Date post: | 13-Apr-2016 |
Category: |
Documents |
Upload: | piero-lammirato |
View: | 259 times |
Download: | 0 times |
I
Vers. 13.3.2013
DIRITTO AMMINISTRATIVO (prof. S. A. Romano)
A.A. 2012 - 2013
L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA
Schede dei temi affrontati nelle lezioni.
INDICE
PARTE PRIMA
1. Società, diritto, Stato. 1 2. L’organizzazione amministrativa dello Stato Garantista. 3 3. Il livello politico – costituzionale. 5 4. Il livello politico-amministrativo. 11A)
ATTO AMMINISTRATIVO (principio di imparzialità; principio di legalità; diritto soggettivo; interesse legittimo; atto amministrativo vincolato; atto amministrativo discrezionale; discrezionalità amministrativa; merito; discrezionalità tecnica e accertamento tecnico; vizi di legittimità: incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge; vizi di merito).
13
B) ORGANIZZAZIONE (1. amministrazione attiva, consultiva, di controllo; 2. amministrazione diretta e indiretta; 3. concessioni di servizi pubblici; 4. amministrazioni ed aziende autonome dello Stato; 5. amministrazione per enti pubblici; 6. enti pubblici economici).
19
C)
PERSONALE (personale politico: ministri e sottosegretari; personale burocratico: amministrativi e tecnici; il rapporto di pubblico impiego; la responsabilità amministrativa; il pubblico concorso; il rapporto di lavoro privatizzato).
27
D)
MEZZI FINANZIARI (la legge di approvazione del bilancio, il rendiconto consuntivo: art. 81 Cost.; il giudizio di parificazione del rendiconto generale dello Stato ad opera della Corte dei conti: art. 100 Cost.).
30
PARTE SECONDA
Il MODELLO ATTUALE E LA SUA PIU’ RECENTE EVOLUZIONE.5. Il nuovo rapporto tra Società e Diritto. 336. Il livello politico-amministrativo. 38
I - Le strutture di livello transnazionale ed europeo.7. Premessa. 44
8. La componente internazionale. 449 La componente europea (i Trattati; la cittadinanza del’Unione; i
principi democratici; la molteplicità dei settori di competenza; diversi gradi di integrazione, esempi da alcuni settori: appalti pubblici – concorrenza e mercato – protezione dell’ambiente – farmaci – banche centrali e moneta – agricoltura).
48
II - Le strutture esterne agli apparati amministrativi della Repubblica.
10. Partiti politici e sindacati. 5510.1
Partiti politici. 55
10.2
Sindacati e Organizzazioni dei datori di lavoro. 57
11. Le Associazioni di volontariato. 59
III – Gli apparati amministrativi della Repubblica.III.A) I Principi.12.
La legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3: la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione. 61
13.
Il principio di sussidiarietà. 62
14.
Il principio di differenziazione. 64
15.
Il principio di adeguatezza. 65
16.
Il principio di leale collaborazione. 65
17.
Il nuovo rapporto Stato, Regioni, enti locali. 66
18.
L’affiorare dell’ “ordinamento comunitario” nella Costituzione ed il ruolo delle Regioni. 68
19 Gli interventi di ammodernamento dell’organizzazione pubblica.
69
III.B) I Comuni, le Province e le Città metropolitane. Le Regioni.20.
I Comuni. Le Province e le Città metropolitane. 72
21.
Le Regioni 75
III.C) Le strutture di coordinamento.22.
Le strutture di coordinamento dei livelli nazionali, regionali e locali.
76
23 La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome. 76
24 La Conferenza Stato-città ed autonomie locali. La 78
II
III
. Conferenza unificata.25.
Le Conferenze dei servizi. 79
III.D) Le strutture comuni.26.
Le strutture comuni a servizio della Repubblica. 79
27.
L’ISTAT e il Sistema Statistico Nazionale (SISTAN). 80
28.
L’ARAN. 81
29.
L'Agenzia per l'Italia Digitale. 83
III.E) Le Autorità amministrative indipendenti.30.
Il ruolo delle Autorità amministrative indipendenti. 85
31.
Le principali Autorità amministrative indipendenti. 88
32.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
90
33.
La Commissione di Garanzia per l'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali. 94
34.
Il Garante per la protezione dei dati personali. 97
35.
Le Autorità per la regolazione dei servizi pubblici e il moderno assetto dei servizi pubblici (AEEG, Agcom e Autorità dei Trasporti).
101
36.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato - AGCM e la Commissione nazionale per le società e la borsa - Consob.
108
37.
La COVIP e la CiVIT. 112
38.
La Banca d’Italia. 113
39.
L’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private – IVASS. 116
III.F) L’organizzazione statale per ministeri.40.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri. La riforma operata con la legge 23 agosto 1988 n. 400 e la successiva emanazione del d.lgs. 30 luglio 1999 n. 303. 117
41.
La riforma dell'organizzazione amministrativa statale nella legge 24 dicembre 1993 n. 537. I comitati interministeriali. 118
42.
Il decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 300 sull’orga- nizzazione ministeriale. 124
43.
I dipartimenti. 128
44 Le Direzioni generali ed il Segretario Generale. 129
.45.
Le Agenzie. 130
III.G) Gli organi ausiliari.46. L’indipendenza del Consiglio di Stato e della Corte dei
conti.. 132
47. Il Consiglio di Stato. 13248. La Corte dei Conti. 13448.1.
Il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo. 135
48.2.
Il controllo su singoli atti delle amministrazioni statali di notevole rilievo finanziario. 138
48.3.
La parificazione del rendiconto generale dello Stato e di quello delle Regioni. 139
48.4.
Il controllo sulla gestione finanziaria degli enti sovvenzionati dallo Stato. 140
48.5.
Il controllo successivo sulla gestione delle Amministrazioni pubbliche statali e regionali. 140
48.6.
