promessa di ciò che potrai diventare. Non è lo sky-walking di cui si fa

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un gran parlare oggi, ma è un camminare nella luce interiore.76 Tut-tavia, per il vero iniziato, non dimenticarlo, è la stessa cosa. È per questo che l'iniziato si chiama anche uonio-uccello e parla la Lingua degli Uccelli.»

Qualche giorno dopo il maestro se ne andò. Morì nella sua stanza sotto la soffitta con il pavimento sorretto dai tiranti. Quasi all'istante squarciammo il velo di quella strana immagine di Vivien e Merlino che le porte avevano evocato in noi. Il nostro maestro-stregone era davvero dentro il pozzo - nella stanza sotto la soffitta - ed era già in punto di morte. Quali strane previsioni può evocare un Matto sulla Via.

Il pungiglione della morte è destinato a chi muore o a chi resta? Fu questa la domanda che ci ponemmo quando il nostro maestro se ne fu andato. Al mattino la nostra mano si allungava verso il pentolino di rame sulla stufa e ci accorgevamo che essa ancora non sapeva che il maestro non c'era più. Forse ogni centro del nostro triplice essere opera a velocità diversa e con memoria diversa? E sarà vero che i nostri sentimenti impiegano settimane ad assimilare ciò che la mente apprende in un secondo? E che la volontà richiede ancora più tempo?

Forse il veleno nel pungiglione sta nel fatto che restano tante cose, a ricordarci ciò che abbiamo perduto. Molte parole del maestro rie-cheggiavano ancora nella nostra mente e il suo esempio guidava an-cora i nostri passi, almeno idealmente. A volte, era come se ci parlas-se in segreto da dietro il velo, tanto che non eravamo più certi se le sue parole fossero un ricordo, o se invece ci venissero rivolte in quel preciso momento con mezzi che possiamo soltanto definire psichici. Il maestro sembrava vivere nel nostro cuore e nel nostro cervello, in queirincessante chiacchiericcio che, come ci insegnano le scuole, è l'escremento del pensiero.

«Venere è chiamata il pianeta dell'amore da chi ignora i misteri» ci aveva detto un giorno il maestro, spingendoci così a un lungo viaggio in cerca di immagini arcane. Sapevamo che la Venere esoterica è il pianeta della luce interiore e che l'amore è un'espressione di questa fosforescenza.77 Ma la conclusione del suo discorso ci aveva spiazzato.

«Dopo un'eclisse di Venere l'anima ha bisogno di vagabondare per un poco. Venere è la fiamma interiore: è arduo per lei sopportare le tenebre dell'eclisse.» Allora non avevamo capito, ma ora sì, perché stavamo attraversando proprio quell'eclisse.

Il giorno successivo alla visione dell'a]ria, il maestro aveva discusso piuttosto a lungo con noi del simbolismo arcano delTwraews e del terzo occhio: «Nei libri moderni di occultismo leggerai che Yajna- chakra è connessa con Nettuno, ma la conoscenza che scienziati e astrologi hanno di questo pianeta è troppo recente. Soltanto gli adepti di più alto grado conoscono il significato della sua azione nel microcosmo.78 È Venere che al momento regna sui chakra. Pensa al

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mito egizio, in cui Atum si rimette l'occhio sulla fronte e capirai che cosa intendo dire.79 Egli ritrova l'occhio attraverso l'amore. È con l'amore che raggiunge la visione superiore. Devi però sapere che ci sono una Venere antica e una Venere che deve ancora venire. Per ca-pire i chakra, devi far tua la Venere antica. Queste cose devi portarle dentro la tua anima per capirle veramente. Dovresti andare in Messico un giorno. Lì ci sono ancora le tracce di questi misteri.»

Era davvero necessario che ci recassimo in un altro mondo per trovare ciò che cercavamo? O stavamo solo cercando di dimenticare la nostra perdita?

Nel 1976 Luis Arochi scoprì che il tempio piramidale di E1 Castil-lo di Chichén Itzà, in Messico, era stato concepito in modo che, nel-l'equinozio di primavera e d'autunno, lo scalone d'dnore evocasse l'immagine di un serpente.80 Durante l'equinozio i raggi del Sole, colpendo i gradini della piramide, proiettano sette triangoli isosceli sulla parete in cui si apre la scalinata, dando vita a un serpente di luce che, a mano a mano che la Terra si muove, sembra scivolare lungo i gradini. La testa del serpente del Castillo è invece fissa e più solida degli effimeri effetti di luce: è scolpita nella pietra e alla base della piramide. Questo serpente di luce e pietra sale strisciando in prima-vera e discende in autunno.

Arochi dimostrò inoltre che la forma del grande rettile era basata su quella del serpente a sonagli, il crotalo. In Messico, e nelle zone ancora più a sud, il crotalo veniva spesso divinizzato e i templi cu-stodivano serpenti vivi che venivano nutriti con sacrifici umani. L'immagine terribile della dea azteca, Coatlicue, nel Museo Nazionale di Antropologia di Città del Messico, si spiega soltanto se si fa riferimento a questi sacrifici. Il suo nome significa «Serpente».

L'astronoma Marian Hatch ha scoperto che una delle stelle della co-stellazione del Drago - l'enorme serpente, formato da una sequenza di diciotto stelle visibili, che striscia nei cieli settentrionali - è stata la Stella polare dei maya dal 1800 a.C. al 500 d.C. All'epoca quella stella transitava sul meridiano alla mezzanotte del 23 maggio e del 22 no-vembre di ogni anno, con una deviazione inferiore a un grado; Marian Hatch ha notato che il suo cammino corrispondeva alle immagini dei serpenti presenti sulle pagine di uno dei più interessanti codici dell'A-merica del Sud precolombiana, il Tro-Cortesianus Codex (figura 54).81

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Nelle illustrazioni di questo codice, i simboli che contrassegnano i giorni del calendario maya sono disposti su quattro file sotto le quali si intreccia il serpente in cinque posizioni diverse. Letti in combinazione, i simboli dei giorni e le spire dei serpenti forniscono un calendario perpetuo per un periodo di cinquantadue anni. Questa durata corrisponde a metà del ciclo di Venere, che è di centoquattro anni: Samuel Block, l'architetto americano che per primo ha compreso le implicazioni connesse con il codice, lo scambiò per un calendario venusiano. L'interazione fra il serpente e i simboli dei giorni per-metteva di stabilire i periodi in cui Venere appariva come Stella del mattino e della sera, e quelli in cui era in congiunzione superiore e inferiore con il Sole.82

La storia di questi serpenti celesti, maya e aztechi, ci colpì per una curiosa coincidenza: lo stesso drago era stato tracciato nel cielo dagli antichi astronomi e astrologi babilonesi, greci e romani.83 Sul tetto della cella iniziatica mitraica, eretta nel I secolo a.C. sull'isola di Ponza, si può vedere ancora oggi un serpente con una forma molto simile a quello raffigurato nel calendario stellare maya. Entrambi i rettili sembrano strisciare lungo un arco che descrive quasi un cerchio intorno alla Stella polare settentrionale.84 Nella tradizione iniziatica occidentale il serpente faceva parte del complesso simbolismo astrologico del culto mitraico.85 Sono frequenti le immagini del dio Mitra - a volte raffigurato all'interno del cerchio zodiacale - nell'atto di uccidere un toro, che ha un lungo serpente intorno alle zampe, o nelle vicinanze (figura 55). È lo stesso che si arrotola al centro dei cieli nelle prime mappe stellari tramandateci dal mondo antico (figura 56).

La cosa che più ci affascinò nella connessione fra gli antichi disegni maya e le descrizioni classiche occidentali delle stelle fu che la coda del drago maya veniva fatta terminare sulle Pleiadi. Il termine maya yucateco Tzab significava sia «crotalo» sia «Pleiadi». Poiché i sonagli sono sulla coda del rettile, ci pare interessante ricordare che gli antichi astronomi greci ponevano la coda del loro Toro precisa- mente sulle Pleiadi.86 Il culto maya del serpente a sonagli, con la sua coda sulle Pleiadi, e il culto mitraico del Toro, con la sua coda sulle Pleaidi, presentavano coincidenze straordinarie. Ma quale legame poteva mai esistere nell'antichità fra il Medio Oriente e l'America del Sud?87

Per trovare una risposta soddisfacente a questa domanda dob-biamo spostare l'attenzione da una costellazione serpentiforme a un pianeta. Nell'astronomia precolombiana pare esistessero due

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modi di rappresentare Venere. La forma più elaborata era un disco alato:

Il pianeta Venere è raffigurato come un cerchio che ne contiene un altro più piccolo e ha quattro ali. È questo il simbolo in cui Venere compare nei codici messicani, dove contrassegna varie posizioni di orientamento planetario, delle quali si doveva tener conto nella

costruzione degli edifici di culto. L'immagine incornicia spesso le feritoie e le porte dei templi, oppure si erge fra le merlature a V dei campi per il gioco della palla o in altre strutture architettoniche ana-loghe:

Questi disegni d rammentano che una delle funzioni delle piramidi era misurare la levata e il tramonto di Venere, in modo da verificare la precisione di uno dei tre sistemi calendariali che regolavano le civiltà precolombiane.

L'affinità fra questo sigillo maya indicante Venere e certi simboli presenti nel mondo ocddentale ci aveva affascinato per molto tem-po.88 Non eravamo stati noi i primi a notare le sue somiglianze con alcuni simboli del dio solare degli antichi caldei, Ahura Mazda, raf-figurato come un disco alato (figura 57).

L'immagine ci rammentava anche un altro disco alato, questa volta egizio, che offriva un ulteriore curioso parallelo con la rappresen-tazione maya. In questo caso l'elemento interessante era la sua con-nessione diretta con il serpente, al quale abbiamo già accennato brevemente: ì'uraeus dei greci.

Anche oggi non è difficile trovare immagini dell'ureo in Egitto, anzi, è forse uno dei simboli della divinità più frequenti in questo paese. Lo si vede sulla fronte delle gigantesche statue di Ramses II nei templi dell'antica Tebe e in pardcolare su quelle del tempio di Luxor (figura 58). L'ureo è un serpente attordgliato con la testa puntata in avanti, come se si preparasse a colpire. È l'occhio trasformato del dio Atum, nella forma descritta negli antichi miti cosmologici.

L'ureo, che rievoca un cobra, posto sulla corona o sulla fronte del faraone, è il simbolo del disco solare, dicono gli archeologi, che non sanno però spiegarne il significato.89 Il valore simbolico del cobra è

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invece trasparente per quanti posseggono una conoscenza iniziatica. L'ureo rappresenta una visione superiore vigile, la visione del serpente iniziato, pronto a scattare con rapidità. Rappresenta la visione vigile, redenta, dell'occhio originario, che apparteneva al Creatore, la visione spirituale evoluta del mondo spirituale superiore. È l'energia attiva, serpentiforme, della chiaroveggenza più alta, è la vi-sione che giustamente appartiene a chi dimora fra le stelle. È la vi-sione tramutata in saggezza iniziatica da un occhio inquisitore.

Quest'occhio di serpente è talora chiamato «terzo occhio», perché è situato fra gli altri due. Il fatto che lo si trovi spesso sulla fronte dei faraoni ci ricorda come gli antichi sovrani fossero divinità, e pertanto rappresentavano l'occhio del serpente Atum. Data la natura sacra delle gerarchie che governavano l'antico Egitto, i faraoni erano alti iniziati: tramite il loro retaggio spirituale, essi avevano già sviluppato il potere di quello che gli esoteristi orientali chiamano ajna chak- ra.90

Per mezzo di questo organo i faraoni avevano accesso alla visione diretta del mondo spirituale: ì'ajna si era già risvegliato in loro ed era attivo.

In alcuni testi questo centro segreto, Yajna, è descritto come un fior di loto con sessantaquattro petali. Coloro che hanno sviluppato il potere di vedere questi punti segreti dei chakra nel corpo umano dicono che sono in movimento. Sono come dischi di colore in moto così rapido che i loro raggi o petali appaiono sfocati e assumono l'a-spetto di una fiamma roteante.

Nei tempi antichi l'interfaccia fra il mondo materiale e quello fisico era costituita dal geroglifico egizio 0 ru< che per via della forma i primi cristiani chiamarono vesica piscis.

Quando il nostro maestro aveva suggerito l'esistenza di un nesso fra il terzo occhio e il ru (o punto d'ingresso in mezzo agli occhi), avevamo pensato che si riferisse al fatto che il segno raffigurante ru0 pare abbia dato origine al simbolo egizio arikh 4- / poi divenuto simbolo di Venere: 9-

Il geroglifico ru, che significava «passaggio della nascita», «porta» e «vagina», era ritenuto un simbolo duale: si può infatti nascere sia al mondo materiale, come avviene con il parto, sia al mondo spirituale, come avviene con l'iniziazione. Il ru permette di accedere al mondo spirituale e di rientrare nel regno materiale.

Si potrebbe pensare che l'occhio segreto degli egizi, che consente all'iniziato di guardare dentro il mondo spirituale, sia scomparso dal-l'arte europea. Ma non è così. Il simbolo è molto frequente nell'icono-grafia alchemica e rosacrociana, come c'era da aspettarsi, dal mo-mento che l'occhio segreto concerne la visione iniziatica. Nel Museo del Prado è esposto un capolavoro di Hieronymus Bosch, intitolato I sette peccati capitali (figura 59), che ruota interamente intorno al mistero dell'occhio segreto.91 Il dipinto a olio era molto amato da

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Filippo II di Spagna che ne aveva fatto un pannello per il tavolo della sua stanza, davanti al quale quel re cupo e introverso, appassionato di esoterismo e neoplatonismo, sostava a meditare sulla fragilità della vita.92

Il pannello di fattura squisita è quadrato e ha al centro un grande cerchio, diviso in sette segmenti, in ciascuno dei quali è raffigurato uno dei sette peccati capitali: l'accidia, l'ira, l'avarizia, la gola, l'invidia, l'orgoglio e la lussuria. Nel mezzo di queste rappresentazioni circolari sembra di poter riconoscere l'iride di un occhio. Ma la figura è ambigua: infatti potrebbe anche trattarsi di un'aureola di splendenti raggi solari. Tuttavia se vi cogliamo un occhio, allora il cerchio più interno è la pupilla. E nella pupilla c'è Cristo che emerge dal sepolcro: è un'immagine di resurrezione, un'immagine iniziatica.

In realtà Bosch non lascia dubbi sul fatto che questi grande cerchio raffiguri un occhio. Sotto l'immagine di Cristo egli ha impresso le seguenti parole «Cave, cave, Deus videt» («Attento, attento, Dio ti vede»). Difatti Cristo sta guardando daH'interno di questo grande occhio, come se osservasse i peccati del mondo. Dove abbiamo già visto questo omino dentro la pupilla dell'occhio?

L'abbiamo già incontrato nella letteratura ermetica: è l'Ishon.93 Chi andasse in cerca di una conferma che Bosch si muoveva nell'ambito di una tradizione arcana, non ha bisogno di studiare il simbolismo grottesco delle sue figure infernali: è sufficiente concentrare l'attenzione su questo Ishon cristianizzato per capire quanto il pittore fosse immerso nel pensiero esoterico. Nel momento stesso in cuilo guardiamo, Cristo è nella pupilla del nostro occhio, con i sette peccati capitali situati ai bordi, all'esterno del nostro essere.

L'occhio di Bosch è una variante grafica dell'occhio ru dell'antico simbolismo egizio: ru significava infatti «porta» o «ingresso segreto», e Cristo è anche «La Via». Cristo, come il ru, è la porta che conduce al mondo spirituale, la guida del moderno iniziato. La sua Resurrezione, il suo emergere dal sepolcro alla vita più alta, irradiando un'aureola di luce, è il simbolo permanente dell'iniziazione. L'opera di Bosch ci dice che se sapremo circumnavigare il nostro io (il nostro occhio interiore) e liberarci dei sette peccati capitali, potremo vedere Cristo in tutta la sua gloria ed essere innalzati alla vita superiore dello spirito. Quel dipinto è una rara immagine di scissione, in cui il cerchio concentrico esterno con i suoi sette archi rappresenta le tene

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L'iniziatobre umane - i sette peccati - mentre quello interno rappresenta l'es-sere di luce che l'uomo può diventare. Ma contiene anche un mes-saggio di resurrezione, perché il sentiero che conduce alla luce inte-riore passa attraverso la settuplice lotta contro il peccato. Bosch ha avuto cura di racchiudere in ciascuna delle sette spaventose immagini dei peccati un segno di speranza: ognuno dei sette peccati può essere redento.94

Le immagini del geroglifico ru sono sopravvissute nell'arte cristiana sotto varie forme (figura 60), ma poiché vogliamo accennare anche alle implicazioni sessuali di questo simbolo (che, come detto, indica anche la vagina), esamineremo ora un'opera moderna di rara qualità che include nella sua composizione due simboli ru. Si tratta di un disegno monocromo a tempera - eseguito da Fay Pomerance come illustrazione per un libro sulla mitologia egizia - raffigurante l'amplesso di Iside e Osiride.95

Già il titolo, Unione di Iside e Osiride (figura 61), allude a un tema sessuale. Ma l'opera è ben più che una raffigurazione drammatica di un congiungimento fra due divinità: è l'espressione di una concezione cosmologica che rinvia all'iniziazione. Come vedremo, essa include due ru, che simboleggiano, fra l'altro, gli occhi: il ru più grande rappresenta l'occhio veggente della divinità, quello più piccolo l'occhio dell'essere umano coinvolto neU'iniziazione, ed è questo l'essere che viene «concepito» da Iside e Osiride. Grazie a questo concepimento, il neofita che prima era frammentato, diviso in pezzi, viene ricostituito e diventa integro e completo, un individuo sano nel grembo del cosmo.

Nel mito Iside concepisce il figlio Horus senza unirsi sessualmente con il fratello-sposo Osiride. E questo tipo di unione - che la letteratura egizia definisce talora concepimento vergine - che l'artista illustra qui. Il concepimento di Horus nel grembo di Iside avviene soltanto dopo che la dea è riuscita a ricomporre il corpo di Osiride, smembrato in quattordici pezzi da Seth.

Alla compostezza con cui Iside riceve il seme, si contrappone la forma tormentata del fratello-sposo. È un concepimento quasi per procura, che può avvenire soltanto tramite l'essere superiore di Osi-ride.

L'artista ha enfatizzato la natura cosmica di questo atto sessuale introducendo il ru egizio e trasformandolo nell'energia che unisce il dio e la dea. La parte superiore del ru si innalza fin quasi alla sommità della tela, passando sulle spalle di Iside, per poi discendere fra le scapole di Osiride, come se fossero ali che ne sollevano il corpo ferito verso Iside.

Osiride è stato nuovamente costituito ricongiungendo le quattordici

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parti: ci aspetteremmo dunque una deformità grottesca. E invece è raffigurato come un dio nel momento della scissione, della sepa-razione: la luce alta si separa dalle basse tenebre. È la scissione il motivo della torsione che caratterizza il disegno. Le braccia di Osiride si innalzano, trasformandosi nella parte superiore in due gambe alle quali è attaccato un tronco. Il Sole che irradia sembra formarne la testa, a suggerire che la grande distorsione delle braccia mira a ri-trarre Osiride mentre si spoglia della sua pelle fisica, come se si libe-rasse di una veste. Osiride sta scindendo la sua parte più alta, quella spirituale, da quella più bassa. E per questo che è in ginocchio, con il suo corpo più scuro posato sul globo terrestre e il corpo più luminoso che si fonde con il Sole.

Un'esplosione di luce, che sgorga in parte dal Sole e in parte dalle regioni sessuali del corpo superiore di Osiride, penetra attraverso il tenebroso ru in un altro ru più piccolo, che è la vagina spalancata di Iside, il suo grembo. Se Osiride è raffigurato come un essere di luce, Iside è un essere di tenebra, a eccezione dell'aureola che le circonda il capo.

La sua caratteristica acconciatura rimanda al simbolismo egizio, in cui la dea porta di solito l'asf sul capo (simbolo che è essenzialmente un geroglifico nato dal suono del suo nome). L'insieme dei simboli isiaci è in realtà più complesso di quanto non appaia a prima vista, perché la struttura del corpo della dea è abilmente costruita in modo da formare un amuleto, il thet, noto con il nome di «Sangue di Iside».

La forma del thet ha lasciato perplessi molti egittologi, eppure è evidente che essa associa l'utero e la vagina con l'antico ankh, il «simbolo della vita». Quando nella tempera di Fay Pomerance si percepisce la struttura del thet, diventa chiaro che l'eiaculazione so-lare e irradiante di Osiride penetra nella vagina di Iside, mentre le braccia del thet formano il buio ru che spinge Iside e Osiride a unirsi, e le teste ne costituiscono il punto nodale.

Iside è legata al suo corpo inferiore, di tenebra, dall'oscuro ru, ma riceve il seme dal corpo superiore di Osiride.

In quest'opera notevole è contenuto un altro elemento esoterico: i raggi emanati dal Sole sono esattamente settantadue, il numero sacro della precessione stellare, connesso sia con il Sole sia con il sangue umano. Ma non si tratta semplicemente dell'introduzione gratuita di una numerologia significativa: il numero settantadue è infatti

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L'iniziatomenzionato nelle leggende osiriche. Prima che il dio nascesse, Thot, il dio dalla testa di scimmia, fece una scommessa con la Luna, chiedendo in caso di vittoria di ottenere la settantaduesima parte del giorno. Vinse la scommessa e conquistò cinque giorni interi. Proba-bilmente il mito offre una spiegazione esoterica della trasformazione del calendario lunare di 360 giorni (12 mesi di 30 giorni ciascuno) in calendario solare di 365 giorni. Si diceva che il passaggio fosse avve-nuto al tempo della nascita di Osiride, e questo forse spiega l'impor-tanza attribuita da Fay Pomerance ai raggi solari nel suo disegno.

L'occhio, comunque mascherato, rappresenta sempre l'ingresso al mondo superiore, per gli antichi egizi come per un artista del XVI secolo e per un pittore del XX secolo. Dovevamo forse cercare in questo miscuglio di miti e culture diverse l'organo che ci permettesse di vedere direttamente nel mondo spirituale e che nei tempi antichi era associato a Venere, il pianeta dell'amore?

Gli astrologi dell'America Centrale avevano capito molto prima di quelli europei che il ciclo solare di Venere durava 224,7 giorni, e che il suo ciclo siderale durava 583,92 giorni. Il cosiddetto «periodo venusiano» di 104 anni, che in realtà è un doppio ciclo di 52 anni, è il risultato dei tentativi di conciliare il calendario solare con quello sacro e quello venusiano.96 Nei codici che possediamo Venere viene di solito rappresentata con un cerchio alato: ■ Le doppie ali sono forse un riferimento a questo raddoppio del ciclo reale?

Questo simbolo venusiano antecedente la Conquista ci affascinava da anni. Perché il disco era alato? Il simbolo alato ricordava il sigillo del dio del Sole mesopotamico, Ahura Mazda (figura 57) e altre immagini molto lontane dal mondo mesoamericano, come quella appartenente alla visione macrocosmica di Ildegarda di Bingen, ba-dessa cristiana ed esoterista.97 Nella cultura occidentale gli antichi avevano dotato di ali il messaggero di Venere: questo Cupido fem-mina, eternamente giovane, volava nell'aria dispensando la saggezza superiore dell'amore. Possibile che quest'antica idea greco-meso- potamica del portatore d'amore (una versione di un precedente portatore di luce, Lucifero come Phosphoros) fosse stata trasmessa così da formare lo straordinario simbolo di Venere nell'astronomia sudamericana? L'ipotesi era strampalata e ridicola. Noi però avevamo già cominciato a sospettare che certe idee archetipe trascendono la storia e la manomissione, e forse si trattava proprio di una di queste idee. Non potevamo proprio credere che le ali del sigillo di Venere avessero qualche nesso, sia pure tenue, con le ali di Cupido, e tut-tavia non potevamo dubitare del suggerimento del nostro maestro, secondo il quale la Venere messicana era còllegata in qualche manie-

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ra al diakra sacro deìì'ajna, che sta in mezzo agli occhi. Se l'ipotesi era esatta, allora tante cose acquistavano senso.

Non ne sapevamo molto della Venere degli aztechi e dei maya e le possibilità di accesso alla conoscenza erano limitate. Apprendemmo che il nome peruviano di Venere era Chasca, che significa «capelli arricciati». La parola suggerisce che i raggi di questa stella erano visti come riccioli. Le ali o fiamme erano forse capelli, a somiglianza dell'immagine greca da cui era derivata la parola «cometa»?

Racconta John Dee - Rosacroce inglese del XVI secolo, forse l'uomo più dotto del suo tempo - che nel 1575 la regina Elisaíbetta I d'In-ghilterra, accompagnata dal Consiglio della corona e da altri nobili, venne nella sua casa di Morlake, vicino a Londra, per visitare la sua imponente biblioteca.98 Quando giunse, Elisabetta scoprì che la moglie dello studioso era appena morta ed esitò a entrare, ma era impaziente di vedere la sua sfera di cristallo, quella che egli chiamava «la mia sfera così famosa». Quella sfera, catalogata come «la pietra che mostra» è ora conservata al British Museum, insieme a un altro, sor-prendente strumento magico dello studioso: uno specchio di ossi- diana azteca proveniente, come è stato accertato, dall'America del Sud. John Dee usava sia la sfera sia lo specchio nei suoi esperimenti di evocazione degli spiriti. L'esoterista inglese sembrava non conoscere la storia del suo specchio di ossidiana, materiale che, come ora sappiamo, veniva utilizzato dai sacerdoti maya e aztechi per scrutare il futuro. Sorprendentemente questo specchio nero è connesso con la Venere precolombiana.

Gli aztechi a quanto pare talvolta chiamavano Venere con il nome di Acati, che significa «giorno della canna», e indicava il giorno d'inizio del ciclo venusiano. La divinità che presiedeva al giorno della canna era la più importante del Pantheon, il dio Tezcatlipoca, il cui nome, che significa «specchio fumante», è sicuramente collegato con gli specchi di ossidiana che i maghi impiegavano nelle loro predizioni. Si riteneva che Tezcatlipoca leggesse in questo specchio tutto ciò che sarebbe accaduto nel mondo.99 La cosa più interessante per noi era che nell'astrologia medievale Venere veniva raffigurata sovente con uno specchio in mano, nel quale generalmente si vede il simbolo della vanità femminile piuttosto che del potere predittivo. Alcuni storici hanno suggerito, del tutto erroneamente come poi è stato dimostrato, che il noto sigillo occidentale di Venere, $, diventato ora surrettiziamente il simbolo della femminilità, fosse solo un disegno stilizzato di uno specchio. La forma precedente, che veniva usata negli oroscopi greco-bizantini, era una sorta di cerchio caudato ^ che assomigliava molto di più a uno specchio, ma non era nuli'altro che la prima lettera della parola greca Phosphoros, «portatrice di luce».

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L'iniziatoQuesto simbolo apparentemente semplice racchiude nella sua origine un mistero molto più profondo di quanto non si creda.

Qual è la fonte di questi fili che sembrano collegare fra loro i mondi antichi attraverso i simboli e sono strettamente connessi con l'occhio visionario posto fra gli occhi normali dell'umanità?

Il paesaggio intorno al sito sacro delle grandi piramidi di Teo- tihuacàn, nei pressi di Città del Messico, è punteggiato di rocce, al-cune delle quali portano graffite delle croci racchiuse in un cerchio. Talvolta questo cerchio è inframmezzato da forme di coppa, talaltra vi sono incisi più diametri dal tratto leggero.

Queste linee e le forme a coppa sono segni di orientamento, che indicano direzioni planetarie, quali il punto in cui sorge il Sole, la Luna o Venere, ma anche la posizione dei templi e delle piramidi che sorgono nei pressi. Le croci cerchiate, che potremmo chiamare, anacronisticamente, celtiche, sono orientate con tale precisione che è ancora piuttosto facile individuare che cosa indicano. Per esempio, la croce situata in prossimità del viale delle processioni, a occidente del Tempio del Sole, è orientata in modo tale che uno dei suoi archi a forma di coppa (sessantacinque gradi a est del nord astronomico) in-quadra esattamente il corpo del Sole nascente, nel momento in cui spunta all'angolo della piramide, durante il solstizio d'estate. Altre croci cerchiate non si limitano a rivelare il solstizio d'estate e quello d'inverno: segnano con esattezza il punto estremo in cui tramontano il Sole e la Luna e indicano il sorgere e il tramontare eliaco di Venere.

Nel 1963 l'archeologo Bennyhoff individuò uno dei più enigmatici di questi strumenti di rilevazione sulla collina di Malinalli a Colorado Chico. In seguito si scoprì che non si trattava di un caso unico, bensì faceva parte di un sistema di antichi graffiti cui spettava indicare gli orientamenti sacri e segreti della grande zona dei templi di Teotihuacàn, che costituisce un immenso osservatorio per lo studio del Sole, della Luna e di Venere e può anche rilevare l'avvistamento di altri pianeti e di talune stelle.100

Avevamo esplorato la zona verso la fine degli anni Sessanta in compagnia di alcuni Rosacroce praticanti, interessati alla questione degli orientamenti solari-lunari dei templi aztechi. Il gruppo sembrava ben informato sui siti aztechi e maya e aveva qualche conoscenza dell'astronomia mesoamericana. I partecipanti desideravano in

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Capitolo quarto

particolare studiare gli orientamenti nel grande complesso di templi di Monte Alban (Oaxaca), di cui, come avevamo scoperto durante una precedente visita, si era conservato non soltanto l'antico osservatorio azteco, ma anche un posto d'osservazione, ricavato all'interno di una scala della piramide, da cui l'astrologo poteva verificare sul campo gli orientamenti.101 Ci entusiasmava l'idea di dedicarci a un'esplorazione così intima dell'antico pensiero guardando dall'alto della piramide verso declività orizzontali che, se restaurate, offrirebbero precisi punti di osservazione. Sostando nel cubicolo, con il condotto d'aerazione verticale alle nostre spalle, ci parve che le forme a cuneo delle piramidi, benché in grande degrado, fossero dei punti di riferimento che segnavano il tramonto del Sole, della Luna e di Venere. Le nostre intuizioni - favorite da una certa esperienza delle antiche tecniche astrologiche - trovarono conferma nel 1974, quando alcuni astro-archeologi dimostrarono che la nostra tesi era valida in casi di orientamenti analoghi: i sacerdoti astronomi di Chichén Itzà avevano utilizzato punti di avvistamento affini a questi per registrare il sorgere eliaco di stelle quali Canopo, Castore e Polluce.102 Gli stessi studiosi giunsero alla conclusione che insieme ai transiti di Venere si potevano osservare anche costellazioni come quella delle Pleiadi.

Ad attrarre per prime la nostra attenzione nello straordinario luogo sacro di Monte Alban furono le grandi lastre di pietra posate lungo i muri di contenimento della piramide come tante lapidi abbandonate, ornate con i bassorilievi dei cosiddetti «danzatori» (figura62) .103 Quando cominciammo a studiarne le figure enigmatiche ne intuimmo lo scopo, convinti che fossero state scolpite all'interno di centri iniziatici. Percepivamo istintivamente che la danza era il segno di un risveglio al mondo spirituale, era il segno che i danzatori non erano più immersi nel sonno, ma erano ormai iniziati ai mondi superiori. I loro corpi astrali danzavano al nuovo potere dei sette chakra. Scoprimmo in seguito che anche un paio di altri ricercatori erano giunti alla stessa conclusione, vale a dire che i geroglifici incisi sui loro corpi rappresentavano i chakra.10* Non sappiamo chi fossero i primi colonizzatori che si lasciarono alle spalle queste sculture così interessanti, ma a giudicare dalle immagini dovevano essere di ceppo negroide, con caratteristiche facciali più simili a quelle degli ol- mechi che a quelle degli aztechi.105

Non fu però a Monte Alban che avemmo la nostra nuova esperienza delle vie ineffabili del mondo spirituale. Fu invece a Teo- tihuacàn, un luogo che pensavamo il turismo di massa e gli ampi «restauri» avessero spogliato di ogni antica vestigia. Fu proprio a Teotihuacàn che ci fu concesso di comprendere quanto fosse grande la saggezza di Goethe, il quale aveva scritto che tutto ciò che occorre affinché il

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L'iniziatomondo spirituale agisca creativamente nella propria vita è impegnarsi con tutto il cuore nell'azione. La parola chiave per Goethe era impegno, perché è la serenità che nasce dall'impegno che permette al mondo segreto dello spirito di partecipare alle nostre vicende umane. La nostra esperienza a Teodhuacàn in compagnia dei Rosacroce americani fu un esempio supremo di questa verità.

La zona di Colorado Chico, in cui Bennyhoff aveva rinvenuto i graffiti di orientamento, non era di facile accesso. Tra i Rosacroce che volevano esaminare ed esplorare questi segni di orientamento - al tempo non erano ancora stati resi pubblici ma già se ne parlava am-piamente - c'erano diverse persone anziane; l'organizzatore si era perciò procurato alcuni muli per rendere loro più agevole il cammino sul terreno roccioso. Formavamo un gruppo piuttosto pittoresco, quando partimmo alle prime luci dell'alba con i muli, che come al solito si muovevano troppo lentamente per il nostro impaziente temperamento leonino, A un certo punto ci trovammo a camminare di fianco a una vecchia signora americana, che, ci venne fatto di pen-sare, non doveva mai essere salita su un mezzo di trasporto meno comodo di una Limousine. Mentre la fila di muli con le loro some procedeva verso ovest, noi due chiacchieravamo.

«Sono di Boston» disse Margaret, presentandosi, «ma ho trascorso quasi tutta la mia vita a San José, in California. Il mese scorso ho compiuto settantanni» proseguì «e mi sono detta che se non avessi visitato le piramidi quest'anno, forse non le avrei viste mai più.»

Procedevamo di fianco al suo mulo, conversando con la donna. Tra una chiacchiera e l'altra confessò che aveva desiderato per tutta la vita visitare le zone archeologiche del Messico, ma fino ad allora era stata troppo occupata per riuscire a mettersi in viaggio; la solita storia: una vita sociale intensa - il matrimonio, i figli e i nipoti - che ritarda e a volte frustra le aspirazioni spirituali. Così, all'approssimarsi del settantesimo compleanno, con il suo magico settenario, aveva percepito di essere giunta allo stadio di «o adesso o mai più» e si era unita al gruppo, i cui membri erano più giovani di lei di almeno dieci anni.

Mentre la nostra compagnia raggiungeva gli affioramenti rocciosi in cui si trovavano i primi graffiti, accadde una cosa curiosa. Lenta-mente, come al rallentatore, Margaret scivolò dal mulo. Per fortuna eravamo ancora al suo fianco e riuscimmo a frenare in qualche modo la caduta. Fu comunque una bella botta, anche se lo spavento fu maggiore del danno. Dopo un rapido controllo si stabilì che la donna presentava un principio di disidratazione. Il Sole non era ancora alto, ma faceva molto caldo. Con l'aiuto degli altri riuscimmo a rimetterla in sella e decidemmo di riaccompagnarla all'autobus, dove c'era l'ombra

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Capitolo quarto

e qualcuno che avrebbe potuto occuparsi di lei.Tornammo indietro in silenzio. Ancora una volta camminavamo di

fianco al mulo, ma ora con più urgenza. Il Sole era sempre più alto e la temperatura saliva vertiginosamente. Arrivammo all'autobus in meno di un'ora. Affidammo Margaret alle cure dell'autista - per puro caso anche lui di Boston - raccomandandogli che le facesse bere acqua a piccoli sorsi e la tenesse dentro il pullman con l'aria condizionata.

Non appena fummo certi che Margaret era sistemata, riprendemmo la strada di buon passo. Sapevamo che ben difficilmente la compagnia sarebbe riuscita a capire qualcosa delle linee di orientamento senza i nostri commenti, perché i disegni acquistavano vita soltanto se si individuavano le direzioni previste. Avvicinandoci alla zona ci accorgemmo che il gruppo si era spostato verso sinistra a una di-stanza notevole dalle rocce incise che volevamo mostrare. Per rag-giungerli abbandonammo il sentiero e cominciammo a farci strada fra il pietrisco e i sassi ricoperti d'erba, in direzione sud. È su deviazioni della vita piccole come queste che si basano i misteri. Se non avessimo lasciato il sentiero e cambiato direzione, prendendo verso sud, non avremmo fatto una delle nostre esperienze più interessanti.

Il caldo intenso esalava un miasma di miraggi ondulatori sul pae-saggio, che assumeva un'aria irreale. Dopo qualche centinaio di metri vedemmo due bambini messicani che giocavano fra le rocce. Mentre ci avvicinavamo, la bambina, che avrà avuto una decina d'anni, si alzò all'improvviso e cominciò ad agitare le braccia verso di noi.

«Doctor, doctor» chiamava in inglese. Ci aveva scambiati per un archeologo. Gesticolando in continuazione, ci corse incontro e ci mise in mano quello che a prima vista ci parve una pietra piatta. Era una scheggia di roccia. Sopra era inciso il disco alato, il geroglifico di Venere:

Non ricordiamo molto di quello che avvenne nelle ore successive.Il nostro primo impulso, die seguimmo, fu di infilare la mano nella tasca e dare alla bambina tutti i soldi che avevamo.

Di certo raggiungemmo il gruppo e offrimmo anche una dimo-strazione pratica di come funzionavano alcune delle linee di orienta-mento. La sequenza degli eventi è ancora poco chiara nella nostra memoria, ma rammentiamo che, mentre ci allontanavamo da Colo-rado Chico, uno del gruppo ci chiese perché ridevamo.

La nostra risposta diceva solo in parte la verità.«Stavo pensando a che cosa avrebbero detto i soldati e i religiosi

spagnoli se avessero visto questi graffiti con le croci, tanto simili alla croce celtica che conoscevano così bene.»106

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L'iniziatoQuel pensiero in effetti ci era passato per la mente qualche istante

prima, mentre spiegavamo al gruppo in che modo le croci incise nella roccia e il cerchio dentato servissero a orientare l'osservatore in dire-zione delle lontane piramidi. Ma non era il motivo del nostro riso.

Ridevamo perché la nostra mano stringeva ancora lo straordinario frammento che d'ora in poi ci accompagnerà finché durerà la nostra vita. Ridevamo di gioia di fronte al monito di come gli esseri cosmici usino la loro infinita creatività per operare nel mondo umano. Avevamo seguito alla lettera il consiglio del nostro maestro e aveva-mo fatto nostro il simbolo di Venere.

Se in quel momento un artista olmeco avesse voluto scolpire l'im-magine del nostro corpo eterico, con i geroglifid dei chakra, ci avrebbe sicuramente ritratti impegnati nella danza.

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Capitolo quinto

O Egitto, Egitto! Dei tuoi riti religiosi nulla soprawiverà se non favole, alle quali i figli dei tuoi figli non crederanno. Nulla che racconti della tua pietà sopravviverà, se non le parole incise sulla pietra.r ASCLEPIO

Platone era un iniziato e aveva studiato nelle scuole egizie, e perciò i suoi scritti, ai livelli più profondi, erano di certo destinati a essere letti alla luce del sapere iniziatico.1 Fra i tanti detti che il filosofo greco attribuisce agli antichi misteri, uno dice: «Molti sono'i portatori di tirso, ma pochi i mysles». Questa enigmatica frase contiene una verità che possiede ancora oggi la stessa pregnanza del tempo in cui fu pronunciata.

I mijstes erano adepti, iniziati a una particolare forma di conoscen-za misterica. I portatori di tirso erano invece gli aspiranti all'iniziazione che durante la processione verso i centri misterici portavano il thyrsus, vale a dire un'asta ricoperta di foglie d'edera o di pampini, coronata da una pigna. L'importanza di questo bastone era tale, nel -l'antichità, che la sua presenza in un'opera d'arte è quasi sempre la garanzia che il suo soggetto è iniziatico.

II tirso sacro spicca nella scena della flagellazione rituale raffigu-rata nell'affresco della villa dei Misteri di Pompei del I secolo a.C.2

dove sembra aleggiare nell'aria, alle spalle della danzatrice nuda: la pigna sovrasta il capo dell'iniziato che solleva la tunica della giovane inginocchiata, scoprendole la schiena per la flagellazione (figura63) . L'affresco, che potrebbe essere la copia di un dipinto ellenistico, narra un episodio di un rituale misterico ignoto.3 Nessuno ha mai spiegato perché il tirso sia sollevato da terra; probabilmente quello che si sta celebrando è un rituale dell'Aria.4

I Baccanali furono introdotti a Roma nel III secolo e da principio furono riservati alle sole donne. Gli uomini vi furono ammessi soltanto in una fase successiva. I riti celebrati all'aperto pare avessero carattere orgiastico: le Menadi, scatenate, si cingevano il capo di serpi e raggiungevano un tale stato di delirio da lacerare con i denti le vittime sacrificali che venivano loro offerte. Si dice anche che queste

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selvagge allattassero le bestie feroci, fra cui i lupi, e che nel momento di massima esaltazione apparisse loro il dio.5 Durante i Baccanali le iniziate portavano il tirso come simbolo del loro ruolo.

La comparsa del tirso in riti misterici tanto diversi come la flagel-lazione e il delirio bacchico ne sottolinea l'importanza di emblema iniziatico. Si comprende così meglio il senso delle enigmatiche parole di Platone: molti sono gli aspiranti all'elevato rango dell'iniziazione, ma pochi conquistano questo onore. Il tirso è sicuramente un simbolo esteriore, ma contrassegna anche una trasformazione interiore: portare l'emblema della propria aspirazione è cosa diversa dall'introiettarne gli elementi nel proprio io, diventando un iniziato.

Ci sono buone ragioni per supporre che il caduceo di Mercurio fosse una variante del tirso. Nell'asta mercuriale la vegetazione - edera o pampini - si è trasformata in un livello di vita superiore, rappresentato dalla presenza dei due serpenti avvinghiati. Il seme, ossia la pigna, ha messo le ali. Ancora oggi, in astrologia e astronomia, il sigillo che compare sopra il capo di Mercurio - simbolo del pianeta che porta lo stesso nome - è una rappresentazione semplificata del caduceo e si riallaccia pertanto agli antichi misteri (figura64) . L'asta ermetica alata simboleggia una versione redenta, ossia spiritualmente trasformata, del tirso da cui discende.6 E giustamente, con le sue ali, è stato introdotto un elemento redentore, perché Mercurio (l'Hermes della tradizione greca), oltre a essere taumaturgo, è anche maestro dell'umanità e quindi possiede una conoscenza iniziatica che va ben oltre le capacità evolutive della specie umana.

Alcuni storici dell'ermetismo scorgono in questo curioso bastone il simbolo della nostra spina dorsale - lungo la quale le energie fluiscono come serpenti verso l'alto e verso il basso -7 e nelle ali il simbolo del pensiero emancipato. Ma il caduceo ha probabilmente un significato molto più profondo, nel cui merito non entreremo per il momento, perché la spiegazione precedente è già sufficiente a dimostrare che, qualunque sia il suo significato ultimo, esso è una forma redenta del tirso di cui si ornavano nell'antichità gli aspiranti iniziati, i neofiti.

Come il tirso, il bastone ermetico contrassegna alcune tappe lungo la via sacra dell'iniziazione. I due bastoni del Matto dei tarocchi (figura 8) potrebbero simboleggiare gli estremi della sua via: con uno egli esplora il mondo visibile, con l'altro protegge quello nascosto, il mondo noumenico. Una cosa è comunque certa: entrambi sono connessi con il tirso che l'aspirante adepto recava con sé nell'antichità.

Ci si potrebbe chiedere: ha senso intraprendere un cammino così arduo, con così poche possibilità di successo? Ma, cos'è il successo? E questa la prima domanda da porsi. Già il fatto di mettersi in cammino costituisce un elemento di redenzione: forse non si raggiungeranno

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mai i gradi più alti dell'iniziazione, ma si impareranno molte cose sull'io e sul cosmo a un livello che nessuna scuola normale può insegnare. E dunque, i fallimenti di coloro che sono sulla Via sono solo apparenti: essi potranno, in una successiva incarnazione, riprendere la loro strada, o una strada affine, e continuare la lotta.

Parafrasando Platone, potremmo dire: «Molti sono i portatori di tirso, ma pochi diventano mystes nel corso di una sola vita». Non è esattamente questo il pensiero del filosofo, ma la modifica si impone perché il sistema scolastico vigente e le nostre superstizioni ci impe-discono di leggere le sue parole con lo spirito con cui furono scritte. Siamo tuttavia certi che gli iniziati dei tempi andati ne intendessero esattamente il significato: per loro la reincarnazione faceva parte della realtà della vita.

La via dell'iniziazione non è facile. Uomini e donne sono chiamati a percorrerla per tantissime ragioni, ma per lo più è un prepotente desiderio di luce che spinge un individuo a impegnarsi nell'attività spirituale richiesta dalla Via stessa. Quelli che cominciano il cammino sono mossi da un bisogno interiore, e un giorno arriveranno all'i-niziazione. Ma, potremmo chiederci, che cosa succede alle migliaia di persone che non si fanno carico del tirso?

Quando a Hermes, padre di tutti gli iniziati, fu chiesto quale fosse la natura dell'uomo comune, ossia dell'uomo che non si è immesso nella corrente di sviluppo che conduce all'iniziazione, egli rispose che essa era soltanto «la sfilata del fato».8

Per noi moderni il fato è un concetto di difficile comprensione, abituati come siamo a ritenere di poter controllare il nostro destino, se non come individui, almeno come gruppi politici o come nazioni. Crediamo talmente nella supremazia dell'ego da trovare inaccettabile l'idea che la sorte di tutta una serie di vite sia stata decretata dall'alto con un «fiat!». Non riusciamo a immaginare di poter essere in balia di un fato ordito dagli dei, che annulla la nostra volontà e i nostri desideri individuali. Non era così nei tempi antichi. Allora gli esseri umani percepivano ancora un legame fra la volontà degli dei e la loro vita terrena. Gli oracoli, disseminati per tutto il mondo greco, a Dordona, come a Efira e a Delfi, erano consultati da milioni di persone convinte che gli dei potessero rivelare il loro destino, poiché gli dei l'avevano creato e gli dei lo controllavano.

L'iniziato era colui che decideva di lottare contro il fato, di pren-dere, per così dire, in mano i decreti divini e, mutando il proprio mondo interiore, mutare anche il suo destino personale. Per fare questo, però, egli doveva sapere quale fosse il disegno divino, così da poter collaborare con gli esseri superiori al suo compimento, oppure modificarlo almeno in parte. Chi voleva che la sua vita non fosse

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soltanto «la sfilata del fato», doveva acquisire coscienza della propria condizione: non poteva permettersi di restare assopito duranteil suo viaggio nel cosmo.

Nei poemi epici grecoromani ricorre spesso l'immagine degli dei intenti ad avvolgere l'eroe nel filo del fato, come se il suo corpo fosse soltanto un fuso intorno al quale avviluppare il destino: un concetto che poi si ampliò nell'attività delle fatali Moire, o Parche. In greco antico moira significa «parte», e infatti le tre Moire divennero la personificazione della porzione di destino assegnata a ciascun essere umano.

Personificazioni come Selene e le Moire non sono, come invece potrebbe sembrare, lontane dall'antica concezione ermetica che co-glieva un nesso fra la Luna e il fato. Nelle prime cosmologie il fato dipendeva dalla Luna. Ecate, la dea dalle sei mani, che rappresentava la Luna nuova, orfana della luce del Sole, richiama le Moire: tra le due mani più alte stringe un coltello, l'equivalente delle forbici di Atropo, e in quelle di mezzo ha una sferza; secondo alcuni quest'ultima rimanderebbe al suo aspetto punitivo, ma in realtà è poco più di un filo appeso a un'asticella che ricorda la conocchia di Cloto.0

L'immagine suggerisce come la volontà degli dei, vale a dire il fato dell'umanità, venisse parzialmente messo in atto da Ecate, con le sue tre teste rivolte verso il passato, il presente e il futuro. I romani consideravano Ecate la dea delle arti magiche e le sacrificavano cagnoline e agnelline nere, e dicevano che con le sue tre teste poteva tenere sempre fisso almeno uno dei suoi sei occhi sui crocicchi. È anche vero però che le teste di Ecate rappresentano le tre fasi lunari: la Luna crescente, calante e piena. Ecate in greco significa «colei che agisce da lontano»: una descrizione quanto mai appropriata dell'influsso esercitato da un remoto satellite. Ecate sembra essere il nume tutelare, lunare, degli assopiti, di quanti non hanno ancora trovato la Via.

Personificazioni come quelle di Selene e di Ecate sono lontanissime dalla sensibilità moderna. Molti di noi concepiscono lo spazio come un luogo privo di creature viventi, come «un vuoto», abitato soltanto dalle stelle, dai pianeti e dalla polvere cosmica. Questa visione senz'anima è molto recente: in altre epoche pochi dubitavano che i cieli fossero popolati da esseri spirituali. L'angelologia cristiana, sulla quale si fondano molti sistemi arcani occidentali, non fa eccezione: secondo questa tradizione i cieli sarebbero una serie di sfere concentriche, in cui dimorano gli esseri spirituali, ognuno dei quali ha una sua funzione specifica al servizio di Dio e degli uomini.

La mitologia greco-romana ci sembra tanto remota soprattutto perché le si sono sovrapposte le credenze cristiane, in cui gli angeli

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hanno sostituito gli dei della classicità.10 I primi cristiani, tuttavia, non ritenevano che lo spazio fosse vuoto: anch'essi erano convinti che nei cieli vi fossero gli spiriti.

I documenti più straordinari sull'antico sapere iniziatico sono contenuti nella raccolta di manoscritti che costituiscono il cosiddetto Corpus Hermeticum.u Benché questi testi greco-egizi ^iano noti sol-tanto a pochi studiosi e arcanisti, milioni di persone sono venute a contatto con alcune delle idee in essi contenute attraverso la lettura di quello che è forse il più importante testo poetico della modernità: Quattro Quartetti del poeta angloamericano T.S. Eliot.12 In questo suo capolavoro, Eliot riflette sulla natura del tempo e su talune profonde esperienze spirituali in termini che qualsiasi iniziato alle scuole di Iside e Osiride riconoscerebbe.13

Leggendo i Quartetti non si ha la sensazione di essere di fronte a vecchie idee vestite con panni nuovi, a un sofisticato trastullarsi con concetti cosmologici, ma piuttosto si sente di essere di fronte a un poeta che, in qualche vita precedente, è stato un iniziato ai misteri di Iside e Osiride, sui cui insegnamenti segreti si fonda la letteratura ermetica. Altrimenti, come avrebbe potuto Eliot svelare la natura dell'organo segreto che è assopito nell'uomo ordinario, ma che ger-moglia e cresce non appena questo si avvia sulla strada dello sviluppo spirituale?14

I testi ermetici greci sono basati, a loro volta, su scritti egizi ante-cedenti. Fu soltanto nel XIX secolo, quando si cominciarono a decifrare gli antichi geroglifici e alcuni nomi propri, che si iniziò a cogliere in tutta la sua portata la letteratura esoterica delle origini. Si può dunque affermare che il cuore segreto dell'ermetismo sia rimasto celato per migliaia di anni. Il suo contenuto arcano ha iniziato ad affiorare soltanto di recente; inoltre la natura esoterica di questi documenti è tale da poter essere compresa appieno solo da chi abbia ricevuto una qualche forma d'iniziazione: ecco spiegate le difficoltà dei tanti accademici che se ne sono occupati.15

Quattromila anni fa le persone colte capivano quasi tutte i principi dell'iniziazione e a essa tendevano, in un certo senso, prestando servizio sotto varie forme nei templi. Oggi i templi, intesi come edifici, sono scomparsi o sono ridotti a rovine, ma l'anima umana anela ancora all'iniziazione con la stessa intensità di una volta. L'uomo moderno sente, sia pure confusamente, di essere rinchiuso in una prigione di «plasmi acquei»;16 percepisce istintivamente che il corpo non è la sua vera casa e con maggiore o minore consapevolezza volge lo sguardo verso la saggezza dell'antico Egitto per spezzare le sbarre

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di questa gabbia spirituale.

All'inizio del XV secolo, quando un monaco fiorentino tornò nella sua città dalla Grecia con un manoscritto che sembrava offrire la chia-ve di lettura degli antichi geroglifici, i capi dell'esoterismo occidentale furono presi da grande entusiasmo, convinti com'erano che quei segni avrebbero svelato segreti creduti perduti.17 Da tempo era diffusa la convinzione che gli scritti ermetici dei templi egizi, di cui si era smarrita la chiave di lettura, contenessero un sapere dimenticato. Im-provvisamente sembrava che quella chiave fosse stata ritrovata.

In considerazione degli sviluppi successivi, è significativo che quel libro sia comparso proprio a Firenze, la città che sarebbe stata il fulcro del Rinascimento, il movimento che avrebbe galvanizzato l'intera civiltà occidentale.

Forse le creature angeliche che vegliano sullo sviluppo dell'umanità vollero nella loro bontà che la porta segreta verso la sapienza arcana si aprisse proprio qui, nella città che prende nome dai fiori.18 Nei documenti ermetici, la chiave che conduce all'illuminazione spirituale era chiamata «il fiore segreto».19

Quando studiavamo a New York, il maestro ci aveva spiegato perché la letteratura ermetica fosse l'espressione dell'antico sapere segreto egizio. All'inizio avevamo creduto che il suo discorso si rife-risse all'iniziazione; solo in un secondo tempo capimmo che egli in-tendeva invece tracciare un parallelo fra la scissione che avviene negli esseri umani e quella che avviene fra i corpi cosmici.

Cominciò parlando della conoscenza sacra nell'antico Egitto.«Il Libro dei morti»20 ma egli lo chiamò II libro del maestro dei

luoghi nascosti «è la suprema testimonianza dell'iniziazione e non sorprende che sia stato frainteso dagli egittologi moderni.

«Per chi voglia studiare i metodi iniziatici dell'antico Egitto il modo migliore per farlo è seguire le orme della massoneria, che ha indi-viduato un legame fra i testi di questo libro e la struttura interna della Grande piramide di Gìza. Ma non è di questo che ci occuperemo ora: ci sono già pubblicazioni che forniscono indicazioni sufficienti sulla stretta connessione esistente fra i rituali iniziatici e i corridoi e le camere segrete della piramide.21

«Sarà comunque per noi istruttivo esaminare brevemente uno di questi corridoi. Poiché la piramide è un modello del cosmo, e poichéil cosmo ha impresso la sua maestà sull'intero Egitto, prima di entrare nella piramide daremo un'occhiata alla cartina di questo paese.

«L'Egitto era allora diviso in quarantadue province, chiamate nomi. Ciascun nomo aveva un tempio sacro e una serie di riti iniziatici, legati

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Capitolo quinto

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a una particolare divinità.«Le quarantadue divinità delle altrettante province sono descritte in

molti papiri sacri. Esse sono i Giudici della doppia saja della verità che l'aspirante deve attraversare nel suo cammino verso l'iniziazione. Sono "i consiglieri" del testimone Osiride, e i defunti (o gli iniziati) devono mondarsi dei quarantadue peccati a essi corrispondenti prima di passare allo stadio successivo di esistenza. Per questo forse nei papiri dei morti si afferma che le impurità "vengono sparse a terra" mentre ciò che è puro "sale all'orizzonte": è la separazione che gli inferi richiedono ai trapassati o agli iniziati affinché possano proseguire il loro cammino.22

«Fra l'antico mondo egizio e il nostro c'è il Medioevo. I cristiani avevano la tendenza a screditare gli dei dell'Egitto, non riuscendo purtroppo a comprenderli: fu così che li trasformarono in mostri. È un esercizio divertente scorrere le accurate descrizioni dei settanta- due demoni di Salomone contenute nei grimoires medievali, cercando di rintracciarvi le divinità egizie.23 Il discredito dei neter operato nel Medioevo fu causa di molti equivoci: gli dei egizi erano infatti archetipi e si trovavano a tutti i livelli, in cielo come in Terra, così come nei regni del purgatorio.

«Non è difficile capire perché i cristiani ci tenessero tanto a de-classare a demoni questi dei: alcuni hanno un aspetto davvero terri-bile. Nei papiri e nelle pitture tombali essi assumono forme teriomorfe. Queste figure mostruose racchiudono il cheta, ossia il segreto dell'antica sapienza egizia. Prendiamo, per esempio, l'orrendo dio- ippopotamo chiamato a volte Apet, e a volte Taurt.

«Taurt, femmina dal ventre tondo come una botte e dalle fauci spalancate, sul cui dorso si arrampica il dio Sebek, era raffigurata su una parete del sepolcro di Seti I nella Valle dei Re (figura 65). Ma che cosa ci faceva una coppia di mostri nella tomba di un faraone? il fatto è che non sono mostri, sono stelle. Taurt è la stessa divinità siderea che compare nella forma di ippopotamo nello zodiaco raffigurato sulla volta del tempietto die sorge sul tetto del tempio di Hathor a Denderah. Come abbiamo detto, era chiamata anche Apet, e dunque era associata al cielo, che in antico egizio era detto pet. Non dovrebbe perciò sorprenderci che nei deli ci sia un ippopotamo: Apet e Taurt erano i due nomi dati alla stella che noi oggi conosdamo come gamma Draconis.

«Fino a circa settemila anni fa, questa stella rivestiva un'impor-tanza particolare per gli egizi in quanto era circumpolare: nella mi-tologia stellare contrassegnava la testa dell'ippopotamo. Affermano gli archeologi che intorno al 3500 a.C. la si poteva contemplare dai corridoi centrali del tempio di Hathor a Denderah.24

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«Ma perché gli egizi si presero la briga di stabilire un legame fra l'architettura e questa stella? Qual era la funzione di questo neler?

«Taurt è il neter della moltiplicazione o, più precisamente, del principio numerico che permette la moltiplicazione. Per la sua forma è stata definita un "ventre", un "cielo", ed è stata raffigurata come un mammifero dalla pancia gonfia e le mammelle cadenti: rappresenta infatti la funzione della nutrizione, che permette alle forme di perpetuarsi attraverso la moltiplicazione o generazione. E dunque non è esatto dire che Apet, nella sua forma di Taurt, è semplice- mente la dea della fertilità, che governa le nascite: essa in realtà presiede a qualsiasi estensione nello spazio e nel tempo. E questo il segreto per cui a Taurt fu assegnato un ruolo così importante dagli architetti dei templi, i quali costruirono corridoi (quello del tempio di Ramses era lungo arca cinquecento metri) affinché la stella potesse riversare la sua luce all'interno dei luoghi sacri e delle piramidi, e moltiplicare così il suo influsso sulla Terra. I costruttori dei templi erano letteralmente coinvolti in una sorta di amplesso con le stelle, allo scopo di arrivare a un concepimento che dalle altezze siderali avrebbe portato alla nascita della forma.

«11 corridoio della Grande piramide era orientato in modo tale che la luce di Taurt penetrasse al suo interno. Non sorprende che di que-sta stella si trovi l'immagine dentro le tombe, scavate nella dura roc-cia d'Egitto, a riprova che ne hanno ricevuto l'impronta: la presenza di questa immagine indica che l'uomo è in contatto con i cieli ed è mediatore fra i cieli e la Terra.

«Ebbene, se è vero che i neter, come Taurt, hanno un'esistenza og-gettiva e sono utilizzati dai sacerdoti per legare il cielo alla Terra, è altrettanto vero che queste creature si trovano anche nell'uomo. La tradizione esoterica ha sempre insistito sul fatto che l'esterno è anche l'interno: come la struttura della piramide contiene i quaranta- due nomi, così le quarantadue divinità dimorano neH'interiorità del-l'iniziato.

«Il candidato deve passare davanti a' questi quarantadue esseri, incarnati nell'architettura dell'edificio. Senza dubbio sarà protetto da amuleti e talismani potenti, con tutto il sapere che portano con sé, ma difficilmente egli riuscirà a superare l'esame se conserverà anche la minima traccia dei peccati su cui governano queste divinità. Il neofita deve spogliarsi di queste tenebre mentre si prepara all'iniziazione: se non avrà compiuto questa indispensabile separazione, verrà annichilito dalla potenza dei guardiani che custodiscono la doppia sala della verità. Capite ora qual è il ruolo di certi demoni? Essi sono in realtà guardiani del mondo superiore. Ma non tutti: alcuni sono guardiani del mondo degli inferi. !

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«Ebbene, l'unico geroglifico rintracciato all'esterno della piramide si trova sul portale del doppio arco scavato nel diciassettesimo corso della piramide stessa [W] : rappresenta la linea dell'orizzonte.

«Ovunque ci si trovi, l'orizzonte è all'altezza dei nostri occhi. Se si sosta sui gradini davanti a questo ingresso, si scopre che gli occhi si trovano quasi allo stesso livello del geroglifico e che proprio qui la linea dell'orizzonte interseca la piramide. Il geroglifico segna dunque il punto in cui la piramide e l'aspirante neofita diventano tutt'u- no. La porta costituisce il passaggio fra il mondo esterno dell'Egitto e il mondo interno dell'iniziazione. È un punto sacro, che contrassegna la duplice via dello spazio verticale e dello spazio orizzontale - la via che sale e la via che scende, la via che esce e la via che entra - formando una croce nello spazio e nel tempo. L'estensione nello spazio si rispecchia dentro la piramide, perché il corridoio che conduce all'interno è in discesa.

«Qualsiasi guida vi dirà che questa ripida china non è affatto ca-suale. Un tempo, dal fondo del passaggio si poteva scorgere l'antica Stella polare, Thuban.25 Il candidato cammina dunque con la grande stella che simbolicamente brilla lungo il corridoio, sul suo dorso. Egli discende, come fosse sospinto dalla stella, verso un luogo che giustamente è stato chiamato camera dell'ordalia.26 Essa si trova al di sotto della roccia che fa da fondamento alla piramide.

«Dal punto di vista spaziale la camera dell'ordalia è situata esat-tamente sotto la camera della tomba aperta, sepolta nelle opere mu-rarie della piramide. Orbene, dal nostro punto di vista» il maestro disegnò uno schizzo sulla lavagna «il divisorio fra questa cella sot-terranea e la sacra camera della tomba non è costituito dalla roccia delle fondamenta. Il vero divisorio è all'esterno della piramide, è il geroglifico che abbiamo appena analizzato, e che è posto sopra il doppio arco d'ingresso. Questo significa che è l'antico geroglifico della linea dell'orizzonte - da cui deriva l'attuale segno della Bilancia - a separare gli inferi dai cieli.

«Ogni volta che tracciano la linea dell'orizzonte, da est verso ovest, per individuare la Bilancia in un oroscopo, i nostri astrologi impiegano senza saperlo simboli che discendono dagli antichi misteri iniziatici. La posizione del geroglifico nella Grande piramide sta a significare che l'umanità - anche quella piccola parte di essa che aspira all'iniziazione - non può andare oltre la seconda morte della tomba aperta. E che tutti gli esseri umani devono, prima o poi, discendere nel pozzo dell'ordalia. I misteri cristiani esoterici, in cui Cristo risorge e poi discende all'inferno, costituiscono una parabola di quest'antica tradizione.

«Le piramidi erano luoghi di scissione: furono concepite per per-

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mettere all'alto di separarsi dal basso.»Il maestro ci disse molte altre cose sulle camere segrete dell'inizia-

zione e sui metodi degli antichi egizi. Ci raccontò perché il luogo in cui avveniva l'iniziazione vera e propria si trovava fra la camera del-l'ordalia e quella della tomba aperta. Ci spiegò che i metodi iniziatici prevedevano che i sacerdoti trapiantassero immagini nel corpo spiri-tuale degli iniziati, per distaccarlo da quello fisico. La saggezza conte-nuta in tali immagini sarebbe diventata parte del loro essere quandoil corpo spirituale si fosse ricongiunto con quello fisico. Compren-demmo allora che le pitture sulle pareti dei sepolcri, così come i movi-menti cui costringevano i corridoi e le camere delle piramidi, diventa-vano immagini nell'anima di chi cercava l'iniziazione (figura 19).

Con le sue parole il maestro confermò con eleganza ciò che aveva-mo già cominciato a intuire leggendo le straordinarie conclusioni del- l'egittologa Schwaller de Lubicz,27 e mutò l'intero corso della nostra vita esteriore. La visione degli antichi misteri iniziatici ci commosse a tal punto che decidemmo di metterci in viaggio per visitare i luoghi sacri in cerca delle vestigia di quella saggezza perduta.28 Sapevamo che perché essa potesse rivivere dovevamo sperimentare di persona.

Nell'ultimo incontro che avemmo con il maestro prima della sua morte, egli mantenne la promessa di parlarci dei segreti della Luna.Di solito aspettava che fosse qualcuno del gruppo a sollevare delle domande, ma questa volta iniziò a parlare senza preamboli.

«Nella letteratura esoterica si accenna spesso al fatto che un tempo la Luna faceva parte della Terra, ma poi dovette distaccarsene af-finché questa potesse proseguire senza ostacoli il suo cammino spi-rituale.

«È bene che quanti hanno intrapreso la Via si sforzino di capire esattamente il senso di tale separazione, perché essa non solo ebbe una grande importanza dal punto di vista evolutivo nella cosmogenesi della Terra ma si replica anche in miniatura in molte delle nostre attività spirituali. Quella della Luna è la forma archetipica della scissione. Purtroppo, però, le nostre facoltà immaginative si sono fatte più materiali, per cui fatichiamo a figurarci questa perdita della Luna. Stentiamo a farci un'immagine chiara della separazione che sta alla radice di tutta l'attività spirituale: abbiamo difficoltà a visualizzare le cose in termini puramente spirituali. E questo accade perché la creazione di immagini, che è alla base della nostra facoltà im-maginativa, ha bisogno della mitologia, essendo la mitologia stessa un agente della spiritualità.

«Ebbene, se al momento questo tipo di immaginazione vi è im-possibile, non vi rimane che aggrapparvi alle immagini materiali...»

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Capitolo quinto

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Sollevò il bicchiere d'acqua sul tavolino rotondo che aveva di fronte: «Immaginate un bicchiere di acqua intorbidita da un pigmento. Lasciandolo riposare, le particelle di colore calano a poco a poco sul fondo, formando uno spesso strato sedimentoso, mentre l'acqua sopra ritorna chiara. Tutto ciò è molto simile a quel che accadde quando la Luna si staccò dalla Terra, portando con sé alcune forme di scorie materiali. Ora cercate di collegare questa separazione con il sigillo della Libra, la Bilancia, meditando sul posto che questo settimo segno occupa nello zodiaco. Non dimenticate che la Bilancia è un segno non violento. So benissimo che questa immagine piacerebbe poco ai seguaci di Velikovsky, che periodicamente si figurano attacchi catastrofici contro la Terra.29 Pure, resta il fatto che nel lontano passato né la Terra né la Luna erano così materiali come lo sono ora.

«La concezione secondo la quale i pianeti sarebbero in uno spazio esteso appartiene soltanto alla visione fisica. È indispensabile che capiate bene questa nozione, altrimenti non riuscirete mai ad acco-starvi a certi misteri fra i più profondi del cosmo. Ciò che pare esterno sarebbe più accurato definirlo interno. La nostra visione terrena è molto limitata: noi di norma rivolgiamo lo sguardo verso l'esterno, dal centro dell'ego verso la periferia. Ma questa non è una visione cosmica. E tuttavia, siamo così abituati a questa visione ristretta da non riuscire ad accettare l'idea che esistano altri modi di vedere, fra cui quello che dalla periferia punta verso il centro.

«Nel caso della Luna il tutto si fa ancora più complicato, perché essa un tempo faceva concretamente parte di quella che noi chiamia-mo Terra. I due centri, quello lunare e quello terrestre, coincidevano. Ma per seguire tutte queste connessioni occorre una grande capacità meditativa e questa mia esposizione, così schematica, potrebbe esse-re fuorviarne.»

«Perché» domandò Philip «la Luna ha dovuto separarsi dalla Terra?»

«È stata una scissione cosmica. La Luna è costituita da minerali più duri di quelli della Terra. Al suo interno si trovano sostanze che, se fossero rimaste nella Terra, avrebbero appesantito eccessivamente l'evoluzione umana. L'uomo non sarebbe riuscito a sopportare il peso di quelle forze nel suo corpo. Se noi, come ci insegna l'introspezione, dobbiamo liberarci dalle tenebre per raggiungere la luce, altrettanto devono fare i corpi planetari. E tuttavia, è pur vero che conil suo peso la Luna, pur distando tantissimi chilometri, contorce an-cora il corpo fisico della Terra e dei suoi abitanti attraverso i cosiddetti "effetti gravitazionali".30

«E ora veniamo al rapporto fra la Luna e la chiaroveggenza. E un argomento che dobbiamo affrontare perché qualcuno di noi - più o

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meno saggiamente - ha partecipato a gruppi medianici.«Sarò molto franco sui pericoli che comporta aprire l'anima a tali

attività. Io non sono qui per proibire. Non ne ho il potere, né aspiro ad averlo. Per quanto grande possa essere il mio desiderio di proteggervi, non posso farlo. Posso soltanto indicarvi i pericoli. Tutto il resto, le vostre credenze e la vostra condotta, riguardano soltanto voi.»

Dallo sguardo che ci rivolse capimmo che era arrivato il momento culminante della serata.

«Ora esamineremo una verità esoterica che è ai limiti di ciò di cui è concesso discutere. Quanto vi dirò non garba a molti nostri con-temporanei. E questo perché tanti sono convinti che la chiaroveg-genza, la medianicità e le attività spiritistiche siano connesse con lo sviluppo spirituale e dunque procurino dei benefici all'umanità. Ma non è affatto così. Gran parte dell'attuale letteratura spiritistica si basa sul channelling e sulla chiaroveggenza, tecniche che, oltre a non servire allo sviluppo dell'uomo, sono decisamente nocive.

«Vi rivelerò quello che fino a non molto tempo fa era uno dei segreti più gelosamente custoditi dalle scuole esoteriche: la Luna costituisce per certi versi il maggiore problema di questa tradizione. Essa non è affatto quello che sembra.

«Alla fine del secolo scorso contrasti sorti fra i membri di alcune scuole arcane portarono a una rivelazione sconvolgente. Furono date in pasto al pubblico informazioni che erano gelosamente custodite dagli ordini ermetici interni più chiùsi. I segreti svelati toccavano un livello di conoscenza molto più profondo di quello che fino ad allora era stato ritenuto esoterico dalle varie scuole, anche in questa età illuminata.»

Pronunciò questa parola con un tono sarcastico che non passò inosservato.

«A noi non interessa documentare come sia stata rivelata un'idea così intrinsecamente ermetica, né se sia stato un gesto saggio: la cosa è già stata trattata in numerosi libri, e per chi fosse interessato all'ar-gomento, fornirò in seguito qualche titolo.

«In sintesi, durante lo scontro fra le scuole, fu reso'noto che la Luna è una sorta di contrappeso di un'altra sfera invisibile all'occhio normale, quella che i circoli esoterici chiamavano l'ottava sfera.

«Occorre andare cauti con le parole perché, nonostante quanto ho appena detto, non si tratta in realtà di una sfera, e neppure di una Luna. Né è esatto situarla dietro la Luna fisica, perché nel mondo dello spirito gli spazi e le distanze sono diversi. La verità è che questa ottava sfera non assomiglia a nulla che ci sia familiare sul piano fisico. D'altra parte possiamo esprimerci soltanto con le parole che abbiamo a disposizione. Allora, per approssimazione, potremo dire che questa

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sfera è un vuoto. Proprio così: un vuoto, perché l'ottava sfera risucchia le cose nella sua esistenza d'ombra.

«Nella scala dell'essere essa occupa una posizione inferiore alla settima sfera, che è la Terra. È una sorta di condotto demoniaco che aspira nelle sue fauci talune forme spirituali degeneri che si trovano sulla Terra: è una sfera-ombra, controllata da esseri-ombra. Ma il fatto che siano esseri-ombra non deve indurci a sottovalutarne le capacità e l'intelligenza. Per molti aspetti essi sono più intelligenti di noi, perché a differenza degli uomini non sono limitati dalla forza dell'amore.

«Il funzionamento dell'ottava sfera è assai complesso. I suoi abi-tanti - quelle ombre di cui è dimora - ambiscono a popolarla di esseri umani, o più precisamente di anime umane. A questo scopo essi hanno, per così dire, costruito sulla Terra dei terminali - in realtà sono condotti per le anime - i quali risucchiano nella parte inferiore della sfera una forma di energia spirituale materializzata che si genera sul piano terrestre. Fra le circostanze in cui più frequentemente avviene questa materializzazione o generazione di energia ci sono le sedute spiritiche e altre situazioni in cui gli esseri umani, contravvenendo alla legge cosmica, tentano di interferire nei piani eterici inferiori.»31

Philip aveva difficoltà a seguire la strana spiegazione del maestro. «Intende dire che lo spiritismo è a sua volta vittima dell'ottava sfera?»

«Sì, Philip. Alcune forme di spiritismo derivano dall'erronea cre-denza che il regno dei morti sia accessibile ai vivi. In realtà l'attività medianica non è in grado di penetrare nel regno dei morti vero e pro-prio. Quelle di cui si occupa sono soltanto ombre. Con i suoi interventi non fa che foraggiare l'ottava sfera: il risucchio di alcune forme della sostanza dell'anima nell'ottava sfera non va assolutamente a beneficio dell'umanità. Lo scopo degli abitanti di quel mondo è in-grandire e popolare un luogo che può giustamente essere definito il regno dei dannati. Tutti gli sforzi di questi esseri o demoni vanno in senso contrario all'evoluzione prevista per l'uomo. Gli esseri umani non sono stati concepiti per diventare ombre, prigioniere di una sfera demoniaca: sono stati concepiti per diventare dei.

«È passato meno di un secolo da quando il concetto dell'ottava sfera divenne di dominio pubblico.32 La violazione del sapere iniziatico sollevò al tempo grandi proteste, ma noi ora sappiamo che l'aver svelato a tutti la minaccia demoniaca fu un bene. E più fàcile lottare contro un nemico visibile, che contro uno invisibile. Quelli che si dedicano a queste presunte comunicazioni con i morti e con quella terra dello spirito che essi scioccamente immaginano si trovi dietro il velo adesso sono avvertiti.

«Quanto alla scuola colpevole di avere rivelato il segreto dell'ottava

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sfera, si è comportata in modo molto maldestro. La persona delegata a questo, se così si può dire, era un occultista non molto abile né molto avanzato. Si chiamava Sinnett33 e lavorava con il gruppo dei teosofi che, per ordine di Madame Blavatsky, negli ultimi decenni del XIX secolo erano impegnati a divulgare la saggezza orientale tramite la Società Teosofica. A noi comunque non interessa giudicare qui l'incompetenza di Sinnett: Madame Blavatsky ne vide gli errori ma, per ragioni note soltanto a lei, si astenne dal correggerli in modo sistematico e pubblico.34

«A noi preme piuttosto sapere da dove provenisse l'attacco a Sin-nett. A opporsi era un gruppo cristiano, appartenente alla HighChurch, che designò a proprio portavoce un iniziato molto colto, C.G. Harrison. Ebbene, quest'uomo, profondamente cristiano, ne sapeva molto più di esoterismo di Sinnett e della maggior parte dei teosofi. La sua analisi dell'ottava sfera fu davvero magistrale, ed era chiaro che egli tentava di correggere alcuni degli errori compiuti da Sinnett perché era ben consapevole della gravità delle conseguenze a cui avrebbero potuto portare. Fu così che, per criticare le tesi erronee di Sinnett, Harrison divenne il primo iniziato a esporre in pubbliche conferenze la natura dei conflitti che dilaniarono le scuole segrete d'Europa e d'America nel XIX secolo.35

«Qualcuno di voi si stupirà sentendo che nella Chiesa esisteva an-cora una corrente di sapere iniziatico, sia pure legata a dei dissidenti. Di fronte, alla storia della Chiesa viene da pensare che ogni forma valida di esoterismo sia degenerata o si sia corrotta a mano a mano che ai contenuti interiori è subentrata la forma esteriore. E perciò si ritiene che il sapere esoterico sia meglio cercarlo fra gli apocrifi o i testi delle scuole ereticali, piuttosto che fra quelli della Chiesa uffi-ciale. Ma è un errore. Non solo la Bibbia - e la letteratura apocrifa a essa connessa - resta la suprema opera arcana dell'Occidente, ma ta-lune verità nascoste, discese in origine dalle antiche scuole misteri-che, sono tuttora conservate all'intemo della Chiesa.

«Ascoltando le mie osservazioni, forse penserete alle voci che cor-rono in certi circoli, secondo le quali le tradizioni esoteriche ed ereti-cali sarebbero nascoste in ima parte segreta della Biblioteca del Vati-cano.36 Alcuni anni fa ebbi il privilegio di compiere ricerche negli archivi dello Stato Pontificio e posso assicurarvi che, benché nelle decine di chilometri dei corridoi di queU'immensa biblioteca debbano esserci centinaia di documenti arcani, questi hanno poco a che vedere con le tradizioni esoteriche del cristianesimo. Il vero sapere non può essere chiuso nei documenti. Le pergamene, i palinsesti e le carte delle biblioteche sono idee agonizzanti, gli oscuri sedimenti della scissione.

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«Cercate di imprimervi bene nella mente questo concetto. La vera sapienza esoterica si rivela negli atti, non nelle parole, e quando viene conservata in quei luoghi che chiamiamo biblioteche essa è in forma di simboli che solo pochi sanno decifrare. Questo è uno dei segreti più profondi dell'iniziazione, gelosamente custodito nei circoli esoterici. Contrariamente a quanto si crede, le dottrine ermetiche non sono racchiuse nei libri. Il sapere arcano - a dir il vero ogni forma di conoscenza - può essere conservato soltanto nell'anima e nello spirito degli esseri umani.»

Nessuno di noi sospettò che quelle sarebbero state le ultime parole pronunciate dal maestro.

Il libro forse più interessante fra i compendi di ermetismo greco-egizio è quello che gli studiosi chiamano Kore Kosmon.37 Il testo sem-bra essere il racconto fatto dalla dea Iside al figlio Horus sulla crea-zione del mondo e sul rapporto fra il creato e i mondi dello spirito; abbiamo detto «sembra», perché in realtà il libro è esoterico da cima a fondo e la creazione di cui narra riguarda anche tutte le tappe ini-ziatiche di chi è sulla Via.

Come accade spesso con i testi ermetici, anche il Kore Kosmon è concepito per essere letto almeno su tre livelli, cosa che ha messo in difficoltà non pochi accademici. 11 libro, d'altra parte, dice chiara-mente che la Iside autorizzata a rivelare i segreti della tradizione isiaca non è la dea, bensì una sacerdotessa del suo ordine. Il nome Iside infatti non designava soltanto la dea, ma anche un particolare grado iniziatico.

Poco prima che le anime destinate a diventare umane fossero co-strette a calarsi nei corpi di «plasmi acquei» - racconta il Kore Kosmon - dalla Terra si levò uno «spirito possente che nessuna massa corporea poteva contenere, la cui forza consisteva nel suo intelletto». Quello spirito possente era Momo.38

Momo chiese alle altre divinità quale nome assegnare ai nuovi es-seri e, quando gli fu detto che dovevano essere chiamati «uomini», egli disse a Hermes: «E un'opera audace, questa creazione dell'uomo, con occhi curiosi e lingua loquace... Tu, creatore di questo terrestre, sei certo di volerlo lasciare libero da ogni cura? Di volerlo mantenere immune dal dolore?».39

Hermes, cui era stato dato l'incarico di portare a compimento la creazione dell'uomo, replicò con la consueta sagacia. Per portare il dolore fra gli esseri umani, egli li rese responsabili di ogni loro azione, pensiero e parola. Ne affidò la sorveglianza alla dea Adrastea, dallo sguardo acuto, e ideò uno strumento «dotato di una capacità visiva infallibile cui nessuno può sfuggire ... dalla nascita fino alla

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dissoluzione finale, che lega insieme tutto ciò che viene fatto».40

Questo strumento è quel che i moderni esoteristi chiamano karma.Nonostante gli accurati preparativi, le cose nel mondo umano non

andavano bene, perché l'umanità era del tutto ignara del karma e delle sue conseguenze. «Non avendo nulla da temere, l'umanità peccava in tutto.» A lungo andare gli dei cominciarono a soffrire per la malvagità dell'uomo e a chiedere di porvi rimedio. Dio rispose al

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le preghiere degli esseri spirituali e inviò sulla Terra una sua emanazione con il compito di cambiare l'umanità. A questo punto della storia, raccontata dal Kore Kosmon, Horus chiese: «Com'era questa emanazione di Dio e come la ricevettero gli uomini?».

Iside però si rifiuta di rispondere al figlio, dicendo che è proibito divulgare questo tipo di conoscenza. Non poteva parlare di un mistero così grande, poiché questo ru, «via-di-nascita» degli dei immortali, non poteva mai essere rivelato agli uomini.41

E tuttavia, nonostante il rifiuto di infrangere il voto del silenzio, Iside ritiene di poter svelare altri misteri al figlio neofita, ed espone in modo sorprendentemente dettagliato le conseguenze segrete dell'avvento di questa emanazione. Chiunque o qualunque cosa essa fosse, la sua venuta ebbe l'effetto di portare sulla Terra le scuole iniziatiche e di diffondere gli insegnamenti delle pratiche magiche che esse tenevano segrete. Iside e Osiride, i due grandi dei che sembravano essere gli inviati dell'emanazione, insegnarono all'umanità l'arte sacra di divinare i luoghi in cui erigere templi ©celebrare riti. Insegnarono le verità nascoste nei ricordi di Hermes, il Maestro dell'iniziazione, e quali di esse potevano essere impartite ai mortali. Insegnarono agli uomini i misteri dell'imbalsamazione, quelli terribili della morte e le ragioni per cui i defunti anelano così ardentemente a tornare nel corpo. E insegnarono che tutto lo spazio pullula di demoni e di spiriti e che l'antica saggezza di Hermes era scolpita su pietre nascoste.42

Se, come aveva suggerito il nostro maestro, il bastone che il Matto porta sulla spalla si ricollega alla piuma di Maat, allora noi abbiamo la responsabilità di esaminare il nostro karma, che rimane nascosto alla vista nel fagotto appeso all'asta-clava che abbiamo sulle spalle 43 In molti testi moderni - anche quando pretendono di essere opera di altissimi vertici spirituali - si equivoca sul karma; si afferma in genere che è possibile «trattare» il karma con ogni sorta di tecnica, fra cui l'ipnosi e la regressione ipnotica. Sono metodi all'apparenza facili per liberarsi dalle conseguenze karmiche indesiderate, ma se li si esamina alla luce delle verità spirituali, essi si rivelano molto pericolosi.

L'ipnotismo si riallaccia alle antiche tecniche iniziatiche che veni-vano praticate nei templi egizi da sacerdoti iniziati di sommo grado.44

Essi sapevano come affrontare il karma e la reincarnazione, perché operavano sotto il controllo di ierofanti che avevano sondatoi segreti più profondi dell'animo umano. Al giorno d'oggi sono po

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chi gli ipnotisti dotati della competenza e della visione iniziatica di cui godevano quei sacerdoti, e di conseguenza le pratiche ipnotera- peutiche di solito si muovono ai margini della magia nera.45 Nono-stante gli ovvi pericoli e i rischi insiti in tali metodi (e nelle pratiche regressive a essi collegate), le tecniche ipnotiche vengono utilizzate in talune scuole arcane che sono al servizio della Via sinistra. Certe scuole di nostra conoscenza - ma di cui non ci è permesso né parlare né scrivere - ricorrono a una versione snaturata del rito nero men-zionato nel Kore Kosmon, che si ritiene sia stato un processo iniziatico di molto anteriore ai misteri isiaci. Il rito nero, prima di scadere nelle forme utilizzate dalle scuole di magia nera, era impiegato nell'ini-ziazione di individui altamente evoluti nei templi più segreti del dio egizio Ammone, del cui nome si sente ancora l'eco nell'amen che conclude molte preghiere cristiane.

L'uomo non è un angelo, e tuttavia possiede una sapienza, che gli deriva dall'esperienza sulla Terra, superiore a quella degli angeli. L'uomo conosce gli abissi della Terra su cui fu scagliato tanto tempo fa, abissi inaccessibili agli angeli, che non hanno un corpo materiale per esplorarne le profondità. Come l'uomo non può scorgere la luce plemorica - la grande luce spirituale del mondo noumenico - su cui gli angeli tengono fisso lo sguardo, così gli angeli non possono vedere la densa materialità che l'uomo ha costantemente davanti ai suoi occhi.

Se questa tradizione sacra è vera, allora occorre chiedersi: che co-sa hanno in comune l'uomo e gli angeli? La risposta a questa do-manda ha una profondità che ci porta dritto al cuore delle scuole ini-ziatiche. Negli angeli l'amore è sviluppato fin quasi alla perfezione; nell'uomo l'amore non è sviluppato quasi per nulla ed è confuso con molte altre entità che sgorgano dai regni del desiderio.

A differenza degli angeli l'uomo non ha ricevuto il dono dell'amore puro: per poter progredire deve perfezionarsi fino a imparare ad amare senza condizioni e senza desiderio. Un aspetto dei misteri che Iside non si sentiva libera di esporre al figlio, connesso con la discesa dell'emanazione nei regni inferiori, era che all'umanità era stata of-ferta la possibilità straordinaria di diventare superiore agli angeli. Il grande sacrificio che è a fondamento dell'avvento dell'emanazione è la via-della-nascita, che è la via iniziatica attraverso cui l'uomo nasce al futuro.

Su questa nostra Via del Matto abbiamo avuto due esperienze, fra loro connesse, che ricordiamo con una gratitudine tutta particolare nei confronti degli angeli. Scriviamo queste parole con una certa ri-luttanza, perché abbiamo ora una capacità di discernimento tale da capire che gli esseri angelici giocano una parte in ogni momento della vita di ognuno di noi. Sappiamo anche che raccontare un evento può

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significare cambiarlo, non soltanto nel ricordo, ma anche nella sua essenza, perché tutti gli atti umani si dipanano nello spazio e nel tempo come su un telaio in cui i disegni dell'ordito possono essere presi e ripresi per intessere sempre nuove forme.

Adesso siamo consapevoli che non riusciremmo neppure ad at-traversare la strada senza la guida e la protezione degli angeli. E tut-tavia, se vogliamo presentare un quadro a tutto tondo della crescita di questo Matto, dobbiamo parlare di quelle due esperienze durante le quali l'intervento degli angeli ebbe una profonda importanza.

A metà febbraio del 1964 i cieli si spalancarono sopra di noi, e noi vedemmo il mondo superiore per quello che è: la dimora di esseri spirituali creativi. Con quanta facilità scriviamo queste parole e con quanto sconforto siamo costretti a riconoscere come sia difficile cat-turare con le parole il senso di ciò che veramente accadde in quel momento particolare della nostra vita, quando i cieli ci rivelarono una scintilla del loro splendore.

Non avevamo avuto alcun presentimento del fatto che ci sarebbe stata concessa una visione. Avevamo appena visitato un necroman- teion scoperto di recente nella Grecia occidentale, in cui nell'antichità si evocavano i demoni a scopo divinatorio.46 La striscia di terra che avevamo appena percorso in automobile era un tempo una mi-nacciosa palude, chiamata Lago dei morti.47

Nel villaggio di Efira, in riva all'Acheronte, dove anticamente sor-geva una città, ci sono i resti straordinari del luogo greco-romano le-gato all'«oracolo dei morti». In superficie non rimane ora che un la-birinto di muri senza tetto, ma l'elemento più interessante di questo sito sacro è costituito da una cella sotterranea, celata, fino a non mol-to tempo fa, sotto una chiesa e un cimitero. Al momento della nostra visita gli scavi non erano ancora conclusi e si accedeva alla cella scendendo per una scala a pioli. L'interno era illuminato da un'unica lampadina da cento watt, che accentuava l'ombra delle volte e le deformava sul pavimento irregolare di terra battuta. Quella luce lu-gubre era forse la più adatta per volgere lo sguardo indietro di tre o quattro millenni.

Gli scavi dell'edificio erano cominciati nel 1958,48 ma di questo luogo molto già si sapeva dalla letteratura classica e da qualche fug-gevole riferimento presente in fonti tardoromane.

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L'iniziatoEra qui - a volte nella cella sotterranea (figura 49), a volte nel so-

vrastante labirinto di edifici sacri - che sacerdoti appositamente ad-destrati evocavano gli spiriti dei morti, recitando i nomi dei demoni infernali e indicando agli interroganti quali sacrifici compiere, se offrire un capro o una pecora.

11 sito dell'oracolo era famoso nell'antichità, come testimoniano i molti documenti sui pellegrini che si recavano a Efira. Periandro, il tiranno di Corinto del VI secolo a.C., inviò i suoi messaggeri affinché i sacerdoti evocassero l'ombra della regina Melissa (da lui assassinata) chiedendole dove avesse nascosto i gioielli.49 In un'epoca ancora più remota era venuto a interrogare l'oracolo anche l'eroe di Omero, Ulisse. Egli aveva sacrificato un capro nero e consultato gli spiriti e, con sua sorpresa, fra le ombre salite dal regno dei morti che gli si erano fatte incontro, egli riconobbe non soltanto i vecchi compagni, ma anche la madre, che credeva ancora viva.50

E difficile stabilire a quando risalga l'oracolo di Efira: gli studiosi affermano che gli edifici sopravvissuti sono per lo più di epoca ro-mana, ma la cella sotterranea è di certo più antica. Il luogo sacro pare sia stato abbandonato dopo un incendio che lo avrebbe devastato intorno al II secolo a.C.; tuttavia, il fatto che ne parli Omero, il quale scrisse nel IX secolo a.C., fa di questo oracolo uno dei più antichi del mondo occidentale finora esplorati.

Il luogo è tale da rendere difficile pensare che possa favorire i con-tatti con il mondo superiore: nell'antichità i demoni e gli spiriti dell'Ade erano sempre collocati nelle viscere della Terra. Eppure, fu mentre in automobile ci allontanavamo dal necromanteion che i cieli si spalancarono per noi. Quell'esperienza non ce l'eravamo guadagnata né meritata: fu, ne siamo convinti, un dono celeste. Avevamo compiuto i quotidiani esercizi spirituali con l'abituale misto di atten-zione e disattenzione, quella che il nostro maestro chiamava «la nor-malissima e imperdonabile inerzia umana». La nostra vita andava bene, ma non tanto da inorgoglirci. Non eravamo né innamorati né disamorati; né affamati né sazi. Tutto era molto normale: ci trovavamo insomma fra i consueti miracoli da cui noi esseri umani siamo di solito circondati, senza farci caso. Gli angeli che ci guidano si erano di certo accorti che bisognava fare qualcosa. Forse avevamo bisogno di essere scossi, di avere una visione.

Quel giovedì eravamo al volante della nostra macchina sportiva e percorrevamo la strada fra Efira e Corinto. La giornata era tiepida e insieme afosa e nuvolosa. Provavamo un senso di oppressione, come quando sta per piovere e pensavamo di doverci fermare a chiudere la capote dell'automobile. Ma invece di arrestarci, rovistammo nel cruscotto in cerca di un'audiocassetta e trovammo la Missa la sol fn re mi di josquin des Prés,51 un mantra musicale che non appena cominciò a dispiegarsi sembrò suscitare vibrazioni nella nostra anima. Provammo una felicità intensa, senza una ragione precisa.

Alzammo gli occhi verso il cielo, aspettandoci di scorgere le nuvole,

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Capitolo quintoe non ne vedemmo neppure una. Su, in alto, veleggiava un grande uccello con le ali immobili. Improvvisamente, come sgorgata dal nostro intimo, una gioia di cui fino a quel momento eravamo in-consapevoli si rovesciò all'esterno e divenne parte della gioia del mondo. Le nuvole si dissolsero e al loro posto ci fu la luce. Ma non era una luce normale: sarebbe più giusto definirla vita, anche se una parola sola non basta a descrivere quello che provavamo, perché, ol-tre a vedere un cielo diverso, scorgevamo anche la nostra automobile che nella strada giù in basso percorreva a forte velocità la corsia centrale. Dentro l'abitacolo c'era il nostro corpo, non più grande di un pollice. j

Ci sono molti modi per raccontare questa esperienza, ma tutti me-taforici. Era come essere sul litorale di un'isola deserta, immersi fino alla vita in acque azzurre, guardare la superficie limpida attraversata dalle luminose, ondeggianti scie verdi disegnate dai raggi del Sole, e restare incantati alla vista di una miriade di pesci con tutte le sfumature dell'arcobaleno. Quei pesci sono scintille luminose o sono forse schegge delle cinque note delle frasi musicali della magnifica messa di Josquin des Prés? Sono pesci musicali, del tutto diversi dai pesci di questo mondo.52 E ancora: queste creature viventi trasudano forse della gioia di cui è colma la nostra anima, di quella gioia che è la ragione per cui Iside era chiamata la Signora del mare? Domande del genere non hanno molto senso per chi non è immerso fino alla vita in quelle acque verde-azzurre, per chi è nel regno sensibile, ma nel mondo in cui noi ci trovavamo, queste parole si avvicinano al significato: l'esterno e l'interno erano riflessi l'uno dell'altro e non c'era né un me né un te; né un questo né un quello. Forse il termine in greco antico zodia - vocabolo frainteso nei tempi moderni - è quello che esprime meglio la sensazione di vita pulsante che cogliemmo nei cieli mentre guidavamo una macchina sportiva fatta anch'essa di metallo celeste su una strada che avrebbe potuto condurre ovunque, eternamente, perché dire che aveva fine significherebbe situarla nel tempo.

«Raccontaci» diranno, «com'era, signor Matto, questa visione? Questa contemplazione del mondo superiore?» E tu sospirerai, per

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ché non ci sono parole che sappiano descriverla bene. Però potresti dire: «Sì. Io ero là. Io l'ho vista. Sì, non è proprio come immaginate. Anzi, è qualcosa di incredibile. Angeli, sapete, e esseri viventi.»

E i tuoi interlocutori ti guarderanno con occhi vuoti. Da quegli sguardi capirai, e non proverai neppure più a spiegare, riservando loro quel silenzio impenetrabile che da sempre si ritiene debba circondare le cose segrete. Da quegli sguardi capirai che non serve, non serve più, tentare di dire la verità con le parole di tutti i giorni.

«È la visione dell'omino» forse affermerai, dicendo la verità e pensando a quella figura grande come un pollice chiusa nella mac-china laggiù.53

«La visione del microcosmo?» chiederanno, rivelando la loro in-comprensione.

«No, dell'omino. Di un uomo non più grande della lettera i sulla pagina che state leggendo. Quel piccolo uomo alza lo sguardo e si ri-trova nei cieli, e scruta verso il basso, verso se stesso. E lo specchio di se stesso, così come la i sulla pagina davanti a voi deve rispecchiarsi nel vostro occhio e nella pagina che è nel vostro occhio... No, forse non è saggio dirvi queste cose. Vi dirò soltanto che valeva la pena guardare così forsennatamente, soffrire tanto, per vedere la bellezza del cielo, una bellezza che sembrava distaccata, immersa in un tempo diverso, separato.»54

Ma ora, siccome parli da poeta, sanno che non dici più la verità. E tuttavia insisti a erigere questa barriera di parole perché senti che soltanto la poesia, pronunciata da un vero poeta, può raccontare come la luce solare si rifranga su una miriade di pesci al cui paragone l'arcobaleno è sbiadito.

Dovevamo essere rimasti sempre dentro la macchina sportiva, perché guidavamo ancora e il cielo sopra di noi, densamente popolato di spiriti, stava svanendo. In un ultimo sussulto di arroganza avevamo sperato che la visione durasse in eterno e ci eravamo sorpresi a domandarci come avremmo potuto condurre una vita normale e nel contempo partecipare di quello splendore così indicibilmente vero. Ma in quello stesso istante calò un'ombra, come fosse passata una nuvola, e tutto finì.

«Questa visione ha cambiato la tua vita?» ti chiederanno. E tu ca-pisci la domanda, ma le parole con cui rispondi suonano rozze e lon-tane dalla verità.

«Abbiamo visto che tutti siamo sorretti» potresti dire, cercando di cogliere l'essenza della cosa. «Esistono davvero degli spiriti che ci afferrano. Non solo nei campi di segale, ma lassù nei cieli che dall'alto guardano la segale quaggiù, e nella terra che nutre la segale, e nel Nilo celestiale dove i campi di segale sono diventati canneti. Essi ci catturano e ci sorreggono, e tutte le nostre lacrime e le nostre tri-stezze sono un affronto a questi esseri che ci sostengono e sanno che l'universo è cominciato con sette grandi risate, il cui eco risuona an-cora.»

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Capitolo quinto

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«Ora comprendete?» domanderai.Ed essi risponderanno: «Sì». Ma tu sai che non possono capire, e

non capiranno finché anch'essi non saranno immersi fino alla vita in quelle acque che Paracelso chiamò mare celestiale e acque vergini, e che i testi isiaci chiamano il Nilo celestiale.55

La visione ci ha insegnato qualcosa che potrebbe accadere a tutti gli esseri umani, ci ha insegnato che verrà il tempo in cui molti uomini e molte donne saranno presi dal desiderio di entrare in contatto con il regno dello spirito. La visione ci ha offerto un barlume dell'evoluzione che attende quanti verranno salvati e potranno così entrare in un mondo superiore. 1

La visione non tornò più, forse perché aveva raggiunto il suo scopo e aveva aperto uno squarcio su ciò che sarebbe possibile per l'u-manità che cerca. Dopo quest'esperienza il mondo quotidiano ci parve per qualche tempo piatto, benché fosse carico di un'energia spirituale che sentivamo pulsare dietro l'apparenza esteriore delle cose. Ma anche questa sensazione svanì e tutto tornò a essere il consueto mondo-ombra, un riflesso di quello più alto, il mondo isiaco che rispecchia la luce di Osiride. Tutto tornò alla normalità, ma la bellezza e la promessa di quella visione si sono impressi nella nostra memoria, come se avessimo intravisto il Graal. Sappiamo che se tutti, almeno una volta nella vita, potessero avere il dono di una simile visione, il mondo cambierebbe all'istante, perché quando si comprende davvero che gli angeli sono qui e lì e in ogni luogo, si conosce il Segreto dei Segreti.

Ma non fu il fruscio delle loro ali, né la vista della piuma eterica che dai cieli fluttuava verso la Terra ad avvertirci la seconda volta della presenza degli angeli. Fu piuttosto un'esplosione di luce, come una stella nova, che brillava nei cieli senza tuttavia illuminare nulla intorno a sé. Forse era il flos igtiis, il fiore di fuoco degli alchimisti56 perché rassomigliava al calice di un fiore che si apre ed è formato da una fiamma che non brucia. Questa stella-fiore pulsa e sembra galleggiare nell'aria, eppure è diversa da tutte le stelle che si

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possono scorgere nei cieli. È una capocchia di spillo di morbida luce che esplode, di una genesi così chiaramente spirituale che è inutile chiedere a chi si trova accanto a noi, nella stessa stanza o per la via, se la vede. Non è un astro destinato a occhi comuni. Forse è una stella come quella che guidò gli antichi Re Magi, con l'unica differenza che nei racconti ermetici questa stella ammonitrice è immobile.57 Apparve: un cerchio di luce che ci faceva cenno da un altro piano dell'essere.

A quel tempo - era la terza settimana di novembre del 1979 - ci trovavamo nella Monument Valley e soggiornavamo in un motel lungo la strada fra la Death Valley e il Mexican Hat: due luoghi ancora così impregnati della potente magia sciamanica degli espropriati indiani dell'America del Nord che forse non sorprende vedere nel cielo un'esplosione di stelle. Ma quella stella era fissa nella nostra visione eterica e sapevamo che era lì soltanto per noi.

Los Angeles era lontana e il traffico del sabato sera sarebbe stato intenso, ma sapevamo di doverci andare. Salimmo in macchina. La stella ci aveva già abbandonati, ma la sua visione ci incalzava ad an-dare.

A Los Angeles avevamo numerosi amici e conoscenti. Fra questi c'era uno psicologo americano, che praticava le terapie elaborate da una scuola che si ispirava alle tradizioni egizie del dio Kneph, il Vec-chio nero-blu degli antichi riti.58 Il metodo consisteva nel rimuovere le tendenze indesiderate che i pazienti trascinavano con sé dalle vite passate e sembrava ignorare i terribili pericoli spirituali che compor-tano simili manipolazioni.

Poiché non potevamo approvare né il maestro, né la scuola, né la direzione che il nostro amico aveva scelto, la nostra amicizia si raf-freddò. Non lo vedevamo da dodici anni, da quando ci aveva permesso di assistere - e addirittura di partecipare - a uno dei suoi riti knephici di guarigione. Sapevamo, grazie al messaggio della stella, che dovevamo recarci da quest'uomo, che per ragioni di riservatezza chiameremo Arne Topolski.59

Nel 1966, nelle prime ore di un freddissimo sabato pomeriggio di novembre, durante un breve viaggio negli Stati Uniti, eravamo andati a trovare Arne a Los Angeles. Ci aveva aperto la porta sua moglie Elke, dicendoci che il marito era nello studio con una paziente. Elke ci aveva offerto da bere e avevamo ingannato il tempo guardando le fotografie delle loro ultime vacanze e dei due figli, che ora vivevano in Europa dove stavano frequentando l'università. Arne era comparso circa un'ora dopo, seguito da una graziosa signora nella quale riconoscemmo immediatamente la nota romanziera inglese Persefone Seabrooke.60 Vennero fatte le presentazioni, e dopo qualche minuto Persefone se ne andò, dicendo che le sarebbe piaciuto restare a conversare con noi ma purtroppo aveva un impegno. Avevamo letto un paio dei suoi libri e sul risguardo di copertina di uno di questi c'era una sua fotografia. Ricordavamo il suo bel volto e fummo molto

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Capitolo quinto

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sorpresi di scoprire che soffriva di una forma di glossoplegia che le impediva di parlare con chiarezza. Ogni volta che diceva qualcosa, il volto le si contorceva in una serie di smorfie e alcune delle sue parole risultavano incomprensibili.

Dopo i convenevoli di rito, durante i quali fummo invitati a pranzo, Ame portò il discorso su Persefone con la scusa del suo ultimo romanzo. Era un modo discreto per arrivare a parlare delle condizioni della scrittrice, che lo preoccupavano molto.

«Glossoplegia. Una malattia curiosa. Contro cui sto lottando da tre mesi.»

«Stai cercando di individuarne la causa con la terapia knephica?» domandammo, sapendo che Arne era uno psichiatra i cui metodi erano basati sull'esplorazione dell'influsso che i traumi delle vite precedenti esercitavano sui pazienti. La terapia aveva lo scopo di portare alla coscienza i nodi irrisolti delle vite passate per attenuarne o rimuoverne interamente l'azione perniciosa sul presente.

«Non soltanto la causa, ma anche la cura. In questo caso però mi trovo in un vicolo cieco.»

«Credevo che l'individuazione della causa fosse sufficiente per avviare alla guarigione» osservammo, cercando di nascondere lo scetticismo. Perché, se questa era la teoria, non sempre le cose anda-vano così nella pratica, e anche gli specialisti più esperti molto spesso non erano consapevoli delle conseguenze a lungo termine della loro arte. D'altra parte, nonostante la nostra diffidenza nei confronti del metodo e dei suoi esiti finali, avevamo avuto notizia di guarigioni piuttosto sorprendenti. La nostra preoccupazione non riguardava tanto la vita presente, quando gli effetti che questo armeggio dilettantesco avrebbe potuto avere sull'evoluzione futura.

«Nella maggior parte dei casi è così. Ma con Persefone mi sono trovato davanti a un muro. Abbiamo individuato l'engramma61 che ha provocato la glossoplegia, ma, per ragioni che non mi sono chiare, non riusciamo a procedere oltre. Vorresti assistere alla prossima seduta? Mi servirebbe il tuo parere.»

«Se Persefone è d'accordo.»«Quanto tempo ti fermi a Los Angeles?»«Cinque giorni. Poi devo partire per Città del Messico.»«Telefono a Persefone, e vediamo se è possibile combinare un altro

incontro prima della tua partenza.»La seduta fu fissata per l'ora di pranzo del mercoledì successivo, il

16 novembre. Persefone acconsentì che assistessimo all'ipnosi, alla regressione e successiva analisi.

Prima di cominciare Arne ci raccontò la storia della paziente. Du-rante la regressione ipnotica Persefone aveva rivelato che la sua ma-lattia era connessa a una sua esperienza nell'America del Nord nel corso di una precedente vita, durante la quale era stata un guerriero indiano, catturato da coloni bianchi e torturato a morte.

Non appena Arne l'ebbe ipnotizzata, chiedendole di tornare a quella

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metà di maggio del 1618, Persefone cominciò a parlare, manifestando sintomi molto forti di glossoplegia.

«Il dolore è quasi insopportabile, ma so che non devo manifestar-lo...». Il volto che si irrigidiva e i cambiamenti che vi si imprimevano erano la testimonianza che Persefone stava rivivendo l'esperienza della tortura. «Sono disteso a terra. Sulla nuda roccia. Ho le braccia legate dietro la schiena. Un uomo mi ha già tagliato le orecchie. Ora mi trapassa la lingua con uno spiedo. No, non è uno spiedo. Sembra un enorme ago di legno. Nella cruna ha infilato una correggia. So cosa stanno per fare e so che quando l'avranno fatto non potrò più parlare.» Tratteneva il respiro e inghiottiva.

«Sì, che potrai parlare» diceva Arne. «Persefone, tu non sei più quello. Ora puoi dircelo. Sforzati di parlare. Qualunque cosa ti succeda, potrai parlare.»

«L'uomo mi ha infilato la correggia nella lingua. Ora lancia l'altro capo sul ramo di un albero e comincia a strattonarmi. Il dolore è in-sopportabile, ma non posso gridare. Dalla bocca mi escono suoni terribili, ma non sono quelli che desidero emettere.»

«Che cosa vorresti dire?»«Voglio implorarli di smettere. Però so di essere un guerriero e che

non posso dare segni di dolore davanti al nemico.»«Non riesci a uscire dal tuo corpo?» suggerì Arne. «Non riesci a

fuggire?»«Mi hanno insegnato come si fa. Ma il dolore mi tira giù. Credo che

lo sciamano che mi ha istruito ignorasse che si può soffrire così tanto.»Aveva il volto coperto di sudore. «È sempre lo stesso uomo. Il mio

aguzzino. Ora mi ha tirato su in piedi con la correggia. Adesso sonoappeso all'albero per la lingua. Sotto di me c'è un palo appuntito. L'uomo volteggia la pistola intorno alla testa e mi colpisce allo sto-maco. È finita. La lingua si è spaccata, e il mio corpo cade a terra e si infilza sul palo. Vedo il corpo cadere, ma io sono sull'albero, e guardo giù. Il dolore pare molto lontano. Non penso più al dolore. Vorrei essere con la mia giovane squaw, su fra i monti. Non avrei dovuto andarmene. Che cosa ne sarà di lei ora?»Arne interruppe la trance.«È stato come le altre volte?» domandò Persefone.«Non ti ricordi?»«No. Non ricordo. Ero un guerriero pellerossa? E quell'uomo mi ha strappato la lingua?»«Sì. Se questo è vero, e non vedo come potrebbe essere altrimenti, e il dolore è come lo descrivi, non capisco perché tu non abbia co-minciato a guarire» disse Arne.Si girò verso di noi. «Che cosa ne pensi, Mark?»Un'idea ce l'avevamo, ma non ci sentivamo liberi'di esprimerla davanti a Persefone, la quale, dopo tutto, era una paziente. Arne se ne accorse.«Vuoi parlare con me in privato?»

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Capitolo quinto

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«Vi prego» farfugliò Persefone, «parlate liberamente. Vi sarò grata di qualsiasi suggerimento che possa aiutarmi.»Nonostante il consenso di Persefone, non ci sembrava il caso di parlare con troppa franchezza. Nel suo racconto c'era qualcosa che ci aveva lasciato perplessi: aveva chiamato «bianchi» i suoi aguzzini. Pure, non volevamo interferire, né complicare ulteriormente la questione.«Hai pensato allo specchio... allo speculum mercuriale?» doman-dammo ad Arne.62

Arne, che non era digiuno di occultismo, colse al volo la nostra al-lusione e annuì lentamente. Poi si rivolse a Persefone.«Posso ipnotizzarti di nuovo?» le chiese.Arne la fece cadere di nuovo in trance, affinché potesse regredire fino al trauma.«Voglio che torni al 1618, al 14 maggio. C'è un guerriero indiano. È legato mani e piedi e steso a terra. Gli hanno tagliato le orecchie. Intorno a lui ci sono dei bianchi. Sono i suoi aguzzini. Vogliono ucci-derlo.«Quanti sono gli uomini intorno a lui, Persefone?»«Ne vedo tre.»«Sono bianchi?»

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«Sì, sono bianchi.»«Perché non li chiami visi pallidi?»«Perché dovrei?»«Sei un indiano. Devi chiamarli visi pallidi.»«Sì, sono visi pallidi.»«Quanti ne vedi?»«Tre visi pallidi.»«Forse ti sbagli, Persefone. Ti prego, guarda di nuovo.»«Ce ne sono tre. Ne vedo solo tre.»«Guarda meglio. È molto importante. Il 1618 è passato. L'indiano

non c'è più. I bianchi non ci sono più. Guarda di nuovo, con attenzione. Dov'è l'altro bianco? Guarda bene, e parlaci di quello con il coltello. Quell'uomo, quello che ha già messo nella borsa le orecchie dell'indiano; che ha aguzzato un rametto facendone un ago di legno; che ha infilato la correggia nella cruna. Dov'è quell'uomo ora? Dov'è questo bianco? Dov'è, Persefone?»

«Sto guardando. Non riesco a vederlo» disse. Poi improvvisamente sollevò il capo ed emise un gemito pietoso. Scoppiò in disperati singhiozzi, allontanando con la mano una visione dagli occhi.

«Oh no, oh no. Non farei mai una cosa simile. Non può essere ve-ro.» Scuoteva da un lato all'altro la testa, e le lacrime le rigavano le guance. «Ci sono quattro bianchi. Ne vedevo soltanto tre, perché il quarto sono io: io ero il torturatore, non il guerriero indiano. Oh no! So-no io! Sono io quello che fa quelle cose terribili al pellerossa!»

Qualche mese dopo, quando eravamo già tornati in Europa, chie-demmo a un maestro se conosceva la scuola knephiana.

«L'ipnosi oggi è quasi sempre un'attività pericolosa. Siamo quasi tutti vasi di Pandora, infestati dai demoni. Chi solleva il coperchio che separa il conscio dall'inconscio è coraggioso, o forse pazzo.63

«Non era così un tempo. Allora - quando la taumaturgia grecoegizia era al suo culmine in luoghi quali Alessandria, Oropo e l'isola di Cos - si usava una forma di ipnosi nella terapia che noi chiamiamo del sonno, o del serpente.64 Ma quel tipo di ipnosi e la cura a essa associata erano praticate da iniziati di altissimo grado che sapevano bene quello che facevano. Quei sacerdoti-dottori sapevano esattamente come avrebbe reagito alle immagini il corpo eterico, che è specificamente destinato ad assorbire le immagini durante le fasi in cui il corpo fisico si trova in uno stato di animazione sospesa. Esiste un grande patrimonio di conoscenze sull'incubazione, che discendeva dai metodi iniziatici sviluppati dai sacerdoti egizi.

«Ma la pratica del sonno nel tempio - dell'incubazione, come veniva chiamata - avveniva sotto il controllo di iniziati di grandissima competenza. Ben diversa è la situazione oggi. I testi ermetici intimano più volte di non ricorrere alla magia: "l'uomo spirituale che conosce se stesso non deve cercare di compiere nulla attraverso la magia; deve lasciare che la natura compia la sua opera in base alle sue leggi". Si

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dice sia stato Hermes in persona a pronunciare queste parole, che ben si adattano tanto ai knephiani, quanto a noi stessi.65

«Tu però non sei venuto da me per parlare di incubazione, ma dei knephiani e delle loro pratiche. Ti dirò soltanto una cosa, poi lascerò che tu tragga le tue conclusioni su come rapportarti a questo gruppo e a chiunque vi faccia riferimento.»

Si schiarì la gola. «Il giovane che fondò i knephiani era ben lontano dall'essere un iniziato di qualche levatura.66 Si era però dilettato di varie pratiche magiche prima di prendere parte a un sistema di iniziazione monastica in una comunità collegata con il monte Athos. Pur avendo giurato di mantenere segreta la sua conoscenza, egli in-franse il giuramento e cominciò a sfruttare a scopo di lucro alcune delle più straordinarie tecniche esoteriche. Ricorse alla manipolazione pittorica delle immagini eteriche su pazienti in stato di ipnosi. I risultati, naturalmente, se visti al di fuori del loro contesto, furono eccezionali. Si può curare, o almeno dare l'impressione di curare, con simili tecniche, e naturalmente ci si può anche arricchire, perché la gente è in cerca di miracoli. 11 giovanotto voleva far soldi. Ma tu stesso hai avuto modo di constatare quanto possa essere pericoloso il sapere occulto allorché viene fatto tracimare nel mondo della quo-tidianità da personaggi privi di scrupoli o con un livello iniziatico insufficiente. In sintesi, i riti knephici non solo sono stati trafugati, ma sono stati male applicati.

«Non posso dirti più di questo. Ora tocca a te esercitare la tua vo-lontà e prendere una decisione sulla questione.»

Era da Ame Topolski, il quale attuava le pratiche di questa scuola pericolosa, che la stella-fiore ci aveva guidato dai caldi deserti che circondano lo sperduto Mexican Hat. Ci impiegammo ore e ore ad arrivare a Los Angeles, dove giungemmo soltanto verso il mezzogiorno del 19 novembre. Stremati, parcheggiammo accanto al marciapiede in una viuzza dietro la sede massonica, di fronte alla casa in cui abitava Arne al tempo in cui eravamo amici. Il parcheggio era vietato, ma sentivamo che era lì che dovevamo lasciare la macchina.

Scendemmo i pochi gradini che conducevano all'appartamento a pianterreno e suonammo il campanello. Nello stesso istante - tanto che avemmo l'impressione che fosse stato lo squillo a provocarlo - sentimmo un rumore di vetri infranti e poi un grande urlo. Era una voce di donna. Suonammo ancora e la porta fu spalancata da una ra-gazza. La faccia bianca come un cencio e gli occhi sbarrati ci dissero che era stata lei a gridare. Non la conoscevamo.

«Venga, presto» ci guidò con un cenno della mano verso il corridoio.Arne era nel cucinino in fondo all'atrio. Aveva ancora la mano in-

filata nel vetro spezzato della finestra, impigliata in una scheggia appuntita. 11 sangue sprizzava sul pavimento e sul soffitto e i denti seghettati del vetro rotto erano arrossati: ci colpì lo strano contrasto di quel rosso con il verde intenso degli alberi nel giardino davanti alla

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finestra. Sembrava che l'orrore quotidiano fosse stato reso eterno, raggelato nel tempo, come in un acquarello espressionista di George Grosz.67

Estraemmo a una a una le schegge di vetro, avvolgemmo la mano di Arne negli asciugamani, lo spingemmo in macchina e, guidati dalla ragazza, lo conducemmo all'ospedale.

«Perché?» domandammo, sorreggendolo. Non ci aspettavamo una risposta.

«Elke è morta...» cominciò, poi si fermò e aggiunse, con voce quasi impercettibile «sensi di colpa.»

Fu soltanto molto tempo dopo che ripensammo al lungo viaggio di quel giorno, cercando di ripercorrerlo in senso contrario. Che cosa sarebbe successo, ci domandavamo, se nel deserto non ci fosse ap-parsa la morbida stella-fiore? Gli angeli donano forse a ognuno di noi una stella nei momenti di turbamento dell'anima? E che cosa sarebbe successo se non avessimo afferrato quel richiamo floreale?

Ancora oggi non abbiamo una risposta a questa domanda. Abbiamo soltanto trovato un indizio in quei frammenti apocrifi di Vangelo che si chiamano Atti di Giovanni.

Il discepolo grida: «Vorrei fuggire».Il Maestro dice: «Preferirei che restassi».68 Agli angeli, non meno

che ai maestri, non è permesso dare ordini. Sembra però che possano avvertirci o persuaderci con segni e prodigi, sia pure non più consistenti di una stella a forma di fiore che brilla per uno o due istanti neH'aria.

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Capitolo sesto

Il saperedegli egizi non era forse tutto scritto in simboli mistici? Le Scritture non parlano forse spesso in parabole?Le più beile favole dei poeti che furono le fonti, le sorgenti primigenie della saggezza, non sono forse avvolte in intricate allegorie?

BEN JONSON, L'alchimista

Plutarco, sacerdote nel I secolo d.C., fu uno dei primi iniziati a parlare apertamente dei misteri. Si deve dunque ritenere che egli sia stato anche il primo alto adepto a infrangere il giuramento di mantenere il silenzio intorno ai sacri riti egizi? i

Nato a Cheronea, in Grecia, Plutarco fu introdotto agli antichi mi-steri di Iside e Osiride a Delfi, dove svolgeva il ruolo di alto sacerdote in diversi riti iniziatici che si celebravano in quello splendido centro. Avendo egli scritto il suo De Iside et Osiride'1 a Delfi, è lecito dubitare che sia venuto meno al suo sacro voto, perché in caso contrario la casta sacerdotale non avrebbe avuto difficoltà a correre ai ripari e a punire una così grave infrazione. Eppure questo suo impor tante libro contiene sicuramente moltissime informazioni segrete sui misteri isiaci, sicché verrebbe fatto di pensare che Plutarco non abbia rispettato il suo giuramento.

Il libro, costituito da una serie di saggi slegati fra loro, su temi ri-guardanti alcuni gradi iniziatici e la mitologia arcana, ha per desti-nataria un'amica, Klea. Ma Klea era sacerdotessa a Delfi e iniziata: cade dunque l'accusa a Plutarco di avere infranto il suo giuramento rivelando i misteri di Iside, in quanto egli rivolgeva i suoi insegna- menti a un'adepta dello stesso culto. Se violazione ci fu, questa con-sistette nel fatto che il libro circolò liberamente. Come sia avvenuto non sappiamo: può darsi che non fosse nelle intenzioni dell'autore. Una cosa è certa: non esistono indicazioni che egli sia stato punito dai centri misterici di Delfi per questa sua apparente infrazione.

In una sezione del libro, in cui Plutarco pare spiegare perché i sa-cerdoti si radono la barba e indossano soltanto lino, egli cita un verso appartenente a una tradizione misterica che era antica già allora:2 “Il fuoco sbocciò con cinque rami».

Secondo una delle tante interpretazioni, i misteriosi cinque rami rappresenterebbero la mano dell'uomo. Partendo da questa ipotesi, alcuni studiosi moderni sostengono che le parole alludono al divieto di tagliarsi le unghie durante le feste sacre. Ma in un contesto così esoterico il loro significato, come dovrebbe essere ovvio, non può li -mitarsi a questo.

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Nel mondo antico a ben pochi iniziati sarebbe sfuggito die «i cinque rami» non indicavano la mano, bensì il corpo eterico dell'uomo, un corpo spirituale invisibile a tutti tranne che agli iniziati e ad altri veggenti.

Nell'antico Egitto l'eterico dai «cinque rami» era simboleggiato da uno dei geroglifici più importanti, lo sba a forma di stella,3 così strettamente assodato alla morte da figurare in molte tombe.

Le pareti interne del sepolcro di Teti, della VI dinastia, sono lette-ralmente ricoperte da questo simbolo.

Il cristianesimo delle origini umanizzò, per cosi dire, lo sba. Nelle catacombe romane, in cui si celebravano le cerimonie e si consumava il pasto rituale in onore dei morti, i defunti sono raffigurati esat-tamente a «cinque rami», ossia in forma di stella: due punte sono co-stituite dalle braccia protese verso l'alto, altre due dalle gambe leggermente divaricate, mentre la quinta è rappresentata dalla testa (figura 66). È forse per questa ragione che in alcuni testi sacri si legge che i morti «diventano stelle».4 Gli scrittori esoterici sostengono invece che questo quintuplice gesto fosse usato per indicare che la persona in questione è «morta», il che equivale a dire che i cinque rami sono forme eteriche, prive del corpo fisico.5

Nei testi ermetici più tardi, l'uomo eterico a dnque rami è espresso dall'immagine deH'uomo-pentagramma (figura 67) che tanto os-sessionò Paracelso e che Agrippa, conoscendone le origini arcane, tentò di collegare con i pianeti.6

Nell'epoca moderna il quintuplice, invisibile corpo è chiamato eterico. Nella Grecia antica aveva un nome non molto dissimile, il cui significato era corpo della luce senza ombra, perché si riteneva di-scendesse dal fulgore eterico del Sole. Plutarco sosteneva che il corpo spirituale dell'uomo aveva la proprietà di «non proiettare l'ombra»7 ed era composto di luce eterica, la luce solare.

Ebbene, il frammento di Plutarco appena citato non contiene sol-tanto l'idea dei «cinque rami», ma evoca anche un fiore ili fuoco, allu-dendo così al «fuoco» attraverso cui doveva passare il neofita ai suoi primi passi. Dall'iniziazione, sostenevano le scuole, emergeva il corpo eterico, il corpo superiore, pentagrammatico, con le mani alzate in un gesto di meraviglia di fronte al mondo spirituale appena rivelatosi. Per alcuni versi questo stadio iniziatico è simile alla morte, perché dopo la morte fisica l'eterico assume automaticamente la posizione della stella a cinque punte, con le mani levate in adorazione. 11 gesto, che gli storici dell'arte chiamano oggi ornns, o di preghiera, è l'immagine deH'eterico tramandata dall'arte esoterica.

Si comprende così come l'espressione «cinque rami» di Plutarco in-

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dichi qualcosa che va al di là del comune essere umano: dopo essere passato attraverso le fiamme dell'iniziazione, l'uomo diventa uomo purificato,8 perché il fuoco ne ha bruciato le scorie. Nella tradizione al-chemica, in cui la combustione delle scorie per rivelare l'oro interiore costituisce uno dei temi principali, l'uomo-pentagramma è chiamato stella microcosmi9 Questo essere redento è una stella che brilla non in cielo, ossia nel macrocosmo, bensì sulla Terra, ossia nel microcosmo.

Le dottrine della reincarnazione sostengono che l'umanità è costi-tuita da due sistemi che si compenetrano pur restando distinti: uno è centrato sulla testa, e riguarda il pensiero, l'altro sul corpo, e riguarda la volontà. Gli alchimisti medievali collegavano i due sistemi attraverso la numerologia derivata da Pitagora e dai mathematici, os-sia dagli astrologi, i quali associavano l'eterico al potere del Sole. Queste conoscenze rimasero celate per secoli e vennero alla luce sol-tanto nel XIX secolo grazie agli scritti dei teosofi,10 i quali resero pubblici alcuni segreti delle scuole ermetiche, suscitando l'opposizione di altri gruppi.11 L'eterico, essi affermavano, è un corpo di luce, che trae le proprie energie dal Sole e ha la predisposizione a conservare una forma simile a quella del corpo fisico.12 Fra le scuole più antiche ben poche avevano tentato di raffigurare l'eterico, accontentandosi di simboli. I teosofi, invece, spinti dal desiderio di divulgare l'antica sapienza, eseguirono molti grafici per illustrare la distribuzione dell'eterico. Essi affermarono, fra l'altro, che, subito dopo la morte del corpo fisico, l'eterico se ne distacca e aleggia al di sopra di esso, con le braccia tese, nel gesto dell'oraus. Stranamente, era proprio questo il gesto con cui gli antichi egizi indicavano l'equivalente dell'eterico, vale a dire lo spirito chiamato kn 1________________Tr’

I teosofi che divulgarono la nozione di eterico non si addentrarono nei significati più profondi del suo simbolismo. Madame Blavat- sky con il suo The Secret Doctrine, il libro che segnò una rottura epocale del silenzio esoterico, rivelò che nelle scuole segrete indio-egizie la stella a cinque punte era stata «trasformata emblematicamente in un coccodrillo», talora chiamato mdkaraM Non c'è dubbio che uno dei segreti più riposti del simbolismo arcano ruoti intorno alla connessione di questa unione fra stella e coccodrillo con i principi della reincarnazione.

La stella di luce sarebbe il simbolo dell'eterico puro e incontami-nato, mentre il coccodrillo rappresenterebbe l'eterico ancora conta-minato dal karma, e dunque condannato a rinascere.

La reincarnazione costituisce tuttora uno dei grandi misteri delle scuole ermetiche. Tale affermazione può sembrare illogica, conside-rato il proliferare di libri e gruppi pseudoesoterici che insegnano sotto varie forme la dottrina della reincarnazione. Esiste addirittura una vera e propria industria sviluppatasi ai margini della psicologia che tratta le regressioni apparentemente legate alla reincarnazione. Ma in realtà nessuno, all'infuori di quanti si sono sottoposti a una forma particolare di addestramento in scuole specifiche, può raggiungere

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una conoscenza vera delle leggi della reincarnazione, perché la capacità di affrontare le cognizioni e intuizioni derivate dallo studio di tale fenomeno dipende dallo sviluppo di organi psichici di cui attualmente la maggioranza delle persone non dispone.

Uno dei problemi che nascono quando si rivelano le incarnazioni precedenti di uomini e donne famose, o comunque quando se ne di-scute, sta nel fatto che subito vengono richieste le prove. Ma poiché le persone comuni sono incapaci di vedere nel regno spirituale in cui queste verità sono custodite, è impossibile offrire prove che siano per loro accettabili.

Certo si può parlare e scrivere di reincarnazione non soltanto in ba-se all'esperienza personale, ma anche ricorrendo alla letteratura spe-cifica sull'argomento, che è ampia e seria. Alcuni scrittori di questo ambito sono in grado di fornire interessanti connessioni fra individui incarnati che sono stati famosi in periodi storici diversi.15 C'è chi so-stiene che Sant'Agostino si è reincarnato in Leonardo da Vinci; chi af-ferma che il poeta americano Ralph Waldo Emerson era la reincarna-zione di Tacito, lo storico romano del I secolo d.C.;16 e chi, forse con un po' di egocentrismo, pretende di avere incarnato Maria Stuarda, regina di Scozia.17

Il pubblico dispone oggi di centinaia, forse migliaia, di esempi di incarnazioni «illustri», in testi che costituiscono letture affascinanti per gli appassionati di occultismo. Il fenomeno non dovrebbe sorprendere: più di un secolo fa un pioniere in questo campo dichiarò che credevano fermamente nella reincarnazione oltre seicento milioni di individui, una cifra che, nel frattempo, deve essersi raddoppiata o triplicata.18 Sono soprattutto gli occidentali ad avere difficoltà a percepire la verità interiore della reincarnazione: molti devono sot-toporsi a meditazioni e discipline speciali per giungere a una com-prensione della reincarnazione che risulta invece del tutto naturale per gli orientali.

Se parliamo di persone famose è perché studiando la biografia par-ticolareggiata di uomini e donne influenti è più facile penetrare nei segreti della storia. E questa la sfera di cui si occupa la maggior parte degli occultisti. Ma c'è anche un'altra ragione che li spinge a esplorare i fatti della reincarnazione - fatti di cui non dubitano minimamente - ed è che attraverso un'analisi attenta delle sue leggi si possono imparare molte cose sul cosmo. Rintracciando gli influssi che, sotto altra forma, si trasmettono di vita in vita, l'ermetista esperto riesce a spiegare, sia pure soltanto a se stesso, mblti particolari curiosi e altrimenti inspiegabili.

Ci si potrebbe per esempio chiedere come mai alcuni individui, pur vivendo a contatto con persone colpite da malattie infettive, non ne siano contagiati, come mai un'infermiera come Florence Nightingale,19

che pure lavorava venti ore al giorno fra i soldati decimati dalla terribile febbre infuriata durante la guerra di Crimea del 1853- 1856, sia sopravvissuta a tale flagello.20 A una simile domanda forse non c'è

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risposta sul piano dell'ordinario, dopo tutto molte sue colleghe morirono. Ma lei fu risparmiata. Fu un caso? L'esoterista esperto direbbe che fu l'effetto del suo karma personale: Florence Nightingale non morì perché non aveva una predisposizione karmica al contagio. La sua sopravvivenza ha un senso: se Florence fosse morta, non avrebbe potuto diffondere in Inghilterra i principi e le pratiche della moderna infermieristica. Il suo destino personale, e alcune tendenze presenti nell'Inghilterra vittoriana, non avrebbero dato i frutti sperati. La vita spirituale di Florence Nightingale era stata trasformata dal contatto con l'ultimo ordine medico esoterico, quello delle Figlie della Carità fondato da San Vincenzo de' Paoli.21 Ordini femminili di questo tipo erano, almeno inizialmente, collegati con quello degli Ospedalieri della Palestina, fondato per l'assistenza ai pellegrini e la lotta contro i musulmani, un ordine religioso-militare simile a quello dei Templari. Si trattava sicuramente di gruppi esoterici - ordini ermetici - che ebbero effetti profondi sullo sviluppo della storia europea nel tardo Medioevo. Meditando su tali questioni cominciano a delinearsi, nella vita di quella donna straordinaria che fu Florence Nightingale, i legami con i Templari alle Crociate.

Che cosa insegna la tradizione ermetica sulle origini spirituali delle malattie contagiose? Quali eventi di una vita precedente hanno maggiori probabilità di predisporre in una vita successiva a morbi quali la febbre di Crimea?

Secondo l'insegnamento arcano la cupidigia - un impulso che potrebbe più propriamente essere definito una malattia psichica - dà al corpo eterico un colore particolare. Come una persona qualsiasi, guardando in faccia un'altra può percepire - e a volte scorgere- tratti che suggeriscono un forte desiderio di acquisizione, così un occultista addestrato può guardarne il corpo eterico e cogliervi ca-ratteristiche che rivelano in modo ancora più evidente la stessa ten-denza. Sovrapposta alla forma di luce dell'eterico moralmente inde-bolito l'iniziato vedrà una forma più densa, un'oscurità die avvolge la stella e che viene giustamente rappresentata con il simbolo di un coccodrillo dalla spessa pelle.22 Forse fu perché conoscevano queste e altre verità ermetiche che nel Medioevo i farmacisti e gli alchimisti appendevano coccodrilli imbalsamati al soffitto dei loro laboratori:23

era un monito a non dimenticare la stella oscura che veniva esalata mentre si perfezionava e solarizzava la stella interiore dell'eterico.

Quello che l'occhio esperto dell'occultista noterà, e che invece sfuggirà all'occhio comune, è che la «malattia eterica della cupidigia» si calerà nel corpo fisico in una successiva reincarnazione. Per farla breve, la passione per il possesso delle cose materiali si trasforma, in una successiva rinascita, nella propensione ad «acquisire» infezioni. Addensandosi, l'immoralità - ossia l'incomprensione della vera natura del mondo materiale - assumerà, come ha ammonito Madame Blavatsky, la forma di un coccodrillo, da cui l'anima deve liberarsi lottando.

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Fra i voti che i Templari si impegnavano a osservare c'erano quelli della povertà e della castità.24 Da esoteristi essi erano sicuramente consapevoli che in una vita futura il voto di castità li avrebbe resi, fra le altre cose, più capaci di resistere alle malattie infettive. Consi-derata alla luce del pensiero esoterico la via da loro scelta si rivela una preparazione a divenire guaritori.25 È quasi certamente a questa saggezza che possiamo far risalire la vita inconsueta e ricca di dedi-zione di Florence Nightingale nella sua reincarnazione ottocentesca. È in misteri come questi, rivelati dalla storia, che si incomincia a in-travedere il significato del simbolismo dell'uomo quintuplice, l'uomo a «cinque rami» di cui parla Plutarco. Uno dei grandi segreti del la reincarnazione concerne il rapporto fra il corpo eterico e quello fisico: quello che il corpo eterico assorbe in una vita si trasforma e colora di sé la vita del corpo fisico nella reincarnazione successiva.

Insomma, ciò che inaliamo in un dato momento lo esaliamo sotto altra forma più avanti. Per la tradizione ermetica il mondo che sta in basso è come il mondo che sta in alto, e dùnque è possibile ipotizzare che un analogo rapporto di inalazione-esalazione avvenga negli uomini e nelle donne nel corso di più vite. Per dirla con gli antichi, se non ci impegneremo in un programma di purificazione (quale quello rappresentato dall'iniziazione), allora di vita in vita, anche se respireremo alla luce dei Sole, lo faremo avvolti nella spessa pelle del coccodrillo.

«Noi oggi siamo molto orgogliosi del nostro cervello» aveva detto il maestro poco prima di morire. «Si può dire senza tema di esagerare che siamo troppo orgogliosi del nostro pensiero. Non’ci rendiamo conto di quanto sia fitto il velo che la mente umana stende sulla realtà. L'assurdità di questa concezione consiste in parte nel fatto che abbiamo la temerarietà di credere che pensare sia un nostro atto, qualcosa che ci appartiene! In realtà è molto difficile avere un pen-siero che sia davvero nostro. Creare un nuovo pensiero richiede un'abilità particolare.

«Sul piano della personalità e della persona noi ci identifichiamo molto di più con il pensiero che con il sentimento. Di conseguenza di solito apprezziamo maggiormente ciò che un individuo dice e pensa di ciò che fa. Siamo ipnotizzati dall'immagine, dall'aspetto superficiale, cui riserviamo la massima considerazione. Con parole e figure è possibile creare impressioni esteriori che non corrispondono alla realtà interiore. Questa attività, come tutti sapete, ha anche un altro nome: si chiama menzogna.

«Permettetemi di creare per voi un'immagine veritiera, nella spe-ranza che essa vi aiuti a trasformare il vostro pensiero». Fece scorrere lo sguardo sull'intero gruppo, come faceva sempre quando si ap-prestava a dire qualcosa di importante. «L'essere umano è l'unione piuttosto difficile di passato e futuro. Il senso delle mie parole vi di-verrà chiaro in seguito, almeno spero. Per il momento vorrei che

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consideraste questo fatto: la mente di ciascun essere umano appar-tiene a un sistema temporale del tutto diverso da quello cui appar-tiene il suo corpo.

«Se riflettiamo sulla vita vegetale, ci accorgiamo che la metafora che collega la testa alla pianta allude a un mistero. La verità, ricono-sciuta in alchimia, è che un fiore non è affatto il prodotto dell'attività terrena e spirituale dell'anno in cui sboccia. È sempre la manifesta-zione di forze generate prima: un fiore è il riflesso glorioso del Sole dell'anno precedente. In realtà il fiore appartiene al passato. Questo concetto - ben noto alle scuole iniziatiche - sembrò per qualche ra-gione affascinare un grande e versatile studioso del XVII secolo, il gesuita Kircher,26 il quale si dedicò a operazioni da lui ritenute "al-chemiche" per ridare forma visibile alle ceneri dei fiori. Egli chiamò questa operazione palingenesi floreale27 e affermò di essere riuscito a creare in una bottiglia il simulacro - che egli chiamò immagine astrale - di fiori distrutti. Com'era inevitabile, le scoperte di Kircher, ben note come ho detto alle scuole esoteriche, nelle mani di persone con meno scrupoli degenerarono nel tentativo di creare automi o go- lem. Ma questa è un'altra storia, e la si ricorda oggi soprattutto attraverso la figura di Frankenstein.28 La cosa interessante, però, considerato il rapporto esistente fra l'eterico e il coccodrillo-makara, è che gli esercizi spirituali riguardanti l'eterico si siano degradati fino a produrre un mostro che ha affascinato l'Europa.

«Non voglio che accettiate a scatola chiusa la mia affermazione secondo cui il fiore di una pianta è un ricordo del Sole dell'anno pas-sato. Ormai dovreste conoscermi bene. Preferirei che osservaste con attenzione il mondo vegetale e scopriste da soli questa verità. Quando comincerete ad accorgervi che la pianta è l'immagine del Sole dell'anno trascorso, sarete sulla buona strada per capire come mai la vostra testa è l'immagine della vostra incarnazione precedente.»

Nell'uomo le forze cerebrali sono forze trasformate, provenienti da una crescita precedente. Osservando la testa con la dovuta attenzione meditativa, si notano chiaramente queste diversità di tempo e di intensità spirituale. La testa è conchiusa: è un guscio duro che contiene un nocciolo di materia grigia. Gli orifizi che perforano questo guscio - gli occhi, le narici, le orecchie e la bocca - convergono tutti verso il centro e sono collegati con il cervello. Se con la meditazione cerchiamo di sentire la testa umana, ne percepiamo l'esistenza come un'unità chiusa: allora comprendiamo perché le antiche mitologie la raffigurassero come un castello, dalle cui finestre la principessa, vale a dire l'anima, scrutava il mondo. Nelle favole la testa- fortezza è la custode dell'attività spirituale. Il bel cavaliere esce dal castello in groppa al suo destriero per andare alla ricerca del Santo Graal. Attraverso questo tipo di meditazione si arriva persino a intravedere perché gli alchimisti insistessero a dire che il monte mistico dei filosofi doveva avere al suo interno una caverna profonda e misteriosa.29 E in

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quell'antro che avviene la vera alchimia, la trasformazione, attraverso le immagini, gli odori e i suoni, del mondo esteriore.

A differenza della testa, il tronco su cui si innalza questa montagna fortificata non ha mura. È aperto, e si sente più vulnerabile. Le mani e i piedi si allungano verso la periferia, come se fossero concepiti per esplorare gli estremi del mondo in cui il corpo è immerso: quanto la testa sembra essere centripeta, tanto il corpo sembra essere centrifugo. La testa ci appare vecchia e simile a un teschio, il corpo ci appare incolto e innocente. La bellezza del corpo è molto diversa da quella della testa. Possiamo amare un corpo, senza amarne la testa, o amare un volto senza amare il corpo, perché essi rappresentano forze diverse nell'essere umano. Il corpo è il guardiano delle forze che presiedono alla volontà: nelle favole è spesso simboleggiato da un gigante grosso e stupido.

Questo contrasto fra la testa e il corpo è molto importante nello studio della reincarnazione. La tradizione arcana sostiene che in una data vita la testa è la somma delle forze spirituali della vita prece-dente. Essa è una sorta di seme proveniente dal passato: è come il fiore, nato dal calore dell'anno prima. Se si contempla con intensità una testa, si percepisce che è antica, si sente che al contrario del cor-po è imbevuta di passato. Dietro la faccia si coglie sempre il teschio. La testa trasuda vecchiezza. E non sorprende, perché appartiene a un mondo che, per molti altri aspetti, si perde nel passato.

Chi abbia una visione spirituale sufficientemente sviluppata può leggere l'anima di una persona osservandone la testa: allungata o tozza, rozza o raffinata, disarmonica o armoniosa, in tutte queste forme l'iniziato riesce a decifrare le direzioni del passato che hanno forgiato la personalità di chi gli sta di fronte. È questa verità che si nasconde in alcune forme d'arte e di letteratura. Racconta nei suoi taccuini Leonardo da Vinci che al tempo in cui dipingeva II Cenacolo ebbe grandi difficoltà a trovare il modello per il suo Giuda.30 Aveva esplorato, come disse al suo mecenate Ludovico il Moro, duca di Milano, i quartieri malfamati della città in cerca di un volto adatto, ma inutilmente. Non che mancassero facce deformi o intense nella Milano del XV secolo: il fatto è che Leonardo, il quale era un iniziato, conosceva la complessità del destino di Giuda.31 E anche noi ora comprendiamo un po' meglio perché Leonardo non abbia mai com-pletato il volto di Gesù nel suo Cenacolo.

Ebbene, poiché la testa è una sorta di nocciolo in cui si concentrano le vite precedenti, è evidente che in ogni essere umano è racchiusa una catena di ricordi a esse relativi. E in questo che si intuisce qualcosa della profonda saggezza di Platone, il quale diceva che il sapere è memoria. Tutto quello che abbiamo sperimentato e conosciuto, di vita in vita, è contenuto dentro il nostro essere. Purtroppo però la cultura esteriore - la conoscenza del mondo esterno - non insegna a ricordare. E qui, naturalmente, entrano in gioco il tirocinio e la sapienza arcani: il vero sviluppo esoterico mira infatti a

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ristabilire i contatti con questo sapere sotterraneo e a conoscere i segreti della sua seminagione.

In termini di economia cosmica, non è di certo un caso che la Luna richiami nel suo aspetto un teschio: fra la Luna e la testa degli esseri umani esiste un nesso strano, eppure strettissimo. Gli esoteristi ne rintracciano le radici nel fatto che la Luna simboleggia il passato: a renderla visibile è una luce riflessa, una luce di seconda mano, così come la testa è per ognuno la somma - ossia un riflesso - del passato della persona cui appartiene.

I sacerdoti-banchieri della Mesopotamia, volendo dare un fonda-mento esoterico alle monete di nuovo conio, rapportarono il valore dell'oro e dell'argento a una circonferenza: l'argento era il metallo della Luna, l'oro il metallo del Sole. In questo modo il valore era cal-colato su base cosmica o zodiacale. Tali banchieri valutavano l'oro un'unità, e l'argento tredici unità e mezzo.32 Da iniziati, naturalmente, sapevano che il metallo-oro era governato dal Sole e il metallo-ar-gento dalla Luna e che, in un giorno, il Sole si muove di un grado, mentre la Luna mediamente si sposta di tredici gradi e mezzo. Essi fissarono i valori non soltanto facendo riferimento alla rarità del me-tallo, ma anche a una scala cosmica. Quegli uomini sapevano che le periodizzazioni celesti hanno riflessi sull'uomo. Sapevano che il Sole regna sul corpo spirituale che noi oggi chiamiamo eterico e lo nutre, mentre la Luna è la forza che regola il corpo fisico. La presenza dell'eterico era per loro il segno di come gli esseri umani vivessero la vita presente e in parte del destino che avrebbero seguito nella vita futura. Sapevano che il Sole era connesso con il futuro e, quindi, che l'argento della Luna era legato con il passato.

Sul piano umano questa distinzione fondamentale fra Luna e Sole- fra il freddo inerte della Luna con la sua faccia di morte, e il calore attivo del Sole - si rispecchia nella polarità fra testa e corpo. La stessa polarità è racchiusa anche in un'altra numerologia ben più complessa di quella utilizzata dai sacerdoti-banchieri della Mesopota- mia: sicuramente già usata dagli alchimisti medievali, essa fu divulgata soltanto agli inizi del XX secolo.

Diversi occultisti hanno sottolineato una cosa ben nota nei circoli esoterici, ossia che il battito cardiaco e la respirazione sono connessi con i ritmi cosmici del Sole e della Luna.33 Poiché l'umanità è figlia del cosmo, non deve sorprendere che l'essere umano - quello che un tempo si chiamava microcosmo - sia soggetto a ritmi che possono es-sere misurati nel macrocosmo. La cosa interessante per noi è che i due ritmi - quello del sangue e quello dei polmoni - si attuano con scansioni cui la letteratura ermetica attribuisce un significato profondo.

Ma non è tutto: i due ritmi sembrano operare come due sistemi distinti, uniti soltanto da rapporti o leggi numerologiche. Soffermia-moci un poco su questa tradizione, perché se ne comprenderemo a

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fondo il significato, capiremo meglio anche la reincarnazione.Noi respiriamo mediamente diciotto volte al minuto, mentre in un

minuto il polso batte mediamente settantadue volte. Dunque il numero diciotto è in qualche modo connesso con la respirazione, mentre il settantadue lo è con la circolazione sanguigna.

Il settantadue è un numero mistico legato al Sole: è l'espressione di quel suo lento moto retrogrado rispetto alle stelle che è chiamato precessione. Si tratta di un movimento assai complesso, nei cui det-tagli non entreremo.34 A noi basta sapere che, per il fenomeno della precessione, ogni settantadue anni il Sole si sposta esattamente di un grado nello zodiaco. Gli arcanisti non hanno tardato a collegare questo arco di tempo - durante il quale il Sole si trova in un grado occupato da una particolare stella, da cui poi si separa - con la durata della vita umana. Ognuno di noi nasce sotto una determinata stella - che per definizione astronomica è fissa in un singolo grado - e muore quando il Sole se ne separa con la precessione. Il detto ermetico che l'uomo è «una stella del microcosmo», si arricchisce così di un nuovo significato. E sicuramente per questa magia della precessione che nella tradizione arcana il numero settantadue è ritenuto così profondamente esoterico.35

Come il settantadue è associato ai periodi solari, così il diciotto lo è a quelli lunari. Il tempo che l'asse della Terra impiega a descrivere un cono immaginario intorno all'asse della propria orbita si chiama nutazione, ed è un ciclo della durata di diciotto anni.

Poiché il diciotto lunare trova una replica nella respirazione e il settantadue solare nella circolazione del sangue, possiamo affermare che questi due numeri operano nell'uomo. La tradizione esoterica ha continuamente ribadito che l'uomo è un essere sia lunare sia solare, e ha individuato nella composizione spirituale dell'umanità una periodicità lunare e una solare, espresse sul piano numerologico dal diciotto e dal settantadue. Il rapporto di 18:72 è 1:4. Nell'uomo l'atti-vità solare ha una velocità quattro volte superiore a quella lunare. La vita è quattro volte più rapida della morte.36

Anche noi, come molti nostri coetanei negli anni Cinquanta e Ses-santa, siamo andati in India, in parte in cerca di illuminazione spiri-tuale e in parte perché avevamo appreso che in India vivevano ancora uomini dotati di una conoscenza pratica degli effetti che i numeri e i suoni possono avere sul piano materiale. Il nostro maestro, che prima di morire aveva previsto e incoraggiato questo viaggio, ci aveva messo in guardia dall'intraprendere qualsiasi tecnica di regolazione della respirazione o dall'adottare altri sistemi orientali che, come quello tantrico, lo prevedessero.37

Il suo era un consiglio saggio. La Via del Matto era concepita per condurre all'iniziazione ai misteri attraverso modalità compieta- mente diverse da quella che il maestro chiamava «regolazione della fornace», un'espressione da cui avevamo dedotto che nel corpo

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umano egli vedesse, al pari di taluni alchimisti, una camera di com-bustione il cui calore è alimentato dall'ossigeno dell'aria.38

Il normale rapporto 1:4, aveva insistito il maestro, non andava turbato perché nella maggior parte dei casi costituisce il rapporto ideale per l'evoluzione spirituale dell'uomo occidentale. In molti ashrarn - le scuole preparatorie indiane - assistemmo a evoluzioni molto rapide in conseguenza degli esercizi respiratori, ma memori di quel monito, non vi prendemmo mai parte, così come ci astenemmo dal fare uso delle droghe che in talune scuole orientali costituivano un altro pilastro di un presunto sviluppo spirituale.

Le scuole indiane furono piuttosto deludenti. Ci parve non avesse molto senso seguire gli insegnamenti di quegli stregoni sofisticati e decidemmo perciò di recarci in alcuni luoghi sacri per studiare i simboli delle scuole arcane che li avevano eretti e di visitare alcuni degli osservatori ancora esistenti nel Nord del paese per soddisfare la nostra passione crescente per l'astrologia ermetica.

Il gigantesco osservatorio stellare di Jaipur, che abbiamo visitato più volte nel corso delle nostre ricerche sulle antiche tradizioni ini-ziatiche, è una delle grandi meraviglie del mondo (figura 68).39 I di-ciotto misteriosi strumenti che ancora contiene sono l'emblema del sogno di Jai Singh II, che fondò la città di Jaipur nel 1728 e quasi con-temporaneamente eresse questo straordinario osservatorio.

Gli astrologi di corte del raja Bishan Singh avevano previsto la grandezza del figlio, Jai Singh: egli avrebbe «brillato come Giove» nella galassia dei principi e sarebbe stato la stella più luminosa della casa reale. Il riferimento a Giove era significativo, perché alla nascita di Jai Singh questo pianeta si trovava nel Capricorno, una posizione ritenuta da sempre indice di una grande predisposizione per l'archi-tettura o di ingenti ricchezze provenienti da quel campo di attività. L'oroscopo di Sawai Jai Singh II per l'anno 1688 delinea la figura di un uomo dotato di una straordinaria capacità di visione, ma con una vita caratterizzata dalla vanità e dall'autoindulgenza. Gli astrologi di corte attribuirono grande importanza al suo lagnarti, l'ascendente, che era in Bilancia, scorgendovi una passione travolgente per le donne e per la musica e l'inclinazione per l'astronomia. Ma forse non ci voleva grande intuito per redigere un simile oroscopo, dal momento che quando fu tracciato Jai Singh aveva già trentuno mogli, un esercito di concubine, diverse orchestre private, e perseverava nella sua passione, coltivata fin dall'adolescenza, per Ì'astrologia.

Debolezze a parte, Jai Singh aveva un serbatoio inesauribile di energie. La sola costruzione di Jaipur e del suo osservatorio - che ri -chiese l'impiego di migliaia di operai e ingenti investimenti - sarebbe stata un'impresa più che sufficiente per la vita di un uomo, e invece questo osservatorio è soltanto uno dei cinque tuttora esistenti da lui edificati.

A Jaipur Jai Singh fece erigere diciotto strumenti per misurare il rapporto fra il Sole, le stelle e la Terra. Già il numero conteneva un

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elemento di consapevole magia, perché univa il lunare numero diciotto con il solare settantadue che l'osservatorio misurava. Non sorprende dunque che il nome indiano di queste massicce costruzioni, Jantar Mantar, derivi dai termini sanscriti i/antro, che significa «strumento», e mantra, che vuol dire «calcolo» o «formula magica».40

L'idea di questi Jantar Mantar non nacque dalla fantasia febbrile di un tiranno desideroso di imporre la sua legge: furono gli studi a suggerirgliela, quando si accorse che gli strumenti di Ulugh Beg41

avevano portato a tabelle di misurazione non sufficientemente precise per i suoi scopi. Jai Singh pubblicò successivamente le proprie tabelle, frutto dei calcoli effettuati in un altro suo osservatorio, quello di Delhi. Fu proprio grazie a queste classificazioni planetarie, stel-lari e zodiacali che la sua fama di astronomo si diffuse in tutto il mondo civilizzato. I gesuiti,42 che a quel tempo avevano un centro importante a Goa, resero omaggio alla sapienza del maraja regalan-dogli gli scritti matematici e astronomici di Copernico, Galileo e Ke

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plero. Jai Singh accolse con serena dignità il dono, anche se dai do-cumenti poi resi pubblici e dai manoscritti esistenti a Jaipur emerge con chiarezza che egli non solo conosceva perfettamente i metodi di calcolo astronomico occidentali, ma sapeva anche di possedere stru-menti più precisi.

Il loro aspetto inconsueto e i nomi poetici non devono però indurre a dimenticare che questi strumenti avevano una precisa funzione pratica.43

Lo struttura sicuramente più straordinaria di Jaipur è il massiccio Samrat Yantra, così preciso che ancora oggi stabilisce l'ora locale con uno scarto di soli due secondi. Il muro di centro, che si innalza per trenta metri, fa sostanzialmente da gnomone. Attraverso una scala che lo spacca a metà si raggiunge la torretta sopraelevata destinata all'osservazione. I «quadranti» per lo gnomone si trovano su entrambi i lati del muro; un forellino, grande come la capocchia di uno spillo, ri-cavato in una camera oscura accanto ai quadranti, fa filtrare un raggio di luce, che cade su un arco graduato di nove metri di raggio, quando il Sole attraversa il meridiano locale. Oltre a offrire una lettura precisa del tempo, lo strumento viene utilizzato anche nei rituali indù che si celebrano durante il plenilunio di giugno o di luglio per invocare condizioni di tempo favorevoli e un buon raccolto.

Il Jaiprakash Yantra pare sia stato l'unico strumento inventato personalmente da Jai Singh: tutti gli altri sarebbero perfezionamenti fatti sulla base di disegni già esistenti. La costruzione marmorea rivela quale fosse l'atteggiamento di Jai Singh: essa infatti era destinata a verificare le letture e i calcoli effettuati da tutti gli altri strumenti. Il Jaiprakash Yantra è un modello rovesciato della sezione del globo terrestre: un emisfero sprofondato nella piattaforma dell'osservatorio e pensato in modo tale da fornire un punto di osservazione interno da cui l'astrologo, stando al buio, poteva compiere i suoi rilievi studiando le ombre.

L'eterno Sole del cielo indiano ci ha permesso di assistere al fun-zionamento di questi strumenti più o meno come succedeva agli an-tichi astrologi. Ci siamo calati nella concavità dell'emisfero e abbiamo risalito i ripidi gradini di quelle che sono in realtà gigantesche meridiane per osservare il moto delle ombre prodotte via via dallo gnomone, moto percettibile quando esse sfioravano calibrazioni si-gnificative, partecipando così ai misteri della mobilità della luce. Mentre ci spostavamo respiravamo, e al nostro movimento faceva da parallelo quello del Sole. Respirando percepivamo di vivere entro la cornice interiore del lunare diciotto, mentre gli oggetti esteriori che stavamo esplorando erano misure dei misteri solari del numero settantadue. Sentivamo che quelle strutture erano in un certo senso più vive di noi.

La sensazione di prendere parte al respiro e alla circolazione della luce fu portentosa e la meditazione sui significati di quella numero-logia magica ci aprì vasti orizzonti. Al mattino osservavamo l'ombra

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dello gnomone di Samrat Yantra (la più grande di tutte le celebri meridiane) cadere alla sommità del quadrante occidentale, a una ventina di passi di distanza da noi. Al sorgere del Sole l'ombra di-scendeva lungo l'arco del quadrante fino al mezzogiorno locale, do-podiché scompariva, per ricomparire sul lato opposto e ricominciare a salire lungo il quadrante orientale allungandosi sempre più fino a sparire al tramonto.

In quel contesto di numerologia magica, il movimento dell’ombra era il simbolo della nascita e della rinascita, del mistero della rein-carnazione, che l'india associa in particolare con il segno zodiacale del Capricorno, il makara. Non fummo perciò sorpresi quando su una delle pareti inferiori scoprimmo l'immagine di questo mostro a forma di coccodrillo. Un gruppo di dodici strumenti con i loro quadranti graduati si trova in un'area separata chiamata Rashivalaya Yantra. Si tratta di strutture di estrema importanza pratica per gli astrologi, perché forniscono le posizioni dei segni zodiacali. Sotto ognuno degli archi accanto alla base di questi strumenti sono riportate le immagini relative al segno zodiacale corrispondente: quella del Capricorno è il makara, una figura molto diversa dal grande capro-pesce che in Occidente simboleggia il segno.

Il makara del Capricorno rivestiva un interesse particolare per Jai Singh, che ne conosceva l'importanza esoterica derivante dal suo legame con Saturno. È da Saturno che l'anima inizia il suo viaggio di ritorno verso l'incarnazione: attraversando le sfere planetarie raggiunge la Luna, e lì sosta a guardare il cosmo, in attesa del momento opportuno - dell'oroscopo giusto per così dire - per rinascere in carne e ossa.

Il simbolo del Capricorno in Occidente si è ormai ridotto alla sola rappresentazione del capro, ma nel Medioevo era di solito - e più propriamente - un capro-pesce. Nelle più antiche immagini babilonesi era un capro con la coda di pesce.

Questa immagine duale aveva un profondo significato arcano: il Capricorno regna infatti sia sull'uomo interiore sia su quello esteriore. Questo suo antico dominio è racchiuso nelle prime raffigurazioni dell'uomo zodiacale, in cui a ogni parte del corpo è assegnato un se-gno: in questa tradizione il Capricorno governa la struttura ossea e la pelle.

Nell'essere umano, dunque, il Capricorno tiene unite la struttura interna e quella esterna. Senza lo scheletro l'uomo sarebbe gelatinoso. Senza la pelle non avrebbe protezione alcuna dal mondo esteriore. La metà costituita dal capro, con le sue lunghe corna, sembra essere la parte dura dell'umanità, emblematica di ciò che dà alle cose la loro

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struttura. L'altra metà, quella del pesce, sembra essere la parte morbida, tenuta ferma dalla struttura esterna. Il Capricorno è go-vernato da Saturno, il dio del tempo, ed è perciò associato all'antica immagine di quell'altra portatrice di falce che è la morte.

La dualità fra rigidità e morbidezza è anche il simbolo del corpo umano, nel quale la testa-fortezza contrasta con la delicatezza del re-sto. La polarità durezza-morbidezza, che è contenuta nel sigillo del Capricorno, si rispecchia nella struttura dello zodiaco, in cui il capro-pesce si trova in opposizione al Cancro, che è un segno d'Acqua. Non potrebbe esserci contrasto più evidente fra un segno di Terra, legato alla struttura, qual è il Capricorno, e un segno fluido, acqueo, qual è il Cancro. Come il Capricorno governa la morte fisica, così il Cancro governa il suo contrario, che è la nascita nel corpo fisico. Nell'astrologia arcana il Cancro rappresenta la discesa nella vita, ossia l'incarnazione. Questa polarità di vita e morte riecheggia nei grandi zodiaci all'interno delle chiese medievali in cui il Capricorno è orientato verso il portale e il Cancro verso l'altare.44 I fedeli entravano in chiesa nel punto della morte e si incamminavano verso la libertà della vita superiore, spirituale, promessa da Cristo.

Le nostre esperienze personali nei templi e negli osservatori del-l'india ci confermarono quanto avevamo già scoperto nelle cattedrali medievali. Nelle costruzioni di entrambe queste grandi culture il gioco architettonico di numero e luce sembrava connesso con i misteri arcani del Capricorno, l'orientale makara.

«Il nesso che tu hai intravisto fra il segno del Capricorno e i co-struttori delle cattedrali esiste davvero» ci disse un giorno il maestro. «Anch'io sono convinto che il Capricorno è uno dei misteri su cui si fonda tutto il movimento massonico. Il sigillo del Capricorno...» sollevò la mano e con abile gesto tracciò nell'aria il sigillo

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che alcuni considerano una stilizzazione del capro-pesce «ha un si-gnificato profondo. Per metà è costituito da un angolo retto - la squadra massonica - che nei circoli ermetici si chiamava anticamente kart.*5

v ) ' v ' .

«Questo angolo è talora associato a una forma curvilinea, simile a un nodo. Anche il nodo discende dai misteri egizi.46 Nel simbolismo esoterico questa curva e quest'angolo così elementari costituiscono in realtà l'unificazione della dualità cosmica di angolo-squadra e pesce. Se li osservi attentamente, ti accorgerai che ben pochi segni grafici possono essere più contrastanti della rettilinea forma a V e della fluida curva.

v f ,«Tutti e due i simboli risalgono all'antico Egitto. L'angolo è il gioiello

che viene posto sulla mummia sacra, a ricordare che il Capricorno è almeno per metà collegato con la morte. È il pat-aik, "l'angolo d'oro"

il simbolo di cui potevano ornarsi soltanto gli dei più importanti come Ptah, il quale aveva modellato l'uomo con la creta.47 Gran parte della saggezza misterica dell'antico Egitto era volta, come sappiamo, a preparare le visioni e i simboli che avrebbero alimentato i futuri misteri di Cristo. Fra i tanti simboli della casta sacerdotale egizia di cui si appropriò il cristianesimo delle origini c'era il geroglifico kan. Esso rappresenta la pietra angolare, ed è chiaramente connesso con il simbolo massonico primario dell'angolo retto.48

«Siamo dunque di fronte all'unione fra l'angolo retto dell'arte massonica e i Pesci, unione che appartiene alla saggezza arcana dei Templari. Questo mistero puoi ancora vederlo immortalato nella pietra della facciata occidentale della cattedrale di Chartres: è uno dei simboli più arcani del cristianesimo.

«Hai mai pensato al rapporto esistente fra il berretto frigio dei culti mitraici e il makara?» ci chiese poi appoggiandosi allo schienale della sedia.

Restammo allibiti. Quale rapporto poteva mai esserci fra quello

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strambo copricapo, con la punta ripiegata in avanti e il makara, il capro dalla coda di pesce?

Cercando di nascondere la sorpresa, ci limitammo a rispondere di no.

«Immagina» proseguì il maestro «che il berretto con la sua forma voglia richiamare la coda del pesce, la parte ricurva del capro. Ebbe-ne, se esso rappresenta i Pesci, una volta posto sul capo, che è gover-nato dall'Ariete, si completa simbolicamente il cerchio zodiacale. La coda dei Pesci ricade, per così dire, sulla testa. La testa è governata dall'Ariete, mentre i Pesci governano i piedi. Capisci che cosa implica questo simbolismo?»

«La Uberia si piega su se stessa e spinge verso i piedi?»«Esattamente. L'Ariete, che è il primo segno dello zodiaco, tocca i

Pesci, che chiudono il cerchio. La Uberia diventa così un simbolo di completamento. Ma il suo significato non finisce qui: essa ci ricorda la verità della reincarnazione, ci ricorda che la rigidezza del cranio deve essere addolcita dalla curvilinea Uberia: che la durezza interiore deve trasformarsi in morbidezza esteriore. Gli iniziati, ai quali era concesso di indossare il berretto frigio, erano forse "uomini giunti a compimento", uomini che conoscevano le verità della reincarnazione? Questi antichi simboli iniziatici sono importanti, perché racchiudono sempre strati su strati di significato.»

Benché la sua domanda iniziale ci avesse colto di sorpresa, com-prendemmo immediatamente la saggezza di quanto diceva il maestro: in pochi istanti, con le sue parole, avevamo capito molte cose sul simbolismo di quello strano copricapo che è il berretto frigio. «Allora» domandammo, «quando la Uberia compare in immagini che non appartengono alla tradizione mitraica - per esempio nell'arte cristiana - indica sempre l'iniziazione?»

«Sì, indica sempre il compimento di un'opera all'interno del cosmo, la chiusura del cerchio. Sì, la sua presenza nelle prime immagini cristiane costituisce un riferimento intenzionale all'iniziazione, di come era nel mondo antico. In seguito i cristiani adottarono altri simboli per indicare i Pesci e l'Ariete, per raffigurare il concetto del compimento.»

Tacque e inarcò le sopracciglia. «Conosci quella curiosa figura con la Uberia che si trova fra le guglie di Notre-Dame di Parigi?»

«Sì. Fulcanelli afferma che si tratta di un alchimista.»49

«Fulcanelli ha ragione. Il berretto mitraico sopravvive nel simbo-lismo alchemico, ma nel XVII secolo non alludeva più all'antica ini-ziazione, bensì a quella moderna, quella dei Rosacroce.»

Alla nostra mente si presentarono diverse immagini alchemiche e rosacrociane in cui compariva il berretto frigio (figura 69). Fino ad allora non ne avevamo mai compreso le vere implicazioni.

«Il simbolismo è particolarmente interessante quando a realizzarlo è un artista che è anche un Rosacroce...» disse.

«Si riferisce a qualcuno in particolare?»

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«Sì, a William Blake, il più geniale di tutti. »«Dove ha usato il berretto frigio?»«Nell'incisione di Giuseppe d'Arimatea. Blake l'ha posto sul capo di

Giuseppe, per indicarne lo status di iniziato cristiano.»Avevamo ben in mente l'incisione (figura 29). Il maestro aveva ra-

gione: Giuseppe indossa la liberiti. Ricordavamo anche che si tratta di un disegno ispirato a Michelangelo. Chissà se lo stesso copricapo compariva anche nell'originale?50

Blake non era certo estraneo all'idea dell'iniziazione cristiana: dell'argomento si era occupato a fondo il suo mentore esoterico, Jacob Boehme. Sull'incisione Blake scrisse che Giuseppe d'Arimatea era «uno degli artisti gotici che costruirono le cattedrali in quella che noi chiamiamo l'epoca buia». Senza dubbio Blake sapeva benissimo che Giuseppe era colui che aveva assistito alla crocifissione di Gesù e ne aveva disposto la sepoltura, come sa chiunque conosca le Sacre Scritture. Blake sapeva anche, se non altro per aver letto Milton, che Giuseppe si era poi recato in Inghilterra, portando con sé il Sacro Calice, che aveva sepolto sotto Glastonbury Tor.51 Quando afferma che Giuseppe d'Arimatea «costruì le cattedrali», Blake si esprime per metafora, con allusione all'impulso che Giuseppe e i primi cristiani impressero alla diffusione del cristianesimo in Inghilterra, e dunque alla costruzione delle cattedrali. Blake è convinto che Giuseppe, come tutti i cristiani e come tutti gli iniziati di ogni epoca, non sia stato compreso.52

«Che Blake abbia trasformato l'immagine michelangiolesca di Giuseppe d'Arimatea in quella del leggendario fondatore della Chiesa inglese - o, per usare la versione poetica di Blake, del costruttore delle cattedrali - è un fatto curioso. Che poi abbia di nuovo messo mano all'incisione, una copia non molto felice, in un'altra fase della sua vita, aggiungendovi un commento, è un fatto ancora più curioso.

«Che cosa comunica veramente Blake con questa sua incisione? Il suo intento non è certo quello di esibire la sua bravura come allievo di Basire, nella cui bottega di stampatore aveva compiuto l'appren-distato: l'incisione non è particolarmente pregevole. Forse era proprio il berretto frigio ad avere attratto la sua attenzione, avendovi ri-conosciuto un simbolo iniziatico. Infatti, a eccezione dello sfondo, Blake segue in tutto e per tutto l'originale michelangiolesco, con l'u-nica aggiunta della liberici.»

Il maestro aveva chinato il capo, e ci scrutava da sotto in su, con le sue pupille grigie e l'aria divertita.

«Questi simboli cristiani ti affascinano, Mark, lo so. E ti affascinano per quello che già sapevi e hai già fatto in una vita precedente. Tutta la conoscenza è memoria, ma in te i ricordi affiorano con una forza inconsueta. Un giorno, Mark, tornerai in Francia a studiare. Con quello che hai imparato negli ultimi vent'anni potrai vedere le cattedrali in una dimensione esoterica del tutto nuova, come resti di sapienza arcana. Il Matto porta un bastone in spalla e l'altro in mano, come

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guida e sostegno lungo il cammino.«Perché ha due bastoni? Devi cercare di rispondere a questa do-

manda senza il mio aiuto. Perché due?» Con un cenno ci fece capire che il colloquio era finito, ma prima di uscire dalla stanza si voltò ver-so di noi. «Quando sarai di nuovo a Chartres forse vorrai trovare con-ferma alle mie parole. Quando avrai decifrato il grande simbolismo arcano del pesce e della squadra, sarai libero di scriverne. Qualcuno deve documentarne l'esistenza per la posterità, perché ben presto queste cose andranno perdute e ne resterà testimonianza soltanto nei documenti segreti, le Cronache Akashic. Tutti questi signori così in-telligenti che hanno discettato sul significato dell'influenza esercitata dai Templari sulla costruzione di Chartres non se ne sono accorti: tu dovrai cercare di non cadere nello stesso errore. Sarebbe un vero pec-cato se questo filo di saggezza arcana si smarrisse perché un Matto non sa usare gli occhi. Vorrei che tu ti dessi il compito di decifrare questo simbolismo.» I suoi occhi cercarono i nostri ed egli disse una cosa che allora non capii: «Sarà per me un grande piacere osservarti mentre cerchi la conferma delle mie parole a Chartres.»

«I modi duali della Luna», come li ha definiti un esperto moderno della via oscura, Kenneth Grant,53 occupano un posto di grande rile-vanza nella magia di Aleister Crowley, che tanta influenza ha avuto su alcune scuole del nostro tempo.

Crowley sapeva che nell'astrologia arcana il Capricorno rappre-senta l'organo maschile, il phallus, mentre il Cancro rappresenta quello femminile, la kteis. Queste associazioni sono raffigurate con chiarezza negli antichi sigilli dei due segni

CAPRICORNO CANCRO ©Il sigillo del Capricorno è duale, è sia duro sia molle; quello del

Cancro è fatto interamente di curve e cerchi, che neH'insieme descri-vono la forma dell'antico geroglifico egizio ru 0 emblema dell'occhio, della bocca e dell'utero.

Nella carta del Diavolo, che Crowley disegnò per il suo libro dei tarocchi,54 è rappresentato un capro dalle possenti corna ricurve (fi-gura 70). Alle sue spalle c'è quello che a prima vista può sembrare un albero, ma che in realtà è un pene eretto, con due grandi sfere tra-sparenti al cui interno si vedono degli umanoidi. I due globi acquosi ricordano il sigillo del Cancro e rinviano sicuramente alla nozione di «nascita» o concepimento. Il simbolismo di questa carta non ci ri-guarda: ci limitiamo a osservare che allude alla dualità del Capricorno e del Cancro, perché le due sfere rappresentano il potere generativo della Luna prima che le energie sessuali vengano dispiegate dal Capricorno.

Alcune delle pratiche magiche più potenti, connesse con la Luna, risentono dell'influsso di Crowley e dei suoi seguaci.55 La Babalon, o Donna scarlatta di Crowley, che si dice partecipasse alla sua magia sessuale, pare debba il nome al sangue del mestruo lunare.56 È un

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simbolismo intelligente, perché unisce l'elemento solare (il sangue) all'elemento lunare (il ciclo) e suggerisce perciò i numeri magici di-ciotto e settantadue, ossia il rapporto 1:4. Babalon era dunque una personificazione lunare: si comprende così perché Crowley abbia stabilito un nesso fra il Capricorno-capro, in quanto simbolo del vigore sessuale, e la Donna scarlatta come oggetto del desiderio.

Nelle correnti di simbolismo più oscure il capro è associato al Capro baphometico57 dei riti stregoneschi, il quale è a sua volta collegato con la parola svd, che significa il segreto, o l'occhio segreto. Nella stregoneria moderna lo svd è l'ano del capro: da qui sono forse nati alcuni fra i fraintendimenti più clamorosi sul culto del capro nel sabba e sul «bacio profano». Lo svd, pur essendo un termine sanscrito, è chiaramente connesso con l'antico geroglifico egizio ru 0- A livello cosmico lo svd è l'occhio segreto che dal punto più lontano dello zodiaco, il Capricorno, guarda verso il segno opposto, il Cancro, che è governato dalla Luna.

I sistemi cabalistici, che hanno influenzato il pensiero e le ricerche di Crowley, erano stati più discreti di lui e dei suoi seguaci nel parlare dell'attività sacra del sesso. E tuttavia anche nei prolissi insegna- menti della cabala l'elemento sessuale rinvia chiaramente alla Luna e a tutte le associazioni lunari rintracciabili nell'alchimia e nell'astro- logia. E le dottrine cabalistiche sono senz'altro più esplicite nell'in-

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dicare le profonde connessioni esoteriche che legano le facoltà im-maginative dell'uomo alla Luna.

Nel Microprosopus, o Faccia cosmica, al cervello, che è la sorgente dell'immaginazione e dell'immaginazione finalizzata, ossia della fantasia, viene assegnata la lettera ebraica qoph. Una conferma inte-ressante a ciò, anche se poco visibile, la fornisce l'Adam Qadmon, l'uomo archetipico, di Knorr von Rosenroth. In questa famosa incisione (figura 71) la calotta cranica è stata asportata per mostrare il cervello: al di sopra delle sue circonvoluzioni labirintiche compare la lettera ebraica qoph. Essa governa all'esterno e all'interno, perché regna sul cervello in quanto materia e su uno dei suoi prodotti, vale a dire sull'immaginazione.

Come suggerisce l'opera di Rosenroth, il cervello umano è il riflesso di un cervello più grande, il Macroprosopus della cabala. È il volto cosmico che tiene perpetuamente aperto il suo unico occhio visibile, è la Creazione perenne di immagini. Dicono che se l'occhio si chiudesse anche per un solo istante, tutta l'esistenza verrebbe meno: la qoph di questo volto cosmico è ciò che perpetua l'intera vita spirituale dell'universo.

Questo Grande volto si ritrova nell'immagine più grande, archeti-pica, della faccia umana. Com'è noto, è il nostro cervello - o il nostro apparato percettivo - a conservare l'universo esteriore. Come il cer-vello superiore conserva con il suo singolo occhio l'intero cosmo, così il nostro, con i suoi due occhi, conserva l'intero tessuto materiale dell'illusione che chiamiamo il mondo, ma che in realtà è il nostro mondo. Esiste dunque un parallelismo interessante fra Creatore e creato. Se l'intero creato è un pensiero di Dio, allora anche il mondo è, in forma minore, un pensiero nostro. La lettera qoph ebraica è l'in-termediaria, l'elemento comune, fra la grande e la piccola mente, fra quella di Dio e quella dell'uomo.

Un'interpretazione molto originale e immaginativa dell'idea delle fisionomie e degli occhi riflessi si può trovare nel grande Rosacroce Jacob Boehme. Dio, com'egli suggerisce, potrebbe essere rappresen-tato dalla lettera A, che sta per Auge, «occhio» in tedesco. Tale occhio spirituale, con il suo potere creativo, scruta fra le tenebre giù in basso e vede... se stesso. La A di Auge si rifletterebbe infatti in un'altra A. Ne risulta un sigillo a forma di losanga,

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1. A.O. Spare, Sangue sulla Luna, pastello (1954).Collezione privata.2. Schizzo della cattedrale di St Paul, vista dall'antica casa di Sir Cristopher Wren sulla sponda opposta del Tamigi.

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3. Illustrazione di Boris Artzybasheff, Mi sentirei molto solitaria quassù, per Funnybone Alley di Alfred Kreymborg (1927).4. Unione del Re solare con la Regina lunare. Rappresentazione alchemica tratta dal Rosarium Philosophorum (1550).

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5.

Disegno della figura del Matto intagliata 6. Il Matto, illustrazione trattasullo scanno di Najera: l'uomo indossa dal frontespizio del Gargantua di Françoisuna veste aperta e il cappello a tre punte. Rabelais (1532).

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7. Il Matto, o Figliuol prodigo, disegno tratto dal Figliuol prodigo di Hieronymus Bosch.Il dipinto si trova nel Museo8. Il Matto negli arcani maggiori dei

tarocchi, versione basata su un mazzo

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----------J: n_i.

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9. L'alchemica «Triade della natura»tratta dal frontespizio di Mille Hypotheses Chymicae di F.F. Becher (1668).10.Il Bagatto, da un mazzo di tarocchi italiano della metà del XIX secolo. Si noti, in alto a destra,la lettera deU'alfabeto ebraico aleplt, suggerita anche dalla posizione delle braccia.

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11.Disegno ispirato all'Allegoria della follia di Q. Metsys (1520 circa): il dipinto ha per soggetto il tema iniziatico della crescita spirituale e della necessità di mantenere il segreto.

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12.La stella a cinque punte (pentagramma): immagine ripresa da un testo di magia del XVI secolo. Al centro, la parola magica Saba.14.La visione cosmica che segue la rimozione della benda dagli occhi. Disegni di filigrane medievali tratti da H. Bayley, The Lost Language o/Symbolism.

13.L'asino santificato, disegni di filigrane medievali tratti da H. Bayley,The Lost Language of Symbolism

(1907).

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15. -16. Xilografie tratte da G.J. Witkowski, L'Art profane à l'église (1908), riproducenti due composizioni scultoree della chiesa medievale di St-Pierre a Moissac. A sinistra, un demone che afferra una doruia; a destra, due demoni sulle spalle di un mendicante e di un avaro.

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19. Iniziazione dello spirito del defunto, identificato con Osiride. Particolare del papiro Hunefer nella versione litografica Budge dell'egizio Libro dei morti.

17. Rappresentazione di un battesimo o di un'iniziazione. Xilografia tratta da G.J. Witkowski, L'Art profane à l'église.18. Iside, con l'ns/ sul capo, mentre allatta il figlio Horus. Xilografia tratta da F.N. Lockyer, The Daivn of Astronomi/ (1894).

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20. Il giardino dell'Eden con la fontana della vita, l'unicorno e altri simboli alchemici ed ermetici. Particolare di un'immagine tratta da Verard, L'Arbre de la Science (1505).

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21. L'unicorno sacro.Disegno di ima filigrana medievale riprodotta in H. Bayley,Tlie Lost Language of Symbolism.22. Il cerchio della danza, chiamato anche labirinto, che si trova sul pavimento della cattedraledi Chartres (XII-XIII secolo).

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26. La danza di Salomè davanti a Erode. Particolare dell'anta sinistra della porta bronzea della basilica di San Zeno a Verona.

25. Bassorilievo raffigurante il segno dello Scorpione che stringe fra le chele la Bilancia. Particolare dell'arco zodiacale situato in cima allo Scalone

dei morti della Sacra di San Michele in vai di Susa.

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27.Xilografia della fine del XV secolo raffigurante l'«uomo zodiacale», con i pianeti che governano le varie parti del corpo umano. La testa è sotto l'influsso dell'Ariete, i piedi sotto quello dei Pesci.28. Un altro particolare dell'anta sinistra della porta bronzea della basilica di San Zeno. Vi è raffigurata la Crocefissione con le personificazioni del Sole e della Luna.

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29. Particolare di un'incisione ispirata a un disegno di Salviati realizzatada William Blake, e da lui intitolata Giuseppe d'Arimalea. L'uomo porta il berretto frigio.30.Mosè in groppa all'asino. Particolare di un pannello dell'anta destra della porta bronzea della basilica di San Zeno a Verona.

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Ssiima facies piTrid eli fattimi n cft anpetatia.cogitatiamì mulnni.-inneru mutami; fsrr>£ loco ad loci mqrendi fubltantiainetvictum.

Secuudd facies eit ìouia i eftap rectandi lemultii: voiuntanaalte:pctcdi ac mtromittendi feoerebue magnisi altie.

Zcrcia faaeeertmartieret dì fomicauonie •zampila noniB:magncoelecrationie cum mulieribue 'zoiligcndi qmetce.

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31.Triplice divisione di un segno zodiacale in decani con un arco di dieci gradi. Ogni decano (o «faccia») è accompagnato da una spiegazione in latino. Xilografia del 1490.

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32. L'Ariete con i suoi tre decani. Particolare degli affreschi della sala dei Mesi di palazzo Schifanoia a Ferrara.

33.Marte e Ilia. Particolare degli affreschi della sala dei Mesi di palazzo Schifanoia.

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34. La gru, la candela e l'altare. Illustrazione tratta da The Most Holy Trinosophia (fine del XVIII secolo).

35. Il drago distrugge la donna, la donna distrugge il drago: ultima incisione della serie de\Y Atalanta Fugiens di M. Maier (1618).

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36. Frontespizio dell'Atalanta Fugiens. Le immagini raccontano la storia dei tre pomi d'oro.

38. Il vento l'ha portato nel suo ventre: prima incisione della serie dellVUfliania Fugiens.

< _ J T A L A N T Arv G I B U S ,

bxlU,E M B L E M A T A

N O V ADii SECRET1S NATURA C H Y M I C 'A ,

Accommodata p unni oculii Se uucllcftui, figum copto inc:lU,adjcv\i*quc fcntentiit, Epigtam- matu &; nocis. panini aaiibui ¿t iccrcanoni auimi plus uutnis 10 rugn Muflcaliljin muoi Vocum .quaium «lux ad un j ni limpl.cem melo* diam diitichi» (attendi* pcraptaru .coirefpon. dc.tni 1 non abfqt fioguLriiucunduatc 1 «Jcnda, legenda.mrdit inda,,iniclligeudafdijudicandj, ca'ncnda & audicnda :

Authcr’ . 'M1 c h A e L F. M AJ b r o Imperiai. Con*

(irtutii Comitc, Med.D. E<] cx.&c.O T ? E S UBI SS H Ex typugrapiwa Hisronvmi GauIKI,

SHHiftibw f o 11 HIOPO»! de UUT*nr~ve x vi ilr

37. Ritratto dell'alchimista Michael Maier all'età di quarantanove anni, contenuto nel suo libro Atalanta Fueirns

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39.La sua nutrice è la Terra.Seconda incisione della serie dell'Atalanta Fugiens di M. Maier.

40. Magnesia spruzza il suo latte sacro nel mare, simbolo dell'anima. Immagine tratta da J.D. Mylius, Philosophia Reformata (1622).

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41. Quadrante superiore del grande orologio astronomico collocato sul municipio del centro medievale di Praga.

43. La città con le tre torri al centro del quadrante inferiore dell'orologio astronomico: per alcuni raffigura il ponte Carlo, per altri è l'immagine di Praga stessa.

42. Quadrante inferiore del grande orologio astronomico di Praga.La circonferenza esterna riporta i giorni, i medaglioni interni indicano le attività associate a ognuno dei dodici mesi. 44. Xilografia dipinta a

mano (1530 circa), basata su un disegno dell'Azoth che illustrava le opere di Paracelso. Le tre teste che si innalzano sono allegorie di Mercurio.

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'THE DWLLLDK.'.'ON/ THE THRSSHOUX-

46. Il Centauro afferra la Bestia Particolare dell'arco zodiacale in cima allo Scalone dei morti della Sacra di San Michele.

45.1 guardiani della soglia, illustrazione ispirata

ai versi della Divina Commedia, eseguita da A.O. Spare per il suo Eartli Inferno.

47. Il Matto raffigurato come un cieco che esce dalla tomba e avanza perlustrando il cammino con due bastoni. Immagine tratta dall'edizione del 1493 della Nave dei folli di Sebastian Brandt.

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T H E FOOL48 .11 Matto dei tarocchi visto da Oswald Wirth, che lo disegnò nel 1889 sotto l'influsso dell'occultista de Guaita.

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49.La cella sotterranea del necromanteiondi Efira sull'Acheronte, dove gli antichi evocavano e consultavano gli spiriti dei morti e quelli infernali.50.Ercole trattiene il cane dalle tre teste che custodisce le porte dell'Ade. Incisionesu legno trattada F. Creuzer, Symbolikund Mythologieder Alten Voeìker (1819).

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51. Thot, raffigurato come dio-scimmia, e il dio di Hermopolis dalla testa di ibis.

52. La figura alchemica della Regina vergine che si erge sulla falce di Luna. Particolaredi un'immagine di fine XVI secolo ispirata al Rosarium Phìlosophorum.53. Il dio-serpente Apep: particolare (rattodalla versione Budge dell'egizio Libro dei morti.54. Il serpente - equivalente al Drago europeo - si snoda fra i simboli che contrassegnano i giorni del calendario maya. Disegno basato su due fogli del Tro-Cortesiamis Codex maya.

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57. Il dio solare alato, Ahura Mazda; particolare di un bassorilievo persiano. Incisione tratta da Coste, Perse Ancienne (1883).

55. Mitra uccide il toro nella caverna.Il sangue che cola dalla feritaè il nama sebesion, «la sorgente sacra».

56. Un'antica mappa delle costellazioni, sorretta dalle personificazioni del Sole e della Luna. Al centro il serpente avanza strisciando fra le due orse.

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59. I sette peccati capitali di Hieronymus Bosch, tavola conservata al Museo del Prado a Madrid.

58. Testa della gigantesca statua di Ramses li nel tempio di Luxor. L'ureo in mezzo alla fronte è il simbolo della visione iniziatica.

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60.La vesica piscis o mandorla mistica trasformata in aureola dall'arte cristiana, che l'ha ripresa dal ru egizio. Disegno tratto da una delle vetrate della cattedrale di Burgos, in Spagna.61.Fay Pomerance, Unione di Iside e Osiride, illustrazione monocroma (1959).

62.Una delle piramidi- tempio del sistema M nel sito sacro di Monte Alban (Oaxaca), in Messico. Sulle pietre allineate in basso sono scolpite delle figure danzanti, alcune delle quali recano geroglifici die sono

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63.Cerimonia iniziatica raffigurata nella villa dei Misteri a Pompei.64.Mercurio alchemico, con il sigillo sopra il capo e un caduceo per mano. Particolare dal Duodecim Clavibus di Basilio Valentino (1618).

65. Raffigurazioni egizie delle costellazioni dipinte sulle pareti della camera sepolcrale di Seti 1 nella Valle dei Re, in Egitto.66. ri gesto eterico dell'anima dipartita di un defunto (la figura cosiddetta deH'ornnso della preghiera) rappresentato nella catacomba di Callisto a Roma (111 secolo d.C.).67.Illustrazione dell'uomo pentagrammatico nel gesto eterico tratta da Cornelio Agrippa, De Occulta Philosophia (1534).

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68.Samrat Yantra: lo gnomone in muratura dell'osservatorio di Jaipur che segna tuttora con precisione l'ora solare.

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69. Alchimista al lavoro nel suo laboratorio: si noti la liberici che porta sul capo.

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70.La carta del Diavolo del mazzo di tarocchi, chiamato Libro di Thot, disegnato da Lady Frieda Harris su istruzioni di Aleister Crowley. Numerosissime le allusioni sessuali, di solito assenti npl rlisp^nri h-arliyinnalp Hi nnpcta rari-»71. La Faccia cosmica cabalistica con la lettera qoph al di sopra del cervello. Riproduzione tratta da C. Knorr von Rosenroth, Kabbala denudala (1684).72.L'albero sefirotico della cabala, con i centri di yesod collegati a malkul:è la connessione fra Mercurio e la Terra (in alcuni sistemi, fra Mercurio e la Luna) e contrassegna il trentaduesimo sentiero, quello di Saturno.

73.Particolare della torre centrale del tempio di Swayambhunath a Kathmandu, in Nepal. Su ciascuna delle quattro facce della torre sono dipinti tre occhi: quello centrale è Vek, il simbolo nepalese del numero uno.

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74. Abbraccio erotico: bassorilievo risalente al X secolo d.C. del tempio Vishvanath di Khajuraho, in India, dedicato a Vìshnu.

75.Un alchimista osserva la caduta dal cielo del nostoc, o rugiada filosofale. Quadrilobo del portale a soggetto alchemico della cattedrale di Amiens, in Francia.76.La carta della Luna nei tarocchi(il 18 è un numero lunare) ispirata a un disegno del XVIII secolo. Le lacrime cosmiche scorrono verso la Luna.

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77. Due alchimisti, un uomo e una donna, raccolgono la rugiada filosofale con alcune lenzuola. Incisione tratta dal Mulus Liber, il cui autore è probabilmente Jacob Sulat o Saulat (1677).

78.Particolare di una losanga araldica e dei fiori eterici a cinque petali scolpiti sui capitelli medievali del chiostro del monastero di Santa Maria di Ripoll, in Catalogna.

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79.La dea Iside (a sinistra) con la sua oscura sorella Nefti in adorazione di Osiride.Immagine tratta dal papiro Hunefer nella versione litografica Budge del Libro dei morii.80.Simboli cristiani, fra cui la misteriosa Stella Maris (sotto il cartiglio, in alto a destra), in una xilografia databile intorno al 1505.

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83.11 pesce come simbolo di Cristo. La figura che lo sovrasta è un iniziato.

81. La pagana Sheelah-na-gig sulla parete sudest della chiesa normanna di Kìlpeck, nei pressi di Hereford, in Inghilterra.La sua vulva è a forma di ru.

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82. La vesica piscis, o ru, connessa con la posizione della Vergine morente. Disegno tratto da una pala del Maestro Bertram.

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84. Particolare dei Pesci, dallo zodiaco di Hermes riprodotto dallo studioso gesuita Athanasius Kircher in Oedipus Aegyptiacus (1652-1655).85.1cavalieri Templari sulla facciata occidentale della cattedrale di Chartres. La coppia (a destra) raffigura il segno dei Gemelli.Lo scudo dei Templari punta verso il pesce del sottostante segno dei Pesci.86.Il pesce sulla facciata occidentale della cattedrale di Chartres rappresenta a un tempo il Cristo e il simbolo dei Pesci, il segno che governai segreti dell'iniziazione.

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87.L'âne qui vielle, ovvero l'asino con la ghironda, sulla parete sud della cattedrale di Chartres. La figura a sinistra è l'arcangelo Michele, che sorregge la meridiana.

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che raffigura l'interpenetrazione fra cosmo e uomo, fra macrocosmo e microcosmo. Quest'interessante visione dell'occhio-j4wge è racchiusa in numerose immagini dei Rosacroce, cabalistiche e occulte.Il loro simbolismo è meno scoperto, ma è comunque fondato sulla nozione che un occhio disegnato su un foglio può essere visto soltanto da un altro occhio, che è quello dell'osservatore. I due occhi si compenetrano, uniti dai fili invisibili della visione.

Si rintracciano echi della magia di questa luce riflessa nella descrizione della testa del Macroprosopus dello Zohar ebraico.58 Il cranio è qui composto da una luce così potente da estendersi fino a quarantamila mondi superiori al nostro. Questa luce è «solare». Il cervello del Macroprosopus è rugiada cristallina, anch'essa illuminata internamente da una luce che si spande per tredicimila miriadi di mondi. Questa luce è «lunare». La rugiada cristallina ha fra le sue proprietà magiche quella di poter discendere nel mondo inferiore, sulla Terra, a risvegliare i morti che dormono, vale a dire l'umanità.

Dalla membrana che avvolge il cervello si diramano trentadue sentieri mistici, un numero che collega il Macroprosopus con l'Albero sefirotico (figura 72), i cui sentieri visibili sono appunto trenta- due. Quello inferiore, associato al tau, va da yesod a malkut, cioè dalla Luna al mondo degli uomini: è il sentiero dell'immaginazione.59

Alla lettera qoph viene assegnato il valore numerico di cento. Cento è il numero del sesso. Secondo Kenneth Grant, questi cento anni possono essere suddivisi, dal punto di vista numerologico, nei venti del K (khaf) e gli ottanta del P (phe), che stanno rispettivamente per Kteis e Phallus.60 Per queste sue connotazioni sessuali la lettera qoph è giustamente associata al sentiero che si dirama da Venere, il pianeta dell'amore e della concupiscenza.

Il sigillo del Capricorno è duale, ma graficamente i due elementi che lo compongono sono in conflitto, perché uno è rettilineo e l'altro è curvilineo. Questo «conflitto» può essere ridotto agli antichi simboli egizi kan e anke-te £,. Anche il sigillo del Cancro è duale, ma fra le due parti non solo non c'è contrasto, ma esse sembrano quasi l'una il riflesso dell'altra. Il sigillo del Cancro è un'immagine speculare: d'altra parte anche la Luna brilla di luce riflessa.

La rugiada celeste degli alchimisti discende da phallus e viene raccolta in kteis. Sono queste, e altre simili, le connessioni che permettono di intravedere le linee esoteriche che congiungono alchimia e astrologia.

Nel momento in cui cominciano a evidenziarsi le implicazioni più profonde dei simboli del Capricorno e del Cancro, e insieme le loroassociazioni con gli antichi misteri e con il cristianesimo, diventa più facile capire il significato che il controllo sessuale e la castità rivestono nello sviluppo della psiche umana. Il legame «naturale» fra Cancro e Capricorno è costituito dai rispettivi elementi curvilinei: il Cancro è interamente curvilineo, mentre il Capricorno lo è solo a metà. Le forze vitali, che conducono alla nascita e alla

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reincarnazione nel Cancro, costituiscono una progressione naturale. A questa si oppone l'elemento rettilineo del Capricorno, che con la disciplina e l'autocontrollo imbriglia il flusso naturale delle energie - del seme - impedendone il deflusso nel regno lunare della materia. Le forze lunari trattenute possono essere incanalate e trasformate in forze spirituali. In questo consiste l'andare «contro natura» che è l'essenza dell'iniziazione: essa va contro natura perché secondo la visione comune è uno sforzo innaturale, ingannevole.

Nel sistema cabalistico, come si è detto, il cento di quph è il numero dell'illusione. Come l'occhio segreto, lo svd, vede al di là dell'illusione, così l'occhio normale non sviluppato (o ru) vi resta immerso. Questo significa che l'attività sessuale è a un tempo figlia e madre di un'illusione in cui agiscono, invisibili, le forze cosmiche.61

La natura non illusoria opera muovendo dal Capricorno al Cancro. L'iniziato - che agisce invisibile nel mondo - cerca di sottrarsi alla via naturale, di evitare l'incarnazione rappresentata dalla Luna del Cancro. Egli si sforza di procedere dal Cancro al Capricorno, dall'informe verso la forma. È probabilmente questa la ragione per cui la letteratura arcana ha eletto il Capricorno a segno iniziatico, a segno dello sviluppo spirituale: l'iniziazione può infatti ritenersi compiuta quando si raggiunge l'equilibrio del Capricorno. Questa nozione è espressa nella letteratura ermetica con l'immagine del coccodrillo del Capricorno che discende nelle acque del Cancro.

Nel suo De Iside et Osiride Plutarco afferma che il coccodrillo è onorato come una divinità perché, quando è immerso nelle acque, i suoi occhi si ricoprono di una membrana trasparente, che gli permette di vedere senza essere visto, benché cavalchi il cosmo, fra il terrestre Capricorno e l'acqueo Cancro. Altrettanto fa l'iniziato, che vede senza essere visto e controlla quella illusione tutta particolare che è la forma.

Concludemmo le nostre ricerche presso l'osservatorio di Jaipur nel mese di maggio e, dopo esserci diretti a nord per visitare il Nepal, tornammo nella capitale indiana verso la fine di giugno del 1972, nel momento peggiore delle piogge monsoniche. Il giorno in cui arrivammo a Delhi, nelle prime ore dell'ultimo sabato di maggio,62 fummo invitati a cena nel quartiere Raj, in una di quelle splendide case che si trovano fra Shakar Road e Talkatora.

Eravamo in compagnia di una deliziosa ragazza incontrata a Kathmandu in circostanze curiose. I nostri sguardi si erano incrociati sulla scalinata del Swayambhunath e, benché non ci fossimo mai visti prima, ci riconoscemmo. Ci fermammo all'istante, sorridendo. Esplorammo insieme il tempio e decidemmo di proseguire insieme il nostro viaggio per qualche giorno. Il Nepal aveva creato qualche difficoltà a una ragazza sola come Silvia, la quale era ben felice di poter visitare l'india in nostra compagnia.

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Qualche giorno dopo l'incontro, mentre in treno puntavamo verso sud, Silvia improvvisamente si appoggiò allo schienale del sedile di legno e cominciò a ridere sommessamente.

^iPosso sapere perché ridi?»«Rido perché quando ci siamo incontrati c'erano occhi ovunque: eravamo

sorvegliati da dodici occhi cosmici.»La guardammo perplessi.«Ci siamo incontrati sulla scalinata di Swayambhunath: sopra di noi c'erano i

tre occhi raffigurati sulla torre del tempio. E ce ne sono tre su ogni muro.»Era vero. Su ognuna delle quattro torri campeggiavano gli strani occhi che

avevano reso famoso il tempio. E in mezzo a ogni paio figurava con la sua forma di gigantesco punto interrogativo Yek nepalese, il simbolo dell'unità (figura 73). L'ek è il terzo occhio, quello invisibile della saggezza superiore del Buddha.63

Era notte a Delhi. Sapevamo che ai margini erbosi delle strade si ammucchiavano corpi coperti da un telo, come tanti cadaveri avvolti nel sudario, raccolti sotto primitive tende per difendersi dalle piogge monsoniche. Erano i poveri che non avevano un riparo e vivevano di elemosina. Ma nella casa in cui entrammo non c'era ombra di povertà: tutto era anzi studiato per rivelare l'opulenza. Contrasti sociali così violenti, che creano disagio negli occidentali, costituiscono la norma in India. Qui, la ricchezza non suscita vergo-gna, bensì orgoglio. Forse è la sola difesa per non dover dormire, fasciati come mummie, sui prati, sugli spartitraffico e sulle rotonde in mezzo alla strada. Niente di strano che gli antichi ponessero l'india sotto il segno del Capricorno, con il suo mesto tiro alla fune fra l'ambizioso capro, che lotta per differenziarsi, e il pesce sperduto nell'anonimato del branco.

Mentre gustavamo il cibo squisito, servito da domestici ossequiosi, notammo che le due librerie ai lati del camino all'europea erano colme non di libri, come ci si sarebbe aspettato, bensì di bobine per il registratore a doppia pista del nostro anfitrione, e ciascuna era contrassegnata da un codice che sembrava indicare luoghi e date. Quei nastri dovevano essere diverse centinaia. Il padrone di casa si accorse della nostra curiosità, ma fece finta di nulla. Al termine della cena, però, ci introdusse in una sala ancora più lussuosa come per dimostrarci che aveva anche libri sugli scaffali. La biblioteca era enorme: conteneva titoli in diverse lingue e testimoniava una grande vastità di interessi.