Il controllo della Corte dei Conti sui conti consuntivi delle province e dei comuni con più di 8.000 abitanti. 144
48.7.
Il controllo della Corte dei conti in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. 145
48.8.
Il controllo sulla gestione ed il controllo economico/fi- nanziario della Corte dei conti. 147
49. La Ragioneria generale dello Stato. 14950. L’Avvocatura dello Stato. 152
III.H) Il personale.51. Premessa. Riforma dell'amministrazione e riforma della
burocrazia.154
52. La contrattazione collettiva. 16053. Il controllo interno. 16154. Il personale politico. 16455. Il personale dirigenziale. 16655.1.
Competenze dei Dirigenti generali. 166
55.2.
Competenze dei Dirigenti. 168
56. Gli incarichi di funzioni dirigenziali. 16957. La responsabilità dirigenziale e le modalità di verifica. 17058. Il “telelavoro”. 171
IV - La gestione dei mezzi finanziari della Repubblica.59.
La politica di bilancio nel contesto dell’UE. 172
IV
V
1
***********
PARTE PRIMA
Il MODELLO ORIGINARIO E LA SUA EVOLUZIONE FINO
ALLA COSTITUZIONE DEL 1948.
1. Società, diritto, Stato.
Ogni società esprime un diritto che risponde al suo modo d’essere ed
ai suoi bisogni. La società attuale affonda le sue radici nella rivoluzione
francese e cioè nella fase storica della sua evoluzione che ha dato luogo alla
formazione del c.d. Stato moderno. Abbandonata da tempo l’idea
medioevale di una società universale, si trattava, nonostante la vicenda
rivoluzionaria, di una società che si sentiva stabilmente insediata in un
territorio, con una comune cultura, che voleva essere una comunità di
uomini liberi, uguali e solidali, e che mirava a soddisfare tali esigenze
attraverso lo Stato, istituzione cui attribuisce il monopolio del proprio diritto
e, dunque, il monopolio delle fonti per la sua produzione. Il diritto è un
diritto su base territoriale (non personale), il potere legislativo appartiene
allo Stato (declino del diritto consuetudinario e delle altre fonti extrastatali:
Chiesa; Arti e Corporazioni, Comuni). Caratteristica di questo tipo di Stato è
quella di porsi al contempo come espressione della società stessa nel suo
complesso (Stato comunità, Stato ordinamento) e della istituzione che la
governa (Stato persona, Stato apparato). In tale “ambiguità”, del resto,
riposa la stessa legittimazione dello Stato (apparato) come Autorità in grado
di esercitare poteri autoritari nei confronti dei cittadini: per così dire lo Stato
comunità legittima lo Stato persona.
Lo Stato italiano è la società italiana. Lo Stato è, quindi, titolare della
sovranità nazionale. I poteri autoritari dello Stato si legittimano per il loro
immediato fondarsi sul popolo e sulla sovranità popolare, di cui lo Stato -
apparato (pubblico di governo della società) è espressione e mezzo. Da
questo punto di vista lo Stato, dichiarando di riconoscere i diritti inviolabili
dell’individuo, si impone, come titolare “monopolista” del potere
legislativo, di operare come strumento attraverso cui la società garantisce a
tutti i suoi componenti la possibilità di godere di tali diritti.
Seguendo quest’ordine di idee, però, il diritto della società diviene il
diritto posto dallo Stato (diritto positivo statale), che inesorabilmente
emargina (se non elimina) dal “giuridico” tutte le norme esterne
all’ordinamento medesimo (diritto naturale). L’ordinamento giuridico
statale, con le sue norme costituzionali e sub costituzionali, diviene
l’ordinamento giuridico della società libera, come tale originario ed
indipendente. I diritti soggettivi dei cittadini, siano essi civili o politici,
divengono i diritti sanciti dalle leggi dello Stato. La Costituzione dello Stato
è al contempo la legge che fonda lo Stato e la prima legge prodotta dallo
Stato Persona. Si è sempre in bilico tra lo Stato di diritto e il Tiranno.
L’individuo, i cui bisogni e le cui aspirazioni sono alla base del sistema,
rischia di venire fagocitato dallo Stato. Il confine è dato dal contenuto della
Costituzione dello Stato (l’art. 16 della Dichiarazione francese dei diritti
dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789 afferma solennemente: “Ogni
società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei
poteri determinata, non ha costituzione.”) e, all’interno della organizzazione
politico-costituzionale dello Stato, anche dal modo di atteggiarsi della sua
organizzazione politico-amministrativa.
Da quanto detto, appare evidente il motivo per cui la prima esigenza
avvertita dagli individui componenti una simile società è un’esigenza
garantista (evitare che lo Stato faccia cattivo uso dei suoi poteri autoritari a
danno del cittadino e delle sue libertà); inoltre, traspare il collegamento che
paradossalmente viene ad instaurarsi tra l’istanza individualista e libertaria,
che sta alla base del nuovo ordinamento derivante dai principi della
rivoluzione francese, ed una concezione statalistica dell’ordinamento
giuridico, possibile premessa ad evoluzioni totalitarie identificanti la società
nello Stato, dando luogo ad un “pendolo” che percorre gran parte del
novecento.
2
2. L’organizzazione amministrativa dello Stato Garantista.
2.1. Il ruolo dello Stato, dunque, è quello di assicurare il vivere civile
in una società di uomini liberi ed eguali la cui vita massimamente si svolge
entro i confini dello Stato stesso. Autorità dello Stato e Libertà del cittadino.
Lo Stato come “male minore”, necessario per la salvaguardia delle libertà
individuali dalla prepotenza del più forte. Tendenziale eliminazione di
autorità intermedie tra Stato ed individuo a protezione della eguaglianza tra
tutti gli uomini. Riconoscimento a tutti gli uomini della capacità giuridica
generale, che è alla base del nuovo modo di essere del soggetto
nell’ordinamento giuridico. Essa si acquisita al momento della nascita e
costituisce il presupposto per la massima espansione dell’individuo nella
società, senza discriminazioni derivanti da status sociali.