Da uno scaffale in alto prendemmo una monografia su Jai Singh e ci mettemmo a sfogliarla. Fra le pagine patinate c'era un foglietto che conteneva un oroscopo alla maniera indiana, con la testa e la coda del drago, il Ketu e il Rahu, raffigurati come simboli orientali. Sollevammo il foglietto e cominciammo a esaminarlo.

«Le interessa l'astrologia?» chiese l'uomo. Una domanda del genere non l'avrebbe mai rivolta a un altro indiano, perché gli indiani hanno una fiducia quasi fatalistica nell'astrologia. Ma nel nostro caso era semplicemente un segno

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di cortesia.Annuimmo. «Siamo stati a Jaipur, a studiare l'osservatorio.»«Ah, allora è il nostro Jantar Mantar, anch'esso così maestoso, che l'ha

condotta qui a Delhi, suppongo.»«Silvia non vede l'ora.»Non dicemmo che avevamo già visitato più volte l'osservatorio. Per qualche

motivo che non afferravamo bene, ci sentivamo a disagio. Avevamo contattato quell'uomo tramite un amico londinese e non ci eravamo mai parlati prima se non quella mattina, al telefono. Era il nostro primo incontro. L'indiano aveva studiato a Balliol e parlava uno splendido inglese, con tutta una serie di vezzi anglossassoni coltivati con grande cura.

Il disagio ci aveva assalito al primo istante, non appena eravamo scesi dal taxi davanti al cancello. Avevamo subito percepito un lato oscuro nell'uomo, ma non riuscivamo a metterlo a fuoco. Lanciammo un'occhiata a Silvia per vedere quale fosse la sua impressione, ma lei sembrava totalmente affascinata dai modi soavi e dalla lussuosa residenza. Pian piano la parte buia cominciò ad assumere contorni più nitidi, ma non eravamo ancora del tutto certi di quello che intuivamo. Gli orientali hanno una capacità stupefacente di mascherare i loro pensieri e sentimenti, per cui non è affatto facile capire quello che hanno nell'animo. Noi occidentali abbiamo sviluppato l'ego e la coscienza a un tale livello di raffinatezza che l'anima di

gruppo, dentro la quale è ancora immerso il subcontinente, ci è estranea. Molti indiani e pakistani hanno una fortissima consapevolezza dei legami di parentela e sommergono volutamente l'ego in modi che a noi occidentali sono estranei, e quindi risultano misteriosi. E da questo, più che da qualsiasi altra barriera, quali possono essere la lingua o la religione, che nascono le maggiori incomprensioni sul piano personale.

Silvia era molto bella. Aveva i lunghi capelli biondi e le morbide fattezze inglesi che tanto piacciono agli indiani e il nostro anfitrione non riusciva a distogliere lo sguardo da lei. Durante il pasto le aveva dedicato molte attenzioni. E ora, mentre noi eravamo accanto alla libreria e guardavamo i libri, notammo che parlava con Silvia con una prossimità e un linguaggio corporeo che rivelavano un interesse sessuale di tipo manipolatorio. A un certo punto ci arrivò qualche stralicio di conversazione. Ci parve che le stesse parlando di magia. Ci accostammo cautamente, pur mantenendoci a una certa distanza, per sentire meglio. !

«Sì, si possono compiere veramente le magie» stava dicendo l'uomo. «Naturalmente molti fachiri sono furfanti. I più bravi sono abilissimi attori. Nonostante l'aspetto magro e famelico, e benché siano vestiti soltanto di un semplicissimo dhotis, avvolto intorno ai fianchi, di solito hanno complici astuti fra gli spettatori e tutto un armamentario di fili invisibili e di armadi nascosti nel loro carro. A modo loro, sono molto più sofisticati dei vostri migliori

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prestigiatori. È per questo, forse - spero voglia perdonarmi - che gli artisti occidentali più capaci si vestono all'indiana. Indossano costumi esotici che nessun mago orientale metterebbe mai, semplicemente per rendere più cre-dibile la loro arte con la mistica e l'abilità dellTndia. Forse è un omaggio spontaneo alla nostra cultura orientale. Le due culture si incontrano raramente, anche ora, dopo gli ammirevoli sforzi di Madame Blavatsky e del vostro altrettanto ammirevole Leadbeater.»64

Ci domandammo se, facendo i nomi di teosofi vissuti per alcuni anni nei pressi di Madras,65 egli non stesse saggiando il terreno. Era un teosofo? Lo ritenevo poco probabile: la sua aura era di un nero molto fastidioso.

«Se si guarda intorno» proseguì sempre rivolto a Silvia, «noterà che in questa stanza ci sono immagini e statuette del grande Vish- nu.» Si avvicinò a un tavolo riccamente intagliato su cui era posata una statuetta d'oro. «Ecco Vishnu raffigurato come Matsya.66 Guardi, la parte inferiore del dio è a forma di pesce. Osservi la squisitezza di queste squame di metallo, qui in basso. Naturalmente lei è una

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persona colta e conoscerà di certo le storie del Mahabharata e il nesso fra pesce e iniziazione.»67

Ci avvicinammo ancora di più, con la scusa di esaminare la statuetta: il discorso aveva preso una direzione che ci inquietava. La scultura era in oro cesellato e le squame erano davvero di straordinaria bellezza.

«Quest'immagine ricorda il vostro uomo-pesce, il Capricorno.»«Sì, ma con la differenza che il Capricorno è un caprone con la coda di

pesce.»«Gli uomini non sono forse tutti caproni?» chiese, lanciando un'occhiata

allusiva a Silvia. «Nella vostra tradizione occulta non ci sono riferimenti a un capro senza corna? E questo capro senza corna non è forse simbolo dell'uomo?»

Aveva ragione. In alcune forme di magia nera, il capro senza corna era un modo per indicare il sacrificio umano.68

Restammo in silenzio, ma annuimmo. Le sue labbra accennarono a un sorriso: sapeva di avere segnato un punto a proprio favore.

«Com'è diverso il nostro Vishnu da questo Ekadas.»69 Ruotando su se stesso, sollevò dal piedistallo un'immagine di Samantamukha, il dio dalle undici teste, disposte su cinque file e rivolte in tre direzioni. La figura ha otto braccia. «Conoscete la leggenda?» domandò. Il suo sguardo fermo ci sfidava.

«Non è Avalokiteshvar?»«Avalokiteshvar nella sua manifestazione come Samantamukha.»«Non discese all'inferno a liberare i malvagi?»«Dopo averli convertiti.» Sembrava gli piacesse correggerci per fare notare la

nostra ignoranza; né gliene mancava l'occasione dal momento che, benché si svolgesse in inglese, la conversazione riguardava una cultura per noi straniera. Era chiaro che voleva farsi bello a nostre spese.

«Avalokiteshvar scoprì che per ogni umano strappato al peccato, ce n'era subito un altro pronto a prenderne il posto. La sua anima fu pervasa dall'orrore quando si rese conto die non sarebbe mai riuscito a salvare tutta l'umanità. Questa consapevolezza lo addolorò a tal punto che la sua testa si spaccò in dieci pezzi.»

«Se si spaccò in dieci pezzi, perché ha undid teste?» chiese Silvia.«Il dio Ambitaba trasformò ciascun frammento in una testa intera e le

dispose in file di tre, tutte rivolte in direzioni diverse. Mise la decima testa in cima e come tocco finale aggiunse la propria.»

«Aveva ventidue occhi...» osservò Silvia.«Come si addice a un dio soprannominato "Il Signore che guarda". Egli vede

ovunque. Come Swayanbhunath, ma mentre questi guarda nelle quattro direzioni dello spazio, Avalokiteshvar guarda nei tre mondi del desiderio, dai quali sgorga il peccato.»70

Ripose la statuetta sul piedestallo, lasciando che l'idea del peccato vagasse nella stanza come un fumo astrale.

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«Che ÌIÌ una casa come questa ci sia un'immagine della prima incarnazione di Vishnu o una statuetta di Avalokiteshvar non è di certo sorprendente. Ma» disse, facendo una pausa drammatica, «potrebbe suscitare meraviglia trovare...»

Non completò la frase. Invece, con la mano destra, prese un campanello e lo scosse. Nell'istante in cui si udì il tintinnio, egli disegnò coii la mano sinistra un ampio gesto, come fosse un mago sul palco- scenico che afferra un oggetto sospeso nell'aria. Poi aprì il palmo sinistro e mostrò una piccola croce pettorale.

«Si sarebbe aspettata di trovare qui una croce cristiana?» domandò.Silvia sembrava impressionata dal gioco di prestigio, che senza dubbio era

stato eseguito con incredibile destrezza. Noi, però, per fortuna non avevamo mantenuto l'attenzione sul gioco di prestigio, bensì sulla faccia dell'uomo e sul fatto che avesse suonato un campanello. Per ragioni che non ci erano chiare, all'improvviso ci ricordammo che Paracelso aveva descritto un'esperienza analoga con un mago spagnolo, il quale era ricorso a un campanello su cui erano incisi alcuni caratteri magici allo scopo di eseguire «la magia angelica», espressione in codice per indicare la magia nera.71

Dal suo sguardo capimmo che l'uomo tramava qualcosa nei nostri confronti. Provammo la netta sensazione che intendesse ipnotizzare in qualche modo Silvia, forse per approfittare di lei.

«Crede sia possibile evocare qualcosa dal nulla?», chiese con lo sguardo fisso su Silvia. «I nostri maghi più bravi ne sono capaci. Tutti sanno che anche un semplice fachiro riesce a materializzare dal nulla la cenere. Credo che la vostra saggia signora - Madame Blavatsky, che ci fece l'onore di vivere per un certo tempo a Madras -72 chiami questo fenomeno precipitazione. Lei stessa sosteneva di essere capace di trasportare con la magia le cose da un luogo all'altro, a grandi distanze, di incarnarle, per così dire, di "precipitarle", non è vero?»73 Volse lo sguardo nella nostra direzione, come per sollecitare una risposta alla sua domanda. «Anzi, mi pare che Madame Blavatsky dicesse "tran-sveicolare". Come i nostri maghi, anche lei sapeva smaterializzare gli oggetti contenuti in una stanza e farli ricomparire intatti in un'altra. La sua era vera magia. La magia come la conosciamo noi in India.»

Allungò la croce verso Silvia. Istintivamente percepimmo che Silvia non doveva assolutamente sfiorarla. Intorno all'oggetto aleggiava un'aura di tenebra, una tenebra ancora più sorprendente trattandosi di una croce cristiana.

Fummo presi dal panico. Silvia avrebbe forse preso in mano la croce? Fingendoci interessati alla cosa, ci intromettemmo fra i due e l'afferrammo. Gli occhi del nostro anfitrione rimasero impassibili, eppure nella stanza l'atmosfera spirituale divenne immediatamente tesa.

«Sa dirmi da dove proviene questa croce?»Mi guardò come se fosse sorpreso e nella sua voce c'era una sfumatura di

astio. «Si è materializzata davanti ai vostri occhi, come avete visto.»

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L'iniziato

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Non replicammo. Andammo invece verso il tavolo con il ripiano di cristallo, prendemmo il campanello e lo osservammo. Come ci aspettavamo, all'interno, intorno all'orlo, erano incisi diversi caratteri arcani e tre parole in sanscrito. La nostra conoscenza del sanscrito era scarsa, ma riconoscemmo il termine Meru: proveniva da un incantesimo tantrico e ci confermò l'oscuro intento sessuale dell'uomo.74 Non dicemmo nulla, ma rovesciammo verso di lui il campanello perché capisse che avevamo visto.

Ci sedemmo in silenzio in una delle grandi poltrone di cuoio, stringemmo fra le dita la croce, facendovi scorrere sopra i polpastrelli e poi lasciandola cadere nel palmo della mano. Concentrammo tutta la nostra energia in questo punto, cercando di cogliere l'atmosfera della croce con la psicometria.75 L'istinto ci diceva che alla sua magia nera dovevamo contrapporre un'altra forma di magia, quella bianca o naturale. L'uso di questo tipo di conoscenza è vietato in vista di un vantaggio personale, ma non lo è se serve ad aiutare una persona in pericolo.

Alzammo gli occhi verso di lui costringendolo a incrociare il nostro sguardo.«Davvero non sa da dove proviene questa croce?»«Dall'aria, amico mio.» Il tono era perfettamente controllato, senza la minima

traccia di difesa. «L'ha visto lei stesso, no?»Abbassammo la voce fino a un sussurro perché Silvia non sentisse. «Glielo

dico io da dove viene questa croce. Ma dopo la lascerà in pace, vero?»Un tempo gli occultisti sostenevano che le pupille emanano raggi. Ci

sembrava quasi di sentire i raggi dei nostri occhi avvinghiarsi intorno a quelli del nostro anfitrione che ci fissava. In quegli occhi c'era il gelo, ma dalla sua bocca non uscì un solo suono.

Tenevamo la croce sul palmo della mano sinistra, e la mano destra sospesa sopra di essa.

Impiegammo qualche istante per focalizzare il pensiero, poi nella nostra mente cominciarono a scorrere rapide le immagini, che ci rivelarono la provenienza dell'oggetto.76

Mentre seguivamo la visione, parlavamo ad alta voce perché sia Silvia sia l'uomo sentissero.

«Percepisco il freddo di una tomba. Vedo terra intorno alla tomba. La terra viene rimossa dalle pareti della fossa che mi sovrasta. Le mani stringono uno strumento tagliente. Non vedo chiaramente la faccia, ma è un indiano con il suo dhotis. Scava in un antico cimitero... Credo che sia il cimitero dei gesuiti a Goa. L'uomo cerca oggetti preziosi. Adesso fruga con la mano fra la terra cosparsa di ossa in Tondo alla buca: le sue dita si stringono intorno a me. Sento la pres-sione delle sue dita sudice. Non ha ancora finito. Rovista di nuovo fra le ossa e toglie qualche altro oggetto. Li infila fra le pieghe del dhotis, accanto a me.»

’La visione trasmessa dalla croce fu istantanea e di ima verità incontestabile.

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Capitolo sesto

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«Forse lei non lo sa» aggiungemmo di proposito per far sì che l'uomo potesse salvare la faccia, «ma non c'è dubbio che la croce è stata presa nel cimitero dei gesuiti da un profanatore di tombe.»

Egli non batté ciglio, ma i suoi occhi cambiarono quel tanto che bastava perché capissimo che conosceva la provenienza della croce. Sulle labbra aveva un sorriso quasi impercettibile; fece cenno a uno dei domestici di riempire i bicchieri. Sapeva che avevamo detto la verità.

Nessuno accennò più all'episodio per il resto della serata. L'uomo prese la croce dal tavolo dove l'avevamo posta e la mise in una tabacchiera d'argento: lo fece con gesto deliberato, a significare che l'episodio era chiuso. La battaglia fra le nostre volontà era giunta al termine.

Nella conversazione che seguì, l'uomo rivelò di possedere una notevole conoscenza dell'incerta divisione storica fra magia e soprannaturale. Parlò degli studi sulla magia indiana condotti da Ja- calliot77 e dei contatti, poco noti, fra Madame Blavatsky e il grande medium inglese William Eglinton, da lei conosciuto in India.78 All'inizio avemmo l'impressione che parlasse di cose vecchie di quasi un secolo per distrarre la nostra attenzione dagli eventi più recenti, e ricordarci fra le righe che anche un medium inglese rinomato era sta

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L'iniziato

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to accusato di frode. Ma il suo vero motivo ci fu chiaro qualche minuto dopo, quando andò a uno degli scaffali e prese la prima edizione di Twixt Two Worlds, il libro di Farmer sulle imprese medianiche di Eglinton.79

«Guardate» ci disse, mostrandoci alcune carte in fondo al libro, fra cui un articolo di giornale, «mi sono preso la briga di conservare la famosa sfida di Kellar a Eglinton.» Il ritaglio ingiallito proveniva dall'«Indian Daily News».80

L'uomo sfogliò velocemente il libro. «Ma sono certo che la cosa che vi incuriosirà di più nell'analisi della medianità di Eglinton effettuata da Farmer sono le litografie. Osservate, sono ancora in perfetto stato...» Le cromolitografie, che riproducevano alcune delle primissime immagini a colori di fenomeni psichici, erano perfette.

La comparsa del libro allentò la tensione e la discussione si fece di nuovo animata. Il nostro anfitrione si disse certo che Madame Bla- vatsky fosse in malafede, ma che William Eglinton fosse un vero mago, trascinato all'imbroglio da quella donna con cui aveva stretti legami. Ognuno di noi tre aveva una sua opinione sul rapporto esistente fra i fenomeni psichici e i giochi di destrezza dello spiritismo, e siccome la questione era storica più che contemporanea, tutti ci sentimmo liberi di esprimere il nostro parere.

«E il famoso lancio della fune?» chiese il nostro anfitrione, facendo imperiosamente cenno al domestico di riempire i bicchieri. «Avete mai assistito alla magia della fune?» La domanda era posta in modo tale da farci capire chiaramente che quella rara meraviglia lui l'aveva vista.

«E lei?» chiedemmo condiscendenti.«Sì, una volta sola, però. L'esercizio venne eseguito davanti a un pubblico

ristretto in una di quelle remote isole chiamate Lak- shadweep.81 Era una sera tutt'altro che buia; anzi, le stelle erano particolarmente lucenti. Dopo le formule magiche di rito e dopo aver celebrato sulla spiaggia la cerimonia dell'accensione del fuoco, il fachiro riuscì a lanciare in aria la fune che rimase dritta. Come di prammatica, invitò uno del pubblico a provare a tirare. Poi seguì la solita scena con il bambino. Il bambino rifiutò di arrampicarsi sulla corda e il fachiro lo minacciò con il coltello...»

«Ma poi si arrampicò?» chiese Silvia, affascinata dal racconto.«Non solo lo fece, ma, arrivato in cima, svanì, come sempre accade in questo

tipo di spettacolo. Naturalmente sapevo diverse cose sui giochi di prestigio e guardai fra gli alberi in cerca di fili, forse tesi fra le alte palme che coronavano il litorale, oppure legati all'albero maestro di un'imbarcazione ormeggiata sulla barriera corallina, ma non trovai nulla. Ancora oggi giurerei che sia stata una magia vera. L'unica spiegazione possibile è che si sia trattato di una forma di ipnosi di massa. 11 cielo non era abbastanza scuro perché non si vedessero eventuali sacchi o coperte in cui nascondere il bambino. È certo che quando il fachiro, stringendo il coltello fra i denti, si arrampicò lungo la fune,

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Capitolo sesto

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all'inseguimento del piccolo, non lo trovò: i resti sanguinolenti che egli lanciò giù erano quelli di una scimmia, come sempre. Ora, se l'assassinio del bambino era sicuramente una finzione, la sua sparizione non lo era. La vera magia e quella teatrale si erano fuse...»

«Tutto per poche rupie?» domandammo, forse con un certo cinismo.«Sì, amico mio. Per certi uomini anche poche rupie sono importanti. Bisogna

pur vivere. E anche i fachiri devono mangiare. Persino il grande Jacalliot dava quattro soldi al suo vecchio saggip.»

Spuntava l'alba quando l'uomo chiamò un taxi e noi tornammo in albergo.«Che cosa è successo?» chiese Silvia, abbandonandosi sui sedile di cuoio

della macchina e chiudendo, stanca, gli occhi. «Perché a un certo punto sul tuo viso è calata una maschera spaventosa e ti sei rifiutato di dare altre spiegazioni sulla croce?»

«Non avevi capito?»«Capito cosa?»«Quell'uomo tentava di controllarti. Di ipnotizzarti.»«Non mi sono accorta di niente» disse. «C'era dell'oscurità in lui,

lo ammetto, ma probabilmente era innocuo. Affascinante, un grande affabulatore, un poco esibizionista. Il peggiore nemico di se stesso, direi.»

«Se tu avessi toccato quell'oggetto - la croce - sono certo che saresti diventata la sua vittima.»

«Possedeva un potere così grande?» disse sorpresa, e poi improvvisamente aggiunse: «Il potere del vama marg?». Con queste parole sanscrite si indicava la potente magia nera sessuale dell'india, praticata da alcuni seguaci della Via sinistra. «Che cosa poteva mai volere da me?»

«Niente di buono, qualunque cosa fosse. Nella migliore delle ipotesi, divertirsi, nella peggiore... be', non ne sono certo... Forse fare di te una suvasini.»

Nella nostra mente scorsero rapidamente le immagini scolpite nel

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L'iniziato

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tempio di Vishvanath a Khajuraho.82 Qual era il segreto di quella felicità dei sensi? Quelle donne non erano sotto costrizione, perché erano immerse nella beatitudine cosmica del soddisfacimento sessuale tanto quanto gli uomini con cui si accoppiavano (figura 74).

«Una prostituta sacra?»«Chi può dirlo?»L'espressione «prostituta sacra» suona così contraddittoria nella nostra

lingua, ma non in sanscrito. Eppure ci chiediamo se le suvasi- ni del culto tantrico partecipino sempre liberamente al sacrificio. Non potrebbero essere vittime di una manipolazione sul piano astrale? Chissà se dentro di loro emanano lo stesso dolce profumo che emanano per i loro amanti.83

«Perché gli hai parlato del furto della croce? Sei ricorso alla psicometria, non è vero?»

«L'ho fatto perché capisse che avevo scoperto il suo miserabile gioco. Gli ho mostrato l'orlo del campanello perché capisse che avevo colto il suo ricorso alla magia tantrica. Lui non poteva sapere quali altri poteri io possedessi. In una situazione del genere, in cui ci si serve dell'inganno, la sola cosa da fare è ricorrere alla verità.»

Silvia annuì. «Pensavo che la psicometria fosse vietata.»«Lo è. Ma lo è anche la coercizione sessuale attraverso la magia nera.»Non era la prima volta che nelle nostre vite eravamo ricorsi - o eravamo stati

costretti a ricorrere - a poteri che potevano essere considerati magici. Ma era la prima volta che impiegavamo una tecnica magica capricomiana, in cui alla curvatura della magia nera si opponeva la rettitudine dell'angolo, del fai n.84

Forse non era senza significato, dal punto di vista karmico, che ci fosse toccato in sorte di mettere in atto una tecnica capricomiana nella terra del Capricorno, ma questo mistero sarebbe rimasto insoluto fino alla nostra morte, quando tutti i segreti della vita ci sarebbero stati rivelati.

Capitolo settimo

Sono Perseo... quello che vinsi la Gorgone d'angui crinita e ch'ardisco col movimento dell'ali volare per l'aria leggera.

OVIDIO, MetamorfosiUno dei grandi iniziati dell'era moderna disposti a rivelare ai profani i segreti ermetici è il misterioso Fulcanelli. Come prescrive la Lingua Verde, che studiò e

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praticò con grande successo, egli assunse uno pseudonimo dietro il quale celare la sua vera identità. «Fulcanelli» significa «piccolo vulcano»:1 è evidente il riferimento al Vulcano mitologico, il fabbro degli dei che, ritenuto il primo alchimista, era il protettore dell'arte spagirica. Lo pseudonimo ha funzionato benissimo, perché nessuno è riuscito a stabilire con qualche certezza chi fosse Fulcanelli. Tutto quello che sappiamo di lui è che era un profondo conoscitore del pensiero ermetico e alchemico.

Questo misterioso studioso riservò, come abbiamo già avuto modo di dire, un'attenzione tutta particolare alle immagini alchemiche tuttora visibili nella decorazione plastica delle cattedrali francesi. In particolare egli si occupò dei segreti dell'iconografia alchemica di Notre-Dame di Parigi e della cattedrale di Amiens.

Fra i più arcani dei tanti quadrilobi arcani in pietra presenti sulla facciata occidentale della cattedrale di Amiens, ad attrarre la sua curiosità fu in particolare la strana immagine della pioggia celeste.2 L'acqua scende come una cascata dalle nuvole che, nella concezione medievale, erano il simbolo del cielo (figura 75). Essa scende sulla Terra dove, sfidando le leggi di naturarsi raccoglie in una sfera che sembra vibrare e pulsare, quasi fosse una palla di fuoco, anziché un liquido magico.

Nel quadrilobo compare, in atteggiamento reverente, un alchimista che osserva la cascata e indica con la mano destra la sfera acquea come a mostrare che si tratta di un miracolo o comunque di una cosa di estrema importanza. Con quel gesto vuole forse mettere in guardia da un pericolo? L'evento è raffigurato in modo antinaturalistico, perché sia chiaro all'osservatore che quella non è una rugiada qualsiasi.

Tutte le immagini arcane della facciata occidentale di Amiens sono racchiuse in quadrilobi; già questo è di per sé un fatto interessante, perché ognuno di essi è formato da quattro falci di Luna, simbolo delle quattro fasi lunari di ogni mese. Nel riquadro in cui compare la cascata d'acqua, le cateratte del cielo si aprono nel quarto di Luna più in alto, quasi a indicare che si tratta di un paradiso (o una sfera) lunare e che l'acqua magica che essa dispensa è rugiada di Luna. In realtà questa è «la rugiada filosofica» degli alchimisti, uno dei grandi misteri della loro misteriosa arte. La cascata ci ricorda anche i due rivoli di lacrime delle «sorelle piangenti», le dee egizie Iside e Nefti, ossia l'influsso congiunto della Luna lucente e della Luna scura.

In latino rugiada si dice ros. Alcuni esperti di ermetismo sostengono, come abbiamo già visto, che le tre lettere formano l'inizio della parola rosacroce, ossia della più importante confraternita segreta dell'Europa tardomedievale. I Rosacroce - iniziati che associavano il segreto della rugiada lunare alla croce - erano cristiani praticanti che cercavano di evolversi spiritualmente attraverso la meditazione basata su arcani processi alchemici.

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L'iniziatoLe pratiche meditative erano forme di disciplina interiore, che si proponevano

di sollecitare la formazione di immagini nel regno mentale governato dalla Luna. Attraverso queste discipline spirituali, alle caotiche influenze lunari dell'immaginazione veniva sovrapposta la struttura della croce, essa stessa un ulteriore simbolo dell'intersezione fra materia e spirito. Lo scopo che i Rosacroce si prefiggevano in tal modo di raggiungere era di trasformare le forze lunari in quella che il Medioevo chiamava fantasia. La fantasia così intesa poteva essere spremuta dalla rugiada lunare: la ros veniva assoggettata alle direttive della crux.

In certe stagioni dell'anno alcuni alchimisti andavano davvero di prima mattina nei campi a tendere teli su cui raccogliere la rugiada (figura 77), ma in realtà quella della rugiada era una metafora per indicare la meditazione di prima mattina, attraverso la quale incanalare nella fantasia le forze lunari che fluiscono nel microcosmo, ossia nell'uomo.3

Nella tradizione alchemica la rugiada lunare veniva chiamata anche nostoc. La parola, come ricorda Fulcanelli, deriva dal latino nox, che significa «notte» e anche, in taluni contesti, «oscurità». Il nostoc era il potere celeste che discendeva nottetempo sulla Terra, restandovi soltanto brevemente prima di essere disperso dai raggi del Sole.

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Capitolo settimo

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Ecco dunque un esempio di quelle parabole arcane tanto amate dagli alchimisti. Il flusso caotico, non imbrigliato, dell'immaginazione che la Luna riversa sulla Terra può essere incanalato nella fantasia con l'attività mentale e l'attenzione. L'immaginazione, come tutte le figure del pensiero, viene così visualizzata come proveniente dai cieli bui, dalla buia Luna, sotto forma di nosloc. Le facoltà immaginative, come le piante, possono germinare soltanto grazie all'azione delle tenebre lunari. Si comincia così a capire che cosa intendono gli occultisti, quando affermano che l'oscurità deve mescolarsi con la luce per dare vita alla forma: se la mente umana non viene continuamente fecondata dall'elemento lunare della fantasia, nessuna creazione è possibile. La buia Luna milita contro la luce del Sole.

Come il pulcino nell'uovo ha bisogno del buio per una crescita sana, così, sostiene Fulcanelli, l'immagine fotografica si sviluppa soltanto nella camera oscura. Su una cosa però Fulcanelli tace, ed è sul segreto della parola nostoc, che certamente conosceva, ma preferì non divulgare nei suoi libri, se non in forma ermetica é decifrabile soltanto dai fruitori della lingua arcana, sicuramente perché riteneva che i tempi non fossero ancora maturi.

In greco la parola nostos significa «ritorno», sia da un viaggio sia economico. Omero chiama Nostoi il ritorno in patria degli eroi greci dopo la caduta di Troia. Esiste un legame fra questo significato e il termine arcano nostoc? Per scoprirlo occorre scendere a un livello più profondo di interpretazione della Lingua Verde.

In esso la parola nostoc viene suddivisa in nos e stoc. In greco la radice stoc è contenuta in un verbo dai diversi significati, fra cui quello di «mirare a qualcosa», «cercare» e in taluni composti è associata all'arte della divinazione. La lettera greca chi diventa C in latino, e non avrebbe potuto assumere una forma più opportuna, dal momento che essa è l'immagine della Luna crescente, una lettera cui ricorrono spesso il simbolismo occulto e quello cristiano.4 È la Luna della notte (nox) e suggerisce un'interpretazione un poco bizzarra, ma non troppo. Quando esercitiamo l'immaginazione e fantastichiamo, noi («os, in latino) aspiriamo a raggiungere la Luna e ci aspettiamo un riscontro, un compenso, a volte persino il ritorno della cosa cui aspiriamo. Forse è un'idea simile che si nasconde dietro il particolare più curioso della Luna dei tarocchi, quello che raffigura le linee di influsso come rivoli di lacrime (ma queste lacrime non potrebbero essere rugiada?) che dalla Terra ascendono verso la Luna. Questo flusso verticale, dal basso verso l'alto, di lacrime o pioggia può sembrare innaturale, può far pensare che la carta alluda a qualche feno

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L'iniziatomeno ignoto. In realtà, in termini esoterici, essa raffigura la vera ma-nifestazione dell'influsso lunare (figura 76).

Gli esoteristi ritengono che la Luna abbia il potere di risucchiare nell'uomo le forze vitali, solari, incrementando lo sviluppo delle forme fisiche a discapito dello spirito. Il potere della Luna governa «l'immaginazione», su cui esercita un'influsso onirico o soporifero, come ricorda il mito greco di Selene. Le immagini di provenienza lu-nare fluiscono spontaneamente nel cervello umano, lo inondano e lo immergono in un sonno naturale, un sonno che per gli esoteristi c<3* stituiva l'antitesi dell'evoluzione spirituale cui mirava l'iniziazione.

Affinché alcuni individui potessero sottrarsi a questo influsso lunare, naturale, gli alchimisti e i Rosacroce idearono metodi di meditazione - ossia di costruzione mentale di immagini - che gli si opponessero. Essi elaborarono queste figure allo scopo di sottrarre il flusso «naturale» delle energie spirituali all'influenza della Luna. Per questo, e solo per questo, le tecniche meditative insegnate nelle scuole esoteriche possono essere definite «contro natura», in quanto si oppongono al potere lunare al quale soggiace gran parte dell'umanità. Questa creazione di immagini «incanalate» si diceva fosse solare.

Il pittore e poeta William Blake conosceva a fondo la questione dell'immaginazione «diretta dall'attenzione», avendo letto gli alchi-misti e i Rosacroce, fra cui Jakob Boehme. Una delle sue creature poetiche più possenti è Los, che è espressione dell'immaginazione creativa sulla terra.5 Quest'immaginazione è l'opposto di quella lunare, come rivela il nome stesso Los, che è la parola latina sol, «sole», capovolta, e questo a sua volta ci ricorda che in greco nostos significa «andare indietro o ritornare». Blake è consapevole che Los, la forza solare, è la fonte della sua immaginazione poetica e l'artefice di tutti i suoi contenuti. Non è la comune immaginazione, bensì quella «forgiata con il fuoco» dell'attività creativa, come ribadisce Blake facendo di Los un fabbro, «il signore delle fornaci» che rimodella il ferro fuso.6 Il Los blakeano è perciò molto affine allo pseudonimo «Fulca- nelli» e contiene echi di quel protoalchimista che fu Vulcano.

La creazione di immagini meditative, che avviene nel regno di Los, si fonda su un'alchimia interiore: le immagini vengono create dalla mente in stato di concentrazione, così come il fabbro forgia forme sulla sua incudine. Le raffigurazioni lunari sono in un certo senso meccaniche, un dono della natura, che non richiede l'intervento dell'attenzione. Le immagini solari sono invece il frutto dell'attenzione canalizzata: le crea chi medita, le crea il fabbro, Los.

I significati arcani di nostoc dovrebbero essere ormai chiari: il no- stoc, che in botanica designa una famiglia di alghe lucifughe, è una pianta che cresce nelle tenebre, tanto da essere chiamata witch-butter, burro delle streghe, nei libri di stregoneria. Di quest'alga si diceva, forse non a torto, che oltre ad aborrire il Sole e a dare l'impressione di sciogliersi nelle ore diurne, essa fosse anche un trasudamento (rugiada) della Luna, una sorta di radiazione lunare.

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Capitolo settimo

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La cabala chiama qelippoth gli esseri-ombra generati dall'immagi-nazione umana comune. Benché soltanto proiezioni del pensiero umano, queste creature sono dotate di un'esistenza propria. Sono dei revenants, ombre che tornano attraverso l'attività umana dell'im-maginazione o creazione di figure. La parola nostoc è dunque perti-nente: nate dall'immaginazione e dalla fantasia, che sono governate dalla Luna, queste creature ritornano nel mondo degli uomini (quasi in un nostoi) come esseri-ombra, i quali, più che rifuggire dalla luce, risultano invisibili nella luce. Essi intraprendono la loro oscura odissea di ritorno nel mondo, e nel mondo possono esercitare un potere specifico quando, attraverso processi magici, si caricano di una speciale energia.

La creazione solare di immagini (immagin-azione), frutto dell'atti-vità creativa che è latente negli esseri umani, è di una categoria diversa rispetto a quella cui appartiene questo flusso naturale di figure.

La raccolta del nostoc è il tema di alcune tavole contenute in un ce-lebre libro di alchimia, composto da così poche parole da essere chiamato Mutus Liber.7 In questo «Libro muto» si trova una rappre-sentazione arcana di grandissimo interesse (figura 77): vi si vedono due alchimisti, un uomo e una donna, che raccolgono la rugiada con servendosi di alcune lenzuola. In alto, a destra e a sinistra, compaiono rispettivamente la Luna e il Sole: sono a pochi gradi di distanza l'una dall'altro, ai due lati del maestoso flusso di potere celeste che discende sulla Terra. Nella letteratura alchemica l'unione dell'ele-mento maschile, il Sole, con quello femminile, la Luna, costituisce di solito un simbolo sessuale, anche quando il rapporto allude a concetti che vanno oltre il sesso. Giù in basso, sulla Terra, l'unione celeste è espressa con immagini di animali, a indicare che gli eventi riguardano il piano astrale.8

L'Ariete fronteggia il Toro. Ebbene, nella tradizione astrologica l'Ariete è sotto il segno di Marte, mentre il Toro è sotto il segno di Venere: l'immagine costituisce dunque una trasparente analogia del-l'incontro dell'archetipo maschile con l'archetipo femminile, rappre-sentati rispettivamente da Marte e Venere. L'accento è tutto sul sim

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bolismo sessuale, e non sul significato zodiacale. Fra il Toro e l'Arie-te sono stese cinque lenzuola, montate su telai, su cui raccogliere la rugiada lunare o ros.

La loro disposizione ha profondi significati arcani. Il primo è legato al numero: nella numerologia del corpo superiore, in quello che Paracelso chiamava l'uomo pentagrammatico, ci sono cinque punte. Il cinque è importante, perché allude non soltanto ai cinque elementi (inclusa la quintessenza), ma anche alla stella a cinque punte dell'eterico.

Esiste però un secondo livello di lettura: il lenzuolo di mezzo è a forma di losanga ed è circondato dagli altri quattro. La losanga è l'antico simbolo della quintessenza, il quinto elemento che completa l'opera degli altri quattro.9 Dunque è la quintessenza lo scopo che ispira la raccolta della rugiada. L'emanazione di seme (o di nostoc che dir si voglia) non è volta alla procreazione di un essere umano, bensì alla creazione di un'energia superiore: la quintessenza.

Il simbolismo dell'incisione è complesso, ma uno dei suoi temi è che il flusso naturale del nostoc dev'essere preceduto da una preparazione particolare: per acquisire valore alchemico deve essere sottoposto a un processo che lo trasmuti nella quintessenza. Il disegno è dunque una parabola della solarizzazione, perché la quintessenza è il prodotto del Sole, così come il nostoc è il prodotto della luna.

In questa creazione di immagini che è il frutto di un'attenzione fi-nalizzata alla «solarizzazione», l'elemento «creativo» è rappresentato in termini sessuali, come conferma la presenza di un uomo e di una donna. Vale dunque la pena di esaminare il simbolismo sotteso a questa coppia.

I due stanno strizzando un lenzuolo, che non è più steso, ma ha assunto forma fallica. Ne spremono la rugiada (lo sperma o seme) in un grande bacile. Il lenzuolo-fallo e il bacile-fcfe/s esprimono in modo fin troppo esplicito le implicazioni sessuali del gesto. Ma osservando più attentamente, si intuisce un altro piano di significato, ancora più profondo: la rugiada, colando, assume la forma di un quadrato e ricade su un contenitore circolare: due figure geometriche che alludono al chiodo fisso dei maghi medievali, la quadratura del cerchio.

La quadratura rappresenta, sotto un certo aspetto, l'antico para-digma dell'unione dell'elemento maschile con quello femminile, vale a dire del solare e del lunare. Ma, potremmo chiederci, in termini alchemici: «Come può il femminile lunare unirsi al maschile solare?». Non è facile rispondere alla domanda, a meno che non si ricorra a quel potere eterico o quintessenziale che evocano i due alchimisti nel loro tentativo di trasformare la rugiada del nostoc.

Nell'incisione lo scroscio di rugiada proietta un'ombra, cosa che non fanno né il bacile-fcfeis né il lenzuolo-fallo: è evidente dunque che quelli non sono un bacile e un lenzuolo normali.

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Capitolo settimo

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Fulcanelli, che conosceva bene le immagini del nostoc disseminate fra le cattedrali e i testi spagirici, interpretò con grande acume il sim-bolismo segreto delle cattedrali e delle chiese di Francia. Coloro che hanno la conoscenza ermetica necessaria per leggere in profondità i suoi libri hanno capito che l'argomento di cui si occupano, espresso in parabole criptiche, è la natura della creazione di immagini nell'uomo, ossia dell'immaginazione, e che l'autore distingue tra l'immaginazione lunare, non creativa, e quella solare creativa. Come tanti esoteristi Fulcanelli era consapevole che la nostra immaginazione rischiava di atrofizzarsi e che c'era un bisogno disperato di effettuare una rivoluzione nel pensiero spirituale dell'umanità e nella sua capacità di creare immagini.10

Come tanti fra quelli che negli anni Cinquanta e Sessanta fre-quentavano le varie scuole di esoterismo, anche noi abbiamo a volte avuto il pensiero fuggevole che uno o l'altro dei nostri maestri fosse il misterioso Fulcanelli.11 Questo iniziato, dotato di un'erudizione prodigiosa, esercitò un'immensa influenza sul mondo segreto delle scuole e su di noi in particolare.

Eppure, tutte le persone che frequentavamo a quell'epoca erano convinte che Fulcanelli fosse morto. La conclusione era ragionevole. Fulcanelli aveva pubblicato la sua opera più importante negli anni Venti e nessuno, nemmeno i discepoli a lui più vicini, ne aveva saputo più nulla dalla fine di quel decennio.12 Nella prefazione a II mistero delle cattedrali, il suo allievo Canseliet scrive: «Fulcanelli non è più».

Ne avevamo dedotto che Jacques Bergier, il quale sosteneva di avere incontrato Fulcanelli nel 1937, avesse, a dir poco, immaginato l'incontro.13 Forse aveva avuto troppa fretta di attribuire quel nome famoso allo strano gentiluomo da lui incontrato nel laboratorio della società del gas di Parigi. A dire il vero nel suo racconto c'erano dei dettagli che rivelavano come quel suo uomo, nonostante il grande sfoggio di sapienza, non potesse essere un iniziato di alto grado.14

Aveva infatti parlato in termini materiali di questioni che potevano essere discusse soltanto in termini spirituali.15

Ma un giorno di maggio del 1978 un amico fiorentino ci disse qualcosa che ci lasciò di stucco e ci spinse a dubitare di quanto sape-vamo su quel misterioso alchimista.

L'amico era un vecchio signore che avevamo conosciuto nel 1968 durante un viaggio a Firenze. Era una figura nota nella città vecchia poiché frequentava abitualmente piazza della Signoria, un anziano patrizio avvolto in un ampio mantèllo, che portava sempre con sé qualche libro appeso a una cinghia di cuoio. ^

Un osservatore casuale, come ce ne sono tanti a Firenze, avrebbe potuto scambiarlo per un vagabondo. Ma forse avrebbe anche notato che, mentre il suo abbigliamento era sempre lo stesso, i libri che portava sottobraccio cambiavano molto spesso. Lo conoscevamo ab-bastanza bene per sapere con certezza che li leggeva tutti, uno a uno,

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prima di riporli sullo scaffale. Aveva una delle biblioteche private più ricche di Firenze e probabilmente era l'esoterista più colto in quella città in cui la cultura esoterica è tenuta tuttora in gran conto. Guardandolo, non notavamo mai in lui l'aspetto esteriore, ma la luce interiore dei poeti-pellegrini del Medioevo, i vagantes}6

Come succede a molti uomini di profonda saggezza, sembrava che il suo sapere fosse diventato parte di lui. Se ne coglieva il riflesso nel volto finemente cesellato, scurito dall'età, nella fronte straordi-nariamente alta coronata dai capelli candidi e nella gentilezza pensosa della bocca. Ma non solo in questo: era come se tutt'intorno emanasse un'aura luminosa e ci sembrava strano che gli altri non scorgessero la sua bellezza interiore.

Ogni volta che ci incontravamo in piazza della Signoria, avevamo di fronte due scelte: o sederci all'aperto a bere il caffè in mezzo al frastuono dei turisti, oppure prendere un taxi e andare in collina. Non finivamo mai di stupirci che in soli cinque minuti dal centro di Firenze si potesse raggiungere la quiete della campagna, con il magico profumo del basilico e il canto delle cicale.

Le brevi passeggiate che facevamo insieme nelle strade tranquille dietro la chiesa francescana del Salvatore, camminando sul lato om-broso di via Giramonte lungo l'antico cimitero dietro il monastico San Miniato, erano già di per sé una forma di apprendimento, perché per il nostro amico ogni pietra e ogni pianta conteneva un messaggio. Era un vero Rosacroce, un uomo che aveva sviluppato la capacità di vedere attraverso i fenomeni della natura penetrandone i segreti più riposti. Un giorno, puntando il bastone da passeggio verso le antiche ville che punteggiavano il paesaggio collinare dietro via di Giramonte, disse, riflettendo ad alta voce: «In questa striscia di terra furono sepolti i primi cristiani. Poi un paio di secoli dopo vennero i martiri. San Miniato, la cui chiesa è dietro di noi, fu uno di questi sfortunati, ma non fu assolutamente il primo. Le loro tombe erano là, dove ora crescono le viti e gli ulivi. Non senti la sacralità tutt'intorno? Dante, Leonardo, Michelangelo, venivano qui a meditare: loro le sapevano queste cose. Sapevano che i luoghi dei morti giovano alla meditazione che precede il travaglio del pensiero creativo. Anche il canto degli uccelli è diverso, qui. È un posto antico: non un luogo di antichi fantasmi, ma un luogo di antico amore. Non occorrono grandi poteri per squarciare il velo qui, per entrare in un tempo diverso».

Un altro giorno eravamo sul grande marciapiede che corre intorno all'ampio piazzale Michelangelo. Appoggiati alla balaustra, guarda-vamo dall'alto Firenze. Intanto che conversavamo lo sguardo scivolava come una rondine fra gli alberi verso il delizioso Ponte Vecchio. Parlavamo di simbolismo. E più precisamente di un libro entusia-smante sul simbolismo segreto dei chiostri catalani,(che una volta de-codificato rivelava notazioni musicali segrete. L'aveva scritto uno studioso tedesco, Marius Schneider, ed era stato appena tradotto da

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una casa editrice milanese, per la gioia di tutti i massoni italiani.17

Il libro, che avevamo letto avidamente, sollevava molte questioni sui simboli che Schneider aveva studiato e faceva luce su alcuni dei misteri che Fulcanelli aveva appena sfiorato. Poiché conoscevamo già i metodi del simbolismo arcano medievale, non sempre ci trovavamo d'accordo con le conclusioni dell'autore, ma come al solito avevamo più domande che risposte.

Nel chiostro medievale del monastero di Santa Maria di Ripoll, in Catalogna, c'è un capitello in pietra con sei diversi fiori a cinque petali, divisi da un medaglione con una curiosa losanga a righe verticali in rilievo, a sua volta racchiusa in un fiore a otto petali (figura 78). Eravamo arrivati alla conclusione che la losanga fosse un emblema araldico, ma non riuscivamo a capire perché tale immagine ricorresse così spesso nei chiostri.

Naturalmente sapevamo che la losanga è un simbolo arcano. Le quattro linee che la delimitano rappresentano i quattro elementi - il Fuoco, la Terra, l'Aria e l'Acqua - che, secondo la tradizione, costitui-scono la struttura esteriore del mondo fenomenico. Lo spazio così racchiuso è l'eterico, ossia la forza vitale, che si nasconde dietro i quattro elementi. È uno «spazio» celato alla vista normale, intera-mente irretita dall'illusorio regno eiementale. La losanga è uno dei simboli basilari della tradizione esoterica, poiché rappresenta una sorta di porta di ingresso al mondo spirituale eterico.

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In nessun altro luogo la magia arcana della losanga, in quanto sim-bolo del piano eterico, si dispiega con tanta chiarezza come a Notre- Dame di Semur-en-Auxois, in Francia. Fra le varie statue compare una figura racchiusa in una grande losanga, i cui contorni sono decorati da altre losanghe più piccole, per un totale di quarantuno. Qual è il significato della figura che occupa uno spazio eterico così chiaramente definito? L'immagine non può che essere quella di un maestro- muratore, il quale ha con sé gli strumenti, e persino gli emblemi, della sua arte, sotto forma di squadra e di filo a piombo. E un iniziato, per-ché, oltre a essere collocato nell'elemento spirituale dell'eterico, in-dossa il berretto frigio, la liberia.16 La raffigurazione è iconica, mira cioè a ricordare che quel grande edificio è opera di iniziati: è la pagina di un libro di pietra che attraverso la sua forma romboidale permette di gettare uno sguardo nel mondo spirituale che sta dietro il velo.

Ma a Ripoll19 il simbolismo arcano della losanga sembra imbevuto di significati molto più profondi. Eravamo convinti che le linee verticali, benché araldiche a livello essoterico, dovessero avere anche un significato esoterico. Non sapendo bene dove cercare aiuto, sfogliammo di nuovo il capolavoro di Fulcanelli. Forse quel vecchio alchimista poteva darci una mano. Ma neppure un'attenta rilettura del Mistero delle cattedrali servì a risolvere il problema. Non riuscivamo a capire che cosa si nascondesse dietro quelle linee.20

Siccome però avevamo imparato che non si doveva sprecare tempo in domande inutili quando eravamo alla presenza di un saggio, ci decidemmo alla fine a sottoporre la questione al nostro amico fio-rentino.

«Forse in Fulcanelli non hai trovato la risposta» disse, «ma posso assicurarti che gli indizi ci sono tutti. Vedi, qualche volta anche Ful-canelli avvolge i suoi misteri in altri misteri, perché sa che alcune cose non si possono dire, neppure oggi.» Ci guardò con un lampo di ironia negli occhi. «Rileggi quello che scrive di Saturne quale anagramma di Natures.»

Come accadeva spesso quando riflettevamo sul simbolismo alche-mico, il breve suggerimento del nostro amico si dimostrò prezioso. Fulcanelli aveva lasciato una traccia. La quintessenza (perché era que-sto che la losanga esprimeva) conteneva effettivamente le due nature nei differenti livelli del bassorilievo (figura 78). Quale simbolo arcano avrebbe potuto essere più esplicito di quello di Ripoll nei riguardi del potere quintessenziale che sta dietro la dualità illusoria del mondo? Era come se lo scultore avesse voluto rendere visibile l'eterico.

«Fulcanelli è molto più saggio di quanto non pensi la maggior parte dei suoi lettori. Non dice tutto con le parole e ammanta di parabole le stesse parabole. In questo si coglie un'autentica saggezza. Gli alchimisti insistevano sulla necessità di scaldare più e più volte la storta prima della distillazione finale. È così che opera il vero pensiero: bisogna passarlo ripetutamente nella fornace, sicuro. Bisognerebbe pensare con un martello anziché con il cervello, poiché il pensiero si

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forgia dalla scorza.»Così dicendo batté più volte il bastone sulla balaustra, quasi a

imitare i colpi del martello di Vulcano. «Ferro, vedi. Ghisa. Eppure sembra pietra. È la vera pietra filosofale, che non si presenta mai per quello che è. Forse questa balaustra, che imprigiona la grande statua di Davide,21 è stata costruita da uomini versati nell'alchimia. La pietra contiene segreti più profondi del ferro.»

Fece una pausa e sospirò. «Un giorno qualche studioso sosterrà di avere finalmente scoperto chi era Fulcanelli. Ma si sbaglierà, perché non saprà come operano i veri iniziati. Non saprà con quanta facilità un iniziato può cambiare veste, né potrà identificarlo dalle parole, o dagli occhi. Questo tipo di conoscenza, che era diffusa un secolo fa, è andata quasi interamente perduta». Tacque di nuovo, e poi ci pose una domanda straordinaria: «Hai mai incontrato Fulcanelli?».

Era la domanda che noi avremmo dovuto fare e che invece, con nostro grande stupore, ci veniva rivolta. Lo guardammo esterrefatti. «Penso che sia morto quand'ero ancora un ragazzo.» Era una risposta goffa, ma se non altro onesta. L'amico rise. «Oh, non credo proprio. Fulcanelli è vivo. È anche più vecchio di me, ma vivo. Abita qui, a Firenze.»

Cercammo di contenere l'emozione. Vibravamo da capo a piedi, come se il corpo fosse sfuggito al nostro controllo, e non tanto per la sorpresa, quanto perché avevamo avuto la conferma di qualcosa che sapevamo da sempre. Eravamo alla presenza di un uomo - con cui avevamo il privilegio di conversare praticamente a nostro piacimento - che, avevamo appena saputo, conosceva personalmente il più grande alchimista del nostro secolo.

«Lei conosce Fulcanelli? Lo vede ancora?»«Lo conosco» confermò. «Lo vedo, ogni tanto.»Come osare la domanda più audace? Dove trovare il coraggio?

Ancora oggi ci domandiamo se non avremmo dovuto farlo. Eppure, riflettendo, ci rendiamo conto che chiedere al nostro amico di pre-sentarci sarebbe servito a ben poco, forse soltanto a poter dire, ma-gari vantandocene con finta modestia, di avere conosciuto Fulcanelli. Sapevamo di non avere niente da offrire in cambio.

Sorseggiando il caffè, l'amico fiorentino ci guardò di sottecchi e disse: «Vuoi venire nel nostro piccolo gruppo in via dei Vagellai? È lì che ci incontriamo a discutere di queste cose. Di Fulcanelli. Di alchi-mia. Del più e del meno». Posò la tazzina e scoppiò a ridere. «Da quanto tempo ci conosciamo, noi due?»

«Da una decina d'anni, forse.»«Sì, una decina d'anni. Ma io sapevo di te già molto prima.»«Di me? E come?» domandammo incuriositi. Prima di essergli

presentati in piazza della Signoria l'avevamo effettivamente visto qualche volta aggirarsi per Firenze come un antico chierico vagante22

ma non avevamo mai avuto motivo di sospettare che sapesse chi eravamo.

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«Conoscevo il tuo maestro molto prima che si trasferisse a Siena. Un uomo colto, e molto allegro in gioventù. Mi ha parlato un po' di te e delle tue difficoltà a Siena, a Monteriggioni... del tuo lutto...» Serrò le labbra. «Gli avevo chiesto allora se ti avrebbe fatto piacere partecipare al nostro gruppo, ma lui aveva risposto che non eri ancora pronto. Vuoi farlo ora?»

Dunque, il nostro amico fiorentino era un maestro!Siena era così lontana. In sedici anni si può quasi guarire da una

simile tragedia. Annuimmo: «Sì, sarebbe magnifico studiare di nuovo in una scuola».

Ci sfiorò affettuosamente la mano. «Una buona decisione, presa al momento giusto, credo. Se guardi le effemeridi di oggi...» Armeggiò intorno alla fibbia che chiudeva i libri «vedrai che Saturno è nel venticinquesimo grado del Leone, il famoso grado dell'Astrologo.23 Un tempo, nel giorno in cui Saturno entrava in questo segno, i gruppi ermetici di astrologi e alchimisti si riunivano per pranzare insieme e conversare di cose sacre.»24

«Nell'antico Egitto, durante uno dei riti isiaci, al neofita veniva mostrato il didietro di una capra.»

Era la voce del nostro amico fiorentino. Lo studio, sopra via dei Vagellai, era immerso in un grande silenzio, benché da fuori filtrasse l'eco dei rumori del traffico. «Il neofita era costretto a baciare l'ano di questa capra. Aveva, naturalmente, giurato di eseguire gli ordini dello ierofante e non aveva scelta... Per quanto riluttante nello spirito, piegava il capo verso quell'orifizio repellente e vi posava le labbra. E allora scopriva che, anziché l'ano della capra, quella che sfiorava era la bocca di una delle sacerdotesse vergini di Iside.25

«Questo racconto racchiude la chiave per aprire uno dei grandi misteri dell'iniziazione. Esso dimostra, avrebbe detto Fulcanelli, quanto sia stretto il legame fra la mère ("madre", in francese) e la bestiale merde.2b Qualcosa di analogo esprime la tradizione relativa alla dualità della Luna e il mistero sessuale dello svd. Lo svd, come certamente saprete, è l'occhio segreto con cui, chi lo possiede, può vedere al di là dell'illusione della normalità e della quotidianità. È quello che noi oggi potremmo chiamare il terzo occhio evoluto. Lo svd è anche l'occhio veggente ru, 0, il geroglifico egizio che simboleggia la nascita, il portale fra i due mondi.

«Come potete immaginare, il linguaggio ermetico del simbolismo ha sofferto molto a causa dei segreti nascosti in questo bacio osceno.27

Questo tuttavia non dovrebbe impedirci di vedere che talune rappre-sentazioni arcane - qualcuna contenuta nelle stesse chiese - nascon-dono allusioni al vero senso di questa immagine apparentemente oscena.

«11 Matto scolpito sullo scranno del XV secolo a Najera (figura 5) indossa una veste aperta sul davanti e sul retro, di modo che le sue parti intime risultino sempre esposte.28 Questo Matto "nudo" è di

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antica origine. Nella sua nudità anale-scrotale possiamo scorgere il segno che è un vero Matto disposto a mostrare le cose che gli altri preferiscono nascondere, incluse, immaginiamo, anche quelle spiri-tuali. Naturalmente gli uomini propensi a rivelare la Via che conduce alla saggezza superiore, alla visione nata dall'iniziazione, spesso sono considerati folli da coloro che dormono.

«Proviamo a collegare queste immagini con quella che in francese si chiama Voffrande anale. L'offrande consiste nell'offrire le natiche a quel bacio che è stato reso infame dalla letteratura sviluppatasi in-torno alla stregoneria.29 In realtà vi sono numerose testimonianze artistico-letterarie che indicano l'esistenza di gruppi esoterici i quali, per ragioni del tutto arcane, privilegiavano raffigurazioni in cui compariva Voffrande anale.30 Il bacio sul didietro compare in rituali non sempre di tipo parodico. Forse hanno ragione quanti ritengono che questi gruppi consideravano sacri i "ricettacoli della discendenza umana", intendendo con questo dire che il bacio sul deretano è in realtà un bacio diretto allo scroto e al pene: non occorre grande im-maginazione per scorgervi un omaggio al severo Capricorno, posto fra le due grandi sfere-natiche del Cancro (figura 70). Una cosa è co-munque certa: il simbolismo deìYoffrande affonda le sue radici nel ri-conoscimento rituale della scissione. Come ben sapete, la scissione si verifica quando una cosa si divide in luce e tenebra. In base alla fi-siologia arcana, è lo stesso processo che avviene nei polmoni con la

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respirazione: si assume luce (phos) dall'ossigeno e si espelle la buia anidride carbonica. Un'analoga separazione si verifica durante la di-gestione, che estrae il nutrimento necessario alla "luce" dell'uomo spirituale e rigetta il materiale indesiderato attraverso gli orifizi. Le scorie oscure ritornano sotto varie forme al cosmo per essere infine rigenerate.

«La conferma a questa interpretazione ce la offre uno stendardo del XV secolo, forse connesso con la confraternita della Mère folle, la Madre folle, che aveva il suo centro in Digione, in Francia.31 Due pa-gliacci, vestiti entrambi di giallo e rosso, sono avvinghiati in modo tale che la testa dell'uno sbuca fra le gambe dell'altro, come se si ac-cingessero all’offrande. In realtà assaporano un peto, raffigurato mentre esala contemporaneamente dall'ano di entrambi. Che così sia, lo conferma il nome popolare dello stendardo, chiamato Les Pe- tengueules («Scoregge in bocca»). Quest'esalazione dell'intestino è l'elemento oscuro della scissione che rende possibile la vita: è la sco-ria buia del processo che conserva la "luce" della percezione.

«Il significato esoterico dell'immagine traspare dalle strane ombre che le due figure proiettano, ombre che non corrispondono ai pagliacci avvinghiati. Esse assumono la forma di un mantice, che soffia verso le due teste, a simboleggiare i venti, i quali nella tradi-zione esoterica non sono affatto venti normali: sono motori cosmici.32

Così, il vento che fuoriesce dal corpo dei due clown è visto come un elemento che ritorna al suo equivalente cosmico. Il peto diventa parte del ritmo cosmico che conserva la luce della vita umana. L'immagine sembra ruotare intorno al concetto secondo cui il Matto sarebbe disposto a rivelare molte più cose delle persone normali per mettere a nudo la struttura basilare del mondo spirituale. La percezione del substrato esoterico di un'immagine che a un primo sguardo potrebbe sembrare semplicemente un'oscenità consente di vedere molte raffigurazioni medievali secondo una prospettiva diversa. È in base a questo sottofondo che si spiega la presenza nelle chiese medievali di tanti petengueules:33 un'iconografia che si riallaccia a quella che gli esoteristi francesi chiamano la marotte, o piccola madre.34 Il che, naturalmente, ci riconduce al discorso iniziale sul nesso fra mère e merde.»

Tacque e ci guardò a uno a uno per essere certo che seguissimo il suo ragionamento.

«Nella tradizione arcana ci sono due Lune. Entrambe sono state chiamate con un'infinità di nomi, di solito tratti dalle personificazioni mitologiche. Tutte le coppie di nomi, però, contengono l'idea che una Luna riflette la luce solare, mentre l'altra è, se non sempre buia, per lo meno invisibile.

«La Luna luminosa dispensa un influsso benefico, mentre quella scura è nefasta. L'una sta dietro l'altra, così come in un certo senso la capra nascondeva la sacerdotessa di Iside. Le allusioni sessuali del rituale isiaco non sono particolarmente sottili: c'è un rapporto fra ano

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e labbra, già percepito dagli antichi egizi, che l'avevano espresso con il geroglifico 0 ru■ Nel bacio, apparentemente osceno, del neofita c'è un tocco di questa antica magia.»

Interruppe il suo monologo, probabilmente perché potessimo ri-volgergli qualche domanda, ma nessuno parlò.

«La Luna è un mistero dai tempi dei tempi, perché da sempre fissa la Terra con un'unica faccia. Mentre ruota intorno al nostro pianeta, essa presenta sempre lo stesso lato del suo globo. Nessun uomo comune, dunque, almeno prima delle recenti conquiste spaziali, aveva visto mai l'altra faccia della Luna. Essa aveva un lato nascosto, inesplorato, un lato oscuro, come se Iside, che ne è ia dea, avesse davvero velato una parte di sé per celarla all'umanità. Questa verità cosmologica è espressa in molte immagini di Iside e della sua scura sorella, Nefti.

«Fino a non molto tempo fa le correnti ermetiche che alimentavano l'occultismo occidentale concentravano prevalentemente la loro attenzione sulla faccia illuminata della Luna e tuttavia, anche nei simbolismi che sembrano più espliciti, sono sempre racchiuse allusioni alla sua parte buia.

«Nella tradizione cristiana è l'arcangelo Gabriele a governare la Luna, o meglio, la sua metà illuminata. Tutti conoscono Gabriele come messaggero dell'Annunciazione, ma ben pochi, al di fuori delle scuole ermetiche, ne comprendono veramente il ruolo arcano, simboleggiato dai gigli bianchi. I gigli dell'arcangelo sono simboli molto, molto profondi: nella tradizione misterica essi sono il segno della discesa di un dio.

«Nell'arte cristiana vi sono immagini dell'Assunzione in cielo in cui i piedi della Vergine posano su una falce di Luna.

«I due simboli, i gigli di Gabriele e la mezzaluna su cui si erge la Madonna, ci offrono la chiave per capire la connessione fra la Vergine di Luce e l'angelico signore della Luna al momento del concepimento del Figlio, e fra la Vergine e la falce di Luna al momento della sua assunzione in cielo, ossia alla sua morte. Si direbbe che questo simbolismo sia stato concepito per mostrare...» fece una pausa «... per mostrare come quelle stesse forze lunari che avevano annunciato a Maria il suo destino di Madre di Dio la sollevino fino in cielo alla fine della sua vita.

«Ebbene, Gabriele è l'equivalente cristiano della personificazione della Luna illuminata. Il nome, naturalmente, è ebraico ed è in questa lingua che dobbiamo cercare il nome della Luna buia del cristia-nesimo. Quel nome è Lilith, la madre dei lilin, o schiatta di demoni. Non è dunque così strano che al momento dell'Annunciazione fra le mani di Gabriele ci siano i gigli: nel simbolismo arcano la corrispon-denza dei suoni è raramente accidentale.»35

Il nostro vecchio amico - e ora nostro maestro - guardò verso il gruppo per vedere se avevamo afferrato il nesso, che egli tentava di

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stabilire, fra lilin e Lilium, il giglio. Poi riprese: «Forse non è l'espres-sione esatta, ma la Chiesa primitiva era imbarazzata dalla grande quantità di demoni fioriti intorno alle cosmologie delle religioni pa-gane. Essi proliferavano in particolare nella tradizione gnostica, che la Chiesa non incluse nel canone, con un rifiuto che ritengo fosse parte di un preciso piano. I primi seguaci di Cristo erano abbacinati, quasi accecati, dalla luce del nuovo messaggio cristiano. Sembravano aver dimenticato con troppa facilità che ogni luce produce un'ombra. Comunque sia, la sterminata letteratura pagana e la tradizione relativa ai lilin e ai demoni non vennero trasmesse in modo adeguato nel cristianesimo.

«Nel IV secolo, quando chiuse gli antichi centri oracolari, fra cui Delfi, Teodosio, che era un iniziato di grado elevatissimo, aveva capito che il loro antico potere si era ormai sgretolato. Egli incaricò un gruppo di studiosi di trasformare in demoni le antiche divinità egizie, eppure avrebbe dovuto sapere che in questo modo avrebbe creato molte incomprensioni.

«Demonizzare le divinità di una religione sconfitta è un'operazione abbastanza naturale, ma un iniziato non dovrebbe limitarsi a obbedire al proprio istinto. Nel rimescolamento che ne seguì anche il ruolo di Satana, del diavolo e di Mefistofele nei primi scritti cristiani divennero confusi. Sono convinto di non rivelarvi niente di nuovo dicendovi che Satana, il diavolo e Mefistofele erano un tempo individualità distinte.

«Né sorprende, io credo, che la figura di Lilith - così importante e così chiaramente delineata nella tradizione arcana ebraica - sia stata bandita dalla letteratura cristiana e sopravviva soltanto in simboli male intesi. Insieme a Lilith fu scacciata anche la divinità egizia cor-rispondente, vale a dire la dea delle ombre, Nefti.36

«La grande madre Iside è il grembo di tutte le cose che emergono

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alla luce del Sole dalla protettiva oscurità del suo ventre. E tuttavia la lunare Iside non è una dea singola, bensì doppia. Sua sorella Nefti era la Luna buia: nell'antico Libro dei morti egizio Nefti è raffigurata di fronte alla sorella, come un neter-ombra. La nera vergine Nefti, oltre a essere sorella di Iside, era anche sorella e sposa del buio Seth. Come Iside, anche Nefti era una maga ed era signora delle parole segrete (figura 79). È probabilmente questa la ragione per cui, dopo tanti secoli di oblio quasi totale, certi moderni culti di magia nera le hanno assegnato un ruolo resurrezionale così importante.37 Le due dee, Iside e Nefti, erano chiamate le sorelle piangenti. Le loro lacrime scorrono sulla Terra, come le lacrime dell'umanità assopita scorrono verso la Luna nella carta dei tarocchi (figura 76). Piangono, si diceva, per la morte di Osiride, ma in realtà le loro lacrime potrebbero avere un motivo molto più profondo.»

Fece un'altra pausa e i suoi occhi lucenti si posarono su di noi. «Questa sera è con noi un nuovo fratello. Si chiama Mark Hedsel. Come noi, anch'egli ha un interesse profondo per le opere di Fulca- nelli. E a differenza di gran parte di noi egli ha potuto studiare da vi-cino molti dei simboli di cui parla il maestro.»

Non sapendo bene come comportarci, ci alzammo e facemmo un inchino.

«Mark, se non sbaglio ti sei occupato in particolare dell'iconografia occulta nelle chiese e nelle cattedrali cristiane. Ricordi qualche immagine medievale che esprima quest'idea delle lacrime di Iside e di Nefti?»

Scuotemmo, riluttanti, il capo. L'unica cosa che ci veniva in mente erano le carte dei tarocchi, ma queste appartengono a correnti sim-boliche molto più tarde, benché alcune delle loro figure iniziatiche discendessero direttamente dagli edifici delle cattedrali.

«Ebbene, Mark, queste immagini esistono. Nei tuoi prossimi viaggi farai bene a cercarle fra le cattedrali della Francia settentrionale. Le immagini del lato luminoso della luna, espresse nel simbolismo isiaco, furono in gran parte assorbite dal cristianesimo nella raffigurazione della Madonna, la madre di Dio. Iside era stata una dea-stellare, e così divenne Maria, come indica (figura 80) la Stella Maris che reca sulle spalle o sul maphorium,38 Come Iside era legata con la Luna, così lo era Maria, e lo testimoniano le migliaia di immagini in cui è rappresentata in piedi sopra la Luna.39 E come Iside partorì un figlio senza essersi congiunta carnalmente a Osiride, così Maria generò un figlio restando vergine.

«Come vedete alcuni fili della tradizione ermetica isiaca soprav-vivono, benché sparsi e mutili, nell'iconografia popolare. Non è così per la buia sorella Nefti.» Ci guardò a uno a uno, poi con un cenno del capo ci comunicò che era tempo di fare una pausa.

Il maestro riprese senza preamboli.

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«Come vi ho detto, quasi tutta l'antica tradizione sulla Luna buia si smarrì quando il cristianesimo prese il sopravvento sugli altri metodi iniziatici. Con la sua scomparsa se ne andarono anche, o si offuscaro-no, diversi simboli a essa connessi. Fra questi c'era la kteis, la raffigu-razione della vagina, che era stata un importante geroglifico egiziano, il ru. Il sacro ru, simbolo delle parti segrete della dea oscura, mutò aspetto e si conservò, mascherato, in alcune forme di arte cristiana.

«La Sheelah-na-gig, tanto per fare un esempio, è una delle più strane testimonianze del paganesimo che si possano vedere nelle chiese europee.40 Immagino che tutti conosciate questa emblematica signora, ma se così non fosse, credo che possiamo chiedere a Ricardo di mostrarci delle fotografie di alcune delle sue raffigurazioni più belle. Le hai con te, Ricardo?»

«Ho alcune istantanee delle Sheelah di Kilpeck e di Oxford e di quella di Dreieichen, in Germania.»

«Non ho mai visto quella di Oxford. È in una chiesa?»«Sì, quella di St Michael» disse Ricardo. «Una volta era sul muro

esterno, ma adesso è conservata all'interno.»«Un giorno magari mostrerai la Sheelah di Kilpeck a tutti coloro che

vorranno vederla. Per il momento credo basti dirvi che la Sheelah-na-gig è l'immagine di una donna con le pudende esposte in modo tale da sembrare una porta spalancata (figura 81). Il riferimento alla vulva come porta della nascita è chiaro: la figura aveva, forse anche nel mondo pagano, un'origine iniziatica. Meditando su questa immagine si ha l'impressione che la kteis terrena - il didietro della capra, tanto per intenderci - si sia tramutata nella bocca di una vergine sacerdotessa. L'apertura verticale è una promessa di accesso iniziatico, che conduce al di là del corpo fisico della Sheelah.

«Si potrebbe forse sostenere che la Sheelah non è più pagana, che raffigura la nascita umana di Cristo, o che simboleggia il Cristo, come portale della vita. Ma sono argomentazioni che si smentiscono da sole, perché la Sheelah è molto più antica del cristianesimo e non basta cambiare interpretazione per cambiare il significato di un simbolo. Che queste immagini lascive siano riuscite a sopravvivere in tante chiese cristiane è già di per sé motivo di meraviglia e forse nasconde una lunga storia.41

«Il neutro maestro Fulcanelli ha imparato molte cose da Gerald Massey.42 Può darsi che alcuni di voi ne conoscano le opere, benché non siano state ancora tradotte dall'inglese. Massey è autore di uno degli studi etimologici più profondi e inquietanti del XIX secolo. La sua mente era particolarmente adatta a condurre quest'impresa, poiché da ragazzo non aveva ricevuto alcun tipo di istruzione: imparò a leggere e scrivere solo più tardi. Un'educazione di questo genere esercita un effetto molto potente sul corpo spirituale dell'uomo: nel suo caso gli permise di liberare enormi energie, che concentrò su una gamma ristretta di ricerche. Quando imparò a leggere e scrivere

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Massey fu affascinato dal linguaggio. Trascorse molti anni nella sala di lettura del British Museum, rincorrendo prima le connessioni fra la lingua sacra dell'Egitto e l'inglese, e poi fra questa e altre lingue e avanzò molte ipotesi innovative che non sono mai state adeguata- mente confutate.43

«Ebbene, secondo Massey, Sheelah deriva dall'egiziano sherah, che significa "sorgente", "acque sorgive", ma anche "rivelare", "mostrare", che è precisamente quanto fa la Sheelah dalle facciate e dai campanili delle chiese medievali: mostra le sue parti intime, la sua kteis.

«Avrete già capito che se non solo il nome, ma anche l'immagine è di origine egizia, allora la Sheelah esibisce il ru.» Senza alzarsi dalla sedia, allungò il braccio verso la lavagna e disegnò le due curve che formano il geroglifico, accentuando il movimento per dimostrare che il ru era formato da due falci di Luna.

«Questo antico segno era a un tempo una kteis, una bocca e una porta, ed era costituito da due mezzelune. Il ru era la porta d'ingresso al mondo spirituale, quella che conduceva nella camera dell'ini-ziazione. Era il passaggio della nascita, posto fra il regno materiale e quello spirituale. Il legame con l'iniziazione si è conservato, per esempio, in Irlanda dove la Sheelah viene talora chiamata Patrick's Mother, "la madre di Patrizio", e questo ci ricorda che fu San Patrizio a introdurre sull'isola l'iniziazione al cristianesimo, sostituendo agli antichi metodi iberici dei druidi quelli più avanzati di Cristo. La conversione fu graduale, e le immagini e i luoghi sacri più antichi continuarono a esistere. Già questo è di per sé interessante. Perché, se c'è al mondo una terra in cui gli antichi siti di iniziazione pagana sono ancora vivi, questa è l'Irlanda.

«Ma torniamo al ru. Se è. vero che è sopravvissuto nella figura semioscena della Sheelah, è anche vero che compare in immagini cristiane molto più pudiche. Ru è diventato la vesica piscis, la man-dorla mistica, che nell'arte medievale circonda la Madonna e a volte Cristo. La vesica è formata anch'essa da due mezzelune che si in-crociano. Comprenderete, naturalmente, quanto sia straordinario che la Sheelah sia riuscita a sopravvivere nell'arte ecclesiale: la kteis, per quanto ben mascherata, non è ovviamente un simbolo cristiano, d'altra parte la Sheelah non fa di certo mistero della sua mercanzia.

«Se Massey è nel giusto, e il gig del nome deriva dall'egiziano kekh, allora il nome tutt'intero allude alle sue origini iniziatiche, e poiché in egiziano antico kekh significava "santuario", si capirebbe perché mai la Sheelah si trovi esclusivamente sui muri delle chiese.O c'è forse un significato ancora più profondo? Che la Sheelah sia il retaggio - forse l'unico rimasto nell'arte cristiana - dell'antica magia

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sessuale tanto diffusa nel mondo pagano e ancora oggi praticata in oriente fra i tantrici? Quanto più si considera la questione, tanto più si è indotti, io credo, a vedere proprio questo nella Sheelah. Ora forse è giunto il momento di ripensare alle Vergini Nere. Queste statue, nascoste nella cripta di alcune chiese europee,potrebbero non essere immagini di Iside, ma di sua sorella Nefti.»

Si girò verso di noi. «L'interesse per le intuizioni arcane di Fulca- nelli ha spinto Mark a percorrere alcune interessanti vie secondarie» disse fissandoci. «Egli ha esplorato fra l'altro le tradizioni degli artisti medievali. Insieme, qui a Firenze, abbiamo trascorso piacevolmente più di un'ora parlando di pittura e scultura. La sua conoscenza delle cose esoteriche potrebbe esserci di grande utilità. Vorrei invitarlo a dirci qualche parola sul simbolo ru nell'arte cristiana.»

Accettammo l'invito un poco timorosi, ma non appena comin-ciammo a parlare ci accorgemmo che le parole fluivano spontanea-mente alle labbra, come se sgorgassero da una sorgente superiore, dall'interno del nostro essere. «Poiché il ru è un geroglifico egizio, molti pensano che sia scomparso, insieme a tutti gli altri detriti del-l'antico sapere legato all'Egitto. Non è affatto vero. Gli iniziati che presiedettero al trasferimento di parte degli insegnamenti egizi a Roma, per metterli al servizio dei nuovi misteri, conoscevano il valore esoterico del ru e lo introdussero nel simbolismo cristiano. Ecco perché è sopravvissuto nell'arte medievale.

«Ci sono molte testimonianze al proposito, ma poche incarnano il ru con tanta profondità esoterica come la grande pala d'altare del-l'Apocalisse dipinta nel XTV secolo da artisti-iniziati della scuola di Bertram.44

«Quest'enorme pala si trova ora al Victoria and Albert Museum di Londra. È un'opera decisamente esoterica e sicuramente eseguita da una scuola ermetica. Raccomandiamo a chiunque abbia occasione di visitare il museo di osservarla attentamente. I simboli contenuti nei suoi cinquantasette pannelli costituiscono il livello più alto dell'iconografia esoterica concepita per una chiesa cristiana.45

«Se la si osserva bene, in questa pala si scoprono non meno di sei simboli del ru. Naturalmente nella tradizione cristiana, in cui questa curiosa forma era da tempo chiamata vesica piscis, il nome dell'antico geroglifico non era più ru, ma il suo significato ermetico si è man-tenuto quasi intatto. La vesica cristiana ha lo scopo di segnalare che i personaggi in essa racchiusi sono nel mondo spirituale, ossia dall'altra parte del portale.

«Sul retro dell'ala sinistra della pala c'è un pannello raffigurante la morte della Vergine (figura 82). La Madonna è distesà, le mani in-crociate a indicare che è morta. Il mondo che la circonda è chiara-mente quello quotidiano. Su di lei si erge la vesica piscis - il portale che conduce al piano spirituale - e al suo interno c'è Cristo. È un Cristo inusuale, che con il braccio sinistro sorregge Gesù bambino, forse per ricordare che è nato dalla Vergine.» Ci fermammo un istante, per dare

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Capitolo settimo

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enfasi alle ultime parole. Era una tecnica che avevamo visto usare con grande efficacia dal nostro primo maestro a Parigi.

«La nascita, ecco un altro legame con il simbolismo dell'antico ru.46

Ma la cosa che più ci interessa è che questo ru, nonostante il contesto sia cristiano, conserva ancora alcune delle implicazioni sessuali dell'antica forma egizia. La mandorla mistica è qui disposta in modo tale che se si completano i due archi inferiori (nascosti dal corpo esanime), ci si accorge che essi si intersecano sulle mani incrociate della Vergine. E le mani riposano all'altezza del ventre. La Vergine morta compie un gesto che è l'equivalente di quello chiamato Venus pudica: con le mani incrociate protegge le sue parti intime. Dopo cin-quemila anni il ru sembra avere conservato intatta tutta la sua forza in questa figura di donna che, come Iside, era vergine e generò un figlio donatole da un regno superiore.»

L'invito a far parte del gruppo, la Cantonata, che si riuniva sotto la garbata direzione del nostro amico alchimista, era stato molto gradito. Fu una piacevole sorpresa vedere tanti giovani fra la quindicina di persone che ne facevano parte.

Coltivavamo da tempo l'ambizione di studiare in un gruppo che concentrasse l'attenzione su Fulcanelli e la Lingua Verde, ma fino ad allora non eravamo mai riusciti a entrare in contatto con una scuola di questo tipo. Come spesso accade, la strada che cercavamo era a pochi passi da noi, lo era stata per tanti anni, sotto forma di quel vecchio sapiente. Anche Fulcanelli confessò un giorno al suo allievo Canseliet di avere trascorso venticinque anni alla ricerca dell'oro fi-losofale per poi scoprire che l'aveva sempre avuto «a portata di ma-no, davanti agli occhi».47 Alla Cantonata avremmo forse potuto co-minciare a trovare una risposta ad alcune delle domande che Fulcanelli aveva sollevato dentro di noi.

Fulcanelli sarà anche un alto iniziato alla saggezza ermetica, ma come maestro è esasperante. Insegna, o illumina, per cenni e allusio-ni, e nel contempo chiede al lettore una collaborazione e un'atten-zione totali. Si direbbe che egli attui il metodo del sol lente,48 il «ca- lor-lento» dell'alchimista, nella convinzione che una fiamma più forte, quale quella attizzata dal mantice, potrebbe uccidere la vita che germoglia nel crogiuolo.

Due sono in genere gli effetti di una parola o di una frase di Ful-canelli: o fa scoccare la scintilla di nuovi collegamenti, in cui si asso-ciano parole e idee insospettate, oppure spinge il lettore, consapevole della sua ignoranza, a riprendere in mano i vecchi libri alchemici e occulti o a ricorrere alla contemplazione attiva dei simboli che Fulca-nelli tanto spesso raccomanda. Entrambi i metodi di apprendimento si basano sul lento calore interiore, prediletto dai maestri alchimisti.

Per l'allievo, il metodo è di una lentezza esasperante. Spesso, molto spesso, anche i libri alchemici risultano troppo oscuri per fare chiarezza e l'anima che si interroga resta senza risposta alle domande

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sollevate da Fulcanelli; talvolta passano anni prima che trovi ciò di cui è in cerca. In più di un'occasione, lo confessiamo, abbiamo avuto grande difficoltà a seguire alcuni degli indizi disseminati da Fulcanelli mentre scivolava agile lungo la Via del Matto, giocando con le parole, di tanto in tanto lasciandone cadere a terra qualcuna a beneficio dei suoi seguaci.

Noi, incamminati sulla sua stessa strada, eravamo rimasti sorpresi nel constatare che egli aveva, almeno all'apparenza, sorvolato sulla manifestazione più interessante delle feste medievali, quella dei pazzi. Sospettavamo che, nascosti da qualche parte in quella tradi-zione, ci fossero insegnamenti importanti per chi segue la Via del Matto. Uno dei precetti taciti di Fulcanelli è che gran parte delle feste apparentemente pagane del periodo medievale rispecchia in

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Capitolo settimorealtà dottrine esoteriche. La Festa dei pazzi, con il suo strano, boc-

caccesco linguaggio, con l'esplicita parodia della religione e dei suoi servi, con la grottesca elezione di un bambino a vescovo49 avrebbe dovuto costituire una miniera di materiale arcano per un uomo come Fulcanelli. E invece, con nostro grande stupore, egli si era limitato a qualche fuggevole cenno alla Festa dei. pazzi e alla sua «Madre folle». Era esasperante: qual era, ci domandavamo, il substrato esoterico della Festa dei pazzi? E chi era la Madre folle?

Fu sotto la spinta di questi interrogativi che ponemmo la nostra prima domanda alla Cantonata, durante una riunione nell'elegante studio con vista su via de' Vagellai.

Tuttavia, prima di raccontare i nostri contatti con questo gruppo, dobbiamo soffermarci un poco sul suo nome ermetico, scelto con tanta cura. Cantonata, in italiano, significa «angolo» o «angolo di un edificio», ed evoca sia «l'angolo di Pietro» sia «l'angolo della pietra», un gioco di parole perfetto per i seguaci di Fulcanelli. Nella sua prima opera Fulcanelli parla di una misteriosa scultura in pietra, chiamata in francese Maître Pierre du Coignet («Mastro Pietro del cantone»), e piene, oltre a significare Pietro, significa anche pietra.50 Questo Pietro-pietra era posto all'angolo della balaustra del coro di Notre-Dame di Parigi. Era un'immagine misteriosa perché, pur essendo nel cuore della chiesa, raffigurava il demonio. La prima volta che ne sentimmo parlare, ci rammentò l'acquasantiera della chiesa di Rennes-le-Château, sulla quale era scolpito un diavolo, Asmo- deo.5111 Maître Pierre du Coignet di Notre-Dame era stato tolto dalla sua sede da molti anni e aveva creato non poco imbarazzo fra gli archeologi e gli ecclesiastici digiuni di cultura alchemica. La Cantonata giocava in maniera analoga sul doppio significato, di Pietro e di pietra: il gruppo si riconosceva in quella pietra perché era consapevole che con le sue idee, germogliate dagli studi di Fulcanelli, avrebbe turbato i sonni degli «archeologi», ovvero degli storici e di tutti coloro che ignorano le correnti ermetiche di pensiero di cui si occupava il nostro maestro.

Quanto a noi, sapevamo che la «pietra del cantone» era anche la squadra massonica, il kan, che avevamo rintracciato nella tradizione arcana dell'antico Egitto. Il nostro gruppo era essenzialmente di ispirazione rosacrociana, e questo significava che almeno in teoria era consapevole della ricca corrente di simbolismo massonico che percorreva le cattedrali cui Fulcanelli aveva dedicato i suoi studi.

Quale fpsse il significato di Cantonata ce l'aveva svelato il nostro amico fiorentino qualche istante prima di entrare nello studio. Dopo

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averci illustrato alcuni dei significati che si intrecciavano in quel nome, il maestro, fregandosi allegramente le mani, aveva esclamato: «E comunque, che magnifica copertura. Tutti penseranno che ci riuniamo qui in via de' Vagellai per cantare! Questa sì che è vera Lingua degli Uccelli!».52

Il nostro vecchio amico ci aveva presentato al gruppo nella chiac-chierata che precedeva sempre la discussione, e perciò ci sentimmo Uberi di sollevare la nostra questione subito. In teoria qualunque do-manda era rivolta a tutti i presenti, ma per rispetto alla saggezza del nostro amico, era sottinteso che fosse lui il primo a rispondere.

Tossicchiammo per segnalare che desideravamo chiedere qualcosa. «Qual era lo scopo psicologico e cosmico della Festa dei pazzi? Perché Fulcanelli liquida con due parole quelle celebrazioni, che pure sono così promettenti sul piano arcano? Qualcuno ne ha un'idea?»

Il volto abbronzato del nostro amico si illuminò. «Che piacere sentirsi rivolgere una domanda del genere! L'ho notato anch'io che Fulcanelli non ha affrontato l'argomento come avrebbe saputo fare. Anch'io sono rimasto perplesso, perché le testimonianze sulla Festa dei pazzi sono disseminate in molti testi medievali che Fulcanelli co-nosceva bene. Le follie di questa festa sono incise persino sulla pietra delle cattedrali che egli ha analizzato in ogni dettaglio arcano.» Si appoggiò allo schienale della sedia. «Nel mondo precristiano i gruppi iniziatici sapevano che chi conduceva una vita ordinaria aveva bi-sogno di valvole di sfogo. Per questa ragione venivano fissati alcuni giorni dell'anno in cui tutte le regole sociali si allentavano o addirittura si capovolgevano. Nei misteri romani il periodo riservato a questo sovvertimento della norma era quello dei Saturnali.53 Elementi importanti di queste feste si trasmisero, quasi immutati, nella medievale Festa dei pazzi.

«Durante le sue manifestazioni, i preti si travestivano da buffonio da donna e facevano "i matti". Chierici e sacerdoti celebravano le funzioni con il volto coperto da maschere grottesche, e alcuni si ab-bandonavano a canti scurrili. La cosa sorprendente è che queste pra-tiche non siano degenerate in magia nera, benché la sua evoluzione naturale sarebbe stata quella.54 Concluse le funzioni religiose, il clero, uscito per le strade, si abbandonava alla sfrenatezza più totale, bevendo, scherzando, spendendo e spandendo.55 Insomma, i chierici facevano i matti. Al centro di tutta questa gran baldoria c'era in apparenza il culto osceno dell'asino in groppa al quale Gesù aveva fatto ingresso a Gerusalemme: ecco perché a tutta quella babele di suoni faceva da sottofondo il raglio dell'asino.

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Capitolo settimo«La Festa dei pazzi risale probabilmente ai Saturnali romani, du-

rante i quali gli schiavi potevano una volta tanto comportarsi da si-gnori. Potevano, per esempio, assumerne le maniere indecenti a tavo-la ed essere serviti dai padroni. In epoca romana la distinzione fra padrone e servo era molto rigida; in circostanze normali il padrone era protetto dalla legge, al contrario dello schiavo, che non aveva diritti e non godeva di alcun genere di risarcimento: un padrone poteva farne più o meno quello che voleva. Poteva essere crudele, vendicativo, li -cenzioso e arrogante, e lo schiavo non aveva mezzi per difendersi. Im-maginate dunque quale fosse il caos quando durante i Saturnali la leg-ge veniva temporaneamente sospesa. Quelle feste erano davvero una valvola attraverso cui un'intera cultura sfogava la propria rabbia.

«Il rovesciamento sociale era quasi totale: questo sovvertimento dell'"ordine naturale" si è in parte trasmesso alla Festa dei pazzi medievale. Gli antichi Saturnali penetrarono con tale forza nel mondo cristiano che le autorità ecclesiastiche non riuscirono a sopprimere del tutto queste celebrazioni. Anzi, si direbbe che i sàcerdoti, più direttamente a contatto con la popolazione, percepissero l'importanza di fornire periodicamente una valvola di sfogo e così, nel tardo Medioevo, erano proprio loro i "matti" più sfrenati e chiassosi. I mummers inglesi sono forse gli ultimi eredi di queste feste straordi-narie.*

«Ci sono validi motivi per ritenere che il lungo periodo dedicato in origine alla Festa dei pazzi si sia contratto, riducendosi all'unico giorno del primo aprile, che in Inghilterra, dove la tradizione sembra essere stata importata dalla Francia nel XVI secolo, si chiama si-gnificativamente All Fools' Day, il giorno di tutti i matti.

«Naturalmente, le alte gerarchie ecclesiastiche, anche quando era-rio consapevoli del fine di questi riti, fingevano di disapprovarli. Invero alcune autorità ritenevano che le celebrazioni fossero sfuggite di mano, che quella che un tempo era una valvola di sfogo fosse diven-tata una minaccia concreta all'ordine e alla morale costituiti. Di con-seguenza tentarono di censurare e incanalare in un alveo diverso la Festa dei pazzi, ma essa era così radicata fra il popolo e rispondeva a tal punto a un reale bisogno, che non riuscirono a sopprimerla.56

* Dal XIII al XVI secolo la mommerie fu una forma di divertimento popolare, spesso proibita, durante la quale gruppi di maschere percorrevano le strade ed entravano nelle case danzando o giocando a dadi in silenzio. Nel XVIII secolo i mummers cominciarono ad allestire uno spettacolo che ruota di solito intorno a un campione che muore e poi resuscita. La tradizione è ancora viva. Gli attori sono tutti uomini, e includono sempre almeno un clown e un travestito. [N.i/.T.]

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«Io mi chiedo, però, se nella Festa dei pazzi non ci fossero per caso elementi non appartenenti al mondo pagano. Più di una volta mi sono domandato se tutto quel matteggiare e tutte quelle oscenità non na-scondessero simboli cristiani dietro la conclamata venerazione dell'a-sino. E sono giunto alla conclusione che la risposta è affermativa. Nel cristianesimo dei primi secoli esisteva ancora una linea ufficiale di esoterismo: un modo di riconoscere che non tutti i misteri di Cristo potevano essere rivelati alla generalità dei fedeli. Questo atteggia-mento trovava espressione principalmente in quella che ora è nota come arcani disciplina57 e nel fatto che soltanto alcuni monaci e religiosi potevano occuparsi dei documenti ermetici. A quei tempi l'istruzione era in mano alla Chiesa, la quale poteva regolamentare gli studi arcani di questo tipo. Si creò così un'élite religiosa, mentre il popolo, cui veniva negato l'accesso al pensiero ermetico, restava aggrappato alle antiche feste e credenze che un tempo racchiudevano la conoscenza sacra.

«Via via che approfondivo l'analisi della Festa dei pazzi, mi im-battevo sempre più spesso in un simbolo...» Fece un cenno verso di noi. «Mark, anche tu hai analizzato questi temi. Hai idea di che sim-bolo sia?»

«Il pesce?» chiedemmo, ma la domanda era retorica; anche noi avevamo intravisto, se così si può dire, il pesce dietro gli elementi non pagani della Festa dei pazzi. Questo simbolo (figura 83), che compare anche nelle pitture e nelle incisioni più antiche delle catacombe romane in cui si riunivano i primi cristiani,58 fu reso famoso dal grande padre della Chiesa, Agostino, che nella parola greca i-ch- th-us vide l'acrostico di Cristo come Figlio di Dio.59 È il simbolo che ancora oggi guarda Firenze dall'alto della facciata di San Miniato al Monte, sul colle al di là dell'Arno.60

«Come sei arrivato al pesce, Mark?»«Attraverso gli usi straordinari dei sacerdoti che officiavano du-

rante la Festa dei pazzi. Si strappavano le suole delle scarpe e le bruciavano negli incensieri, inondando la chiesa di questo lezzo profano.»

«Ma che cosa c'entra il pesce?» Il nostro amico fingeva di non ca-pire, ma sapeva benissimo che cosa intendevamo dire. Aveva posto la domanda a beneficio dei presenti.

Sorridemmo. «I piedi sono sotto il segno dei Pesci. I sacerdoti of-frivano pesci in sacrificio al Pesce - ossia a Cristo - che per loro si era sacrificato.»

«E dunque, in mezzo a tutta quella baldoria veniva ribadito l'ele-mento cristiano?»

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Capitolo settimo«Così pensavo anch'io. Ma alcuni preti indossavano maschere con

la testa di pesce, altri avevano la coda d'asino e altri ancora la coda a scaglie come i pesci...»

«I simboli dunque alludevano anche al calendario, non è vero?»«Sì. Benché le origini della festa siano oscure, è evidente l'esistenza

di un legame con quello che in seguito divenne l'Aprii Fools' Day, il pesce d'aprile degli italiani, e il giorno dei ’matti degli inglesi. Il le-game ha qualcosa a che vedere con i mutamenti apportati al calen-dario, allorché l'inizio dell'anno nuovo fu spostato dal primo aprile al primo gennaio.61 Il primo aprile era strettamente connesso con il principio dell'anno zodiacale, con il mese germinale dell'Ariete.»

«Potresti chiarire un poco questo concetto, magari facendo riferi-mento a Fulcanelli?»

Non eravamo certi di poter collegare il tema con quel grande maestro, ma ci sembrava valesse comunque la pena toccare alcuni punti importanti.

«Tutti avrete sicuramente sentito parlare dei "pesci d'aprile". Pare che quest'espressione un tempo indicasse i doni che gli amici si scambiavano nel giorno di apertura dell'anno nuovo. In epoca pagana il primo di aprile era una data di estrema importanza, perché non segnava soltanto la transizione da un mese all'altro, ma anche da uno zodiaco all'altro. Lo zodiaco è circolare, e quindi non si può pro-priamente affermare che abbia un principio e una fine, ma si dice co-munque che il cerchio cominci con l'Ariete e si concluda con i Pesci. È questo zodiaco così "disgiunto" la ragione per cui la parte superiore dell'uomo, la testa, è posta sotto il segno dell'Ariete, mentre le estremità inferiori, i piedi, sono sotto il segno dei Pesci. Gli uomini e le donne costituiscono un prolungamento dello zodiaco.

«Il primo aprile segnava la transizione dai Pesci di marzo all'A- riete di aprile. Non è forse ragionevole che fosse un giorno di caos e di follie a separare il vecchio dal nuovo? I doni-pesci erano probabilmente un segno che gli amici si scambiavano per ricordare questa morte e nascita cosmiche. Un pesce, il pesce d'aprile, era un eccellente simbolo del taglio del cerchio alla fine dei Pesci.»62

«Grazie, Mark.» L'anziano maestro diede una brusca e ingloriosa conclusione alla nostra esposizione. «Dunque» disse, riprendendo a parlare, «Mark mi ha chiesto quale fosse il fine di queste feste del-l'antichità. La mia impressione, come vi ho già accennato, è che fun-gessero da valvola di sfogo. Come il cosmo possiede le sue valvole di sfogo per la Terra, che sono le eclissi, così la società deve avere le proprie: senza di esse piomberebbe rapidamente nel caos. Le feste

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sono l'indicazione di come fosse ben regolata la società quando a dettarne le regole erano le scuole iniziatiche e non i politici e i ban-chieri. Vi sembro cinico? Forse lo sono, ma le nostre società moderne avrebbero bisogno di essere governate con più intuito e con minore fiducia nella burocrazia del Capricorno...»63

Mentre lasciavamo via de' Vagellai e imboccavamo via dei Benci, dirigendoci verso il ponte delle Grazie, l'anziano maestro ci posò la mano sulla spalla. «Vuoi cenare con me?»

«Con piacere.»«Sei vegetariano? Sì? Allora proviamo dalle Sorelle, a San Niccolò.

Cucinano bene e si può parlare in pace.»Da come venne accolto, il nostro amico era senza dubbio un cliente

abituale. Fu condotto a quello che doveva essere il suo solito tavolo.«Le Sorelle sono il fato?» chiedemmo, pensando al nome del risto-

rante.«Le Parche?» sorrise. «Quelle sono dappertutto. E fai bene a do-

mandare, perché qui a Firenze ogni cosa ha un suo significato. In realtà, credo che tempo fa, prima e durante la guerra, il locale fosse gestito da tre sorelle. Chissà quanti scheletri ci sono negli armadi. Ma a me basta che il caffè sia buono. Mi piacciono le strade più umili di Firenze: le vie di san Niccolò, piuttosto che piazza della Repub-blica o piazza della Signoria. Quando sono in piazza Vittorio Ema-nuele, vedo solo la distruzione di Firenze perpetrata in nome del turismo.64 E quando sono in piazza della Signoria vedo il rogo di Sa-vonarola.65 In questi vicoli di San Niccolò le tragedie sono più private, fanno meno chiasso.»

Il nostro amico stava semplicemente conversando del più e del meno? Raramente parlava senza dare una direzione precisa ai suoi pensieri. Come mai lamentava la scomparsa del vecchio mondo? Forse percepiva quello che ci passava per la testa, perché chiese: «Che cosa dice il proverbio? Quello inglese che recita più o meno così: "I giovani pensano che i vecchi siano matti..."».

«Sì, credo che sia: "I giovani pensano che i vecchi siano matti. I vecchi sanno che i giovani lo sono".»66 Intuiva forse che lo conside-ravo un Matto?

«Sì, proprio così. Soltanto un inglese poteva dire una cosa del ge-nere. Chi è che l'ha detto? Uno famoso?»

«No. Però George Chapman, è lui che l'ha detto, ai suoi tempi era considerato una sorta di rivale di Shakespeare. Era un pesce grosso in un mare di pesci grossi.»

L'amico annuì, per mostrarci che aveva colto il senso delle nostre parole e riprese a parlare: «In Italia c'è ancora rispetto per i vecchi, anche se forse si pensa che siano matti».

«Io so che lei è vecchio, ma non penso che sia matto.»

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Capitolo settimo

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«E per questo che siamo amici. Altrimenti perché dovresti sprecare il tuo tempo ad arrancare per le strade lungo i cimiteri?67 Tu sai che l'amicizia non ha niente a che vedere con l'età. Mi cerchi e sopporti la mia lentezza fisica perché hai visto nel mio cuore, che corre ancora veloce. Ammiri la mia saggezza. La saggezza di un vecchio è molto diversa da quella di un giovane.»

«Mi sono messo in viaggio per imparare a essere un matto.»«No, ti sei messo in viaggio per seguire la Via del Matto. È diverso.

E dove conduce questo viaggio? Conduce a un matto-savio. Un matto è uno che rinuncia a tutto per un'idea. Il matto-savio è uno che sa già in partenza di non possedere nulla cui rinunciare. Ti pare che io dica schiocchezze?»

«Ma no!» esclamammo, allargando le braccia. Avevamo capito.«Eppure il tuo proverbio inglese ha una sua saggezza. In realtà

sottintende una domanda: "Qual è la differenza fra un vecchio e un giovane, se tutt'e due sono matti?".» Pensavamo che la domanda fosse retorica, ma il maestro ribadì: «Qual è la differenza, Mark?».