Limitazione dei compiti dello Stato rispetto alla società da esso
regolata. Distinzione e separazione tra pubblico e privato, come due distinti
settori in cui lo Stato opera in vesti differenti:
nell’area del diritto dei privati, lo Stato opera come “arbitro”, tutore
dell’ordine pubblico e guardiano dell’osservanza delle regole da parte di
tutti i soggetti privati nei loro rapporti reciproci (lo Stato realizza a
livello legislativo tale sua funzione mediante il codice civile, con le sue
norme prevalentemente dispositive, giustificandosi le eccezionali norme
imperative con la necessità di tutela dell’ordine pubblico e del buon
costume).Tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge è
permesso a qualsiasi uomo; è il regno della capacità giuridica generale;
in tale ambito tutti sono in posizione paritaria; le regole sono innanzi
tutto auto poste dai privati mediante il contratto (che è legge fra le parti).
Lo Stato, quando opera iure privatorum, agisce esso stesso in posizione
paritaria.
nell’area del diritto pubblico, lo Stato si pone ed opera come Autorità,
mediante lo ius imperii (legislatore, amministratore pubblico, giudice)
cui sono sottoposti i cittadini che, in questo caso sono in una posizione
di soggezione nei riguardi dello Stato. È l’area della capacità speciale,
della supremazia dello Stato; in quest’area Autorità e cittadino non sono
3
in posizione paritaria, sia pure per ragioni socialmente valide ed anzi
“necessitate” (il male minore rispetto all’anarchia). In quest’area, quindi,
a garanzia dei cittadini e delle loro libertà, assume valore essenziale il
principio di legalità; tutto ciò che non è espressamente permesso dalla
legge è vietato (disciplina delle pubbliche potestà: principio della
attribuzione e della competenza).
2.2. Invero il modello sopra delineato, come sempre accade, è più
tendenziale che reale. Ciò non solo per il peso dell’eredità dei precedenti
periodi e per le inevitabili contraddizioni tra “teoria e pratica” (si pensi alla
vicenda del suffragio popolare, al dibattito tra libertà formali e libertà
sostanziali ecc.), ma soprattutto perché una società è sempre in continuo
divenire e le nuove esigenze della società civile si impongono già
all’indomani dell’Unità d’Italia, dando luogo ad una prima crisi della
ideologia dello Stato a fini limitati e della netta distinzione tra area pubblica
ed area privata.
Anche l’Italia viene investita dalla “rivoluzione industriale” che porta
nuove realtà e nuove esigenze. In particolare la necessità di dotare l’Italia di
infrastrutture moderne (strade, ferrovie, porti, illuminazione cittadina ecc.),
impone l’attribuzione allo Stato, in misura ben maggiore rispetto al passato,
di compiti di produzione di beni e servizi e non solo di funzioni
amministrative di tipo giuridico (regolamenti, ordini, autorizzazioni, licenze
ecc.).
Inoltre, con la rivoluzione industriale nasce il problema della tutela
della classe operaia, che sollecita una legislazione che non ha più ad oggetto
l’individuo, ma una particolare categoria di individui che necessitano di una
disciplina e di una tutela differenziata: i lavoratori impiegati nelle fabbriche
(il c.d. proletariato). Da tale fenomeno economico-sociale nascono nuove
esigenze (es. assicurazioni, previdenza invalidità e vecchiaia) e, inoltre,
riapre il problema delle formazioni sociali intermedie (es. sindacati) tra
Stato e individuo, che possono essere viste non più come ostacolo alla
uguaglianza tra gli uomini, in quanto fonti di privilegi che creano situazioni
discriminanti, ma, al contrario, come mezzo per riequilibrare oggettive
4
situazioni di forte squilibrio non legate alle capacità personali del singolo
ma a fattori esterni.
Tuttavia, la risposta a queste nuove istanze (almeno nel pensiero
liberale all’epoca dominante e fatta salva la nascita delle nuove ideologie
socialiste e marxiste) viene trovata all’interno del modello che si è delineato,
attraverso l’ampliamento delle funzioni dello Stato, sul presupposto che,
essendo lo Stato la personificazione giuridica della società nazionale e,
quindi, il titolare istituzionale dell’interesse generale, rientra nelle sue
competenze tutto ciò che serve alla soddisfazione dell’interesse generale e
del bene pubblico.
In buona sostanza, lo Stato-persona, come espressione dello Stato-
ordinamento e, quindi, della società nazionale, ha una sorta di “monopolio”
della titolarità degli interessi pubblici (e della loro cura) e tale “esclusività”
gli consente di intervenire anche in campi tradizionalmente riservati ai
privati (es. produzione economica) nei casi, in ipotesi eccezionali ma in
concreto sempre più frequenti, nei quali – come, ad esempio, vedremo a
proposito dei c.d. servizi pubblici – egli ritiene presenti interessi pubblici
(economici, fiscali ecc.) che giustificano l’intervento, anche in via esclusiva,
dello Stato (si verifica quel “pendolo” tra individualismo e statalismo cui si
è accennato al par. 2 ).
3. Il livello politico – costituzionale.
Si tratta di una lenta, veramente “secolare” (prende tutto l’ottocento e
gran parte del novecento), costruzione e “messa a punto” di un sistema di
strutture politico-costituzionali e politico-amministrative che sempre meglio
rispondono alle esigenze sopra esposte, sentite come vitali dalla società
italiana dell’epoca, iscritta tra le società occidentali di matrice liberale.
Tale processo sembra raggiungere il suo apice, sia per il livello
costituzionale che per il livello amministrativo, nella Costituzione del 1948,
la quale per molti aspetti rappresenta il compimento della tradizionale
concezione dello Stato e della sua organizzazione amministrativa, anche se,
per altri aspetti (programmatici), primo fra tutti il regionalismo, essa si pone
come il punto di partenza per una nuova visione dello Stato che, pur
5
indubbiamente costituendo una significativa “svolta”, resta comunque nel
solco della tradizione prima descritta.