«E l'impegno? Il vecchio si è impegnato e il giovane non ancora?»«Esattamente. Il vecchio si è impegnato. Ha preso posizione. La vita

l'ha costretto a farlo. Ha disegnato un cerchio intorno a sé e ha detto: "Ecco, io sto qui, questo è ciò che devo fare". Ha scelto un corso d'azione. E siccome ha tracciato intorno a sé un cerchio, gli altri possono vedere dove si trova. Possono attaccarlo. La sua posizione è debole. Quelli che non si sono impegnati possono deriderlo, se ne hanno voglia. È in questo che consiste l'eterna battaglia fra i vecchi e i giovani. Chi si è impegnato pare in una posizione di debolezza; ma la verità spirituale è del tutto diversa: è chi accetta l'impegno che è forte. Il vero impegno è quello artistico. Ecco perché gli artisti subiscono tanti attacchi. Vengono attaccati per la loro eticità, per le loro idee, persino per le loro opere. Eppure la loro essenza - l'impegno - è la loro fortezza segreta, inespugnabile. Il vero artista sa che la creatività trova in sé la propria ricompensa. Le persone comuni temono l'impegno, temono la creatività. Sanno che se permetteranno a quel calderone ribollente di liquido giallo68 che hanno dentro di tracimare, la loro vita sarà sconvolta. Temono il cambiamento. Non vogliono essere davvero creativi, essere artisti. Forse amano decorare e rendere piacevoli le cose intorno a loro, ma questo non ha molto a che vedere con la creatività.»

«Sta forse dicendo che la Via del Matto dovrebbe essere una via creativa?»

«Tutti i sentieri spirituali dovrebbero esserlo. La creatività è con-nessa con il sacrificio. Quel liquido giallo che ribolle dentro ciascuno di noi è il brodo sacrificale...»

«Lo zolfo?»«Sì, lo zolfo. Il primo dei Tre Principi. È contenuto in un calderone

sacrificale. È un eccesso. La creatività è diletto spirituale, è lo strari-

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pamento dello zolfo.»«E perciò tutta l'attività creativa non può che essere folle? Nel qual

caso anche il pensiero non può che essere folle.»Rise dei nostri sofismi. «Forse il pensiero è folle. Alcune sue forme

lo sono sicuramente. Dopo tutto la maggior parte degli uomini è vulnerabile sul fronte delle idee: ha paura di pensare con la propria testa. Il Matto impara a pensare per proprio conto: ne fa un esercizio dell'anima. Altri rifiutano questa Via. Ecco perché la nostra civiltà è minacciata. Viviamo in un mondo in cui ci si dà un gran daffare per provvedere agli agi del corpo, e si fa molto poco per far crescere l'a-nima. A volte penso che dovremmo smantellare la nostra civiltà, mattone dopo mattone, e ricostruirla da capo.»

«Ma lei è un anarchico?«Rise di nuovo. «No, le civiltà hanno un loro modo di autodistrug-

gersi. Ascolta il traffico là fuori. È già il rumore della marea che si ri-tira.»

«Se capisco bene le sue parole, sta dicendo che la creatività è an- ch'essa una forma di generosità?»

«Esattamente. La creatività è un'elargizione di energia spirituale. La creatività è l'anima che fa dono di se stessa, pescando da una bor-sa senza fondo. Distribuisce lo zolfo - inizialmente forse per eccesso di gioia - perché questa è la follia dei giovani. Poi offre energia, im-pegnandosi in un'idea.»

«La creatività è dunque l'atto supremo di altruismo?»«Sì. Adesso parli con il cuore, non con la testa. Adesso vedo che sei

quasi pronto.»«Pronto?»«Quando un uomo sa davvero che la creatività trova in sé la pro-

pria ricompensa... allora è pronto per lavorare con gli altri.»«Quello che mi sta dicendo è strano.»«È soprattutto per questo che sono venuto qui con te. Ti ho ascol-

tato mentre parlavi al gruppo, stasera. Non ponevi domande. Davi risposte. Eri un maestro, uno che non si preoccupa né di pagamenti

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Capitolo settimo

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«Loro non p jno vedere le fiamme, però non vogliono bruciare.

né di ricompense. L'attenzione del gruppo era elettrica. Natural-mente, l'argomento, la Festa dei pazzi in cui si celebra un asino, era di per sé affascinante, ma lo era anche il tuo modo di esprimerti.»

«Ho parlato con autorevolezza?» domandammo sorpresi.«Grazie a Dio, no. Hai lasciato che il mondo spirituale ti salisse alle

labbra. L'atmosfera in cui ti muovevi - chiamiamola pure aura - mi ha fornito la prova che era arrivato per te il momento di cambiare direzione.»

Cenammo per un poco in silenzio. Tacevamo perché eravamo as-saliti dai dubbi. Eravamo discepoli da tanto di quel tempo che non avevamo mai preso in considerazione l'idea che fosse imminente il giorno in cui noi stessi avremmo insegnato. Infine chiedemmo: «Perché dice che sono pronto a lavorare con gli altri?».

«Amico mio, tu ti ritieni un solitario. Non ti accorgi di quanto ci sia bisogno di te. Quanto ci sia bisogno che tu indichi la Via.»

«Ma io non so niente.»«E quello che pensano tutti i maestri. Non crederai per caso di es-

sere davvero solo quando ti siedi davanti a ima classe? Sei lì come rappresentante del mondo spirituale. Non puoi non saperlo.»

Annuimmo.«Lo sai, perché sei un Matto.»Aveva finito di mangiare i suoi spaghetti al basilico. Si pulì la bocca

con il tovagliolo e sorseggiò un po' di acqua, poi si appoggiò allo schienale della sedia e ci fissò. «Ti dirò una cosa: i matti come me di -ventano maestri perché scoprono improvvisamente che non c'è nessun altro. Tutto qui. Cammini tranquillo per Firenze dopo avere trascorso la giornata in biblioteca, circondato dai libri. Sottobraccio hai altri testi, per inseguire ancora i tuoi sogni. Vedi un bambino che gioca a palla vicino al battistero. La madre è discosta. Non guarda il figlio. Ha una sigaretta in bocca. Capisci molte cose di quella donna e del futuro di quel bambino. All'improvviso hai un'illuminazione: intuisci quanto è profondo il golfo che ti separa dagli altri. Fra te e gli altri c'è un muro. Capisci che quel muro non è un bene né per te né per loro. La casa brucia. Tu vedi le fiamme, ma gli altri no. L'unica cosa che hai imparato, con tutti i tuoi libri, tutte le tue conversazioni con i saggi, le tue meditazioni, è vedere le fiamme. Ebbene, la domanda è: puoi lasciare quelle persone fra le fiamme? Non sarebbe un gesto degno di un Matto strapparne almeno uno, o forse due all'incendio?»«Se è questo\che vogliono.»

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L'iniziiìto

316

Vedi, amico mio, tu sei un alchimista. Sai che ci sono due tipi di fiam-ma. C'è la fiamma mite e lenta del calore interiore e c'è quella terribile che arde e consuma e non sente il dolore umano. Entrambe sono fiamme dello zolfo che brucia, ma producono risultati molto diversi.»

«Mi sta dicendo che dovrei diventare una fiamma per gli altri, un maestro?»

«Nessuno può insegnare a un altro queste cose. Si possono soltanto aprire delle porte. Le questioni che riguardano il destino di ognuno di noi sono misteriose oltre ogni dire. Quando verrà il momento,lo saprai. Io mi limito a suggerire che tu smetta di pensare a te stesso come matto e cominci a vederti come matto-savio.»

«Mi occorrerà tempo per pensarci.»«Thus we piai/ thè fools lutili time, and thè spirits of thè zuise sit in

thè clouds and mock us» citò a memoria Shakespeare.69

«Non puoi continuare ad ampliare il divario fra te e il mondo. Ormai dovresti sapere che il segreto della Via sta nella scissione. Come puoi spogliarti delle tenebre se non ammetti di possederle? L'inse-gnamento è un modo per imparare a riconoscere le proprie tenebre. In un certo senso il maestro ha più bisogno degli allievi di quanto essi abbiano bisogno di lui.»

«Le tenebre sono ancora lì, in attesa della scissione» dicemmo. Di questo eravamo più che certi.

«Ma l'insegnamento è una scissione. Ciò che per gli altri è luce, per il maestro è una luce già superata, come dire che è oscurità.» Afferrò il conto prima di noi. «No, offro io. Bene, Mark, "gioca pure con il tempo", ma non metterci troppo. Il nostro è un folle paradosso, perché pur avendo l'eternità, non abbiamo molto tempo.»

«Intanto lo zolfo brucia e dobbiamo cercare di essere creativi?»Stavamo uscendo dalle Sorelle e io sapevo che non ci saremmo vi-

sti per un bel po'. La mia domanda non era ben formulata, ma sgor -gava dal cuore.

«Ascolta, Mark.» Si fermò, tirandoci per la giacca, come per dare maggiore forza all'urgenza delle sue parole. «Qualche tempo fa mi hai fatto una domanda sullo zolfo. Entrambi eravamo d'accordo con Fulcanelli nel ritenere che negli esseri umani lo zolfo alchemico cor-risponde alle energie sessuali.70 Esse possono manifestarsi in modo egoistico oppure creativo. In ciò sta la scissione. Fulcanelli si muove nell'ambito della tradizione alchemica e quindi giustamente usa questo linguaggio. Jacob Boehme era invece più vicino ai Rosacroce e quindi la sua visione era un poco diversa. Egli divise sulphur in due parti e disse che sul era l'anima (sotti, in inglese) delle cose, l'o-Ho.71 Questo sul nasce da phur, la luce.72 La separazione dello zolfo in olio e luce è di estrema importanza per te. L'olio aderisce alle cose, alla forma fisica. Hai mai osservato delle gocce d'olio versato? A volte sembrano sottili filamenti di arcobaleno: è la luce imprigionata nell'olio.

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Capitolo settimo

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«La luce sale verso l'alto. Libera l'arcobaleno. Tutto qui. Devi chiarirti bene le idee sul lavorio interiore del tuo zolfo: è questo, più del pensiero, che ti aiuterà a impegnarti.»

«Impegnarmi in che cosa?»«Ah, amico mio, soltanto tu puoi rispondere a questa domanda.

Soltanto tu.»

All'inizio degli anni Settanta, viaggiammo davvero a lungo per la Francia, come aveva previsto il maestro.

Inseguivamo il retaggio arcano dei Templari. Nel corso delle nostre ricerche sostammo per diversi giorni a Chartres, contemplammo gli arcani simboli astrologici dei portali e delle finestre all'interno della cattedrale, ma fu soltanto dopo diverse visite che scorgemmo quello cui aveva alluso il maestro. Allora, come ci aveva consigliato, scri-vemmo le nostre osservazioni riguardo a quello straordinario particolare scultoreo che associa la squadra massonica (l'antico karì) ai Templari.

Ci eravamo preparati a questo compito leggendo il più possibile sull'argomento, studiando i metodi dei costruttori medievali e inda-gando fra le scuole segrete che li dirigevano. Mentre eravamo così impegnati scoprimmo che uno dei misteri dello zodiaco di Hermes, che era stato pubblicato dal gesuita Kircher, consisteva nel fatto che l'immagine dei Pesci ha per metà forma umana e per metà forma di pesce, e ha in mano il kan, ossia la squadra massonica (figura 84).

Kircher non citava le sue fonti, ma chiaramente conosceva l'astro- logia e la mitologia degli antichi babilonesi, in cui l'uomo-pesce era uno dei simboli esoterici dell'iniziato. Sicuramente quell'antica cultura insegnava che gli esseri umani, evolutisi al punto di avere libero accesso al mondo spirituale, potevano essere considerati doppi: felici sia di calpestare il suolo sia di nuotare nell'elemento acqueo. Un iniziato di questo livello può vivere sul piano materiale, con un corpo fatto di carne e ossa, ma può anche vivere su quello spirituale, nel mondo acqueo dell'astrale, di cui è simbolo appropriato la coda del pesce e in cui il corpo fisico sarebbe d'ostacolo. La parola mer- man, con cui in inglese si indica il tritone, l'uomo del mare, esprime perfettamente il controllo che l'iniziato ha sui due mondi.

Ma perché mai l'uomo del mare, l'Ichton dello zodiaco di Kircher, ha in mano la squadra-fa?«? In contesti esoterici il kan si presta a più piani interpretativi, il che spiega la sua importanza nell'ambito del simbolismo massonico. Dal punto di vista interiore, il kan racchiude l'idea della persona «retta», ossia orientata verso una vita altamente morale. Questa rettitudine assume una direzione creativa: nell'essere umano etico essa si manifesta come desiderio di creare, di introdurre ordine, di costruire ed erigere. Chi cerca di creare in senso buono sente la necessità di armonizzare la propria opera con il cosmo: sente l'impulso di far discendere sulla Terra le idee spirituali. È questa una

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L'iniziato

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delle ragioni per cui nell'antichità non si costruiva mai un edificio prima che l'astrologo, studiando i cieli, avesse stabilito il momento propizio per cominciare.73 Le fondamenta degli edifici importanti dovevano essere gettate in armonia con le stelle e i pianeti: la quadratura del cerchio cosmico veniva effettuata con l'ausilio di funi sacre e di squadre metalliche.

Il sigillo del Capricorno V? contiene ancora le tracce della squadra e della cordicella (spesso simboleggiata da un nodo), che scendeva a piombo dalla punta della squadra. Fu proprio questa curiosa, inconsueta unione di pesce e squadra, di curva e linea, che scoprim-mo nella straordinaria rete simbolica di Chartres.

Sulla facciata della cattedrale vi sono diverse statue metà pesce e metà uomo e varie squadre ben distinguibili, ma soltanto in un caso tutte queste parti capricorniane sono raggruppate: nelle sculture in pietra, difficilmente visibili da terra, che circondano la porta sud della facciata occidentale. Lì, inserita nel simbolismo zodiacale così rilevante nella decorazione scultorea della cattedrale, si trova una coppia di Templari.74

I due Templari si proteggono con un unico scudo (figura 85). Lo scudo allude in parte all'armatura, in parte alla mitologia di Vulcano, il dio-fabbro, e in parte gioca intorno al famoso sigillimi dell'ordine dei Templari che presenta due cavalieri su un solo cavallo.75 La parte inferiore dello scudo punta esattamente verso il pesce rappresentato nel registro sottostante: il Cristo-pisciforme della costellazione dei Pesci (figura 86).

Dal basso il pesce non si vede facilmente. Lo si può individuare soltanto con un cannocchiale, oppure arrampicandosi sul muretto e sulla cancellata che proteggono la porta. Per scorgerlo occorre dun-que compiere un'ascesa che ha un profondo significato e che era esplicitamente nelle intenzioni dei costruttori della cattedrale. Per apprezzare pienamente questo simbolismo è necessario raggiungere un livello più alto del normale: solo così si potrà vedere il Cristo-pesce risorto che sta sopra lo zoccolo sporgente.

L'elemento davvero importante in questo motivo arcano è che il singolo pesce dei Pesci è nascosto da un angolo retto, ossia dal kart o squadra. Come questo singolo pesce nasconde la vera natura duale dei Pesci, così il kart, che equivale alla squadra massonica, è camuffa-to nel modo più bizzarro possibile dietro un angolo vero, sicuramente scolpito con l'aiuto di una squadra, ed esso stesso una squadra! Quasi a sottolineare questa rettangolarità, lo zoccolo superiore, quello su cui si trovano i due Templari dietro lo scudo, non ha forma quadrata, bensì curvilinea.

Si potrebbe anche pensare che il simbolismo sia casuale, se non fosse che i due Templari, con gli occhi che possono sembrare rivolti verso il basso e le braccia conserte, osservano stupiti il mondo. E nel caso qualcuno avesse ancora qualche dubbio su questo simbolismo

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Capitolo settimo

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così scoperto, gli abili artefici hanno posto la punta dello scudo fra i piedi dei Templari, a ricordarci che i piedi sono sotto il segno ¿ei Pesci.

Indipendentemente dalle conclusioni che si possono trarre circa le influenze esercitate dai massoni o dai Templari, su questo particolare simbolismo arcano, è certo che l'artefice di queste statue sentiva la necessità di associare il pesce alla squadra, di svelare il simbolismo arcano del Capricorno. La scultura è l'equivalente in pietra della coda del pesce, Yanke-te ^ e del rettilineo kart , che sono le due com-ponenti del sigillo del Capricorno.

Quanti si sono preoccupati di misurare in termini di spazio e tempo cose come le emozioni sostengono che si può valutare una persona in un millesimo di secondo.Era per via di un giudizio di questo tipo che ci sentivamo a disagio, benché dentro di noi zampillassero infinite emozioni?

Era l'inizio della seconda settimana di settembre del 1980: sedeva-mo in un caffè all'aperto nella piazza della cattedrale, a Chartres, e parlavamo con una ragazza che avevamo appena conosciuto.

L'avevamo notata mentre percorreva la navata sud della cattedra-le, in direzione del grande labirinto tracciato sul pavimento (figura 22). I colori caldi delle grandi vetrate la inondavano come una musica celestiale; attraversò senza esitare gli archi del cerchio della danza e si fermò nel centro. Sembrava non si fosse accorta di noi. Eravamo nell'ombra, appoggiati a una colonna, e contemplavamo il labirinto. Si guardò i piedi, come per esser certa di trovarsi proprio nel mezzo, e allungando le jsraccia sopra la testa si alzò sulle punte. Quando ci

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scorse, ai margini del cerchio, non parve imbarazzata. Sorrise. Forse non si era resa conto che quando aveva sollevato le braccia dall'ampia camicetta senza maniche avevamo intravisto la curva del seno.

Guardavamo il medievale cerchio della danza a qualche passo di distanza, studiandone l'orientamento rispetto agli elementi architet-tonici. Stranamente, benché fino a pochi istanti prima la cattedrale fosse affollata, in quel momento c'eravamo solo noi in quel punto.

«Sono al centro» disse, con un morbido accento bostoniano. Aveva abbassato le braccia e appoggiato a terra i talloni, ma sorrideva ancora verso di noi. La sua voce quasi si perdeva nella vastità della cattedrale.

Ridemmo bonariamente. «Un labirinto non ha un centro» osser-vammo, tanto per continuare la conversazione.

«Questo non è un labirinto» ci corresse con tono quasi brusco, co-me volesse insinuare che non avevamo capito. Aveva ragione e ci sentimmo sciocchi. Sapevamo benissimo che non era un labirinto, ma avevamo presunto che lei non lo sapesse.

«È un centro a sei petali,» spiegammo, per dimostrare che non eravamo del tutto sprovveduti.

«Sei petali. Sì, e uno stelo, perché è un fiore.» Poi, come per dimo-strarci che ci perdonava, sollevò di nuovo le braccia e rimase in equilibrio sulla punta dei piedi. «Ecco: sono una vergine sul fiore della Vergine.»

Chissà se si rendeva conto di quanto fossero allusive le sue parole. Non conoscevamo il suo oroscopo, naturalmente, ma aveva ragione quando diceva che il centro del cerchio era il flos Virginis.7b Eravamo già affascinati da quella ragazza che, consciamente o meno, danzava la Via segreta.

Attraversò il labirinto venendo verso di noi con la mano tesa.«Latona Hussay» disse, presentandosi alla maniera americana.77

«Mark Hedsel.»«Piacere di conoscerti, Mark. Ho visto che osservavi con grande

attenzione il disegno sul pavimento.»«Ma tu sei stata più brava. Ci hai danzato sopra.»«Era a questo che serviva.»«Sì, per la danza sacra. Per la danza dello spirito interiore.»Latona sorrise e per un attimo parve voler dire qualcosa. Ma poi si

incamminò verso la porta occidentale. La seguimmo.Il Sole ci invase con la sua luce rosata quando uscimmo nel mondo,

sotto la miriade di immagini zodiacali che ornavano i muri della cattedrale.

Ora, mentre era seduta accanto a noi al caffè Le Week-end davanti alla facciata della chiesa, sulla sua pelle non si riflettevano più le sfu-mature celestiali delle vetrate. I capelli neri, raccolti in una morbida crocchia, incorniciavano alla perfezione un volto d'ebano. Aveva la

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Capitolo settimo

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bellezza finemente cesellata della creola, con zigomi alti, sorprendenti occhi verdi e una bocca ben disegnata e sensuale. Emanava un sottile profumo, forse Femme di Lentheric. Dai due libri che aveva in mano si capiva che era bilingue e che era interessata al pensiero esoterico.78

«Fulcanelli» dicemmo, accennando a uno dei testi. Era la versione francese.

Sorrise. I denti erano di un bianco perfetto.«Ho letto il libro a Parigi e poi di nuovo ad Amiens. I quadrilobi

astrologici e alchemici di Amiens sono punteggiati di sigle segrete, ma pochissimi se ne rendono conto. Fulcanelli ha perfettamente ragione. È stato lui a introdurmi alla lingua segreta, ma adesso sento ovunque giocosi canti di uccelli.»79 ?

«I giochi che pochi capiscono?»«Pochi, ma pur sempre alcuni. Mi stupisce sempre vedere persone

del tutto ignare della Bibbia visitare le cattedrali senza rendersi conto che l'ignoranza impedisce loro di leggere quel libro di pietra. Tanto più che molte statue hanno in mano un libro, quasi volessero lanciare un monito.»

«Ma quel libro è la Bibbia? Non potrebbe essere il Libro della vita o qualche altro libro esoterico?»

«Pensavo fossero le Sacre Scritture.»«È poco probabile.» Accennammo con il capo alla cattedrale. «Nel-

l'archivolto del portale centrale c'è una piccola immagine di Gram-matica. Insegna ai bambini. In una mano ha un frustino, a indicare la necessità della disciplina. Nell'altra ha un libro aperto. La statuetta è semplicemente un simbolo della conoscenza. Contro il pilastro cen-trale del transetto meridionale c'è la figura di Cristo. Anch'egli ha in mano un libro: i simboli che decorano la copertina dimostrano che si tratta del Libro della vita.80 Non è un libro qualunque, è un testo che discende dagli antichi misteri.»

La tona sorrise di nuovo. «Potresti scrivere un libro sui libri di Chartres.»

«Per carità» ridemmo. «I muratori che costruirono la cattedrale la-sciarono comunque un messaggio su quel libro.»

«Un libro che non può essere aperto?»«No. Un mistero di luce.»

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L'iniziato«Cioè?»«Il libro è posto in modo che a luglio il Sole salga lungo il profilo della figura di Cristo fino a formare un arco che incornicia esattamente la copertina del volume. Nel contempo il serpente che giace ai piedi di Cristo si illumina interamente. I maestri muratori associano il Libro della vita al serpente.»Latona si voltò per appendere la borsetta alla spalliera della sedia e si alzò con grazia.«Vado a vedere il serpente. Tieni d'occhio le mie cose.»La osservammo mentre, ancheggiando sensualmente, si dirigeva verso la parte sud della cattedrale, poi allungammo la mano verso il libro di Fulcanelli. Tornò cinque minuti dopo.«Ci sono due creature mostruose ai piedi di Cristo. È il serpente a destra quello che si illumina insieme al Libro della vita?»«Sì.»«Chi sono i due mostri?»«Sono scomparsi dall'arte cristiana nel XII-XIII secolo, forse perché se n'era perso il significato. O forse perché alludevano a qualche eresia. Sono i mostri duali degli zoroastriani. Uno è di forma leonina e rappresenta le forze solari; l'altro è di forma serpentina e rappre-senta le forze lunari. Cristo è raffigurato come signore delle forze so-lari e di quelle lunari, il grande Mazda e Ahriman degli antichi cul-ti.»81

«Ma allora perché il serpente si illumina nello stesso momento del Libro della vita?»«Forse per mostrare che nel Libro della vita sono scritti tutti gli oscuri segreti lunari dell'uomo. Tutte le azioni malvagie. Niente è ce-lato. In quei pochi istanti di magia di luce, le forze del Sole cadono sulle forze della Luna, illuminando simbolicamente i contenuti inte-riori più bui dell'umanità.»«Cristo vede tutto?»«Sì. E tutto è scritto nel libro che egli ha in mano.»Latona atteggiò le labbra a un fischio silenzioso: cominciava a capire che cosa nascondeva la magia della luce.«Tornerò a Chartres in luglio. Devo venire in un momento o in un giorno particolare?»«Il tempo migliore è verso la fine del mese, l'ultima settimana.»Annuì.«E Chartres, Latona? Perché sei a Chartres?»«Sono venuta a vedere la Vergine Nera.»

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Capitolo settimo«Nella cripta?». Un'altra domanda sciocca. Dove mai poteva essere se non nella cripta la Vergine Nera di Chartres?«L'odore della tomba... » disse, citando Fulcanelli.82

«Credi che la Vergine fosse un'immagine di Iside? O che altro?»«Non lo so. A me basta sapere che la cattedrale protegge una dea pagana, e che questa è nera.» Si appoggiò alla sedia e increspò le labbra come se ci stesse soppesando.«Sai niente delle Vergini Nere?»Alzammo le spalle. «Ho letto qualcosa.»«Fulcanelli dice che sulle statue c'è un'iscrizione: "Alla Vergine che sta per partorire".»83

«Fulcanelli ha ragione. Sullo zoccolo di alcune statue sono incise quelle parole.»«Sono parole che mi affascinano. Credo siano state proprio loro a spingermi ad andare in cerca delle Vergini Nere. Anch'io mi sento costantemente in questa condizione. Come se fossi sempre sul punto di partorire.»«La grande idea?» Un brivido ci corse lungo la schiena. Latona aveva quasi sfiorato il concetto che sta dietro la parola Idiota.«Fulcanelli dice che la Vergine Nera era chiamata anche Madre di Dio, la grande idea.»«Matri deum, magnae ideae» intonammo. «Difficile da tradurre, perché idea gioca intorno alla parola dea.»84

«La grande idea potrebbe significare Grande Dea?»«O entrambe le cose. Fulcanelli spesso racchiudeva due o più si-gnificati in un'unica frase. Ma potrebbe anche essersi sbagliato.» La-sciammo in forse la cosa, perché non sapevamo fin dove lei sapesse. Quanto a noi, non avevamo dubbi che Fulcanelli collegasse la dea alle idee platoniche. La parola idea ha una corrispondenza più stretta con gli archetipi di Platone di qualsiasi altro equivalente latino.«Esiste il caso in arte?» domandò Latona, con finta innocenza. «Se si esclude il caso, allora bisogna eliminare gran parte di quella che oggi passa per arte... A ogni modo, a me piace l'idea, mi piace l'idea di una Vergine Nera madre degli dei.»«Quali altre Vergini Nere hai visto?»«Poche. La più bella è quella di Montserrat.»85

«Li Moreneta?»«Sì. Intorno alla Vergine Nera di Puy ci sono pampini e spighe di grano.» \.«I simboli eucaristici del pane e del vino?» domandammo, benché sapessimo già la risposta.

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L'iniziato

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«No, non si tratta solo di questo, ma di misteri più antichi di quello di Cristo.»

Parlammo finché non calò il crepuscolo e le vie intorno alla catte-drale si animarono nella luce dei caffè. L'atmosfera ricordava gii in-tensi dipinti di Van Gogh, le sue scene notturne dei bistrot di Arles, i bicchieri vuoti sui tavolini in cui si rispecchiavano le stelle, simbolo della sua solitudine. La transitorietà della vita che si svolgeva in quelle strade era quasi palpabile a confronto della quiete e dell'im-ponenza della cattedrale. L'angelo di pietra che sorreggeva il grande arco della meridiana ai piedi del Clocher Vieux non scandiva il tempo per la struttura eterna dell'edificio sacro, ma misurava la luce lunare per l'umanità addormentata.

D'impulso facemmo cenno a La tona di seguirci ai piedi del cam-panile sul lato sud.

Raggiungemmo le mura dell'alta torre, che si stagliava nitida nella luce artificiale. Piegando il capo all'indietro, osservammo la massiccia opera in pietra die sembrava muoversi sullo sfondo dei ciuffi di nuvole. «Lo chiamano il campanile vecchio» dicemmo.

«Perché?»«Perché il suo compagno - quello a nord - fu abbattuto da un ful-

mine. Lo restaurò Jean de Beauce nei primi anni del XVI secolo, ag-giungendovi quella guglia gotica del tutto estranea al resto della cat-tedrale. La gente di qui lo chiamava ironicamente "il campanile nuovo", e forse avrebbe potuto dire di peggio. Fu così che l'altra torre, quella originale, diventò il campanile vecchio.»

Eravamo ormai davanti alla magnifica meridiana, Yhorloge.«Pare che l'angelo sia Michele. Su ogni punto cardinale vegliava un

arcangelo. Michele era in origine il guardiano del sud. La meridiana venne aggiunta più tardi, ma sono convinto che fosse in progetto fin dall'inizio.»

«Perché?»«In parte perché Michele è il custode del sud e in parte perché si

trova in una posizione ideale per misurare il cammino del Sole nei cieli. È a questo, dopo tutto, che serve una meridiana. Ma c'è un'altra ragione...»

Ci spostammo lievemente e puntammo l'indice verso la grottesca creatura situata a destra dell'arcangelo.

«Ecco l'altra ragione.» Indicammo un punto più in alto. «È questa una delle immagini che amo di più qui a Chartres.» La scultura raffi-gura un grosso asino disposto in senso verticale con la groppa contro il muro della cattedrale (figura 87); suona un medievale organetto a manovella86 e potrebbe benissimo essere l'asino venerato con tanto clamore nella Festa dei pazzi.

«Che cos'è?»

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Capitolo settimo

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«È L'âne qui vielle.»«L'asino che invecchia?» domandò Latona, che aveva capito quanto

fosse difficile una traduzione.«Be', come approssimazione non è male. Ma tu hai letto Fulcanel- li,

sai che esiste una lingua segreta...»«La Lingua Verde ... L'argotique...»Annuimmo. «Credo che L'âne qui vielle significhi "L'asino che suona

la ghironda". Ma non è tutto: l'àne-qui, rinvia al verbo languir, che significa "languire", "stagnare". Forse è un simbolo della gente.»

«Della gente comune?» domandò, lanciandoci un'occhiata brusca, senza però lasciarci il tempo di replicare. «E vielle? Significa "ghironda"?»

«In un certo senso. La parola vielle pare fosse l'antico nome fran-cese di questo strumento.87 Se vuoi il mio parere, questo asino musico richiama l'anima umana che non va in cerca dell'iniziazione, che è sorda alla musica superiore delle sfere soffocata dal suono monotono della vielle. L'anima sciocca che non si sforza di udire quell'alta musica e si accontenta di una babele di suoni; è l'anima che non vuole sollevare lo sguardo sugli intervalli cosmici tracciati sull'arco della meridiana sorretta da Michele. Si tratta di un'umanità che, languendo, scivola nella vecchiaia...»

«Ristagna sotto il peso delle forze mortali del pianeta Saturno?» si intromise Latona. Lo conosceva bene il suo Fulcanelli.

«Proprio così. Saturno, signore della pesantezza, della stagnazione e della morte fisica. L'opposto della Luna che governa la vita im-maginativa.»

«Però! Che cosa ne farai di tutta questa tua conoscenza?» Ancora una volta non aspettò la risposta. «Ma, Mark, non leggerai per caso troppe cose in una singola frase e nella giustapposizione di due sta-tue?»

Scrollammo le spalle, come per dire che tutto è possibile. Eppure sapevamo da altri dettagli dele sculture della chiesa che la nostra in-terpretazione era fondata. «E un rischio sempre presente: è possibile sovraccaricare di troppi significati i simboli, ma non dimenticare che le cattedrali sono state costruite da iniziati. Loro sapevano che i veri simboli devqno agire su sette livelli. Noi con questo angelo e questo asino siamo forse al secondo o al terzo...»

Annuì, tutta'seria.

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L'iniziato

Avevamo comunque apprezzato la sua domanda e tentammo di formulare una risposta. «Quando meditavi nel cerchio della danza, dentro il labirinto, penso che tu non sapessi di celebrare un rituale connesso con i misteri dell'asino con la ghironda.»

Ci fissò. «Che cosa intendi dire?»«Vieni con me: ci sono un altro angelo e un altro asino che dovresti

vedere.»Girammo intorno alla facciata occidentale e prendemmo a destra,

verso il grande portale del transetto nord. Qui ci fermammo a guar-dare le tre figure dell'Antico Testamento.

«A sinistra c'è re Salomone, il costruttore del primo tempio esote-rico. La sua presenza nell'architettura medievale segnala sempre qualche simbolismo massonico nascosto. La donna al suo fianco è la regina di Saba...»

«E l'uomo sull'altro lato?»«È Balaam. Di lui la Bibbia racconta che non vide l'angelo inviatogli

dal Signore ad avvisarlo.88 L'angelo apparve tre volte, e Balaam non lo vide. Ma il suo asino sì. E alla fine, esasperato dall'incapacità del padrone di scorgere l'angelo nel mondo spirituale, l'animale si rifiutò di procedere. Soltanto allora Balaam si persuase ad ascoltare le parole dell'angelo. Quell'asino non era un asino, era un matto-savio. Eccolo là, ai piedi di Balaam.»

«Sì.»«Non noti niente di strano?»«No, niente.»«Non dimenticare che i costruttori delle cattedrali amavano i doppi

significati. Guarda la criniera dell'asino.»La studiò per qualche istante, poi una luce si accese nei suoi occhi

e mormorò con tono quasi reverente: «La criniera è anche un corno. L'asino ha un corno che gli spunta dalla fronte. È un unicorno1.»

«Proprio così! E dove s'è mai visto un asino-unicorno? Eppure, i saggi scultori hanno tramutato l'asino di Balaam nel magico unicorno. Il corno è il simbolo del terzo occhio: era quest'occhio segreto che permetteva all'asino di vedere gli angeli, gli esseri spirituali celati al suo padrone.»

«Sì. Fulcanelli l'avrebbe chiamato un asino che non è un asino.»«Sì. O forse un matto savio. »«Mark, stavi per spiegarmi perché, quando mi trovavo nel centro

del labirinto, ero in un certo senso connessa con l'asino con la ghi-ronda. Posso capire che ci sia un rapporto fra l'unicorno e il labirinto... Naturalmente, siccome l'unicorno è comunque una sorta di asi

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Capitolo settimo

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no, forse ha qualche nesso con l'altro asino, quello sul lato sud. Ma non capisco che cosa c'entri il labirinto.»

«Il filo che li collega è nascosto, o meglio, lo è all'occhio esteriore. Se tracciamo una linea sul pavimento della navata che vada dall 'àrie qui vielle aU'asino-unicomo di Balaam, scopriamo che passa per il centro del labirinto.»

Ci guardò stupefatta.«Il fatto è, Latona, che quando hai cominciato a danzare, eri esat-

tamente a metà fra i due asini, un musico folle e un visionario folle. Forse l'hai fatto d'istinto, ma quel centro è comunque il punto più importante di tutta la cattedrale.»

Latona sembrava troppo commossa per parlare. Non potevamo avanzare oltre, poiché la cancellata ci sbarrava il passo, quindi, in si-lenzio, tornammo indietro. Ogni tanto Latona si fermava a osservare qualche statua. Benché si capisse che era tentata di chiedere qualco-sa, non aprì bocca. Ma dopo aver percorso un paio di volte lo stesso tratto, puntò l'indice verso una figura e domandò: «Chi è quel cava-liere disarcionato?»

«È l'orgoglio.»«L'orgoglio precede la caduta?»«Credo di sì. E una scultura straordinaria. Persino il cavallo bar-

colla.»Latona si fermò e si voltò verso di noi. «Parlando con te sento di

abbeverarmi alla fonte di una grande saggezza. Ti sembro troppo re-torica? Anche se così fosse, grazie comunque.» Era imbarazzata, ma proseguì: «Fulcanelli è un libro, ma tu sei un libro vivente. Da dove ti viene tanta sapienza? Dove insegni?».

La domanda ci trapassò l'anima come una freccia arroventata. Era la domanda che continuavamo a porre a noi stessi: dove insegnarne? E, dobbiamo insegnare? Nascondemmo l'imbarazzo. Ridemmo e rispondemmo evasivamente.

«Quante domande! Vuoi sapere da dove viene la mia saggezza? Ma che cosa mi chiedi? Come faccio a sapere da dove viene quello che so? C'è forse un posto dove vendono le idee?»

«Probabilmente invece di chiederti dove insegni, avrei dovuto dire se insegni.» Pareva si fosse resa conto di avere toccato un nervo sco-perto.

«Non insegno» rispondemmo con il tono di chi considera chiuso l'argomento^

Forse la risposta era stata troppo brusca e qualcosa nel nostro rap-porto si spezzò- Proseguimmo adagio fino al caffè. Latona andò a

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L'iniziato

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leggere il menu esposto all'ingresso, come se volesse cenare. Durante la nostra assenza il locale si era riempito e il nostro precedente tavolo all'aperto era occupato.

All'improvviso Latona tornò verso di noi. «In che albergo stai?»«Le Grand Monarcjue.» Era a due passi dalla cattedrale. «E tu?»«Non so ancora dove andare. Ho lasciato le mie cose in macchina.

Mi ospiteresti per questa notte?»La domanda non sembrava contenere alcuna allusione sessuale,

ma ci lasciò a bocca aperta. Niente nel suo comportamento o nella nostra conversazione aveva suggerito la possibilità di una simile in-timità. Latona era bella e ne eravamo fortemente attratti, eppure qualcosa ci metteva a disagio. Qualcosa che non riuscivamo ad af-ferrare. Forse avremmo dovuto dirle di no, e invece annuimmo.

«Niente sesso, però» disse, fissandoci. «Fa differenza?»Scuotemmo il capo. A che cosa saremmo andati incontro? Il nostro

imbarazzo si acuì.La osservammo attraversare il piazzale e sparire dietro l'angolo

della facciata occidentale della cattedrale. I suoi movimenti avevano qualcosa di felino e ancheggiava in modo quasi lascivo.

Nella stanza c'era un letto solo. Proponemmo di dormire su una sedia, ma Latona fece segno che non era necessario: «Possiamo divi-dere il letto». Forse avremmo dovuto insistere, perché le ore che se-guirono furono fra le più difficili di tutta la nostra vita.

Facemmo per primi la doccia e ci infilammo sotto le lenzuola. Pensavamo che anche Latona si spogliasse in bagno e invece si tolsei vestiti in camera. La luce era spenta, ma dalle grandi finestre ancora aperte filtrava il chiarore lunare, disegnandone la silhouette. Latona non poteva non sapere che la guardavamo e nel suo modo di spogliarsi sembrava esserci qualcosa di volutamente provocatorio. Ci venne il sospetto che si divertisse alle nostre spalle. Ma perché non ci dava gioia vedere una donna così bella svestirsi prima di venire a letto? Naturalmente era perché ci aveva imposto di non toccarla.

Con nostro orrore, si infilò accanto a noi completamente nuda. I nostri corpi non si sfioravano, ma sentivamo l'uno la presenza del-l'altro. Mai prima di allora ci eravamo resi conto di quale potere spi-rituale eserciti il corpo umano, quanto grande sia la sua forza ma-gnetica. È questo potere - un potere che può calarsi nel desiderio - che spinge la Luna a inseguire ondeggiando la Terra e a compiere spirali intorno al Sole.

Ci fu un lungo silenzio. Quando finalmente la ragazza parlò, la sua voce parve più profonda. Era la voce di un'estranea. «Mi dispiace che non possiamo fare all'amore. Ma non chiedermi perché.»

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Capitolo settimo

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«Ho accettato il patto.» Era vero. Eravamo stupidi e avevamo detto di sì. L'intimità che ci aveva avvolti prima era svanita. Ora eravamo separati da tensioni quasi palpabili. Per alleggerire un poco l'at-mosfera, osservammo: «Ti ho visto una pietra al collo. Che cos'è?».

«Uno zaffiro. La mia pietra. Sono nata in settembre.»Allora, e solo allora, cominciammo a capire quella sensazione di

pericolo che avevamo avvertito al momento dell'incontro. Quella giovane donna, così monolitica, era troppo immersa nell'influsso della Luna. Le pietre, tutte, sono simboli: gli antichi portavano lo zaffiro come antidoto contro la pazzia. Latona lo sapeva? E se anche l'avesse saputo, che differenza avrebbe fatto?

Restammo in silenzio e concentrammo tutta l'attenzione nella lotta con i demoni interni. Impossibile descrivere le torture che il nostro corpo subì quella notte a Chartres. 11 desiderio ci faceva tremare. Timorosi che ci spingesse a toccarla nel sonno, ci aggrappammo alla spalliera metallica del letto. Restammo tutta notte così, come prigio-nieri ammanettati, le braccia tese verso l'alto come in una preghiera, la mente fiaccata da una sorta di torpore intermittente, il sangue che pulsava nelle membra.

Poi, poco prima dell'alba, ci addormentammo. Quando ci sve-gliammo, le fiamme interne si erano spente. Non sentivamo più il magnetismo femminile provenire dall'altro lato del letto. Ci girammo: Latona era scomparsa. Il lenzuolo sotto di noi era completamente bagnato, come se dal soffitto fosse scesa la rugiada. Eravamo inondati di sudore.

Mentre sotto la doccia ci mondavamo dell'infelicità della notte, ri-cordammo improvvisamente chi era Latona nella classicità. Nell'isola di Deio Latona si era chinata su una fonte per acquietare la sete. Forse la sua veste era mossa dal vento mentre tentava di bere, o for-se i due bambini che aveva in braccio piangevano; comunque fosse, due buffoni lici che la stavano osservando scioccamente la canzona-rono. E la dea, indignata, li trasformò in rane.

Latona aveva lasciato un biglietto sul comò. Era vergato con una calligrafia precisa, da studiosa. Sollevandolo, ci giunse un soffio del suo profumo. Il messaggio e il profumo ci ricordarono i due lati della sua natura: l'anima indagatrice e la donna. Il biglietto diceva: «C'è un organetto che suona nella mia mente, e non riesco a sentirlo. Se c'incontrere di nuovo, ti spiegherò. Sono convinta che tu sia un

maestro, e questo cambia le cose. Meriti una spiegazione: credo tu sia Perseo, che cavalca un asino, anziché un cavallo alato. Per il mo-mento, comunque, grazie per quell'altro angelo e per quell'altro asi-no. Spero che la tua cavalcatura riprenda il suo viaggio e non sia

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L'iniziato

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troppo malconcia».

Il messaggio non era firmato: al posto del nome c'era un sigillo.89

Non solo il cavallo era malconcio, ma noi eravamo stati trasformati in rana da questa principessa nera. Eravamo nati dal sudore e avevamo trascorso la notte immersi nella rugiada spremuta dai nostri pori. Eppure non ci eravamo beffati di lei. Che l'avessero maltrattata altri uomini e ora cercasse di punirli tutti? Forse la sensazione di disagio che avevamo provato al primo istante non nasceva da lei, ma era un segno della nostra colpa?

Non trovammo risposta a queste domande, ma quella notte a Chartres marchiò a fuoco la nostra anima. Ci rimase fissa per sempre nella memoria come emblema del potere del corpo. Sarà anche un'illusione costruita dai nostri sensi, il corpo. Sarà un asino a quattro zampe, appeso a fili tirati dal mondo superiore delle stelle... Ma quando la creatura è usata da una dea dalle morbide dita che era madre della Luna, allora svela il terribile mistero del suo potere. Le donne che esibivano i loro luoghi segreti erano meno potenti di quelle che li celavano. Eppure non era stato il potere sulfureo del corpo torturato a impartirci la lezione. Erano state le ombre create dalla mente del nostro corpo imprigionato, le creature che scoccavano come scintille dalla buia immaginazione lunare.

Finalmente avevamo appreso quello che era sicuramente ovvio per il nostro amico di Firenze. Avevamo appreso che era tempo di insegnare. Era tempo di insegnare agli altri la Via del Matto e di porre fine al vuoto che ci aveva invaso l'anima.

Non incontrammo mai più Latona, ma sapevamo a che cosa allu-deva il suo riferimento al Perseo di Ovidio: forse era giunto il mo-mento di sostituire il nostro asino con un cavallo alato.90

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Ultime parole

Non c'è morte per nessuno, se non in apparenza, così come non c'è nascita per nessuno, se non in apparenza.

APOLLONIO DI TIANA, lettera a P. Valerio Asiatico

L'ultima volta che vidi Mark Hedsel da vivo fu nel 1997 ai Caraibi. Quando mi venne incontro, all'aeroporto, era così cambiato che mi lasciò attonito. Non aveva più l'aspetto di un giovane: gli anni ave-vano steso sul suo volto e sulle sue mani una ragnatela di rughe. I capelli folti erano diventati bianchi e il volto era smunto e segnato. Il suo vigore se n'era andato ed egli sembrava quasi il fantasma impal-pabile di ciò che era stato un tempo. Eppure nei suoi occhi bruciava ancora l'antica, intensa energia. Mi sorpresi a chiedermi, e non era la prima volta, quale età avesse. Ma se il suo corpo era in declino, non così era la sua mente, e la luce dell'intelletto brillava ancora nella calda animazione della voce. Le sue parole erano come sempre me-lodiose e intense, anche quando discutevamo di argomenti che non riguardavano l'iniziazione.

Mi raccontò che era a Grenada soprattutto per motivi di salute e perché questa era la sua isola caraibica prediletta. Ci eravamo visti un paio di volte a Galley Bay, ad Antigua, che Mark riteneva il luogo più bello per chi va in cerca di quiete. Ma quel centro balneare era stato devastato un paio d'anni prima da un uragano e Mark aveva dovuto cercare altrove un posto di pari bellezza e tranquillità. Finalmente aveva scovato un alberghetto sulla costa occidentale di Grenada, vicino a La Sagesse.

Eravamo insieme da un paio d'ore quando Mark mi disse che la ragione principale per cui aveva suggerito di incontrarci a Grenada era l'eclisse della Luna, prevista per le ultime ore del 24 marzo.1 Nel tono della voce colsi la consapevolezza che quella sarebbe stata l'ul-tima eclisse che avrebbe visto in questa sua vita.

C'era qualcosa di simbolico nel suo desiderio di contemplare in-sieme a me l'efclisse: la Via del Matto era sempre stata intimamente \

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L'iniziatoconnessa con il tentativo di incanalare le forze lunari. Per Mark, che aveva imparato a percepire il mondo attraverso i simboli, l'oscura-mento della Luna da parte del drago Atala era il giusto emblema della fine della vita di un Matto.2

Ero andato da Mark perché dovevamo discutere diverse questioni a proposito di questo libro, in particolare riguardo alle note e alle fonti bibliografiche ma, per una ragione o per l'altra, non arrivammo mai ad affrontarle. La notte dell'eclisse ci sedemmo in cima a un colle fra Grandanse e Pink Gin Beach e osservammo la Luna scivolare lentamente verso la tragica conclusione dell'eclisse. La vista era perfetta, nel cielo non c'era neppure una nuvoletta.

Poche persone sono capaci dell'attenzione necessaria a contem-plare il cosmo. Un'eclisse è un evento straordinario, una grande me-raviglia, con l'ombra della Terra che adagio adagio proietta un buio arco sulla superficie montuosa del suo satellite. L'oscurità rosicchia pian piano la faccia scheletrica che la tradizione occidentale attribui-sce alla Luna,3 con la stessa inesorabilità con cui divora la lepre della tradizione orientale.4 Non solo ci si sente testimoni di un dramma cosmico, ma si percepisce anche quanto sia atrofizzata in noi la ca-pacità di stupirsi. E si immagina che in altri tempi, davanti a questo fenomeno, gli uomini sarebbero caduti in ginocchio, con meraviglia forse mista a timore, perché essi avevano un sentimento del cosmo più viscerale del nostro.

«Coinè mai» chiesi, «l'eclisse è un'esperienza così profonda? Da dove viene la tristezza che ci pervade? È qualcosa di più della tem-poranea scomparsa della luce. E come se... come se... "come se qual-cuno camminasse sulla mia tomba". Che esperienza è mai questa?»

Mark sorrise della mia immagine logora, ma annuì: «Si prova un senso di morte perché il simbolismo dell'eclisse penetra fin nel profondo dell'anima. Ma il presagio di morte non è quello che potreb-be sembrare. Ricordi l'omino della letteratura ermetica, l'Ishon?».

Feci un cenno affermativo.«L'Ishon è connesso con l'occhio e la visione di Iside, la quale, non

dimenticarlo, era una kore, ossia era insieme una vergine e "la pupilla dell'occhio".5 Questo antico nesso fra l'occhio e la visione racchiude un significato profondo. Iside è la dea della Luna e Osiride, suo fratello e sposo, è il dio del Sole. A Iside viene spesso associato il numero ventotto, perché nell'arco di un mese (che dura ventotto o trenta giorni, a seconda del sistema di misurazione), l'aspetto della

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Ultime parole

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Luna subisce ventotto o trenta trasformazioni, passando da crescente a Luna piena, calante e poi ancora nuova.

«Ebbene, negli esseri umani gli stessi numeri, ventotto o trenta, sono iscritti nella struttura della spina dorsale. Se conti le protube-ranze della colonna vertebrale, ne troverai ventotto, oppure trenta se consideri anche quelle sul sacro, che sono quasi vestigiali. È come sei balzi della Luna in cielo si fossero, per così dire, ossificati nel-l'embrione, imprimendo un impulso lunare alla spina dorsale.

«Come di certo sai, dall'interno della colonna vertebrale le energie si trasmettono per tutto il corpo, raggiungendo anche le cellule più lontane. Naturalmente l'antica tradizione ermetica ha sempre saputo die il nervo ottico è una trasformazione della spina.6 Nell'occhio d sono dai ventotto ai trenta filamenti nervosi che collegano il buio cervello con l'occhio che vede la luce.

«Questa fisiologia arcana ci conduce quasi fino agli abissi dei mi-steri di cui è proibito parlare. Posso però dirti che l'Ishon della tradi-zione ermetica è visualizzato in mezzo agli occhi, nel pùnto in cui si incontrano i nervi ottici e quelli olfattivi, ma soltanto i sensi più evoluti sono in grado di percepirlo. E lo sviluppo di questo nano astrale che talune scuole iniziatiche dell'antichità perseguivano con i loro metodi.7

«Forse penserai che ho preso la questione molto alla larga, ma non è così. Quando viviamo l'esperienza di un'eclisse, sentiamo, per così dire, "la morte" di questo nano. Sentiamo che egli piomba in uno stato di narcosi. La nostra spina dorsale, che si sviluppa verso l'alto, verso il Sole, perde per qualche istante la sua spinta alla verticalità.8 Desidera "dormire", essere orizzontale rispetto alla superficie della Terra. Prova, insomma, l'impulso di diventare come la coloima vertebrale del regno animale, parallela al suolo e interamente dominata dalla Luna. L'essere umano viene improvvisamente risospinto al suo stato atavico, che è simile a quello degli animali. A questa condizione, che, paragonata a quella umana, è virtualmente un sonno, egli deve essere strappato.»

Eravamo seduti con la schiena appoggiata al pendio, messi in modo da poter meglio osservare la Luna, che ora era quasi allo zenit. Dalla baia salivano attutiti i tonfi delle onde dell'Atlantico che si in-frangevano sul litorale di Pink Gin Bay. Più lontano, là dove si anni-dava il porto di St George, brillavano le luci di case e ristoranti. C'era una gràvide pace e capivo perché Mark si fosse rifugiato qui.

Mark infilò la mano in tasca e mi porse una busta piegata in due.«Questo piccalo dono è più personale delle cose che ti ho lasciato nel

\mio testamento: è il mio oroscopo, che sono certo ti interesserà. La busta è chiusa e vorrei che l'aprissi soltanto dopo la mia morte.»

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Mormorai un ringraziamento, ma fui pervaso da un'ondata di tristezza. Era la prima volta che Mark parlava in modo così esplicito della sua scomparsa. Sapevo che non esiste la morte nel senso convenzionale del termine, ma sapevo anche che nessuno desidera separarsi dagli amici, neppure chi sa che torneranno in una vita fu-tura.

Mark aveva lo sguardo rivolto verso il mare, forse per non incro-ciare il mio, o forse perché sognava l'Europa al di là dell'Oceano, l'a-mata Europa, in cui aveva studiato con tanta profondità e tanto im-pegno. «L'oroscopo ti fornirà la risposta a una domanda che non mi hai mai fatto.»

«Quale?»«La mia età.»Sorrideva.«Ho sempre pensato che avessi appena qualche anno più di me.»«Vedrai che non è così. Mi sarebbe piaciuto lasciarti con la tua il-

lusione, ma la carta natale che ti ho dato ti aiuterà a capire alcuni dettagli della mia biografia che ti serviranno per il nostro famoso libro. Ascolta le onde, David. Se mediti come si deve, puoi sentire il tuo sangue che pulsa con lo stesso ritmo del frangersi del mare.»

In quell'irreale chiarore lunare avevo la sensazione di essere in un mondo di ombre. Mark sembrava un fantasma. Soltanto lo sciabordio delle acque sul litorale sotto di noi, e il ruggito delle onde che si schiantavano contro le rocce più avanti parevano reali. La voce di Mark Hedsel, morbida e sicura, sembrava provenire dall'oceano, anziché dall'uomo spettrale che mi stava accanto.

A un tratto si sollevò su un gomito e disse: «Dobbiamo parlare».«Del libro?»«No, non delle note. Posso offrirti tre domande?» disse, allungan-

dosi verso di me. «Ormai sei abbastanza saggio da sapere cosa chie-dere a un Matto.»

«Tre domande?» gli feci stupidamente eco. Mark non mi aveva mai parlato in quel modo, non si era mai, fino ad allora, presentato nel ruolo di maestro.

«Né una di più, né una di meno.»«Subito?»Mi scrutò nell'oscurità, ed era come se nei suoi occhi si fosse rac-

colta tutta la luce delle stelle in cielo. «Non dimenticare mai che il Matto progredisce soltanto attraverso le domande che pone.»

Ripensando a quello strano interludio, mi accorgo di essere stato preso dal panico. Nei mesi durante i quali avevo lavorato con Mark Hedsel avevo accumulato dentro di me molte domande: sul santuario che sta dentro l'uomo e il cosmo, sul significato della vita, sulla struttura dell'universo e i segreti dell'incamazione dell'anima, su ta-

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lune parole tramandate nella letteratura ermetica e fraintese dagli studiosi moderni, sul rapporto fra Cristo e il karma, sulle regole di condotta richieste ai neofiti, e persino sui livelli iniziatici più alti, cu-riosità che, sospettavo, nessun adepto avrebbe avuto il permesso di soddisfare. E ora che ero messo alla prova, il coraggio mi veniva me-no: riuscii soltanto a chiedere, o piuttosto mi sfuggì di bocca, una domanda che mi ronzava da tempo in testa. Anche il povero pesca-tore, quando prese nella sua rete la bottiglia verde e vide i piccoli ge-ni che invocavano di essere liberati, fu colto così alla sprovvista che non riuscì a esprimere i tre desideri concessigli.

«Perché al Matto dei tarocchi viene assegnato il numero zero?»Mark mi aveva più volte spiegato che spesso i maestri Replicano a

una domanda come se rispondessero a chi l'ha formulata piuttosto che alla questione posta. In quell'occasione ne ebbi la riprova.

«Alla fine sono diventato davvero un maestro, David. Questo lo sappiamo entrambi. Ma non sono un guru. Un maestro può indicare la Via, ma non mostrarla. Le Vie sono due - quella che sale e quella che scende - e della prima fa parte anche la Via del Matto. Lo zero segna l'intersezione fra la Via che sale e quella che scende. Una ruota in movimento deve per forza avere al centro un punto fermo: è il punto immobile di cui parla la letteratura ermetica. Perfino una scala che vada dal paradiso all'inferno deve avere un punto in cui non c'è né alto né basso: l'aveva, con il consueto genio, intuito Dante, che nell'inferno, parlando della sua esperienza al centro della Terra, rac-conta come l'ascesa improvvisamente si fosse trasformata in disce-sa.9 Potrebbe essere questo il punto zero.

«Naturalmente ci sono altre ragioni per cui al Matto viene asse-gnato questo numero. Alcune le conosci già, perché ne abbiamo par-lato insieme. Ora, per mantenere la promessa, potrei riprendere il discorso.»

Intrecciò le mani intorno alle ginocchia e guardò verso il mare. «Perché mai uno dovrebbe desiderare di seguire la Via del Matto? Non è un ruolo semplice da sostenere: è così facile fraintendere e deridere un ÌVlatto. A un osservatore distratto - e così sono i più - la sua non sembra nemmeno una Via. Non comunque nel senso antico di Via Sacra, o iniziatica, come l'antica strada isiaca di Hermes, la

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Via del Monaco, con tutto il suo fasto segreto di vesti, pettorali con croci e altri simboli, dietro la cui facciata si nascondeva un'austera serietà.10 Eppure questa Via esiste, benché la seguano soltanto uomini e donne che si sforzano di trovare un'identità spirituale priva di orpelli esteriori, per se stessi.

«Il Matto sulla Via è sensibile ai simboli. Lo è a tal punto che se non sta all'erta, se non è abbastanza progredito, tutto gli sembra simbolo. Considera attentamente questo tuo zero. È quasi un cerchio, un emblema dello spirito. Noi esseri umani, con la nostra pigrizia mentale, siamo abituati a pensare che lo zero sia un cerchio vuoto. Ma un cerchio è soltanto una forma che circoscrive il tutto. Quando tu, tracciando uno zero, disegni il nulla, disegni per difetto tutto ciò che sta fuori. Nello zero sono celati segreti che è difficile tradurre in parole. Perché i guru indiani esprimono l'eterico, che essi chiamano akyasha, con un cerchio?11 Perché gli esoteristi ebraici insistono a dire che alla lettera aperta aleph deve essere assegnato lo zero con la sua forma chiusa?

«E dunque, se tutto è simbolo, lo è anche il cerchio in cui siamo seduti, questo luogo e questo tempo. Non può essere un caso se sia-mo seduti qui mentre si verifica un'eclisse.»

Avevo quasi dimenticato l'eclisse. Alzai lo sguardo e vidi che l'ombra della Terra aveva ritagliato un arco sulla superficie della Luna. Mark proseguì.

«In questa eclisse la mia mente individua un significato che è di-verso da quello che tu percepisci, ma comunque la si definisca, un'e-clisse è un incontro di cerchi, cerchi che sono degli zeri. Guarda come l'ombra dell'orlo della Terra taglia la Luna, riducendola a una falce. Fra qualche minuto anche questa falce scomparirà e la Luna diventerà uno zero nero - un niente. Poi il ciclo riprenderà, immettendo nella Luna una nuova linfa di luce. Ben presto essa diventerà un grande zero lucente, su nei cieli. E un gioco di prestigio su scala cosmica, che si replica poche volte nel corso di una vita.

«Che sia questa una delle ragioni per cui al Matto dei tarocchi viene assegnato questo strano numero? Lo zero è un numero curioso: qualsiasi esoterista ti dirà che il nulla non esiste. Neppure il Matto, neppure la Luna eclissata, sono niente, perché dietro l'apparenza c'è sempre lo spirito. Un tempo gli scienziati dicevano che la natura aborre il vuoto: dal punto di vista scientifico la loro affermazione può essere vera o falsa, ma dal punto di vista spirituale è certamente vera. Non esiste il vuoto: l'intero cosmo cospira contro il nulla. Dio colma ogni cosa: che sia questo il segreto dello zero?»

Lo ringraziai con un cenno del capo. Parole come quelle andavano accolte in silenzio. Ne approfittai per pensare alla seconda domanda: neppure questa mi sembrava più saggia della prima. Era sicuramente

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una domanda onesta, ma mi pareva anch'essa stranamente scialba e modesta, per uno, come me, che aveva la possibilità di chiedere qual-siasi cosa volesse.

«E possibile dare qualche consiglio pratico a chi voglia studiare e seguire la Via del Matto?»

«Certo» rispose senza esitare Mark. «La parola chiave, qualunque sia la via prescelta, è l'impegno. Non dimenticare mai che quando ti impegni in un'azione, l'intero cosmo concorre ad aiutarti.

«Era la consapevolezza di questa verità che spingeva gli antichi a celebrare riti prima di buttarsi in un'impresa: era il loro modo per segnalare con chiarezza le proprie intenzioni agli esseri spirituali. Allora tutti sapevano che il voto è una cosa sacra, che deve essere preceduto dalla preghiera agli dei. Forse è ancora necessaria la pre-ghiera per rendere chiaro il proprio intento, ma il cosmo* riconosce comunque l'impegno, che è già una forma di preghiera. Se ti impe-gnerai, scoprirai che gli angeli sono schierati al tuo fianco.

«E dunque assumi un impegno. Non lo dimenticare. Rispettalo. E se scegli la Via del Matto, non temere di apparire folle agli occhi del mondo, perché, se non ti allontanerai troppo dall'antica strada, agli occhi di Dio resterai sempre l'amato Matto. La Via del Matto è una via morale. È a questo, credo, che si riferisce Ermete Trismegisto, quando afferma che un uomo sulla Via dovrebbe diventare più elevato di tutte le montagne e più profondo di tutti gli abissi, perché non c'è metro che possa misurare l'eticità. Le ultime parole che su questo argomento egli rivolge al suo discepolo, Tat, sono ancora più enigmatiche. Se vuoi diventare simile a Dio, dice Trismegisto, devi essere contemporaneamente in ogni luogo, essere ancora non conce-pito e già morto.12

«Ho meditato molto a lungo su queste parole e posso soltanto dire che non le comprendo interamente. Forse il significato è che è im-possibile essere simili a Dio. E tuttavia, quello di Ermete non è un in-vito mistico a dimenticare il mondo: l'esoterista è addestrato ad averlo sempre ben presente, perché il mondo è la sua fucina. Per la gnosis egli è disposto anche ad ardere vivo, a togliere a uno a uno i veli che avvolgono i misteri del mondo, e lui stesso. No, credo che Ermete alluda a un livello di evoluzione superiore persino ai gradi iniziatici più alti: all'Alethophilote e forse anche all'Eques.13 Perché se è indubbiamente vero che Dio è al di fuori dello spazio e del tempo, è anche vero che soltanto i livelli più alti dell'essere sono di tale natura. Mi riferisco ai Buddha e ai Boddhisatva della saggezza orientale e ai profeti della saggezza occidentale.»

«Ma così Dio sembra inaccessibile» dissi, esprimendo un'obiezione che covavo da tempo dentro di me nei confronti di molti riti cristiani.

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«Non devi mai pensare che Dio sia inaccessibile, perché un pen-siero del genere si trasformerà in una palla di piombo che renderà ancora più pesanti le tue catene naturali. C'è un sermone medievale sull'uomo che va verso Dio: il movimento non è a senso unico. Per ogni vacillante passo che l'uomo compie, Dio, nella sua immobilità, gli si avvicina d'un balzo di cento passi.»

Rimase pensoso per qualche istante. «Conosci l'antico adagio se-condo cui quando l'allievo è pronto per il maestro, il maestro arriva?»

Annuii.«Come tante altre, queste parole sagge furono pronunciate da Er-

mete tanto tempo fa. Parlando di quella che egli chiamò la Via diritta, o la Via antica, Ermete disse: "Non appena vi avrai messo piede, la troverai ovunque. La vedrai quando te l'aspetti e quando non te l'aspetti. La vedrai nella veglia e nel sonno, per mare o per terra, di giorno come di notte, con identica chiarezza, sia quando parli sia quando taci". A me pare, David, che questo sia possibile soltanto perché Dio è in ogni luogo ed è sia l'amante che l'amato.»14

Tacque e lasciò che le parole si depositassero dentro di noi. Guar-davamo la Luna, che ora era coperta a metà.

«Ma temo che tutto questo ti sembri molto lontano da quello che mi hai chiesto. Concludendo: è possibile dare consigli pratici a chi intraprende la Via del Matto? Ti aspettavi dei precetti?»

«Sì.» Volevo una lezione sulle regole per rendere più facile il cam-mino.

«Ricordati del clown Feste... "Quest'uomo è saggio assai per fare il matto,/e a farlo non ci vuole poco spirito."15

«In realtà, l'intelligenza non basta. Il Matto deve avere un codice morale, o almeno una disciplina che lo indirizzi. In questo hai ragione: occorre una disciplina, altrimenti il nano brama cose che non può avere.»

Sorrise di nuovo. «Ma tu vuoi delle regole. Naturalmente ci sono diagrammi... sigilli...»

Improvvisamente tutte le tessere del mosaico cominciarono a in-castrarsi. Se la Via del Matto era epoptica, era ovvio che ci fossero dei disegni. Possibile che fossi giunto sulla soglia, che fossi sul punto di

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conoscere quegli «scritti e diagrammi segreti» cui accennavano continuamente nei loro scritti i Rosacroce, cui ricorrevano in tanti per dissimulare il loro pensiero ai non iniziati?16

«I diagrammi di cui parlo sono in realtà sigilli per la meditazione, accompagnati da brevi precetti. La magia sta nei disegni, più che nelle parole. Essi vogliono essere epoptici, una sorta di Libro muto. Non sono miei, ma te li mostrerò. Non posso farlo ora, perché ci vuole luce: te li disegnerò quando torniamo in albergo. Sono per la meditazione e sarebbe un errore cercare di spiegarli.»17

Annuii. Non ero più certo che ci fosse posto per un'altra domanda. Forse Mark intuì l'ombra del dubbio nei miei occhi, perché mormorò: «E il terzo quesito?».

Una babele di interrogativi mi si affollò alla mente. Avrebbe potuto essere la mia ultima richiesta formale a Mark, ma non riuscivo a concepirne una degna di tanto onore. Dal nulla emerse dentro di me una frase, di cui non ricordavo più la provenienza: «Le risposte più illuminanti sono quelle a domande che non riguardano l'interrogante». Era vero. Decisi di chiedere a Mark qualcosa che lo riguardava. Il suo libro era quasi concluso. Volevo sapere se ne era soddisfatto.

Rise di nuovo prima di parlare. «Alla fine, tutto quello che ci resta in mano, David, sono poche note di una musica quasi interamente svanita, qualche schizzo a matita sul corso di una catarsi. Se mi chiedi se sono contento della catarsi che gli ultimi due anni mi hanno offerto, allora la mia risposta è sì. Fa sempre bene sentirsi ricordare quanto poco sappiamo. Ma per tornare al libro, devo dire che ci è stato donato in un momento strano.»

«Il Kali yuga?» chiesi, e quasi subito mi pentii. Eravamo nel Kali yuga, nell'età buia, secondo l'antico sistema orientale di divisione delle epoche del mondo. Era in assoluto il periodo più difficile.

«Non era a questo che pensavo, ma anche il Kali yuga va bene. E un periodo strano. Conosci quello splendido passo del classico in-diano... Non ricordo il punto preciso, ora... che riferisce la domanda posta a Veda Vyasa sulla natura dello sviluppo spirituale nelle varie epoche...?»

Annuii.«Veda Vyasa chiamò la nostra la perversa età di Kali, ma fu

magnanimo: la interpretò come il tempo della prova e affermò che era l'epoca migliore per lo sviluppo spirituale.»18

Mark tacque per un poco, quasi fosse incerto se proseguire. Poi ri-prese. «Il Kali yuga forse non ci era favorevole, e il tempo non è stato certamente d^lla nostra parte, perché nel mio caso è stato limitato.L'ho valutato male. Non ho scritto tutte le cose che avrei voluto dire: contrariamente a quello che immagini, il libro è ben lontano dall'es-sere finito.

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L'iniziato

340

«Il suo punto debole sta nel fatto che è una spiegazione, e per di più una spiegazione di un'arte che è la più complessa di tutte. Credo che trattando un argomento eterico come l'iniziazione, soltanto quando si irrompe nel mondo fantastico della poesia si riesce a co-municare qualcosa di valido. L'iniziazione è un'arte, un'impresa spirituale che può durare un'intera vita e confluire nelle vite succes-sive, e io non sono più convinto che se ne possa scrivere con intelli-genza. Forse avrei fatto bene a limitarmi a citare passi della lettera-tura ermetica - che è poesia - e lasciare ai lettori la libertà di leggerne i sette livelli di significato. Tutto il resto è un gioco di ombre con i pupazzi di maya.

«Quando ho cominciato a lavorare non ignoravo questi problemi, ma ho valutato male il tempo. Se qualcuno si prenderà la briga di leggere il libro, penserà che i misteri si possono spiegare e che l'ini-ziazione è fatta soltanto di parole, il che non è vero.»

«Se non altro ci hai provato.» Le mie parole suonavano banali dopo il suo discorso appassionato. Ma fu tutto quello che riuscii a dire.

«Provato. Sì. E tuttavia, che cosa abbiamo provato a fare, noi due? Abbiamo provato a spiegare con le parole i misteri più alti. Forse lo si potrebbe fare con la poesia - soprattutto se fosse accompagnata dalla danza e dalla musica, come nelle sacre rappresentazioni medievali - ma noi ci siamo affidati soltanto alle parole.

«Quando ho deciso di chiederti di aiutarmi a scrivere questo libro, ho giocherellato con i titoli. Pensavo che avremmo potuto chiamarlo Autobiografia di un Matto. Ma poi mi sono detto che nessuno avrebbe letto un libro intitolato così, perché tutti sappiamo, dentro di noi, di essere Matti. Naturalmente è una conoscenza che teniamo segreta, che nascondiamo dietro maschere e costumi più o meno sofisticati. Pochi osano guardare da vicino l'immagine interiore del Matto, perché c'è il rischio di scoprire di essere pazzi davvero. Se avessi scelto un titolo più onesto, avrei dovuto ricorrere a II libro dell'idiota, tornando al nome che mi aveva con tanta perspicacia assegnato il mio maestro di Parigi. Benché nel profondo del cuore molti sappiano di essere Matti, pochi sospettano di essere anche Idioti - soprattutto perché non sanno che cosa sia in realtà un Idiota e quanto sia sacra questa parola.»

Sembrava che avesse concluso il suo monologo, ma poi aggiunse: «A chi dimora nel corpo è concessa un'unica illuminazione completa.In quel meraviglioso momento di visione interiore, iniziatica, ci si ac-corge che la vita stessa è arte: è l'arte degli dei. L'arte dell'uomo non è che un riflesso della loro esuberanza creativa. L'iniziazione è l'arte suprema, praticata più o meno imperfettamente dagli uomini.»

La Luna in cielo era ormai soltanto una sottile striscia argentata.

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Ultime parole

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«E perciò, amico mio, non ci restano che le parole: esse sono la cosa in cui crediamo così ciecamente e in cui inciampiamo così facilmente. Ma dimentichiamo sempre che per comprenderle davvero ci vuole silenzio: bisogna allontanare da sé il suono della voce e ascoltare la quiete dietro il suono, sintonizzandosi con l'anima che parla. Non è insensato misticismo, questo, è realismo: se ascolti il suono, non capirai. Il senso è dietro il suono. Forse è questo il segreto dello zero.

«E comunque, l'eclisse è ormai completa, e offre una risposta alla tua domanda sullo zero. Attraverso l'ombra della Terra guardiamo in quello che pare essere il nulla: in realtà è il luogo in cui danzano gli angeli.»

i

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Appendice7 dodici sigilli di meditazione

I dodici sigilli che Mark mi ha consegnato si presentano come disegni vestigiali, ricollegabili in parte al curioso Libro di Dzyan su cui Madame Blavatsky costruì il suo The Secret Doctrine e in parte a taluni sigilli alchemici del XVI-XVII secolo.

Essi ricordano i semplici, ma profondamente pregnanti, sigilli al-chemici della settecentesca Aurea Catena Homeri, comprendente do-dici simboli, che vanno da Chaos confusum a Quintessentia Universa- lis. Secondo alcuni interpreti, VAurea Catena Homeri fu suggerita dalle parole iniziali dell'ottavo libro dell'Iliade, ma in realtà anch'es- sa si basa sulla dottrina della «Grande catena dell'essere», sospesa fra Cielo e Terra. Quei disegni della Catena furono probabilmente tracciati da un alchimista e Rosacroce, e benché vi si riscontrino echi della Grande catena dell'essere non paiono modellati su alcun prototipo antico.

Le immagini di Mark Hedsel non sono disposte in una singola catena discendente, bensì suddivise in tre gruppi. I cerchi di ciascuno dei tre gruppi, ha detto Mark, si possono distaccare mentalmente dal disegno e ricollegare con uno qualsiasi degli altri: essi formano una sorta di macchina filosofica. I dodici sigilli qui di seguito riprodotti sono una copia il più fedele possibile di quelli contenuti nel manoscritto di Mark. Ogni immagine meriterebbe un lungo commento, ma fossi anche in grado di farlo, non dirò altro, restando fedele alla mia promessa.

Mark ha ribadito più volte che per comprendere appieno il significato di ciascun sigillo occorre visualizzarlo isolatamente e in moto circolare intorno a un centro immaginario. Ha insistito inoltre che i dodici sigilli devono essere visualizzati come una sequenza circolare, senza principio né fine, forse per indicare che oltre a costituireuna macchina filosofica, essi sono anche ausili per la meditazione. A ogni sigillo si accompagna un verso gnomico, che riporto senza commenti, a eccezione di due note, una su un termine arcano e l'altra su un riferimento alla Vergine, tratto della letteratura ermetica.Ciò che il Matto esala, il Matto inala.Matto non ha un femminile.

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Nelle Discese,* il sesso del Matto si alterna.Il dentro lotta per diventare il fuori.Nel mondo quaggiù gli altri sono riflessi del sé. Vedendo gli altri come sé, l'anima cerca di emendarsi. Di nuovo in equilibrio, il Matto discende.Nuovi pensieri diventano azioni compiute.Quaggiù tutto è immagine e i nomi muoiono.La Vergine† nell'occhio del Matto non muore.Le Acque Vergini generano la propria luce.Senza separazione non c'è illuminazione.

* Fra una vita e 1 altra: espressione tratta dalla letteratura ermetica che descrive le discese e ascese attraverso le sfere planetarie,† La Vergine nell'occhio è un riferimento alla kore greca, che oltre a significare «pupilla dell'occhio» significa anche «vergine».

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Prologo

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1 La mostra fu inaugurata il 25 ottobre 1955. Il catalogo è riprodotto in A.R. Naylor, From thè Inferno to Zos: The Writings and Images of Austin Osman Spare, Seattle, First Impressions, 1993, voi. I. Presumibilmente Spare sqelse la data per il suo significato astrologico: quel giorno Giove e Plutone erano congiunti nell'arco dell'Astrologo e qualche ora più tardi la Luna, che era in Acquario, venne a trovarsi in opposizione ai due pianeti nello stesso arco. Frank Letchford, amico intimo di Spare, ricorda che, per sapere quante tele avrebbe venduto, il pittore ricorse anche a un suo sistema, di cui si serviva per prevedere i risultati delle «corse dei cavalli». Uscirono i numeri duecento e quarantaquattro e Spare fece salti di gioia all'idea di vendere duecento quadri in una sola volta. Ne vendette quarantaquattro. Vedi F.W. Letchford, From thè Inferno to Zos. Voi. III. Michelangeloin a Teacup: Austin Osman Spare, 1995, p. 285.

2 La dottoressa Morris, un'australiana anticonvenzionale, fu una delle prime seguaci di Rudolf Steiner e aveva un profondo interesse per il pensiero esoterico. Amici che l'hanno conosciuta mi hanno rivelato che chiedeva soltanto il venti-cinque per cento sulle vendite dei quadri, contro il trentacinque per cento che era la norma. Nonostante la fama che le viene attribuita nel necrologio, morì in povertà. Nata nel 1880, Ethel Ida Remfrey sposò il reverendo Morris nel 1905. Si laureò in Medicina e lavorò per qualche tempo come internista al Lady Laming- ton Hospital di Brisbane. Nel 1924 cominciò a occuparsi di bambini handicappati, applicando i metodi terapeutici, basati sull'espressione artistica, teorizzati da Rudolf Steiner. Faceva parte del circolo antroposofico: nel registro della Steiner House Library c'è una nota patetica, che testimonia come Ethel Morris conti-nuasse a essere iscritta pur non potendo pagare la quota prevista. Anche Ethel Morris, come Spare, sfuggì per miracolo alle incursioni aeree naziste. Una bomba centrò il suo studio a St Mary Abbots Terrace: due amici, che le stavano accanto, persero la vita, mentre lei rimase a lungo sepolta sotto le macerie. Anche l'Archer Gallery fu danneggiata dai bombardamenti: una bomba ne infranse le vetrine. La Morris le rappezzò con un telo cerato e si stabilì nella galleria, al freddo, per proteggere i quadri, e danneggiando così irrimediabilmente i suoi polmoni. Morì il 7 novembre 1957. Il «Times», nel suo necrologio dell'8 novembre, la descrisse corr\e un personaggio famoso.

3 Nel 1954 Spare confidò a Frank Letchford che gli restavano soltanto due an-ni di vita: visse altri sedici mesi, prima di spirare all'1.50 del 15 maggio 1956. Ve -di F.W. Letchford, From thè Inferno to Zos. Voi. III..., cit.

4 Lo studio di Spare venne distrutto il 10 maggio 1941. L'anno seguente egli ne aprì un altro ad Aldgate, in Leyden Street, e andò a vivere a Brixton, al nume-ro 5 di Winnie Road.

5 Quando gli fu proposto di dipingere un ritratto del Führer, Spare come unica risposta inviò attraverso l'ambasciata tedesca un disegno a matita che era un ibrido fra i suoi lineamenti e quelli di Hitler. Una copia della lettera di accompa-gnamento, conservata da Hannen Swaffer, è riportata in F.W. Letchford, From thè Inferno to Zos. Vol. III..., cit. p. 253. Vedi anche W. Wallace, The Later Work of Austin Osman Spare - 1917-1956, 1989, n. 10, p. 16. La distruzione dello studio di Spare con tutte le sue opere durante il bombardamento di Londra del 10 maggio 1941 fu forse la risposta magica e definitiva di Hitler? Se così fosse, Hitler sarebbe stato comunque soltanto un agente, perché la distruzione era prevista con estrema chiarezza nell'oroscopo di Austin Osman Spare. Il giorno del bombardamento i cinque pianeti progressi - il Sole, la Luna, Mercurio, Venere e Marte - erano congiunti in Pesci, nella quinta casa, il Sole era in quadratura con Plutone, la Gamia con Nettuno, con Saturno e Urano in quadratura. Il 1941 segnò per Spare un ritorno lunare alla radicalità: quel giorno la Luna era appena uscita dalla congiunzione con il suo radicale e muoveva verso la congiunzione con Venere progressa. Il significato non poteva

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Note

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essere più chiaro.11 vero miracolo fu che Spare non morì - prestava servizio di guardia davanti

a casa - pur restando gravemente ferito a un braccio, colpito dai frammenti di al-tre bombe.

6 La parola Spar o spare deriva dall'inglese antico sperran, che significa «colpire o combattere con un'arma», ed è legato all'antico norvegese sperrask, «scalciare». Pur essendo molto giovane al momento della visita alla Archer Gallery, conoscevo l'impiego semiarcaico della parola: mio nonno (del tutto ignaro di usare un termine antico) diceva spesso che l'avrei fatto diventare spare, intendendo con questo dire che il mio comportamento lo rendeva furioso, come un antico guerriero nordico quando entrava in combattimento. E in effetti era proprio la mobilità di un selvaggio guerriero che avevo colto nel viso di Spare. Di questi significati del suo nome Spare era perfettamente consapevole, tant'è vero che in una sorta di nota d'addio egli giocò sulla parola spare, scrivendo: Ifl come again, 1 will not Spare («Se tornerò non risparmierò»). Vedi F.W. Letchford, From thè Inferno to Zos. Voi. III..., cit., p. 360.

Quella che si ritiene sia l'ultima fotografia di Spare gli fu scattata nella sua ca-sa di Brixton circa tre settimane prima della morte. Il volto rivela una mobilità straordinaria: da qualunque angolazione lo si guardi, sembra sempre non ap-partenere al resto del corpo. È la stessa caratteristica che si riscontra nelle sue opere più riuscite, per esempio in un suo disegno riprodotto da W. Wallace in The Later Work of Austin Osman Spare..., cit., volume in cui compare anche una fotografia del quadro di Spare, Metamorphosis-Fish Becoming Men («Metamorfosi- Pesci che diventano uomini»). Guardando questo dipinto si ha l'impressione che l'occhio non riesca a fermarsi, che sia perennemente trascinato altrove dalla dinamica interna, a spirale, della composizione. Oggi, al di fuori dei circoli specialistici, pochi conoscono Spare e anche quei pochi lo ricordano come una sorta di stregone e come lo stretto collaboratore di Aleister Crowley; il che corrisponde a verità solo parzialmente. Spare sosteneva infatti di essere stato iniziato alla stregoneria da Mrs Paterson, che si diceva fosse una discendente di una strega di Salem. Personalmente non credo né l'una né l'altra cosa: prima di tutto, perché dubitiamo che a Salem si praticasse la stregoneria, inoltre ritengo che l'iniziazione di Spare avesse invece a che vedere con Aleister Crowley. Quest”ultima ipotesi è confermata da Kenneth Grant nella sua presentazione al catalogo della mostra alla Archer Gallery, che mi apri gli occhi sul fatto che il pittore fosse un iniziato. Naturalmente se fossi stato più avanzato sulla Via, l'avrei capito dalle sue opere, ma a quel tempo ero troppo giovane per porre la domanda più ovvia: un iniziato a quale mistero? Kenneth Grant aveva perfettamente ragione: la mostra apriva uno squarcio su misteri imperscrutabili. Una cosa, comunque, è certa: Spare fu iniziato all'Ordo Templi Orientis da Aleister Crowley.

7 D. Bardens, Mysterious Worlds, London-New York, W.H. Alien, 1970. Vedi anche C. Harper, Revised Notes Tmoards a Bibliography of Austin Osman Spare, 1996, p. 28.

8 Dal suo aspetto nessuno avrebbe allora sospettato che in gioventù Spare fosse stato una sorta di dandy.

9 Su questo occultista dai modi urbani, raffinato e sofisticato, vedi 1. Cooper- Oakley, The Comte de St Germain. The Secret of Kings, 1912.

10 La più anziana delle due è una nota viaggiatrice e romanziera. La più gio-vane è una pittrice, e l'ho incontrata per la prima volta alla straordinaria mostra, tenuta alla Batley Art Gallery nel 1952, di cui fu sapiente curatore Gelsthorpe. Fu questa artista ad affidarmi il pastello di Spare.

11 II titolo Sangue sulla Luna mi lasciò a lungo perplesso, finché un giorno non mi imbattei in una citazione tratta della Vita di Domiziano di Svetonio e improvvisamente capii. 11 giorno prima di morire assassinato, l'imperatore

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L'iniziato

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Domiziano aveva dichiarato con accenti profetici: «Ci sarà sangue sulla Luna quando entrerà nell'Acquario e si compirà un evento di cui parlerà tutto il mondo». 11 giorno seguente, quando morì, la Luna era in Acquario... Credo che a Spare il destino di Domiziano fosse del tutto indifferente, ma per puro caso, quel caso che è la maschera con cui si traveste il cosmo, la Luna era davvero in Acquario quando alla Archer Gallery si inaugurò la mostra che includeva il quadro Sangue sulla Luna. Ad attirare Spare, che in tutte le cose cercava sempre le profondità nascoste, fu più probabilmente il fatto che la citazione gettava luce sull'«Era dell'Acquario», così spesso fraintesa. La stampa aveva diffuso l'idea - già ampiamente nota nei circoli esoterici di metà XX secolo - che l'Era dell'Acquario sarebbe stata un'epoca di libertà, di nuova comunicazione e di sviluppo spirituale. Gli eso- teristi, che invece sapevano come questo segno fosse dominato da Urano, erano consapevoli che, almeno al suo esordio, la nuova era sarebbe stata caratterizzata da violenza e da grandi sommovimenti e disordini. Spare aveva capito che, anziché inaugurare un'epoca di pace e buona volontà fra gli uomini, l'Acquario avrebbe portato il sangue di Urano sulla Luna. Se questa interpretazione è corretta, allora l'evento che «si compirà di cui parlerà tutto il mondo» non sarà l'assassinio di un imperatore terreno, bensì la Resurrezione del Figlio di Dio mandato a morte. La natura duale di Cristo e il regno duale dell'Acquario (con l'antico Giove e il moderno Urano) sono espressi con grande efficacia dall'inquietante duplicità del lavoro di Spare, in cui è raffigurato un ermafrodito a due teste che danza in allineamento sacrale.

12 II libraio John Watkins fu uno dei quattro fondatori della loggia Ananda, che faceva parte della sezione esoterica della Società Teosofica.

13 II suo vero nome era Michael Houghton, ma firmò con lo pseudonimo Mi-chael Juste la sua biografia occulta The White Brother (s.d.) e le sue poesie, fra cui Many Brightnesses e l'antimilitarista Shoot-And Be Damned del 1935. Era un personaggio rispettato nel mondo arcano di Londra e diresse per trent'anni la libreria Atlantis al 49 di Museum Street. Morì nel giugno del 1961.

54 Lo schizzo da me fatto guardando dalla casa di Christopher Wren (figura 2) viene qui riprodotto soltanto per dimostrare come la mia attrazione per certi quartieri di Londra mi avesse portato vicino a Spare, pur non avendogli mai parlato. Nella sua affascinante biografia di Spare, Letchford racconta di una pas-seggiata che egli fece con il pittore fino a Cardinal Cap Alley, una via adiacente alla casa di Wren. Pare che Spare accarezzasse l'idea di andare ad abitare in quel quartiere, di cui conosceva molto bene la storia. Anch'io, benché molto giovane allora, esplorai i luoghi sventrati dalle bombe nei pressi di Bankside, «The An- chor», e le strade intorno al vecchio «Clink and Deadman's Place», assorbendo la storia di quei luoghi che allora si percepiva ancora: la ricostruzione successiva sembra aver cancellato tutto, eccetto i loro nomi. L'atmosfera, di cui facevano parte i vecchi bordelli, i morti per la peste, la vista della cattedrale di St Paul e delle orde di gatti che Spare nutriva, aleggiava ancora nell'aria. Poi è scomparsa e con essa se n'è andata una parte della Londra viva. Vedi F.W. Letchford, From thè Inferno to Zos. Voi. III..., cit., p. 243.

15 Era la verità. Nel 1949, per esempio, Spare espose i suoi quadri al Tempie Bar di Walworth Road, perché, come scrisse il pittore nella sua Apologia allegata al catalogo, «non costa niente entrare in un locale pubblico». Si ha però il sospetto che Spare puntasse ai pub non per spirito democratico, ma perché non riusciva più a trovare un mercante o una galleria disposti a esporre le sue opere. Un'altra mostra la fece nel 1952 alla Mansion House Tavem di Kensington Park Road, SEll. Viene fatto di chiedersi quanto capissero i clienti più o meno abituali di quei locali delle note al catalogo scritte da Spare. In una di queste egli parlava «della resa disinibita di certi livelli e valori inerenti, espressi di solito attraverso una deliberata matrice di convenzioni etiche: probabilmente ogni

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Note

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espressione deliberata è una corruzione arbitraria o una reificazione del nostro Id...». Una rassegna delle varie mostre di Spare si trova in A.R. Naylor, From lite Inferno to Zos: The Writings and Irnages of Austin Osman Spare, cit.

16 Cornelio Agrippa (1486-1535), John Dee (1527-1608), John Gitchel (1638- 1710) e Franz Mercurius Van Helmont (1618-1699) furono tutti influenti Rosacro-ce. Dee e Van Helmont svolsero un ruolo importante nello sviluppo della storia britannica: Dee alla corte di Elisabetta I (Vedi F.A. Yates, The Rosicrucian Enligh- tenment, 1972; trad. it. L'illuminismo dei Rosa-Croce, Torino, Einaudi, 1976) e Van Helmont nella scuola rosacrociana di Ragley Hall, nello Warwickshire (P.M. Alien, A Christian Rosenkreutz Anthology, Biauvelt, New York, Rudolf Steiner Publi- cations, 1968).

17 L'illustrazione di Artzybasheff è riprodotta in Alfred Kreymborg, Funnybo- ne Alley, New York, The Macaulay Company, 1927, p. 95. La figura femminile, nuda nel cielo blu notte, ha una grande mezzaluna sulla fronte. Nella mano de-stra ha una stella a cinque punte, che è lo sba, il geroglifico sacro degli egizi e forse il simbolo arcano più spesso ricorrente. Le gocce di sangue colate casualmente su una pagina hanno anch'esse un signicato? Chi può dirlo? Dalla mezzaluna

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L'iniziatoil rivoletto rosso era scorso sulla stella e poi giù giù lungo il ventre della donna, come se a guidarlo fosse qualche burlone cosmico di talento. Nessun artista da-daista, neppure Marcel Duchamp nella sua costruzione di quell'«epica mistico- meccanica» che è la sua Mariée mise n nu par ses célibatnires, méme (le cui scoperte Spare aveva già esplorato in precedenza), avrebbe potuto «accidentalmente disporre» meglio le cose. Molti anni dopo, in ricordo del mio primo incontro con Mark, ho acquistato una copia di Funmjbone Alley, firmata da Artzybasheff in persona. Sotto la sua firma l'artista, ironia della'sorte, aveva disegnato un gatto, la creatura lunare archetipica.

18 Quel giorno Mercurio era in congiunzione esatta con Saturno, entrambi in quadratura con Plutone in Leone, e già questo sarebbe stato un motivo sufficiente per spingerli a cercare un significato cosmico nell'evento. Conversazioni successive mi hanno tuttavia persuaso che l'interpretazione di Michael e Mark era di natura interamente alchemica: nelle corrispondenze arcane che governano il pensiero occulto, il sangue è dominato dal Sole.

19 A quell'epoca sapevo dell'esistenza del movimento occulto di G.l. Gurdjieff per aver letto P.D. Oupspensky, In Search of the Miraculous, 1949.

20 L'interessante autobiografia incompiuta di Alice Bailey, intitolata Unfini-shed Autobiography, era stata pubblicata appena quattro anni prima, nel 1951. In essa l'autrice racconta nei dettagli la sua comunicazione telepatita con il maestro tibetano che aveva ispirato i suoi libri più importanti.

21 L'edizione Evans-Wentz di The Tibetan Book of the Great Liberation-, trad. it. Libro tibetano della grande liberazione (Roma, Newton Compton, 1975) era uscita l'anno precedente, nel 1954, a Oxford.

22 Non esistono prove che Theodor Reuss abbia iniziato Rudolf Steiner al- l'Ordo Templi Orientis (oto), come invece sostiene Francis King in Ritual Magic in England, Saffron Walden, Spearman, 1970. Vedi Appendice E dell'edizione del 1972, p. 163. Sicuramente King confondeva l'OTO con il Memphis and Misraim Rite (di cui Reuss fu Gran maestro in Germania e Austria). Steiner, che all'epoca era segretario generale della sezione tedesca della Società Teosofica, fu autorizzato nel 1906 a istituire un capitolo e un consiglio di base, il Mystica Aeterna, di cui divenne vice Gran Maestro. Vedi E. Howe, The Magicians of the Golden Dawn. A Documentary History of a Magical Order 1887-1923, London, Routledge & Kegan Paul, 1972, p. 263.

23 Si ritiene che Madame Blavatsky, fondatrice della Società Teosofica, abbia subito l'influenza della Confraternita ermetica di Luxor e degli insegnamenti deH'afroamericano Paschal Boverly Randolph. Vedi J. Godwin, C. Chanel e J.P. Deveney, The Hermetic Brotherhood of Luxor, lnitiatic and Historical Documents of an Order of Practical Occultism, York Beach, S. Weiser, 1995.

24 Curiosamente, il termine iner con cui si designava lo scalpello è uno dei geroglifici che compongono il nome Narmer, personaggio risalente al periodo protodinastico dell'Egitto (c. 3000 a.C.). Narmer è il re identificato con Menes, il quale unificò l'Alto e il Basso Egitto: il suo nome è rappresentato dai due gero-glifici indicanti il pesce (nnr) e lo scalpellino Oner), come dimostra la tavolozza di Narmer scoperta a Hierakonpolis da Quibell nel 1894: vedi M. Saleh et al.. Officiai Catalogued The Egyptian Museum, Il Cairo, 1987, ex. 8. Su mer con il significato di «morire», vedi G. Massey, A Bc . !; of the Beginnings, London, Williams and Nor- gate, 1881, p. 65. Dietro questa parola composta da pesce e morte ci sono significati esoterici molto profondi.

25 I neter erano archetipi e divinità a un tempo, come ha dimostrato R.A. Schvvaller de Lubicz nei suoi studi sul pensiero esoterico egizio; vedi per esem-pio il suo Sacred Science: thè King of Pharaonic Theocracy, ed. con.

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NoteNew York, Inner Traditions International, 1982, p. 162 sgg.26 A causa della morte di Mark sono stato costretto a compilare da solo quasi

tutte le note. Fortunatamente durante il nostro ultimo incontro a Grenada ho di-scusso con lui molte delle questioni sollevate nel libro, anche se non tutte. Ho cercato di colmare le lacune rimaste come meglio ho potuto: ogni volta che è stato possibile ho dedotto le fonti dai suoi appunti e le ho integrate con osservazioni provenienti dalle nostre conversazioni e dalla conoscenza dei libri arcani che egli possedeva o aveva letto.

2* 1 riferimenti a Saint-Germain, quale iniziato attivo e massone, ricorrono con frequenza fra il 1710 e l'anno della Rivoluzione francese, il 1789. Il barone Von Gleichen nelle sue memorie del 1868, intitolate Souvenirs, cita diverse testimonianze, fra cui quella deU'ambasciatore francese a Venezia, il quale afferma di avere incontrato Saint-Germain nel 1710, e lo definisce un cinquantenne. Se così fosse, il conte avrebbe dovuto nascere intorno al 1660 (Vedi I. Cooper-Oakley, The Corrile de St Germain, ed. con. 1985, p. 7). Esattamente cento anni dopo, in una lettera al conte di Haslang del 29 aprile 1760, Cornet accenna all'improvvisa scomparsa del conte di Saint-Germain «il quale gode fama di essere molto ricco e ben accetto in diverse corti europee» (ibidem, p. 240). Un registro massonico del Grande Oriente, che non può essere fatto risalire oltre il 1775, reca la firma di Saint-Germain ( ibidem, p. 217).

28 Vedi, per esempio, J. Sadoul, Alchemists and Gold, London, Spearman, 1972, p. 269. Nell'appendice, Sadoul elenca nove noti alchimisti arrivati mediamente all'età di ottantadue anni. Al tempo di Saint-Germain la vita media durava meno della metà.

29 L'espressione latina caput mortuum significa «testa morta» e viene a volte resa con il termine «teschio». In alchimia, però, le due parole acquistano un significato diverso, che rinvia alla pratica alchemica ermetica. Paracelso, per esempio, usa spesso caput mortuum per indicare «la precipitazione sulfurea» che avviene nella materia. L'espressione, tradotta nei termini dei Tre Principi che dominano l'alchimia, si ritiene indichi la volontà o gli impulsi sessuali umani non redenti.

30 Un esempio di sistema iniziatico inventato è quello dell'Ordine ermetico dell'Alba Dorata. Per un'analisi dell'argomento, vedi E. Howe, The Magicians of thè Golden Daum. A Documentary History..., cit.

31 Ibidem, p. 259 sgg.32 Le radici esoteriche del Re Lear di Shakespeare sono molto profonde.

Lear grida: «Dov'è il mio Matto? Si direbbe che il mondo intero s'è addormentato» (Milano, Mondadori, 1992,1. IV, v. 47). Lear, il re, è il matto-stolto, che non sa riconoscere l'importanza dell'amore. Al suo seguito c'è il matto-savio, che invece sa che cos'è l'amore. Nel suo libro Mark Hedsel sottolinea come la Via del Matto sia la via dell'amore.

33 La citazione è un verso del Monaco d'Orlac, poeta trovatore (vedi nota successiva).

34 Probabilmente si trattava del Monaco di Montaudon, il quale, pur essendo di nobili origini, si fece frate nell'abbazia di Orlac (l'attuale Aurillac, nel Sud del -la Francia). Per un certo periodo fu priore di Montaudon, che potrebbe corri-spondere alla moderna Montauban. Di lui ci sono giunte soltanto sedici poesie, due delle quali sono musicate. Vedi A. Bonner, Songs of thè Troubadours, 1973, pp, 180 e 295.

35 La poesia del Monaco è la numero tre nella raccolta Bonner. 1 versi sulla lepre e sul bue, che Bonner ritiene essere forse i più famosi di tutta la letteratura provenzale, appartengono al sonetto En cest sonet coitid'e Ieri, che tradotto liberamente suona così: «Io sono Arnaut, che raccoglie il vento/

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L'iniziatoche con il bue caccia la lepre e la cerbiatta/che nuota contro corrente...». Su questo tema, con un riferimento esplicito al sonetto citato, Arnaut Daniel torna ancora, proclamando cheil potere del poeta, la sua forza, è la conoscenza (conning). È perché sa tante cose, che il poeta può arrestare la marea che avanza e il suo bue è più veloce della lepre. Sono stati sicuramente questi trovatori ricchi di umorismo e trovate argute, che con il loro sguardo hanno esplorato mondi celati agli altri uomini, a gettare in Francia i semi da cui è germogliato Rabelais.

36 Qui Mark parafrasa una poesia, Una ciutatz fo («Una città di folli») del poeta del XIII secolo Peire Cardenal. Vedi R. Lavaud, Poésies complètes du troubadour Peire Cardenal, 1957.

37 Lo scrittore francese François Rabelais nacque nei pressi di Tours nel 1494. Fu frate francescano al convento di Puy-Saint-Martin nel Poitou e poi monaco benedettino a Saint-Pierre-de-Maillezais. Tenne lezioni di Medicina a Lione. Mori nel 1553.

38 Sul tema del poeta folle, vedi l'edizione Navarre Society, The Works of Mr Francis Rabelais... The Lives, Heroick Deeds and Sayings of Gargantua and his Sonne Pantagruel, 1931, v. xlvi e xlvii. Alcuni studiosi sostengono che il quinto libro non è interamente opera di Rabelais, eppure il tema iniziatico è chiarissimo e l'umorismo è sempre sferzante come nei libri precedenti.

39 Mark Hedsel per definire l'essenza della scrittura di Rabelais usò la parola francese bavard, nella sfumatura che acquisisce quando riferita a una «persona che beve molto e parla molto sotto l'effetto dell'alcol».

40 Hieronymus Bosch (c. 1450-1516). Il Matto compare spesso nei suoi dipinti. Gli esempi più interessanti si trovano ne II Figlino! prodigo, ora conservato al Museo Boymans-van Beuningen di Rotterdam, e nei due pannelli laterali del Trittico del fieno al Prado di Madrid. Il titolo di questi dipinti è fuorviarne, perché il soggetto è in realtà il Matto: lo storico dell'arte L. von Baldass nel suo Hieronymus Bosch del 1959 afferma che il vero tema è il vagabondo. Nessuna ambiguità invece nella Nave dei folli custodita al Louvre.

41 La parabola del figliol prodigo è raccontata nel Vangelo secondo Luca, 15, 11-32. È difficile trovare corrispondenze fra il racconto evangelico e il dipinto di Bosch.

42 C.A.W. Aymes, in The Pictorial Language of Hieronymus Bosch (Horsham, New Knowledge Books, 1975) esamina alcuni dei simbolismi concernenti il Matto nascosti nelle opere di Bosch.

43 La Chiesa aveva cominciato fin dal VII secolo a criticarne gli eccessi: diversi concili, celebrati in Francia (Rouen, 1435; Soissons, 1455; Sens, 1485 e Parigi, 1528), ne stigmatizzarono la licenziosità e l'anarchia, ma non dovettero ottenere grandi risultati, se il culto dell'asino veniva censurato ancora nel 1644. La Festa dei pazzi, all'apparenza in contrasto così stridente con la severità della Chiesa, era profondamertte radicata nella coscienza pagana. Enrico VIII d'Inghilterra l'abolì nel 1542, ma ì<j misura suscitò un tale scontento fra il popolo che dodici anni

\dopo Maria la reintrodusse. Vedi T. Barns, Abbol of Unreason, in J. Hastings, Ency- clopaedia of Religion and Ethics, 1971, vol. I, p. IOa. Per un'analisi dettagliata del Festum Fatuorum, vedi M. du Tilliot, Mémoires pour servir â l'histoire de la Fête des Foux, 1741.

La Via del Matto

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Note1 Nel loro linguaggio gli antichi misteri distinguevano fra i metodi e i conte-

nuti dell'apprendimento comune e i metodi e i contenuti di quello iniziatico. Il primo tipo, l'apprendimento «normale», che avveniva attraverso l'intelletto, era espresso dal verbo mathein, da cui deriva la parola «matematica». A questo, i misteri contrapponevano l'apprendimento attraverso le esperienze interiori dell'anima, che veniva espresso con il verbo pathein. Questo verbo viene in genere reso in italiano con «soffrire», ma in realtà il suo significato è più ampio: designa «un sapere che si acquisisce a contatto diretto con il mondo materiale». L'ego del Matto segue questa seconda via, ed è in parte per questo che i profani guardano con sospetto le sue stranezze. Probabilmente si chiedono: chi può voler imparare tramite l'esperienza, quando quasi tutti si accontentano di imparare tramite l'intelletto? 1 non iniziati si accorgono raramente che la conoscenza «normale» costituisce un labirinto senza uscite e non soddisfa l'anima che cresce.

2 Essendo la parola ego così importante per la Via del Matto, sarà bene esaminarne il significato dal punto di vista iniziatico. Ego viene dal latino ed è il pronome di prima persona singolare, significa cioè «io». Nella Via del Matto con ego si indica la parte che è sacra per quell'io. La sola persona che possa, corretta- mente, rivolgersi a se stessa dicendo «io» è l'ego, il quale soltanto può assumersi la responsabilità delle sue decisioni e azioni. Come nel corso di molte migliaia di anni si sono sviluppati gli altri corpi spirituali dell'uomo attraverso l'esperienza e l'iniziazione, così l'ego umano ha subito una evoluzione particolare dalla seconda metà del XV secolo. Per un'analisi dell'ego, o mente superiore, dal punto di vista teosofico, vedi A.E. Powell, The Mental Body, 1927. Nell'esoterismo moderno l'ego viene di solito accomunato all'anima cosciente. Jung concepisce l'e- go come una sorta di unità dinamica che, con più o meno successo, tiene legata l'individualità. Su un piano diverso l'ego è considerato quella parte dell'individuo che gli altri percepiscono come essenza in contatto con la realtà esterna. Entrambe le nozioni hanno una certa somiglianza con le verità insegnate nelle scuole esoteriche, senonché per l'esoterista l'ego è un corpo spirituale distinto, una specie di «superanima», come dice Emerson (.Emerson's Essays, Everyman Library, 1971, p. 149 Sgg.). Nel pensiero esoterico l'ego è l'utente della persona, ossia della maschera della personalità: ancora in gestazione in gran parte dell'umanità, può ancora avere una straordinaria crescita.

3 II termine astrale, ampiamente usato nella letteratura occulta, deriva dalla parola latina aster, che significa «stella». Dal punto di vista spaziale, il piano astrale è contiguo a quello materiale: su questo piano i pensieri e le emozioni hanno una realtà propria, sono entità. 11 corpo astrale, invisibile a tutti tranne che ai veggenti, è il corpo delle emozioni, un tempo chiamato «corpo del desiderio». In quanto tale, questo corpo, che aspira a calarsi nella materia e impaniarsi nel mondo materiale, è uno strumento dell'ego. Le pietre e le piante non hanno un corpo astrale, come hanno invece gli animali, ed è per questo che nella tradizione esoterica gli animali ne diventano spesso il simbolo. Il cane o il gatto che inseguono il Matto nella relativa carta dei tarocchi rappresentano anche quella parte dell'astralità che il Matto non ha ancora domato. Vedi, per esempio, A.E. Powell, The Astrai Body and Other Astrai Phenomena, 1928.

Con eterico si indica il piano spirituale del cosmo che agisce sulla materia inerte dandole la vita: corrisponde all'antico «quinto elemento», la quintessenza, che si riteneva tenesse unito il caos dei quattro elementi in una precisa organizzazione della forma. Quando entra in azione l'eterico, l'attività molecolare della materia cambia in attività cellulare. A differenza delle piante, le pietre e i minerali non hanno un'attività eterica, ed è questa la ragione per

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L'iniziatocui nella tradizione esoterica le piante sono spesso prese a simbolo del piano eterico. Vedi per esempio G. Wachsmuth, The Etheric Formative Forces in Cosmos, Earth and Man, London, Anthroposophic Press, 1932.

4 Chiamato ens astrale nell'alchimia medievale, e «corpo passionale» in alcuni sistemi inglesi, l'astrale era anche definito «corpo sidereo» perché dimora nel regno delle stelle. In sanscrito il suo nome è kama-rupa.

5 Chiamato ens veneni, o anche ens vegetabilis nell'alchimia medievale, e «corpo della vita» in alcuni sistemi inglesi, l'eterico è indicato in sanscrito come lin- ga-sharira.

6 Chiamato corpo eiementale nell'alchimia medievale, il corpo fisico era anche soprannominato «l'asino» o «il somaro».

7 La letteratura misterica descrive talora il corpo risorto di Cristo con la paro-la greca Augoeideian, che significa «luce radiosa». Con identica parola si indicava la veste di Osiride, il dio egizio risorto dalla morte e dallo smembramento.

8 Un giorno rivolgemmo a un medico in pensione, seguace della Via del Mat-to, alcune domande sullo spirito e gli chiedemmo quali manifestazioni avessero sul piano materiale talune questioni morali. Egli rispose in modo chiaro, conciso e soddisfacente. Poi l'interrogammo sul corpo fisico. A questo punto apparve agitato e replicò: «A essere sincero del corpo fisico non so niente: è "il grande mistero"».

911 mazzo tradizionale dei tarocchi usati nella divinazione è composto da settantotto carte, fra cui ventidue figure, chiamate arcani maggiori o atout. Le immagini originali furono sicuramente disegnate da qualche scuola iniziatica, di cui si sono perdute le tracce, perché il simbolismo e le permutazioni iconografi-che e grafiche ne fanno uno strumento idoneo alla meditazione. Dei ventidue atout, soltanto il Matto è privo di un numero e di solito gli si assegna lo zero. Per un'ampia scelta di immagini del Matto, vedi R.S. Kaplan, The Encyclopedia ofTa- rot, 1986, il quale non esclude che i disegni mirassero a qualcosa di più «mistico» del gioco delle carte (ibidem, voi. II, p. 391). Che i tarocchi racchiudano in sé elementi di tradizioni arcane è ormai accertato da tempo: le seicentesche Minchiate Italiane sono, per esempio, in toto arcane. Il primo studioso a stabilire apertamente un nesso fra i ventidue arcani maggiori dei tarocchi e i ventidue sentieri dell'albero sefirotico ebraico pare sia stato E. Poirei in Les 22 Arcanes du Tarot Kabbalistique, 1889. Sui vari cambiamenti apportati al sistema dei tarocchi da Aleister Crowley, vedi l'interessante nota in R.S. Kaplan (ibidem, voi. II, p. 391). Non tutte le versioni dei tarocchi successive al 1889 assegnano l'aleph al Matto: in un mazzo disegnato a mano e riprodotto da Kaplan (ibidem., voi. II, p. 397), a Le Fou, che pero, resta il numero zero, viene fatta corrispondere la lettera ebraica shin, mentre Ytileph è attribuito al Bagatto. Il disegno della carta è molto fantasioso: vi si vede un coccodrillo in agguato dell'incauto viaggiatore. P.D. Ouspensky in A New Model of thè Universe, 1931, esamina la carta del Matto come simbolo esoterico, rintracciandovi «un misto di cabala, alchimia, magia e astrologia». Tuttavia la sua tesi secondo cui i disegni risalirebbero al XIV secolo è discutibile: la descrizione della carta del Matto sembra infatti riferirsi a una tarda versione ottocentesca, dal momento che vi è presente il coccodrillo. Valentin Tomberg nelle sue Meditations ori thè Tarot, pubblicate anonime da Element Classics Edition nel 1993, cambia la posizione del Matto, cui assegna il numero ventuno e propone altre deviazioni dalla norma che suggeriscono una comprensione inadeguata del sapere ermetico. Tomberg si basa troppo su esoteristi poco affidabili come Eliphas Levi.

10 Questo genere di associazione, assai frequente nella letteratura popolare, costituisce un buon esempio di come funziona uno «schermo occulto». La verità

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Noteche è celata dietro lo schermo è un'altra: mentre il Matto è certamente connesso con la Luna, il suo destino è legato alla triade spirituale composta di atman, buddhi e marnis.

11 11 terzo occhio permette di vedere dentro il mondo spirituale, ma nella maggior parte delle persone non è ancora sviluppato.

12 II karma è «la legge delle conseguenze», ossia il peso delle azioni compiute nella presente incarnazione e in quelle precedenti. In un certo senso è come una bisaccia che contiene le cattive azioni non ancora espiate: ci sono motivi validi per ritenere che il fagotto che il Matto dei tarocchi porta appeso al suo bastone sia simbolo del karma da lui accumulato. Nelle carte più antiche il bastone del Matto era dipinto di giallo, un colore che lo connetteva decisamente con la tradizione esoterica, in cui la piuma di Maat era gialla. Nelle definizioni più sofisticate il karma viene visto come l'elemento determinante della nascita, dell'esperienza e del destino di una vita. Nel tempo concessole di vivere l'entità incarnata espia (di solito inconsciamente) le conseguenze karmiche che trascina con sé dalle sue precedenti incarnazioni. Il karma, che costituisce un impulso molto forte nella vita dell'individuo, potrebbe essere ritenuto in contrasto con il libero arbitrio; ili realtà quest'ultimo entra in gioco prima della nascita, quando l'individuo sceglie di tornare sul piano materiale, perché soltanto così potrà emendare le azioni precedenti e cancellare i suoi debiti. Il karma è, in questo senso, la forza che tiene l'umanità vincolata alla ruota della rinascita.

I non iniziati recano inscritti nel loro organismo spirituale tutti i ricordi delle azioni passate, delle cose che hanno fatto. E sottolineo questo verbo, perché la parola karma, che deriva dalla radice kri («fare»), proprio su questo insiste. Le cose che noi facciamo sul piano materiale - con il pensiero, con le parole e con gli atti - si ripercuotono sul futuro del mondo e sulle nostre vite future. L'impulso karmico è ciò che ci spinge a redimere tutte le nostre cattive azioni, spesso in una o più vite future, quando le condizioni si rivelano favorevoli a questa redenzione. L'impulso karmico tuttavia non riguarda soltanto il male: le buone azioni che abbiamo compiuto in passato daranno frutti, donandoci qualche inatteso beneficio.

13 In latino Yaetherius era il «regno celeste», o «mondo superiore», ma Yaether poteva trovarsi anche nei corpi materiali degli esseri viventi.

14 II nome della dea egizia Maat significa «diritta» ed è associato con l'idea della «retta via», quella della legge e dell'ordine. Maat è la dea degli inferi, dove insieme a Osiride giudica i morti. Su un piatto della bilancia pone una piuma, sull'altro l'anima del defunto: la piuma viene anch'essa chiamata Maat. E dun-que Maat, così strettamente imparentata con il francese mut e l'italiano matto, è dritta come il bastone nella mano del Matto e richiama anche la bilancia; infatti il Matto tiene in equilibrio sulla spalla il bastone al quale è legato il fagotto che contiene i suoi peccati karmici: speriamo che sia leggero quanto una piuma, altrimenti giù negli inferi non supererà l'esame di Maat.

15 Nella letteratura esoterica il corpo fisico viene talora chiamato «il grande mistero». In un lontano futuro questo corpo sarà redento e diventerà spirituale: si trasformerà in un corpo di «luce radiosa», nell'Ai/goeùieian della terminologia ermetica. La teosofia sostiene che la metamorfosi avverrà quando il corpo fisico si sarà trasformato in atman. Il corpo fisico redento, che ha raggiunto una perfezione radiosa, ricorre spesso nella tradizione e nelle immagini di Resurrezione cristiane. L'imitazione di Cristo, negli stadi più alti, è naturalmente limitata a pochissimi iniziati estremamente evoluti.

16 Lo strappo nella veste lascia intravedere la pelle: simbolicamente esso allude al fatto che il Matto, per poter compiere il suo viaggio, deve essere disposto a spogliarsi di ciò che lo ricopre, vale a dire, della persona o maschera che nasconde lo spirito. La personalità deve essere bruciata

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L'iniziatonell'fltófum, nel fuoco. Il matto dei tarocchi porta le scarpe, mentre il mendicante nell'immagine francese dell'A- pocalisse è scalzo. 1 piedi nudi sono il segno che il mendicante e l'uomo seduto che egli importuna non sono sul piano materiale, sono due figure astrali. Il Matto, invece, cammina sulla dura terra. I

17 La Festa dei pazzi, che si celebrava nel Medioevo, era chiamata anche «Festa degli asini». Probabilmente riprendeva la tradizione romana di parodia dei misteri (asini portoni mysteria, «gli asini portano i misteri»): durante le processioni misteriche i simboli, racchiusi in cofanetti rituali, venivano trasportati in groppa agli asini. Il Matto ha capito una verità: l'asino (che è il corpo fisico) porta davvero su di sé i misteri. Gli adepti sulla Via del Matto adottarono probabilmente la parola asino nel loro Linguaggio Verde per i suoi significati secondari.Il simbolismo esoterico della parola asino è associato alle origini del denaro: l'aes rude era un pezzo di rame di peso e valore specifici. Sui pezzi venne poi incisa l'immagine di un animale e il loro nome cambiò, divenendo pecus (che significa «bestiame») e quindi pecunia, parola che passò a indicare la ricchezza o il denaro in generale. L'aggettivo italiano «pecuniario» ha questa interessante origine. L'as è il metallo vergine (o Terra) su cui viene stampigliata l'immagine di un animale (eterico e astrale) per dargli un valore (ego). Ma forse quello che più conta è che in latino as indica anche il «numero perfetto». Ebbene, al corpo fisico viene assegnato il numero di Terra quattro (come i quattro elementi), ma esso può essere perfezionato. 11 corpo perfetto è il corpo risorto, a cui viene ascritto il sei, che è il numerus perfectus, in quanto formato da 1+ 2+ 3 = 6.

Questa semplice numerologia sembra essere alla base del gioco dei dadi romani e dell'importanza assegnata al numero sei. Il fiore a sei petali, come pure il centro del labirinto medievale a sei petali, sono collegati ai misteri di questo numero.

In latino con aes si indicava qualsiasi materiale grezzo scavato dal suolo (in gotico aiz significava rame oppure oro e la parola tedesca e ¡sen, «ferro», sembra avere la stessa origine). Tutti questi significati lasciano trasparire l'ideale alchemico della trasmutazione del metallo grezzo, aes, per rivelare l'oro nascosto al suo interno. La famosa espressione «Fratello osino», con cui San Francesco designa il suo corpo, assume un significato diverso alla luce di queste riflessioni.

18Nel suo Asino d'oro, libro XI, Apuleio parla dei misteri di Iside ma non può rivelare tutti i segreti della sua iniziazione (sicuramente perché aveva fatto voto

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L'inizinto

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di tenere nascosto ai profani questo suo sapere). Da alcuni particolari, tuttavia, si comprende che lo scrittore era un iniziato di grado molto elevato (vedi n. 30 del capitolo I). Circa un anno dopo l'iniziazione ai riti di Iside, Apuleio ricevette anche quella ai misteri di Osiride. Per chi segue la Via del Matto, l'aspetto più interessante dell'/tòno d'oro sta nel fatto che Apuleio racconta la storia delle sue avventure fra i centri iniziatici adottando la maschera di Lucio, il quale, attraverso la magia nera, che lui non conosce, viene trasformato in asino e riacquista la sua forma umana per intervento di Iside.

19 Apuleio, che scriveva nel li secolo d.C., probabilmente conosceva la spiegazione del simbolo del sistro magico contenuta nel De Iside et Osiride di Plutarco.

20 I lettori dell'originale prosa di Lucio Apuleio sapevano di certo che ros, ra-dice di rosa, indicava anche la rugiada caduta dal cielo, il liquore segreto della l.una, che divenne uno dei misteri dei Rosacroce.

21 L'esoterista italiano Marsilio Ficino (1433-1499) era in stretto contatto con i Medici, in particolare con Cosimo. A Ficino alcuni rimproverano la mancanza di originalità, considerandolo soltanto un erudito che ha accumulato un'enorme mole di informazioni male assimilate: in realtà egli fu un potente veicolo di im-missione, nell'esoterismo occidentale, del pensiero arcano neoplatonico e dell'a- strologia esoterica.

22 La letteratura esoterica si è ampiamente occupata del legame fra le Grazie e la triade superiore. Vedi, fra l'altro, E. Wind, Paguri Mysteries irt thè Renaissance, Harmondsworth, Penguin with Faber, 1967, in particolare il capitolo II e l'appendice 6; Pico della Mirandola, Conclusiones, xxxi. 8. Jean Seznec (in The Survi- val of thè Pagati Gods. The Mythological Tradition and Its Place in Renaissance Huma- nism and Art, New York, Pantheon Books, 1953) sostiene che Botticelli si fosse ispirato a questa tradizione, facendone uno dei temi della sua opera esoterica chiamata impropriamente Primavera e della Nascita di Venere.

23 Maya è una parola sanscrita, di solito tradotta come «illusione». In realtà maya indica tutte le manifestazioni del mondo materiale, esprime cioè l'idea che l'intera creazione è un'illusione, una sorta di proiezione, di ombra di un regno più alto. Alcuni linguisti ritengono che il significato della parola sia connesso con il gioco orientale delle ombre.

24 Parlo di Shakespeare come se fosse un singolo autore, ma in realtà Mark Hedsel era convinto che egli fosse poco più che un nome dietro il quale si na-scondeva un mito. Identificare in questo o in quello l'autore, o gli autori, dei drammi shakespeariani è azzardato; ma è abbastanza sicuro che la maggior parte delle opere cosiddette «shakespeariane» fu scritta da Francesco Bacone. In questo contesto, comunque, non è il caso di addentrarsi nella questione.

Davanti alla facciata occidentale della casa di Shakespeare a Stratford-upon- Avon è stata posta, nel 1994, una statua di bronzo del drammaturgo a grandezza naturale, scolpita da James Butler. 11 volto, pieno di intensa letizia, esprime l'essenza del Matto, ma sono soprattutto i gesti a penetrarne il simbolismo segreto: il cappello a tre punte che egli tiene sollevato in punta di bastone si rispecchia in quello analogo che la figura ha sul capo. Insieme, i due copricapi indicano che l'ego del Matto (così ben rappresentato nel buco, o zero, del copricapo) è situato fra i tre «corpi» superiori e i tre «corpi» inferiori, come indicato nella Tavola 1.

25 Nel linguaggio esoterico il «velo» indica spesso lo schermo che rende invi-sibile il mondo spirituale agli occhi di chi non gode della visione superiore. In un certo senso il velo è la natura stessa. «Non sollevate il velo dipinto, che i vivi chiamano Vita» cantò in un sonetto Shelley. Ma più famoso ancora del velo del poeta inglese è naturalmente il velo di Iside, che soltanto gli iniziati possono al-

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L'iniziato

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zare. In alcune immagini la dea indossa un velo nero sopra una veste tempestata di stelle.

26 Amleto, scrive Goethe, è «un'anima assolutamente incapace di affrontare qualsiasi situazione o di esserne soddisfatto; un'anima alla quale è stato imposto un compito cui non può adempiere». Vedi R. Steiner, The Cospel ofSt Mark, New York, Anthroposophic Press, 1950, traduzione inglese degli appunti stenografati presi durante le conferenze tenute a Basilea nel 1912, capitolo I, p. 13 sgg.

27 Riteniamo si tratti di un errore, dovuto probabilmente al fatto che la seconda carta dei tarocchi, il Bagatto, tiene le braccia in una posizione che richiama la forma deWaleph: attraverso le sue azioni esteriori il Bagatto rende manifesto ì'a- leph di «uno». Ben diverso è l'intento del Matto, che concentra la propria attenzione sulla via, cioè sulla strada che gli sta davanti. Quasi tutti i cambiamenti apportati all'ordine, alla numerazione e al disegno dei tarocchi dai circoli di fine XIX secolo che si proclamavano ermetici hanno offuscato la saggezza contenuta nelle carte più antiche.

28 Amleto, III, 1. È significativo che il soliloquio del principe di Danimarca sia preceduto e seguito dalla parola «Signore» appellativo con cui Polonio si rivolge al re, e Ofelia ad Amleto («Mio buon Signore»): neH'esoterismo ì'ego è il Signore dei corpi inferiori: l'astrale, l'eterico e il fisico.

2y II motto Alterius non sit, qui suus esse potest («Non sia d'altri chi può essere di se stesso») sovrasta il ritratto di Paracelso sul frontespizio della sua Opera Omnia. Il lettore moderno può più facilmente ritrovarlo in A.E. Waite, The Hermetic and Alchemical Writings of Paracelsus thè Great, 1894, ristampato nel 1967. Il ritratto presenta interessanti paralleli con la carta del Matto: la mano destra è posata sull'elsa (linea retta o Io eretto) della spada, mentre la sinistra è posata sul pomello rotondo (cerchio o zero).

30 Le prime immagini del Matto stampate nel XVI e XVII secolo recavano la scritta in francese o in italiano, in cui, al contrario dell'inglese Fool, è ben visibile la radice sanscrita. Non è escluso che i gruppi esoterici che disegnarono la carte fossero al corrente anche della possibile derivazione egizia della parola, che aggiungeva un altro significato al suono ma.

31 In considerazione dell'etimologia suggerita in questo testo, appare particolarmente interessante il fatto che nei tarocchi disegnati intorno alla metà del XVII secolo da Jacques Vievil il Matto sia chiamato semplicemente Ma. L'italiano «Il Matto» era certamente in uso nel 1534. La tradizione francese cinquecentesca non riporta di solito nomi, ma una versione parigina, ora alla Bibliothèque Na- tionale, reca scritto Le Fou. A partire dal 1707 cominciò tuttavia a prevalere l'espressione Le Mat.

32 II dipinto (n. 186 del Catalogo della National Gallery) ritrae le nozze di Giovanni Arnolfini e Giovanna Cenami. La firma completa del pittore - Johannes de Eyckfuit hic, 1434 - compare su un documento legale, mentre nello specchio si vede la sua immagine, a ribadire che egli è stato testimone alle nozze. E forse non è un caso che in questo quadro, che è il marchio dell'ego, l'artista compaia riflesso in uno specchio che ha la forma dello zero. La firma che l'artista appone alla sua opera è il Segno di un cambiamento di visione: ora egli non dedica più il suo lavoro interamente a Dio, ma a se stesso, all'ego.\

33 Per Herri Met de Bles adamita vedi F. Gettings, The Hidden Art, 1978, p. 71sgg-

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Note

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34 Vedi H. Khunrath, Amphitheatrum sapientiaeaetemae, 1602. S. Klossowski de Rola in The Golden Game: Alchemical Engravings of thè Seventeenth Century (London, Thames and Hudson, 1988) riproduce la versione fiamminga del fregio con la civetta riportata nell'edizione 1653 dell'opera di Khunrath: come in tedesco Eule, «gufo-civetta», aveva un significato occulto (eulenspiegel significava «fare il giullare», «fare scherzi»), così il fiammingo briln, «occhiali», è associato alla luce.

3:1 Alcune parti dei commentari sul Libro di Dzyan si trovano tradotte da Madame Blavatsky in The Secret Doctrine, Los Angeles, 1888, libro che può a sua volta definirsi un ampio commento ai commentari. G.S. Arundale nel suo The Lotus Fire. A Study in Symbolic Logic (1939) presenta la traduzione delle sette strofe del Libro di Dzyan in quella che egli chiama «versione della dottrina segreta» e «l'originale».

36 G.S. Arundale, The Lotus Fire..., cit.37 Come apparirà chiaro dagli episodi autobiografici raccontati da Mark Hed-

sel, la Via del Matto si propone di unire il metodo epoptico a quello del mystes. È però evidente che, in armonia con il suo carattere di studioso e ricercatore, Mark Hedsel ha lavorato soprattutto con il secondo metodo, ossia attraverso la parola parlata, il dialogo e lo studio personale. Vedi comunque i simboli epoptici riportati nell'Appendice.

38 II Rosacrocianesimo è il movimento esoterico, ispirato dal leggendario ini-ziato Christian Rosenkreutz, che introdusse un metodo di lavoro imbevuto di terminologia alchemica e astrologica, riconsiderando il cristianesimo alla luce del sapere occulto. Il movimento si sviluppò da una corrente ermetica clandesti -na nello stesso periodo in cui la Chiesa cattolica subì il grande scisma del prote -stantesimo, un cataclisma che rispecchiava gli imperativi dell'ego nascente. Per alcuni versi il rosacrocianesimo è l'equivalente dell'ermetismo cristiano, ma molte delle sue credenze, in particolare quelle relative alla reincarnazione e al modello spirituale di uomo, si sono rivelate inaccettabili per la Chiesa moderna. Per uno studio approfondito delle implicazioni di questo conflitto, vedi S.O. Prokofieff, The Case of Valentine Tomberg. Antroposophy or Jesuitism, 1997.

3911 cristianesimo esoterico è una corrente cristiana che può essere fatta risalire alle scuole ermetiche del I e del II secolo d.C. Come corpus dottrinale, che attribuisce grande peso alla responsabilità individuale e all'insegnamento della reincarnazione, si è trovato spesso in conflitto con le dottrine ufficiali della Chiesa. Lo strumento moderno del cristianesimo esoterico è la corrente rosacrociana.

40 Vedi P.M. Alien, A Christian Rosenkreutz Anthology, cit. e Fr. Wittemans, A New and Authentic History of thè Rusicrucians, Chicago, The Aries Press, 1938. Wittemans riconosce, giustamente, che «l'investigazione delle origini del rosacrocianesimo conduce a un passato lontano». Tuttavia Michael Maier, che Wittemans cita, si occupa della tradizione ermetica più che della «Confraternita tedesca dei Rosacroce»: così, nello spiegare il silenzio che la confraternita mantiene sui suoi adepti, Maier, nel suo Silentium post clarnores del 1617, fa risalire questa pratica ai bramini indù, agli egizi, a Eieusi, a Samotracia ecc., confermando così l'autenticità del movimento rosacrociano. Agli inizi del XVII secolo era ormai prassi comune attribuire origini egizie ai movimenti ermetici.

41 La transizione dall'alchimia alla chimica, preceduta dall'abbandono della linea esoterica da parte della chimica, è ben documentata. Il grande Jean-Bapti- ste Van Helmont è giustamente considerato il padre della chimica moderna (a lui dobbiamo per esempio la parola gas), perché fu tra i primi ad applicare far-maci prodotti in laboratorio, benché fosse stato discepolo di Paracelso. Il figlio, il

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L'iniziato

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cui ritratto compare accanto a quello del padre nell'edizione postuma di Ortus medicinae, id est, initia physicae inaudita del 1652, fu uno dei più prestigiosi Rosacroce del XVII secolo.

42 Sono i «Tre Principi» degli alchimisti: il sale è la vita pensante, il mercurio il mediatore nella sfera del sentimento e lo zolfo è là vita volitiva o sessuale. Nessuno dei tre è una sostanza: si tratta di «veli» o schermi di cui si servivano gli alchimisti e i Rosacroce. Una concezione esoterica dei Tre Principi è esposta in J. Boehme, Aurora, oder die Morgenróthe itn Aufgang, 1634 (ristampato nel 1909, a Chicago dalla Masonic Tempie). Benché a volte ricorra a un'altra terminologia e usi un linguaggio estremamente complesso, Boehme è stato in realtà il primo a sollevare il velo che copriva i segreti racchiusi nella nozione esoterica dei Tre Principi. In Clavis, per esempio, dopo avere osservato che gli antichi non impiegavano questi termini per parlare dell'aspetto materiale delle cose, Boehme afferma: «Con la parola sale essi indicavano l'acuto desiderio metallico presente nella natura; il mercurio era simbolo del movimento e della sua differenziazione ... lo zolfo esprime l'angoscia della natura». Come gli antichi, Boehme sapeva che i Tre Principi acquistano significato soltanto in rapporto al sette; vedi al proposito F. Hartmann, The Life and Doctrines of facob Boehme, Boston, Occult Publi- shing, 1891, p. 71 sgg.

Nell'iconografia esoterica più enigmatica, il mercurio è raffigurato da una te-sta di cane - un'icona coerente con il mercuriale Thot - mentre lo zolfo è rappre-sentato da una testa di capro. La sublimazione del capro faceva parte della Grande Opera dei Templari, ed è per questa ragione che il simbolo del Capricorno viene spesso associato a questo ordine.

43 L'idea di un cristianesimo precristiano potrebbe apparire assurda. Eppure esiste una notevole documentazione a riprova che le scuole iniziatiche delle cul-ture prescristiane si preparavano alla discesa del Logos, cioè di Cristo, tant'è vero che alcune di esse trovavano nella preparazione a tale discesa sulla Terra la legittimazione della propria esistenza. Gli iniziati più avanzati riconobbero il fine redentore del cristianesimo molto tempo prima che Cristo scendesse sulla Terra, pur non percependone le implicazioni cosmiche. Che ci sia un rapporto fra gli antichi misteri e il nuovo mistero di Cristo è testimoniato dal frequente ricorso nel Nuovo Testamento a espressioni derivanti dai misteri egizi. Questi riferimenti sono stati, com'era prevedibile, in gran parte fraintesi da studiosi che ignoravano le tradizioni iniziatiche. Vedi, per esempio, G. Massey, Lectures. The Logia of thè Lord; or thè Pre-Christian Sayings Ascribed to ¡esus Christ, 1900.

44 La fonte di Parthey su Platone è Clemente d'Alessandria, Stromateis; quella su Pitagora ed Eudosso è Plutarco. Fra le sue fonti Parthey enumera Apuleio, Archimede, Diodoro Siculo, Euripide, Erodoto, Melampo, Solone, Strabone e Talete.

45 La dea egizia Ast, il cui nome significa «trono», fu chiamata Iside dai greci. Sposa e sorella di Osiride, fu maga e maestra: si comprende così perché, almeno nella fase greca dei misteri isiaci, le sacerdotesse che insegnavano nelle sue scuole fossero spesso chiamate Iside. Iside era sorella di Nefti. Le scuole esoteriche moderne, che hanno adottato le tradizioni misteriche egizie, tendono in genere a identificare Iside contJla Luna illuminata e Nefti con la Luna buia. Gli insegna- menti della scuola di Iside e Osiride (ma soprattutto della prima) sono rivelati, in parte, da Plutarco nel suo De Iside et Osiride, commentato e tradotto egregiamente da G.R.S. Mead in Thrice-Greatest Hermes. Studies in Hellenistic Theosophy and Gnosis, London and Benares, Theosophical Publishing Society, 1906, ed. con. London, J.M. Watkins, 1964, p. 178 sgg.

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Note

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Osiride fu probabilmente la principale divinità degli antichi misteri egizi. In-torno alla sua figura sono fioriti molti miti, diversi dei quali esprimono idee eso-teriche: egli è il signore del regno dei morti. Poiché nei tempi antichi l'allievo ve-niva spesso identificato con il maestro, quanti subiscono la morte iniziatica vengono talora indicati con il nome di Osiride.

46 per gn0Si (0 gnosticismo) si intende una vasta corrente di pensiero filosofi- co-religioso che ha prodotto un'altrettanto vasta letteratura, di tipo soprattutto sincretistico, che affonda le sue radici in un misto di zoroastrismo, platonismo e cristianesimo. Questa letteratura, mescolata a quella ermetica, ha contribuito allo sviluppo dell'occultismo non giudaico nel mondo occidentale. Vedi per esem-pio J. Doresse, The Secret Books of tlte Egyptian Gnostics, 1958, nell'edizione Philip Mairet. La dedica apposta da Doresse ai Philosophoumena di Ippolito (V.10.2) è una citazione tratta dagli Gnostici nasseni die recita: «Toglierò il velo a tutti i misteri; denuncerò l'apparenza degli dei e, sotto il nome di gnosi, trasmetterò i segreti della sacra via».

47 Si ritiene che gli antichi misteri svelassero i segreti della reincarnazione usando come copertura la dottrina della metempsicosi. Sono riusciti così bene nel loro intento da convincere molti studiosi moderni che gli antichi insegnava-no davvero che gli spiriti umani possono rinascere anche sotto forma animale. Quest'errore viene corretto da Plotino e anche dalla letteratura ermetica delle origini, la quale insiste che «la volontà degli dei preserva per sempre l'anima umana da una tale sciagura». Vedi G.R.S. Mead, Thrice-Greatest Hermes..., cit., voi. I, p. 302.

L'astrologia contenuta nei testi ermetici raramente scende al livello dell'astro- logia contemporanea, che nell'insieme mira a soddisfare le esigenze più basse dell'ego. L'astrologia ermetica è invece interamente spirituale, e considera sempre i pianeti e i segni zodiacali come esseri viventi. Le sfere planetarie e spirituali - che l'anima, distaccandosi dal corpo con la morte, attraversa nella sua ascesa e poi di nuovo nella discesa verso una nuova nascita - sono descritte con molta più chiarezza nei testi ermetici che nella moderna letteratura arcana.

I documenti ermetici non parlano di karma, ma parlano di dei e dee che svol-gono le funzioni di divinità karmiche sotto il controllo di Adrasteia o Nemesi e «posseggono il potere di una vista che non erra mai». Vedi G.R.S. Mead, Thrice- Greatest Hermes..., cit., voi. Ili, p. 71.

48 W. Shakespeare, Amleto, III, 1. Mark Hedsel accennava spesso a questa tragedia, ritenendola un'opera iniziatica scritta espressamente per esporre le condizioni della crescita dell'ego in Occidente, che era iniziata nella seconda metà del XV secolo. È tipico della grandezza dell'autore dell'/lmtòo che nel corso del lungo monologo che si apre con il celebre «Essere o non essere» e il cui tema sono le tribolazioni dell'ego, il principe di Danimarca non pronunci mai la parola «io». Soltanto alla fine, quando entra in scena Ofelia che si rivolge a lui, Amleto ricorre al pronome di prima persona singolare: la parola è la maschera di Amleto. In alcune scuole esoteriche si chiede ai novizi di esercitarsi a parlare per periodi abbastanza lunghi senza dire mai «io». Un esempio divertente di questa prassi è contenuto nel bel libro di J. Overton Fuller, The Magical Dilemma of Victor Neu- burg, 1965. L'Amleto probabilmente può essere compreso fino in fondo soltanto se lo si legge come un'opera iniziatica, analogamente al Faust di Goethe. Come Margherita è l'ombra che incarna l'anima di Faust, così Ofelia è l'ombra di Amleto: il suo nome in greco significa approssimativamente «ciò che è legato da un debito».

49 Lingua degli Uccelli è uno dei tanti nomi attribuiti al linguaggio ermetico dell'esoterismo che ebbe il suo momento di maggiore splendore nel tardo Me-

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dioevo, in particolare nei circoli rosacrociani e alchemici. Per alcuni esempi sul suo uso, vedi Fulcanelli, Le dimore filosofali, Roma, Edizioni Mediterranee, 1979 (in particolare il glossario delle tecniche ), fc vedi anche D. Ovason, I segreti di No- stradamus, Milano, Mondadori, 1998.

50 II senzar è «la prima scrittura geroglifica» delle scuole misteriche, afferma Madame Blavatsky, che la ritiene inventata dagli atlantidi (vedi The Secret Doctrine, cit., voi. II, p. 439; e anche voi. I, xliii, in cui si dice: «era nota agli iniziati di ogni nazione, allorché gli antenati del Toltec la capivano altrettanto bene degli abitanti della perduta Atlantide...»). Di sicuro alcune delle misteriose strofe del Libro di Dzyan, su cui si basa The Secret Doctrine, e che secondo l'autrice erano in senzar, sono molto simili all'inno della creazione del Rgveda. In The Secret Doctrine, cit., voi. 1, p. 21, Madame Blavatsky precisa che il testo si rivolge «alle facoltà interiori più che alla normale comprensione del cervello fisico», ma l'osservazióne in realtà vale per qualsiasi linguaggio simbolico, a differenza di quelli in codice.

51 G. Wachmuth, The Evolution of Mankind, ed. con. 1961.52 La letteratura su Atlantide è ormai molto vasta, ma nel XIX secolo i due li -

bri più importanti furono quello di Ignatius Donnelly, Atlantis. The Antedeluvian World (1882), e quello di W. Scott-EUiot, The Story of Atlantis and thè Losl Lemuria (1896). Scott-Elliot pubblicò alcune bellissime carte geografiche a colori, sorprendentemente dettagliate e che, sovrapposte alla carta del mondo attuale, mostrano le aree un tempo occupate da Lemuria e Atlantide. L. Sprague de Camp, nel suo Lost Continenti. The Atlantis Theme in History, Science and Literature (New York, Gnome Press, 1954), le definisce, giustamente, «mappe teosofiche».

53 II mito di Atlantide è stato tramandato da molte fonti oltre a quelle platoniche: anche Plutarco accenna al tentativo di Solone di scrivere un poema epico sul tema «dell'isola». In epoca tarda, nel VI secolo d.C., Kosmas (più noto come In- dikopleustes, per aver viaggiato fino in India) parla di Atlantide per dimostrare- lui che tanto aveva viaggiato - che la Terra era piatta. Per un'analisi equilibrata di Atlantide e delle migrazioni avvenute in seguito ai cataclismi, vedi G. Wach- smuth, The Evolution of..., cit., p. 61 sgg.

54 Gli archivi, che secondo Solone sarebbero stati conservati nelle antiche bi-blioteche d'Egitto, sono andati perduti oppure risultano indecifrabili. La mia ipotesi è che i documenti fossero scritti nell'antico senzar, che la tradizione iniziatica considera l'antenato dei geroglifici. Gli esoteristi che svolgono ricerche su Atlantide utilizzano le Cronache Akashic.

55 Platone, che aveva appreso la «storia di Atlantide» dai suoi maestri egiziani, i quali a loro, volta l'avevano accolta filtrata dal legislatore ateniese Solone, la racconta nel Timeo e nel Clizia. Questi due dialoghi costituiscono il retroterra di quasi tutta la letteratura e la speculazione moderne relative a questo continente perduto. Narra Platone che Solone - vissuto in Egitto per dieci anni nel VI secolo a.C. - aveva sentito parlare di Atlantide dai sacerdoti egizi, i quali conservavanoi documenti nelle loro antiche biblioteche. Atlantide si inabissò, a quanto pare, definitivamente intorno al 9500 a.C., ma già prima aveva subito molte catastrofi.

56 G. Wachmuth, The Evolution of..., cit., capitolo V.57 Finora non è ancora stata pubblicata una storia dell'esoterismo che sia de-

gna di questo nome.58 Per definizioni sintetiche di questi termini, vedi P. Hoult, A Dictionary of

Some Theosophical Tertns, London, 1910.

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Note

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59 O. Barfield, History in Englìsh Words, 1953, ed. con. 1969, p. 85.60 G. Massey, A Book of..., cit.61 Rudolf Steiner (1861-1925) fu l'esoterista più noto del suo tempo. Dopo

aver contribuito alla promulgazione di alcuni principi teosofici alla fine del XIX secolo, Steiner si allontanò da questa dottrina fondando una propria «scienza spirituale», che chiamò antroposofia.

62 Nelle sue numerosissime conferenze Steiner si occupò di molti aspetti del pensiero dei Rosacroce: le lezioni tenute a Monaco nel 1907, pubblicate in ingle-se con il titolo Theosophy of thè Rosicrucians, nel 1966, ne costituiscono un buon esempio. Interessanti sono anche le conferenze di Berlino del 1905, raccolte in inglese sotto il titolo Foundations of Esotericism (1983). Nel Rosacrocianesimo confluivano vari filoni sotterranei della tradizione ermetica cristiana, che la Chiesa aveva dimenticato o smarrito. Gli adepti si sottoponevano a un rigoroso programma di autodisciplina e di meditazione allo scopo di stabilire il regno di Cristo sulla Terra e comprendere le ragioni della sua venuta. Quando si esaurì la prima ondata del Rinascimento italiano - sempre per impulso dei circoli esoterici - quello dei Rosacroce rimase l'unico organismo spirituale dotato di una conoscenza arcana e di un'organizzazione sufficientemente forti da condizionare la direzione della vita spirituale in Europa.

63 Per sostenere con fondatezza che il Rosacrocianesimo ha le sue radici nel -l'antico Egitto, occorre ammettere che gli antichi misteri egizi preparavano l'av-vento del mistero di Cristo. In tal caso gli insegnamenti riguardanti Horus bam-bino e la resurrezione di Osiride vanno interpretati come forme di iniziazione il cui compimento è nei Vangeli. Un'indicazione di questo possibile legame si può individuare nelle immagini e nei testi pubblicati nel XVII secolo dagli alchimisti Rosacroce, in cui abbondano i riferimenti alle tradizioni egizie, o per lo meno credute tali. Gli stessi Rosacroce vantavano origini egizie. Per esempio Michael Maier nel suo Arcana Arcanissima del 1614 afferma di occuparsi «dei segreti più segreti, vale a dire dei geroglifici egiziani e greci, mai finora resi noti al pubblico...». Scritti di questo genere nascono sotto la pressione dei ricordi di vite precedenti affiorati alla coscienza, cosa che non solo Maier, ma ognuno di noi sa dentro di sé. Non va tuttavia dimenticato che quasi tutte le dottrine fondamentali del Rosacrocianesimo - dalla reincarnazione alle gerarchie degli spiriti, alla teoria astrologica, all'alchimia esoterica - esistevano già nell'antico Egitto.

64 La nascita dell'omino dal bastone del Matto - la sua virga - è un tema che si ritrova in numerose immagini popolari e anche nei quadri di Hieronymus Bo- sch. Un particolare della sua Nave dei folli, al Museo del Louvre, raffigura per esempio un matto su un albero, che beve da una scodella e ha sulla spalla un bastone terminante con una testa umana bulbosa. Nelle xilografie che accompagnano la prima edizione del libro di Sebastian Brandt, Li nave dei folli, ci sono parecchie di queste teste di omuncoli, a volte raffigurati come tanti piccoli Matti, completi di cappello a tre punte.

65 L'uso del verbo «invitare» risponde al desiderio di evitare eventuali pole-miche. Nella tradizione magica si «evocavano» gli elementali e altri esseri infe-riori, e si «invocavano» gli spiriti superiori. Oggi però nei circoli magici la confu-sione su ciò che è inferiore e ciò che è superiore - e su ciò che è demoniaco e ciò che è angelico - è tale che la parola «invocare» è piuttosto screditata. La Via del Matto, per fortuna, non ha niente a che vedere né con le evocazioni né con le invocazioni. Il Matto «prega» tramite gli angeli, non li invoca. L'angelo custode, attento alle nostre necessità, non ha bisogno di essere invocato, ma a volte la preghiera è indispensabile per chiarire le cose.

Quanto alla parola mago si ritiene in genere che discenda dagli antichi magi persiani, famosi per i loro sortilegi. In realtà all'origine c'è la radice sanscrita

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ma e il suggerimento è chiaro: il mago è colui che sa manipolare le forze della Terra (la materia). E questo non vuol dire giocare con le etimologie: i magi di Persia praticavano davvero la magia sciamanica, che è magia di Terra, molto diversa dalla magia spirituale degli egizi, in quanto il suo potere deriva proprio dalla capacità di manipolare gli spiriti appartenenti ai piani astrali, inferiori. La magia egizia, invece, che sottende la tradizione ermetica occidentale, ha a che fare con le divinità superiori e quelli che noi chiamiamo angeli. Questa distinzione è ancora oggi di estrema importanza: occorre infatti stabilire uno spartiacque fra le pratiche magiche che comportano contatto con gli spiriti di TerVa, e le pratiche che comportano l'uso di im-magim, derivanti dagli archetipi.

66 Per cabalista si intende chi studia e pratica la cabala, che è la tradizione esoterica degli ebrei. Vedi W. Gray, The Ladder of Lights, ed. con. 1971, p. 29. Naturalmente l'atto di preparare una tazza di tè può apparire tutt’altro che magico, eppure, poiché comporta l'evocazione inconscia degli eiementali, di fatto è una magia: l'acqua non bolle senza l'aiuto delle salamandre (animali metaforici che vivono nel fuoco di cui sono custodi), l'acqua in sé è il regno delle ondine; la teiera, gli utensili e le foglie del tè, bollendo, entrano nel regno degli gnomi, mentre il vapore è il regno delle silfidi. Una volta lacerato il velo, anche le nostre azioni apparentemente più semplici mostrano il loro vero significato spirituale.

67 Gnosi è una parola greca che significa «conoscenza» e designa in particolare la corrente di pensiero cristiana la quale affermava di possedere una forma speciale di conoscenza: un sistema magico che univa credenze cristiane a insegnamenti platonici e neoplatonici. Per gli Gnostici la chiave della crescita spirituale non era tanto la fede, quanto la conoscenza.

Gli Albigesi costituivano una folta comunità cristiana, attiva dall'XI al XIII se-colo in Albi e dintorni, nel Sud della Francia. Furono considerati eretici dalla chiesa cattolica, probabilmente per i loro chiari legami con la tradizione gnostica e forse anche con tradizioni cristiane arcane, addirittura precedenti. Gli Albigesi rifiutavano i sacramenti; avevano come guide spirituali sacerdoti iniziati, chiamati perfecti, «perfetti». Furono quasi interamente sterminati durante la Crociata organizzata contro di loro dal papa Innocenzo III.

6a La parola «scissione» ha un significato arcano molto simile a quello che ri-copre nella scienza moderna: denota infatti la separazione in due parti di un or-ganismo. Una parte è la spiritualità, che era in potenza nel corpo scisso: così liberata, essa può svilupparsi sul piano spirituale. L'altra parte, ossia ciò che resta dell'organismo originario, diventa scura, si solidifica e cala più vicino alla terra. La metafora classica che in alchimia denota la scissione è una candela che brucia. Essa si divide nella luce della fiamma, nel nero della cenere dello stoppino carbonizzato, e nel fumo. Senza scissione non c'è evoluzione. Nel linguaggio iniziatico, quando il buio dell'anima diventa ostacolo alla crescita spirituale, è tempo di espellerlo. Quest'espulsione, cui corrisponde la liberazione della spiritualità, è la scissione vera e propria. Da essa nasce una nuova vita che comporta una forma di morte: con la separazione gli elementi costitutivi vengono attratti verso i loro luoghi abituali: lo spirito verso i piani celesti e le scorie buie verso la terra e a volte verso i regni demoniaci.

69 Come già detto Plutarco ha parlato dei misteri in De Iside et Osiride, e Apuleio nell'Asino d'oro.

70 Anche François Rabelais nel Gargantua e, forse, il conte di Saint-Germain in La Trinosophie, scrivono intorno ai misteri. Su Rabelais vedi The Works of Mr Francis Rabelais..., cit. Su Saint-Germain, vedi The Most Hohj Trinosophin of thè Comte de St Germain, 1963, Philosophical Research.

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71 Nelle tre cantiche della Divina Commedia dantesca Mark Hedsel vedeva il racconto di un'esperienza iniziatica.

72 Hedsel pensava probabilmente all'opera massonica di Mozart, Il flauto magico, eseguita per la prima volta a Vienna nel 1791. Negli ultimi versi del libretto i sacerdoti di Iside cantano: Die Strahlen der Sonne vertreiben die NaclitJZernichten der Heuchler erschlichene Macht!, «I raggi del sole hanno fugato la notte/e distrutto il potere estorto dagli ipocriti».

Sono parole inconfondibilmente massoniche: il melomane può coglierne il senso generale, ma ben difficilmente ne capirà il senso esoterico. Chi è questo Heuchler, che è diventato «il parassita» nel linguaggio odierno? E perché il suo potere è stato estorto? Sono domande che conducono fino alla soglia del Segreto dei Segreti, custodito dai sacerdoti di Iside.

73 Vedi Rabelais, The Works of Mr Francis Rabelais..., cit.., libro IV, p. 144.

Capitolo primo1 H. Butler, Ten Thousand Saints. A Study in Irish and European

Origins, 1972, p. 319.2 N. Lewis, The Book ofBabel. Words and thè Way We See Tliings,

Iowa City, University of Iowa Press, 1994, p. 201.3 Ermete Trismegisto, Poimandres, i. 3 6-9. La citazione riportata è tratta

da un testo del IV secolo, Firmianus Lactantius, Divine Institutes, iv. 9., ed. 1747.

4 La parola tedesca Schrack pare derivi dal verbo schrecken, che significa «spaventare» o «terrorizzare», come fa Marte quando è in aspetto negativo. Boehme usa il termine con un significato molto particolare. Vedi C.A. Muses, Illumination on Jacob Boehme; thè Work of Diortysius Freher, New York, King's Crown Press, 1951.

5 Nell'astrologia tradizionale Marte governava l'Ariete, cui si attribuiva un influsso «positivo», e lo Scorpione, ritenuto «negativo», secondo una classifica-zione risalente al periodo pretolemaico. Con la scoperta di Plutone (il cui nome completo era Plutone-Lowell), avvenuta nel 1930, il dominio sullo Scorpione fu sottratto a Marte e assegnato al nuovo pianeta. 11 passaggio delle consegne era già stato anticipato in From Pioneer to Poet (pubblicato nel 1911) dalla teosofa Isabelle M. Pagan, la quale parlò di un pianeta transnettuniano Plutone come alternativa al tradizionale «lato negativo di Marte». Pagan suggerì anche un nuovo sigillo, un'immagine-specchio di Marte, che non risultò gradito agli astrologi e fu ben presto soppiantato dal simbolo moderno, che unisce le iniziali di Plutone e di Lowell.

6 Si tratta del velo, o dei veli, che rivestivano le statue delle dee negli antichi misteri. A Eieusi, secondo i testi della classicità, durante il rito in cui all'iniziato veniva conferito il massimo grado della perfezione, «dall'immagine della dea cadevano i sacri paramenti, e la dea si rivelava in tutto il suo splendore». Vedi A. Pike, Moni/s and Dogma of thè Ancient and Accepted Scottish Rite of Freemasonry, Charleston, 1871, p. 433.

7 L'inaugurazione di ogni nuova statua di Buddha è preceduta da un rito de-dicato «all'inserimento dell'occhio» sulla faccia del dio.

8 Sulla Festa dei pazzi, vedi Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, Roma, Edizioni Mediterranee, 1964, p. 36.

9 La navata che i pazzi in maschera percorrono è imparentata con la parola nave, associazione che non sfuggì all'autore della Narranschiff, Li nave dei folli.

10 La somiglianza fra i quattro caratteri ebraici con cui si scrive alhon e quelli che indicano l'atanor, «fornace», ha eccitato la fantasia di molti esoteristi. Il rapporto arcano fra l'asino (che è il simbolo del corpo fisico) e la

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fucina-forno degli alchimisti (anch'essa simbolo del corpo fisico) è rispecchiato da molti altri elementi oltre a quello fonetico.

L'immagine dell'asino quale creatura di Dio non è legata soltanto al simboli-smo di Cristo, che già acclamato re entra a Gerusalemme cavalcandone uno, ma è legata anche al mistero dell'asina di Balaam, che, al contrario del suo padrone, riusciva a vedere nel mondo spirituale.

Quanto al termine atanor, che indica il crogiuolo degli alchimisti, deriva dall'arabo al tanmur, che significa «fornace». Mentre la parola araba pone l'accento sul calore, la sua derivazione alchemica esalta la funzione trasformatrice. L'ata- nnr era simbolo perfetto del corpo umano, il quale è spiritualmente efficace soltanto entro una gamma ristretta di temperature.

11 Due sono le etimologie di Gerusalemme: o la si fa derivare da yera e shalem, il cui significato è «fondamento di pace», oppure da yerush e shalem, «possesso di pace».

12 Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, cit., p. 36.13 La visione della regina di Saba è raccontata da Jacopo da Varazze,

monaco del XIII secolo, nella sua Legenda aurea, la stessa che Piero della Francesca illustrò con i suoi magnifici affreschi, terminati intorno al 1458, nella chiesa di San Francesco di Arezzo.

14 Fulcanelli potrebbe aver ragione nello stabilire un nesso fra sabba e Saba. Su sabba, nel significato di convegno di streghe, non c'è accordo fra gli studiosi. Il termine compare in Nicholas Jaquier intorno al 1458, ma le storie di streghe, con il diavolo come invitato, circolavano («inventate apposta», dice Robbins) fra gli investigatori e i giudici già nel XIV-XV secolo. Poiché nelle prime, fantastiche descrizioni veniva usata la parola sinagoga e gli ebrei erano spesso bersaglio delle persecuzioni religiose, non è escluso che la parola ebraica, sabbath, riferita all'omonima festività religiosa, sia stata «trasferita» a un altro gruppo perseguitato, le streghe. R.H. Robbins, The Encyclopedia of Witchcraft and Demonology, New York, Crown, ed. con. 1959, p. 415.

15 La frequenza con cui compare l'immagine del Matto sulle filigrane testi-monia probabilmente la loro natura esoterica. Sull'influenza dei primi gruppi ereticali su questo tipo di disegno, vedi H. Bayley, The Lost Language of Symboli- sm, London-New York, ed. con. 1988, la cui tesi è che le prime filigrane - apparse nel XIII secolo, quando fu introdotto in Europa il metodo di fabbricazione della carta importato dalla Cina dai mercanti arabi - costituivano un sistema coerente di simboli imbevuti di sapienza occulta.

16 H. Bayley, The Lost Language of Symbolism, cit., pp. 30-31.17 G.J. Witkowski, L'Art profane à l'église, 1908. L'autore dimostra una

scarsa conoscenza delle cose arcane: il suo interesse è tutto rivolto alla sopravvivenza di elementi pagani e a un simbolismo morboso sul quale dà ben poche spiegazioni. Non è escluso che proprio perché così parco di parole il libro deliziasse tanto il maestro.

18 Sarebbe stato magnifico se il maestro avesse potuto consultare quella splendida opera moderna di C. Gaignebet e J.D. Lajoux, Art Profane et Religion Populaire au Moyen Age, pubblicata nel 1985. Il libro si riallaccia in parte a Witkowski, ma rivela una conoscenza ben più profonda del significato arcano dell'arte esoterica e popolare nel Medioevo. È comunque con vero piacere che si guardano le fotografie di alcune xilografie di Witkowski.

19 Vedi J. Cage, Goethe ori Art, 1980, p. xv.20 G.J. Witkowski, L'Art profane à l'église, cit., pp. 180-181, figure 7-8. Il

portico sulla facciata occidentale della chiesa di St-Pierre in cui si trovano è stato gravemente danneggiato dalle intemperie, e di conseguenza per gli studiosi le incisioni di Witkowski sono per certi aspetti più utili degli originali.

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Note

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21 In inglese e in italiano la parola «rospo» perde parte del suo valore simbolico rispetto al francese crapaud, il cui suono ricorda crapule, che significa «persona di facili costumi».

22 Paracelso chiamava l'eterico ens veneni - il principio del veleno - ma la definizione corrente era ens vegetabilis.

23 Per un esempio di vegetabilis nel senso di eterico, di animalis nel senso di astrale e di mineralis per indicare il corpo fisico, vedi l'incisione sul frontespizio di J.J. Becher, Mille Hypotheses Chymicae de Subterraneis, 1668.

24 «Possessione» deriva dal verbo possidere che significa «prendere possesso di qualcosa». La sua etimologia, da potè, «potente», e s/do, «sto seduto», rende molto bene l'idea della possessione demoniaca, di un essere potente insediato dentro di noi, e in tal senso possidere era usato in latino fin da tempi antichissimi.

25 Witkowski afferma che l'incisione è ispirata a una miniatura contenuta nel-la traduzione francese deli'Apocalisse di Giovanni, Bibliothèque Nationale, ms n. 7013. Vedi G.J. Witkowski, L'Art profane à l'église, cit., p. 181, figura 213 bis.

26 Come mostra l'incisione, nel rito battesimale medievale il battezzando ve-niva immerso totalmente nell'acqua, per tre volte, nel nome della Trinità. Il ruolo iniziatico del fonte battesimale è ben illustrato in una delle incisioni alchemi-che della serie contenuta nello Splendor Solis: vi si vede un uomo barbuto immerso fino al collo in una grande vasca, la cui acqua viene riscaldata dall'al -chimista che soffia aria nella fornace.

27 La parola idus pare contenere l'idea di divisione, e si ritiene che per questa ragione sia passata a indicare la metà del mese. Le Idi cadevano il giorno 15 in marzo, maggio, luglio e ottobre, e il 13 negli altri mesi. Poiché in questa data si dovevano pagare gli interessi sui prestiti, le Idi erano associate all'idea di risarcimento, indennizzo, e quindi il termine conservava un sentore della qualità lunare della sua radice sanscrita.

28 Lucio Apuleio, L'asino d'oro, libro XI, 25 (Milano, Mondadori, 1998, p. 461).Al termine della sua lunga iniziazione, preceduta dalle tribolazioni subite nella pelle dell'asino, Lucio entra a far parte del collegio dei pastofori, i sacerdoti cui spetta il compito di portare le immagini nei misteri isiaci. Ma il postos, oltre a essere una teca, era naturalmente anche una bara: la parola è ancora in uso nelle scuole iniziatiche ed è il simbolo della forma esteriore che contiene lo spirito. L'asino era dunque soltanto pastos, ossia la forma che ha permesso a Lucio di trasformarsi.

29 A Roma si celebrava Ylsidis Navigium, festa durante la quale una nave riccamente equipaggiata e decorata veniva sospinta al largo in offerta alla dea. 11 culto di Iside aveva altre ricorrenze: il 20 marzo si celebravano le Pelusia, connesse con l'inondazione del Nilo, mentre l'ultimo giorno di novembre toccava alle Heuresis, che ricordavano i patimenti di Iside durante la ricerca del corpo dello sposo Osiride.

30 Apuleio, L'asino d'oro, libro XI, 23 (idem, p. 457). Con linguaggio criptico, Lucio dice: Per omnia vectus elemento remeavi, «Poi tornai indietro, passando attraverso tutti gli elementi», esprimendo in tal modo l'idea che sia uscito dal corpo per essere quindi restituito alla pesantezza dei quattro elementi che lo compongono.

31 Apuleio (idem, p. 457) scrive: Noe te medio vidi solem candido coruscantem lu- mine, «A mezzanotte vidi risplendere il chiaro fulgore del sole», frase che d ricorda una bella canzone dei primi anni Sessanta, Midnight Sun. La canzone aveva un non so che di misterico: la cantava June Christy e

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faceva parte di un suo album, Something Cool, inciso intorno al 1959. Questa cantante aveva in repertorio diversi pezzi con ciliare allusioni arcane, e l'esecuzione faceva pensare che ne conoscesse il significato riposto. June Christy è morta nel 1990.

32 Sul fraintendimento del termine peplos vedi H. Zimmer, The Indiati World Mother, in The Mystic Vision. Papers from thè Eranos Yearbooks, 1969, voi. VI, p. 78.

33 Si tratta di M. Briquet che, per la precisione, ha raccolto 1133 esemplari di unicorno in filigrana. Vedi H. Bayley, The Lost Language of Symbolism, cit., p. 23.

34 Nel Medioevo clero e laici erano nettamente separati. I religiosi avevano «ri-legato» (re-ligio) la loro fedeltà a Cristo, legame che permetteva loro non soltanto di prendere il Sangue e il Corpo di Cristo durante la messa, ma di avere accesso a parti della chiesa vietate ai profani. Il coro chiuso di San Miniato al Monte a Firenze era vietato ai comuni fedeli e il pulpito era posto in modo tale da servire sia la parte riservata sia il resto della chiesa. Questa separazione venne eliminata con le riforme del XIII secolo, ma tracce di parti destinate agli iniziati esistono tuttora in vari luoghi: Vezelay in Borgogna, per esempio, ha il nartece, Chartres il labirinto, San Miniato il cerchio zodiacale, la Sacra di San Michele lo Scalone dei morti, e così via: tutti punti in cui il neofita doveva sostare davanti ai misteri. L'idea di vedere nelle chiese dei ricettacoli di saggezza arcana, idea legata alle regole iniziatiche, sparì con il Medioevo, ma anche se così non fosse stato, a eliminarla avrebbe provveduto il concilio di Trento, che decretò, fra l'altro, il trionfale prevalere della burocrazia sull'arte.

3® La parola zelatore deriva dal greco zelotes, poi latinizzato, che significa «ardente di gelosia».\Jslon si tratta però di una normale gelosia. La parola contiene la nozione di amore intenso: il verbo latino zelo significa infatti anche «amo intensamente». Nella letteratura ermetica questa gelosia bruciante è rivolta alle cose più alte; l'allievo ha un amore geloso per la visione superiore di cui gode il

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maestro ed è proteso a conquistarla. L'aggettivo moderno «zelante» conserva ancora un pizzzico dell'originaria intensità.

36 L'idea che tutta la materia attenda di essere redenta viene espressa in alchimia e nella letteratura ermetica con l'immagine della prima materia (primo ma feria) che sta alla base dell'Opera. Nel linguaggio segreto dell'esoterismo - la Lingua Verde - la materia viene scissa in ma e ter. Essa è la Grande Madre originaria, la Mnter, la Madonna, lo spirito che sta dentro le cose. Ma è anche ter, la terra, la scoria. 1 vari gruppi esoterici descrivono in modi diversi questa separazione fra spirito e terra, ma quasi nessuno nasconde interamente il segreto della scissione. Boehme separa la prima materia in Fuoco e Terra, ma precisa che esistono varie forme di Fuoco, secondo una delle regole ermetiche fondamentali che allude al segreto dell'intera Opera. A livello microcosmico o umano (come indica l'iniziato Albert Pike), la Grande Opera consiste nell'autocreazione dell'uomo: dall'uomo-Terra egli crea l'uomo spirituale, l'uomo-Fuoco o uomo igneo (A. Pike, Morals and Dogma, ed. con. 1906, p. 773 sgg.). La pietra degli alchimisti (e anche dei veri massoni) deve essere lavorata e ben squadrata. La pietra angolare è la prima materia, ed è per questo che si dice porti inscritto il Nome. Questo, mai pronunciato davanti a chi sia ai primi stadi dell'iniziazione, è il nome di Dio, la goccia di divino che deve essere liberata dalla pietra per tornare alle proprie origini. E la Spada nella roccia del ciclo arturiano.

37 Michael Maier era Rosacroce e alchimista. Arrivò in Inghilterra nel 1612 e imparò velocemente la lingua, tanto che tradusse in latino l'opera alchemica di Norton, Ordinai of Alchemy. Durante i quattro anni che trascorse in Inghilterra scrisse diversi libri di ispirazione alchemica e rosacrociana, fra cui il «geroglifico» Arcana Arcanissima del 1614, che, come ha dimostrato di recente S. Klossowski de Rola (The Golden Game: Alchemica! Engravings..., cit., p. 60) fu pubblicato a Londra.

38 La dea della Luna, Selene, addormentò il pastore Endimione per possederlo.

39 H. Khunrath, Amphiteatrum sapientiae aeternae, cit., figura 5. Il motto Dor- miens vigila («Nel sonno, vigila») si trova alla base dell'architrave nel punto centrale dell’immagine. Mark Hedsel sceglieva con cura le parole: benché stampato alla vigilia del XVII secolo, il privilegio concesso da Rodolfo II indica che l'opera era già stata completata nel 1598.

4° VV. Law, The Works of facob Behmen, thè Teutonic Theosopher, 1772.

41 Ermete Trismegisto, «il tre volte grandissimo», era il nome che i greci assegnavano all'alto iniziato Thot, cui si attribuiva l'origine di tutta la letteratura ermetica. La citazione qui riportata è una delle più famose di tutto il canone ermetico: insieme alla benedizione, costituisce l'incipit della Tavola di Smeraldo, che tanta influenza ha esercitato sulla letteratura alchemica e rosacrociana. La versione latina si trova in H. Khunrath, Amphiteatrum Sapientiae..., cit.

42 La ricca tradizione astrologica araba cominciò a filtrare in Europa fin dal X secolo, ma si affermò soltanto fra l'XI e il XII, periodo in cui i simboli astrologici vennero assorbiti dall'architettura cristiana. Vedi F. Gettings, The Secret Zodiac. The Hidden Art in Medieval Astrology, London, Routledge & Kegan Paul,1987.

431 nomi delle costellazioni, incisi sui bassorilievi, sono Aquila, Delphinus, Pegasus, Deltoton, Orion, Lepus, Canis, Anticanis, Pistrix, Eridanus, Centaurus, Cetus, Notius, Ara e Hydra. Una breve analisi si trova in G. Gaddo, La Sacra di San Michele in Val di Susa, 1977.

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44 Le date sono state confuse. Dall'invito ufficiale, risulta che la conferenza si tenne alle 12.30 di venerdì 25 agosto 1961.

45 Conoscevamo già un Nicolaus (o Nicholaus), lo scultore che aveva esegui-to lo splendido pulpito della cattedrale di Bitonto e diversi monumenti dell'XI secolo nel Sud d'Italia, ma lo avevamo scartato per ragioni stilistiche. (Vedi, per esempio, G. Mongello, Bitonto nella storia e nell'arte, 1970, p. 81). 11 Nicolaus della Sacra di San Michele era probabilmente una persona completamente diversa.

46 Purtroppo, anche quando il codice medievale fu finalmente decifrato, l'i -dentità dello scultore continuò a restare ignota.

47 II complicato testo in latino maccheronico, con sfumature di natura alche-mica, astrologica e persino cabalistica, recita: Dilexi secreta loca qui in arbore erant hosticfactus est/luminosus lapis cibus ante animalis et recedens de suprema/rami arbor radicibus evulsa in terra quod ila domus ipsa/fumabat.

48 A quel tempo ci si poteva avvicinare liberamente alla porta di bronzo; poi le è stata aggiunta davanti un'altra porta di legno, sicché una parte delle figure, che si stagliavano nitide alla luce del Sole nel tardo pomeriggio, resta ora in ombra.

49 In esoterismo le forze nella testa (Ariete) sono connesse con il passato, mentre quelle nei piedi (Pesci) riguardano la vita futura. Il pannello illustra con grande immaginazione Matteo 14, 3-11.

50 II simbolismo di una parte consistente dell'arte medievale deriva dalle tra-dizioni astrologiche arabe appena adottate dagli architetti cristiani. È questa la ragione per cui il suo significato più profondo sfugge agli storici digiuni di astrologia.

51 L'uso del pannello offriva la possibilità di realizzare quella che i critici mo-derni chiamano una «rappresentazione continua»: il tempo viene condensato, e azioni che nella narrazione sono separate vengono raffigurate su un unico piano spaziale. È una tecnica molto antica, risalente all'arte egizia, fondata sul concetto che l'immagine è eterna, ossia è «al di fuori del tempo».

52 11 vegetabais - o eterico - è rappresentato sotto forma di albero.53 Ma forse si sarebbe anche potuto chiamarla ens veneni, perché il

termine usato da Paracelso nel XVI secolo doveva essere già allora in circolazione fra gli iniziati, quali erano sicuramente gli artefici delle porte.

54 La «discordia nel patto delle cose» è una citazione da Boezio (De Consolatio- ne Philosophiae V.iii), ma sembra che qui Hedsel abbia pensato a quella perfetta chiosa poetica di Boehme che sono le ultime pagine dell'introduzione di H. Waddell a The Wandering Scholars, ed. con. 1932. Boezio ricerca i principi nascosti dietro le forme, affermando che la nostra anima ottusa (l'anima addormentata, racchiusa nella carne, caecis obnita membris) non conosce le leggi segrete che con un patto legano fra loro le cose. In una parola, egli lamenta la nostra incapacità di discernere la quintessenza. Il «patto fra le cose» è il patto fra i quattro elementi, che viene mantenuto integro dal quinto, la quintessenza.

55 L'iscrizione latina sul pilastro dice, Flores cum beluis cowmixtos cernitis («vedrete mescolati fiori e bestie»). Nel linguaggio esoterico medievale, i fiori si riferiscono al piano della quintessenza o eterico, e gli animali a quello astrale. Il latino è volutamente ambiguo, perché allude non soltanto ai medaglioni zodiacali, ma anche agli emblemi sovrastanti l'animale terrestre e l'acquea sirena, posti sui capitelli alla sinistra della porta. Sopra le due figure si trova un cartiglio con medaglioni recanti i sigilli dei pianeti, ma raffigurati in modo tale da essere riconosciuti soltanto daglUniziati.

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Note

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56 La mandorla mistica o vesica piscis a forma di fiamma ha una notevole somiglianza con il geroglifico egizio ru. Su questo portale di bronzo, interamente cristiano, si trovano in realtà diversi elementi interessanti che appartengono alla tradizione ermetica. La stella a cinque punte, sospesa sopra il capo degli stupefatti pastori, proviene direttamente dall'interno delle piramidi: è un tardo sviluppo del geroglifico egizio sba.

57 Su Giuseppe d'Arimatea in Inghilterra, vedi L.S. Lewis, St Joseph of Ari- mathea at Glastonbury, 1955. Il pensiero di Blake su Giuseppe d'Arimatea è esposto con chiarezza da S.F. Damon in A Blake Dictionary, Providence, Brown Unive- rity Press, 1965. Vedi in particolare le pp. 224 e 225 e il racconto di come Blake abbia trasformato la sua antecedente copia di un'incisione ispirata a Michelangelo nell'immagine di «Giuseppe d'Arimatea fra le rocce di Albione», in Albiort, la sua visione dell'Inghilterra.

58 Intorno all'anello di fuoco di Shiva ci sono quarantaquattro fiamme, ma poiché esso è visibile da entrambi i lati, il totale è di ottantotto,

59 II pannello illustra Esodo 4,18 sgg., ma qui Mosè è solo. La bacchetta miracolosa (il bastone di Dio) che egli ha in mano ha un significato profondo nella tradizione esoterica: è infatti la prima volta, almeno nelle Scritture, che si parla di un essere umano dotato di simili poteri. La domanda da porsi è: chi è il «servo del bastone di Dio»? 11 mago che cavalca l'asino o l'asino stesso? («È triste, o servo del bastone, che il basto della sfortuna ti sia rimasto incollato addosso» lamenta un poeta medievale irlandese, citato da H. Waddell. Vedi W. Stokes, Thesaurus Palaeohibemicus, p. 290).

60 Secondo la mitologia medievale il gatto salvò l'arca di Noè (simbolo delle scuole arcane) da un topo che ne rosicchiava il legno. Mentre il gatto divoravalo scellerato topo, una rana si infilò nel buco, tappandolo e mettendo cosi al si -curo l'arca. Il gatto pio e il topo diabolico costituiscono un tema popolare nella letteratura e nell'arte medievali. Vedi per esempio la storia di San Francesco in P. Dale-Green, Cult of thè Cat, Boston, Houghton Mifflin, 1963, p. 34. Il gatto (cut, in inglese), secondo una delle stravaganti etimologie predilette a quell'epoca, «sta di guardia» (captai) e ha una vista così acuta che con i raggi dei suoi occhi - raggi di luce lunare, dicono le fonti classiche - perfora l'oscurità. Vedi per esempio T.H. White, The Book of Beasts, 1956, pp. 90-91. Quanto alla domanda di Hed- sel non si sa quale risposta si aspettasse dalle due americane. Forse pensava al nesso fra l'immagine sull'arco e la Festa dei pazzi, che parodiava l'ingresso di Gesù a Gerusalemme. Quella dell'ingresso è un'immagine iniziatica, che anche nel normale simbolismo rappresenta il trionfo di Cristo sulla morte, allorché egli entra nella «città eterna», che è la Gerusalemme di Salomone. Il «trionfo sulla morte» è espresso dalla parola tedesca Palmesel - «l'asino delle palme» - con cui si indicavano le grandi immagini di Cristo in sella all'asino che venivano portate in processione nel Medioevo. La palma - che un tempo era un simbolo esoterico - ora è semplicemente il simbolo del trionfo sulla morte. Sul gatto nella tradizione esoterica, Fulcanelli osserva che in una delle lingue sacre il geroglifico ka indica il gatto e le sue vibrisse sono considerate raggi di luce divina. Questa concezione trova un riflesso nell'esoterismo del Chat-Noir: il gatto nero è il gatto buio, tenebroso, l'oscuro ka, lo spirito eterico. Il gatto nero è dunque quasi il contrario di ciò che si ritiene comunemente: è sicuramente l'eterico umano che viene portato da Cristo a Gerusalemme per esservi redento. Vedi Fulcanelli, Le dimore filosofali, clt.

61 La porta, brutta e poco funzionale, era stata aperta alla fine del XIX secolo, ma nella seconda metà degli anni Ottanta fu ripristinata l'entrata attraverso il portone principale.

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62 P. D'Ancona, The Schifanoia Months of Ferrara, 1955. Seznec ritiene giustamente che le immagini ancora visibili nelle fasce superiori rappresentino le dodici divinità dell'Olimpo. Ma le figure circostanti non sono, come egli ritiene, i loro «figli», ma personaggi tratti da episodi della mitologia riguardante l'Olimpo. Vedi J. Seznec, The Survival ofthe Pagati Gods—, cit.

63 Dei dodici scompartì che costituivano l'intera decorazione ne sono rimasti sette, relativi ai mesi da marzo a settembre [N.d.R.].

64 Francesco del Cossa (1436-1478) lavorò a lungo a Ferrara e fu in parte in-fluenzato da Cosmè Tura. Cossa e i suoi aiuti non dipinsero l'intero cido di pa-lazzo Schifanoia; per esempio, la decorazione del Mese di Settembre è forse opera del giovane Ercole de' Roberti.

65 1 decani sono di origine egizia. Gli elenchi più antichi sono probabilmente quelli ritrovati sui coperchi dei sepolcri di Asiut, datati intorno al 2300 a.C. I trentasei decani dell'astrologia egizia pare fossero in origine molto diversi da quelli giunti in Europa attraverso l'astrologia araba. Per alcune brevi note sul «sistema stellare di dieci giorni», vedi C. Fagan, Astrological Origins, St Paul, Llewellyn, 1971, capitolo VII. Fagan ipotizza, abbastanza sensatam’ente, die i decani fossero inizialmente pentadi e riguardassero soltanto la parte visibile della volta celeste. Gli archi zodiacali sarebbero stati divisi in sei parti, a loro volta suddivise in settantadue parti di cinque gradi ciascuna. E certo, comunque, che al tempo in cui il sistema venne trasmesso in Occidente non si parlava più di pentadi, bensì di decani. Per uno studio classico - e accademico - dell'argomento, vedi W. Gundel, Dekane und Dekanensterbilder, 1936.

66 II termine latino facies («faccia») viene spesso impiegato in modo non chiaro nella letteratura più antica, forse perché le trentasei divisioni originarie erano pentadi anziché decani. In alcuni documenti medievali il termine talora indica anche le immagini, i simboli, ossia i trentasei cosiddetti «geni» che si riteneva dimorassero nei decani. Con il Rinascimento, tuttavia, «facda» e «decano» divennero intercambiabili.

67 11 calcolo del pianeta signore di ogni decano variava da sistema a sistema. Nella sala dei Mesi, il primo decano dovrebbe essere dominato dal governatore del segno (così nella figura 31 il primo decano dei Pesci è sotto il dominio di Saturno, come il segno stesso); il secondo decano dovrebbe essere governato dal pianeta che viene dopo nella sequenza discendente dei cieli, cioè Giove, e il terzo da quello ancora successivo (che, sempre nel caso dei Pesci, è Marte).

68 II nome della città di Ferrara ha la stessa etimologia di ferraio, ossia fabbro. L'archetipo del fabbro era Vulcano, patrono degli alchimisti. Ferrara, a metà del- l'VIII secolo, era il Ducatus Ferrarne. È forse questa la ragione per cui a Vulcano viene assegnato un ruolo così importante nella sezione dedicata alla Bilancia.

69 Le vestali erano sacerdotesse di Vesta. Ufficialmente esse avevano il compito di mantenere accesa la fiamma sull'altare della dea, ma in realtà erano al servizio di una scuola esoterica che aveva per simbolo la fiamma: il legame con il dio del fuoco Vulcano appare evidente. In origine le vergini vestali erano due, poi divenute quattro; ma al tempo della Roma storica erano sei, e prestavano servizio per trent'annì\ Avevano l'obbligo, pena la morte, ddla castità, e perciò Ilia sapeva a quale punizione sarebbe andata incontro, unendosi a Marte. Per gli

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amanti delle associazioni arcane fra l'alchimia e la Via del Matto ricordiamo che la creatura sacra a Vesta era l'asino.

70 La settima scimmia, come si addice alle migliori tradizioni simboliche al-chemiche, non si vede, perché è sul lato nascosto del carro.

71 II nome di Schifanoia è legato all'italiano «schivar la noia». In origine l'edificio era una sorta di luogo delle meraviglie, dove la famiglia d'Este si ritirava di tanto in tanto per distrarsi e ristorare lo spirito.

72 Sull'influenza di questo monaco-profeta del XII secolo, vedi M. Reeves, The influence of Prophecy in thè Later Middle Ages: a Studi/ in Joachimisin, Oxford, Cla- rendon Press, 1969.

73 II sigillo del Leone è »0 e la lettera M è o ^ .74 Richard aveva ragione sull'autrice, ma si sbagliava sul libro in cui compaiono i

versi. La poesia è citata nell'originale latino da H. Waddell, nel suo immortale The Wanderitig Scholars, ed. con. 1934., p. 75.

75 Su Vettio Valente, vedi Riess, Philogus. Suppl. Frag. 1. Per alcuni dei suoi oroscopi, vedi. O. Neugebauer e H.B. Hosen, Creek Horoscopes, Philadelphia, American Philosophical Society, 1959.

76 La citazione è tratta da G.R.S. Mead, Thrice-Greatest Hermes..., cit., in cui l'autore la tradusse dal greco.

77 Giuliano l'Apostata, Oratio IV. 1 passi più importanti dell'orazione, nella traduzione di W.C. Wright, sono riportati in H. Leisegang, The Mystery of thè Ser-perli, in The Mysteries. Papers from tlie Eranos Yearbooks, Bollingen Series, 1971, p. 202 sgg.

78 Sui sigilli eterici, vedi F. Gettings, Dictionary of thè Occnlt, Hermetic and Al- chemical Sigiìs, London, Routledge & Kegan Paul, 1981, alle voci «Akyasha», «Etheric» e «Quintessence».

79 Avevamo avuto il sospetto che occorresse spezzettare il lungo periodo riportato nel codice, ma fu soltanto quando Richard Dayton riconobbe l'importanza delle prime tre parole che capimmo come suddividerlo. Abbiamo dato all'insieme una parvenza di ordine separando il testo, che si presenta ininterrotto, in sette sezioni, in base al significato verbale. Sette è il numero prediletto nelle codificazioni medievali. Le osservazioni che seguono provengono da note stese in un lungo arco di tempo, ma il segreto fu strappato al codice quel martedì a Ferrara. La soluzione proposta è la seguente: Dilexi secreta loca/Qui in arbore erant/Hostic factus est luniinosus/Lnpis ci bus ante anirnalis/Et recedens de suprema rami/Arbor radicibus evulsa in terra/Quod ita domus ipsa furnabat.

La traduzione, prima della decifrazione, risulta piuttosto oscura, ma suggeriamo comunque la seguente: «Ho amato i luoghi segreti/Che erano sull'albe- ro/Il sacrificio fu reso luminoso/La pietra davanti al cibo dell'etere/Che cadeva dai rami più alti/L'albero fu strappato alle radici dalla terra/Sì che la casa stessa esalava vapori».

Il testo sembra avere un contenuto esoterico, perché successivamente nella stessa poesia latina si accenna al canto dell'usignolo: Philomena iarn cantal in alto, «perché Filomela già canta su in alto», allusione inequivocabile alla Lingua degli Uccelli, uno dei nomi attribuiti al linguaggio segreto dell'occultismo. L'ambigua lettera m in luminosus ci ha indotto a pensare che la luminosità del terzo verso si riferisca al Sole (che governa il Leone). Ne abbiamo avuto conferma quando siamo riusciti a individuare una delle tre, o forse quattro, fonti della poesia.

La fonte dei primi quattro versi sembra essere in parte un testo esoterico cristiano che narra una visione di Giovanni da Parma. (Vedi Archiv filr nitrature uud Kirchengescliiclite dei Mitlelnlters, 1885, voi. II, pp. 126-127 e 280-281, che ci è slato prezioso per la decifrazione.) Il terzo verso, completato seguendo la visione, dice... luininosiis sicut Sol, «luminoso come il Sole», e ci ha confermato nell'idea che il codice Leone-M si riferisce al Leone o al pianeta che lo governa, il So le. La curiosa espressione contenuta nel quarto verso - cibus nule nnimnlis, «la pietra

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davanti al cibo dell'etere» - oggi è di difficile comprensione, ma in epoca romana e medievale indicava il nutrimento deU'aria, cioè della quintessenza, vale a dire del corpo santo e invisibile di Cristo nell'eucarestia.

La codificazione della parola piscibus nel quarto verso (Lapis cibus) suggerisce che il cibo vivente dell'Aria (cibus... animalis) è Cristo, il nutrimento segreto. L'i-potesi è avvalorata dal fatto che nell'iconografia medievale Cristo è spesso raffi-gurato simbolicamente in guisa di Pesce. Poiché Egli nuota nell'elemento acqueo, questo significa che il nutrimento aereo segreto è stato portato sulla Terra forse attraverso il mistero del battesimo. Secondo la fonte di Giovanni da Parma, chi non beve questa Aqua Vilae sarà perduto quando la pianta verrà sradicata. Lo sradicamento della pianta si presta a più livelli di interpretazione. Riteniamo co-munque che si riferisca «all'albero» che è nell'uomo, vale a dire la sua spina dorsale, per cui lo sradicamento della pianta equivale alla morte.

Una volta stabiliti i principi con cui il testo era stato cifrato, e individuate le fonti, divenne abbastanza facile interpretare alcuni dei suoi significati nascosti. La parola hostic (terzo verso), per esempio, non esiste, a quanto ne sappiamo, in latino, ma con Hostia gli astrologi medievali indicavano alcune stelle appartenenti alla costellazione del Ceutaurus (una delle costellazioni raffigurate nell'arco della Sacra di San Michele). Hostia, d'altra parte, significa anche «sacrificio, vittima» ed è appunto l'associazione dell'idea delle stelle con il sacrificio a spiegare l'aggiunta della lettera c. Durante l'esperienza che Hedsel visse a Ferrara, quando egli capì che la parola cui si alludeva era Hostia, con tutte le sue connotazioni cristologiche, intuimmo che la c stava per Cristo, che veniva dalle stelle e fu sacrificato. «L'ostia» dell'odierno sacramento cristiano deriva appunto dal latino hostia. Ma hostic contiene anche altri significati, suggeriti dal fatto che la a cancellata di hostia è l'equivalente della lettera alpha greca e che nella tradizione esoterica omega è considerato il raddoppiamento della lettera c: uo • La trasmutazione delle forme è un simbolismo frequente nelle codificazioni gioachimite del XII secolo.

Abbiamo anche ipotizzato che nel recedens del quinto verso manchi una lettera, forse un tempo contrassegnata da un simbolo di abbreviazione. La ri minuscola mancante era uno dei simboli tardomedievali con cui si indicava Saturno.

L'ultimo verso, in cui la Terra esala lezzo di morte, pare tratto dall'Oraf/o prò Sextia di Cicerone. Il suo significato non è suggerito soltanto dal fatto che la fine del mondo è vista come l'effetto della crapula, ma anche dal fatto che un messaggio altrimenti cristiano termina con la citazione di un autore pagano: l'annuncio finale è che soltanto i pagani si perderanno e finiranno fra le esalazioni pestifere dell'infernp. In altre parole, l'inferno e la Terra sono diventati tutt'uno.

Alcune delle immagini delle costellazioni sull'arco della Sacra di San Michele trovano un evidente riflesso in questo strano latino maccheronico: per esempio,il pesce di Notius, così Vicino alV Ara, o Altare, quale vittima sacrificale oppure il riferimento esplicito al Ceutaurus. L'analisi completa di questo testo latino non rientra comunque nei nostri scopi: l'unica cosa che si voleva sottolineare era il suo nesso con la Sacra di San Michele.

80 La kalahamsa è l'uccello che sta «al di fuori dello spazio e del tempo», ma che nello spazio e nel tempo può discendere. L'hamsa, in sanscrito la parola si-gnifica «cigno», è stato spiegato attraverso diversi termini materiali che definiscono questo uccello come una creatura terrestre. Brahma è chiamato Hamsa- Vahana perché la sua cavalcatura, o corpo (vahana), è il cigno o l'oca. Il kalahamsa sembra essere l'equivalente del pellicano europeo: secondo Madame Blavatsky YEin-Soph (il senza fine e infinito) dell'albero cabalistico è «l'anima fiera del pellicano» (vedi per esempio The Theosophical Glossari/, London, The Theosophical Publishing Society, 1892, p. 134), ed è anche il cigno delle immagini alchemiche occidentali. Su un vaso greco del V secolo (vedi C. Kerenyi, The Mysteries oj thè

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Note

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Kabeiroi, in The Mysteries. Papers from thè Eranos Yearbooks, cit.), il sacerdote che celebra i misteri ha accanto a sé un cigno: i greci consideravano il suo canto il più bello fra tutti gli uccelli, benché l'animale cantasse soltanto in punto di morte. Il canto del cigno morente ha un suo significato specifico, perché i misteri, almeno al livello più basso, sono situati alle soglie della morte.

81 Nei Quattro Quartetti (trad. it. Milano, Garzanti, 1959) il poeta T.S. Eliot de-finisce la storia una serie di momenti senza tempo (Little Gidding), ma è evidente che egli usa l'espressione «senza tempo» nel senso di eterno.

82 Si dice che Vale, in latino «Addio», venga ripetuto tre volte in segno di rispetto per i tre corpi superiori della natura umana. Al posto di Vale alcuni esote- risti usano espressioni criptiche nel Linguaggio Verde, quali «i tre veli» o «le tre valli».

83 Ras in latino significa «rugiada», ma è anche la radice di «rosa»; i due signi-ficati nel Linguaggio Verde sono stati spesso associati nell'espressione «lacrime della rosa». Nel rosacrocianesimo, la Rosa è il sangue perfetto dell'Uno che morì sulla Croce.

Capitolo secondo1 J.G. Fraser, The Dying God, 1911, p. 75 sgg. Fraser, che aveva una sterminata

cultura mitologica, ma non era altrettanto ferrato in campo esoterico, interpretò la danza delle gru come un tentativo di favorire l'avanzare del Sole nel cielo. È così che le verità esoteriche vengono fraintese, anche dagli uomini colti.

2 Plutarco, Teseo, 21.3 Sappiamo per esperienza diretta che in certi stati di meditazione è possibile

percepire il moto della Terra. La sensazione non è tanto quella di un movimento spaziale, quanto di un lento rullio o di un'oscillazione, come se si partecipasse a una pigra danza. Ma anche questa esperienza, come tutte quelle che superano la soglia della normale conoscenza, è difficile da descrivere con esattezza.

4 Si tratta del The Most Holy Trinosophia oj thè Comte de St Germain. Il volume che abbiamo davanti fu stampato nel 1962 ed è una copia facsimile di mediocre qualità, tradotta in maniera accettabile da Manly P. Hall, che è autore anche del commento e delle note biografiche. Le note e le citazioni sono state prese quasi tutte dalla monografia di I. Cooper-Oakley, The Comte de St. Germain..., cit. Quanto all'affermazione che si tratta davvero del «più raro manoscritto occulto», di una copia fedele deH'originale di Saint-Germain, essa è tutta da verificare: si direbbe che il testo sia opera di qualche gruppo massonico degli inizi del XIX secolo, forse di rituale egizio, come, per esempio, i riti di Menfi. La «spiegazione» dei linguaggi in codice fornita da E.C. Getsinger non è di grande aiuto: il testo arcano è più trasparente del commento.

5 The Mosi Holy Trinosophia, cit., sezione 5.6 Ìbidem, p. 37.1 quattro blocchi in codice non sono ancora stati decodificati e il

manoscritto li definisce semplicemente «emblemi».7 Ibidem. L'uccello che si libra sopra l'altare,, simile nell'aspetto a una gru, ha le

zampe nere e le ali nere, il corpo argenteo, la testa rossa e il collo dorato. È dunque un uccello alchemico: il nero rappresenta Saturno, l'argento è la Luna, il rosso Marte e l'oro è il Sole.

8 Nella religione vedica era il principio generatore maschile, che assumeva aspetti terribli quand'era associato a Kali e ad altre divinità. Shiva viene spesso raffigurato come Nataraja, cioè Signore della danza, con la quale si diceva avesse fatto migliaia di adepti. Anche in questo suo ruolo egli appare come il sovrano delle energie sessuali, dei fuochi sotterranei, e viene talora raffigurato nell'atto di danzare dentro un cerchio di fuoco con quattro braccia e molte teste. Un aspetto interessante è costituito dal numero delle fiamme - quarantaquattro - poste lungo la circonferenza esterna (vedi, per esempio, Shiva che danza in P. Carus, The History of thè Devii

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and thè Idea ofEvil, ed. con. 1969,¡p. 94). Ma poiché le statue di Shiva sono concepite per essere viste sia frontalmente sia di tergo, il loro totale è ottantotto, un numero che in Occidente era spesso associato a immagini solari. Ognuna delle teste di Shiva è dotata del terzo occhio. Oltre a essere distruttivo, Shiva, però, è anche compassionevole e quando si congiunge nella danza con la sua sposa Parvati tutto il mondo è scosso da un tremito, a ricordarci che Shiva regnerà sulla sua fine.

9 T.S. Eliot, Quattro Quartetti, cit.10 I vasana sono ritenuti flussi di karma che, provenendo dal passato, si im-

mettono nel tempo. La definizione è tuttavia imperfetta, perché nei mondi superiori il passato scorre parallelamente al presente e al futuro. Si potrebbe di conseguenza dire che i vasana sono i nodi di interpenetrazione fra una sequenza temporale e l'altra.

11 Phos in greco significa sia «uomo» sia «luce», a seconda del suono, ed è questa parola, più che il termine Adamo, a denotare nei testi esoterici l'uomo evoluto, l'iniziato. La comune umanità viene qui designata con l'espressione «razza di Adamo», o «Uomini della fiamma», mentre l'umanità evoluta viene definita «razza di Phos», o «Uomini della luce».

L'idea di un corpo di luce compare nei gradi più alti del pensiero esoterico. 11 corpo trasfigurato di Cristo, per esempio, viene indicato con la parola greca Au- goeidiean, che significa «luce radiosa» o «splendente come il Sole»; così Cristo ap-parve a Giovanni negli Atti. Plutarco ricorre a un altro termine greco di significato analogo - photoeides, «simile a raggio» - per descrivere il sacro manto di Osiride, anch'egli risorto dal regno dei morti. Vedi De Iside et Osiride, Lxxvii.

12 Le varie interpretazioni sembrano suggerite dall'affinità fonetica fra dam, che vuol dire «sangue», e edom, «rosso»: i due significati spesso si intrecciano nei testi alchemici. (Vedi J. Doresse, The Secret Books of thè Egyptian Gnostici, cit., ed. con. New York, Viking Press, 1960, p. 175.) Ma c'è un terzo significato, nascosto, di cui Doresse non si occupa, che gioca sul fatto che anche il fuoco sia rosso: Adamo è «l'uomo di fuoco», l'uomo non redento. L'uomo più elevato, quello

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che attraverso l'iniziazione riesce a riscattare il fuoco interiore, perete il calore e diventa pura luce.

13 11 karma può essere redento soltanto con le opere e quindi con l'incarnazione in un altro essere. Per questo la rinascita è indispensabile. La differenza fra uomo di fuoco e uomo di luce, di cui parla la nota precedente, acquista nuovo significato in base a questa osservazione: l'uomo di fuoco dimora nelle fiamme del karma, che lo trattengono nel corpo di Adamo, mentre l'uomo di luce si è liberato dal karma.

14 II sale, tuttavia, è anche «fuoco potenziale e acqueo, vale a dire acqua terre-stre, impregnata di fuoco...». A Discolirse of Firn and Salt, Discovering Mamj Secret Mysteries, fu pubblicato anonimo da Richard Cotes e distribuito da Andrew Crooke al Green-Dragon in St Paul's Churchyard, 1649. L'alchimia parla di un fuoco visibile e di uno invisibile. La fiamma che si innalza ha due luci, una delle quali è bianca. La fiamma bianca è azzurra alla base, mentre quella che è «legata allo stoppino che brucia» è di colore rosso. Il residuo della fiamma - il fumo - è nero (in alto il bianco della fiamma, in basso il nero della materia). Nel gioco della fiamma della candela l'adepto scorge lo sforzo perenne della fiamma rossa di distruggere ciò che la nutre.

15 Numeri XVIII, 19.16 Cristo, in Matteo V, 13, dice: «Voi siete il sale della terra, ma se il sale diventa

insipido, con che lo si salerà?». Il sale della terra di cui parla il Vangelo non indica metaforicamente le persone semplici, come vuole l'interpretazione corrente, bensì gli iniziati. Questo significato si è perso nel corso del tempo, ma si è conservato in alchimia. Gli alchimisti ritenevano che il sale fosse un composto, formato dallo zolfo (con tutte le connotazioni sessuali che questo comporta e il forte legame con il fuoco) e dalle acque mercuriali. Gli alchimisti usavano in effetti l'espressione «sale della terra» come sinonimo di «Mercurio dei saggi», per indicare il prodotto finale dell'Opera, in contrapposizione al sale adamitico, ossia il sale rosso, che era lo zolfo dei saggi, ovvero l'uomo la cui nascita non era ancora terminata, nel quale il processo iniziatico era ancora in corso. Il sale adamitico è chiamato a volte pausai, o sale universale. Ma la gamma dei sali, o sostanze saline, utilizzati come simboli dei diversi stadi della Grande Opera, è talmente ampia da non poter essere presa in considerazione in questo contesto.

17 Con salinum nel Medioevo si indicava la «saliera». Il salinum veniva già usato dai romani durante i sacrifici e quindi possedeva profonde connotazioni religiose, forti quanto quelle della parola Salii e quasi certamente derivanti dalla stessa radice sanscrita. 11 salillum latino era «una piccola saliera», ma era anche una metafora per indicare «una vita breve». Nel Medioevo il salinum aveva un forte significato sociale: la saliera veniva infatti posta in tavola in modo tale da costituire un segno di distinzione tra i convitati: le persone che sedevano «più in alto del sale» e dunque più vicino al padrone di casa erano le più importanti. Nel Ce/iacolo di Leonardo da Vinci, Giuda rovescia involontariamente il salinum e il gesto è rivelatore del posto d'onore che egli occupava a tavola. È nostra opinione che l'importanza attribuita al salinum equivalga a quella riservata in alchimia alla fornace: anche la saliera era un'immagine dell'uomo, perché il sale racchiudeva in sé sia il rosso adamitico sia la luce. Il sale era perciò un simbolo molto efficace della perenne divisione fra gli esseri umani, i quali, detto in termini alchemici, sono adamitici o fosforici, e naturalmente nella fase di concepimento- ossia di formazione - sono a metà fra i due stadi. Nella tradizione alchemica il sale contiene sia il rosso sia il bianco e perciò può scindersi. È difficile, come si vede, parlare di queste interpretazioni alchemiche nel linguaggio modermo, che ha smarrito la sensibilità per i significati secondari.

18 Vedi, per esempio, le note tratte dalla sua opera Chirurgia Magna in A.E. Waite, The Hermetic and Alchemical Writings of Parncelsus..., cit., voi. II, pp. 28-29.

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19 Vedi M. Collins, Light on thè Palh, 1888, p. 29.20 E.C. Brewer, Brewer's Dictionary of Phrase & Fable, New York, Harper &

Row, 1963, p. 794: vedi «Spilling Salt», sotto la Voce «Salt».21 Vedi il Geheime Figuren dei Rosacroce. Una sua versione molto elaborata è

racchiusa fra le ali delle aquile a due teste nella terza fascia dell'incisione intitolata Mysterium Magnurn, ma è camuffata in modo da farla sembrare un simbolo cristiano del sale. Sotto questa forma, si tratta di un sale iniziatico, in cui il sigillo che lo rappresenta è associato al sigillo che raffigura il mondo, vale a dire l'orbe che Dio o Cristo sorreggono nell'iconografia medievale. Si tratta dunque del «sale della terra» di cui parla Matteo. I libri alchemici e rosacrociani contengono moltissime versioni del sigillo: vedi, per esempio, M. Hall, Codex Rosae Crucis, 1938, p. 49.