Distinguendo il livello politico-costituzionale dal livello politico-
amministrativo, evochiamo solo per “citazioni” il livello politico-
costituzionale richiamando all’attenzione alcuni elementi ai nostri fini
particolarmente importanti perché fondanti l’assetto del livello politico-
amministrativo che forma oggetto del nostro corso di lezioni.
a) Si è detto del rapporto che lega, secondo la concezione dipendente
dalla rivoluzione francese, la Società allo Stato e di come lo “Stato di
diritto” si legittimi per il suo immediato fondarsi sul popolo. La
Costituzione del 1948 porta a compimento tale processo proclamando che
l’Italia è una repubblica democratica e che la sovranità appartiene al popolo,
il quale la esercita (anche) attraverso forme di democrazia diretta, come
avviene nei referendum, ma soprattutto mediante forme di democrazia
parlamentare. Si conclude, inoltre, il lungo viaggio verso il riconoscimento
del diritto di voto a tutto il popolo, stabilendo la regola del suffragio
universale sia maschile che femminile.
b) Quelle trasformazioni sociali derivanti dalla c.d. rivoluzione
industriale che, come si è visto, accostano alla figura del <<cittadino>>,
quale nasce dalla rivoluzione francese e dal principio di eguaglianza, la
diversa figura del <<lavoratore>>, quale particolare soggetto (l’operaio che
lavora nelle fabbriche) che lo Stato deve tutelare, trovano nella Costituzione
del 1948 pieno riconoscimento, laddove questa solennemente dichiara che la
Repubblica italiana è fondata sul lavoro, e, poi, detta una particolare
disciplina del lavoratore dipendente nelle disposizioni sui rapporti
economici e sulla tutela del lavoro (art. 35 segg. Cost.).
c) Si è accennato all’importanza attribuita dalla cultura post
rivoluzione francese alla teoria della divisione dei poteri come meccanismo
di garanzia della libertà dei cittadini nei riguardi del potere autoritario dello
Stato. La Costituzione del 1948 “perfeziona” tale teoria adattandola alle
esigenze parlamentari (vedi i rapporti Governo – Parlamento ed i rapporti
poteri Legislativo/Esecutivo e potere Giudiziario) e rafforza gli strumenti
diretti a realizzare lo scopo finale di garanzia attraverso la previsione di una
6
costituzione “rigida” e l’istituzione di una Corte Costituzionale, giudice
delle leggi e dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, disciplinata
sotto il significativo titolo “Garanzie costituzionali”.
d) Si è detto del rapporto diritto-Stato e del ruolo della legge. La
preesistenza allo Stato dei diritti dell’uomo viene espressamente
riconosciuta dall’art. 2 della Cost. (“La Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove
si svolge la sua personalità…”) e da tutta la prima parte della Costituzione
che si occupa delle libertà dell’uomo e del cittadino. Il richiamo alle
“formazioni sociali” rappresenta una significativa messa a punto del tema,
che consente il superamento della originaria generalizzata avversione nei
riguardi dei “gruppi intermedi” tra Stato e individuo, senza tuttavia tradire
l’impostazione individualistica di fondo, poiché le formazioni sociali
vengono valorizzate non in se stesse, ma in quanto servano per lo sviluppo
della personalità dell’uomo.
e) Si è anche ricordato il ruolo assegnato alla legge dello Stato come
strumento per garantire i diritti del cittadino. La Costituzione del 1948
consacra tale ruolo, stabilendo: che solo la legge, applicata dalla
magistratura, può incidere sulla libertà personale delle persone; che solo la
legge può imporre alle persone prestazioni personali e patrimoniali; che solo
la legge può attribuire all’Amministrazione poteri amministrativi aventi
carattere autoritario nei confronti dei privati (c.d. principio di legalità).
f) Si è sottolineato come il riconoscimento del primato della legge se,
da un lato, è il cardine del c.d. stato di diritto e, quindi, del sistema di
garanzia delle libertà del cittadino, dall’altro lato, aggrava la potenziale
“pericolosità” per la libertà del cittadino dell’attribuzione allo Stato persona
del potere legislativo nella sua totalità. Le costituzioni dell’ottocento,
pertanto, mirano a dettare una disciplina della funzione legislativa che sia
tale da legare la legge alla volontà popolare e garantire che essa non si
trasformi in strumento di tirannia. La Costituzione del 1948 accoglie tutte le
idee più avanzate per garantire che le scelte politiche trasformate in legge (e
che, come tali, devono essere osservate da tutti) siano quelle volute dalla
maggioranza del popolo.
7
La funzione legislativa, affidata collettivamente alle due Camere, è
esercitata in pubbliche sedute (art. 64 Cost.), per garantire che le scelte
politiche vengano dibattute dai rappresentanti del popolo, sotto gli occhi di
un’opinione pubblica resa più attenta dai mezzi di informazione. I
parlamentari, eletti dal popolo e lealmente ispirati dal desiderio di dibattere
le diverse proposte di legge per giungere alla scelta più rispondente al bene
comune, deliberano a maggioranza (da qui la previsione dell’art. 67 secondo
cui ogni parlamentare rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni
senza vincolo di mandato). La volontà della maggioranza (non importa a
questo punto se criticabile o meno) diventa legge dello Stato e il Presidente
della Repubblica, organo super partes che rappresenta l’unità della nazione,
la promulga (art. 73 Cost.) come la scelta politica accettata da tutti i
cittadini.
In questo modo la società si assicura che la legge, pur imperativa,
rimanga strumento di democrazia e non di tirannia.
g) La forma di governo parlamentare scelta dalla Costituzione del
1948 si caratterizza per la <centralità> del Parlamento, dovuto al suo
peculiare carattere rappresentativo che dà luogo ad un particolare rapporto
tra Parlamento e Governo.