22 In latino salse significa «in modo arguto, faceto», e indica un modo di scrivere, saporito come la «sn/amoia»: mettere gli alimenti sotto sale era un modo molto comune per conservarli.

L'esoterismo distingue fra due forme di pensiero: quella mimetica, meccanica, guidata dai sogni, e quella creativa, che è una forma di pensiero percettiva e attiva. Quest'ultima è quella che Goethe chiama Anschauende Urteilskraft, «potere percettivo del pensiero», un modo di pensare che non è quello normale, come dimostra O.D. Wannamaker nella nota al lettore del Goethe thè Sdentisi di Rudolf Steiner (New York, Anthroposophic Press, 1950).

23 A Roma c'erano due collegi di Salii, composti ciascuno da dodici membri. I Salii indossavano l'antico costume guerriero italico e ì'apex, «elmo», conico. Sul braccio sinistro portavano lo scudo ornato con il lemnisco (nastro a forma di otto), che si diceva fosse la copia dell'ancile, lo scudo sacro donato a Numa da Giove. Che i Salii avessero un'origine marziale era evidente dai rituali che eseguivano all'apertura e alla chiusura della stagione delle campagne militari, rispettivamente il 19 marzo e il 19 ottobre. I loro balzi, e le danze elaborate che eseguivano, erano talora accompagnati da canti, gli axamenta, inni religiosi in origine incisi su tavolette lignee. Salii deriva dal latino salire, «saltare», e, attraverso il greco, dall'etimo sanscrito sai, che significa «andare». L'equivalente greco di salire, allomai (con una forte aspirazione sulla prima lettera) getta un raggio di luce sul significato della danza di Salomè.

24 II Palladio era una statuetta della dea Pallade Atena, che, secondo il mito, Giove aveva lanciato dal cielo a Ilio durante la fondazione di Troia. Dal Palladio dipendevano il benessere e la salvezza (salus) della città. Il Palladio fu rapito da Ulisse e Diomede, che così prepararono la strada alla distruzione di Troia. Giunto dopo molte traversie a Roma, il Palladio fu custodito nel Penus Vestae (il tempio di Vesta) e divenne il simbolo della prosperità della città. Salvato da un incendio che distrusse il, tempio nel 241 a.C., il Palladio - secondo una leggenda che potrebbe contenere\qualche verità storica - fu infine trasferito a Costantinopoli, dove venne sepoltò sotto una colonna dell'ippodromo, come talismano della città. Sulla sua sorte successiva abbondano le leggende, ma la sua collocazione è ignota. Molte città della Grecia e dell'Italia sostenevano di possedere il vero Palladio, proclamando di averlo ricevuto dal cielo, come i Salii il loro ancile.

25 Chiamavano quel vino guinguet, perché faceva saltare (guenguer) chi lo be-veva. Ma la parola ha perso questo significato e nel francese moderno la guiti- guette è diventata un'osteria periferica, di solito dotata di un piccolo giardino in cui si siedono gli avventori.

26 Fulcanelli fu il primo esoterista a esaminare apertamente le complessità dell'antico linguaggio arcano.

27 K.R. Johnson, The Fulcanelli Phenomenon, Jersey, Spearman, 1980. Poiché in realtà nessuno sapeva chi fosse Fulcanelli, furono fatte le ipotesi più fantastiche. Chi lo diceva un discendente dei Valois, chi vedeva dietro quel nome un libraio

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Note

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parigino, esperto di libri occulti, chi Jolivet Castelot, il presidente della Società alchemica francese e cabalista Rosacroce, chi semplicemente uno pseudonimo, dietro cui si nascondeva Canseliet...

28 Assistemmo a questa danza nel mese di agosto del 1952 nei pressi di Chan- gu Narayan. 11 bambino che la eseguiva apparteneva a un monastero tibetano: era una testimonianza dello straordinario eclettismo della vita religiosa dei nepalesi che accanto alla testa leonina di Vishnu si eseguisse una danza così intrisa del buddhismo esoterico della scuola tibetana.

29 In quel nome c'era qualcosa che non ci convinceva, neppure dopo che ci venne spiegato. Soltanto alcuni anni dopo, leggendo la versione W.Y. Evans- VVentz del Libro tibetano della grande liberazione, capimmo che l'interprete era stato impreciso. La parola sanscrita doveva essere mthah-drug, che significa «sei dire-zioni», ossia i quattro punti cardinali più lo zenit e il nadir. Il termine definisce perfettamente la natura della danza, durante la quale il danzatore deve mantenersi in contatto con lo zenith dei cieli e il nadir della Terra, e nel frattempo muovere le gambe, le braccia, la spina dorsale e la testa secondo specifici ritmi che, dopo tutto, sono soltanto movimenti esteriori.

30 M.R. James, The Acts of John, p. 228, ed. con. Oxford, Clarendon Press, 1975 di The Apocryphal New Testament (1924). Gli Atti furono messi sotto accusa e condannati dal secondo concilio di Nicea: la danza in tondo, con le parole cantate da Cristo, era considerata da molti un rito iniziatico, in cui Cristo fungeva da mista- gogo. Gli apocrifi Atti di Giovanni sono la testimonianza più antica che possediamo sul fatto che Cristo sottoponeva i suoi discepoli a un'iniziazione segreta e per loro incomprensibile. Per la versione latina della danza in tondo, Salvare volo et saivari volo, e per un esame più dettagliato della sua diffusione fino al IV secolo, vedi M. Pulver, Jesus' Round Dance and Crucifixion According to thè Acts of Si John, in The Mysteries. Papers from thè Eranos Yearbooks, 1955, ed. con. 1971, pp. 172-173.

31 M.R. James, The Acts of John, cit., p. 254. Dopo avere danzato con il Signore, i discepoli erano «come uomini smarriti o storditi dal sonno».

32 li docetismo sosteneva che il corpo di Cristo non era reale, ma soltanto ap-parente. 11 movimento aveva già perso gran parte del suo vigore nel IV secolo, poiché si era capito che senza la sofferenza di Cristo sulla Croce non ci sarebbe stata Resurrezione, né un vero mistero cristiano, e perciò questa corrente di pensiero fu comprensibilmente condannata come eretica.

33 La ragione di questa non comprensione sta nel rapporto che I'ego del discepolo (il suo corpo superiore) intrattiene con il maestro. In alcune vie - ma non in quella da noi seguita - all'allievo viene richiesto di subordinare la sua volontà a quella del maestro: in questo caso il problema della comprensione o incomprensione non si pone neppure. Nei metodi rosacrociani da noi adottati, l'approccio passa anzitutto attraverso la comprensione (il sale); da questa parte un impulso che si dirige verso la sfera emotiva (il mercurio), che a sua volta media la risposta e l'azione significativa proveniente dalla sfera volitiva (lo zolfo). Questa procedura era obbligatoria nei circoli rosacrociani in cui era vietato agire sulla volontà altrui, diversamente da quanto traspare dagli apocrifi Atti di Giovanni. Dopo la Crocefissione, infatti, il Signore ammette di avere influenzato il pensiero e la volontà di Giovanni.

34 Nella tradizione esoterica la profondità dell'incarnazione nel corpo fisico è un indice importante delle caratteristiche della personalità, di come i corpi superiori (quale l'eterico) possano operare sul corpo fisico. In genere, l'uomo si incarna più a fondo della donna: molte delle differenze psicologiche fra i due sessi dipendono dalla profondità dell'incarnazione.

35 Quest'espressione esoterica, che Hedsel impiega anche in un'altra occasione, è tratta dal Libro di Dzyan, dove si afferma che la seconda razza dell'uomo (quella evolutiva) è «nata dal sudore», cosa die potrebbe far pensare a un periodo

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ermafrodito dell'evoluzione umana, ma forse non è questo il pensiero di Hedsel. In alcune pratiche yoga (precisamente nel Laya-Karma), lo yogin viene sollecitato a visualizzare la formazione di un nuovo corpo celeste durante le tre fasi della respirazione, in base al concetto per cui la vita più alta si crea con il passaggio dal fuoco all'acqua. La visualizzazione crea un corpo di «nettare» che cade dalla luna. La citazione di Hedsel - «nati dal sudore» - se da un lato ricorda la rugiada (ros) del nostoc alchemico, dall'altro non è escluso che contenga anche un riferimento alle visualizzazioni che accompagnano la danza esoterica, nate dal «nettare» o da un liquido più terreno, quale «il sudore». Per cenni sulla visualizzazione yoga, vedi J. Woodroffe, The Serpent Power, 1928, ed. con. 1973, p. 243.

36 L'Epopea di Gilgameè è la storia dell'insoddisfazione di GilgameS, re di Ere- ch, per le imprese che ha compiuto. Egli incontra l'uomo del deserto, Enkidu, con il quale combatte per il possesso della prostituta del tempio che ha irretito il selvaggio. GilgameS ed Enkidu diventano amici e insieme partono alla ricerca della pianta della vita. Durante il viaggio Enkidu viene ucciso e Gilgames ottiene il permesso di visitare l'amico nelle tenebre degli inferi. Gilgames conquista infine la pianta della vita racchiusa nel fondo dell'oceano, ma non può trattenersi abbastanza a lungo per conservarla: la pianta gli viene sottratta da un serpente. GilgameS è una figura storica: fu il quinto re della dinastia sumerica e regnò, a quanto si dice, per centoventisei anni. Per un riassunto del mito, nella forma tramandata dalle tavolette ritrovate nella Biblioteca di Nabu a Ninive, vedi E.A. Wallis Budge, Babylonian Life and History 1884, ed. con. 1925, p. 86 sgg.

37 II nome della porta pare fosse quello di una stella, che corrispondeva ad Antares, l'alpha Scorpii. Questa stella, secondo nostre ricerche, era collegata alla ventiquattresima costellazione eclittica dei babilonesi e il suo nome significava all'incirca «Signore del seme». Fu soltanto molto tempo dopo, tuttavia, che co-minciammo a cogliere le sfumature esoteriche di questa porta ed esattamente quando intravedemmo un nesso fra la forma dell'embrione umano (il seme) e l'orecchio: Bilu, la porta,'aveva il compito di risvegliare il potenziale uditivo in chi l'oltrepassava. Ancora\oggi nella cosmologia indù questa stella è chiamata il «gioiello dell'orecchio di Ir\dra». 11 nome attuale della stella, Antares, di origine tolemaica, contiene invece l'idea di stella-guida, protettrice, in quanto significa rivale di Ares, ossia di Marte. Gli storici attribuiscono il nome Antares al colore rosso splendente dell'astro, che gareggia con quello di Marte, mentre gli esoteri- sti vi vedono invece una rivalità con il ruolo tradizionale di Marte come guerriero-protettore.

38 «A provocare questa confusione e i successivi commenti furono in parte i primi riferimenti cristiani a Satana»: vedi F. Gettings, Dictionary uf Demons. A Guide lo Demons and Deinonologists in Occult Lare, North Pomfret, Trafalgar Squa- re Pub., 1988, pp. 212-213.

39 Si ignora quale sia l'origine del nome Ladone; quanto alle Esperidi sono «figlie della sera». Nella tradizione stellare sono chiamate Pleiadi, dalla forma epica greca pleios, che significa «molti». Ma forse un significato di Ladone potrebbero fornircelo le stelle. Nelle mappe stellari il Draco o Drago è molto antico: risale per lo meno al persiano Azhdeha, o «Serpente-mangia-uomo». Secondo R.H. Alien, Star-Numes and Tlieir Meanings, New York-Leipzig, G.E. Stechert, 1899, Virgilio lo chiamava Muximus Anguis, il Grande Serpente, aggiungendo che scivola come un fiume fra le due orse stellari. Alien ipotizza che il nome Ladone attribuito al Drago derivi da questa similitudine virgiliana: con lo stesso nome infatti viene designato un fiume dell'Arcadia, affluente dell'Alfeo, che secondo gli antichi segnava il confine del giardino delle Esperidi. Alien riferisce anche un altro nome, Custos Hesperidum, «Guardiano delle Esperidi», ma senza citarne la fonte. Secondo il mito, Ladone fu ucciso da Ercole, che nella terza fatica dovette impadronirsi dei pomi d'oro. Il sottofondo esoterico delle fatiche di Ercole è analizzato da A. Bailey in The Labours of Hercules, ed. con. 1977; in particolare, l'autrice parla dei pomi d'oro, a p. 26 sgg.

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Note

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40 Cliakra è una parola di origine sanscrita, che significa all'incirca «ruota». I chukra sono cerchi di luce che soltanto i veggenti possono percepire sulla superficie del corpo umano: essi sono collegati spiritualmente con l'attività della colonna vertebrale. 1 cluikrn sono sette e culminano nel chakra della Corona, il più alto e splendente, che è situato nella testa.

41 Gli scrittori medievali discettarono a lungo sul termine inalurn, che significa «mela», ma anche «male», nella forma sostantivata dell'aggettivo inalus. Le due parole, in realtà, sono di origine diversa: la prima deriva dal greco meìea, che significa «melo», mentre la seconda risale all'aggettivo greco meìas, che significa «nero», «oscuro», «maligno». In A Discourse of Fire and Sali, Discovering Many Secret Mysteries, 1649, l'adepto dice: «... Sicché l'uomo non è altro che un albero spirituale piantato nel Paradiso delle delizie, che è la terra degli esseri viventi». Questo uomo-albero è piantato nella terra «per le radici dei capelli». Qui l'autore tocca l'essenza stessa dell'alchimia: la testa è il seme che deve essere piantato nelle tenebre della morte per rifiorire. Per un'analisi moderna, vedi U. Grahl, The Wisdom in Fairy Tales, 1955, ed. con. 1969, p. 16 sgg.

42 Le tre Esperidi erano Egle, Aretusa ed Esperà o Esperia (chiamata a volte a volte anche Esperetusa, che Maier trasforma in Hespertusa). Le Esperidi erano le custodi di luce del giardino, mentre Ladone era il custode di tenebra.

43 Michael Maier nacque a Rendsburg nel 1566 e studiò presso le università di Rostock, Norimberga, Padova e Basilea. Aveva protettori influenti: lavorò con, e per, il langravio Maurizio di Assia e per il principe Cristiano I di Anhalt, entrambi Rosacroce e alchimisti. Vedi F.A. Yates, U illuminismo dei Rosa-Croce, cit. L'indubbio legame di Maier con i Rosacroce è analizzato in A.E. Waite, The Reai Hi- story of thè Rosicrucians, 1887, ed. con. Blauvelt, New York, Steinerbooks, 1977, p. 268 sgg.

44 11 titolo per intero recita, Atulanta Fugiens, hoc est, Ernblematn nova de Secretis Naturile Chymicae..., 1618. Le splendide incisioni sono di Johann Theodor de Bry. Questa seconda edizione del libro riporta il ritratto di Maier al quale abbiamo fatto riferimento.

45 1 Tre Principi alchemici - sale, mercurio e zolfo - si rispecchiano in moltissime altre triadi, che a loro volta riflettono il mondo celeste (la Santa Trinità), i tre mondi creati (spirituale, terreno e infernale), il mondo dei pianeti (tre superiori e tre inferiori) e il microcosmo con la sua triade: pensiero, sentimento e volontà. «In questo numero tre c'è dunque un mistero che non deve essere dimenticato» afferma l’anonimo autore-alchimista di A Discourse ofFire and Salt..., cit.

46 In realtà il messaggio esoterico contenuto nel mito è molto chiaro. Gli dei posseggono un tesoro, ben custodito da tre donne e un drago. Un eroe viene mandato a uccidere il drago e a prendere i frutti: benché rivestito di pelli di leone, quell'uomo è in contatto con gli dei, e dunque è un iniziato. È un uomo che non si è ancora spogliato della sua natura animale, ma è pronto a intraprendere un viaggio pericoloso e ad affrontare molte difficoltà per redimersi. Verso la fine del suo pellegrinaggio egli capisce il valore dei pomi d’oro e li offre in dono alla nuda Venere, di cui li ritiene degni. Ora i pomi vengono donati alla Terra: Venere li consegna a Ippomene. Siamo di fronte alla «catena iniziatica», l'antica Catena Aurea Homeri Ippomene usa i pomi per conquistare l'oggetto del suo amore, la bella Atalanta dal pie' veloce. Atalanta potrebbe essere l'anima di Ippomene, la sua parte eterna, ma questo non conta, perché in Ippomene l'impeto del desiderio ha il sopravvento sull'amore ed egli prende la vergine con la forza. L'ingrato, che dagli dei aveva ricevuto un dono, in cambio ne profana il luogo sacro. La sua punizione è la più terribile che esista: viene sottratto alla corrente dell'evoluzione umana ed esiliato dal tempio. La sua anima-vittima, Atalanta, benché innocente, è anch'essa punita ed entrambi devono attendere la redenzione.

Questo mito è lo specchio della condizione umana: racconta la storia di un'impresa riuscita, quella di Ercole, e di un fallimento, quello di Ippomene, e d

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insegna quanto sia difficile usare saggiamente i doni concessi dal cielo e distinguere fra amore e desiderio. È molto facile scivolare dallo stato umano a quello ferino, come ci ricorda il nome Ippomene, die deriva da una parola greca il cui significato è «allevatore di cavalli».

47 Theodor de Bry, grande indsore del XVII secolo, raffigura Ercole, l'assassino di Ladone, mentre raccoglie le mele. NeU'immagine successiva l'eroe deve averle già donate (forse in ringraziamento dei favori ricevuti) a Venere, perché la bella dea seminuda le porge a Ippomene. Dietro il giardino degli dei si intravede la corsa e Atalanta che, a metà gara, si china a raccogliere uno dei frutti lanciati ai suoi piedi. Ippomene è già in testa e avanza tenendo in equilibrio come un giocoliere gli altri due pomi, che si prepara a lasciar cadere per poter vincere. La scena della violenza nèl tempio è molto pudica. Soltanto un elemento rivela che Atalanta non è consenziènte: tiene la testa voltata dall'altra parte. Forse, la verità è che non c'è stata alcuna Violenza, che la profanazione del santuario è avvenuta con la connivenza degli dèi. Comunque sia, l'immagine seguente mostra la trasformazione di Ippomene e<di Atalanta in leoni che si allontanano fianco a fianco: il maschio appare ancora attratto dalla femmina, come se la lezione appena ricevuta non fosse servita a nulla.

Atalanta e Ippomene sono stati espulsi dal paradiso del tempio, così come la prima coppia è stata espulsa dal giardino dell'Eden. Hanno giocato con i pomi d'oro degli dei e sono stati trasformati in gattoni dorati: la loro natura ferina più tenebrosa ne ha offuscato l'umanità.

48 ¡vjei circoli esoterici occidentali la reincarnazione cominciò a essere insegnata apertamente soltanto nella seconda metà del XVII secolo. La prima pubblicazione di cui disponiamo sull'argomento è il diagramma delle «rivoluzioni» pubblicato da Van Helmont e forse mostrato al gruppo di Ragley Hall, con l'organizzazione di Lady Conway.

49 L'alchimista Jean d'Espagnet è citato da S. Klossowski de Rola in The Golden Game: AlchemicaI Engravings..., cit., p. 68.

50 II testo latino dice: accommodata partim oculis & intellectui... partirti auribus.

51 Le composizioni musicali sono intitolate «fuga» e ogni spartito è affiancato da disegni arcani, seguiti da emblemi in latino. Di conseguenza ogni doppia pagina presenta la triade «udire, vedere e pensare».

52 In questa incisione il simbolismo di Saturno è ancora più insistente di quanto non si creda. Nel vaso sul tavolo, nel quale ci si sarebbe aspettati di trovare l'emblema dei Rosacroce, cui apparteneva Maier, ci sono invece un ramoscello di ipornea purpurea (campanella dei giardini) e uno di atropa belladonna: due fiori ovviamente governati da Saturno. C'è anche un terzo fiore, ma il disegno è troppo approssimativo perché si possa identificarlo. Il vaso presenta comunque un numero di elementi sufficiente a stabilire un nesso fra il ritratto dell'autore e l'intelletto saturnino. I simboli che noi oggi decifriamo con tanta fatica sarebbero probabilmente stati colti al volo dai lettori secenteschi di Maier. Soltanto noi, nel nostro secolo, abbiamo bisogno degli storici dell'arte tedeschi a ricordarci che Saturno è il pianeta dell'erudizione e deU'intelletto. (Vedi R. Klibansky, E. Panof- sky e F. Saxl, Saturn and Melancholy, London, Nelson, 1964.)

53 La tradizione esoterica insiste nel dire che i moti planetari risuonano di una musica percepibile solo in taluni stadi elevati di meditazione o nel regno dello spirito. Nell'incisione di Maier (figura 38) l'embrione nel ventre del vento è un orecchio che ascolta le note della musica celestiale che non udrà più quando sarà nato. Per un breve sommario della storia di questo concetto, vedi F. Gettings, The Arkana Dictionary ofAstrology, London-New York, Arkana, 1990, p. 330 sgg.

54 L'Anima Mimdi è l'anima del mondo, di solito raffigurata nella letteratura arcana come una donna nuda. Questa madre così poco aggraziata è la madre del mondo e il

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suo latte (il lac Virginis degli alchimisti) è dapprima un'acqua bianca come neve, che poi diventa rossa come il sangue del suo cuore, analogamente a quanto accade in alchimia in cui il sale torna al rosso del fuoco. In un'incisione famosa contenuta nel testo di R. Fludd, Utriusque Cosmi Historia, si riconosce un simbolismo di estrema complessità: la donna, in posizione eretta, tiene alla catena una scimmia (l'intelletto terreno) ed è a sua volta incatenata per la mano destra a Dio. Ha i piedi sulla Terra e il capo incoronato da un'aureola di stelle, mentre i capelli sono adagiati sulle sette sfere planetarie. Anche dalle mammelle di quest'Anima Mundi, come in quella di Maier, discende latte sidereo, come indica la stella a sette punte che le sovrasta il seno. Questo «latte», che sembra piuttosto polvere di stelle, si fonde con i raggi dei pianeti a fruttificare la Terra. Il latte allude sicuramente alla Magnesia che promana dall'Anima Mundi.

55 In altre versioni mitologiche è la ninfa Amaltea a nutrire Giove. Amaltea era una vergine e nella sua storia si può leggere il racconto esoterico di come il latte della Vergine dei tempi pagani sia stato trasformato nell'eterna primavera della cornucopia, con tutte le evidenti connotazioni sessuali che il corno possiede.

56 In alchimia la Magnesia designa il regno superiore dell'eterico: essa è «di una luminosità così celestiale e trascendente che nulla sulla terra può esservi pa-ragonato» (A.E. Waite, The Hermetic and Alchemical Writings of Paracelsus..., cit., voi. II, p. 372 sgg.). Il termine era sicuramente inteso a evocare il magnete, con la sua influenza invisibile eppure potentissima. La Magnesia, dice Paracelso, è in-corruttibile e nutre tutte le cose. Essa è ovunque e in ogni momento, ma non tutti riescono a vederla. Soltanto chi è pronto a una nuova nascita nel mondo della vista e dell'udito può scorgerla; per vedere questa vergine occorrono, come dicelo stesso Maier, occhi speciali, innocenti come quelli dell'unicorno. Attraverso metafore pittoresche Maier in realtà parla degli archetipi, delle idee che stanno dietro le forme manifeste.

Con il suo stile terso e dotto, Fulcanelli (Il mistero delle cattedrali, cit., pp. 52-53) spiega che nella Lingua Verde dell'alchimia Arianna è una forma di araignée, «ragno», e si domanda: «La nostra anima non è forse il ragno che tesse il nostro cor-po?». 11 termine araignée si riallaccia al verbo greco airo, che significa «sollevo», «levo in alto», «porto via» e da cui deriva la parola airen, indicante «dò che attira», «che coglie», insomma la calamita. Questa invisibile virtù magnetica, chiusa ermeticamente nella ragnatela del corpo, è la Magnesia dei filoséfi.

57 Hedsel cita quasi alla lettera The Second Corning di Yeats, pubblicato per la prima volta in Michael Robartes and thè Dancer, 1921.

58 II latte della lupa che nutrì Romolo e Remo e che portò alla fondazione della città eterna viene contrapposto da Maier a quello della ninfa Amaltea. L'emblema allude allora alle due attività segrete delle confraternite: mantenere sacre e incontaminate le acque della Vergine e conservare sulla Terra le forze vitali che rendono possibile la civiltà.

59 Sulla Tavola di Smeraldo di Ermete Trismegisto, vedi S. Klossowski de Ro- la, The Golden Game: Alchemical Engravings..., cit., e G.R.S. Mead, Thrice-Greatest Hermes..., dt., voi. I.

60 Come ha osservato Hedsel, è l'eterico. Vedi A.E. Waite, The Hermetic and Alchemical Writings of Paracelsus..., cit., voi. II, p. 373.

61 Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, dt., p. 79.62 La definizione sembra coniata da Hedsel, in quanto non compare in nessuno dei

libri alchemici a me noti. L'espressione alba ma ter, o «madre bianca» (e forse «materia bianca», un altro termine alchemico) è usata probabilmente in con-trapposizione alta madre nera, e si aggiunge al lungo elenco dei nomi attribuiti a Magnesia. Il bianco (che è il sale spirituale) potrebbe anche essere un riferimento alle lacrime salate della Mater Dolorosa del cristianesimo, che piange per il figlio (proveniente dall'altro estremo alchemico, il fuoco del Sole). In alchimia l'alba lapis

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(«pietra bianca») è la pietra filosofale che ha il potere di trasformare le scorie in argento. L'argento della Luna si riduce così a una luce bianca, che ricorda la bianca Magnesia. \

63 Sulla sfilata dei carri, vedi F.A. Yates, L'illuminismo dei Rosa-Croce, dt., p. 13sgg- \

64 Gli storici potrebbero sostenere che ben difficilmente Federico V avrebbe potuto essere un Rosacroce, perché la confraternita non era ancora emersa. Tuttavia, pur essendo vero che la Fama, considerata il primo manifesto del movimento, fu pubblicata soltanto nel 1614, è anche vero che il Rosacrodanesimo, secondo molti studiosi, era già diffuso in segreto. 11 primo a usare i simboli rosacrociani fu probabilmente Simon Studion nella sua Naometria del 1604. La storia interna dei Rosacroce è molto diversa da quella tramandata dai libri e dai manoscritti. Per un esame dei documenti più antichi vedi The Fame and Confession, a cura della Societas Rosicruciana in Anglia, 1923.

65 L'Argo era la nave su cui salparono i cinquanta argonauti che sotto la guida di Giasone andavano alla ricerca del Vello d'oro. Sostiene Fulcanelli (Il mistero delle cattedrali, cit., p. 46) che gli argotiers - ossia quanti parlano l'iirgo/ francese- sono i discendenti di quei primi alchimisti che partirono alla conquista dell'oro custodito da un drago. Secondo questa interpretazione, l'argot è qualcosa di più di un gergo, di un linguaggio segreto: ha uno scopo e un'origine ermetici. L'flrf gothique («arte gotica»), aggiunge Fulcanelli, era l'art got o cot, l'arte della luce o dello spirito, dal greco m Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, cit., pp. 46-47.

66 Quello del Toson d'Oro fu senza dubbio il più prestigioso ordine cavalleresco della tradizione esoterica occidentale. Fondato nel 1430 da Filippo il Buono di Borgogna, comprendeva soltanto ventiquattro membri, con l'aggiunta del Gran maestro e del Sovrano. Quasi tutti gli ordini medievali avevano origini esoteriche, che però si persero nell'arco di qualche generazione. L'integrità morale dell'ordine del Toson d'Oro sembrava ancora intatta al tempo di Federico V.

67 Sulle qualità soprannaturali del Vello, vedi l'interessante articolo di L. Deubner in «Hastings», VI, 51.

68 Salomon de Caus era un Rosacroce. Un'incisione del suo Hortus Palatinus del 1620, in cui è raffigurato il castello di Heidelberg con i giardini in primo piano, costituisce probabilmente la raffigurazione più famosa di questo centro rosacrociano. Le mura all'estrema sinistra del disegno esistono ancora, ma quasi tutto il resto è scomparso.

69 II cavallo meccanico era ispirato alle opere di Erone di Alessandria sugli automi, le invenzioni e le meraviglie meccaniche, appena scoperte a Heidelberg.

70 L'Ariete d'oro è il simbolo esoterico del segno dell'Ariete, che è govenato dal Sole e perciò è dorato. Fu il vello di questo ariete stellare a essere sacrificato per favorire l'avvento di una nuova era di risanamento, mentre il Sole, per quel l'oscuro fenomeno chiamato precessione, tornava nel segno dei Pesci. La Nave Argo simboleggiava il fatto che il successivo segno sarebbe stato d'Acqua. L'era seguente, che è quella dei Pesci, è dominata dal pesce, ossia dal Re Pescatore, che è Cristo.

71 Le incisioni di Gìbala (1616) di Steffan Michelspacher furono disegnate dal-l'autore, ed è probabilmente questa la ragione del loro profondo contenuto ermetico: sono le illustrazioni alchemiche più originali del XVII secolo. La n. 3 (intitolata Mittel: coniunction) presenta la montagna filosofale, i cui gradini, che corrispondono agli stadi dell'alchimia, conducono al laboratorio ricavato al suo interno. Sulla cima spianata del monte c'è una fontana esagonale su cui posa il piede Mercurio, il quale ha insegnato l'arte segreta all'umanità. Le curiose cifre alle pendici di questa altura livellata sono vwiwv, il cui valore alchemico è naturalmente trentuno (= vvvivvv). La loro disposizione è tuttavia tale da far pensare che alludano al piano astrale (e questo equivale a dire che Mercurio è allo stesso livello del mondo sidereo, come conferma la stella a sei punte che tiene nella mano sinistra). 11 sigillo V deriva da un

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simbolo protocristiano, formato dal raddoppiamento della prima lettera della parola greca Nike, simile alla lettera latina V: ripetuta due volte essa indica una duplice vittoria o una vittoria su due piani

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(eterico e astrale); ripetuta tre volte, come nell'esempio, indica la vittoria su tre piani (eterico, astrale e fisico) e si riferisce perciò all'iniziazione completa. La doppia vv è un'immagine a specchio - come si addice a questa incisione dalla simmetria rigorosa - a simboleggiare che il mondo spirituale è un'immagine speculare di quello materiale. In altri contesti la triplice vvv è una delle forme arcane di saluto usate nei circoli iniziatici e qui forse essa allude al fatto che i livelli iniziatici più alti permettono di dire addio al mondo. La quarta incisione del libro presenta un giardino ermetico analogo, con una fontana complessa e quelli che potrebbero essere automi raffiguranti i pianeti. I nembi disposti ad aureola dimostrano chiaramente che si tratta di un giardino celeste: il giardino ermetico segreto.

72 Nelle corografie medievali, in cui tutte le città e tutti i paesi sono assodati a un segno zodiacale, Heidelberg è governata dalla Vergine. La Germania (più o meno con gli attuali confini) è sotto l'Ariete.

73 Una splendida fotografia di Charlie Waite, in J. Bentley, The Rhine, 1988, cattura questo oro mattutino. L'immagine è molto simile a quella che vedemmo nel 1958.

74 11 laboratorio sarebbe poi stato aperto al pubblico come museo farmacologico, senza neppure un cenno alla sua originaria funzione di laboratorio alchemico. La grande fotografia contenuta in Wolf-Deiter Muller-Jghncke, «Objecta pharmaceutica», in Pharmizie und der gemerne Mann, 1982, ed. con. 1988, mostra il luogo più o meno nelle condizioni in cui lo trovammo nel 1989.

75 In realtà il castello e il parco sono stati distrutti e ricostruiti più volte, nel corso di quattro grandi guerre di cui l'aria porta ancora gli echi. Assegnare una datazione al castello è difficile, perché è un intrecdo di stili diversi. I primi lavori furono eseguiti nel XIII secolo, ma ci furono ampliamenti successivi e l'ala rinascimentale, nota come Freidrischbau, fu aggiunta da Federico IV; l'ala opposta, che ora si chiama Englischebau, fu eretta nel 1618 da Federico V, il quale, in ricordo di un amore e di un matrimonio da tutti ritenuti romantid, diede alla costruzione il nome della sua sposa inglese.

76 La Naometria di Simon Studion, libro di estrema importanza nelle prime fasi della storia ufficiale dei Rosacroce, reca tracce evidenti dell'influenza gioachi- mita, e non soltanto nelle profezie basate sulla numerologia. Il testo costituisce un collegamento prezioso fra l'esoterismo cristiano medievale (considerato eretico dalla Chiesa ufficiale) e il cristianesimo più esoterico dei Rosacroce.

77 Vedi The Goelheanum. School of Spiritual Science, 1961, con l'introduzione di Albert Steffen.

78 II simbolismo racchiuso in questa disposizione è di estrema importanza per l'esoterismo: nell'uomo il forno è costituito dai polmoni, in cui viene combusta l'aria per mantenere costante la temperatura del corpo, indipendentemente dalla temperatura esterna (l'analogia con il simbolismo deWatanor è evidente). Gli esseri umani sono fognaci deambulanti e parlanti. Il simbolismo di Steiner risulta chiaro: l'uomo, in quanto individuo, deve restare in parte fuori dell’edificio formale delle scuole (in questo caso il Goetheanum) se vuole conservare l'indipendenza e l'equilibrio dell'anima, che sono indispensabili.

79 Carlo IV (1316-1378) fu, come disse Massimiliano I, il patrigno dell'impero germanico e il padre della Bòpmia. La sua famosa Bolla d'Oro, emanata a Metz nel 1356, che stabiliva le norme per l'elezione dei re, fu una delle sue maggiori imprese politiche. Fra i suoi grandi meriti culturali va annoverata la fondazione dell'università di Praga, chiamata Carolinum, che divenne un centro di diffusione delle idee di Jan Hus, influenzato dal pensiero dell'inglese John Wycliffe. Le riforme promosse da Carlo ebbero un impatto enorme sullo sviluppo di quella parte d'Europa, in particolare per quanto riguarda la diffusione del pensiero rosacrociano. L'università di Praga divenne fra l'altro la culla del pensiero alchemico, astrologico e occulto. Sul castello di KarlStejn vedi P.M. Alien, A Christian Rosenkreutz Anthology, 1968, ed. con.

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1974, p. 477 sgg. Benché esistano alcune piccole differenze fra la descrizione del castello fatta da Alien e quella di Mark Hed- sel, è certo che quanto Mark dice è frutto dell'osservazione personale. Alcune differenze si spiegano probabilmente con la recente ristrutturazione del luogo. Un documento del 1693 descrive la cappella della Santa Croce in uno stato di grande degrado, e ancora prima le condizioni dell'edificio erano così precarie che i tesori e gli archivi furono trasferiti al castello di Praga.

L'oratorio deve il suo nome all'affresco a lato dell'altare, di cui parla Hed- sel in questo testo.

81 La tecnica di incrostazione, che utilizzava pietre provenienti dalle cave nelle montagne vicino a CibuSov era molto amata da Carlo IV: se ne trovano esempi nella cappella di San Venceslao nella cattedrale di Praga e nel castello imperiale di Tangermude.

82 L'idea di un «sovrano divino», simboleggiata nel dipinto, ha senso soltanto in un contesto iniziatico. Se una nazione è retta da governanti dotati di conoscenza superiore, è ragionevole aspettarsi che il popolo segua gli imperativi del più saggio, ossia della persona più intimamente connessa con il regno spirituale, con il mondo superiore. Il faraone era letteralmente nominato «re divino» ed era in comunione con gli dei. Della divinità dei re in Europa se ne parlò fino al XVII secolo, ma in realtà a quell'epoca l'idea era già morta da diversi secoli.

83 II ponte di Bifrost era «il ponte dell'arcobaleno». Gli Aesir erano i dodici capi al servizio di Odino. La grande torre nella città di Asgard era il castello di Gladsheim in cui si trovava la grande sala del Walhalla.

84 Vedi W.T. Femie, The Occult and Curative Powers of Precious Stones, 1907, ed. con. Blauvelt, New York, R. Steiner Publications, 1973, pp. 171-172. Le altre pietre, incastonate nello stucco dorato, erano lo zaffiro, il calcedonio, lo smeraldo, la sardonica, la crisolite, il berillo, il topazio, il crisoprasio e il giacinto. 1 nomi con cui si identificavano le pietre nel Medioevo differiscono spesso da quelli delle classificazioni moderne, ciò vale in particolare per le varie qualità di quarzo.

85 C'era anche un accesso dal basso, attraverso una scala scavata nello spessore del muro. La descrizione è contenuta in B. Balbin, Miscellanea historica regni Bohemiae, III, 1681.

86 Le guide turistiche moderne affermano che la testa di coccodrillo si trovi ancora a KarlStejn. Noi, però, non siamo riusciti a vederla.

87 Vedi The Mystery of thè Birth of Horus, in G.R.S. Mead, Thrice-Createst Hermes..., cit., voi. I, pp. 53-54. La discesa di Horus è, come sembra riconoscere Mead, paradigmatica della discesa di tutte le incarnazioni umane: ogni nascita infatti è divina.

88 Sono le creature invisibili connesse con i quattro elementi, la Terra, l'Aria, l'Acqua e il Fuoco. Per esempio, gli gnomi esprimono l'elemento Terra. Nel Medioevo venivano di solito chiamati pigmei.

89 Praga può sembrare un luogo quanto meno insolito dove farsi seppellire per un astronomo danese. Ma quando il suo protettore Federico II di Danimarca morì, Tycho Brahe abbandonò il suo meraviglioso osservatorio di Uraniborg per recarsi presso l'imperatore Rodolfo II. Questi gli donò il castello di Bentaky, dove l'anno prima della morte lo studioso fu raggiunto da Giovanni Keplero. Lì Brahe morì e fu poi sepolto, con tutti gli onori, nella cattedrale di Tyn a Praga.

90 Un disegno illustrativo del complicato meccanismo dell'orologio si trova in P. Legin, The Astronomica! Clock in Pictures, Strasbourg, 1986. Ha sostituito un altro orologio (risalente al XIV secolo), di cui Legin riporta l'immagine in un'incisione, che sembra fosse ancora più complesso: il grande quadrante di questo capolavoro, simile a un astrolabio, indicava il moto diurno delle stelle alla latitudine di Strasburgo. Secondo una leggenda il consiglio della città ne sarebbe stato così geloso che diede ordine di accecare l'uomo che Io creò per impedirgli di costruirne altri.

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91 Dipinte da Josef Manes, le rappresentazioni dei medaglioni raffiguranti le attività associate ai singoli mesi dell'«anno umano» si contrappongono ail'«anno divino» del bordo esterno, in cui sono riportati i nomi dei trecentosessantacin- que santi, uno per ciascun giorno. Fra i medaglioni esterni e l'immagine della città celeste vi è un'altra serie di dodici medaglioni più piccoli con i segni zodiacali.

92 Non credo fosse intenzione di Hedsel sostenere che nessuno dei castelli a tre torri simboleggiasse Praga. Quello che intendeva dire era che un'immagine posta al centro dello zodiaco non può che raffigurare una città ideale, proprio in quanto posta in cielo.

93 La scelta della figura di San Michele è sicuramente dettata da principi esoterici, essendo quest'arcangelo ritenuto il capo dei sette angeli planetari (i Secun- dadeis) che governavano il passaggio del tempo nelle periodizzazioni storiche. Nel 1522 quando l'occultista Tritemio di Sponheim scrisse il suo libro su questo argomento, De Septem Secundadeis, la tradizione degli angeli planetari era già antica.

94 La prima del Don Giovanni si tenne nel 1787, ed esattamente duecento anni dopo assistemmo nello stesso teatro alla più sconvolgente esecuzione del Flauto magico di Mozart che ci sia mai capitato di vedere.

95 Nelle corografie medievali, la Boemia e Praga erano governate dal regale Leone.

96 «In realtà ai più sfugge la ragione per cui i sacerdoti si tagliano i capelli e indossano vesti di lino», Plutarco, De Iside et Osiride.

97 Hedsel, come suggerisce egli stesso, parafrasa Platone. Le sue parole ricordano il Fedone (72e) in cui Cebes accenna alla teoria dell'amimnesis, che viene ulteriormente sviluppata nel Menone (80d). L'apprendimento attraverso la re-miniscenza coinvolge solo una certa facoltà dell'anima e l'insegnamento tradizionale, che si basa sullo sviluppo delle abilità, ne è escluso. L'anamnesis è una conoscenza che deriva da una capacità interiore, che è una sorta di banca della memoria; non è una conoscenza che si conquista con l'esperienza, né con il ragionamento deduttivo: è uno strumento conoscitivo che si sviluppa con la meditazione. \

98 Si sta parlando della celebre opera di Leonardo da Vinci intitolata la Dama con l’ermellino, ora custodita nel Museo Czartoryski di Cracovia: quasi certamente la donna ritratta è Cecilia Gallerani, poiché l'ermellino era l'emblema della famiglia Sforza cui il suo amante apparteneva.

99 II diwanir, un'importante istituzione in quasi tutte le comunità arabe, è una riunione quotidiana informale, nel corso della quale gli uomini (ma le donne non ne sono escluse) dibattono sulle questioni riguardanti la comunità. Poiché una delle funzioni del diwanir è risolvere problemi comuni e rispondere alle domande poste da estranei, ci è stato concesso di assistere ad alcune sedute, come ricercatori su alcuni aspetti della cultura araba. Con nostra sorpresa, abbiamo constatato che la conversazione non diventa chiacchiera ed è estremamente democratica. Goethe, a quanto ne sappiamo, non aveva mai sentito parlare del diwanir, altrimenti non avrebbe avuto motivo di proporre come una novità la sua arte della conversazione. L'istituzione del diwanir, che un tempo era la linfa vitale della vita nomade, ha verosimilmente origini antichissime.

100 II saluto arabo è più interiorizzato rispetto ad altre formule analoghe: il su- laam è un conferimento di pace. In questo caso, quindi, ci veniva augurato, in modo molto sottile, proprio quello che avevamo cercato nella ciclicità della danza e nel nostro inseguimento della via alchemica per tutta Europa. Quell'uomo ci diceva addio con l'antica forma di saluto.

Capitolo terzo11 Templari furono arrestati in tutta la Francia nel mese di settembre del 1307 su

ordine di Filippo IV, che agiva con l'appoggio di Clemente V: una mossa dovuta alla cupidigia, al desiderio di impadronirsi delle straordinarie ricchezze dell'ordine. Eppure,

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sosteneva Hedsel, per la posizione che occupavano, papa e re avrebbero dovuto sapere che i Templari costituivano un ordine esoterico. Clemente V tentò dapprima di ottenere una loro condanna per eresia e a questo scopo convocò il concilio di Vienne, durante il quale tuttavia non si riuscì a dimostrare la fondatezza dell'accusa. Allora, su pressione di Filippo IV, che aveva astutamente ridotto sotto il suo controllo il papato durante le lotte con Bonifacio Vili, egli ordinò la soppressione dell'ordine. Che l'operazione fosse motivata da interessi finanziari fu provato dal fatto che i grandi possedimenti terrieri dei Templari furono assegnati nominalmente all'ordine degli Ospedalieri, ma in realtà passarono di proprietà alla corona.

Non è questo il luogo per esaminare le credenziali esoteriche di Filippo IV: ci li -miteremo a ricordare che con la sua astuzia, tempra e capacità di valutazione egli dotò il sistema monarchico francese di solide basi e attuò importanti riforme bu-rocratiche, tanto da essere considerato il fondatore della Francia tardomedievale.

211 giovane re d'Inghilterra, Edoardo II, ebbe il merito di non credere alle accuse di eresia e di rifiutarsi di arrestare i cavalieri finché la repressione non fu «autorizzata» dal papa. In Inghilterra non si verificarono comunque le massicce retate e le terribili torture attuate in Francia, nonostante l'arrivo, nel 1309, degli inquisitori inviati da Roma. Qui l'inquisizione non fu mai uno strumento dello Stato e la successiva storia dei Templari non fu così desolata come in Francia. In una lettera datata 1310 gli inquisitori lamentavano di non trovare carnefici disposti a torturare i cavalieri come essi avrebbero desiderato. Un'accurata esposizione dell'intera questione dei Templari si trova in M. Barber, The Trial of thè Templari, Cambridge, 1980, p. 193 sgg.

3 Vedi H.F. Cary, The Vision of Hell, Purgatori/, and Paradise of Dante Alighieri, 1814, p. 322.

4 A quanto ci risulta l'espressione Dweller on thè Threshold, «guardiano della soglia» è stata introdotta da Sir Bulwer-Lytton nel suo «romanzo rosacrociano»Zanoni (1842), in cui lo scrittore seppe cogliere la propensione vittoriana all'e-clettismo. Nella prefazione al romanzo lo scrittore allude a una sua appartenenza a un'Eterna Confraternita, ma ben difficilmente un iniziato scriverebbe, come fa invece Lytton, che «la nostra vera natura è nei nostri pensieri, non nelle nostre azioni...». Il vero iniziato sa che i pensieri sono azioni. Tre anni dopo la pubblicazione del suo libro, Bulwer-Lytton ebbe a dire: «L'amo anche perché è stato poco compreso e giudicato con superficialità dal gregge comune. Non era destinato a questo». Viene da chiedersi a chi fosse destinato. Per altre informazioni sulla figura del diveller, vedi n. 16 di questo capitolo.

5 L'inferno e il purgatorio hanno confini ben distinti nel poema dantesco. La tradizione esoterica, invece, pone l'accento sul purgatorio, inteso come momento di purificazione fra una vita e l'altra.

6 I nomi di alcune di queste entità emergeranno nelle pagine successive. Os-serviamo intanto come Paracelso ricorra al misterioso nome Azoc o Azoth per indicare il «mercurio maturo» che con l'ausilio del fuoco purifica i corpi impuri.Si comprende così quale sia la vera natura del mostro a tre teste che viene talora identificato con l'Azoth e che è stato chiamato Drago Mercuriale. Una rappre-sentazione arcana del Drago Mercuriale si può vedere alla figura 44. Questa orrenda creatura è dotata di tre teste, corrispondenti ai tre elementi del sigillo di Mercurio, per indicare che essi governano una creatura viva: ¿li alchimisti non andarono mai oltre questa raffigurazione nel delineare la vera natura di Azoth, che è quella di guardiano ermetico. In questa sua forma mostruosa - e soltanto in questa forma - il Drago Mercuriale (il Mercurio del filosofo o Drago alchemico) è il simbolo medievale equivalente all'Amemit egizio, anch'esso triforme e guardiano degli inferi. L'omonima polvere alchemica, che ha il potere di trasformare è, naturalmente, l'equivalente terreno («ciò che sta sotto») del mostro-guardiano che sta sopra: le tre componenti del sigillo di Mercurio (Luna, Sole e Croce) sono i Tre Principi del sale, del mercurio e

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dello zolfo, associati in quell'unico principio mercuriale che è l'uomo. L'elemento stellare (o, per essere più precisi, planetario) e quello terreno sono riuniti in una singola immagine, un modo arcano per significare che l'orrendo guardiano dalla triplice testa è l'uomo irredento, o meglio ancora il mostro che sta dentro l'uomo. Le ali mercuriali che esso ha ai piedi costituiscono l'indizio più ovvio dell'intento ermetico del disegno.

Giustamente dunque i postparacelsiani sostengono che l'Azoth è il potere formativo dell'ego nascente. L'ego evoluto diventerà la guida dei tre corpi inferiori e si adopererà per la loro redenzione.

7 La lonza di Dante è veloce nei movimenti, esattamente come l'Azoth alchemico, l'essere mostruoso che l'esoterismo medievale poneva a guardia del piano spirituale: l'Azoth era un mercurio corrosivo, così rinomato per la sua rapidità e vitalità da essere chiamato «argento vivo». Fra l'altro, Dante dice che l'animale aveva «pel maculato», una caratteristica che rafforza l'idea della lonza quale simbolo delle macchie interiori del peccato, e al livello astrale in cui si trova Dante l'interiore diventa esteriore. Poiché il guardiano della soglia è l'incarnazione mostruosa del peccato, ben difficilmente Dante avrebbe potuto scegliere un simbolo più preciso. Ricordiamo, infine, che non tutti gli studiosi concordano su quale animale si identifichi con la lonza; in alcuni documenti fiorentini dell'epoca di Dante si parla, per esempio, di una leuncia tenuta in cattività, animale che potrebbe essere un leone, perché in latino leunculus significa «leoncino». Ma forse, come suggerisce lo studioso italiano Daniele Mattalia, lonza deriva dal francese lotice e significa «lince«: vedi D. Mattalia, La Divina Commedia. I: Inferno, Milano, Rizzoli, 1975, n. 32, p. 15.

8 A.O. Spare, Earth Inferno («Inferno terreno»), 1905, p. 23. Il disegno è accom-pagnato dalla citazione del primo verso deli'Inferno dantesco, «Nel mezzo del cammin di nostra vita», a cui Spare, come Dante, attribuisce due livelli di significato. Il primo si riferisce all'età del poeta al momento della visione: era il 1300 e Dante aveva allora trentacinque anni. Secondo la tradizione esoterica a quell'età l'uomo raggiunge il suo punto di massima immersione nella materia, dopo di che comincia gradualmente a disincarnarsi e a tendere di nuovo verso i regni stellari. Gli astrologi e gli arcanisti vedono nel trentacinquesimo anno uno spartiacque spirituale, un punto critico.

L'uomo di Spare, forse dimentico degli esseri spirituali che lo circondano, ha più o meno questa età. Il pittore invece era appena diciottenne quando eseguì il disegno nel 1904, data importante in termini astrologici, perché segnò il ritorno di Saturno nella sua vita. Quando Earth Inferno uscì, due grandi pittori, G.F. Watts e John Singer Sargent, salutarono la nascita di un nuovo genio. (W. Wallace, The Early Work of Austin Ostiniti Spare 1900-1919,1987.)

Veniamo ora al secondo significato del verso dantesco. L'uomo seduto di Spare è, come Dante, immobile nella vita, chiuso dentro il corpo fisico, ma pronto a guardare al di là della soglia: egli si trova nel mezzo, fra l'inferno quotidiano e l'inferno spirituale, che del primo è un riflesso. Le due nere creature feline acquattate ai suoi piedi sono una tipica allusione di questo artista alla strana lonza che appare all'inizio delYInferno dantesco.

9 Nei circoli occulti odierni il termine sky-walker, «viaggiatore del cielo», indica talora chi si muove sul piano astrale. In realtà la parola è molto antica e com pare di frequente nella letteratura ermetica.

10 A.O. Spare, The Book of Pleasure (Self-Love). The Psychology of Ecstasy, London, 1913, p. 16.

11 Ibidem, p. 12.12 Se mai occorressero prove che Y Odissea si fonda su una tradizione iniziatica,

basterebbe ricordare la presenza di questa misteriosa pianta. «Nera era la radice, ma bianco come latte il fiore,/Moli il suo nome, difficile trovarla per i mortali.» Così dice Pope nella sua versione delYOdissea (X, 365). La parola sopravvive nell'esclamazione

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inglese Holy moly! («Santo moli»). In realtà le sue origini sono antichissime e risalgono al sanscrito mulatti. Nel linguaggio essoterico moli significa radice (il moli usato da Ulisse era la radice di un'erba medicamentosa), ma nel linguaggio esoterico il moli è il simbolo della trasformazione connessa con il karma: il bulbo nero è il karma irredento, mentre il latteo fiore èil karma redento, che ha assunto il colore della purezza. Sull'uso del termine vedi Madame Blavatsky, The Secret Doctrine, cit., voi. 1, p. 176, che contiene anche diversi altri esempi dei suoi significati esoterici.

13 Negli elenchi delle costellazioni più tardi la Bestia divenne Lupo (Lupus), ed è appunto in questa forma che è più nota nell'astrologia moderna. Vedi R.H. Alien, Star Names. Their Lare and Meariing, New York, Dover Publications, 1963, p. 278 (ristampa dell'edizione Stechert del 1899), alla voce «Lupus, thè Wolf». Alien cita Vitruvio come fonte del nome Bestia, ma noi l'abbiamo rintracciato in fonti precedenti. Tutti i nomi di questa costellazione rispecchiano comunque la sua natura feroce. Per un certo tempo essa fu chiamata anche Hostia, che in latino significa vittima, ed è questa la ragione dell'altro suo nome, Victima Centauri, da cui si arguisce che è il Centauro a condurre l'infelice creatura all'ara sacrificale. 1 greci e i romani riconoscevano nella disposizione delle stelle la forma di una fiera, Therion. Gli arabi, come al solito, presero il nome dalle mappe classiche, e chiamarono la costellazione Al Sabu, che significa «Bestia feroce»,

14 Nella tradizione astrologica è Saturno che governa il piombo, e lo scheletro umano. Quanto al Saturno che abbiamo nell'anima esso è, essenzialmente, la paura che motiva le nostre azioni.

15 Per una breve analisi del fardello e del bastone di Hermes, vedi G.R.S. Mead, Tlirice-Greutest Hermes..., cit., voi. I, p. 258 sgg.

16 Vedi precedente n. 4 di questo capitolo. Alcuni teosofi hanno incautamente adottato l'espressione coniata da Bulwer-Lytton, benché il termine diveller fosse già in uso nei circoli spiritistici per indicare i residui dei defunti non adeguata- mente decomposti. L'occultista Blavatsky fece di diveller il sinonimo di diakka, ma il diakka del veggente americano Andrew Jackson Davis era una entità malvagia, che non era mai entrata in un corpo umano e perciò non poteva essere definita «morta», in quanto la morte riguarda soltanto gli abitanti della Terra. In tempi più recenti l'espressione Diveller on thè Threshold è stata impiegata per indicare il guardiano karmico, ossia quell'oscura entità che incarna - se così è lecito dire di un essere spirituale - le conseguenze karmiche non rodente delle azioni passate. L'aspirante iniziato dovrà a un certo punto affrontare questo guardiano per passare a un grado più alto di iniziazione. 1 diversi usi del termine sono legati da un tema comune: il diveller appare sempre come un fantasma, o un'entità precedente, che grava ancora sui vivi e deve essere acquietata. Il piano su cui vivono queste entità senz'anima viene talora indicato con il termine ebraico qelippot (letteralmente «scorze»).

17 «Il rosso Adamo» e phos sono espressioni che designano i due poli estremi dell'umanità; sono il rosso e il bianco della coloritura alchemica, in cui il primo rappresenta l'uomo naturale, il secondo l'miziato. Fra i due estremi si stende un'ampia gamma di colori.

18 II Minotauro nacque dal connubio fra Pasifae e un toro. Nel racconto del mito Minosse pregò Poseidone di inviargli dal mare un toro da offrire in sacrificio agli dei affinché concedessero alla sua dinastia di regnare su Creta. Ma il toro era così bello che Minosse non volle sacrificarlo: per punirlo di avere sfidato gli dei, Poseidone fece allora innamorare del toro la regina, Pasifae, che si unì a esso nascosta dentro una mucca di legno, costruita da quell'alchimista archetipico che fu Dedalo. Il Minotauro si cibava della carne dei giovani ateniesi: anche allora le colpe dei padri ricadevano sui figli. Il peccato commesso da Pasifae era reso ancora più grave dal fatto che la regina era figlia del dio del Sole e sposa di un re, e dunque non aveva alcuna necessità di

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sprofondare a tal punto nella materia da rinserrarsi nel corpo di una bestia.La tradizione esoterica vieta la sessualità ferina perché l'animale costituisce la

scoria dell'essere umano'|n evoluzione (il sale del processo di scissione). Secondo questa tradizione il regno animale faceva un tempo parte dell'umanità, che se ne separò in un lontano passato. Un connubio come quello di Pasifae comportail ritorno a uno stato antecedente la scissione, il che significa compiere un processo di tipo totalmente involutivo, dannoso sia per Tessere umano, sia per l'animale, in quanto riannoda legami atavici che è bene tenere recisi.

19 La Notte oscura dell'anima è il titolo di un importante libro di San Giovanni

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della Croce, ma è anche un'espressione usata spesso nei circoli esoterici per desi-gnare una crisi dell'anima o un periodo di prova.

20 Vedi G. Wachsmuth, The Ewlution of Mnnkind..., cit.21 Tiamat, il mostro marino di cui parla la cosmologia assira, è una delle antiche

raffigurazioni della mater, che nei miti della creazione è la fonte di ogni vita. Essa conserva ancora la sua natura acquea nelle incisioni di Blake per il Libro di Giobbe (fine XV11I secolo), che la raffigurano come il Leviatano con forma di serpente,in cui è combinata con l'elemento maschile di terra, Behemoth, uno dei due simboli duali del mostro interiore. Il disegno e le note che l'accompagnano forniscono molte osservazioni sulla natura della bestia che è dentro di noi. Tuttavia la descrizione più bella del Leviatano che emerge dalle acque - che in tutta la letteratura inglese è forse la più bella descrizione di un mostro - si ha nell'incontro visionario di Blake con l'angelo contenuto in Memorabile apparizione.

22 In William Blake il demoniaco Behemoth e il Leviatano non sono molto lontani dall'essere raffigurati come forze brute dell'inconscio. In un altro contesto Blake distingue fra l'emanazione che proviene da dentro e lo Spettro all'esterno. In una famosa incisione delle sue Illustrazioni al Libro di Giobbe, egli raffigura le due forme demoniache entro un grande cerchio posto al di sotto dei regni celeste e umano. Behemoth, chiuso in una corazza di metallo, rappresenta l'interiorità irredenta, immersa nel tempo, mentre il Leviatano, il serpente marino attorcigliato, è il mostro quando assale dall'esterno, ossia dallo spazio, ed è chiaramente lo Spettro. Nella possente immagine di Memorabile apparizione il Leviatano compare come «una cresta fiammeggiante» sopra le onde, «a tre gradi circa di distanza verso est»: arriva cioè dallo spazio. 1 colori contrastanti che ha sulla fronte («Aveva, come quella della tigre, la fronte a strie verdi e porpora»; Visioni di Blake, tradotte da Ungaretti, Milano, Mondadori, 1965, p. 241) indicano che il mostro è il parto di un pensiero inadeguato, che ha assunto la violenza della tigre.

23 La costellazione Bestia è situata fra il quindicesimo grado dello Scorpione eil settimo del Sagittario, sebbene il suo punto più vicino all'equatore sia a trenta- quattro gradi sud. Questo significa che la Bestia è profondamente condizionata da numerose stelle appartenenti ad altre costellazioni, i cui influssi vanno ben isolati nella lettura dell'oroscopo. Di queste stelle non possiamo non tener conto nella nostra ricerca sul significato della Bestia. Esse si dividono in due gruppi: imo funge da catalizzatore, intensificando l'azione dei pianeti e dei nodi con cui viene a contatto, mentre l'altro esercita un influsso che può soltanto definirsi malefico.

Le stelle Zubeneschmali, Agena e Bungula appartengono al primo gruppo, mentre Unukalhai (che in arabo significa «collo del serpente») è particolarmente nefasta ed è legata al veleno. Anche Deschubba è malefica ed è connessa con l'immoralità, come suggerisce la sua posizione fra le chele dello Scorpione. Graf- fias, che è situata nella testa dello Scorpione, oltre ad avere un influsso negativo è associata con la malvagità, il crimine e le malattie.

24 II diagramma dell’oroscopo moderno, consistente di solito in una croce inscritta in una circonferenza, è in realtà un punto al centro di un cerchio. In forma di glifo questo era un sigillo arcano usato dagli egizi come geroglifico per indicare, fra le altre cose, il tempo. La natività è un evento che si verifica al centro della Terra, quando l'anima, nuovamente rivestita di un corpo, si immette nel tempo in questo ombelico del mondo. È la visione dell'anima e dello spirito dell'essere appena incarnatosi che dalla periferia esterna dello zodiaco si dirigono verso questo punto centrale. In questa sua discesa l'anima reca con sé l'impronta dell'influsso delle stelle e assorbe gli indispensabili impulsi dalle sfere planetarie che attraversa nel suo viaggio verso la Terra. L'antica letteratura arcana chiamava «discesa egizia dell'anima» questo processo di incarnazione, di cui viene data una descrizione esoterica nei Poimandres (G.S. Mead, Thrice-Greatest Hermes..., cit., voi. II, p. 22 sgg.). In Los e in Enitharmon, Blake fa del cerchio e della croce i simboli, rispettivamente,

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del tempo e dello spazio.25 Forse pecchiamo di hubris accennando nella stessa frase a Blake e Boehme in

un libro come il nostro, che pretende di appartenere alla conoscenza arcana. Nella sua feroce critica del filosofo e veggente svedese Emmanuel Swedenborg, Blake scrisse: «Qualsiasi persona di mediocre talento può, dagli scritti di/Paracelso o di Jacob Bòhme, trarre 10.000 volumi di valore/pari a quelli di Swedenborg e da quelli di Dante e/Shakespeare, un numero infinito».

Noi che con tanta libertà abbiamo citato tre di questi quattro geni nel nostro testo non ci sentiamo del tutto tranquilli. Oggi purtroppo, e lo notiamo con fastidio, sono tanti gli autori che proclamandosi esperti di esoterismo e di misteri, pubblicano libri in cui rivelano quasi in ogni parola la loro ignoranza dell'argomento.

26 Si deve a John Varley anche l'oroscopo di William Blake, cfi cui disponiamo ancora oggi. Vedi A.T. Story, James Holmes and John Varley, 1894. L'oroscopo natale di Blake fu pubblicato per la prima volta in Urania: or, thè Astrologer's Chronicle, and Myslical Magazine del 1825. Per gli astrologi aggiungiamo qui alcune note tecniche sul tema della Bestia di cui d stiamo occupando, con l'avvertenza che esse potrebbero risultare di diffidle interpretazione per il lettore comune. Si osservino le posizioni radicali di Mercurio e Giove: ME 27 Scorpione; GIO 2 Sagittario.

A causa della precessione degli equinozi, Mercurio è vicino a Bungula e Giove è in Graffias. L'intero arco della Bestia copre la quinta casa di Blake, una casa estremamente importante per un artista. Il fatto che Mercurio sia su Bungula significa che il nato non si accontenta fadlmente, che ha buone capacità intellettuali ma ambizioni non realizzate, tutte caratteristiche rilevanti nel caso di Blake. L'oroscopo natale di Blake è riportato in F. Gettings, The Hidden Art, cit., p. 151: il capitolo «The Divine Principles» di questo libro tratta brevemente del rapporto di Blake con l'astrologia.

27 G. Keynes, Blake's Complete Writings, 1971, p. 415. Lo Spettro che compare qui è la stessa possente creatura dei Quattro Zoa (VII, 304): «Tu sai che lo Spettro è in ogni uomo insano, brutale, deforme...». Blake utilizza il simbolo dello Spettro in diversi contesti e con significati diversi (vedi S. Foster Damon, A Blake Dic- tionary, cit., p. 380 sgg.).

28 Tenuto conto di questa tetra mitologia, non sorprenderà che la costellazione goda di cattiva fama anche in astrologia. Tolomeo sosteneva che le stelle della Bestia hanno un effetto simile a quello di Saturno e Marte sommati, ossia di un duplice maleficio: si dice che esse suscitino passioni forti e incontrollate, insieme a tutte le consuete caratteristithe saturnine e marziane. Per ima breve trattazione moderna, vedi V. Robson, Fixed Stars and Constellations, 1929, ed. con. New York, S. Weiser, 1969, p. 50, alla voceVLupus».

2^ William Blake ha scritto: «... lentamente si elevò, simile a una vetta di rocce dorate,/fino a scoprirci due globi di fuoco chermisi, dai quali il mare/trovò scampo in nuvole di fumo; vedemmo allora che era la testa/di Leviathan. Aveva, come quella della tigre, la fronte a strie/verdi e porpora. Subito ne vedemmo le fauci e branchie rosse/pendere proprio sopra la schiuma rabbiosa, tingendo la nera/profondità di bagliori di sangue, mentre avanzava verso di noi/con tutta la furia di un'esistenza spirituale» (traduzione di Giuseppe Ungaretti, cit., p. 241).

A proposito del dominio sullo spazio e sul tempo che Blake ha concesso ai suoi due mostri, vale la pena prendere in considerazione la letteratura ermetica. Origene parla di un disegno in cui sono raffigurati i dieci spazi invisibili, suddivisi in tre gruppi. Il più interno contiene a sua volta dieci cerchi, racchiusi entro un'unica circonferenza chiamata Leviatano. La parte inferiore di esso contiene un raggruppamento di sette cerchi con i demoni che li governano: l'intero gruppo è denominato Behemoth. Anche la numerologia sembra confermare che a Blake fossero familiari questo genere di immagini, perché egli pone i suoi due mostri dentro un grande cerchio, la testa del

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Leviatano ha dieci aculei dentellati e Behemoth con la corazza preme la Terra con sette forme diverse: due zanne, quattro zampe e ima coda puntuta. (Vedi G.R.S. Mead, Thrice-Createsl Hermes..., cit.)

30 R. Steiner, Karmic Relationships. Esoteric Studies, ed. 1972, trad. inglese delle conferenze tenute a Dornach in febbraio e marzo 1924, voi. I, conferenza X (trad. it. Considerazioni esoteriche su nessi karmici, Milano, Editrice Antroposofica, 1992).

31 Su Comenio e il «Collegio invisibile», vedi P.M. Alien, Star Nomes..., cit.32 L'espressione «filosofia meccanica» è presa da Birch, nella sua prefazione alle

Opere di Boyle, 1772.33 Benché Robert Boyle (1627-1691) non sia considerato un arcanista nella

maggioranza degli studi scientifici, E.R. Daimor lo include nel suo Quieti fue Y Quieti es eri Ocultismo, Buenos Aires, Editorial Kier, 1970, pp. 86-87, soprattutto per i suoi legami con l'alchimia. Per un esame degli interessi occulti di Boyle al-l'interno di un contesto scientifico, vedi L. Thorndike, History of Magic and Expe- rimental Science, New York, University Press, 1958, Vili, p. 170 sgg., in cui viene analizzato sotto questa luce anche Bacone (VII, p. 63 sgg.).

34 La teoria compare in epoca molto più tarda nell'opera dell'omeopata Samuele Hahnemann, che attribuì un significato del tutto particolare alla parola miasma, usata ancora oggi nell'omeopatia. L'omeopatia è una forma di medicina le cui origini vanno ricercate nella tradizione arcana di Paracelso e che fu modificata nel tempo attraverso la ricerca e la sperimentazione scientifiche.

35 I conflitti che agitarono Boyle quando egli passò da quella che oggi si chiama magia alla scienza fisica sono narrati in modo mirabile da A.D. White in A History of thè Warjare of Science with Theology in Christendom, 1955, in particolare a p. 405 sgg.

36 Un'eccellente analisi della «grande catena dell'essere» si trova in A.O. Lo- vejoy, The Great Chain of Being. A Study of thè History of ari Idea, London, Harper Collins, 1960.

37 Hedsel si divertiva a inventare nomi con significati occulti. In italiano Mu- scos rinvia al muschio e all'aggettivo muscoso, che in inglese è mossy. Ebbene, Hedsel ha lasciato una nota, in cui spiega che Mosi deriva dall'espressione mosi oa tunya, che significa «il fumo che tuona», con cui gli africani indicavano le cascate che Livingstone battezzò Vittoria. Sicuramente Hedsel scelse questo nome perché il suo contenuto interiore gli ricordava quello che Livingstone aveva scritto nel suo diario nel 1855, subito dopo avere ammirato le cascate: «Su una vista bella come questa devono aver posato lo sguardo gli angeli in volo». Il codice può forse apparire troppo elaborato, ma ben si addice a un uomo che sapeva leggere la scrittura angelica delle Acque Argentine ovvero del Fiume Celestiale. Se, e come, questa versione in Linguaggio Verde del nome Muscos abbia qualche nesso con il vero nome non sono in grado di dirlo: Hedsel non ha mai rivelato la vera identità dell'uomo, né ha lasciato alcuna annotazione.

38 Naturalmente chiesi a Mark Hedsel di dirmi quale fosse questo difetto. Si rifiutò di parlarne. «Un uomo mostra il suo punto debole in tutto quello che pensa, dice e fa: la mia debolezza, perciò, spicca' anche troppo in questo libro. Se proprio ti interessa, credo che non faticherai molto a scoprirlo.»

39 Ci pare di ricordare che le sue parole furono «Cottili colori sono soltanto coloratura»; Muscos alludeva ai «pentimenti di coloratura», espressione che viene usata anche in inglese con riferimento alla pittura e alla musica: nel primo caso si tratta di tele ridipinte e nel secondo di trilli coperti. Ma la parola «pentimento» è connessa con il peccato o con un errore di tipo morale di cui ci si accorge sol tanto in seguito. Parlando di stile, Muscos si servì del termine «moda», un altro termine che contiene un'implicazione morale: una moda infatti, oltre a essere uno stile effimero, è anche un atteggiamento non spontaneo, qualcosa di cui un tempo non si era molto

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orgogliosi, anche se questa censura sembra scomparsa dall'italiano contemporaneo. Hedsel ha lasciato un appunto in cui spiega che i giochi di parole di Muscos gli ricordavano Dante. Muscos era ’d'altra parte talmente fuori del tempo che il suo modo di parlare non sembrava affatto strano.

40 Muscos aveva ragione sulle date: Alkindi, nome arabo Abu Yusuf Yaqub ben Ishaq al-Kindì, morì intorno all'872.

41 II lac Virginis, o mare Virginis (forma quest'ultima per alcuni troppo inquietantemente affine a Maria Vergine) erano due delle espressioni con cui Paracelso indicava la Magnesia, che egli considerava una sorta di banca dati della memoria della natura.

42 Franciscus (o Franz) Van Helmont ricoprì sicuramente il ruolo di maestro a Ragley Hall. Sui suoi insegnamenti esoterici non esiste alcuno studio soddisfacente. Il suo libro, The Alphabel of Nature, è stato erroneamente scambiato per un linguaggio per sordomuti, e poche, per non dire nessuna, delle figure arcane da lui disegnate, e pubblicate da Georg Welling, sono state comprese: probabilmente sono ancora troppo occulte per avere ampia circolazione. II ritratto di Van Helmont fu dipinto da Sir Peter Lely, che ne fece omaggio a Lady Conway. Questo quadro magnifico, che fu in seguito di proprietà di Horace Walpole e del marchese di Hertford, è ora alla Tate Gallery. Ma non è soltanto per il suo ritratto che Van Helmont sopravvive nella vita spirituale moderna: egli è il modello del vagabondo della poesia intitolata The Scholar Gipsy di Matthew Arnold, il quale avrebbe appreso la storia dal Vanii / of Dogmatising, (1661) di Joseph Glanvill.

La visita a Ragley Hall fu una grande delusione. Il castello era stato ristrutturato in stile neoclassico nel XVIII secolo. Quando chiedemmo della biblioteca, famosissima fra gli esoteristi al tempo di Lady Conway, ci venne detto che era stata smembrata: alcuni libri e manoscritti si trovano ora alla British Library. La tomba di Lady Conway, disegnata dallo stesso Van Helmont, è nella vicina chiesa di Arrow. Alcune note interessanti sul centro esoterico di Ragley Hall, visto da una prospettiva esoterica, si trovano in P.M. Alien, A Christian Rosenkreutz Antho- logy, cit., ed. con. 1974, pp. 647-649.

43 A quanto ci consta non esistono studi sui disegni esoterici della fontana di piazza Vecchia nella città alta di Bergamo. Chiamata fontana del Contarmi, come

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molti altri elementi architettonici e simboli esoterici sparsi sulla piazza e dintorni essa ricorda il tempo in cui Bergamo era sotto il dominio veneziano.

44 L'horologium di marmo, incastonato nel pavimento sotto il portico del palazzo del Podestà, segna il tempo zodiacale. Più che il passaggio delle ore, misura quello dei giorni; perciò un raggio di luce solare si posa quotidianamente sulla linea che lo costituisce segnandone la posizione nello zodiaco. La scala di taratura e i sigilli zodiacali sono stati ristrutturati di recente, il resto è molto antico.

45 La cappella Colleoni, che fu completata nel 1476, è rinascimentale. La sua complessa facciata in marmo rosa e bianco è sovraccarica per i nostri gusti, ma pare che tanta mobilità fosse negli intenti dell'architetto; l'effetto generale è quello di una superficie frammentata, in deciso contrasto con i criteri stilistici di ordine ed equilibrio che animano l'architettura rinascimentale.

46 Davanti al tempio di Salomone si ergevano due colonne: quella di destra si chiamava Jachin, quella di sinistra Boaz. Noi credevamo che esse rappresentassero la polarità fra «romanticismo e materialismo», probabilmente perché allora era questo che ci ossessionava. Nell'era moderna la posizione delle due colonne è spesso invertita, forse a simboleggiare la venuta di Cristo che cambiò direzione al culto, volgendolo verso Oriente. Secondo Steiglitz, alcune colonne Boaz erano tripartite a simboleggiare la natura trina dell'uomo. La colonna Jachin era invece duale, ed esprimeva la natura divina (tre in uno, se si conta anche il nodo). Due esempi tratti da Steiglitz, On Ancient Cerman Architecture, sono riprodotti in R. Macoy, iniziato del trentatreesimo grado massonico, in A Dictionary of Freema- sonry, ristampa del 1989, p. 176. Quando Macoy compilò il suo dizionario, intorno al 1885, le due colonne da lui raffigurate si trovavano nella cattedrale di Wùrzburg, e probabilmente risalivano al 1042: sopra i capitelli si leggono i nomi latinizzati di Jachin e Boaz. Colonne di questo tipo, anche quando non sono contrassegnate dai nomi, non sono rare nell'architettura medievale, ma gli storici dell'arte che non conoscono la tradizione massonica non ne parlano quasi mai.

47 Gli studi più ricchi di informazioni sul significato esoterico delle colonne del tempio di Salomone provengono da fonti massoniche. 11 massone americano Albert Pike sostiene che, «nell'oscuro linguaggio della cabala», Jachin e Boaz rappresentano l'elemento maschile e l'elemento femminile separati, ovvero le lettere del Nome Ineffabile, diviso. Vedi A. Pike, Morate and Dogma..., cit., ed. con. 1871, p. 849. Come nella Genesi la donna nasce da una costola di Adamo, così Minerva, la dea della sapienza, nasce dal cervello di Giove. Il mito è antichissimo e caratterizza molte versioni del rapporto maschile-femminile fra le divinità. Che questo mito sia adombrato anche dalle colonne della cappella Colleoni lo si desume dal fatto che uno dei temi della facciata è la consacrazione del tempio a Gerusalemme.

48 È questa l'opinione di diversi studiosi, come conferma A. Home in King's Solomon's Tempie in thè Masonic Tradition, 1972, ed. con. 1977, p. 221 sgg.

49 Nella tradizione esoterica gli uomini e le donne hanno processi intellettuali diversi. In genere, la donna sana, cioè sessualmente differenziata dall'uomo, ha un modo di pensare più spirituale, più in armonia con le esigenze dello spiri -to e perciò, a parità di tutti gli altri elementi, il pensiero della donna è più matu -ro di quello dell'uomo. Le differenze sono ancora più marcate nella sfera emoti-va. L'uomo è più incline a esplorare, la donna a essere ricettiva e a nutrire. La volontà, a differenza del pensiero e dei sentimenti, è una facoltà ancora indiffe-renziata. Se a volte può apparire differenziata è soltanto perché essa si esprime attraverso il pensiero o il sentimento, o attraverso entrambi. Nella tradizione al-

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chemica esistono un sale maschile e uno femminile; un mercurio maschile e uno femminile (ed è questa la ragione per cui Mercurio è androgino), ma lo zolfo non ha genere, è unico. Le varie forme di zolfo che si incontrano nei testi ermetici - lo zolfo bianco, lo zolfo ligneo, e così via - indicano il grado di affinamento della volontà e non una differenziazione sessuale.

501 contenuti essenziali deìl'I-Ching pare siano stati formulati oltre cinquemila anni fa, ma i saggi e gli studiosi cinesi vi hanno apportato molte aggiunte successive. Ben poche delle traduzioni europee catturano la profondità di questo testo arcano. Vedi, comunque, Wu Jing-Nuan, Yi ¡ing, 1991: l'autore, studioso di etimologia cinese, ha stabilito nessi fra alcuni dei difficili caratteri e i pittogrammi oracolari ossei da cui derivano. L'esagramma della verità interiore è il numero sessantuno, Zhong Fu, che Wu Jing-Nuan traduce con «sincerità interiore». È il mutamento del terzo trattino (o linea), dallo yin allo yang, a produrre il testo citato, che esprime il continuo avvicendarsi fra il battito del tamburo, il pianto e il canto. In amore l'esagramma significa che lo spazio interiore, aperto all'interno, sta subendo un cambiamento e vedrà alternarsi l'apertura alla chiusura. Poiché si tratta di un diagramma esoterico, le sei linee, divise in coppie si riferiscono ai tre livelli dell'uomo e della donna.

51 Un ottimo esempio è quello fornito (sia pure involontariamente) da Lynn Thorndike in un suo libro del 1965 sul mago del 1200 Michele Scoto. Parlando delle sette ore della notte, in realtà storicamente turni di guardia - crepusculum, vespeni o vespertinurn, conticinium, intempestum, gaUicinium, matutinum e dilucu- lum - Scoto, il quale scriveva in latino, dice che non si tratta di ore, e che tali possono essere chiamate soltanto ab idiotis, dagli «idioti» e dagli «ignoranti». Thorndike trova la spiegazione del tutto soddisfacente, ritenendola dispregiativa: non si accorge che l'esoterista Michele Scoto parla in codice, alludendo ai significati reconditi (i significati dell'idiota) che le sette divisioni del tempo contengono. Esse si riferiscono infatti alla progressione degli stadi iniziatici, per analogia conil tramonto e la levata del Sole. Conticinium, per esempio, contrassegna la prima parte della notte, ma il suo vero significato è «il momento in cui tutto diventa immobile». Analogamente, gaUicinium, o galli secundi, «il secondo canto del gallo», si riferisce ai misteri di Cibele e allude agli strani suoni che emettono i sacerdoti. Thorndike non sembra accorgersi di questa scala iniziatica. Vedi, comunque, L. Thorndike, Michael Scot, 1965, p. 57, in cui la studiosa cita dalla Miinchen Staatsbibliothek, cod. lat. 10268 52r.

52 Un'ottima introduzione alla storia della Nave dei folli di Brandt la fornisce Edwin Zeydel, nel suo Sebastian Brandt (1967). Benché non appartenga alla tradizione esoterica, Zeydel riconosce l'importanza della Narrenschiff per quello che abbiamo chiamato «lo sviluppo dell'ego» nel XV secolo. Egli sottolinea che per la prima volta nella letteratura tedesca un autore esprime in un libro la sua visione personale della vitaf pella Nave dei folli l'uomo diventa la figura centrale sulla Terra. Egli ha davanti due strade, dice Zeydel: può scegliere la via della saggezza, che lo porterà a essere l'immagine microcosmica del macrocosmo, oppure la via che conduce alla folliate al caos. Nessun esoterista avrebbe potuto esprimere in modo più succinto il fine che Brandt si proponeva.

53 11 titolo originale è Das neue Scliiff von Narragonia, 1494. Esiste un facsimile dell'edizione Colmar (Inc. XI.9821), pubblicato a Dortmund nel 1981.

54 La triade superiore dell'albero sefirotico, condensata dai cabalisti nel sim

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bolo della shin, è composta da keter («corona»), hokmah («sapienza») e binah («intelligenza»), che costituiscono la trinità nascosta del regno della luce e generano il regno degli esseri viventi. Fu probabilmente in seguito a questa sua collocazione nell'albero sefirotico che alla shin venne attribuito il numero cabalistico trecento. È per via di questo simbolismo, afferma Charles Poncé, che la letteratura cabalistica attribuisce tanta importanza alla trinità superiore (C. Poncé, Kabbalah, 1974, p. 111).

55 Eliphas Levi si autoproclamava ebraista, ma i suoi scritti sulla cabala sono così poco dotti da rivelare una conoscenza dell'ebraico inferiore a quella che egli pretendeva di avere. Levi, che fu uno dei primi giornalisti a occuparsi di occulto, ne sapeva poco della questione, ma era bravo a inventare storie ed ebbe, inspiegabilmente, ampio seguito. Tutti i suoi scritti sono poco attendibili. Vedi, per esempio, la rassegna contenuta in Madame Blavatsky, Collected Writings, raccolti dii Boris de Zirkoff, Madras-London, 1950-1995, p. 491 sgg., in particolare p. 495. Un giudizio ancora più duro è espresso da A.E. Waite in The Holy Kabbalah, 1971, p. 487 sgg.

56 Nell'Oifestfrt (XII, 39-200), Ulisse, consigliato da Circe, ascolta il canto delle sirene facendosi legare all'albero maestro e tappando le orecchie ai suoi marinai. La mitologia varia da poeta a poeta, ma il canto delle sirene marine sembra essere sempre legato all'Ade.

57 Credevamo che il maestro stesse semplicemente applicando la regola del-l'omofonia che vige nella Lingua Verde, e invece scoprimmo poi che le sue os-servazioni erano corrette. Gesta deriva dal participio passato del verbo latino geni, che significa «conduco qualcosa a termine con successo». La parola inglese cinquecentesca jest, che è connessa con l'idea di provocare il riso e costituisce la radice di jester, «buffone», discende da gesta. E dunque il jester, o Matto, è qualcuno che compie imprese importanti, ben fatte.

58 L'Ulisse omerico, che era un iniziato, sapeva di certo che i suoi uomini (dei Nostoi) sarebbero stati tramutati in maiali dalla maga di cui era l'amante. Ma lo scopo del mito era mostrare che la magia più alta di Hermes era in grado di op -porsi a quella di Circe: dopo tutto fu grazie ai suoi rapporti con la maga che Ulis-se ottenne le indicazioni che gli resero possibile il ritorno in patria.

59 Questa debolezza connaturata Gurdjieff la definì «La caratteristica princi-pale». Vedi P.D. Ouspensky, In Search of thè Miraculous, cit.

60 All'origine della letteratura gotica e «occulta» del XIX secolo c'era sempre qualche tradizione iniziatica. Mary Shelley, il cui Frankenstein (1818) è il prototipo del personaggio di questo genere letterario, trasse sicuramente ispirazione per il suo romanzo dai racconti su un alchimista del XVII secolo, chiamato Konrad Dip- pel, che le vennero narrati durante una visita al castello Frankenstein. Vedi Radu Florescu, In Search of Frankenstein, Boston-New York, Graphic Society, 1975 (trad. it. Storia e mistero del conte Dracula: la doppia vita di un feroce sanguinario, Casale Monferrato, Piemme, 1996). Il personaggio del «guardiano della soglia», inventato dal romanziere inglese Bulwer-Lytton nel suo Zanoni (1845), è un Frankenstein spiritualizzato, unito da legami invisibili al suo creatore, e segna perciò una transizione dalla storia arcana alla fantasy: l'Eterna Confraternita» cui accenna l'autore è una proiezione letteraria del movimento dei Rosacroce.

61 Circe, la maga di Eea, di cui parla Omero nell'Odissai, trasformò in porci i compagni di Ulisse. Ma il loro capo Ulisse, che era un iniziato, potè evitare la metamorfosi grazie al moli, la pianta officinale che gli aveva donato Hermes. Ulisse, che aveva resistito alla magia di Circe, ne divenne l'amante.

62 Tracciammo l'oroscopo del giorno del trasferimento per scoprire se la scel-ta di quella data, nel cuore di un inverno freddissimo, avesse qualche

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significato. Risultò che Saturno era appena entrato nell'Acquario e che c'era una preponderanza di pianeti in Capricorno. Ora, i trattati medievali associano Siena alla Bilancia, tuttavia noi siamo sempre stati convinti che questa città collinare sia sotto il segno del Capricorno: che anche il maestro fosse del nostro parere? Ma forse l'astrologia non c'entrava affatto: in quel giorno un tempo si celebrava la festa della natività di Cristo, prima che venisse spostata al 25 dicembre.

63 Rafaelo non aveva letto Dante con la dovuta attenzione. Sono in molti a credere che il poeta abbia situato Monteriggioni nella cantica dell'inferno, ma non è affatto vero. Nel canto XXXI40-44, Dante scrive «però che, come su la cerchia tonda/Montereggion di torri si corona,/così n'ia proda che '1 pozzo circonda/torreggia van di mezza la persona/li orribili giganti»: Monteriggioni è dunque semplicemente una similitudine del pozzo infernale.

Il borgo è ancora oggi circondato dalle mura del XIII secolo note a Dante. Le torri, a quel che ricordiamo, erano quattordici, ma alcuni simbolisti preferiscono contarne dodici, forse per tracciare un parallelo fra il «pozzo» dell 'Inferno di Dante e i dodici archi dello zodiaco celeste. Il concetto che sta dietro questo simbolismo, per quanto inflazionato, è corretto: le cose dell'inferno sono davvero il rovesciamento di quelle celesti. Dante però forse pensava al puteus («pozzo») di cui Michele Scoto aveva da poco scritto con tanta sapienza, ma fornendone una localizzazione imprecisa anche per gli standard medievali. Le Tavole alfonsine considerano puteus, «pozzo», sinonimo di ara e diverso da sacrarium, «luogo sacro», a differenza di Michele Scoto, per il quale il pozzo e il luogo sacro erano un'unica, identica cosa.

64 Ho trovato la citazione in un taccuino di Mark Hedsel, senza la fonte, ma corredata di note. «La nera fuliggine dell'Antico», come scriveva Mark, è un rife-rimento al dio egizio Seth. Secondo gli etimologi Seth significa letteralmente «nero»: dal nome di questo dio delle ombre, dicono gli stessi, ma forse con mi-nore fondamento (vedi K. Grant, The Magiail Revival, London, Muller, 1972, p. 226), deriva la parola inglese soot, che significa «fuliggine». Se quest'ultima ipotesi fosse esatta, ci sarebbe di che sbizzarrirsi sui significati di parole come sot, che significava «pazzo» e anche «ubriacone», o come sot-uieed, «l'erba dei pazzi», con cui si indicava il tabacco. La citazione riportata da Mark è di natura sicuramente alchemica, ma di un'alchimia molto sofisticata. I polpastrelli, per esempio, alludono alla periferia dell'uomo, gli occhi al suo centro: la separazione di Saturno e del Sole, l'uno alla periferia e l'altro nel punto più interno, induce a pensare che l'opera alchemica sia quasi completa, che l'occhio interiore sia quasi interamente sviluppato. Pure, la sofferenza è tale che, disperato, l'aspirante adepto invoca la liberazione. Infine, e molto opportunamente, Hedsel osserva che soltanto quanti sono passati dal crogiuolo alchemico sono in grado di dire se la drammaticità del testo È esagerata.

65 Le Parche, chiamate lanche Moire, sono le tre dee del Fato, che, figlie della Notte, decidono il destino degli uomini tessendone il filo della vita: Cloto tiene la conocchia, Lachesi lo fila e Atropo lo taglia con le sue forbici.

66 II riferimento è a La terra desolata di T.S. Eliot (1922), in Le opere di T.S. Eliot, Torino, Einaudi, 1963, parte III, «Il sermone del fuoco». La sezione si apre con citazioni quasi letterali dal Prothalamion di Spenser, scritto per celebrare le nozze delle due figlie del conte di Worcester nel 1596, e prosegue con un riferimento alla Tempesta di Shakespeare, in cui si parla di naufragio e morte. La progressione di immagini rispecchia alla perfezione il tema della narrazione di Hedsel. In quel momento della sua vita la sua esperienza fu davvero quella di una «terra desolata».

67 Ancora una volta Mark Hedsel riecheggia altri testi, allo scopo di intensifi-care il contenuto intellettuale delle immagini. In questo caso il riferimento è ai Quattro Quartetti di T.S. Eliot in particolare a Gli aridi selvaggi, II, 1-2 ed

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evoca l'idea del «tacito lamento» del dolore.68 L'espressione «Terra delle ombre» era usata con una certa frequenza nel

XIX secolo, ma divenne famosa soprattutto in seguito all'autobiografia della me-dium Elizabeth d'Esperance (1855-1919) che si intitolava proprio Shadoiu Land. Il libro, non datato, racconta la vita di una persona in bilico fra questo e l'altro mondo, le cui impressioni impalpabili erano per lei estremamente reali.

69 A.J. Davis, The Diakka, and Tlieir Earthly Vietimi, 1873. L'autore, sicuramente il più grande veggente americano, sostiene che le sedute spiritiche e i chiaroveggenti attraggono entità basse, egoistiche: del tutto indifferenti alla probità, esse forniscono informazioni agli umani allo scopo di intrattenere con essi una sorta di rapporto di vampirismo.

70 Abbiamo cambiato il nome della medium, l'indirizzo e le circostanze in cui avvenivano le sedute. Tuttavia l'episodio raccontato è assolutamente vero; ab-biamo soltanto modificato alcuni dettagli per evitare che le persone coinvolte potessero essere identificate.

71 Increase Mather (1639-1723) fu presidente della Harvard University per sedici anni e pastore di North Church, Boston, fino alla morte. 11 figlio, Cotton Mather (1662-1728), che gli succedette alla guida di North Church, lega la sua fama all'aver favorito i processi intentati alle cosiddette streghe di Salem.

72 Le prime «inspiegabili» immagini di William Mumler apparvero, a suo dire, spontaneamente sulle sue lastre fotografiche del 1862. Queste prime fotografie di «spiriti» sono ora molto ricercate dai collezionisti, ma negli anni Sessanta si poteva ancora acquistare per pochi dollari qualche stampa tratta dalle lastre originali. Il processo per truffa, che si tenne presso la Tombs Police Court di New York, venne intentato a William Mumler da un giornalista che voleva del mate-riale per il suo giornale, il «World». 11 processo durò diversi giorni e suscitò grande scalpore: alla fine Mumler fu assolto dall'accusa. Lo spiritismo era allora molto diffuso negli USA: persino uno dei testimoni al processo, il giudice della Corte d'appello Edmonds, senatore dello Stato di New York, era spiritista e scrisse un’opera in due volumi, intitolata Spiritualism e pubblicata nel 1853.

Una fotografia molto famosa tra quelle di Mumler era quella color seppia che secondo l'autore raffigurava lo spirito del presidente Abraham Lincoln con il braccio intorno alle spalle della consorte: l'immagine fu riprodotta dal fotografo Hudson e pubblicata su «Human Nature» del dicembre 1874. Tutte le stampe del fantasma di Lincoln da noi viste sono copie di questa versione di Hudson, probabilmente ritoccata. Coates, lo storico della fotografia parapsicologica, che la riproduce a p. 23 del Photographing thè Invisible, afferma che i due fantasmi nella stampa «erano quasi impossibili da riprodurre perché troppo sbiaditi». La seconda «apparizione» si diceva fosse quella del figlio di Lincoln.

73 Sono possibili due interpretazioni: che Hedsel citi direttamente da H.W.Longfellow, oppure che voglia identificare Lady C. con la medium D'Esperance, forse suggerendo che Lady C. era allieva di quest7ultima, la quale, come epigrafe alla sua autobiografia, pone questi versi di Longfellow: «Tutte le case in cui sono vissuti e morti degli uomini/sono case di spettri, dalle porte aperte/scivolano gli innocui fantasmi nel loro vagabondare,/con piedi silenziosi./Li incontriamo sulla soglia, sulle scale,/vanno e vengono lungo i corridoi,/impalpabili impressioni neU'aria,/una sensazione di qualcosa che si muove qua e là.»

74 Lady C., pur famosa, non era affatto l'ùnica medium degli Stati Uniti. Lo spiritismo da lei praticato era già popolarissimo nel XIX secolo. I metodi e gli scritti sui fenomeni psichici si erano diffusi in America con il Pilgrimage of Thomas Payne del reverendo Hammond, pubblicato a New York nel 1852. Ma le opere più insigni ne! campo della chiaroveggenza, acute e ricche di informazioni, furono quelle di Andrew Jackson Davis, in particolare il suo

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autorevole Princi- ples of Nature, cui la spiritista si dedicò a partire dal 1845, e Penetrali» del 1866, un libro che non gode ancora della fama che meriterebbe. Nel contesto bostoniano ci furono anche diversi esempi di «scrittura automatica», alcuni dei quali riprodotti in Spirìtualism, del 1853, di cui è autore quel giudice Edmonds che testimoniò a favore di Mumler.

75 La scrittura automatica è una tecnica consistente nel contattare gli spiriti a scopi letterari: il medium si affida allo spirito che lo controlla, sotto la cui dettatura agisce da amanuense. La pratica sottende una buona dose di autoinganno.

La scrittura automatica era molto diffusa nel XIX secolo, ma la «letteratura» così prodotta è quasi tutta così vuota e ampollosa da lasciare dubbi sulle doti letterarie degli spiriti contattati. Esistono però delle eccezioni: alcuni dei saggi teosofici di Madame Blavatsky e buona parte di quelli di Alice Bailey sono frutto di questa tecnica, ma evidentemente gli spiriti in questione dovevano essere di prim'ordine e sorretti dalla notevole cultura delle medium.

Uno dei problemi della scrittura automatica è che in genere gli amanuensi vantano contatti con spiriti dai nomi altisonanti. Per esempio, un quindicenne francese, Hermance Dufeaux, autore di una biografia di Giovanna d'Arco molto popolare, sosteneva che a dettargliela era stata la Pulzella in persona. Un'altra medium, Geraldine Cummins, affermò di scrivere sotto la dettatura di contem-poranei di Cristo, fra cui Cleofa e Filippo. Nonostante la sua diffusione, però, la scrittura automatica non ha prodotto grandi capolavori, tranne naturalmente A Vision di W.B. Yeats. Comunque, i monaci del XVI secolo che dettarono l'opera dell'archeologo Frederick Bligh Bond offrirono, se non altro, materiale nuovo al-la cerchia che operava sotto il loro controllo (vedi The Gate of Remembrance, 1918). Da qualche tempo non si parla più di «scrittura automatica» né di «discorso automatico» o di «voce diretta», bensì di channelling, ma la qualità letteraria e il livello intellettuale delle «trasmissioni» non sembrano migliorati con l'acquisizione di un nuovo nome.

76 II tempo che gli spiriti disincarnati trascorrono nel mondo spirituale, fra un'incarnazione e l'altra, dura tutt'al più qualche centinaio di anni, e perciò l'e- go individuale che aveva dimorato nel corpo di Cleofa o dell'apostolo Filippo doveva essersi remcarnato da tempo e non poteva più essere disponibile per agire secondo queste modalità.

77 Con ectoplasma si indica una sostanza che trasuda dal corpo del medium (di solito dagli orifizi, quali la bocca, gli occhi e persino gli organi sessuali). Se-condo gli studiosi del fenomeno si tratta di una semimateria, invisibile allo stato primario, ma visibile e tangibile in uno stato successivo. Siccome però l'ectopla-sma non tollera la luce, diventa molto difficile condurre ricerche. Madame D'E- sperance afferma che al primo agitarsi della sostanza («una massa vaporosa, quasi luminosa») si ha la sensazione di venire avvolti da una ragnatela. 0 termi-ne ectoplasma fu coniato da Charles Richet, professore di fisiologia alla facoltà di Medicina di Parigi, dal greco ektos e plasma, la «sostanza che si estende». Chissà se Richet sapeva che plasma è un termine della letteratura ermetica e designa il corpo umano in cui lo spirito è costretto a calarsi al momento della rinascita? Il fenomeno della comparsa dell'ectoplasma durante le sedute ha fornito materia a molte truffe: ci sono migliaia di fotografie di «ectoplasmi» che assomigliano in modo sospetto alla bambagia.

78 Vedi R. Pearsall, The Table Rappers, London, Joseph, 1972.79 11 berretto frigio, con la sua caratteristica forma (ha la punta morbida che

ricade sul davanti) contrassegnava gli iniziati al culto di Mitra e veniva indossa-to durante una cerimonia molto solenne. Il copricapo è ben visibile nelle varie tauromachie, in cui il dio uccide il toro (figura 55) e compare anche in molte im-magini iniziatiche posteriori, quale quella del cosiddetto alchimista nel campa-

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nile di Notre-Dame di Parigi. Nei misteri mitraici il berretto era chiamato liberia, ragion per cui alcuni studiosi hanno ipotizzato che questi riti fossero in qualche modo connessi con i liberti, ossia con gli schiavi affrancati. Questo dio solare liberava forse gli assopiti, prigionieri della Luna? Durante la rivoluzione francese il berretto frigio, forse su suggerimento di qualche loggia massonica, divenne «il rosso cappello della libertà», il berretto dei sanculotti, una sorta di «talismano protettore, in mezzo alle stragi della rivoluzione» (Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, cit., p. 76).

80 Forse la più famosa è quella proveniente dal palazzo nordoccidentale di Nimrod, ora al British Museum.

81 Le «pile di Baghdad», che furono rinvenute dal ministero dei Trasporti ira-cheni nel giugno del 1936, pare risalgano al II secolo d.C. Nel 1960 l'Università della Carolina ne riprodusse una copia, usando come elettrolita una soluzione contenente aceto al cinque per cento. La batteria fornì una carica di mezzo volt per un periodo di diciotto giorni. Una delle ipotesi avanzate in seguito a questi esperimenti è che le pile fossero impiegate per placcare d'argento il rame. Vedi W. Winton, The Baghdad Batteries b.C., in «Sumer 18» 1962, pp. 87-89.

La pila in realtà non era ancora «famosa» come diceva Ahmed. Nel 1955 ne avevamo già visto un esemplare al museo, ma non possedevamo le cognizioni necessarie per comprenderne le implicazioni. La fama della pila di Baghdad nacque in seguito al libro di Pauwels e Bergier, The Morning of thè Magicians, New York, Stein and Day, 1963, da cui trasse spunto E. von Daniken per il suo Chariot of thè Cods, nel quale le si attribuiva, senza alcuna valida ragione, un'origine extra terrestre. La cosa davvero stupefacente è che la pila sia sopravvissuta fino ai nostri giorni. Per un esame documentato dell'argomento vedi R. Story, The Space Gods Revealed. A Close Look at thè Theories of Erich von Daniken, ed. con. 1976, p. 5.