Come è noto l’evoluzione democratica delle istituzioni, che dal Re
assoluto (tale per grazia di Dio e non per volontà della nazione) perviene
alla c.d. monarchia costituzionale, passa attraverso la subordinazione del
regolamento (atto tipico dell’esecutivo) alla legge (atto tipico del
Parlamento) e la trasformazione del governo, da organo attraverso cui il Re
amministra la nazione (vedi l’espressione “Governo di Sua Maestà”) e,
appunto per ciò, da questo nominato e revocato, ad organo nominato dal Re
ma che gode la fiducia del Parlamento.
Lo Statuto Albertino non prevedeva espressamente la fiducia , che
pure si era imposta per prassi costituzionale. La Costituzione del 1948,
invece, dopo avere stabilito che il Presidente della Repubblica nomina il
Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri (art.
92), stabilisce esplicitamente che “…il Governo deve avere la fiducia delle
due Camere” (art. 94).
8
La mozione di sfiducia (nei confronti del governo e/o del singolo
Ministro) rende continuativa la responsabilità politica del Governo e dei
Ministri di fronte al Parlamento (art. 95 Cost.). Peraltro a tale strumento si
aggiungono molti altri strumenti di controllo del Parlamento sul Governo e
sulla attività amministrativa da esso posta in essere (interrogazioni e
interpellanze parlamentare, poteri di inchiesta, approvazione della legge di
bilancio ecc.).
L’assenza di un diretto legame tra Governo e Popolo (come anche tra
Presidente della Repubblica e Popolo), rinsalda il ruolo centrale del
Parlamento, unico organo espressione diretta del Popolo sovrano, dando
luogo ad un sistema che chiaramente e senza possibilità di equivoci disegna
un ingranaggio nel quale le scelte politiche spettano al Popolo, che le
esprime ordinariamente attraverso il Parlamento e eccezionalmente
direttamente (vedi referendum abrogativo), mentre al potere esecutivo spetta
realizzare dette scelte senza distorcerle, trasformarle e/o tradirle, ed al potere
giudiziario spetta di garantirne l’osservanza (“la legge è eguale per tutti”).
In questo modo ogni atto dell’Esecutivo, cioè ogni atto amministrativo
che incida sulla libertà del cittadino, trova legittimazione e giustificazione
nella sua aderenza alla legge (principio di legalità) e cioè nel fatto che il suo
contenuto imperativo è in realtà frutto non già della volontà
dell’Amministrazione (e cioè del Governo), ma di una scelta voluta dai
cittadini stessi, secondo il principio della maggioranza parlamentare. Già la
legge 20 marzo 1865 n. 2248 sull’unificazione amministrativa del Regno
d’Italia, nel suo allegato E sull’abolizione del contenzioso amministrativo,
proclamava la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria sugli atti
amministrativi incidenti sui diritti politici e civili dei cittadini. L’art. 113
della Costituzione del 1948 conferma e consacra la sottoposizione dell’atto
del potere esecutivo al sindacato giurisdizionale, senza possibilità di
limitazioni o restrizioni di forme.
h) In particolare occorre sottolineare il doppio ruolo del Governo:
il Governo ha il compito di proporre il proprio programma di
governo su cui ottenere la fiducia del Parlamento e di presentare in
9
Parlamento disegni di legge volti ad attuare tale programma
modificando la legislazione vigente;
il Governo ha però anche il compito di “amministrare” i cittadini,
dando esecuzione alle leggi vigenti e, quindi, alle scelte politiche
sancite dal Parlamento nelle sue leggi.
La Costituzione del 1948, realizzando un meccanismo molto
sofisticato frutto delle esperienze precedenti, tiene distinti, in modo chiaro
ed inequivocabile questi due diversi ruoli, come è essenziale per la garanzia
dei cittadini. Il Governo ha il diritto-dovere di operare per modificare le
leggi, ma deve farlo non già attraverso l’emanazione di atti amministrativi,
bensì presentando disegni di legge e sollecitandone l’approvazione in
Parlamento. Solo quando la scelta politica contenuta nel progetto di legge è
diventata legge dello Stato, solo allora il Governo può utilizzare la pubblica
amministrazione per approntare gli atti amministrativi necessari a realizzare
le finalità della nuova legge, secondo le modalità da essa dettate.
Fino a quando la legge vigente non sia stata modificata, il Governo ed
il suo apparato costituito dalla pubblica amministrazione, quale che sia il
suo programma politico, deve rispettare, non violare, la legge esistente e le
scelte politiche che essa contiene. Il principio di legalità, applicato alla
Amministrazione pubblica, comporta la soggezione degli organi
amministrativi alla legge e l’art. 97, prevedendo una riserva di legge relativa
in materia di P.A., rafforza gli effetti del principio di legalità.
Certo, la secolare esperienza insegna che vi sono casi di urgenza che
impongono scelte prese senza ritardo, come anche casi nei quali la materia
oggetto della legislazione si presenta tecnicamente complessa tanto da non
apparire idoneo il mezzo del dibattito parlamentare. Occorre quindi
prevedere una soluzione che risponda a tali esigenza, limitando i pericoli per
le libertà dei cittadini insiti in ogni meccanismo che permetta al potere
esecutivo di “scavalcare”, in qualche misura, il Parlamento, titolare del
potere legislativo.
La Costituzione del 1948, come è noto, mette a punto un sofisticato
sistema di garanzie e di limiti che ammette, sotto particolari precauzioni,
l’adozione da parte del Governo di “decreti che abbiano il valore di legge
10
ordinaria” (non di legge costituzionale) nella forma del decreto legge (per
rispondere alle esigenze legate a situazioni di necessità ed urgenza: vedi art.
76 Cost.) e del decreto legislativo (per rispondere alle esigenza di
complessità della materia: vedi art. 77 Cost.).