82 Jalal al-din Rumi, detto in persiano Mawlana, «nostro signore» (1207-1273) fu il più influente maestro esoterico del suo tempo, oltre che uno dei maggiori poeti persiani. Essendo incorso nell'ira del sovrano, Rumi fu costretto ad andare esule. Egli fu il fondatore della confraternita dei dervisci mewlewi, per il quale ideò alcune delle danze e scrisse una parte dei suoi inni sacri. La sua grande opera mistica, Mathnaivi, è in sei libri e comprende oltre ventiseimila versi.

I due versi citati sono tratti da Mathnawi, libro 1, 1504-1595. Per una rapida, ma deliziosa rassegna degli elementi esoterici contenuti nell'opera di Rumi, vedi C. Barks, Rumi. One-Handed Basket Weaving, Athens, G.A. Maypop, 1991.

83 Dhu'l-Nun apparteneva a una setta sufi egizia del IX secolo; i suoi libri sul-l'alchimia e sulla magia non sono stati tradotti in inglese. Coleman Barks (.Rumi. One-Handed..., cit. pp. 126-127) racconta una versione leggermente diversa della storia del tesoro. Rumi, nel secondo libro del Mflthnawi, narra la seguente parabola della «folle saggezza» o «pazzia istruttiva» di Dhu'l-Nun: i suoi amici, sorpresi che un uomo così saggio fosse diventato pazzo, andarono a trovarlo. Al loro arrivo, Dhu'l-Nun scappò via e li prese a sassate. Tutti se la diedero a gambe. «Ecco!» gridò Dhu'l-Nun. «Come fate a dirvi miei amici? Nessun amico si sottrae al dolore inflitto da un amico.»

84 L'arguzia di Dhu'l-Nun consiste nel fatto che il «tesoro» che poteva essere «afferrato» era il nome sacro di Dio scritto in arabo, perché la li finale di Allah è qualcosa di chiuso, come una maniglia alla quale i fedeli possono aggrapparsi nella certezza di essere innalzati dalle tre lettere che svettano verso l'alto, la a e le due/.

85 U sufismo è una delle più influenti correnti mistiche o esoteriche dell'islam. La parola deriva probabilmente dall'arabo suf, che significa lana, in quanto i pri-mi sufi indossavano rozzi indumenti di lana e rinunciavano al, mondo, forse a

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imitazione dei primi monaci di clausura cristiani. Fra le discipline spirituali del sufismo, una delle più importanti era il tawakkul, o «fiducia in Dio», che favoriva un approccio individualistico al misticismo: il praticante si sforzava di compiere ogni gesto in armonia con la volontà divina. Molti dei primi sufi vagabondavano di luogo in luogo, vivendo in alcuni casi di elemosina, in altri di lavori artigianali o di altro genere, secondo modalità che, almeno inizialmente, non si conciliavano con la creazione di una struttura monastica o sociale. Benché di ispirazione indiscutibilmente islamica, le principali opere sufi contengono tracce del misticismo cristiano delle origini e tracce di pensiero neoplatonico, provenienti dal mondo classico. Se si considerano queste influenze, appare ovvio cheil sufismo finisse per scontrarsi con le dottrine ufficiali dell'islam. Gli ordini dei dervisci - gruppi che cercavano un rapporto più profondo con Dio attraverso la musica estatica, la danza e, in alcuni casi, la trance autoindotta - nacquero fra i sufi dell'XI secolo.

86 Endiku è il selvaggio dell'Epopea di Gilgatnes che, compagno dell'eroe nella ricerca della pianta della vita, muore lungo il viaggio e discende agli inferi.

87 Le quattro «stelle reali» dei persiani nel terzo millennio a.C. erano Aldeba- ran (la nostra alpha Tauri), che contrassegnava l'equinozio di primavera), Antares (la nostra alpha Scorpii), che contrassegnava l'equinozio d'autunno, Regolo (la nostra alpha Leonjs), che contrassegnava il solstizio d'estate, e Fomalhaut (la nostra alpha Piscis Austrini), che contrassegnava il solstizio d'inverno.

88 I nomi Uru-ayina e Al Jabbar significano la stessa cosa. Curiosamente, pare che il secondo derivi da Al Jauzah che indicava una pecora nera con una sola macchia bianca. \

89 Si direbbe un ¿pco di parole. Algebar, altro nome che gli arabi attribuisco-no a Orione, indicava anche la beta Orionis, la quale veniva chiamata anche Rigel, che significa «la gamba sinistra della costellazione». La «gamba sinistra» posava letteralmente sulla Terra, il che spiega le parole di Mark. Ma il gioco di parole potrebbe riferirsi anche ad altro: un astrologo medievale, di nome Alzoph (quasi certamente l'astrologo persiano del X secolo Al Sufi) chiamò la stella «il pastore»: ancora una volta un'immagine molto terrena in confronto all'immagi-ne stellare Uru-anna.

90 Era quanto pensava, secondo R.H. Alien, lo studioso del XVI secolo Joseph Justus Scaliger. Vedi R.H. Alien, Stnr-Names and Their Meanings, cit., ed. con. 1963, p. 307. Alien non fornisce la fonte del riferimento.

91 Orione era chiamato Sahu nel Ramesseo di Tebe del IV millennio e nel Libro dei morti egizio.

92 Le tre stelle allineate, chiamate in arabo Alnitak, Alnilam e Mintaka, veni-vano qualche volta raggruppate sotto la denominazione Al Nijad, «la Cintura», così come accade nell'astronomia europea.

93 Vedi R. Bauvai e A. Gilbert, The Orion Mystery, 1994.94 Uzur è il plurale della parola indicante, in arabo, il velo che ricopre

l'intero corpo. All'inizio pensammo che Ahmed si riferisse al fatto che in arabo esistono molti nomi diversi per indicare le varie forme di velo. Ma poi, considerando il contesto, che era quello dell'«illusione», concludemmo che Ahmed pensava ai settantamila veli di luce e di tenebre che ricoprono lo splendore di Dio. Se Dio li sollevasse, l'osservatore resterebbe incenerito.

95 I manzi! arabi sono «le case della Luna», ovvero archi di circa dodici gradi, misurati prendendo come punto di riferimento alcune stelle fisse. Essi indicano la distanza coperta quotidianamente dalla Luna durante i ventotto giorni del suo mese. Per ampiezza i manzi! corrispondono ai nakshatras indù.

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96 Vedi L'Epopea di Gilgameé, a cura di N.K. Sandars, Milano, Adelphi, 1996, p. 128, dove, peraltro, si riscontrano sensibili differenze rispetto alla versione fornita nel testo di Mark Hedsel, a partire dal nome della fanciulla Sabitu, che diventa Siduri [N.d.T.\. Fomalhaut è la stella fissa nota anche come alpha Piscis Austri- ni. Mark Hedsel non ha specificato quale fosse la fonte araba a cui faceva riferimento, ma i versi citati sono simili alla traduzione di Jastrow, contenuta in Aspects ofReligious Belief and Practice in Babylonia and Assyria... p. 374 sgg.

97 hi arabo bayt nuri significa «casa di luce». L'espressione deriva dagli antichi riti iniziatici, che assegnavano nomi specifici alle funzioni interiori, e quindi anche alle parti interne dei templi stessi, come santuari, corti, ecc.

98 Wasta è quasi impossibile da tradurre, perché le lingue europee non pos-seggono termini di significato equivalente. Quello che si intende con tale parola è una sorta di «influenza riflessa» o «fulgore sociale»; in una comunità araba, si acquista wasta frequentando persone influenti o visibilmente potenti. Si tratta di un potere riflesso, di un sub-status che discende dallo status effettivo posseduto da un altro che sia un amico o un protettore.

99 Ishtar era la dea babilonese della fertilità e il suo culto era molto importante nell'antico passato di Erech, la città di GilgameS. È la Ashtart dei successivi culti greci.

100 La bilocazione dei «viaggiatori dell'aria» indica la documentata capacità che alcuni iniziati hanno di essere contemporaneamente in due luoghi diversi, anche molto distanti fra loro. Si dice che il fenomeno dipenda dal fatto che l'ini-ziato può assumere una forma «astrale» altrettanto convincente, sul piano materiale, di quella fisica.

101 L’anerete è il pianeta, la stella o punto nodale, che provoca la morte della persona di cui si esegue l'oroscopo. Secondo la tradizione astrologica araba, la presenza della stella Fomalhault insieme al Sole (nell'oroscopo di Ahmed era a tre gradi dei Pesci) segnalava il pericolo di morte per il morso di serpente. Ricor

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davamo con quanta cura Ahmed aveva controllato che non ci fossero rettili nello scavo in cui ci eravamo riparati quella notte nel deserto. Non sappiamo se la sua paura fosse atavica o suggerita dalla conoscenza del suo oroscopo. Nel suo tema natale, la Luna era a nove gradi del Sagittario, sulla stella fissa Han, che si trova nel ginocchio del gigante Ofiuco (Opliiuchus): una posizione che indica sempre rovina e malattie della coscia. In essa vi erano anche altri elementi che preconizzavano le modalità della sua morte.

Capitolo quarto1 L'adepto che insegnò a Helvetius l'arte da lui chiamata pirotecnica non è

mai stato identificato. Nella letteratura esoterica tale termine indica generica-mente una persona che abbia raggiunto un elevato livello di abilità in un'arte specifica; nel caso di Elia, egli era maestro-alchimista. Helvetius dice soltanto che era ex Batavia Septentrionali, ossia del Nord dell'Olanda. Forse era collega o allievo del grande Rosacroce Franz Mercurius Van Helmont.

2 Durante quel primo incontro, l'artista Elia mostrò a Helvetius tre frammenti di una sostanza racchiusi in una scatoletta di finissima fattura, dicendo che erano sufficienti a produrre venti tonnellate d'oro. Vedi Vitulus Aureus quem Mundus adorat... edizione 1678 del Museum Hermeticum Reformatum et Amplificatimi, p. 815.

3 L'alchimista veniva spesso chiamato «artista», alludendo alla sua esperien-za nell'arte spagirica. Un Nicolaes Elias è davvero esistito: si tratta di un olande-se contemporaneo di Rembrandt, che fu ritrattista ad Amsterdam; tuttavia, pur essendo ignota la data precisa della sua morte, si ritiene che egli sia deceduto un decennio prima dell'incontro di cui parla Helvetius. Non va però dimenticato che i riferimenti alchemici alle persone, specialmente quelli concernenti l'iden-tità degli adepti, vengono di solito fatti in forma criptica.

4 La situazione astrologica relativa all'episodio raccontato da Helvetius è molto affascinante. Naturalmente Helvetius non poteva conoscere il pianeta Nettuno, ma quel giorno restavano pur sempre quattro pianeti - il Sole, Saturno, Mercurio e la Lima - in Capricorno. Particolarmente significativa è la posizione di Saturno, che si trovava, secondo la terminologia della tradizione astrologica, nel «grado dell'erudizione», ossia nel ventunesimo grado del Capricorno, il primo grado dell'ultimo decano del segno. Un'esposizione chiara sui gradi così intesi si trova in N. Devore, The Encyclopaedia of Astrology, 1947, p. 90 sgg. Quasi tutte le date che compaiono nella letteratura alchemica rivestono significati par-ticolari, e il Vitulus Aureus di Helvetius non fa eccezione. L'intervallo di tempo - tre settimane - che passa fra il primo e il secondo colloquio fra Helvetius e il misterioso alchimista si spiega proprio in termini astrologici. Il 17 gennaio 1666 gli aspetti dei pianeti erano particolarmente favorevoli alle operazioni alchemiche, non foss'altro perché il Sole era in esatta congiunzione con un pianeta importante, Mercurio, il pianeta ermetico. Per di più la Luna quel giorno era esattamente trigona rispetto alia posizione del 27 dicembre 1666, sestile rispetto al grafico di gennaio e trigona rispetto a Venere. Tutti gli studiosi moderni che analizzano il Vitulus Aureus ignorando i riferimenti arcani, che per gli alchimisti erano ovvi, non penetrano mai fino al cuore di questa letteratura.

5 II nome Elia compare varie volte nel Nuovo Testamento e quasi sicuramen-te è una variante di Elijah. C'è un filo che collega questo misterioso alchimista ignoto con il versetto di Matteo 17,12: «Io però vi dico che Elia è già venuto e nonlo hanno riconosciuto».

6 A.E. Waite, The Reai History of thè Rosicrucians, cit., p. 417. Il primo grado è quello di zelatore.

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7 A. Pike, Morals and Dogma of thè Ancient and Accepted Scottish Rite of Freema- sonry, cit.

8 Secondo Owen Barfield la parola greca che indica «la potenzialità» è di co-nio aristotelico, ed è uno dei tanti termini entrati nell'uso occidentale attraverso la traduzione latina. L'originale greco pusotes sarebbe stato creato da Aristotele per analogia con il platonico poiotes («quiddità»), da cui, attraverso Cicerone che10 tradusse in latino con qualis, deriva il nostro «qualità». Potenzialità è, come osserva sempre Barfield, una delle tante parole che sono nate e si sono sviluppate nella «lunga, penosa lotta» per esprimere il rapporto fra lo spirito e la materia. Vedi O. Barfield, History in English Words, cit., ed. con. 1969, p. 106.

9 L'omeopata Tyler afferma, con una certa esagerazione, che a dare il colpo di grazia all'uso del salasso in medicina fu un veleno, l'aconito triturato, che si dimostrò efficace contro i processi infiammatori, curati fino ad allora soltanto con11 prelievo di sangue. In realtà fu l'omeopatia a porre termine a simili pratiche. Vedi L. Tyler, Homeopathic Drug Pictures, 1952, p. 6.

10 Molti sostengono che il principio su cui si basa l'omeopatia fosse noto in medicina già ai tempi di Paracelso; l'affermazione tuttavia non è esatta. Egli, infatti, si serviva di medicamenti ricavati da erbe e pietre triturate, ed era convinto che, in base alla «dottrina delle segnature», fosse possibile curare ogni malattia con un erba o una pietra particolare, tuttavia la sua teoria relativa all'omeopatia è ben diversa da quella di Hahnemann. L'arcana dottrina delle segnature di Paracelso ha come fondamento l'idea che ogni cosa creata è sotto l'influsso di un segno zodiacale o planetario e che le cose che risultano sotto lo stesso segno sono in qualche modo imparentate e possono pertanto interagire in modo benefico. Lo stesso vale nella medicina, dove una pianta cura una malattia dello stesso segno: così un'erba solare guarisce ima malattia solare. Il sangue, per esempio, è governato dal Sole ed è per questo che i cavalieri crociati di San Giovanni di Gerusalemme (gli Ospedalieri) curavano le ferite con VHypericum perforatimi, una pianta governata dal Sole. A rafforzare l'idea di «curare i simili con i simili» contribuiva anche il fatto che la foglia di iperico, se guardata in controluce, sembra ricoperta da minuscole ferite, contro le quali dunque poteva essere efficace. L'influsso planetario restava in ogni caso l'elemento portante: nella tradizione popolare medievale, YHyperi- cum era chiamato anche Sol terrestris, ossia Sole della Terra.

11 Avicenna (979-1037), sotto la cui guida la medicina araba conobbe la massima fioritura, fu il più grande filosofo dell'Oriente arabo, profondamente in-fluenzato dalle teorie neoplatoniche. Il suo approccio alla medicina era basato sull'osservazione attenta dei fenomeni. Il suo Canone di medicina, nonostante le cattive traduzioni fattene nel XII secolo, rimase uno dei testi classici in tutte le università europee fino alla metà del XVII secolo.

12 La loggia sarebbe stata riorganizzata poco tempo dopo, alla morte dell'ultimo cavaliere, Hohenthal. Vedi T.M. Cook, Samuel Hahnemann. His Life and Times, 1993, p. 108. Sulla loggia di Lipsia, vedi R.F. Gould, The History of Freemasonry, s d., voi. VI, p. 271 sgg.

13 Tenuto conto di questi suoi legami, viene da chiedersi se Hahnemann non avesse ricevuto, dai leader di questi gruppi arcani, l'ordine di rivelare al mondo

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i principi dell'omeopatia, che fino ad allora erano stati custoditi gelosamente al-l'interno dei circoli esoterici.

14 L. Tyler, Homeopathic Drug Pictures, cit., pp. 568-569.15 J.T. Kent, Lectures on Homeopathic Philosophy, 1987, p. 118.16 Con il concetto di «potentizzazione» Hahnemann stabilisce una sorta di

relazione inversa fra quantità e contenuto spirituale. Il concetto appartiene alla scienza spirituale: è interessante notare con quanta rapidità i medici convertitisi alla scienza spirituale di Rudolph Steiner abbiano adottato le pratiche terapeutiche omeopatiche.

17 Può darsi che il motto non sia stato coniato direttamente da Paracelso, ma esso figura comunque in una nota a margine dei quattro volumi dell'edizione ginevrina delle sue opere. Hahnemann aveva già parlato di smilia similibus in un saggio del 1796: l'espressione completa similia similibus curentur compare nel suo Organon der rationellen Heilkunde del 1810. Lo storico Henry M. Patcher (Paracelsus. Magic into Science, 1951, p. 86) riconosce che Paracelso non era un omeopata nel senso in cui lo era Hahnemann. Un'eccellente analisi di questo aspetto della medicina di Paracelso si trova in E. Wolfram, The Occult Causes of Disease, s.d. ma del 1925 circa.

18 L'Unisfera era in costruzione non lontano dal luogo dove Sarebbe sorto lo Shea Stadium: entrambe le costruzioni furono erette in occasione dell'Esposizio- ne universale di New York, la World's Fair del 1964.

19 Quelle nuove costruzioni ci ricordarono la prodigalità con cui New York aveva sperperato il suo patrimonio architettonico precedente. Si racconta a questo proposito un episodio delizioso. II principe Bernardo d'Olanda, in visita al New York City Museum, osservando un modellino dell'antica Nuova Amsterdam, domandò: «Esiste ancora qualcuno di questi edifici?». «Nessuno» rispose il direttore del museo. Con un'alzata di spalle, il principe mormorò: «Non si può dire che non facciate le cose con scrupolo, qui a New York». (J.E. Patterson, The City of New York. A History Illustrated from the Collections of the Museum of the City ofNeio York, New York, H.N. Abrams, 1978.)

20 Hedsel mi pregò di non rivelare lo pseudonimo, perché avrebbe potuto condurre all'identificazione del maestro, che a quell'epoca era un personaggio autorevole, di cui non si conosceva l'attività in campo esoterico.

21 Frederick Childe Hassam (1859-1935).22 Hedsel alludeva probabilmente al Museo della città di New York, ma tele

pregevoli di Hassam si trovano anche a Boston, Washington DC, e altrove.23 II nostro quadro preferito di Hassam arrivò al museo molto tempo dopo: è

il delicato Winter Afternoon in New York («Pomeriggio d'inverno a New York») del 1900, donato da Giles Whiting nel 1971.

24 Non siamo rìjai riusciti a trovare alcuna testimonianza scritta al riguardo.25 II riferimento è a un rituale magico, chiamato dagli adepti Babalon

Working ed eseguilo nel 1946 da John Parsons, leader dell'ordine di Crowley, in California. Al ritualp parteciparono anche C. Parsons, W.T. Smith e L. Ron Hub-bard. Vedi K. Grant, The Magical Revival, cit., p. 136.

26 Un'analisi approfondita della letteratura ermetica è in G.R.S. Mead, Thrice- Greatest Hermes..., cit. L'edizione da noi consultata è quella del 1964.

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27 Crowley ha sostenitori e detrattori. Sulla sua mancanza di equilibrio (per non parlare di vera e propria pazzia), vedi J .O Fuller, The Magical Dilemma of Vic

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L'iniziatotor Neuburg, cit. Per un punto di vista più benevolo, vedi K. Grant,

Aleister Crowley ami thè Hidden God, London, Muller, 1973.28 11 disegno di Lam, l'alieno, eseguito da Crowley poco dopo il contatto

astrale che egli ebbe nel 1919, fu esposto nello stesso anno al Greenwich Village di New York. Se ne può vedere la riproduzione in The Magical Revival di Kenneth Grant, cit., pp. 84-85. Il maestro forse ignorava il significato di Lam in tibetano; Kenneth Grant scrive che in tale lingua Lam significa «dio» o «intelligenza extra- terrestre». Negli ultimi decenni diversi maghi hanno affermato di essersi messi in contatto con un'entità recante lo stesso nome: vedi K. Grant, Cult of thè Sbadato, 1975, pp. 192-193, nn. 40,42.

29 11 coranico Bism Allah al-Rahman al-Rahim («Nel nome di Dio il compassionevole, l’interamente pietoso») viene abbreviato in BSM ALLH AL-RHMN al-rhim per un totale di diciannove lettere. Per un'analisi accurata del rapporto fra il numero 19 e i tre libri sacri, vedi H. Corbin, The Science of Balance, in Tempie and Con- templation, London-New York, 1986, p. 89 sgg., in cui tuttavia non si accenna all'uso delle corrispondenze con gli amuleti da parte di Crowley. Sottolineiamo comunque che Lam è la quinta lettera del Basmallah, che i fedeli pronunciano per difendersi dai demoni. Nello schema di corrispondenze che collegano il Cornuti al Libro degli orizzonti e al Libro delle anime, il Lam corrisponde (nel mondo esterno di Mulk) alla sfera di Saturno. La quindicesima lettera, anch'essa Lam, corrisponde alla Terra. Questo nome poteva pertanto essere impiegato al di fuori del contesto arabo per indicare la discesa di un essere dalla sfera planetaria più alta, quella di Saturno, al regno del tempo, ossia alla Terra.

30 I diciannove guardiani dell'inferno sono menzionati nel Corano; vedi H. Corbin, Tempie and Contemplai ion, cit., p. 89 sgg.

31 A chiamare questa collezione di papiri Libro dei morti - titolo reso famoso dalla monumentale versione litografica di Budge- fu l'egittologo tedesco Karl Richard Lepsius. 11 titolo, tuttavia, non ha mai persuaso interamente gli esperti. Marsham Adams, in The House of thè Hidden Places, 1894, afferma che il vero titolo è contenuto nella rubrica del capitolo CLXII, la quale, con intonazione genuinamente arcana, recita: «Questo libro è il più grande dei misteri. Che a nessun occhio sia concesso posarsi su di esso, sarebbe abominio. Il suo nome è Libro del maestro dei luoghi nascosti». Vedi anche R.A. Schwaller de Lubicz, i cui libri. Le Roi de la théocratie pharaonique (Paris, Flammarion, 1961) e Le Miracle egyptien del 1963, suscitarono grande scalpore. Sua moglie, Isha Schwaller de Lubicz, è autrice di una splendida trilogia sull'iniziazione in Egitto, di cui però allora conoscevamo soltanto il primo volume, Her Bak, nell'edizione del 1956 (Paris, Flammarion).

32 Sotto gli hyksos, XV dinastia, Seth era una delle principali divinità, ma quando questi furono scacciati dall'Egitto, egli divenne rapidamente la grande potenza del male. In questa seconda versione fu spesso raffigurato come il ser-pente Apep, nel quale è possibile vedere l'antenato del serpente tentatore dell'E- den. Il culto del serpente era molto diffuso nelle religioni precristiane, che cercavano di conciliare la luce con le tenebre. Le immagini bibliche si spiegano in parte con il fatto che il serpente veniva quasi ovunque associato ai morti, o al regno dei morti. Il dio Esculapio (il cui nome già contiene in greco la parola ser-pente) era un taumaturgo, cui venivano dedicati templi nei quali vivevano ser-penti accuditi da sacerdotesse vergini. In molti centri di culto i serpenti

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L'iniziatovenivano nutriti con dolci al miele, cioè con gli stessi dolci che si offrivano ai de

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furiti. Il collegamento fra il regno delle tenebre e il serpente, nato nell'antico Egitto, continuò sotto molte forme.

Il serpente così concepito e il serpente degli iniziati sono connessi: l'iniziato è infatti la persona che ha libero accesso al regno spirituale dei morti e può scivo-lare silenziosamente dall'uno all'altro regno. Soltanto i profani, quando muoio-no, devono restare oltre il velo.

33 Nel pantheon egizio e nei riti dei morti, Amset era il protettore canopico del fegato, Duamutef dello stomaco; Hapi, il dio del Nilo, custodiva i polmoni, Quebhsneuf l'intestino.

34 II Carro degli dei dell'astrologia egizia potrebbe corrispondere al quadrato contrassegnato dalle stelle dell'Orsa Maggiore: Dubhe, Merak, Phekda e Me- grez. Verso la fine della civiltà egizia il Carro veniva chiamato Carro di Osiride e raffigurato a volte sotto forma di barca.

S. Dakaris, Tlie Oracle of thè Dead ori thè Acheron, in Evi Melas (a cura di). Tempies and Sancluaries of Ancient Creece, London, Thames and Hudson, 1973, p. 139 sgg.

36 Nei miti più antichi Cerbero aveva fino a cento teste, come il padre Tifone. La successiva attribuzione di solo tre teste ebbe il chiaro scopo di trasformare il cane in un'immagine sia dell'uomo, sia dell'uomo-cane, Thot. C£>me Thot custodiva i segreti iniziatici in Egitto, così Cerbero custodiva i segreti degli inferi. La criniera o coda serpentina del cane ci ricorda che la madre di Cerbero era Echidna, la quale, fra altri mostri arcani, partorì anche la Sfinge. Le fatiche di Ercole sono miti iniziatici, come si comprende dalla discesa agli inferi dell'eroe eponimo per trascinare sulla Terra il guardiano Cerbero e mostrare la diabolica creatura a Euristeo.

37 Un'affascinante analisi del ruolo della scimmia nell'arte medievale - che riassume in parte la storia della caduta di Thot - si trova in H.W. Janson, Apes and thè Ape Lare in thè Middle Ages and thè Renaissance, London, Warburg Institute University of London, 1952.

38 Negli appunti di Hedsel non compare alcuna fonte convincente; tuttavia sembra che il maestro citasse non tanto dal De Inferno di Rusca, quanto dall'Anatomia della malinconia di Burton, il quale traduce quasi alla lettera Rusca, usando parole molto simili a quelle pronunciate dal maestro.

39 Sentimenti analoghi sulla natura esoterica della creatività si trovano in Goethe. Per un commento interessante sulla questione, vedi R. Steiner, Goethe thè Sdentisi, 1950.

40 Che Hedsel, parlando di fatti accaduti all'inizio degli anni Sessanta, accen-ni al finale della Suite lirica, mi sembra particolarmente interessante: nel 1976 i musicologi ¿coprirono che il testo che accompagna la melodia lineare era la versione tedesca del De Profundis clamavi di Baudelaire. Questa voce che chiama dal profondo ha\sicuramente una certa analogia con il modo in cui le parole, che tanta importanza ebbero per Mark Hedsel, sgorgano da profondità sconosciute. Comunque sia> tutta la Suite ha un contenuto esoterico. Il compositore viennese Alban Berg (1885-1935), come il suo maestro Schònberg, coltivava un grande interesse per l'esoterismo e la sua Suite lirica è un esercizio complesso di associazioni arcane di carattere numerologico e musicologico. 1 musicisti esplorarono i fondamenti esoterici del suono nello stesso periodo in cui astrattisti come Kan- dinskij studiarono la natura esoterica del colore. Per un'eccellente analisi dell'argomento, vedi S. Ringbom, The Sounding Cosmos. A Studi/ in thè Spiritualism of

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Kandinskij and thè Genesis of Abstract Painting, Àbo (Finlandia), Àbo Akademi, 1970.

41 Non possiamo scrivere la parola vera, ma quella che forniamo costituisce un'approssimazione ragionevole. Sassuwunnu è il nome di un demone marino babilonese dall'aspetto repellente, con la testa di serpente e il corpo di stella marina. Una descrizione dettagliata si trova in R.C. Thompson, The Devils and Evil Spirìts of Baby ionia, 1903, ed. con. New York, AMS Press, 1976, voi. Il, p. 149 sgg. 11 silenzio che ci viene imposto sul nome pronunciato dal maestro convincerà qualcuno che il racconto è falso, ma l'episodio è autentico.

42 In sanscrito preta significa «spettri famelici», ma i teosofi l'hanno tradotto come «gusci», o immagini astrali che avari ed egoisti lasciano dietro di sé quan-do muoiono.

43 In alchimia, fra i tanti termini cifrati che identificano la scissione c'è anche «putrefazione» che pone l'accento sui bui residui, anziché sulla luce che dalla scissione si sprigiona. Nella putrefazione la nera materia, ispessendosi e oscu-randosi, sedimenta, e dunque «putrefa», mentre al di sopra nasce un arcobaleno di brillanti colori. Nel manoscritto Ripley del XV secolo il radioso uccello di Hermes si libra sopra il drago lunare, simbolo della putrefazione.

44 La preghiera è una forma di meditazione autoindotta che favorisce la scis-sione: è un'implorazione a essere liberati dalle tenebre indesiderate. In alcune circostanze è l'unico rituale che offra una protezione durevole contro le entità demoniache.

45 Eieusi, a nordovest di Atene, fu uno dei maggiori centri iniziatici dell'anti-chità, dedicato al culto di Demetra e della figlia Persefone. Halade Mystai è un'ingiunzione in lingua greca, che significa «Andate al mare, iniziati». L'espressione contiene più livelli di significato: gli iniziati si dirigono materialmente al mare, ma quel mare è anche il loro mare interiore. Nel mese di bedromione si tenevano a Eieusi le processioni degli iniziati, che culminavano nella notte dei misteri (il 20-21). Nessuno sa quali riti si svolgessero nel Telesterio, il centro misterico sacro di Eieusi, perché i profani non potevano mettervi piede. Un anonimo poeta greco, che confessa di essere stato iniziato a Eieusi, si astiene dal parlare delle sue esperienze, perché, dice «la venerazione mi fiacca la voce» (K.G. Kanta, Eleusis, 1979, p. 9). Clemente d'Alessandria, che era cristiano, riferisce che durante questi riti «il tempio tremava e c'erano visioni terrificanti e spaventosi spettri, che raffiguravano il destino cui va incontro il malvagio dopo la morte». In tutti i centri i riti segreti si chiamavano «orge», e questa parola, che ha perso poi la sua sacralità, assumendo una connotazione negativa, ha creato molti equivoci intorno a ciò che realmente avveniva nei centri misterici.

46 La Luna attraversa l'arco di trenta gradi di ogni segno zodiacale in circa due giorni e mezzo. Nella carta delle progressioni astrologiche la Luna ha una periodicità di sette anni. Si ottengono così i numeri tre, sette e ventotto (i giorni del mese lunare), che costituiscono la terna fondamentale nella numerologia lu-nare. Il tre e il sette sono alla base della numerologia occulta: si dice che soltanto gli iniziati di grado più alto riescano a cogliere il funzionamento del cosmo in base sia alla legge del tre sia alla legge del sette.

47 George Ripley era un canonico agostiniano del monastero di Bridlington in Inghilterra. Le sue ricerche alchemiche godevano del sostegno della confraterni-ta dei cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme. Diversi suoi manoscritti di al-

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chimia, chiamati complessivamente Ripleij Scrowles, sono giunti fino a noi: una copia sicuramente autentica si trova anche al British Museum.

48 Con «uccello di Hermes» si indicava la luce fulgida che si irradiava verso l'alto durante il processo iniziatico della scissione: è chiamato uccello di Hermes perché è alchemico e quindi connesso con il presunto fondatore dell'alchimia, Ermete Trismegisto. L'alchimista George Ripley dipinse l'uccello coronato di Hermes appollaiato in trionfo sul globo da cui si diramano sette piume: i sette pianeti sui quali questo uccello governa. L'uccello si libra al di sopra del drago lunare, a significare che il processo di putrefazione o scissione è stato completato. Un'esposizione chiara dei dodici stadi del processo alchemico, connessi con i dodici segni zodiacali, individuati da Ripley, si trova in F. Sherwood Taylor, The Alchemists, 1952, p. 113 sgg., che contiene anche ima nota sulla «putrefazione». L'idea di qualcosa che muore e nel contempo si risveglia è un modo arcano per definire il processo alchemico della putrefazione o scissione. Una sezione del manoscritto Ripley del British Museum è riprodotta in A. Roob, Alchemie und Mystik, con splendide illustrazioni. Lo stesso manoscritto viene discusso brevemente in C. Burland, The Arts of thè Alchemist, 1967, p. 76.

49 II Drago lunare è in parte il Drago della tradizione astrologica, l'Atala che si riteneva avvolgesse con le sue spire la Terra. La testa del drago era nel punto in cui il cammino della Luna (contrassegnato dal drago) si intersecava con I orbi- ta del Sole. La coda era dal lato opposto. Questi due punti (Caput e Cauda nella tradizione astrologica) sono «tane del drago». Ripley chiama il Drago lunare «serpente d'Arabia», sicuramente perché all'epoca in cui scriveva tutti erano al corrente dell'ascendenza araba dell'astrologia; il suo drago rappresenta le tenebre reiette, il residuo putrefatto del processo di scissione.

50 Gli antichi insegnamenti egizi sul sepolcro vuoto hanno un parallelo nel Santo Sepolcro a Gerusalemme. Non è affatto casuale che il sarcofago sia diventato l'altare della liturgia e del simbolismo cristiani: il suo senso è che la tomba appare vuota, ma in realtà è colma della presenza del Cristo vivente, sul cui corpo si celebrano i sacramenti. I quattro evangelisti presentano versioni diverse del ritrovamento del sepolcro vuoto, ma tutti affermano che i discepoli videro soltanto le bende, ossia i resti fisici di Cristo, che ricordano le mummie egizie. A vedere il Cristo risorto fu la più enigmatica delle figure femminili del Nuovo Testamento, Maria Maddalena, la quale, tuttavia, non lo riconobbe perché il corpo risorto è diverso dal corpo fisico.

Il maestro non accennò, curiosamente, all'ovvio collegamento fra i misteri dell'antico Egitto e i misteri cristiani del sepolcro vuoto, ma nelle immagini me-dievali Cripto, in piedi dietro il sepolcro, o seduto su di esso, solleva le braccia nel gesto déll'orans, simile al ka egizio, il geroglifico che indica l'anima liberata.

5‘ L'occultista Cornelio Agrippa fornì varie scale della perfezione, tratte da fonti antecedenti il XVI secolo, fra cui la Scala Duodenari del suo De Occulta Philo- sophia, 1534, libro II, cxxxii.

52 Probabilmente il maestro riteneva che al momento della grande scissione, quella che i teosofi chiamano «separazione delle razze», l'umanità verrà divisa in due gruppi - rispettivamente di un terzo e due terzi - di cui soltanto il primo potrà progredire. Quest'idea, espressa nei testi apocalittici dell'Antico Testamento, per esempio nelMpoca/isse di Giovanni, è sicuramente la ragione di tanta insistenza sul terzo giorno.

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53 La lettera ghimel, come la C, determina sia la linea orizzontale sia quella verticale (disposta ad angolo retto rispetto alla linea orizzontale), e perciò indica l'uomo eretto. La lettera ebraica khaf corrisponde al numero venti, ma gli antichi, nella loro saggezza, attribuirono alla lettera romana C il valore di tre, che in ebraico veniva dato alla lettera ghimel. Lo stesso valore veniva attribuito alla kap- pa greca. Ma già molto tempo prima gli egizi usavano il kti, geroglifico del trono per indicare lo stesso suono.

5-1 Le tradizioni esoteriche relative alla svastica sono estremamente comples-se. Essa veniva posta, a quanto pare, sul petto degli iniziati al momento della loro morte ed era ampiamente usata come simbolo buddhista da tempi antichissimi: Madame Blavatsky la definisce «il simbolo del buddhismo esoterico» e della scuola del loto cinese (H.P. Blavatsky, The Theosophical Glossari/,cit., p. 315). Essa è impressa sul petto di molte immagini di Buddha nei templi orientali: un buon esempio moderno lo si può vedere nella gigantesca statua del Buddha di Lan- tau, nei pressi di Hong Kong.

55 La squadra massonica di Baal Bridge, scoperta nel 1830 fra le fondamenta di un ponticello a Limerick in Irlanda, reca iscritte le parole: «Mi impegnerò a vi-vere con amore e cura/sulla Livella. Accanto alla Squadra.» Il verso e il suo in-verso sono riportati in A. Home, Sources of Mnsonic Symbolism, 1981, p. 19.

56 II maestro si esprimeva in codice. La parola «giorni» in realtà indicava gli anni: il riferimento è al periodo trascorso in purgatorio, che è circa un terzo della durata della vita. Perciò un terzo, più tre terzi fa quattro terzi, la base su cui è costruita la svastica.

57 È noto da tempo che i vari corridoi della Grande piramide erano orientati in direzione di Sirio, della Cintura di Orione, della Stella polare e di Thuban. Il rapporto con Sirio era così importante nella struttura arcana di questa costruzione che il geroglifico designante la stella era costituito da una piramide priva della linea delle fondamenta. Il nome Orione è sempre stato piuttosto misterioso: l'interpretazione più comune è che derivi dal tebano Orioj, che a sua volta l'aveva mutuato dall'antico egizio, in cui Ur Oon significava «il Grande essere». Come nel caso di Orione, molte delle antiche denominazioni mitologiche greche svelano il loro significato originario se rapportate al prototipo egizio. Marsham Adams, per esempio, spiega che Kas Pehu (che significa «Lago dell'inondazione») è il nome più antico con cui veniva chiamata la costellazione di Cassiopea: i mitologi sanno che Cassiopea era tenuta legata alla sua scomoda sedia nei cieli dalle ninfe del mare, le Nereidi.

58 II maestro non ci ha mai rivelato questo nome, ma sospettiamo che fosse Lilith. Nel Talmud è Lilith a generare i lilin, vale a dire i demoni.

59 L. Kolisko ha dimostrato che durante un'eclisse solare i sali d'oro reagisco-no in modo radicalmente diverso dal solito, che i sali d'argento sono sensibili al-la Luna, i sali di mercurio a Saturno, i sali di ferro a Marte, i sali di stagno a Gio -ve, i sali di rame a Venere e i sali di mercurio al pianeta omonimo. Le prove effettuate con la cartina di tornasole sono convincenti e di sorprendente bellez-za. I saggi di Kolisko sull'argomento sono molto noti, ma si veda in particolare The Total Eclipse of tlie Sun, 15th February, 1961, studied in Bordigltera (Northern Itali/) with 1% solutions of Gold chloride and Silver ritirate. Capillary Dynamolisis Testi by L. Kolisko. Kolisko ha svolto le sue ricerche nell'alveo della linea antroposo- fica suggerita da Steiner, nelle conferenze tenute dal 25 giugno al 2 luglio 1922, tradotte in inglese con il titolo

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Human Questions and Cosmic Answers, 1960. Un'analisi delle immagini su cartina di tornasole si trova in A. Fyfe, The Signature of

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thè Planet Mercuri/ in Plnnts. Capillari/ Dynamic Studies, ristampato in «The British Omeopathic Journal», LXII 4,1973, LX1I1 1,1974 e LX1II 2,1974.

60 Un esame documentato al riguardo si trova in J. Godwin, C. Chanel e J.P. Deveney, The Hennetic Brotherliood of Luxor..., cit. L'ordine ermetico dell'Alba Dorata era di natura semiarcana e sosteneva di essere affiliato a un fantomatico ordine dei Rosacroce, ma in realtà era stato fondato dal teosofo e framassone W.W. Wescott, uno studioso di tutto rispetto, ma che nulla aveva della guida ermeticao dell'adepto. La storia ufficiale dell'Alba Dorata è molto particolare e ispirata a eccessivi interessi personali e a troppa spettacolarità; all'origine del suo cosid-detto «ordine interiore» - quello della rosa di rubino e della croce d'oro - pare vi fosse un sogno, poi manipolato, di S.L. MacGregor Mathers. L'analisi forse più completa dell'Alba Dorata si trova in E. Howe, The Magicians of thè Golden Dirwn. A Documentar)/ History ofa Magical Order..., cit.

61 Per una nota breve, ma ricca di informazioni, su Annie Horniman (1860- 1937), figlia del fondatore dello Horniman Museum di Londra e maga provetta dell'ordine dell'Alba Dorata, vedi I. Colquhoun, Sword of Wisdom. MacGregor Mathers and thè Golden Daum, London, Neville, Spearman, 1975, p. 159 sgg.

62 Su W.B. Yeats come mago e sui suoi rapporti assai burrascosi con l'ordine ermetico dell'Alba Dorata vi sono molti saggi, anche se poco precisi; chi volesse farsi davvero un'idea dei poteri magici del poeta legga piuttosto la sua A Vision (1937). Colquhoun (Sword of Wisdom..., cit., p. 172 sgg.) elenca le iniziazioni del poeta. Utile anche il volumetto di K. Raine, Yeats, The Tarot and thè Golden Dawn, Dublin, Dolmen Press, 1972.

63 Nella tradizione celtica Merlino (il cui nome originario era Myrddin) era un bardo-mago, la cui mitologia si intrecciò con le leggende di re Artù: fu proprio Merlino a donare la spada Excalibur al re della Tavola Rotonda. Vivien (a volte chiamata Nimue) era la sua amante. A. Lang in The Book of Romance, New York, Longmans, Green & Co., 1902, p. 33 sgg., narra come Vivien si sia servita di Merlino per carpirgli il suo sapere segreto, poi, stanca di lui, l'abbia convinto a entrare in una grotta che, a detta del mago, conteneva molte meraviglie. Non appena egli fu entrato, Vivien richiuse la grotta con un grande macigno e Merli -no rimase imprigionato: « ... la damigella se ne andò lieta e non pensò più a lui: ora che conosceva tutta la magia che egli poteva insegnarle».

64 II pettorale dei Rosacroce, o medaglione del simbolo segreto, recava la scritta fortiter et recte, il motto dell'ordine di Annie Horniman. Il jenny-haniver era un «drago» fatto con il sangue essiccato di un pesce, la razza: ne abbiamo visti esemplari in vendita nei mercati cinesi. La tromba sciamanica di osso umano era finemente lavorata e aveva l'imboccatura a forma di teschio. All'estremità della tibia era inciso il motto res non verba, il che induce a pensare che fosse usata a scopilrituali.

65 II libro pare fosse diviso in tre sezioni, di cui soltanto una era sotto forma di «Librò, delle ombre» (vedi C.G. Leland, Aradia. Gospel for thè Witches, 1890). Il grandeunanoscritto-grimo/rc, rilegato in cuoio, che Mark Hedsel mi mostrò, era intitolato The Shndow of thè Golden Fire («L'ombra del fuoco dorato») e aveva tutta l'aria di essere una copia, eseguita forse negli anni 1950. Da una dedica risultava che il manoscritto, o una sua copia precedente, era appartenuto a D.H. Murgatroyd, autore di The Knight of thè Raven. Being a Biography of ¡ohn Hunyadi, s.d. Facendo ricerche su Murgatroyd scoprii che

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l'opera è senza data, ma poiché conteneva un riferimento a Dracula Wns a Woinan di R.T. MacNally del 1984, non può che essere posteriore a questa data: la pubblicazione, tuttavia, è postuma. Scoprimmo inoltre che Murgatroyd aveva pubblicato una versione del mano- scritto-grimoire con il titolo originale; egli avrebbe trovato il manoscritto durantelo sgombero di una casa: all'interno c'era l'indirizzo della sede, ora demolita, dei Padri della Croce Rosa, che si ritiene pubblicassero la rivista «The Lamp of Thot» a Keighley, neU'allora West Riding dello Yorkshire.

66 Un amico, molto più esperto di me in questo tipo di letteratura, al quale ho sottoposto il grimoire, mi ha detto che la firma di Crowley sembra falsa. Murgatroyd tuttavia sosteneva di essere amico di Crowley. L'ampio uso che Aleister Crowley faceva del sigillo Caput Draconis, come prima lettera del suo nome, è stato interpretato da molti come un simbolo fallico. Pur non escludendo questa ipotesi, riteniamo che Crowley intendesse stabilire un'associazione fra se stesso e il drago lunare: il sìmbolo di forma fallica è infatti anche la raffigurazione del nodo lunare, astrologico, la Testa del Drago.

67 11 manoscritto era una versione annotata con grande cura della straordinaria ricerca di Avalon sui chakra, insieme ad altro materiale tratto dal Sakti and Sakta dello stesso autore. 11 manoscritto era datato 1920, ma non c'erano indicazioni sul copista. Avalon era lo pseudonimo di Sir John Woodroffe.

Il titolo per esteso del libro di Sir John Woodroffe è The Serperti Power. Being thè Shat-Chakra-Niruptina and Paduka-Panchaka. L’edizione riveduta del 1928 è la più utile dal punto di vista testuale, benché le incisioni non siano della stessa qualità di quelle precedenti. Con nostra gioia a p. 7 sgg. di questa edizione Woodroffe demolisce il punto di vista espresso da Leadbeater in The Chakras e in The Inner Life. Non è questo l'unico caso in cui Leadbeater viene mostrato per quello che è: un «presunto veggente» che parla di cose che ignora.

68 11 tempio di Surya a Konarak è vicino a Puri. Costruito nel IX secolo, l'edi-ficio ha la forma di un grande carro o jagomohana, guidato dal dio del Sole al quale è dedicato.

69 Surya è il dio vedico del Sole, il cui carro è condotto da sette cavalli, che rappresentano i pianeti. In origine erano raffigurati sette cavalli che tiravano il grande tempio di Orissan a Konarak. La statua del dio è in una nicchia sopra il carro: Surya è il cocchiere del tempio. Il simbolismo è ovvio: il tempio è l'uomo, con i sette pianeti interiori, le ruote dello zodiaco e le costellazioni (dodici cop-pie) e l'ego solare che tutto controlla.

70 L'Oriente ha raggiunto un livello molto più alto dell'Occidente nel controllo di alcuni aspetti del corpo astrale. Ma ciò che l'Occidente ha perso sul piano astrale, l'ha guadagnato nell'evoluzione dell'ego.

Le pieghe e la dignità delle vesti indiane sono lo specchio dell'astralità del corpo che rivestono. Quando a indossarle è un europeo, le vesti rivelano la povertà dell'astralità o, per meglio dire, la diversità di astralità. Quando l'abito esteriore non coincide con la forma interiore, l'occhio attento coglie subito l'antitesi.

Quanto detto, però, non è una condanna dell'Occidente, il quale ha sviluppa-to altre facoltà a discapito dell'astrale, immettendosi in un flusso del tutto estraneo alle correnti orientali: l'Occidente ha infatti incrementato la coscienza individuale a spese della coscienza di gruppo favorita dalla evoluzione astrale.

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È questa la ragione per cui un occidentale vestito all'indiana è sempre una figura comica, perché l'esterno e l'interno non coincidono. Se diventa una maschera vuota, l'abito è per lo meno ridicolo, ma a volte fa anche paura, come le maschere demoniache dei danzatori sacri deU'India. che hanno un aspetto feroce anche quando le persone dietro le maschere danzano in uno stato di sereno trance, seguendo la musica con i movimenti del corpo.

71 Un'ottima analisi del racconto di Goethe si trova in R. Steiner, Goethe's Standard of thè Soul as Illustrated in Faust and in thè Fairy Story of «The Green Snake and thè Beautiful Lily», 1925.

72 Si dice che il caffè immerga i corpi spirituali ancora più a fondo nella mate-ria. 11 maestro sembra scherzare su questo distacco forzato dal centro spirituale.Il drammaturgo Henrik Ibsen, che compose il suo dramma nordico Peer Gynt nel caldo meridione d'Italia, scrisse: «Così iontani dai propri futuri lettori, si diventa spericolati».

Nella tradizione esoterica il caffè è dannoso perché attira lo spirito nelle profondità della materia: in questo senso si può dire che contribuisce a rendere più chiaro il pensiero. Il tabacco è dannoso per molte ragioni, ma soprattutto perché attira gli spiriti di basso grado e appanna il mondo spirituale, sia per il fumatore sia per chi lo circonda. L'alcol intacca l'organismo che serve allo svi-luppo dell'ego e «gli spiriti» etilici, scorrendo nel sangue, si impadroniscomo della personalità del bevitore. L'abuso di droghe e di allucinogeni è una questio-ne di grande interesse per gli esoteristi.

73 Nell'esoterismo l'amore è in pratica un'aspirazione, qualcosa che non è ancora adeguatamente sviluppato nelle persone normali. L'amofre comunemente inteso è 1'«amore del velo», rivolto all'apparenza esteriore delle cose, perché privo della conoscenza di ciò che sta dietro la superficie. L'iniziato aspira invece a sviluppare l'amore dello spirituale senza restare impaniato negli inganni e nel fascino del velo. Per il mistico l'amore vero è l'Amore di Dio.

74 Era la visione deW'ajna, che è come la Luna, bellissima nel suo candore, ed è governata da Hakini. Una descrizione tradizionale dell'ajna si trova in J. Woo- droffe, The Serperti Power, ma Hedsel vide evidentemente altre cose oltre le forme simboliche espresse nella letteratura sanscrita. È significativo che il maestro gli comandò di sperimentare questa visione: in sanscrito ajna significa «comando» e riguarda il luogo in cui si possono percepire o «udire» i comandi provenienti dall'alto. «È qui che l'ajna del guru viene comunicato» scrive Woodroffe, citando il Gautamiya-Tantra.

75 I testi sanscriti pongono fra le mani della divina Hakini un rosario e un te -schio. Forse è per questo secondo simbolo che si dice che Hakini risiede nel mi-dollo osseo. Hakini effettua il segno (mudra) che conferisce la conoscenza ed è chiamato vidya-mudra. La dea ha sei facce, colorate di rosso (pur avendo l'aspetto della Luna) con tre occhi su ciascuna di esse. I diciotto occhi confermano la natura lunare di Hakini perché il ciclo Saros che misura la regressione dei nodi lunari si compie in poco più di diciotto anni, e si ripete quattro volte durante i settantadue anni in cui il Sole regredisce di un solo grado. Nell'uomo la stessa numerologia si rispecchia nella respirazione e nella circolazione sanguigna. Per un'analisi dell'interazione dei due cicli, vedi G. Wachsmuth, Reincarnation as a Phenotnenoy of Metamorphosis, New York, Anthroposophic Press, 1937, p. 65 sgg.

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76 L'idea1 che si potesse camminare in cielo nella propria interiorità creò in noi sconcerto. Quando però comprendemmo che l'occhio esterno era stato creato dalla luce solare e l'occhio interno poteva essere creato soltanto dall'uomo, l'idea di un viaggio nei cieli interiori ci divenne più chiara. Cominciammo allora a capire il significato della statua del tempio di Konarak: il dio Surya era situato in una nicchia sopra il carro, eppure guidava, ossia controllava, l'intero tempio.L'edificio era il corpo, con le sue facoltà planetarie e i suoi sette organi spirituali. Anche il dio del Sole Surya viaggiava nella luce interiore, nei cieli sopra il tempio: era l'ajna evoluto, che teneva le redini.

77 Nell'antichità Venere era chiamata Phosphoros, ma soltanto quando era intesa come Stella del Mattino. Venere è ormai da tempo il simbolo del corpo eterico, insieme alla stella a cinque punte dell'uonio pentagrammatico. 11 nome Phosphoros contiene la parola greca phos, «luce», che nei circoli iniziatici indicava l'adepto, l'uomo evoluto, ossia «l'uomo di luce».

78 Vedi R. Collin, The Theory of Celestini Influente, 1954, ed. con. 1971, p. 138sgg,

79 Vedi il canto del dio egizio Atum, nel mito cosmologico contenuto nel Brernner Rhind Papyrus del IV secolo, citato all'inizio del capitolo quarto.

80 L.E. Arochi, LÌ piramide de Kuktilcan, Mexico, Editorial Orion, 1976. Vedi anche P. Tompkins, Mysteries of thè Mexican Pyramids, New York, Harper & Row, 1976, p. 308.

81 Nella tradizione arabo-latinizzata medievale, la stella cui si riferisce Ma- rian Popenoe Hatch si chiamava Al Dhi' Bain. Secondo alcuni storici dell'astro-logia essa era la lingua guizzante del drago, secondo altri si trovava sotto le fauci. Nel primo secolo dell'era cristiana l'astrologo alessandrino Tolomeo la denominò Genus, che in greco significa «fauce». Le principali scoperte astrono-miche riguardanti il significato del disegno tracciato dai serpenti nel Tro-Corte- sianus Codex si devono a Samuel S. Block.

s- In questo contesto «superiore» e «inferiore» sono termini tecnici, relativi al modello planetario tolemaico. La congiunzione superiore si verifica oltre il Sole (in termini tolemaici, più in alto del Sole, cioè sopra di esso). La congiunzione inferiore si verifica davanti al Sole, ossia nella sfera più bassa di quella solare secondo la concezione geocentrica.

83 Una mappa stellare tardoromana (con personificazioni del Sole e della Lu-na e delle principali costellazioni secondo il sistema tolemaico) si trova in G. Thiele, Antike Himmelsbilder, 1898.

8-1 Per un esame dettagliato dello zodiaco disegnato sul soffitto del Mitreo dell'isola di Ponza, vedi R. Beck, Interpreting thè Ponza Zodiac, in «Journal of Mithraic Studies», 1976, I. A un osservatore attento non sfuggirà il fatto che in realtà non si tratta della rappresentazione dello zodiaco ma di una carta delle stelle.

85 II culto di Mitra, o mitraismo, ispirato al culto solare dell'antica Persia, si diffuse a Roma poco prima della nascita di Cristo e fu per un certo periodo la religione non ufficiale dell'esercito romano. 1 misteri di Mitra non sono mai stati interamente esplorati, ma sicuramente erano basati su un sistema iniziatico consolidato. Mitra, vestito di una tunica e con il tipico berretto frigio, viene di solito raffigurato nell'atto di uccidere il toro cosmico il cui sangue era fonte della vita. Vedi F. Cumont, The Mysteries of Mithru, 1956.

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86 Vedi R.C. Alien, Star-Names..., cit., ed. con. 1963, p. 392.87 Al tempo in cui conducevamo le nostre ricerche sulle connessioni fra le

Americhe e il Medio Oriente, le opere di Zecharia Stichin non erano ancora state pubblicate. Eravamo pertanto riluttanti ad anticipare gli studiosi, stabilendo un nesso fra l'immagine planetaria dei maya e quella solare dei caldei.

88 Venere costituì per l'astrologia antica uno dei problemi maggiori, mai ade-guatamente esplorato dagli storici del settore. 1 greci chiamavano il pianeta Pho- sphoros quando compariva come Stella del mattino: come sia avvenuto il passaggio da questo nome a quello latino di Venere non è noto. Nel periodo preclassico Venere era, a quanto pare, una dea italica di secondaria importanza, benchéil suo nome fosse talora usato come sinonimo di bellezza. La mitologia più anti-ca non contiene alcuna indicazione di un legame fra la dea e la fertilità, e neppure con la lussuria, due caratteristiche associate a Venere solo in epoca più tarda. Sicuramente prima delle conquiste romane del periodo classico Venere fu associata ad Afrodite e ne assunse alcuni tratti sensuali. Nel 11 secolo a.C., per ragioni mai chiarite, i romani cominciarono a dedicare templi alla dea. Si spiega così in parte perché esistano due tradizioni diverse intorno al pianeta Venere: in una questo governa sul Toro, che è un segno di Terra; in un'altra esercita il proprio influsso su un segno più spirituale come la Bilancia.

89 La voce «disco solare», così frequente negli elenchi di classificazione dei reperti archeologici egizi, ricorda l'altra, parimenti frequente, di «oggetto rituale»: tutte definizioni che testimoniano l'impotenza degli esperti di fronte a cose di cui non sanno stabilire l'uso o il valore simbolico originari.

90 Nei tempi più remoti vi era una dea-ureo egizia di nome Uazet, i cui poteri sarebbero stati assorbiti da personificazioni e immagini di divinità posteriori.

91 Nonostante l'enorme mole di ricerche sulla vita e le opere di Bosch, il pittore, come afferma lo storico dell'arte Cari Linfert, resta un enigma (C. Linfert, Hie- ronymus Bosch, New York, Abrams, 1971, p. 7). Le sue fantastiche immagini del paradiso e dell'inferno, costellate di allusioni sessuali ed ermetiche, il suo amore per temi espressi in opere come La nave dei folli e i bizzarri pannelli del Giardino dei desideri restano un mistero per gran parte degli storici dell'arte. Bosch apparteneva alla confraternita di Nostra Signora di Hertogenbosch e il suo nome ora così famoso era in realtà uno pseudonimo: quello vero era Jeroen Anthoniszoon Van Aeken. Non sappiamo per quale ragione egli abbia dipinto proprio quelle immagini, che sembrano segnare una frattura nello sviluppo del simbolismo tar- domedievale. Bosch non ebbe precursori e, pur avendo avuto moltissimi epigoni, non lasciò dietro di sé una scuola che ne sviluppasse le idee pittoriche. Se la sua vita è enigmatica, i suoi quadri lo sono ancor più. Diversi critici hanno tentato di spiegare quello che Linfert definì il suo «linguaggio criptico»: fra questi il più convincente è Wilhelm Fraenger. Questo storico tedesco collega Bosch con la setta ereticale degli adamiti, di cui, ai tempi dell'artista, sopravvivevano alcune frange sotterranee in Francia e nei Paesi Bassi. Vedi W. Fraenger, The Millennium of Hieronymus Bosch, London, Faber and faber, 1952, ed. con. 1976. Linfert respinge la tesi di Fraenger secondo cui Bosch sarebbe stato affiliato alla setta dei Liberi Spiriti.

92 Sul ruolo di Filippo li nello sviluppo del pensiero esoterico, vedi R. Taylor, Arcliitecture and Magic: Consideraiions on thè Idea of thè Escoriai, in D.

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Fraser, H. Hibbard e M.J. Lewine (a cura di), Essays in thè History of Architecture Presented to Rudolf Wittkower, London, Phaidon, 1967, p. 81 sgg.

93 In ebraico Ishon significa «omino», ma nella versione ufficiale della Bibbia è stato erroneamente tradotto come «pupilla dell'occhio». A proposito di questo «omino» nella letteratura ermetica, G.R.S. Mead (Thrice-Greatest Hermes..., cit., voi. Ili) cita le Katliopanishad: «L’uomo, della grandezza di un pollice, come fiamma senza fumo, sarà Signore del passato e del futuro, oggi come domani. Quest'uomo è il purusha».

94 In ciascuna delle sette immagini Bosch ha inserito un particolare simbolico che indica una possibile via di fuga verso la vita superiore. L'accidia, per esempio, è raffigurata come un uomo assopito davanti al fuoco: sul camino c'è un vassoio circolare davanti al quale brucia una candela. La luce, come la pupilla dell'occhio, è al centro del piatto-cerchio: è il simbolo della luce del mondo, che può salvare l'uomo, il quale però non la vede perché dorme. Verso l'uomo addormentato si affretta una suora, tendendo verso di lui la mano con il rosario: l'uomo potrà spogliarsi dall'accidia con l'aiuto di Cristo. La via della salvezza che gli viene offerta non è facile, ma Gesù gli sarà compagno. La settuplice via attraverso il peccato non è un percorso facile, come scoprirono a proprie spese gli eremiti che si ritiravano nel deserto per affrontare i propri demoni: è infatti una lotta con la propria natura interiore, con quello che gli scrittori medievali chiamavano «l'uomo naturale», sempre assediato da demoni e tentazioni provenienti dal di dentro.

95 II libro non fu mai pubblicato.96 Cinque anni venusiani (5 x 584 = 2920) corrispondevano a otto anni solari

(8 x 365 = 2920). I calendari - sacro, solare e venusiano - coincidevano ogni cen- toquattro anni. Ci fu un momento in cui i mitologi identificarono Venere con Quetzalcóatl, il serpente piumato degli aztechi e dei toltechi: identificazione curiosa, visto che il serpente piumato era maschio, e Venere femmina. In seguito l'errore è stato corretto.

97 La miniatura del Liber Divinanti» di Ildegarda di Bingen cui ci riferiamo è quella che illustra la struttura spirituale della Terra. Una sua riproduzione è in C. Singer, From Mugic to Science. Essays on thè Scientific Tivilight, 1928, p. 202, libro in cui la miniatura viene anche descritta. Nel 1960, quando ci recammo a Lucca per esaminare questo straordinario manoscritto visionario-iniziatico, lo trovammo, con grande stupore, posato sugli scaffali della biblioteca municipale, senza alcuna protezione. La badessa aveva istruito personalmente gli artisti e ne aveva seguito la realizzazione delle miniature per essere certa che la sua visione fosse riprodotta con fedeltà.

98 La visita di Elisabetta I a John Dee avvenne il 16 marzo 1575, ed è raccontata nei dettagli da G.F. Kunz, The Curious Lore of Precious Stories, Philadelphia & London, J.B. Lippincott, 1913, p. 189 sgg., mentre non se ne fa cenno in J.O. Hal- liwell (a cura di), The Diary ofDr ]olw Dee, 1842, perché in realtà non si tratta di un diario vero e proprio, bensì di un diario astrologico, che riporta soltanto le nascite, le morti e i fatti curiosi.

99 Nella cosmologia azteca, il dio creatore Tezcatlipoca ordina a Nata (perso-naggio simile al Noè biblico) di costruire un'arca per salvare la propria famiglia dal diluvio che sarebbe seguito di lì a poco per ordine del dio Atonatiuh. Que-st'ultimo fu in seguito associato con Tlaloc, il dio della pioggia, al quale ogni an-no venivano sacrificati molti bambini per scongiurare altri diluvi. Secondo Pre-

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scott, il suo scudo lucente era magico: il dio infatti poteva vedervi rispecchiati tutti i fatti del mondo.

100 Monte Albàn pare risalga al 600 a.C. Il centro rituale è molto vasto: copre una superficie di circa quattro chilometri quadrati, sulla quale sono state già individuate oltre venti costruzioni piramidali, fra cui uno straordinario osservatorio.

101 L'ultima volta che visitammo Monte Albàn, a metà degli anni Ottanta, il sito non era ancora stato completamente restaurato, né erano stati definiti gli angoli piramidali, che fungevano da punti di osservazione o di riferimento; ma gli osservatori, situati in ampie nicchie sulle facce delle piramidi, erano in perfetto

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segno chesi è poi evoluto nella forma semitica tau

stato di conservazione. Da queste nicchie gli astronomi messicani conducevano le loro osservazioni al tramonto e all'alba. Essi facevano le loro analisi in base a una geometria tridimensionale, che si estendeva anche alle coordinate temporali: per questo qualsiasi tentativo di riprodurre a due dimensioni i loro grafici è destinato a fallire.

102 Gli astronomi e archeologi A.F. Averti, S.L. Gibbs e G. Hartung.103 I «danzatori», come vengono abitualmente chiamati, sono scolpiti in bas-

sorilievo su una serie di pietre verticali: alle figure umane, piuttosto statiche, sono sovrapposti complessi geroglifici. Attualmente i danzatori sono situati fra i due maggiori templi piramidali del cosiddetto Sistema M, a sud della zona ri-tuale.

104 H. Fox, Cods of Cataclysm, New York, Harper's Magazine Press, 1976.105 Non sorprende constatare che tanti storici contemporanei ipotizzano con-

tatti con gli antichi babilonesi e i fenici. Le somiglianze nelle forme d'arte, in matematica e astronomia sono troppo marcate per poter essere ignorate, come fanno invece gli storici più ortodossi (vedi Z. Sitchin, The Twelfth Plnnet, New York, Stein and Day, 1976).

106 La presenza della croce nel simbolismo azteco e maya non sfuggì ai primi sacerdoti cristiani che presiedettero con tanto zelo religioso al massacro delle popolazioni soggette alla Conquista. La somiglianza fra alcuni dei rituali aztechi di Palenque (in cui fu scoperta una grande croce con motivi floreali) e i rituali cristiani fu documentata in modo convincente da W.H. Prescott in The Conquest of Mexico, 1843, Everyman 1965, voi. Il, p. 381. Immagini di divinità con croci si trovano persino nei pochi libri sopravvissuti ai roghi spagnoli, e dovevano essere frequentissime prima di questo olocausto. Queste croci, tuttavia, avevano un significato simbolico diverso da quello cristiano. Gli europei si sono accorti delle poco appariscenti croci cerchiate che servivano da orientamento soltanto negli anni Sessanta. Le croci sono connesse principalmente con Venere. Nelle leggende tribali dell'America del Nord come in quella del Sud, la Stella del mattino di Venere è il messaggero dell'avvento del suo Signore, il Sole. In questa sua veste Venere viene raffigurata come una croce con i bracci di pari lunghezza. Una croce analoga si trova racchiusa nel cosiddetto globo alato del simbolismo babilonese, ritenuto una versione della divinità solare Ahura Mazdao. Non sorprende dunque che anche nel sigillo greco di Venere l'asta verticale sia infine diventata una croce: $. Nel suo libro, The Twelfth Plnnet, Sitchin scrive che il segno cuneiforme indicante il dio Anu, che

significava anche «divino», era:che era una delle forme della croce. In questa sua ultima versione si chiamava semplicemente «il segno».

Capitolo quinto1 Platone fu allievo di Sechnuphis di On (meglio nota come Eliopoli),

città che fu la prima capitale d'Egitto e centro sacro ancora più antico di Menfi.2 Pompei, parzialmente distrutta da un terremoto nel 63 d.C. e poi

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ricoperta

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dalla lava del Vesuvio nell'eruzione del 79 d.C., fu riscoperta soltanto nel 1748. Sulla villa dei Misteri, vedi M.P. Nilsson, The Dyonisiac Mysteries of thè Hellenistic and Roman Age, 1957.

3Gli affreschi della stanza n. 5 della villa dei Misteri, portati alla luce soltanto nel 1909, si sono conservati molto bene. Benché catalogati come affreschi, sembrerebbero piuttosto tempere.

41 rituali misterici erano spesso imperniati sui cinque elementi, la Terra, l'A- ria, il Fuoco, l'Acqua e la quintessenza. La frusta che si inarca, pronta a colpire, rappresenta di solito l'Aria.

5Le Menadi raggiungevano lo stato estatico sotto l'influsso di Dioniso. Scar-migliate, avvolte in pelli di leopardo, con in mano serpenti o torce, nel momento di maggiore eccitazione non temevano neppure le fiere. Molte informazioni sul-le Menadi, chiamate anche Baccanti o Tiadi, provengono dalla tragedia di Euri-pide Le Baccanti. A causa della sfrenatezza dei costumi e delle pratiche orgiastiche, nel II secolo a.C. il Senato romano bandi i Baccanali da tutto il suolo italico, tollerandoli solo in circostanze eccezionali, ma il divieto non fu rispettato.

6II caduceo, la verga alata di Mercurio, compare in molti bassorilievi scolpiti sui sarcofaghi romani: un esempio interessante è esposto nel corridoio della Galleria degli Uffizi a Firenze. Il sigillo, con lievi varianti, tutte facilmente riconducibili alla verga di Mercurio, compare nei più antichi oroscopi greco-bizantini. Vedi O. Neugebauer e H.B. Hosen, Greek Horoscopes, cit. Il grande esoterista John Dee si ispirò al caduceo per il suo Monas, il «geroglifico» che divenne simbolo dei Rosacroce (vedi J. Dee, Monas Hierogìyphica, 1564).

7 Nei primi testi teosofici la verga ermetica era l'emblema della spina dorsale, da cui si dipartivano due correnti, Vida e la pingala, che scorrevano per tutto il corpo. Vedi, per esempio, i diagrammi contenuti in C.W. Leadbeater, The Chak- ras, Chicago, The Theosophical Press, 1927, opera per altri versi poco affidabile.

8«Fato» deriva da for, [ari, che in latino significa «palesare», «rendere noto», e dunque esprime un qualcosa di già deciso, o decretato: il fato era il volere degli dei. Nella mitologia successiva il fato fu personificato dalle tre Parche o Moire, associate prima con la luna e poi con Ecate.

9 II coltello di Ecate è diventato Yathame, ovvero il pugnale rituale della stregoneria moderna. La frusta di questa dea lunare è invece forse meno evidente, ma taluni rituali, ai quali ci è stato concesso di assistere, ne prevedevano l'uso. In altre versioni Ecate viene raffigurata con in mano una torcia accesa, forse a ricordo del viaggio negli inferi con Demetra, che cercava la figlia perduta. La torcia però potrebbe alludere anche all'antica credenza secondo la quale i pianeti - Luna compresa - oltre a riflettere quella solare, avevano anche luce propria. La fioca «luce» della parte oscurata della Luna era ritenuta il riflesso della luce solare che rimbalzava dalla Terra: nei rituali di Ecate anche questo aspetto aveva la sua importanza simbolica e costituiva un ulteriore legame fra la Luna e la Terra.

10 Fu la scuola legata allo pseudo Dionigi (dei primi secoli d.C.) a sostituire gli dei associati ai pianeti con gli angeli. Nell'elenco che segue a ogni nome classico viene affiancato il corrispettivo tardomedievale e quello angelico.

Selene Luna AngeliHermes Mercurio Arcangeli

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Afrodite Venere PrincipatiApollo Sole Potestà

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Ares Marte VirtùZeus Giove DominazioniCrono Saturno TroniPer un'analisi più dettagliata, vedi A.E. Thierens, Elemento of Escitene

Astro- log\j, Appendice 111, p. 285, in cui si distingue fra Elio, il dio del Sole (equiparato a Ra o Atum) e Apollo (equiparato a Nefti). Le gerarchie delle sfere adottate da Dante nella Divina Commedia corrispondono a quelle elencate sopra; Dante, come tutti i poeti, ama scambiare nomi e sistemi di uguale rango o appartenenti alla medesima sfera. 11 monte del purgatorio nella Commedia è l'immagine speculare delle gerarchie spirituali, secondo la concezione medievale dell'amore pervertito. Nel primo girone si trovano i superbi (la superbia è il peccato di Saturno); nel settimo i lussuriosi, consumati dal peccato lunare.

" La migliore trattazione in lingua inglese dell'intero Corpus Hermeticum è probabilmente costituita dai tre volumi di G.R.S. Mead, Thrice-Createst Her-mes..., cit.

12 T.S. Eliot (1888-1965) fu probabilmente il più grande poeta moderno di lin-gua inglese a esprimere in poesia i suoi interessi arcani. I Quattro Quartetti costituiscono un esempio straordinario di poesia esoterica.

13 Sui riferimenti temporali contenuti nei Quattro Quartetti, vedi per esempio OfTime e Of thè Decans and thè Stars, in G.R.S. Mead, Thrice-Createst Hermes..., cit., voi. Ili, p. 28 sgg. Mead, tuttavia, ignorava la natura astrologica dei decani e alcune delle sue note non vanno tenute in considerazione.

14 In Burnt Norton, Quattro Quartetti, Eliot raffigura il loto che sorge quieto, con la sua splendente superficie che affiora dal cuore di luce. 11 poeta gioca sul doppio significato della parola rose (che in inglese è sia la «rosa», sia il passato del verbo «sorgere»). Ognuno dei sette fiori, o chakra, è composto di luce, ma in questo contesto il «cuore di luce» è un riferimento diretto al chakra del cuore, o Anahat. Molti critici moderni non hanno colto l'aspetto ermetico del testo, o hanno comunque preferito ignorarlo: per esempio G. Williamson in A Reader's Guide to T.S. Eliot, London, Thames and Hudson, 1967, analizza l'opera facendo riferimento soltanto al Vangelo di Giovanni e al misticismo cristiano.

15 G.R.S. Mead conosceva molte delle lingue necessarie per lo studio della letteratura ermetica e partecipò attivamente alle prime scuole teosofiche, eppure confessò di non riuscire a comprendere interamente i testi ermetici.

16 Con questa espressione ermetica si indicava il corpo umano, il quale, se-condo le scuole iniziatiche, era composto essenzialmente di acqua tiepida.

17 11 manoscritto sarebbe stato portato in Italia nel 1419 dal sacerdote fiorentino De' Bupndelmonti, il quale sosteneva di averlo scoperto durante un suo viaggio in Grecia. Vedi R. Wittkower, Allegory and thè Migration of Sijmbols, London, Thames and Hudson, 1977.

18 II nome Firenze deriva dal latino Florentia, a sua volta mutuato dal verbo fioreo, «fiorisco».

19 11 «fiore» che costituisce la chiave per lo sviluppo spirituale moderno è Yaj- na, il chakra situato fra gli occhi. 11 fiore è bilobato, ed è questa la ragione per cui in alcuni testi viene descritto come un fiore a due petali. Si dice

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che sia protetto da Hakini.20 A battezzare questa raccolta di testi Libro dei morti, titolo che ha

procurato non poche difficoltà agli studiosi, sarebbe stato l'egittologo tedesco Karl Richard Lepsius.

21 Vedi M. Adams, The Book of the Master of the Hidden Places, London, The Search Publishing Press, 1933, che comprende due libri dello stesso autore: The House of the Hidden Places, 1895, e The Book of the Master.

22 Vedi, per esempio, il Papyrus Carlsberg 1 del 11 sec. d.C, citato in E.C. Krupp, Echoes of the Ancient Skies. The Astronomy of Lost Civilizations, New York, Harper &c Row, 1983, p. 108. La parte «pura», che si innalza dopo la scissione, apparirebbe all'orizzonte nelle vesti di Sirio.

23 Fra i grimoires medievali di demonologia erano diffusissimi i testi salomonici, come Videa Solomonis et Eutocia, le cui versioni riportavano in genere i nomi di settantadue demoni con i corrispondenti sigilli e relative caratteristiche. Per un'analisi dell'argomento, vedi F. Gettings, Dictionary of Demons, cit., ed. con. 1988, p. 123 sgg. A giudicare dalle descrizioni, molti di quei demoni erano divinità egizie degradate.

24 Vedi J.N. Lockyer, The Dawn of Astronomy, New York-London, Macmillan and Co., 1894.

25 Secondo A. Badawy e V. Trimble, intorno al 2600 a.C. la stella, ora chiamata Thuban, era visibile dal condotto che si diramava dal corridoio principale della Grande piramide. Vedi The Stellar Destiny of Pharaoh and the So-Called Air-Shafts in Cheop's Pyramid, in Mitteiluneen des Deutschen Archeologischen Instituts, 1964, vol. X, p. 189 sgg.

26 Cosi la chiama Adams, che era massone e impiegava la terminologia mas-sonica.

27 Isha Schwaller de Lubicz era moglie e allieva di R.A. Schwaller de Lubicz. La coppia dedicò la vita allo studio e alla diffusione della scienza sacra egizia. Per una breve biografia di R.A. Schwaller de Lubicz vedi «Foreward», ossia la premessa, di R. e D. Lawlor, all'opera di Isha Schwaller de Lubicz, The Temple is Man. The Secrets of Ancient Egypt, Brookline, Mass., Autumn Press, 1977.

28 Isha Schwaller de Lubicz, Her Bak. Egyptian Initiate, ed. con. London, Hod- der & Stoughton, 1967, p. 339. L'autrice insiste giustamente nel dire che la casta sacerdotale egizia non divulgava il proprio sapere, ma non lo teneva neppure nascosto, nella consapevolezza che soltanto quanti erano iniziati alla saggezza superiore potevano capire.

29 Fu Immanuel Velikovsky a diffondere l'idea che il mondo è nato da una se-rie di catastrofi cosmiche avvenute nella preistoria e nella storia (vedi la sua opera Worlds in Collision, 1950). Vedi anche la conferenza da lui tenuta all'università di Princeton nel 1953 e stampata in appendice al suo libro Earth in Upheaval, 1956.

30 Che la Luna faccia sentire i suoi effetti su tutti i corpi fisici è stato dimostrato di recente con grande autorevolezza da Kolisko.

31 I piani eterici potrebbero sembrare fuori luogo qui, e invece sono tutt'altro che irrilevanti; del resto il maestro usava sempre le parole con grande rigore. La verità, quale ci è dato capire ora, è che la medianicità, la chiaroveggenza e il channelling non appartengono, come invece pretendono, ai regni dello spirito. Essi non penetrano affatto nel mondo astrale, ma restano vincolati al piano

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eterico che, a differenza del luminoso mondo astrale, è poco più che un piano-ombra. Di conseguenza questi mezzi non possono offrire alcuna possibilità di comunicare con gli esseri superiori: rimangono confinati al mondo delle ombre, e da questo deriva in parte la loro pericolosità. Andrew Jackson Davis, un pioniere dello spiritismo, intuì tale pericolo e ne parlò nel suo interessante libro, The Diakka and Their Earthly Vietimi, 1873.

32 Vedi C.G. Harrison, The Transcendental Universe e il commento che ne fa R. Steiner in Occult Movements in thè Nineteenth Century (trad. it. Movimento occulto nel secolo diciannovesimo e il mondo della cultura, Milano, Editrice Antroposofica, 1993). L'idea di chiamare «ottava sfera» il regno spirituale cui faceva da contrappeso la Luna, non fu delle più felici: nella catena spirituale dell'essere ipotizzata dall'astrologia tolemaica - la quale a sua volta era un frammento esteriore dell'antica saggezza misterica - esisteva già un'ottava sfera. Nel sistema tolemaico le sfere erano numerate procedendo dall'interno verso l'esterno, dal centro della Terra al cosmo. La settima sfera era quella di Saturno, mentre in alcuni sistemi l'ottava era lo zodiaco stesso o lo Stellatum.

33 Alfred Percy Sinnett (1840-1921), più noto forse per il suo Incidents in thè Life of Madame Blavatsky (London, George Redway, 1886), parlò dell'ottava sfera in Esoteric tìuddhism, 1883, ristampa Boston-New York, Houghton, Mifflin and Co., 1912, creando con le sue parole non poca confusione. Nonostante i suoi rapporti con la Società Teosofica, egli aveva una conoscenza superficiale dell'esoterismo.

34 Effettivamente Madame Blavatsky, che era una persona colta, demolì il li-bro di Sinnett in The Secret Doctrine, cit., voi. I, sottolineando cohie l'opera avesse suscitato «un’impressione davvero funesta nella mente di molti teosofi».

35 Nel suo The Transcendental Universe, incentrato su una serie di conferenze tenute presso la Berean Society, C.G. Harrison, pur ammettendo di essere a conoscenza del parere di «molti occultisti, i quali ritengono che l'argomento non dovrebbe affatto essere reso pubblico», conduce un'analisi esoterica dell'ottava sfera molto più rigorosa. Egli scrive che Sinnett era stato il primo a profanare questo mistero, ma egli agì inconsapevolmente, incorrendo per questo in molti errori. Un'analisi meno partigiana della questione si trova nelle conferenze tenute a Domach nell'ottobre del 1915 da Rudolf Steiner, i cui interventi sono stati raccolti in Occult Movements in thè Nineteenth Century, cit.

36 M.L. Ambrosini, The Secret Archives of thè Vatican, 1970. Il maestro affermò che nel Vaticano c'erano trentacinque chilometri di archivi segreti, mentre Ambrosini parla di un numero superiore a quaranta.

37 Se mai ci fu un titolo greco, esso fu probabilmente Kore Kosmon, ma il testo è stato chiamato in vari modi, non tutti rispecchianti l'idea ddl'Anima Mundi. Le preferenze di Mead vanno a Virgin of thè World: lo studioso ravvisa nel testo un sermone sacro di iniziazione ai misteri di Hermes, il cui primo stadio prevede l'intervento dello ierofante. Il commento di Mead al testo, forse lievemente inficiato dall'adozione della terminologia teosofica, è sicuramente il migliore fra quelli finora pubblicati. Patrizzi suggerisce i titoli Minerva Mundi e Pupilla Mundi. Con ogni probabilità il manoscritto è il cosiddetto «Libro sacro» di cui parlano altri testi ermetici. Per una breve analisi con citazione delle fonti, vedi G.R.S. Mead, Thrfce-Greatest Hermes..., cit., voi. III, p. 59. Va detto però che nessuno dei titoli elencati rappresenta adeguatamente il contenuto del

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testo ermetico, il quale tratta di misteri che vanno ben oltre i limiti suggeriti dal tema dell'Anima Mundi.

38 II sommario è tratto da Kore Kosmon, p. 25 sgg. e n. 18 per Momo. Nella poesia e nella mitologia greche Momo era in genere considerato la personifica-zione dello spirito critico, «il biasimo».

39 Ibidem, p. 25.40 Vedi G.R.S. Mead, Thrice-Createst Hermes.., cit., voi. Ili, p. 71.

Adrastea, colei che tutto vede, è probabilmente uno dei tanti nomi attribuiti a Nemesi, che Mead giustamente definisce «divinità karmica».

41 11 geroglifico egizio ni 0 rappresenta il luogo della nascita. 11 disegno ri-corda la kteis («vagina») e la «bocca», da cui nascono le parole. Per analogia il segno divenne sia il luogo in cui le scuole occulte rivelavano il sapere segreto sia il processo che oggi viene chiamato «rito di passaggio». Resti di questa tradizione ermetica sopravvivono nel simbolismo cristiano, in cui il ni è diventato la mandorla mistica che talora racchiude Cristo, Maria e alcuni santi, simbolo del mondo spirituale che sta al di là della «porta».

4- Nessun riassunto può rendere giustizia a questo testo ermetico. Riteniamo che il commento e la traduzione di gran lunga migliori siano quelli di G.R.S. Mead, Thrice-Createst Hermes..., cit., voi. Ili, pp. 59-117, il quale, a diffe-renza di molti altri, aveva una conoscenza profonda della letteratura e del les-sico iniziatici.

43 11 vero simbolismo del bastone che il Matto dei tarocchi tiene in mano e di quello che porta sulla spalla traspare da espressioni quali «la piuma di Maat», la cui analogia con matto non ha bisogno di commenti. La climi è chiaramente connessa con cluvis, «chiave».

44 Gli studiosi moderni rintracciano in genere le origini dell'ipnotismo in In-dia, soprattutto perché oggi la storia si basa rigorosamente su prove documentali. Ma in realtà gli iniziati dell'antico Egitto erano esperti di ipnotismo e trasmisero questa conoscenza ai greci: è a questa tradizione iniziatica che risale l'ipnotismo praticato oggi in Occidente.

45 L'espressione «magia nera» designa spesso pratiche che, un tempo proprie della magia bianca, hanno poi smarrito la loro direzione spirituale. Anche se esistono «scuole nere», le quali impiegano le proprie energie in tecniche regressive non al servizio dell’evoluzione dell'umanità, bisogna però distinguerle da altre pratiche, chiamate anch'esse «nere», che discendono invece da antiche scuole misteriche e mantengono un loro significato sul piano ermetico. Non va dimenticato che il dio egizio degli inferi, Osiride, era chiamato «il dio nero», «il Signore del nero che si perfeziona», il che induce a pensare che fosse dotato del potere di riscattare il lato oscuro dell'uomo, quello che altrove abbiamo chiamato «il doppio», ma che nella letteratura ermetica veniva talora indicato come «l'ombra». In questa sua opera Osiride sembra collaborare con Iside e forse con la sua controparte di tenebra, Nefti. È evidente dunque che questo tipo di magia, che oggi potrebbe essere chiamata «nera», aveva un suo valore spirituale nei tempi antichi. Probabilmente in origine veniva praticata nelle scuole iniziatiche, per poi finire in mano a persone incompetenti o poco addestrate. Una conseguenza di questa caduta sono proprio certe forme di ipnotismo: la tecnica, usata un tempo per sviluppare l'anima del neofita indirizzandola verso la libertà e l'amore, venne poi impiegata per fini opposti, diventando lo strumento di chi aveva interesse a mortificare la libertà e l'amore. D'altra parte, tecniche che funzionavano con i neofiti quando la

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composizione psicofisica degli esseri umani era diversa, oggi non possono più dare buoni risultati, neppure se attuate dagli iniziati. L'ipnotismo è una di queste tecniche «sorpassate», contraria alla saggezza cosmica, perché può essere usata facilmente per soggiogare la volontà di un altro individuo, anche quando egli stesso è consenziente. Nelle scuole esoteriche bianche la volontà umana è sacra: soltanto le scuole nere agiscono sulla volontà e la alterano.

46 Vedi S. Dakaris, The Oracle of thè Dead on thè Acheron, in Evi Melas (a cura di), Temples and Sanctuaries of Ancient Greece, cit..

47 Si tratta del lago Acherusia nell'Epiro.48 Dakaris, alle dipendenze della Società archeologica greca, completò la pri-

ma parte dei rilievi e degli scavi nel 1964. Quando visitammo il necromanteion sotterraneo, il sito non era ancora aperto ai turisti.

49 Le vicende di Periandro sono raccontate da Erodoto, Storie, V, 92.50 Omero, Odissea, X, 487 sgg., descrive il luogo e riferisce le istruzioni che

la maga Circe dà a Ulisse: egli deve sacrificare un capro e una pecora e promettere di immolare un ariete nero e una mucca al suo ritorno in patria. L'esperienza di Ulisse è raccontata nel libro XI. Dakaris parla di altre fonti, fra cui il Menippo di Luciano, in cui vengono date istruzioni analoghe a chi vuole consultare le ombre dei morti presso gli oracoli.

51 Tutta la messa è basata su una singola frase musicale di cinque note, sicu-ramente connessa con la numerazione magica del pentagramma.

52 Dai suoi appunti si deduce che Hedsel parafrasava qui le parole del veg-gente Andrew Jackson Davis (1826-1910), probabilmente tratte dai Penetralia, in cui l'autore descrive un uccello comparso durante una visione. *

53 L'omino, alto un pollice, è l'Ishon dei testi ermetici e dell'Antico Testamen-to. G.R.S. Mead (Thrice-Greatest Hermes..., cit.) raffronta l'Ishon con Kathopanishad II.ii.iv. 112, 12, nella traduzione Chattopadhyaya del 1896, che recita: «L'uomo, grande come un pollice, risiede nel mezzo, dentro l'io, del passato e del futuro è signore; da lui nessuno desidera nascondersi».

54 Hedsel citava direttamente dai testi ermetici: «Era valsa la pena guardare e soffrire con tanta intensità per vedere la bellezza del cielo, bellezza che assomigliava a Dio, Dio che era ancora sconosciuto, e la ricca maestà della Notte, che tesse la sua tela con rapida luce, benché meno forte del Sole e degli altri misteri che a turno si muovono in cielo, con moto ordinato e tempi prestabiliti, con influssi nascosti che danno ordine alle cose qua sotto e collaborano alla loro crescita».

55 Sul Nilo celestiale, vedi il capitolo «The Mystery of thè Birth of Horus», in G.R.S. Mead, Thrice-Greatest Hermes..., cit., voi. Ili, p. 101.

56 11 //os ignis non è un'invenzione letteraria: nella letteratura alchemica il fiore (flos) indica il livello eterico dell'essere. D'altra parte la terminologia alchemica, almeno in Occidente, nacque nel Medioevo, periodo in cui anche gli artisti cominciarono a impiegare motivi floreali - incidendoli, bulinandoli e sbalzandoli nel gesso dorato delle loro immagini religiose - per indicare che gli eventi raffigurati non erano terreni, bensì spirituali. Il flos ignis paracelsiano, che Mark Hedsel tradjace come «fuoco floreale», denota talora il colore rosso, simile al flos Solis («fiore(del Sole») che è di un rosso citrino. Ma in alchimia i colori sono soltanto uno schermo per indicare gli stadi dell'Opera, ossia i vari livelli di perfezione. Che non si tratti semplicemente di colore lo si comprende dal fatto che flos aeris («fiore dell'aria») non denota un colore, ma la preziosa rugiada (ros) alchemica che dai regni superiori filtra in quelli inferiori. Si tratta

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chiaramente di una compenetrazione fra un livello dementale e quello successivo. Analogamente il flos ignis rappresenta la penetrazione dell'«elemento Fuoco», che si ritiene circondi la Terra, nell'elemento terrestre. Il sistema simbolico dell'alchimia è perfet

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to: i fiori infatti sono colori che dall'oscurità del suolo irrompono nel regno della quotidianità. L'immagine ci ricorda che Osiride, il dio egizio degli inferi, era chiamato «Signore del nero che si perfeziona». E tuttavia, è soltanto quando si «vede» questo fiore di fuoco che si capisce davvero l'esperienza raccontata da Hedsel.

11 riferimento più diretto di Mark Hedsel nei suoi taccuini è comunque al «fiore di fuoco» degli oracoli caldei menzionati da G.R.S. Mead, Thrice-Greatest Hermes.., cit., voi. Ili, p 83.

57 La stella dei Re Magi, come disse San Crisostomo, non era una stella nor-male, il che spiega come mai i tentativi fatti da astronomi e astrologi per identificare il fenomeno celeste a essa relativo siano tutti falliti. Una stella che, come quella dei Magi, poteva essere seguita eppure restare immobile in un punto preciso del cielo, non è un corpo celeste. Vedi comunque R. Powell, Christian Henne- tic Astrology. The Star of thè Magi and thè Life of Christ, 1991. Nella capacità di percepire la musica delle sfere Powell vede, a ragione, il segno di un alto grado iniziatico. I Magi, in quanto ultimi rappresentanti di una tradizione connessa con il culto esoterico dello zoroastrismo, sapevano non solo «leggere» le stelle, ma, come dice Powell, ne conoscevano anche «la scrittura occulta».

58 l testi ermetici più antichi descrivono Kneph come un dio nero; alcuni di -cono che era nero-azzurro. Plutarco, in De Iside et Osiride, afferma che Kneph era «non generato e quindi eterno». Ricerche recenti ipotizzano un'oscurità ciclica, in quanto Kneph rappresenta un aspetto di Aminone, e «quando chiude gli occhi, tutte le cose si oscurano». Secondo Porfirio, citato da G.R.S. Mead, (Thrice- Greatest Hermes..., cit., voi 111, pp. 92-93), egli aveva lo scettro e la corona alata. Le rinascita del suo culto nelle moderne scuole knephiane sembra legata al fatto che questa divinità ha in sé qualcosa che è «nero», ma contemporaneamnte è «dotato di energia intellettuale» (secondo l'intepretazione che Porfirio dà del simbolismo della corona alata). Questa degenerazione di un neter, o divinità-archetipo, ci ricorda che anche il possente Aminone fu degradato, da un giornalista-occultista, alla figura di quel mostro - dalla testa di gufo, la coda di serpente e il corpo di lupo - evocato dai maghi per conoscere il passato, il futuro e i segreti dell'amore (Collin de Plancy, Dictionnaire Infermi, 1963).

59 Hedsel non rivelò l'identità di Arne Topolski, né fornì altri particolari sui suoi legami con la scuola knephiana. Ma il nome in codice che egli usa rinvia al -l'egizio Har-nebeschenis o Arnebeschenis, uno dei nomi attribuiti a Horus quan-do viene raffigurato come signore della città di Letopoli, che sorgeva un tempo nel delta del Nilo. Naturalmente la prima parte del nome è egizia, mentre la se-conda è greca, ed è connessa con la nascita di Apollo nell'isola di Deio. 1 centri terapeutici del sonno istituiti dentro i templi erano quasi sempre dedicati ad Apollo e si ritiene praticassero una forma legittima di ipnosi.

60 Hedsel rivelò la vera identità della romanziera che egli chiamava Persefo- ne Seabrook, ma per ragioni legali non è possibile svelarne il nome. Vale tuttavia la pena decodificare lo pseudonimo, perché l'operazione permette di capire come Hedsel amasse infilare un significato dentro l'altro, anche quando si trattava semplicemente di camuffare l'identità di qualcuno. Il riferimento classico a Per- sefone, condannata a vivere per alcuni periodi dell'anno nell'Ade, può apparire abbastanza ovvio, in quanto la romanziera in questione entrava periodicamente in contatto con il suo inconscio tramite l'ipnosi. 11

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cognome, Seabrook, raddoppia la natura acquea di questo suo viaggio isiaco. Ma il riferimento potrebbe essere ancora più specifico se si considera che quando nell'CWissefl Circe consiglia a Ulisse di consultare l'oracolo dei morti di Efira, dice che esso si trova vicino «al boschetto di Persefone». La parte più interessante della codificazione è costituita però dalle prime tre lettere del nome e del cognome, che unite danno la parola Perseu. Nell'antico simbolismo egizio Persea era uno degli appellativi di Iside, quando la dea veniva misteriosamente invocata come «Signora del cuore e della lingua»: il frutto della persea assomigliava infatti a un cuore, mentre la foglia era simile a una lingua.

61 Non è chiaro se a pronunciare la parola ingrananti sia stato Mark Hedsel o Arne Topolski, ma essa è comunque rivelatrice. Nel XIX secolo con tale parola indicava la traccia, o impressione, lasciata nelle cellule da stimoli ripetuti costr temente. Tale traccia diventava poi ereditaria.

62 Lo speculimi mercuriale è ì'Asinini Merci/rii degli alchimisti, ossia la quintessenza del mercurio, o piano astrale, in cui gli eventi si presentano ai veggenti in forma rovesciata. Sicuramente Hedsel ricorre a quest'espressione per non farsi capire da Persefone Seabrooke. Secondo la tradizione arcana, nel regno materiale gli eventi vengono visti come in uno specchio, ossia al contrario. Ad alcuni livelli il rovesciamento non è solamente spaziale ma anche temporale, per cui la fine dell'esperienza astrale coincide con l'inizio dell'esperiei\za terrena. Hedsel suggerì aci Arne Topolski che la romanziera bloccava la visione, perché non era disposta a guardare nel suo «specchio» astrale per il timore di ciò che avrebbe potuto scorgervi.

63 Benché forse un poco accademica, la descrizione di Mark è corretta: il co-siddetto «vaso di Pandora» in realtà era stato donato da Giove a Epimeteo: Pan-dora si limitò a scoperchiarlo. Nella letteratura ermetica il dono è quello del fato,o di ciò che ora chiameremmo karma: è questa l'interpretazione che ne dà Zosi- mo, l'alchimista del IV secolo (citato in G.R.S. Mead, Thrice-Greatest Hermes..., cit., voi. Ili, p. 180). Nell'ermetismo più rigoroso soltanto agli dei è concesso di intervenire sul karma di un essere umano per modificarlo. E probabilmente per questa ragione che Hedsel introduce la metafora del vaso di Pandora: benché dal suo punto di vista Arne potesse considerare riuscito l'esperimento, egli interferiva comunque nell'operato degli dei.

64 La cura del sonno, o incubazione, era un metodo terapeutico in uso nell'antica Grecia, basato sul principio secondo il quale il corpo eterico sarebbe una sorta di banca della memoria in cui vengono immagazzinate le immagini delle percezioni, degli eventi e delle azioni passate. Le immagini di alcune azioni malvagie penetrano nel corpo fisico e provocano la malattia. I sacerdoti intervenivano modificando le immagini prima che esse potessero agire sul corpo fisico, causandol malattie e malessere. «Il sonno» non era ipnotico nel senso moderno del termiiie, ma comportava il distacco completo dell'eterico, mentre il corpo fisico restava in una sorta di animazione sospesa. Una delle differenze fondamentali fra qùesto metodo e talune tecniche moderne consiste nel fatto che i sacerdo- ti-guaritori non agivano sul piano fisico, bensì su quello eterico. A Cos e a Oropo, accanto ai templi dedicati ad Apollo, esistevano centri per la cura del sonno, di cui sono stati ritrovati alcuni resti.

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Note

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65 Sull'ingiunzione ermetica a non praticare la magia, vedi Zosimo, Contro la magia, citato in G.R.S. Mead, About thè in iter Door, voi. Ili, p. 180. Hedsel ribadì più volte di non avere mai lavorato in scuole knephiane, ma di avere conosciuto.nei primi anni Sessanta, alcuni alti iniziati che vi appartenevano. E non lasciò dubbi sul fatto che egli considerava malsana la loro pratica.

66 Hedsel non ne rivelò mai l'identità e non lasciò nulla di scritto nei suoi tac-cuini. Mi comunicò soltanto che era morto da alcuni anni, ma che non desidera-va comunque citarne il nome.

67 Georg Grosz (1893-1959), pittore satirico tedesco. Vedi A Little Yes and a Big No. The Autobiography of Georg Grosz, 1946.

68 M.R. James, Apocrypha Anecdota, voi. Il, 1897, in Texts and Studies, pp. 432- 433.

Capitolo sesto1 Plutarco, De Iside et Osinde. Il commento accademico di gran lunga

migliore a questo testo greco, di derivazione egizia, sull'iniziazione è in G.R.S. Mead, Th- rice-Greatest Hermes..., cit., voi. 1, p. 178 sgg. Mead definisce i frammenti ermetici «brandelli dell'antica saggezza gnomica» preservati da Esiodo nel VII secolo a.C., provenienti da frammenti orfici o forse da un trattato, andato perduto, di Manetone, sacerdote egizio del III secolo a.C., che scrisse in greco. Plutarco (46- dopo il 120 d.C.) non accenna mai esplicitamente al cristianesimo, che già stava trasformando le antiche pratiche iniziatiche.

2 G.R.S. Mead, Thrice-Greatest Hermes..., cit., voi. I, p. 185: «Perché i sacerdoti si radono e indossano vesti di lino».

311 significato arcano della stella sba non ha ricevuto dagli studiosi l'attenzione che meriterebbe. Vedi comunque, F. Gettings, Dictionary of Occult, Hermetic and Alchemical Sigils, London, Routledge & Kegan Paul, 1981, p. 23, in cui la stella è associata al simbolo cristiano deU'or<iiis. La somiglianza fra l'orans e i gesti di talune divinità dell'arte egizia è davvero sorprendente. Eccellenti fotografie della stella sha nelle camere iniziatiche e nelle cosiddette tombe sono contenute in W. Forman e S. Quirke, Hieroglypliics and thè Afterlife in Ancient Egypt, London, British Museum Press, 1996, p. 54 e pp. 56-57.

4 La tradizione arcana insiste nel dire che l'uomo è già una stella nel suo spirito invisibile: alla morte il corpo eiementale si distacca e la stella si libera. In Timeo, 41, Platone afferma che all'atto della creazione il demiurgo assegna una stella a ogni anima. La cosa affascinante, tenuto conto dei temi trattati da Hedsel in questo capitolo, è che Plutarco (G.R.S. Mead, Thrice-Greatest Hermes..., cit., voi. I, p. 248) menziona la stella e il coccodrillo in testi contigui. Egli dice che l'aspide è paragonato a una stella, «perché non invecchia e si muove senza avere gli arti»: forse è questa l'origine della nozione per cui il corpo spirituale dell'eterico è «privo di arti», intendendo quelli fisici, naturalmente. Il coccodrillo è invece onorato perché non ha la lingua: anch'esso dunque non agisce sul piano fisico: non può, cioè, parlare dei misteri superiori. Benché inesatto sul piano biologico,il simbolismo egizio è di una grande profondità.