Anche in tal caso, però, resta ferma la separazione dei due ruoli cui si
è fatto riferimento, poiché tale attività del Governo si iscrive nell’ambito
dell’azione legislativa – si tratta infatti di atti aventi valore di legge -,
mentre, sempre in ossequio al principio di legalità, l’azione amministrativa
resta soggetta alla legge.
Quindi, la Pubblica Amministrazione, come apparato del Governo,
può svolgere una attività istruttoria volta ad elaborare progetti di riforma,
che il Consiglio dei Ministri può approvare e presentare in Parlamento come
disegni di legge; può anche “istruire” riforme delegate dal Parlamento al
Governo con leggi di delega; ma il compito principale della Pubblica
Amministrazione rimane quello di esercitare le funzioni amministrative nei
riguardi dei cittadini e di esercitare i poteri ad essa attribuiti dalla legge
ponendo in essere atti e provvedimenti conformi alle leggi vigenti, e non
alle proposte di riforma eventualmente elaborate, ma non ancora diventate
legge dello Stato.
4. Il livello politico-amministrativo.
Se l’obiettivo prioritario è di garantire le Libertà del cittadino nei
riguardi dell’Autorità dello Stato, e tale obiettivo viene perseguito a livello
politico costituzionale mediante lo schema sopra per sommi capi descritto,
la cui funzione, in ultima analisi, è quella di far coincidere la legge, quale
espressione delle scelte politiche, alla volontà della maggioranza del popolo,
allora, scendendo ad esaminare il livello politico-amministrativo, possiamo
attenderci una disciplina della P.A., come apparato del Governo (Potere
esecutivo), che sia costruita secondo regole e procedure che, coerentemente,
mirano a loro volta a mantenere l’attività dell’esecutivo all’interno delle
scelte legislative.
Ed infatti, come vedremo, la disciplina tradizionale
dell’Amministrazione Pubblica, in gran parte accolta dalla Costituzione del
11
1948, presenta, in ciascuno degli elementi che la compongono, caratteri tali
da renderla il più possibile efficiente nello svolgere le funzioni
amministrative che le competono, ma soprattutto precisa nell’applicazione
delle leggi, per non tradire mediante l’esercizio dei poteri amministrativi le
scelte politiche contenute nelle leggi, vanificando quella garanzia di libertà
che viene assicurata al cittadino attraverso la coincidenza tra legge e volontà
popolare.
Da questo punto di vista, i problemi che sorgono nel disciplinare
l’amministrazione pubblica si incentrano non già sui metodi per valutare i
“risultati” dell’azione amministrativa (poiché se è la legge che compie la
scelta politica il risultato che ne deriva, sia esso positivo o negativo, va
imputato al Legislatore e non certo all’Esecutivo), quanto sui mezzi
attraverso i quali possa essere assicurata la perfetta conformità del
provvedimento amministrativo alla legge e, cioè, la “legittimità” dell’azione
amministrativa. Quando ciò si è realizzato, allora l’amministrazione
pubblica deve giudicarsi efficiente e, se fosse criticabile il “risultato”
dell’azione amministrativa, la critica andrebbe rivolta alla scelta legislativa
(e, quindi, alle decisioni prese dalla maggioranza popolare attraverso il
Parlamento) non alla “macchina” amministrativa che dà esecuzione alla
legge.
Per realizzare l’obiettivo garantistico è stato elaborato un modello di
P.A. curato in tutte le sue parti: atto (non attività, ma singolo atto, proprio
perché è il singolo atto che deve essere conforme alla legge, se si vuole
raggiungere lo scopo di garantire il cittadino che ne è destinatario e ne
subisce le conseguenze); organizzazione; personale; finanze.
Tale modello viene gradualmente realizzato e perfezionato per mezzo
della legislazione emanata lungo il corso dell’ottocento e del novecento
(dalla legge sull’unificazione amministrativa del Regno d’Italia, la legge 20
marzo 1865, n. 2248, possiamo dire almeno fino alla legislazione degli anni
’80 dello scorso secolo), e, in particolare, sia pure a livello di principi
(poiché diverso è l’oggetto delle carte costituzionali), attraverso molte delle
disposizioni dettate dalla Costituzione del 1948.
12
Ripercorrere schematicamente l’evoluzione delle diverse parti del
modello serve a fare emergere il disegno complessivo ed a passare in
rassegna elementi che, in molti casi, ancor oggi costituiscono la parte (sia
pure più antica) dell’assetto attuale dell’organizzazione pubblica.
A. ATTO AMMINISTRATIVO.
Ricordiamo, innanzi tutto, il principio di imparzialità nell’azione
amministrativa (art. 97 Cost.) inteso, come ha messo in luce la
dottrina, come obbligo di agire al fine del perseguimento delle finalità
pubbliche obbiettivate dall’ordinamento. Ricordiamo ancora la tipicità
degli atti amministrativi e l’attenzione della legge alla disciplina del
provvedimento amministrativo, piuttosto che all’attività
amministrativa vista nel suo complesso e valutata nei suoi risultati
concreti; non a caso, bisogna attendere gli anni novanta del novecento
per l’emanazione di una legge a carattere generale sul procedimento
amministrativo (la legge 7 agosto 1990 n. 241). La distinzione tra ‘atti
vincolati’ ed ‘atti discrezionali’, il concetto di ‘discrezionalità
amministrativa’, il concetto di ‘merito’ ed il rapporto tra
discrezionalità e merito, rendono trasparente il tentativo di fare in
modo che le decisioni amministrative costituiscano, per quanto
possibile, una ‘asettica’ imparziale applicazione del diritto nel caso
concreto, da parte di operatori professionali. Non a caso, secondo la
più diffusa dottrina sulla discrezionalità amministrativa, è la legge che
fissa l’interesse primario che l’Amministrazione deve curare tramite il
provvedimento amministrativo, e la ponderazione dei diversi interessi
c.d. secondari rispetto all’interesse pubblico primario, che è l’essenza
della discrezionalità amministrativa, deve avvenire secondo criteri
volti ad assicurare il raggiungimento della finalità voluta dalla legge,
concretandosi in questo modo le diverse figure sintomatiche
dell’eccesso di potere come forme di violazione di legge.