5 Madame Blavatsky, in The Secret Doclrine, cit., voi. 1, p. 219, vede nella stella egizia il simbolo del «defunto», emblematicamente trasformato in coccodrillo. La fonte sembra Gerald Massey, ma potrebbe anche essere qualche

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documento ermetico.6 C. Agrippa, De Occulta Philosophia, 1534, p. clxiii. L'elemento arcano

non è contenuto nel testo, bensì nella distribuzione dei pianeti nell'uomo-pentagram- ma. Il Sole e la Luna non sono integrati.

7 Plutarco, De Iside et Osiride, XLVII: «Alla fine Ades dovrà soccombere, e gli uomini troveranno la felicità, non avranno più bisogno di mangiare e non proietteranno più ombra». È la liberazione dal corpo che la maggior parte degli uomini raggiunge con la morte e alcuni con l'iniziazione. A proiettare l'ombra sono i comuni mortali.

8 «L'uomo purificato» non può che indicare l'iniziato, il solo che muore con il corpo eterico mondato.

Dice Paracelso nel suo La composizione dei metalli: «L'uomo interiore o invisibile è una sorta di costellazione o firmamento». Uno dei temi di questo

testo ba-'are è che tutte le cose create (dalle pietre ai metalli, dai metalli alle piante)

so-■ vive e riflettono le stelle.10 La Società Teosofica fu fondata nel 1878 a New York con l'intento di pro-

muovere la ricerca occulta. A lanciare l'idea fu significativamente il colonnello Olcott, in seguito a una conferenza tenuta in casa Blavatsky a Irving Place, dal -l'architetto George Felt, che verteva sul canone perduto delle proporzioni impie-gate nell'antico Egitto e in particolare su quella che l'architetto chiamò «la Stella della Perfezione». Diversa la versione fornita da Annie Besant («Lucifer», aprile 1895, p. 105), la quale sostiene che la Società fu in realtà fondata dai maestri invisibili. A quell'epoca Madame Blavatsky apparteneva già al trentaduesimo grado della massoneria (Madame Blavatsky, Collected Writings..., cit.j p. 281). La sezione esoterica della Società Teosofica fu istituita nel 1888.

11 C.G. Harrison nel suo The Transcendental Universe, cit., ed. con. 1894, fu il primo a rendere pubblici i contrasti e i dissensi che laceravano le varie organizzazioni circa l'opportunità di divulgare i segreti dell'esoterismo. Vedi anche le dieci conferenze tenute nel 1915 da Rudolf Steiner che attinge abbondantemente da Harrison.

12 La visione teosofica dell'eterico mostra i segni della tendenza orientaleg-giante introdotta nel movimento da Madame Blavatsky e della chiaroveggenza assai dubbia di C.W. Leadbeater. Una sintesi esauriente della concezione teosofica dell'eterico si trova in A.E. Powell, The Etheric Doublé and Allied Phenomena, 1925, nell'edizione del 1969.

13 Nell'antico Egitto la tomba era denominata «casa di Ka» e alcuni sacerdoti erano chiamati «sacerdoti di Ka» (R.A. Schwaller de Lubicz, Sacred Science. The King of Pharaonic Theocracy, cit., p. 217). Esempi del geroglifico ka nell'arte egizia sono presenti anche in molti libri non esoterici: R.T. Rundle Clark, in Myth and Symbol in Ancient Egypt, 1978, p. 233, riproduce l'immagine di un bambino nutrito dal suo fai.

14 La trattazione della figura zodiacale del makara in Madame Blavatsky è estremamente complessa. Le parti più felici sono in The Secret Doctrine, voi. 11, p. 576 sgg., in cfii l'autrice cita dagli scritti astrologici di Subba Row, Pive Years of Philosophy. Blavatsky ricorda che in India si sacrificavano ancora capre a Durga Kali, che è «il lato nero di Lakshmi (Venere), il lato bianco di Sakti». Questa linea di pensiero la conduce a «un mistero sul quale dii scrive

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Note

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non osa indugiare a lungo, non essendo certa di essere compresa».15 R. Steiner, Karmic Relationships. Esoteric Studies, cit. (versione

riveduta della trad. del 1956 di Esoterische Betrachtungen karmischer Zusammenhang), costituiscelo studio più ampio e utile sulla reincarnazione di personaggi famosi.

16 Vedi Studies in Successive Enrth-Lives in «The Golden Biade», n. 29,1977, p.71sgg.

1711 riferimento è a Lady Caithness, autorizzata da Madame Blavatsky a fon-dare una loggia teosofica in Francia. La donna era convinta di essere stata in precedenza Maria, regina di Scozia (J. Symonds, Madame Blavatsky, Medium and Ma- gician, London, Odhams Press, 1959, p. 168 sgg.). Caithness non fu l'unica ad attribuirsi un passato così eccelso. Annie Besant riteneva di essere stata lo sfortunato Giordano Bruno; Aleister Crowley, la «Grande Bestia», era certo di reincarnare il mago del XIX secolo, Eliphas Levi, cui in effetti assomigliava, ma non seppe fornire alcuna prova della loro unità spirituale.

18 W.R. Alger, A Criticai History of thè Doctrine of a Future Life, 1860. La cifra è riportata da C.J. Ducasse, nella premessa a I. Stevenson, Tioenty Cases Suggestive of Reincarnation, 1966.

19 Florence Nightingale (1820-1910) studiò medicina presso le Figlie della Carità di San Vincenzo de' Paoli, in Egitto, e quindi fece tirocinio come infermiera a Londra e a Edimburgo, divenendo infine capoinfermiera presso l'ospedale di Harley Street a Londra. Durante la guerra di Crimea parti come volontaria per alleviare le terribili sofferenze dei malati e feriti ricoverati nell'ospedale di Scuta- ri. La sua storia eroica è anche la testimonianza della lotta di una persona che sa riconoscere il bene e lottare contro l'inerzia e i pregiudizi della burocrazia. Florence Nightingale fondò il sistema infermieristico in Inghilterra.

20 In effetti anche Florence Nightingale contrasse la febbre e fu in punto di morte per una settimana, ma al contrario di tanti soldati e infermiere superò la crisi.

21 Le Figlie della Carità sono un ordine religioso, fondato nel 1633 da San Vincenzo de' Paoli, ancora molto diffuso in Europa e negli Stati Uniti. Le suore prestano la loro opera negli ospedali, negli orfanotrofi e in altri luoghi di soffe-renza.

22 II testo ermetico egizio sul mistero della nascita di Horus (G.R.S. Mead, Tli- rice-Greatest Hermes..., cit., voi. I, p. 54) afferma che l'anima, appena separatasi dal corpo del defunto, assume le sembianze di un coccodrillo, quale simbolo delle passioni umane. È nostra opinione che il coccodrillo rappresenti le passioni, non ancora sublimate, della vita precedente.

Madame Blavatsky associò giustamente l'immagine del coccodrillo a quella del defunto. Nel cap. LXXXVIII del Libro dei morti, sotto il glifo di una divinità mummiforme con testa di coccodrillo si legge:«Io sono il dio (coccodrillo) che presiede alla paura.../all'arrivo della sua Anima fra gli uomini. Io sono il dio- coccodrillo portato alla distruzione, quando l'uomo/acquisisce la conoscenza del bene e del male... Sono il pesce/del grande Horus».

23 Anche sul soffitto del laboratorio «medievale» del Museo Farmacologico di Basilea, appena restaurato, compare un coccodrillo.

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24 Ugo di Payns, insieme ad altri otto cavalieri, fondò nel 1119 l'ordine dei Templari, imponendo ai suoi seguaci i voti della castità, obbedienza e povertà. Il testo originale della Regola segreta del tempio è andato perduto, ma vari riferimenti a esso si trovano nella letteratura successiva. I Templari non potevano possedere proprietà in perpetuo, ma in realtà essi ricevevano laute donazioni, se non altro perché potessero svolgere il loro ruolo di cavalieri, e disponevano di terre, case, servitori e servi della gleba (H. de Curzon, La Règie du Tempie, Paris, 1886, p. 48 sgg.). L'ordine seguiva la Regola di San Benedetto, alla quale i cavalieri si attenevano scrupolosamente nel corso della loro vita. La Regola medievale a noi tramandata fu redatta da Bernardo di Clairvaux. Contiene settantadue articoli, un numero ermetico che, insieme alle straordinarie imprese e al fatto che fosse guidato da un Gran maestro, conferma come l'ordine avesse carattere esoterico. I Templari furono così chiamati dalla sede - donata loro da Baldovino, re di Gerusalemme - che era situata accanto alle presunte rovine del tempio di Salomone (M. Barber, The Trial of thè Templars,cit.).

25 Poiché tutto si corrisponde, gli esseri umani si incarnano alternativamente nel sesso femminile e in quello maschile. In linea generale, quindi, i cavalieri che si batterono con tanto coraggio nei secoli XII e XIII avrebbero potuto incarnarsi in donne del XVIII e XIX.

26 Athanasius Kircher (1601-1680) fu probabilmente il tedesco più colto del suo tempo. Gesuita, uomo di vastissimo sapere, insegnò matematica, fisica e lingue orientali al Collegio romano e all'età di quarantadue anni intraprese gli studi archeologici. Il suo Lingua Aegyptiaca Restituía, che completò nell'anno in cui si dimise dall'insegnamento, è uno dei primi studi seri sulla letteratura arcana d'Egitto, tenuto conto che i geroglifici non erano ancora stati decifrati.

Di questo tipo di palingenesi parlano, per ragioni forse ovvie, parecchi libri sulla magia, i quali tuttavia trascurano molti esperimenti palingenetici. Di essi si occupa invece il principale discepolo di Kircher, J. Kestler, nel suo Physiologia Kircheriana Experimentalis, 1680. Questo testo ricorda, fra l'altro, come Kircher avesse cercato di ricostituire, da una materia ritenuta morta, una1

grande varietà di forme, fra cui vermi, api e scorpioni; non si trattava di immagini astrali, come nel caso della rosa, bensì di esseri reali. A ogni modo, perché l'esperimento riuscisse, occorrevano resti delle creature morte.

È certamente in questi esperimenti che si possono riconoscere le radici alchemiche della storia di Frankenstein. Gli esperimenti di Kircher - che, come testimoniano i documenti dell'epoca, trovarono diversi imitatori - ispirarono tentativi più sofisticati quali quello di ridare vita ai morti, attraverso i loro resti o le ceneri. Secondo C.E Garmann, De Miraculis mortuorum, 1709, l'alchimista-biblio- grafo Pierre Borei definì questa pratica «negromanzia lecita» e sostenne la possibilità di ricreare in vitro la fisionomia del padg; e degli antenati.

28 Sulla genesi del romanzo Frankenstein dalla vera storia degli esperimenti condotti dall'alchimista Conrad Dippel (1673-1734), vedi Raymond T. MacNally, R. Florescu, In Search of Frankenstein, cit., che Mary Shelley dovette apprendere in occasione della sua visita al castello di Frankenstein.

29 II Mons Phiiosophorum, la montagna alchemica raffigurata in vari testi classici di alchimia, presenta al suo interno delle caverne che spesso racchiudo-no un oratorio. Una bellissima rappresentazione di questo monte si trova in S. Michelspacher, Cabala, 1616.

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30 II Cenacelo di Leonardo da Vinci si trova nell'ex refettorio della chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano. Come gli accadeva spesso, Leonardo non completò l'affresco, che subì poi un rapido degrado, a causa degli esperimenti compiuti dal pittore.

A quanto racconta nei suoi taccuini, Leonardo cominciò nel 1495 e sempre da tali scritti risulta come l'artista avesse cercato a lungo un modello per la figura di Cristo, per poi utilizzarne due diversi: uno per il volto e l'altro per le mani. Secondo una fonte quasi contemporanea, citata in I.A. Richter, Selections from thè Notebooks of Leonardo da Vinci, 1966, p. 322, Leonardo soleva decidere prima quale natura, condizione sociale ed espressione dare alle persone che intendeva dipingere, per poi recarsi nei luoghi in cui poteva trovarne i modelli e studiarne i

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tic, le facce, i gesti e così via. In una lettera al suo mecenate, il duca di Milano, il pittore si rammaricava di non essere riuscito a trovare un volto per Giuda che rispondesse all'immagine che egli se n'era fatto.

Dal punto di vista esoterico, l'aspetto interessante sta proprio nella ricerca dei modelli da parte di Leonardo, perché è lo specchio dell'indipendenza che l'artista andava acquisendo per l'influsso della nuova coscienza dell'ego da cui si sviluppò il Rinascimento. Fino agli inizi del XVI secolo, e anche dopo, gli artisti prendevano in genere i loro modelli dai libri o dipingevano i personaggi in base all'antica teoria degli umori. Nella pittura tardomedievale, per esempio, Giuda era sempre ritratto nelle vesti del «melancolico», soggetto all'influenza dell'ele-mento Terra (R. Klibansky, E. Panofsky e F. Saxl, Satani ami Melancholy. Stiuiies in thè tìistory of Naturai Pliilosophy, Religion ami Art, cit., pp. 195 e 286).

31 La visione esoterica di Giuda ruota intorno alla domanda perché il tradi-mento venga perpetrato con un gesto simbolico così tenero come il bacio (Matteo 26,49) e perché mai Giuda - o chi per lui - dovesse identificare, o «tradire» in tal maniera Cristo, che per i suoi miracoli era sicuramente conosciuto in tutta Gerusalemme. La storia di Giuda presenta parecchi lati oscuri: il bacio potrebbe, per esempio, significare che lo stesso Giuda seppe soltanto all'ultimo istante di essere lui il traditore. 1 Vangeli non lasciano dubbi sul suo tradimento, ma il modo in cui lo raccontano suggerisce che esso nasconda uno dei grandi misteri del cristianesimo ancora in attesa di essere rivelati.

32 Le immagini alchemiche di uomini con la testa solare e donne con la testa lunare sono fuorvianti per quanti non sanno interpretare l'iconografia esoterica. Non si tratta infatti di comuni esseri umani, ma di iniziati. In un simile contesto, l'iniziato è la persona che ha redento le sue forze mentali e ha imbevuto di fan-tasia - o capacità di creare immagini - le forze lunari degenerative, presenti in particolare nelle associazioni, in questo tipo di figure, l'evoluzione del passato Ìunare è simboleggiata da un fiore in un vaso, perché il fiore è il simbolo del So -le dell'anno precedente, e, dopo 11 trattamento alchemico, diventa simbolo del futuro spirituale. Ne è un bell'esempio il fiore dalla triplice radice del mano-scritto Sloane 256, British Library. In esso il vaso ermetico assume la forma di un volto umano, con il naso che fa da beccuccio; il fiore dai sette petali rappre -senta le forze planetarie evolute, che si manifestano attraverso i sette chakra, mentre la triplice radice allude ai Tre Principi, sui quali si fonda la Grande Opera alchemica. Le forze lunari si trasformano così nelle forze solari del futuro. L'illustrazione del manoscritto Sloane è riprodotta in T. Burckhardt, Alchemy. Science oj thè Cosmos, Science of thè Soni, 1967, ed. con. Shaftesbury, Element Books, 1986, pp. 168 e 169.

33 Di primo acchito la connessione fra i due diversi sistemi, quello solare e quello lunare, appare semplicemente numerologica: al movimento del sangue viene assegnato il numero settantadue perché tanti sono i battiti cardiaci in un minuto, mentre nello stesso tempo il respiro si replica diciotto volte: il sangue solare (caldo) e l'aria lunare (fredda) si incontrano in tal modo nei sessanta se-condi di un minuto. Ma ci sono anche corrispondenze cosmologiche con il set-tantadue della precessione solare e il dicotto del periodo nutazionale della Luna. Una trattazione completa del problema si trova in R. Schibert, 1Cosmiche und men- schliche Rhythmen, citato da G. Wachsmuth, Reincamatioii, cit., 1937, p. 65.

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Esiste anche un'altra interpretazione di questo curioso rapporto fra il lunare diciotto e il solare settantadue . Dal periodo nutazionale nasce un altro ciclo lu-nare, anch'esso connesso con il numero diciotto, che - ed è questo l'elemento veramente interessante - collega fra loro le attività lunari e quelle solari attraverso il fenomeno delle eclissi. Il ciclo astrologico denominato Saros ha una durata di diciotto anni, undici giorni e otto ore. Esso comprende duecentoventitré mesi lunari, durante i quali si verificano settanta eclissi, di cui quarantuno solari e ventinove lunari. Poiché il Saros è, per così dire, incorniciato dalla fine e dall'inizio del ciclo, il totale delle eclissi fa settantadue.

34 La precessione degli equinozi è un fenomeno che riguarda il graduale sci-volamento airindietro del sole rispetto a una stella o ad alcune stelle di riferi -mento, un grado ogni settantadue anni. La numerologia della precessione solare si rispecchia nel lunare. Poiché respiriamo in media diciotto volte al minuto, respiriamo venticinquemilanovecentoventi volte al giorno. E così i due numeri - quello solare e quello lunare - si rispecchiano nell'evento cosmico.

35 II mistero del settantadue, numero delle precessioni e del sangue, trova posto in molti racconti arcani nella tradizione ermetica. Così, re Salomone imprigionò settantadue demoni nella sua fiasca d'ottone. E ci sono settantadue demoni nei grimoires della letteratura salomonica. Il dolce preparato per Mitridate - re del Ponto e della Bitinia nel I secolo a.C. -, dolce che rendeva immune dal veleno, conteneva settantadue ingredienti. Lo studioso arabo Haydar Amuli (1320- 1385) scrisse opere esoteriche che culminarono nella Summa Sei settantadue, un trattato che, come lo stesso autore sosteneva, abbracciava l'intera storia delle religioni.

36 La cosa affascinante è che non sembra essere questo il rapporto previsto dagli iniziati che progettarono l'osservatorio di Jaipur. Tuttavia anche il sistema di misurazione di Jaipur è basato sul numero degli atti respiratori. Il problema è stabilire se il ritmo qui previsto sia quello normale o quello iniziatico. I sacerdoti astronomi dividevano il giorno siderale in sessanta dando e il danda in sessanta vieniti. Un vieniti corrispondeva a sei respiri. I sei respiri erano chiamati pala e un pala equivaleva a ventiquattro dei nostri secondi. Questo significa diciotto respiri in settantadue secondi, ossia un sesto in meno della media occidentale, il che induce a pensare che si tratti del ritmo respiratorio degli iniziati. Nonostante la diversità del rapporto, permane dunque l'aderenza alla numerologia solare (il settantadue) e a quella lunare (il diciotto).

37 Quasi tutte le tecniche di respirazione adottate per accelerare lo sviluppo spirituale hanno origine nelle scuole orientali, come lo yoga tantrico e il sufismo. Tali pratiche contribuiscono sicuramente a indurre stati avanzati dell'essere in individui di struttura psicofisica orientale e già esperti in talune tecniche arcane di evoluzione. Ma quando vengono trasferiti in Occidente e praticati da individui di struttura psicofisica diversa, e quindi non versati nelle tecniche arcane, questi sistemi possono dimostrarsi decisamente nocivi, e perciò non andrebbero mai praticati senza una guida idonea.

38 La «fcirnace» cui accennò il nostro maestro è quella degli alchimisti, i quali affermavano che il calore del sangue (e quindi di tutto il corpo) si conserva grazie alla combustione che si verifica nei polmoni. Gli alchimisti parlano di tre fuochi, di cui quello precedente è il fuoco «naturale», mentre gli altri due sono rispettivamente artificiale e antinaturale. 11 fuoco «naturale» è anche definito calore latente: in questo caso il forno, Yatanor, è l'intero corpo umano, la scorza dell'Opera. Vedi T. Burckhardt, Alchemy. Science of thè

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Cosmos, Science of thè Soul, cit., p. 161 sgg.39 Vedi B.L. Dhama, A Guide to thè jaipur Astronomie Observatory, s.d.

Il testo classico è A. Garrett, The jaipur Astronomie Observatory and Its Builder, 1902.

40 Dal punto di vista tecnico, lo yantra è il visibile e il conoscibile, mentre il mantru è costituito da una o più parole, oppure da un suono, capaci di creare particolari vibrazioni di natura magica. Il mantrabija è il «seme» del mantra, la sua nota dominante, rappresentata di solito dalla sua prima sillaba.

41 Ulugh Beg (1394-1449), nipote di Tamerlano, fu il promotore dell'astrono-mia e dell'astrologia tartare, che influenzarono profondamente le concezioni co-smologiche cinesi e orientali. Nel 1420 egli costruì il grande osservatorio di Sa-marcanda, che gli permise di correggere la posizione attribuita alle stelle nel sistema tolemaico.

42 I Gesuiti, congregazione di chierici regolari appartenenti alla Compagnia di Gesù, acquistarono grande prestigio in India intorno alla metà del XVI secolo per opera di San Francesco Saverio. I gesuiti erano molto rispettati per la vasta cultura e per le loro conoscenze in campo astronomico.

43 Fra questi strumenti la meridiana solare più piccola si chiama Laghu Sam- rat Yantra. Il Drhuva Darshak Yantra, inclinato a un angolo di ventisette gradi (la latitudine di Jaipur), fu concepito per individuare la posizione della Stella polare. Il Kranti Writa, strumento di ottone formato da due circonferenze, misura la latitudine e la longitudine celesti. Lo Yantra Raj è un disco circolare indeformabile, costruito con sette leghe diverse, che serve per calcolare le posizioni dei principali pianeti. L'Unnatasah Yantra è una grande circonferenza graduata di ottone, di circa sei metri di diametro, appesa verticalmente, che serve per determinare le altezze. 11 Dakshinobhitti Yantra, che si presenta come una parete con due quadranti identici di circa sette metri di raggio, determina le altitudini dei corpi celesti ed è perciò disposto in senso nord-sud rispetto al meridiano. Il Shasthansa Yantra, che è in sostanza un enorme sestante, viene utilizzato per stabilire la distanza e la declinazione dallo zenit.

44 Ne è un esempio lo zodiaco pavimentale della chiesa di San Miniato al Monte di Firenze (XI-X11 secolo), in cui il Cancro è rivolto verso l'altare e il Ca-pricorno verso il portale principale. Il Cancro è quindi una promessa di vita. Camminando secondo questo orientamento, si va dalla morte del Capricorno al -la vita promessa da Cristo. Questa disposizione richiama gli insegnamenti esoterici: la via che dalla rigidezza e dal controllo del Capricorno conduce alla vita del Cancro è la via iniziatica. Alcuni astrologi esoterici, e anche certi poeti, hanno ravvisato nel grande potere costruttivo del Capricorno la forza che trasforma l'elemento Terra in forme immaginative. Nella sua trilogia Wallenstein (1798- 1799), il grande poeta e drammaturgo tedesco Friedrich Schiller parla di Saturno, il pianeta che domina il Capricorno, come di un «signore della nascita segreta delle cose ... nel grembo della terra e nelle profondità dell'immaginazione». Nel suo libro From Pioneer to Poet Isabelle Pagan definì il Capricorno più evoluto il segno del «sacerdote o dell'ambasciatore». John Varley, l'astrologo eterodosso che istruì nella sua arte William Blake, intuì il rapporto profondo che lega il Capricorno al suo opposto, il Cancro, pur basando le sue considerazioni sull'antica posizione della «stella-pesce» Fomalhaut che era in Capricorno nell'epoca classica (J. Varley, A Treatise on Zodiacal Physiognorny, London, 1828). Questa stella, che corrisponde all'attuale alpha Piscis Australis (ora nella costellazione dei

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Pesci), contrassegnava allora il solstizio d'inverno. 11 nesso fra l'ichton, l'uomo-pesce che regge il kart, non avrebbe potuto essere stabilito con più precisione.

45 II geroglifico kan è il simbolo dell'angolo, o della squadra. G. Massey, in A Bookof thè Beginnings, cit.,vol. Il, p. 49, sostiene, giustamente, che il suono del geroglifico kan ha un equivalente nell'ebraico kanph, che significa «l'angolo o l'estremità della Terra».

46 II seminodo curvilineo del sigillo del Capricorno è il simbolo sacro egizio che Madame Blavatsky chiamò ankhe-te (The Secret Doctrine, cit., voi. II, p. 546 sgg.) e descrisse come «un semplice cappio che in una sola immagine racchiude sia il cerchio sia la croce». Nei misteri egizi l'Ankhe-te veniva usato nella misurazione degli edifici: è evidente il nesso fra la squadra e la forma curvilinea del sigillo del Capricorno. Madame Blavatsky collega giustamente l'ankhe-te con la posa, «fune», nella mano del dio indù. G.R.S. Mead (Thrice-Greatest Hermes..., voi. I, p. 43) vi scorge giustamente «il cappio di Ptah», che divenne il nodo di Ercole, il quale probabilmente con la linea e il cerchio raffigurava l'unione fra maschio e femmina. Quest'idea del connubio è in armonia con l'idea di nascita e nutrimento contenuta nel segno del Cancro. Quanta profondità spirituale in questi antichi sigilli!

47 II pat-aik, emblema di Ptah e Osiride, significa «consacrazione dell'angolo». Marshall Adams fa risalire al pat-aik il nome dell'isola di Sicilia, perché la tribù dei sikeli prendeva nome da una parola egiziana che significala «figli dell'angolo» (M. Adams, The Book of thè Master of thè Hidden Places, cit., p. 167 sgg.). Si potrebbe sostenere che, siccome la squadra massonica può essere fatta risalire al kan, il pat-aik dovrebbe essere collegato con il compasso. L'ipotesi non è irragionevole: il gioiello di cui si adornava il Vice Gran maestro della Grande loggia d'Inghilterra univa la squadra e il compasso a formare il sigillo della quintessenza (R.F. Gould, The History of Freemasonry, cit.).

48 L'importanza della squadra si riflette sia nella massoneria speculativa sia in quella operativa. Nel lessico massonico compare una parola curiosa, giblim (giblin nel massonico Wilkinson MS, datato intorno al 1727 circa), che è una delle tante definizioni di massone. 11 termine potrebbe derivare dalla città di Gebal, perché secondo la tradizione i giblemiti avrebbero lavorato alla costruzione del tempio di Salomone. La parola ebraica haggiblim, usata nella Bibbia, è di solito tradotta come «tagliapietre». Una buona analisi del termine si trova in A. Horne, King, Solomon's Tempie in thè Masonic Tradition, cit., ed.con. 1977, p. 172 sgg.

John James, nel suo Chartres. The Masons who Built a Legend, affascinante racconto delle tecniche dei muratori, si sofferma su uno strumento di misurazione chiamato pied-du-roi, che il grande iniziato Harun al Raschid avrebbe donato a Carlo Magno intorno al 789 d.C. Quest'unità di misura fu certamente utilizzata per costruire la cattedrale di Chartres e per realizzare la «vera misura». Essa infatti, coipe dimostra James, deriva da una squadra di duecentotrenta millimetri di lato, la cui diagonali corrispondono ai trecentoventicinque millimetri del pied- du-roi. \

Le due'correnti della massoneria, quella speculativa e quella operativa, sem-brano fondersi nella squadra autografa, datata 1507, sepolta nelle fondamenta del vecchio Baal's Bridge di Limerick. Horne (in Sources of Masonic Symbolism, cit., ed. 1981, pp. 18-19), cita la deliziosa poesia massonica di Rudyard Kipling, The Mother Lodge («La madre-loggia»), che pare sia la

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loggia di Lahore alla quale era iscritto Kipling: «We met upon thè Level, an‘ We parted on thè Square»; il verso gioca sui doppi sensi. Una traduzione superficiale potrebbe essere: «Ci incontrammo sul pianoro e ci separammo sulla piazza»; una traduzione massonica: «Ci incontrammo sulla Livella, e ci separammo sulla Squadra». Ma qui interessa notare che la radice ebraica gib indica l'altitudine, il luogo elevato: il vero massone, il vero uomo che sta sulla squadra, e che poi sta sul piede del re, è colui che sta fra le alte vette spirituali. 11 Capricorno occupa simbolicamente il punto più alto (il Medium Coeli) nell'oroscopo.

49 In Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, cit., illustrazione n. 3, p. 19: in questa immagine si può vedere la statua dell'alchimista con la liberia, che si trova nel campanile di Notre-Dame di Parigi.

5® Blake afferma che l'incisione è tratta da un disegno di Salviati, ispirata a un particolare della Crocefissione di San Pietro di Michelangelo.

51 Sulla leggenda di Giuseppe d'Arimatea, vedi L.S. Lewis, St ¡oseph of Ari- mathea at Clastonbury, 1964. La leggenda era molto diffusa e Blake forse l'apprese dalla lettura della storia d'Inghilterra scritta da Virgilio Polidori, il vescovo italiano di Bath.

52 II sottotitolo completo di Blake recita: «...Uno degli artisti gotici che costruirono le cattedrali in quella che viene chiamata l'epoca buia, vagando avvolto in pelli di pecora e di capra, un uomo di cui il mondo non era degno: tali furono in tutte le epoche i cristiani». Sulle associazioni bibliche sottese alla citazione, vedi S.F. Damon, A Blake Dictiomry, cit., ed. con. 1973, p. 225.

53 K. Grant, The Magica! Revival, cit., p. 63.54 Le carte, disegnate da Crowley per il suo The Book of Thot, furono

dipinte da Lady Frieda Harris (1877-1962). Lady Harris, allieva di Crowley, apparteneva all'alta società: era moglie di un deputato, che fu capogruppo del partito liberale. Crowley pubblicò il suo primo studio sui tarocchi in «The Equinox» nel 1912: alcune delle informazioni in esso contenute violavano già probabilmenteil giuramento iniziatico da lui pronunciato nell’aderire all'ordine ermetico del- l'Alba Dorata. Le carte dipinte dalla Harris furono pubblicate nel 1944, insieme a The Book of Thot di Crowley (firmato con lo pseudonimo di Master Therion) in un'edizione numerata, che prevedeva duecento esemplari per l'Inghilterra e al-trettanti per New York. Nella sua serie di associazioni e numeri, Crowley asse-gnò alla carta del Matto (che, come abbiamo visto, nel mazzo tradizionale è lo zero) il numero venti, secondo quella che pare fosse la prassi nell'Alba Dorata. Per un sommario su Crowley, vedi M. Dummett, The Game of Tarot, London, Duckworth, 1980, p. 158 sgg.

55 Aleister Crowley, su cui sono nati molti equivoci, e che certamente lasciava a desiderare sul piano etico, era comunque un occultista molto dotto. E perciò improbabile che il suo tanto pubblicizzato 666 derivi semplicemente dal numero della Bestia detì'Apocalisse, come si ritiene comunemente. Crowley conosceva di certo la tradizione occulta contenuta in uno dei libri a stampa più antichi, il De Occulta Philosophia di Cornelio Agrippa, in cui il numero 666 indica il demone del Sole, Sorah: adottando questo numero Crowley si identificava quindi con tale demone. La qual cosa, a sua volta, comportava che idealmente egli potesse andare in cerca di un connubio sessuale con un demone della Luna, cui egli attribuì, fra gli altri, il nome di Donna scarlatta. Nella tradizione occulta di cui parla Agrippa il nome del demone della Luna è

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Asmodai e il suo numero il 360. Nel contesto del presente libro questo tipo di numerologia non riveste particolare importanza, ma vale comunque la pena osservare che il 69 (il famoso soixante- neuf francese, che allude al sesso) è il numero che si legge nel sigillo del Cancro. Basterebbe questo a confermare che la Donna scarlatta di Crowley appartiene al lato oscuro della Luna. D'altra parte Ecate, la dea degli inferi della classicità, era una dea lunare con tre teste, il 3 del 369 dell'Asmodai di Agrippa. Esistono naturalmente altre possibili numerologie, quali quelle presentate in K. Grant, The Magicnl Revival, cit., pp. 43-44.

56 Vedi K. Grant, Aleister Crmvley and thè Hidden God, cit., p. 19 sgg. Osservazioni acute su ciò che Crowley pensava della Donna scarlatta nella realtà, e non nella finzione letteraria, si trovano in P. Hine, Love Under Will-Magic, Sexuality and Liberation, in «Chaos International», n. 4,1988, p. 13 sgg.

57 II diavolo-capro era un'immagine popolare nella letteratura relativa alla stregoneria. Non bisogna però dimenticare che molto spesso tali immagini veni-vano evocate su suggerimento del clero da persone sottoposte a torture intolle-rabili durante i processi per stregoneria. Fu il francese Eliphas Levi, studioso mediocre e mago ancora peggiore, a rendere popolare quella figura che nel suo Transcendent Magic (1896, p. 174) chiamò «Il capro sabbatico, o il Baphomet di Mendes». Ma le sue opinioni al proposito sono per lo più insensate e in realtà egli non fa che descrivere il suo irresponsabile sincretismo magico. Baphomet potrebbe indicare Maometto, il cui nome Mohammed veniva storpiato dai cro-ciati medievali (M. Barber, The Trial of thè Templars, cit., p. 62.)

58 La letteratura cabalistica ebraica sul Microposopus è molto complessa. L'immagine sembra far perno sull'idea che l'uomo è stato creato a immagine di Dio, e che ci sono due facce, la micro (quella minore) e la macro (quella maggiore) che si rispecchiano l'una nell'altra, anche se in modo imperfetto. La maggiore è nascosta (e dunque non può riflettere). Nella letteratura cabalistica ogni dettaglio delle due facce possiede un significato simbolico, ma a noi qui interessa soltanto la lettera qopli assegnata al cervello.

59 Nell'albero sefirotico ci sono altri due sentieri (sefirah) che si congiungono con la Terra-malkut. Uno si dirama da hod (l'ottava sefirah, Mercurio), associato con la lettera ebraica shin, l'altro si dirama da nesah (la settima sefirah, Venere), associata con la lettera ebraica qoph.

60 K. Grant, Cults of thè Shadow, cit., p. 27.61 La liberazione dalle illusioni generate dagli impulsi sessuali - da quella che

l'esoterismo chiama talora la schiavitù della luna - e dalla creazione di esseri ombra, richiede un arduo tirocinio.

62 Era il giorno di Saturno e il Sole si trovava nel Cancro. La lotta fra Saturno e il signore della Luna parve dettare il tema di tutta la serata.

63 Tornammo da soli a Swayanbhunath molti anni dopo, nel 1992, e quegli occhi ci apparvero in una luce diversa. Su un muro nei pressi del tempio, da cui gli occhi ejl'efc segreto erano comunque sempre ben visibili, scorgemmo alcune iscrizioni in nepalese. La scrittura era elegante, ma si trattava chiaramente di graffiti. Poiché ci sembrava poco probabile che qualche scrittore nepalese avesse profanati in tal modo il tempio, ci rivolgemmo a uno dei monaci che parlava inglese pregando di tradurcele. Dopo averci scrutato attentamente, il monaco acconsentì. Facendo scorrere il dito sotto la danza dei caratteri curvilinei, disse: «Sono testimonianze. Ricordano la reincarnazione dei monaci

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tibetani uccisi dai cinesi nei loro monasteri in Tibet». Si voltò e rivolse uno sguardo reverente ai tre occhi. «Sono state tracciate sul muro del tempio affinché tutti ricordino che lo Spirito vede ogni cosa, anche quel che si ritiene di aver compiuto in segreto. Anche nei luoghi in cui non si possono sentire le grida, anche lì le grida vengono sentite.»

Si accorse che guardavamo gli occhi e Yek a forma di naso. 11 monaco seguì il nostro sguardo: «Sì, gli occhi vedono tutto. Anche quando noi non li vediamo più, essi ci seguono, ovunque. Buddha vede ogni cosa».

64 Leadbeater viene giustamente demolito da P. Washington, in Madame Bla- vatsky's Baboon, New York, Schocken Books, 1995.

65 La sede indiana della Società Teosofica, situata in un edificio con un grande parco negli Huddleston Gardens, fu inaugurata il 19 dicembre 1882 sulle rive del fiume Adyar, alle porte di Madras. La costruzione fu acquistata per conto della Società da Ilalu Naidu per seicento sterline, che gli vennero in seguito restituite.1 primi teosofi lo giudicarono un «bel posto» (J. Ransom, A Short History of thè Theosophical Society, 1938, p. 174 sgg.). 1 teosofi furono accolti alla stazione di Madras da una delegazione di cinquanta fratelli e furono trionfalmente condotti ad Adyar. Dal punto di vista astrologico la scelta del momento non avrebbe potuto essere meno felice: Urano era in quadratura con Giove e Marte, il quale era in congiunzione con il Sole e con Mercurio in Sagittario. Dato l'oroscopo, non sorprende che la storia di Adyar sia stata così poco felice. Quando vi facemmo l'ultima visita, nel 1985, la sede ara ancora attiva, ma il Tempio della Pace era già in degrado.

66 Matsya è il nome del primo avatara (o incarnazione) di Vishnu. La sua for-ma di pesce ricorda il mito secondo il quale egli sarebbe disceso per salvare Vaivasvata o Manu (il mitico progenitore degli uomini) dal diluvio. Diversi studiosi hanno collegato questo mito con quello babilonese del dio-pesce Oan- nes. Il nostro anfitrione indiano avrebbe potuto dunque avere ragione nello scorgere nel capro-pesce del Capricorno occidentale un nesso, sia pure tenue, con Matsya.

67 11 poema epico Mahabharata è un vastissimo testo religioso e nazionale in cui si fondono le principali religioni indiane. Insieme a molte altre vicende racconta la conquista dell'india, mescolando mitologia e storia. Yalambar, il primo sovrano Kuruidi (Vili secolo a.C. circa) era un iniziato di alto grado, in contatto con gli dei: il Mahabharata ne ricorda l'incontro con Indra; fu ucciso in una delle grandi battaglie descritte nel poema epico.

68 Vedi H. Davis, Sorcerers' Village, London, Harrap, 1956. L'autore scrive che l'espressione «caprone senza corna» veniva usata nella ex Costa d'Avorio per indicare i sacrifici umani. Di essa si appropriò il culto vudù, tra le cui pratiche c'erano i sacrifici umani, documentati, almeno ad Haiti, fino a XIX secolo inoltrato. Vedi l'affaire Bizoton del 1863, di cui parla A. Metraux in Voodoo in Haiti, 1959.

69 Ekadas Lokeshvar è uno dei nomi attribuiti ad Avalokiteshvar, la cui storia è raccontata nel testo.

70 Si tratta di Samantamukha, il dio dai ventidue occhi, una delle manifesta-zioni di Avalokiteshvar.

Le parole del nostro anfitrione non erano del tutto esatte. Il dio vedeva nel mondo del desiderio, ma vedeva anche nei mondi di rupa e arupa, ossia della «forma» e dell'«informe», vale a dire nel mondo creato e in quello spirituale.

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Note

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Per evitare confusione su questi termini sanscriti, diremo che il mondo spirituale appare sempre «informe» agli occhi comuni del mondo inferiore che gli è contiguo. Nell'esoterismo orientale, il mistero del makara è connesso con il fatto che gli esseri spirituali, talora chiamati appunto makara, danno forma all'informe. In Occidente questo è uno dei principi esoterici del Capricorno: rivelare l'informe attraverso la forma.

71 Paracelso scrisse: «Ma non posso fare a meno di raccontare un miracolo cui ho assistito in Spagna mentre alloggiavo nella casa di un negromante. Aveva una campana di circa un chilo di peso e con un colpo del batacchio evocava visioni di molti spettri e spiriti. All'interno della campana aveva inciso alcune parole e alcuni caratteri e non appena essa risuonava apparivano gli spiriti sotto qualsiasi forma egli desiderasse. Tale era la potenza del suono di questa campana che mentre si diffondeva egli produceva molte visioni di spiriti, di uomini e persino di animali, a suo piacimento, e poi li faceva scomparire. Ho assistito a numerose di queste sedute, ma la cosa che mi è rimasta particolarmente impressa è che quando si preparava a fare qualcosa di nuovo, modificava e cambiava i caratteri e i nomi» (A. Waite, The Hermetic and Alchemical Writings of Paracelsus, cit., voi. 1, p. 116).

72 Uno dei resoconti più piacevoli del viaggio in India di Madame Blavatsky è quello di J. Symonds, Madame Blavatsky, Medium and Magician, London, Odhams Press, 1959.

73 Con «precipitazione» la teosofia indicava in origine il fenomeno per cui, con mezzi sconosciuti, oggetti solidi passavano attraverso altri oggetti solidi spesso situati a grande distanza l'uno dall'altro. La parola contiene l'idea che, affinché possa verificarsi il transfer, l'oggetto deve «precipitare» negli atomi che lo compongono, prima di passare attraverso le superfici solide e assumere di nuovo la forma originaria. Alcuni dei primi teosofi si dilettavano a inviare «lettere mentali», alle quali veniva data risposta attraverso la «precipitazione». A.P. Sin- nett, per esempio, intrattenne per anni una corrispondenza con un maestro. Sulle informazioni che ottenne per questa via egli affermò di avere basato il suo Eso- teric Buddhism del 1883, un libro piuttosto ampolloso che in realtà non tratta né di buddhismo né di esoterismo. Una raccolta di queste lettere, pubblicata con il titolo The Mahatma Letters to A.P. Sinnett, London, T.F. Unwin, 1923, si trova nella British Library. Una breve analisi della precipitazione, condotta secondo le linee ufficiali dalla Società Teosofica, si trova in G. de Purucker, Studies in Occult Philo- sophy, 1949, p. 703 sgg.

74 La parola meru, l'unica da noi riconosciuta, si riferisce al favoloso monte Meru. Tuttavia è anche usata per indicare una delle tre posizioni principali, o pastora, adottate dalle suvasini, o prostitute del tempio, nelle pratiche sessuali tan- triche del Kala Marg. In questa posizione la donna è seduta sull'uomo, a sua volta seduto: la donna è la montagna sacra. Le altre due posizioni sono quella del bhu, in cui la donna giace distesa, con l'uomo sopra di lei, e quella del kailasa, in cui è laidonna a essere sull'uomo, formando così un'altra montagna spirituale. Quest'ultimo termine proviene dal nome di una delle montagne della catena deH'Himalaya.

75 Laipsicometria è la facoltà che permette di leggere le impressioni psichiche rimaste àugli oggetti materiali. Il principio cui si ispira è che tutti gli oggetti conservano lo memoria delle condizioni attraverso le quali hanno acquisito la forma. È più probabile, tuttavia, che gli psicometristi si servano della forma come supporto per contattare le Cronache Akashic. Il termine

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psicometria viene attribuito aH'americano J.R. Buchanan, ma è difficile distinguere la differenza fra la sua concezione della psicometria e l'intervento spiritistico. Vedi comunque il suo Manual of Psychometry del 1889.

76 Fu lo psicometrista francese D'Aute-Hooper a definire «cinematografiche» questo tipo di immagini: esse scorrono infatti con tale velocità che non è possibile con le parole, scritte o orali, descrivere tutti i particolari che si vedono. Scrive D'Aute-Hooper in Spirit Psychomelry. «È tutto troppo veloce. Sono come fotogrammi in un film. Mi sembra di essere in volo... incapace di pensare, ma capace di vedere le cose e gli eventi intorno a me».

77 L. Jacalliot, Occult Science in India and Among tlie Ancients, trad. s.d., ma del 1890 circa.

78 William Eglinton era un medium di grandi capacità. Visse in India, prima a Calcutta e poi a Howran, fra il 1881 e il 1882. Durante il soggiorno a Howran convertì allo spiritismo Lord William Beresford. Due anni dopo convertì anche W.E. Gladstone. L'anno seguente il pittore francese James-Jacques-Joseph Tissot rimase talmente impressionato dai suoi poteri che dipinse un quadro - da cui in seguito trasse un'acquafòrte - intitolato Apparition Médianique. Fra gli esperti di fenomeni psichici che sottoposero a esame l'attività di William Eglinton, convincendosi che era veramente un medium, ci furono Richet, Alfred Russell Wallace e il barone Du Prel. Pare che sia stata la collaborazione con Madame Blavatsky a fare di Eglinton un mistificatore. Vedi Proceedings of thè Society for Psychical Research, voi. Ili, p. 254 e anche ibidem, voi. IV, p. 460.

79 J.S. Farmer, Twixt Tuio Worlds: A Narrative of thè Life and Work of William Eglinton, London, Psychological Press, 1886. Le cromolitografie a pagina intera contenute in quest'opera sono ritenute le prime immagini a colori di materializzazioni.

80 Harry Kellar, che era un prestigiatore famoso, rimase profondamente col-pito dal lavoro di Eglinton, in cui non riscontrò tracce della comune mistificazio-ne. Le lettere sullo «Indian Daily News», che fecero seguito alla sfida da lui lan-ciata a Eglinton, furono pubblicate per la prima volta il 13 gennaio 1882 e confermano questa opinione. Ma, come indica J.S. Farmer (7ìoixt Tivo Worlds..., cit., p. 94), Kellar in seguito «spifferò» tutto alla stampa americana. A rendere ulteriormente sospetta la questione è il fatto che Eglinton e Kellar erano entrambi massoni.

81 Le Lakshadweep, più note come Laccadive, sono un arcipelago di ventotto isole coralline nel mare Arabico, situate circa seicento chilometri a ovest della costa del Kerala.

82 II Vishvanath di Khajuraho, in Madya Pradesh, è il più importante tempio di Shiva fra i ventidue capolavori ancora esistenti in questo luogo straordinario. La sua costruzione risale probabilmente all'anno 1000 d.C. circa.

83 Con il termine sanscrito suvasini, che significa letteralmente «donna dal dolce profumo», si indicano le prostitute dei templi del Kali Tantra: la yoni (l'or-gano sessuale della donna simbolo della fonte femminile della vita) viene para-gonata a un fiore odoroso.

84 Hedsel non ha lasciato note su questa sua affermazione, il cui significato è tuttavia piuttosto chiaro. In questo sforzo scorgiamo l'asprezza della lotta che il Capricorno conduce per conservare l'inflessibilità e la probità morale resistendo all'insistente tendenza a deflettere dalla retta via, implicita nella struttura ricur-va del nodo. La contemplazione di questa lotta fra l'angolo e la curva, fra il kan

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e Yanke-te, permette di intravedere il carattere compensatorio del karma, che lotta eternamente per raddrizzare ciò che è piegato, attraverso gli aggiustamenti che la reincarnazione consente.

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Capitolo settimo

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' Per alcuni esempi dei «nomi segreti» impiegati da Fulcanelli, vedi Le dimore filosofali, cit., voi. I, pp. 158-159.

2 Si noti che l'immagine è situata nel portico della Vergine Madre, la grande creatrice, anziché in quello dell’alchimista.

3 II concetto di fantasia era usato in un senso molto particolare dai pensatori medievali che forgiarono le forme occulte del pensiero occidentale. In Chaucer il termine indica l'immagine mentale, il riflesso, oppure una cosa che non esiste nella realtà (vedi alla voce «Imagination» in O. Barfield, History in English Words, dt., ed. con. 1969, p. 208 sgg.). L'idea della im-magine come riflesso si riallaccia alla concezione esoterica secondo cui il regno lunare è un regno riflettente. La ca- padtà di attribuire un nome, o una figura, a una raffigurazione prodotta dall'im- maginazione è tipica del genio poetico.

4 Nel simbolismo cristiano la lettera C, per la sua forma, è spesso impiegata come simbolo delle forze lunari, ma in realtà nasconde ben altro: attraverso il greco arcaico e l'egiziano ieratico discende dal geroglifico che indicava il trono.

5 In William Blake, Los è il veicolo di Urthona e il suo pianeta è il Sole spiri -tuale. Un'ottima analisi, benché non esoterica, di Los si trova in S. Foster Da- mon, A Blnke Dictionary, dt., p. 246 sgg. Vedi di W. Blake, Milton, dt.

6 Vedi W. Blake, ferusalem.7 II Mutus Liber, o «Libro muto», in cui la filosofia ermetica è raffigurata

sotto forma di «geroglifid», fu compilato da «Altus» e pubblicato nel 1677. «Altus», pseudonimo che significa «alto, elevato», è probabilmente uno dei tanti anagrammi di Jacob Sulat, o Saulat, contenuti nel libro, il che induce a ritenere che questo fosse il vero nome dell'autore. Una versione del Mutus Liber è contenuta in A. McLean, A Commentary on thè Mutus Liber, in «Magnum Opus Hermetic Sourceworks Series», n. 11,1982.

8 Nell'iconografia esoterica le forme vegetali, inclusi i fiori, indicano di solitoil piano eterico, mentre le forme animali indicano quello astrale. Il nostro mae-stro d aveva spiegato che in taluni testi medievali il piano astrale era chiamato ens animale, «il principio dell'animalità». Uno schema prezioso di queste antiche nomenclature l'abbiamo poi trovato nell'anonima Aurea Catena Homeri del 1723. Ma l'Ariete raffigurato sotto il Sole e il Toro sotto la Luna indicano anche che siamo all'inizio della primavera, quando il fuoco del Sole si incontra con la terrestre (vale a dire buia) Luna.

9 Ld^ losanga, figura geometrica delimitata da quattro linee, è il simbolo della quintessenza. Il suo valore simbolico deriva dal fatto che contiene uno «spazio vuoto», doè il «quinto elemento», la quintessenza, che è di norma invisibile, ma tiene in iieme l'attività dei quattro elementi: il Fuoco, la Terra, l'Aria e l'Acqua.

10 E. Zolla, Gli usi dell'immaginazione e il declino dell'Occidente, 1978.11 Dell'ermetista e alchimista Fulcanelli si sa pochissimo, a parte quanto si

apprende sul suo pensiero dai suoi due libri. Per una valutazione generale, vedi K.R. Johnson, The Fulcanelli Phenomenon, cit.

12 Una delle ipotesi è che E. Canseliet sia «la persona pubblica» di Fulcanelli. Canseliet sostiene al contrario di esserne stato allievo. Nella prefazione all'edi -zione 1925 del Mistero delle cattedrali, cit., p. 7, egli riferisce una notizia curiosa: intorno al 1915 Fulcanelli gli avrebbe detto che la chiave così a lungo

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cercata dell'arcano maggiore dell'alchimia era contenuta «in modo del tutto scoperto» in una delle figure del libro.

13 L. Pauwels e J. Bergier, Le Matin des Magiciens, in The Moming of thè Magi- cians, cit., p. 77 sgg. L'incontro con l'uomo che Bergier, con scarsi riscontri, afferma essere Fulcanelli, avvenne nel giugno 1937. Il libro di Pauwels e Bergier sconfina nel sensazionale e non è sempre affidabile.

'•* «L'iniziato» di cui parla Bergier cita da Frederick Soddy, The Interpretation of Radium, nel quale si sostiene che le civiltà tramontate conoscevano l'energia atomica, dal cui abuso furono distrutte; ma in realtà Bergier segue Madame Bla- vatsky. Un iniziato come Fulcanelli, molto restio, fra l'altro, alle citazioni esplicite, ben difficilmente avrebbe fatto riferimento agli scritti di un non iniziato che potevano, tutt'al più, essere considerati di seconda mano. Contrariamente a quanto affermava l'uomo misterioso, le antiche tecniche non erano affatto sopravvissute: l'invenzione e il rilascio dell'energia atomica non furono forse una cosa saggia, ma non ebbero comunque nulla a che vedere con la conoscenza degli antichi atlantidi, come invece sostiene Soddy.

15 La pretesa di Bergier, secondo cui l'alchimia contribuì alla creazione di «campi di forze», è semplicemente ridicola. La sua è una descrizione interamente materialistica di una attività che, come afferma lo stesso Fulcanelli, è spirituale. Basterebbe soltanto questo a dimostrare che «l'iniziato», definito ambiguamente da Bergier «un uomo che c'erano buoni motivi di ritenere» fosse Fulcanelli, in realtà non lo era.

16 Sui «chierici vaganti», vedi H. Waddell, The Wandering Scholars, London, Constable & Co., cit. Come sempre nella tradizione arcana, anche il termine vagantes contiene significati nascosti. Esso deriva da vagus, «vagante, ramingo», un aggettivo che in epoca medievale indicava i pianeti e le stelle erranti, in contrapposizione a quelli fissi. I vagantes erano dunque uomini-pianeti, che si aggiravano sia nelle sfere spirituali sia in quelle materiali.

17 M. Schneider, Pietre che cantano. Studi sul ritmo di tre chiostri catalani di stile romanico, Milano, Arché, 1976.

18 «Un vero rebus», così C. Gaignebet e J.D. Lajoux (Art Profane et Religión...., cit., p. 271) definiscono la figura con il berretto frigio, che chiamano «paramassonica». La loro analisi dei significati arcani del simbolismo dell'orientamento è precisa e profonda, ma l'immagine non prelude, come invece essi ritengono, al lavoro segreto della massoneria: è già massonica e iniziatica.

19 II mistero della chiesa del monastero di Ripoll sembra racchiuso nelle straordinarie immagini zodiacali del portale ovest: esse non sono disposte nel-l'ordine tradizionale e la difficoltà sta proprio nel comprendere il motivo di tale variazione.

20 Ricordiamo questo episodio della nostra formazione soltanto perché costi-tuisce un buon esempio di come a volte basti una sola parola di un maestro perché la comprensione dell'allievo compia passi da gigante. Come accade spesso quando si è alla ricerca del significato di un simbolo alchemico, non appena comprendemmo il valore delle linee verticali, tutta la raffigurazione del capitello ci divenne chiara. La quintessenza contiene «la natura manifesta» nel dualismo che è alla base della percezione. Questa piccola losanga dunque rappresenta una particolare porta d'accesso al mondo materiale: è più potente del grande ru posto sopra il portale di Chartres. La losanga è interamente

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contornata da fiori, uccelli e animali che rappresentano il mondo eterico e il mondo materiale. Gli uccelli sono avvolti nelle spirali delle foglie d'acanto, con la patera a otto petali, tutti simboli dell'eterico. Le due fiere - forse due leonesse - lottano fra loro, a indicare sia la natura animale sia i conflitti che avvengono sul piano astrale. Fulca- nelli avanza l'ipotesi che Saturne sia l'anagramma di Natures nel contesto dell'analisi delle scanalature superficiali di un plinto. 11 segreto ermetico sta nel fatto che la natura può manifestarsi soltanto come dualità, il che spiega le scanalature e la rilevanza di questo passo di Fulcanelli per la nostra ricerca.

21 II concetto espresso dal nostro vecchio amico è piuttosto complesso. Egli immagina che la copia della gigantesca statua del David di Michelangelo sul piazzale sia imprigionata dietro le sbarre della balaustra di «pietra» che circonda la piazza, riecheggiando in tal modo quanto aveva detto Michelangelo allorché aveva affermato che la forma delle sue statue era imprigionata nei blocchi di marmo. Sulla convinzione michelangiolesca che l'esterno dipende dall'interno, vedi il sonetto numero 44 delle Rime, 1975, p. 87.

22 M. Arnold, The Scholar Gipsy, 1853.23 In effetti Saturno era proprio in quella posizione. Ad affascinarci era però

soprattutto la presenza di Giove in Cancro, l'esatto opposto della congiunzione di Venere e Marte che si era verificata il giorno in cui il nostro maestro si era trasferito a Siena.

24 Come la Society of Astrologers di Londra che a partire dal 1649 era solita celebrare l'occasione con un pranzo annuale. Tale società si pose come organizzazione scientifica un decennio prima che venisse fondata la Royal Society (K. Thomas, Religion and thè Decline of Magic, London, Weidenfeld & Nicolson, 1971, p. 304).

25 Hedsel non ha lasciato riferimenti che permettano di rintracciare la fonte di questo interessante racconto. Il bacio osceno, osculum obscoenum, era consideratoil momento culminante del sabba. In realtà il sabba sembra sia stato inventato nel XIV secolo dai giudici e dagli inquisitori al servizio della Chiesa, quale con-cetto per potere più facilmente determinare - con l'ausilio di orrende torture - la colpevolezza degli imputati.

26 Le parole del maestro esprimono il violento contrasto esistente fra il bacio sulla bocca della vergine e il bado sull'ano della capra. Canseliet sottolinea come nella Lingua Verde mère («madre») e mer («mare») siano la stessa cosa.

27 Anche il bacio osceno sembra sia stato una delle tante invenzioni dei cac-ciatori di streghe. A questo bacio fu dato grande riUevo nei processi, forse perché figurava nel testo e nelle illustrazioni della nota opera di Guazzo, Compendium Malificarum del 1608. Non è neppure esduso che gli inquisitori avessero frainteso il simbolismo del ru egizio.

28 Era stato il maestro a illustrare al gruppo la scultura lignea del Matto di Najera, il cui pene era stato reciso da un vandalo. (C. Gaignebet e J.D. Lajoux, Art Profane et Religion..., cit., p. 165.)

29 Nonostante tutte le connotazioni diaboliche che il clero attribuì al bacio osceno, l'immagine conservò una popolarità sorprendente nell'iconografia ec-clesiale, anche perché la tradizione ermetica era ancora viva fra i massoni, i qua

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li conoscevano l'esatto significato dei ru egizio. Tracce deWoffrande sono ancora visibili in una gargouille del XV secolo che si trova a Friburgo, dove l'orifizio della capra ha la forma ben riconoscibile del ru.

30 C. Gaignebet e J.D. Lajoux, Art Profane et Religion..., cit., p. 200.31 Ibidem, p. 213.

32 La considerazione riservata ai venti in epoca medievale e il ruolo significa-tivo che essi svolgevano nella cosmologia possono essere compresi soltanto in riferimento alla concezione che si aveva al tempo della cacciata dal paradiso terrestre. Il peccato originale aveva sconvolto l'intera natura e la quintessenza non poteva più esercitare il suo armonioso controllo sui quattro elementi, ma l'antica armonia si era conservata in parte nelle sfere celesti e in quelle più alte (non in quelle planetarie) in cui si originavano le quattro arie o venti, che erano gli equivalenti celesti dei quattro elementi inferiori. Un'analisi di questo simbolismo, riferito a Ildegarda di Bingen, si trova in C. Singer, From Magic to Science, cit., p. 211 sgg.

33 C. Gaignebet e J.D. Lajoux offrono esempi provenienti da Diest, Aosta, Montemart, Massay e Chezal-Benoit, Saint-Claude, Troyes. Altrettanti se ne po-trebbero facilmente reperire per esempio nelle chiese inglesi.

34 Marotte è uno dei nomi che vengono dati in francese al bastone dei buffoni, la «piccola madre». Tutto induce a ritenere che si tratti dell'immagine cosmologica dell'omino interiore, l'Ishon, non più grande di un pollice - il Pollicino delle fiabe - che è disposto a rivelare le cose di solito tenute segrete. L'impugnatura a forma di offrande del bastone che il Matto di Mesty ha in mano è sicuramente una marotte, e altrettanto sicuramente simboleggia un aspetto esoterico dello sviluppo spirituale. Il Matto più grande, con un gallo sul berretto reca con sé il simbolo arcano della irnrotte. L'immagine comunica che il Matto ha l'obbligo di tenere segreto ciò che apprende da questo omino interiore. Vale la pena ricordare che, in termini materiali, l'uomo interiore deve essere più piccolo di quello esteriore. L'uomo interiore è collegato con la spina dorsale: l'Ishon sta infatti alla sommità della colonna vertebrale, nel punto collegato con gli occhi. In senso strettamente fisiologico si spiega così come mai la marotte sia posta in cima al bastone, che nella tradizione esoterica e nelle favole è il simbolo della colonna vertebrale, e dunque del sistema nervoso. È questa la ragione per cui il Matto dei tarocchi ha con sé due bastoni: uno è la spina del Matto esteriore, l’altro di quello interiore.

35 Questa «confluenza dei suoni» costituisce il fondamento della Lingua Ver-de esplorata con tanto rigore da Fulcanelli e usata con notevole capacità intuiti -va da Nostradamus. Vedi D. Ovason, I segreti di Nostradamus, cit.

36 Nefti, sorella di Iside e Osiride, è la dea delle tenebre. Le due sorelle pian-gono la morte di Osiride e le loro lacrime oscurano momentaneamente la forza del Sole.

37 Iside e Nefti svolgono un ruolo di importanza crescente nei moderni culti di stregoneria, sicuramente a causa dell'indebolimento del potere della Chiesa. Con l’avvento del cristianesimo la saggezza isiaca venne in gran parte trasferita alla Vergine Maria, per cui il culto isiaco, che, come rivelano i testi ermetici, è inseparabile da quello di Nefti, divenne clandestino e si conservò soltanto fra le sette proibite e i gruppi ereticali e occulti. Alcune di queste tradizioni sono giun-te, sia pure sotto forma distorta, fino a noi. Non è affatto escluso che le Vergini Nere delle chiese cristiane d'Europa siano una testimonianza del culto pagano di Iside e di Nefti. Invece la nozione dell'«ombra» dell'idea, Yeidolon che

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nell'antichità era associato all'anima irrazionale, considerata l'ombra di quella razionale, è sopravvissuta in modo più lineare nella letteratura. Vedi G.R.S. Mead, The Doctrine of lite Subtle Body in Western Tradition, London, Stuart & Watkins, 1967, p. 44. Non risulta che nell'antichità vi fossero rituali dedicati a Nefti, ma questo

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dipende probabilmente dal fatto che essa è l'ombra, o il lato buio, di Iside, il cui culto era diffusissimo in tutto il mondo antico. Il geroglifico che la indica significa forse «Signora della casa»: in quanto guardiana dei canopi in cui venivano posti gli organi dei morti, la «casa» di cui Nefti è signora potrebbe essere la «casa del ka», ossia la tomba.

La «Grande Bestia», Aleister Crowley, contribuì fortemente a introdurre nella magia una forma romanzata della simbologia egizia moderna. Crowley era par-ticolarmente attratto dalla mitologia che egli scioccamente riteneva fosse espressa dagli antichi riti egizi. Ma da quell'egocentrico che era, il suo interesse per le cose d'Egitto crebbe quando rintracciò alcune sue precedenti incarnazioni in una fase importante di questa cultura. Tenuto conto di questi due fattori, si comprende meglio perché egli raffigurasse la dualità lunare come Seth, che rappresenta la Luna buia, e come Horus, quale figlio che nacque e acquistò for2a con la Luna nuova (cornuta). Che questa concezione della mitologia egizia sia o meno corretta non è rilevante qui; quello che conta è che il padre della moderna magia nera riconosce l'essenza duale della Luna e la validità della divisione tradizionale fra luce e tenebre.

38 La Stella Maris viene talora interpretata come la «Stella di Maria» e talaltra come la «Stella del mare», un'ambiguità che avrebbe deliziato Fulcanelli. Tuttavia nell'arte medievale la stella veniva di solito posta sul cudre della Vergine Maria (là dove dovrebbe essere il Bambino), oppure sul velo che le ricopre il capo, il inaphorium. 1 significati della stella sono molti, ma la sua funzione primaria è di stabilire un nesso fra la Vergine e Spica, la stella più grande della costellazione della Vergine. Essa indica la spiga del fascio di grano accanto al corpo deila Vergine, grano con cui si può preparare il pane eucaristico.

3y L'immagine della Madonna, in piedi sulla Luna, a indicare die le energie demoniache inferiori sono tenute sotto controllo, è una icona essenzialmente apocalittica. In epoca moderna denota l'Assunzione in cielo della Vergine: ne è un esempio la mastodontica statua che svetta sopra Santiago del Cile. Questo tipo di iconografia va ricollegata con le immagini più antiche - una delle quali si trova sulla facciata occidentale di Notre-Dame di Parigi - in cui la Madonna cal-pesta il serpente che ha provocato la caduta dell'uomo; la Madre di Dio diventa qui la nuova Èva: vedi G. Schiller, ìconography of Christian Art, London, Lund Humphries oppure Greenwich, Conn., 1971,voi. I, p. 108.

40 Come aveva precisato il maestro, la più bella immagine della Sheelah-na- gig è quella che funge da intradosso nel muro sudorientale della chiesa del XII secolofdi Kilpeck (figura 81). Significativa è la sua disposizione: essa è posta in modo ^ale da salutare in certi giorni il Sole che sorge, con la sua kteis spalancata.

41 Non siamo in grado di spiegare adeguatamente perché la Sheelah-na-gig, con le s\je evidenti origini pagane, sia sopravvissuta negli edifici delle chiese cristiane. Di solito è in posizione piuttosto defilata e attorniata da altre figure grottesche, come accade a Kilpeck. Ma il mastodontico esemplare, scolpito sulla grande pietra del muro meridionale della chiesa di Whittlesford a sudest di Cambridge, è invece ben visibile, benché non facilmente raggiungibile e detur-parle. Probabilmente molte di queste immagini sono andate distrutte. Massey afferma che la Sheelah era chiamata andie «Cicely of thè Brandi», il cui suono è analogo a quello di Sicily, Sicilia in inglese.

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42 Viene fatto di chiedersi se Fulcanelli abbia mai incontrato Massey. Nono-stante le grandi intuizioni e la forte influenza occulta esercitata da entrambi, le loro figure sono molto sfuggenti: alcuni indizi suggeriscono tuttavia che sia sta-to l'inglese a influenzare il francese nei metodi, nella concezione e in tante altre cose.

Gerald Massey viene talora confuso con il teosofo e massone Charles Carle- ton Massey, uomo di notevole abilità letteraria e di elevato rango sociale, che fu uno dei fondatori della Society for Psychical Research (1882) e grande organiz-zatore e presidente della British Theosophical Society (dal 1878).

43 Vedi G. Massey, A Book of thè Beginnings, cit., voi. 1, p. 466.44 Maestro Bertram nacque forse intorno al 1340 a Minden in Westfalia (C.M.

Kauffmann, The Altarpiece of thè Apocalypse from Master Bertram's Workshop in Hamburg, 1968).

45 La pala d'altare fu probabilmente dipinta intorno al 1400 per il convento di Maria Maddalena di Amburgo. Il soggetto è sicuramente ispirato al commento alTApoca/isse di un frate francescano, Alessandro: talune immagini sono model-late sulle miniature che illustrano alcuni manoscritti del testo, tuttora esistenti (vedi C.M. Kauffmann, The Altarpiece of thè Apocalypse..., cit., pp. 7 e 32).

46 Un altro esempio di un tema natale associato con il r i / . Si potrebbe obiettare che la figura con in braccio Gesù bambino non è Cristo, bensì Dio; ma in realtàil Cristo circondato dall'aureola infuocata, a forma di vesica piscis, è una raffigurazione convenzionale del Cristo risorto, sicché l'immagine unisce al Cristo spirituale il Gesù fisico. In entrambi i casi l'accento viene posto sulla nascita: Gesù Bambino discende sulla Terra partorito come tutti gli uomini, mentre Cristo rinasce (ossia risorge) sul piano spirituale. Il ru è la porla delle due nascite.

47 L'episodio è narrato da E. Canseliet nella prefazione alle Dimore Filosofali di Fulcanelli, del 1964.

48 11 sol lente è il «sole lento» o «fuoco lento» degli alchimisti, i quali tracciano spesso paralleli fra il calore applicato ai loro vari ricettacoli e il calore solare. 11 «fuoco dei filosofi», che potrebbe essere questo sol, è un fuoco aereo, eterico, che è circolare e luminoso come il Sole, «ma non è il Sole». Il concetto è sviluppato dall'alchimista Filalete nella sua decima regola dell'arte, in cui sottolinea che il suo vero segreto sta nei due tipi di fuoco usato dai maestri: il fuoco nascosto, interno, è lo strumento di Dio e le sue qualità non possono essere percepite dagli uomini (Règles du Philalethes pour se Conduire dans l'Oeuvre Hermétique, Genève, 1979). L'espressione sol lente appartiene in realtà alla Lingua Verde. Il suo suono è infatti simile a quello dell'aggettivo solenne, che si applica alle feste religiose e ai sacrifici. Come la «festa solenne» era in origine una festa sacrificale, così il sol lente, che si serve del fuoco segreto di Dio, è un fuoco sacrificale.

49 Santa Claus (Babbo Natale) è in parte una vestigia di questo Vescovo Bam-bino, l'episcopus puerorum che veniva eletto il 6 dicembre, giorno di San Nicola e rimaneva in carica fino al 28 dicembre, ossia il giorno dei Santissimi Innocenti Martiri, che commemora il massacro dei bambini di Betlemme a opera di Erode. Re Edoardo 1 aveva un tale rispetto per questo vescovo bambino che il 7 dicembre 1299 gli permise di celebrare i vespri alla sua presenza. In Santa Klaus ci sono anche tracce di San Nicola di Bari, tant'è vero che il vescovo bambino veniva talora chiamato vescovo di San Nicola.

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50 Fulcanelli paragona la pietra-Pietro alla pietra angolare della Grande Ope-ra dei filosofi. È questa la ragione per cui l'immagine del diavolo, che si trova così spesso nelle gargouille delle cattedrali gotiche, viene posta all'intersezione dei due bracci della pianta cruciforme della cattedrale. È la pietra-Pietro su cui si fonda la Chiesa, un simbolo il cui significato va ben oltre l'angusto ambito della successione apostolica.

51 Nella chiesa de la Madeleine a Rennes-le-Chateau, l'enigmatico prete Sau- nière pose un'acquasantiera con il demonio Asmodeo. Benché sia piuttosto ap-pariscente e in una posizione inconsueta, vicina com'è alla porta, la presenza del demonio in una chiesa medievale non è affatto strana. La cosa curiosa, però, è che Saunière installò l'acquasantiera soltanto nel XIX secolo. Il diavolo è il portatore dell'acqua benedetta, il bénitier («acquasantiera«): i seguaci di Fulcanelli a questo punto avranno drizzato le orecchie, perché benêt in francese significa «matto». Nonostante tutto l'inchiostro versato, a Rennes-le-Château ci sono misteri non ancora interamente esplorati.

52 II nostro amico ci spiegò che la parola cantonata è dal punto di vista fonetico vicina a cannonato, abbreviazione di canto intonato, un canto che sembra riportarci ai capitelli musicali della Catalogna.

53 Nella Roma tardoimperiale i Saturnali erano feste che iniziavano il 17 di-cembre e proseguivano per sette giorni. In quella settimana le normali attività commerciali subivano un rallentamento, le scuole si chiudevano; tutti facevano baldoria, in particolare gli schiavi, ai quali era concesso di prendere il posto dei loro padroni,; si scambiavano piccoli regali. Quest'ultimo fatto potrebbe indurre a pensare che le nostre festività natalizie risalgano ai Saturiteli, ma in realtà il giorno più importante dell'Occidente, vale a dire il 25 dicembre, in cui si dice sia nato Gesù, si riallaccia ai riti mitraici di adorazione del dio del Sole.

54 Probabilmente il maestro fece quest'osservazione perché sapeva che sol-tanto un prete può celebrare una messa nera. Nessuno che non abbia preso gli ordini sacri - tanto meno un diavolo - può officiare una messa che per definizio -ne (essendo nera, anziché bianca) inverte interamente il rituale. Il senso implici-to era che soltanto un sacerdote poteva essere in grado di tenere una messa nera. Questa verità fondamentale demolisce gran parte dei racconti sulle messe nere di cui è punteggiato il Medioevo.

55 In occasione della Festa dei pazzi alcune città coniavano monete particola-ri, chiamate «gettoni del Matto», su cui erano impresse scritte satiriche e di cui sono stati rinvenuti esemplari ad Amiens, a Chartres, a Reims, a Laon e anche più a sud, fino a Besançon. I gettoni venivano presumibilmente usati per fare acquisti alla fiera, ma il loro scopo e la loro origine sono sconosciuti. Una di queste strane monete, che abbiamo visto con i nostri occhi, reca sul dritto la faccia del Matto, con la mitra in testa, che tiene un discorso al papa. L'iscrizione dice: MO NETA.NOVA.ADRiNi stultoku.I'ai'E («Nuova moneta di Adriano, il papa dei paz-zi»). Sul retro c'è l'immagine che in inglese viene talora chiamata «La mia folle madre», Ip «Mamma Follia» con un bastone simile a un Ishon nella mano. L'iscrizione dice: +STULTORU.1NFINITUS.EST.NUMERUS («Il numero dei matti è infinito»).

56 Ancora nel 1644 un corrispondente del grande astrologo Gassendi scriveva che la Festa dei pazzi nelle Antille era sfuggita al controllo della Chiesa (T. Barns, Abbot of Unreason, cit.). Si sa con certezza che in Scozia, nel 1555, un'analoga Festa dei pazzi era già stata soppressa, una notizia che non sorprenderebbe gli astrologi, i quali sanno che la Scozia è governata dal

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Cancro, il segno opposto al Capricorno, che governa i Saturnali.57 Con arcani disciplina la Chiesa delle origini indicava la pratica di

mantenere segreti i misteri relativi ai riti del battesimo e della comunione. Gli arcani erano mysteria, e tali restavano per tutti coloro che li intraprendevano senza la necessaria preparazione. Così facendo la chiesa perpetuava le pratiche ermetiche delle antiche scuole misteriche. Si potrebbe addirittura sostenere che i misteri del battesimo e dell'eucarestia non sono ancora noti ai profani in tutta la loro portata. Fra i cristiani delle origini molti accennano a «insegnamenti non scritti», a una tradizione viva che non è contenuta nei Vangeli né altrove nelle Sacre Scritture. A questo proposito si cita spesso il De Spirita del vescovo Basilio, del IV secolo.

-8 In alcuni dipinti e graffiti catacombali Cristo è raffigurato sotto forma di pesce. In altri casi compare soltanto la parola greca che significa pesce U-ch-th- us), con il senso che le viene attribuito da Sant'Agostino. Un esempio interessante si trova nelle catacombe di Domitilla, il cui tema è la dualità della costellazione dei Pesci, mentre nell’affresco della «Cappella del sacramento», delle catacombe di San Callisto, ci sono i due pesci della sacra cena, sul tavolo, an- ch'esso a forma di pesce. Si può dunque dire che gli officianti mangiano il corpo di Cristo sul corpo di Cristo.

59 L'acrostico 1-ch-th-us pare fosse già antico ai tempi di Sant'Agostino, il quale afferma di averlo preso da una profezia della Sibilla eritrea, stabilendo così un nesso fra i nuovi misteri cristologici e gli antichi misteri pagani. La «profezia» di cui parla Agostino è composta da alcuni versi latini, tradotti dal greco: la prima lettera di ciascun verso forma le parole ]ESOUS CHRISTOS THEOU Uios SOTER («Gesù Cristo, figlio di Dio, il Salvatore»). Vedi Sant'Agostino, La città di Dio, XVII, 23.

60 Dobbiamo al nostro amico fiorentino la gioia di avere scorto questi pesci sulla facciata della chiesa di San Miniato. Sono così ben nascosti che per vederli occorre il cannocchiale. I pesci sono portati alle labbra da figure iniziatiche (uo-mini-pesce) scolpite nei marmo sotto la croce all'apice della facciata, al di sotto dello zoccolo ornato su cui è posta l'aquila di bronzo (simbolo della corporazione Calimala, che probabilmente finanziò la ricostruzione della chiesa nel 1207). 1 pesci sono zodiacali ed eucaristici a un tempo.

61 II primo marzo segnava l'inizio dell'anno ecclesiastico in molte parti d'Eu-ropa, benché per il calendario giuliano, secolare, l'anno cominciasse il primo gennaio. L'espressione «nell'anno di nostro Signore» contenuta nei testi medie-vali fa riferimento al calendario ecclesiastico e non a quello giuliano.

62 I doni erano il contrassegno di questa transizione dai Pesci di marzo all'A- riete di aprile: il Cristo-Pesce si rinnovava. Questa tesi è confutata da Thomas Barns, il quale sostiene che secondo alcuni documenti di inizio XV secolo lo scambio di doni sarebbe avvenuto anche nel periodo fra il giorno di Natale e il 4 febbraio. Barns non convince, mentre appare più ragionevole un'altra ipotesi, secondo la quale l'usanza del pesce d'aprile risalirebbe alle feste primaverili gal -lesi dedicate a Llew, l'eroe-Sole del Mabinogion (T. Barns, All Poola’ Day in J. Ha- stings, Encyclopaedia of Rei ¡gioii and Ethics, voi. I, p. 332 sgg.). Nonostante le interpretazioni divergenti degli studiosi, le celebrazioni erano sicuramente legate allo zodiaco, come testimonia una delle parole medievali, Kalendae, con cui venivano indicate.

63 II Capricorno è il segno della burocrazia. Il capricorniano ha grande capa-cità organizzativa e progettuale; senza queste e senza la sua rettitudine

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interiore, non si sarebbero potute costruire le grandi cattedrali. Il maestro in sostanza sosteneva che il Capricorno deve temprarsi, organizzando le improvvise manifestazioni di disordine del Cancro, il quale minaccia di riportare l'umanità alle sue radici primordiali. Su ogni tentativo capricorniano di regolamentazione si proietta l'ombra della ribellione interiore cancerina.

6* Il nostro amico si divertiva a posare a démodé e monarchico. L'attuale piazza della Repubblica era un tempo piazza Vittorio Emanuele e fu ribattezzata in nome delle simpatie democratiche. L'infelice progetto di modernizzazione, che produsse questa piazza senz'anima, comportò la distruzione integrale di una parte consistente della Firenze antica, incluso il Mercato Vecchio e il labirinto di viuzze famose negli annali della storia fiorentina. Quello del maestro era un lamento per la scomprasa dell'antico tessuto della città.

65 II potente monaco Girolamo Savonarola, guida spirituale della repubblica fiorentina, fu scomunicato nel 1497 e accusato di eresia. Nel 1498 venne arrestato e processato, dopo essere stato torturato selvaggiamente, venne impiccato e arso sul fuoco con due suoi discepoli in piazza della Signoria, davanti a palazzo Vecchio. Le sue ceneri furono disperse nell'Arno. Ancora oggi, il 23 maggio, anniversario delia sua morte, vengono deposti fiori nel luogo in cui fu giustiziato quest'uomo coraggioso. Riferendosi a Savonarola, l'amico lamentava la distruzione dell'antico spirito di Firenze.

66 G. Chapman, All Fools, V.ii., 1599.67 II riferimento è al cimitero di San Miniato al Monte: passeggiavamo per

ore all'ombra dei cipressi lungo le mura del camposanto.68 L'amico allude allo zolfo interiore. Nel microcosmo lo zolfo è la volontà,

che è la fonte delle energie sessuali.69 «Così giochiamo come folli con il tempo, e gli spiriti dei saggi siedono fra

le nuvole e ridono di noi.»70 Come tutti gli alchimisti esperti, Fulcanelli sa che ci sono forme diverse di

zolfo. A proposito dello zolfo della volontà egli cita il Cosmopolita, Nouvelle Lumière Chy inique. Traité du Soufre, 1647: «Il saggio troverà la nostra pietra anche in un letamaio». E così è, poiché si tratta degli escrementi contenuti nell'intestino, in prossimità degli organi sessuali.

71 Sullo zolfo vedi Jacob Boehme, Voti der Dreien Principien, 1624, ii.7. I Tre Principi sono lo zolfo, il sale e il mercurio (la volontà, il pensiero, il sentimento) visti sotto una luce spirituale. Boehme scriveva in tedesco e il gioco di parole non rende bene l'idea in italiano. In tedesco zolfo è Schioefel, ma in questo caso Boehme usa la parola latina sulphur. Egli chiaramente considera sul sufficiente- mente simile dal punto di vista fonetico a Seele («anima») e gioca su questa omofonia, che va persa del tutto in italiano.

72 In phur, seconda sillaba di sul-phur, Boehme scorge Feuer, che in tedesco si- gnifica(» «fuoco». Boehme fu uno dei maestri della Lingua Verde, di cui sapeva, come pochi altri, rendere chiaro il significato.

73 Mai un architetto medievale avrebbe gettato la prima pietra (la pietra an-golare)'^ un edificio senza avere prima consultato quello che veniva chiamato «l'oroscopo delle fondamenta». Si riteneva infatti che la posizione dei pianeti relativa all inizio della costruzione di un edificio ne influenzasse la natura, la durata e la storia spirituale. In epoche ancora più antiche - a Roma, in Grecia, e in Egitto - ogni edificio veniva orientato nella direzione di una determinata stella o costellazione. In ogni caso il principio era più o meno lo stesso: perché

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fosse benefica per l'uomo e per gli dei, la struttura doveva rispecchiare il cosmo in modo armonioso e significativo. Per uno studio classico e di piacevolissima lettura sull'orientamento stellare nel periodo egizio vedi J.N. Lockier, The Datoti of Astronomi/. A Study of thè Tempie- Worship and Mythology of thè Ancient Egyptians, 1894.

74 I due Templari sono raffigurati come gemelli, con le braccia incrociate sul petto, come in effigie, a suggerire che sono «morti al mondo» e ora sono nel re -gno spirituale. Per un'analisi di questo simbolismo, vedi F. Gettings, The Hidden Art, cit., p. 45 sgg.

75 Un esemplare di questo sigillo è esposto al Museo dei Templari a La Ro- chelle, in Francia: esso reca in latino la scritta «Sigillo dei soldati di Cristo».

76 La giovane donna pensava probabilmente che il flos Virginis fosse il flos coeli, il fiore celeste di cui parlano Paracelso e Fulcanelli. Ma si sbagliava. Paracelso, che è più esplicito di Fulcanelli, spiega che il fiore celeste è una sorta di manna: il fiore della Vergine è in realtà il latte della Vergine (lue Virginis), il candido estratto spirituale che segna una fase importante del processo alchemico e forse equivale al fiore della Terra quando è diventato rugiada. Il fiore della Vergine, però, a volte ha cinque petali e in tale forma compare spesso nell'arte medievale cristiana. Gli architetti che posero un fiore a sei petali nel cerchio della danza non avrebbero potuto essere più espliciti: il sentiero che conduce a questo fiore ne costituisce lo stelo. La ragazza eseguì la danza il 9 settembre, giorno in cui cinque pianeti si trovavano nel segno della Vergine.

77 Hedsel suggerisce alcune cose sul nome della ragazza quando lo associa strettamente al nome latino Leto o Latona. L'identificazione mitologica è evidente nel fascio di luce che illumina la giovane donna quando Mark la vede per la prima volta e nella delusione della ragazza alle parole di Mark. 11 cognome, Hussay, non è definito con altrettanta chiarezza, neppure negli appunti di Mark. Egli si limitò ad annotare a margine degenerazione. Presumiamo che considerasse Hussay (il cui suono è simile a quello di hussy, «sgualdrina») una forma degenerata di hoaseioife - donna di casa -, un'ipotesi etimologicamente corretta. Il termine, ora usato in senso dispregiativo, era un tempo un titolo d'onore. Hussay è dunque un'ottima scelta per indicare una donna che ha perso la sua dignità. Non sarà per caso una versione degradata della dea Latona? O non avrà invece Hedsel voluto mostrare i due lati della donna, la dea e la donna corrotta? Benchéil nome della ragazza non sia quello vero, l'episodio raccontato è vero e Mark sembra tornare su questo tema più di una volta nel corso della narrazione. La frase, «quando la creatura è usata da una dea dalle morbide dita», contenuta nel penultimo paragrafo, ci ricorda che il verbo francese user, il cui suono è simile a quello inglese di Hussay, ha precise connotazioni sessuali.

78 Entrambi i libri erano di Fulcanelli: Le dimore filosofali e un'edizione inglese del Mistero delle cattedrali.

79 Con l'accenno al «canto giocoso degli uccelli», Latona allude alla Lingua Verde, di cui rivela una notevole conoscenza. In un'incisione del suo locus Seve- rus (1617) l'alchimista Michael Maier raffigurò un convegno di uccelli quale emblema di tale linguaggio segreto: era questo il «gioco serio» cui allude il titolo, con gli uccelli riuniti per decidere a chi spetti la palma della saggezza. Benché a presiedere la riunione sia la Fenice egizia, l'uccello prescelto è il gufo. Fu forse per questa ragione che il gufo divenne per alcuni Rosacroce il simbolo

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dell'iniziazione ai misteri.80 Al Libro della vita accennano le sacre scritture di tutto il mondo. Gli

esoteristi vi scorgono l'equivalente delle Cronache Akashic, in cui vengono registrati i pensieri, le parole e le azioni degli esseri umani per regolare il karma di ciascuno. Nel- l'Apocalisse (4-5) la prima cosa che Giovanni vede, quando, «rapito in spirito», entra dalla porta celeste, è un trono e sul trono «era seduto qualcuno»: intorno a lui c'era come un arcobaleno, «un'iride simile nell'aspetto allo smeraldo»... Poi vede nella «destra di colui che siede sul trono un libro scritto dentro e fuori e chiuso con sette sigilli»: è il Libro della vita, che nessun uomo è ritenuto degno di aprire e leggere. Latona pensava sicuramente a questo quando parlò di «monito». All'epoca in cui vennero realizzate le sculture di Chartres, nacque anche l'idea dell'opposto del Libro della vita: un tenebroso Libro della morte, o Libro nero, che il diavolo avrebbe consegnato alle streghe disposte a cancellare i loro nomi dal Libro della vita in cambio di questo dono.

81 Nell'antica Persia Mazda e Ahriman erano rispettivamente le due entità della luce e delle tenebre, i conduttori delle schiere dei principi dualistici del si-stema zoroastriano in lotta fra loro. Gli esoteristi moderni, consapevoli che il co -smo può essere compreso soltanto alla luce di tale dualismo, tendono in genere a identificare il principio della luce con Lucifero, l'equivalente di Mazda, mentre il nero Ahriman (la parola Ahrimanus veniva usata anche nei testi ermetici egizi) conserva il suo antico nome ed è ancora il cattivo per eccellenza, il principe della menzogna, il principe del materialismo.

82 Morien, che Fulcanelli cita brevemente a proposito de La Clef du cabinet hermétique, afferma che la materia nera usata nel processo alchemico di raffinazione deve avere una certa acidità e «un certo odore sepolcrale». Vedi Fulcanelli,Il mistero delle cattedrali, cit. !

83 L'iscrizione è Virgini pariturae, ma questo non è sufficiente a rendere isiache le statue (C. Bignarne, Considérations sur le Culle d'Isis chez les Eduens, 1862).

84 Con l'apparente errore contenuto nel passo in cui cita Matri deum, magnae ideae, Fulcanelli voleva forse suggerire qualcosa? La citazione è infatti inesatta. Nello stesso paragrafo d'altra parte egli storpia stranamente anche il nome di Bigame, un'autorità al proposito, chiamandolo Bigarre, benché lo riporti esattamente nella nota in fondo alla pagina precedente. Bigarre è una parola francese che indica «l'abito multicolore del buffone» e suona strana in un contesto riferito alla Vergine Nera. E evidente die Fulcanelli (o chi per lui) nasconde qualcosa.

85 La Vergine Nera di Monteserrat è chiamata La Moreneta e si ritiene sia stata portata sul luogo da San Pietro. Ma la Vergine Nera da noi vista, pur essendo molto bella, non era anteriore al XII secolo. Che la pigna in mano al bambino sia connessa con la pigna del tirso ermetico?

86 Si tratta probabilmente dell'antica ghironda, uno strumento a corde dotato di una tastiera per l'intonazione e nel quale il suono era prodotto per sfregamento tramite una ruota impedata, azionata da una manovella. In Francia era chiamata popolarmente la vielle.

87 Lo strumento medievale era ancora chiamato vielle o vielle à roue nel XVIII Vsecolo. Poi, in una data imprecisata, venne fatto coincidere con l'organetto, ma i <3ue hanno in comune un'unica caratteristica: sono entrambi

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azionati da una manovella. Benché la vielle fosse essenzialmente uno strumento di musica da strada, il compositore Franz Joseph Haydn la teneva in tale considerazione da scrivere alcuni notturni e concerti per organetto.

88 11 racconto biblico di Balaam e il suo asino si trova in Numeri 22. L'idea che l'asino potesse vedere il mondo spirituale piaceva evidentemente a Hedsel tanto quanto agli scultori medievali di Chartres. Dalle note lasciate sembrerebbe che Mark attribuisse particolare importanza al nome Balaam, il cui significato è «colui che inghiotte».

89 Riuscimmo a riconoscere nella N cerchiata la L di Latona utilizzando il codice fornito dalla cosiddetta «Scrittura Supercelestiale» (J. Marquies-Rivière, Amulettes, Talismani et Pentacles dans les Traditions Orienlales et Occidentales, 1938). Ipotizzammo che il circolo superiore (assente nell'alfabeto segreto) rappresentasse una stella e quello inferiore il cerchio del labirinto, oppure (ma l'ipotesi ci parve meno probabile), la Terra. Al nostro primo incontro, quando era dentro il labirinto, Latona era protesa fra cielo e terra. Non è però escluso che Latona abbia aggiunto due cerchi semplicemente per trasformare in un 6 la sua iniziale, in modo da associarla ai sei petali del cerchio della danza e del flos Virginis.

90 Ovidio, Metamorfosi, IV, 697.

Ultime parole1 L'eclisse cominciò intorno alle 23.30 dell'ora locale. La cometa Halley-Bopp

era, almeno in teoria, visibile a nordovest, sotto Perseo e Cassiopea: purtroppo né io né Mark Hedsel la vedemmo in quell'occasione.

2 Atala è uno dei nomi con cui nell'antichità si designava il Drago che, simbo-licamente, si riteneva inghiottisse la Luna.

3 La letteratura arcana occidentale vede nella faccia di teschio della Luna i detriti della scissione: un simbolo cosmico delle tenebre ossificanti che vanno ri-mosse dal pianeta Terra affinché l'umanità possa compiere il suo sviluppo spiri-tuale. La sua oscurità viene illuminata dall'esterno, essendo la Luna priva di una fonte interiore di luce.

4 Le culture orientali vedono nella faccia della Luna la sagoma di una lepre. Alcune parabole buddhiste narrano come la lepre fosse stata portata sulla Luna per avere concesso a un affamato di divorarla. L'associazione lepre-Luna è molto diffusa: la si ritrova anche nella mitologia messicana e africana. Fra gli indiani dell'America del Nord, la Grande Lepre dei cieli è Manibozho, l'eroe dei miti cosmologici, che in alcune versioni è connesso con la Luna, in altre con il Sole.

5 Nella versione autorizzata della Bibbia il termine ebraico Ishon diventa la «pupilla dell'occhio»: la sua associazione con la kore ermetica risulta evidente. In Lamentazioni, ii, 18, è scritto: «Effondi lacrime come un torrente/giorno e not- te,/non concederti requie,/non riposi la pupilla del tuo occhio», a suggerire che la pupilla piange. Ma il versetto acquisterebbe un significato ben più pregnante se «non riposi la pupilla del tuo occhio» fosse tradotto «che il piccolo uomo dentro di te non riposi».

6 Gli appunti scritti da Mark Hedsel lasciano chiaramente intuire che egli sta-va pensando alla conferenza tenuta da Rudolf Steiner a Dornach il 12 gennaio 1924. Nella biblioteca di cui Mark Hedsel mi ha fatto dono c'era un dattiloscritto, in precedenza appartenuto alla Myrdhin Library di Londra, sulla

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cui copertina era impresso, in corsivo, il titolo Teachings and Initiations of thè Old Rosecrncians (sic). Con ogni probabilità si trattava di una copia degli appunti stenografici stesi durante il ciclo di conferenze di Dornach; nella seconda conferenza si discute sulla spina dorsale lunare e, pur menzionando «l'uomo astrale» non usa la parola ermetica Ishon.

7 L'idea di Mark è che l'Ishon è cieco alle cose del mondo, ma vede quelle dello spirito.

8 La connessione fra la spina dorsale umana e la Terra è simboleggiata dalla lettera I di io con la sua forma verticale: l'ego può svilupparsi soltanto perché, stando eretto, si libra fra la Terra e il cosmo, e agisce come una sorta di antenna che trasmette alla Terra le forze cosmiche.

9 In Dante Lucifero è al centro dell'inferno e quindi al centro dell'universo geocentrico. Dante, che sta scendendo, si trova improvvisamente a salire: è arrivato al punto immobile, in cui l'alto e il basso si incontrano ( Inferno, canto XXXIV,76sgg.).

10 La Via del Monaco è stata completamente fraintesa nell'era moderna. Pri-ma che la Chiesa, con il concilio di Trento, cominciasse a perdere i contatti con la spiritualità, la Via del Monaco era una ricerca spirituale che si svolgeva nel solco delle correnti iniziatiche gnostiche. Vedi E. Buonaiuti, Symbols and Rites in thè Re- ligious Life ofCertnin Monastic Orders 1934-35, in The Mystic Vision. Pnpers from thè Eranos Ycarbooks, 1969, p. 168 sgg.

11 Sull'Akyasha come cerchio nella tradizione orientale e occidentale, vedi F. Gettings, The Dictionary of Occult..., cit.

12 Vedi G.R.S. Mead, Thrice-Greatest Hermes..., cit.13 I gradi citati da Hedsel sembrano appartenere alla loggia massonica dei

Fratelli africani. Credo che questo curioso riferimento nasca da una serie di associazioni: Hedsel, che ha appena accennato ai dialoghi egizi fra Ermete e il suo discepolo Tat, resta in tema citando la gerarchia del sistema massonico egizio. L'er- metista italiano Balsamo (1743-1795), che lavorò e scrisse con loipseudonimo di Cagliostro, introdusse nella massoneria una corrente di riti egizi, con i quali pare intendesse rinnovare il culto della dea Iside e il rispetto dei testi ermetici. Il suo fu uno dei tanti tentativi di reintrodurre il misticismo egizio nella massoneria, forse per ricondurla alla sua sorgente originaria. La loggia dei Fratelli africani, fondata nel 1767, prevedeva undici gradi. Il primo era quello dell'Apprendista dei segreti egizi; il quinto dell'iniziato ai segreti egizi e l'ottavo del Maestro dei segreti egizi. Quest'ultimo era noto anche con il titolo greco di Alethophilote, che significa «amante della verità». I tre gradi superiori erano Armiger, Miles ed Eques, il che sembra confermare l'ipotesi avanzata da Albert Pike nella sua analisi del grado di Cavaliere Kadosh condotta in Moruls and Dogma..., cit., p. 823, secondo cui Cagliostro si muoveva all'interno della corrente iniziatica dei Templari. L'Eques, ossia «il cavaliere», allude all'ordine dei cavalieri e costituisce probabilmente un riferimento aH'immagine iniziatica dei Templari che compare sul loro Grande sigillo. Per un elenco dei gradi dei Fratelli africani, vedi I. Coo- per-Oakley, Masonry and Medieval Mysticisin, London, Theosophical Publishing House, 1977, pp. 56-57.

Un giorno, quando Mark Hedsel era ormai morto da tempo, riflettendo su questa conversazione, improvvisamente pensai che l'accenno a una corrente Massonica piuttosto oscura avesse Io scopo di indicare una verità. L'opera più sorprendente emersa dal ritorno alle fonti egizie (cui diede un contributo politi-

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coM'adesione di Napoleone a questo tipo di massoneria) è costituita dalla Trino- sopuia attribuita a Saint-Germain. Avevo sempre avuto la sensazione che ci fosse un legame fra Mark Hedsel e questo grande iniziato. Mark mi stava forse indicando che la mia supposizione era fondata?

14 Vedi anche G.R.S. Mead, Thrice-Greatest Hermes..., cit., voi. Ili, p. 218.15 W. Shakespeare, La dodicesima notte, in Le commedie romantiche,

Milano, Mondadori, 1992, p. 744. A parlare è Viola, travestita, la quale sa benissimo che il matto non è matto, ma finge di esserlo, e dice: «Quest'uomo è saggio assai per fare il matto/e a farlo non ci vuole poco spirito». Le prime settantacinque righe del 111 atto, scena 1, di questa commedia sono una sorta di succinta esposizione della natura ermetica del Matto. 11 clown, per esempio, dice: «Una frase è appena un guanto di capretto per uno che sa parlare: fa presto a voltarne il dritto al rovescio e il rovescio al dritto».

16 Metà, o forse più, della letteratura rosacrociana è espressa in forma di disegni arcani e di codici segreti, con il frequente ricorso alla Lingua Verde degli alchimisti. Uno dei primi testi pubblicati dai Rosacroce fu l'opera di Christian Ro- senkreutz, mirabilmente tradotta in inglese da Ezechiel Foxcroft nel 1690 e pubblicata a Londra con il titolo di The Hermetick Romance: or thè Chymical Wed- dirtg. Foxcroft era sicuramente un membro del gruppo rosacrociano diretto da Lady Conway a Ragley Hall; sua moglie Elisabeth, fra l'altro, visse con Lady Conway durante i sette anni che il marito trascorse nelle Indie Occidentali. Si dice che sia stato il maestro del gruppo di Ragley, Franz Van Helmont, a suggerire a Foxcroft di tradurre quest'opera ermetica.

Nel quinto giorno di questo romance ermetico l'eroe, oltrepassata una porta di ferro, entra nei sotterranei di un castello, al cui interno trova affisse lettere gigantesche di rame appartenenti a un alfabeto segreto. Non è il suo primo incontro con i crittogrammi: significativamente, l'eroe li copia nel suo libro, ma non li spiega.

The Chymical Wedding è uno di quei testi iniziatici che è possibile leggere soltanto con l'ausilio di note oppure con una profonda conoscenza della tradizione alchemica e rosacrociana. Le sue origini di Rosacroce sono riscontrabili in molti simboli: uno di questi è la famosa Monas Hieroglyphica di John Dee (1526-1607), un singolo sigillo per spiegare il quale l'autore ha scritto un intero libro di teoremi.

17 Dopo qualche esitazione, sono giunto alla conclusione che i dodici sigilli disegnati da Mark Hedsel, e gli altrettanti versi che li accompagnano, meritava-no di essere inseriti a parte (vedi Appendice).

18 Gli antichi saggi chiesero a Veda Vyasa quale fosse l'epoca (yuga) più consona al progresso spirituale. Veda Vyasa disse che i frutti dell'ascetismo, praticato per dieci anni nella Krita yuga («età dell'oro»), equivalevano a un anno nella Treta yuga («età dell'argento») e a un mese nella Dioapara («età del bronzo»). Ma nella Kali yuga («età buia»), in cui l'umanità dimora attualmente, si possono ottenere in sole ventiquattro ore, praticando un ascetismo simile a quello dell'età dell'oro. È questo ii segreto, «l'unica grande virtù dell'altrimenti malvagia Kali» (Vishnupuranam, VI, sezione 2, in G. S. Arundale, The Lotus Fire..., cit, p. 607).

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