La quasi esclusiva rilevanza data ai ‘vizi di legittimità’ rispetto ai ‘vizi
di merito’ (mentre sono sconosciuti i ‘vizi dell’attività’) e la ricordata
costruzione dell’eccesso di potere come vizio della discrezionalità
amministrativa, costituiscono una conferma della assoluta priorità
13
attribuita dall’opinione generale alla esigenza di garantire la
conformità dell’atto amministrativo alle norme. Non solo i
provvedimenti più importanti sono accompagnati, preceduti e/o seguiti
da pareri, autorizzazioni preventive, approvazioni successive, ma i
controlli preventivi di legittimità interni (Ragionerie centrali) ed
esterni (Corte dei conti), fino alla riforma del 1994, non avvengono
saltuariamente, ovvero ‘per campione’ o per categorie di atti, ma sono
previsti con riguardo ad ogni singolo provvedimento. Peraltro, tali
controlli di legittimità, anche se positivi, sono irrilevanti ai fini del
sindacato giurisdizionale di legittimità, per cui i controlli
amministrativi si aggiungono ai controlli giurisdizionali,
moltiplicando le verifiche della conformità dell’atto alle norme, a
maggior garanzia del cittadino.
La disciplina dei ricorsi amministrativi (vedi, in particolare, il ricorso
gerarchico, come rimedio a carattere generale esperibile nei riguardi di
tutti i provvedimenti non definitivi); il potere di annullamento
d’ufficio per vizi di legittimità; il potere governativo straordinario di
annullamento degli atti amministrativi illegittimi a tutela
dell’ordinamento (da qualsiasi autorità amministrativa essi siano stati
posti in essere, con la sola eccezione delle Regioni, ma per
l’intervento della Corte Costituzionale, che, con la sentenza 13-
21.4.1989, n. 229, ha dichiarato incostituzionale la previsione di tale
potere da parte della legge 23.8.1988 n. 400), completano la disciplina
dell’atto amministrativo, creando una serie di freni e di sicurezze tutte
ordinate a conseguire il bene prioritario della conformità alla legge
dell’atto amministrativo.
Si inscrive in tale disegno la costruzione della giurisdizione
amministrativa come giurisdizione generale di legittimità sull’atto
amministrativo (art. 113 Cost.) che sfocia nell’annullamento degli atti
inficiati da vizi di legittimità censurati dal ricorrente.
A garanzia del cittadino leso nel suo interesse legittimo, fino alle
modifiche apportate nel 2005 alla legge sul procedimento
amministrativo, ogni vizio di legittimità accertato dal giudice
14
ordinariamente comportava, senza distinzione, l’annullamento
giurisdizionale dell’atto amministrativo ritualmente impugnato.
L’annullamento dell’atto poteva essere evitato solo se si fosse in
presenza di c.d. “mere irregolarità”; ma per “ mera irregolarità” si
intendeva, appunto, quella difformità rispetto alla previsione
normativa così lieve da non assurgere a vizio di legittimità.
La priorità data alla finalità di garantire la conformità dell’atto
amministrativo al diritto oggettivo è evidente nella stessa elaborazione
della nozione di interesse legittimo , come interesse alla corretta
applicazione delle norme poste per il perseguimento di fini generali,
da parte del cittadino che, rispetto alle stesse, si trovi in una posizione
particolare e specifica che permetta di differenziarlo dal quivis de
populo. Trattandosi di norma posta nell’interesse pubblico e non in
quello del titolare dell’interesse legittimo, si spiega, da un lato, che
fino agli ultimi anni dello scorso secolo, era esclusa la tutela
risarcitoria e, dall’altro lato, l’eventualità, ancor oggi accettata, che
l’accoglimento del ricorso non desse luogo a vantaggi concreti per il
ricorrente, ma solo all’obbligo par la P.A. di rinnovare l’atto
annullato, eliminando il vizio di legittimità riscontrato dal Giudice.
Non senza ragione, diversamente dall’attività del Parlamento e della
Magistratura, che è pubblica, l’azione dell’Amministrazione seguiva
(e ciò è avvenuto fino a pochi anni addietro) l’opposto principio della
riservatezza. Invero, nel sistema tradizionale dell’atto amministrativo,
l’intervento del cittadino era previsto, ma dopo l’adozione del
provvedimento e, cioè, quando lo stesso è stato già formato in tutte le
sue parti; con l’importante conseguenza che tale intervento non può
più influire (o interferire) sul contenuto dell’atto, ma solo provocare
una verifica della conformità o meno dell’atto già confezionato alle
norme. Del resto, se l’atto da adottare deve costituire la più imparziale
e rispettosa applicazione delle scelte politiche già effettuate dal potere
legislativo, quale necessità vi è che il privato intervenga nel
procedimento di formazione dell’atto amministrativo? Invero i lati
negativi di un simile intervento risultano palesemente prevalenti
15
rispetto a quelli positivi, poiché l’interessato non può che cercare di
introdurre nel provvedimento contenuti che rispondono più ai propri
interessi che all’imparziale esercizio del potere amministrativo nel
rispetto delle leggi che lo disciplinano e dell’interesse pubblico che il
legislatore vuole venga curato attraverso l'esercizio di quel
determinato potere amministrativo. Semmai occorre vietare che il
provvedimento amministrativo, o la deliberazione dell’organo
collegiale amministrativo, vengano prese da persone che, pur
competenti ad adottare l’atto, hanno però nel singolo caso un loro
interesse personale che potrebbe portarli a prendere decisioni
influenzate dall’interesse privato: da qui l’obbligo di astensione e le
vecchie norme penali sull’interesse privato in atti d’ufficio come c.d.
reato ‘di pericolo’.
Nozioni tradizionali di baseDiritto Soggettivo si intende la posizione in cui si viene a trovare il soggetto al cui interesse l’ordinamento giuridico accorda una protezione incondizionata e diretta mediante il riconoscimento di poteri e facoltà.
L’interesse legittimo si riferisce ai rapporti tra privati e pubblica amministrazione. Si ha tale situazione giuridica soggettiva quando il privato vanta un interesse differenziato rispetto al comune cittadino e rilevante a che l’Amministrazione svolga la sua attività in maniera conforme alla legge. L’interesse legittimo, quindi, si può definire come l’interesse all’osservanza di una norma posta a fini pubblici da parte di un soggetto che rispetto ad essa si trovi in una situazione particolare e specifica che lo differenzia dal comune cittadino.
Principio di legalità, indica la soggezione degli organi amministrativi alla legge; corollario: tipicità dei provvedimenti amministrativi. L’Amministrazione può esercitare solo i poteri autoritativi attribuiti dalla legge e, conseguentemente, può emanare soltanto i provvedimenti amministrativi tassativamente previsti dalla legge: art. 97 Cost..
Principio di imparzialità, obbligo di agire al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obbiettivate dall’ordinamento: art. 97 Cost..
Principio di buon andamento, obbligo di operare in modo diligente ed appropriato alla professionalità richiesta alla p.a.: art. 97 Cost..
Atto amministrativo, si intendono tutti gli atti di natura pubblicistica (cioè, non espressione della capacità giuridica di diritto privato) posti in essere
16
dall’Amministrazione pubblica, con esclusione degli atti aventi forza di legge del Governo.
Provvedimento amministrativo, è l’atto finale del procedimento amministrativo con il quale l’Amministrazione incide sulle situazioni giuridiche dei privati modificandole unilateralmente. Esecutività del provvedimento amministrativo: esprime l’idoneità del provvedimento amministrativo, a prescindere dalla sua legittimità, a produrre automaticamente e immediatamente i propri effetti. Esecutorietà del provvedimento amministrativo: esprime il potere dell’Amministrazione, quando l’esecuzione del provvedimento richieda la partecipazione del privato, di imporre coattivamente l’esecuzione senza ricorrere all’Autorità giudiziaria.
Atto amministrativo vincolato, esercizio di un potere amministrativo vincolato, si ha quando l’atto è totalmente predeterminato dalla legge, per cui l’Amministrazione non deve esercitare alcuna valutazione degli interessi in giuoco, ma solo accertare la sussistenza o meno dei presupposti indicati dalla legge per l’emanazione dell’atto e la fissazione del suo contenuto.
Atto amministrativo discrezionale, esercizio del potere amministrativo discrezionale, si ha quando l’atto non è totalmente predeterminato dalla legge, ma la legge attribuisce alla Amministrazione il potere dovere di effettuare alcune scelte e valutazioni per concretizzare la migliore cura dell’interesse pubblico da perseguire (così si può avere una discrezionalità nell’an, nel quid, nel quando, nel quomodo ecc.), N.B.: gli atti amministrativi, anche quelli discrezionali, sono sempre vincolati sotto i profili: a) dell’organo competente ad adottarli e b) del fine pubblico da perseguire. In altre parole, il potere amministrativo discrezionale è sempre vincolato nel soggetto competente ad esercitarlo e nel fine pubblico per cui il potere stesso viene attribuito.
Per discrezionalità amministrativa, si intende la ponderazione comparativa di più interessi secondari (pubblici e privati) in ordine ad un interesse pubblico primario, costituito dall’interesse pubblico per la cui tutela è stato attribuito il potere amministrativo che si sta esercitando. N.B. la presenza del vincolo del fine non consente alla P.A. di trasformare il potere discrezionale in un potere esercitabile in modo pienamente libero. Attraverso l’accertamento di eventuali vizi di eccesso di potere è possibile sindacare la discrezionalità amministrativa individuando le ipotesi di violazione di legge.
Merito, è concetto legato alla discrezionalità amministrativa, e si può definire come quello spazio di agire libero che residua dopo l’applicazione delle regole della discrezionalità amministrativa. Si risolve in un giudizio di opportunità.
La discrezionalità amministrativa e il merito amministrativo non vanno confusi con la Discrezionalità tecnica, che si può definire un giudizio a
17
contenuto scientifico, e cioè che richiede l’applicazione di regole scientifiche di scienze c.d. “non esatte”. Si risolve in un giudizio scientifico opinabile.
Accertamento tecnico, quando il giudizio a contenuto tecnico-scientifico, si fonda sull’applicazione di c.d. “scienze esatte”. Si risolve quindi in un giudizio scientifico che, essendo possibile verificare e ripetere, può essere corretto o scorretto, ma che non è opinabile.
I vizi di legittimità sono vizi che denunziano la non conformità dell’atto amministrativo al diritto positivo (legge, regolamento ecc.). Si distinguono tre tipi di vizi di legittimità:
- l’incompetenza, violazione delle norme sulla competenza;- l’eccesso di potere, tipico vizio della discrezionalità
amministrativa. La formula “eccesso di potere” ricomprende varie figure sintomatiche che rivelano, sia pure in via indiziaria (l’unica percorribile se non si vuole entrare nel merito della decisione presa dalla P.A.), la presenza di una violazione delle norme che regolano il potere amministrativo nella parte in cui stabiliscono la funzione amministrativa, ovvero il fine pubblico da perseguire nell’esercizio della discrezionalità amministrativa: es. difetto di motivazione; carenza di istruttoria; contraddittorietà, ingiustificata disparità di trattamento ecc.. In tutti questi casi appare viziato, non ricostruibile o incoerente l’iter logico seguito dalla P.A. per pervenire all’adozione del provvedimento e, quindi, per esercitare la discrezionalità amministrativa in modo conforme alle finalità della legge;
- la violazione di legge, figura residuale, cui si riconducono tutte le altre violazioni delle diverse prescrizioni contenute in disposizioni di legge disciplinanti il procedimento o l’atto amministrativo: ad esempio violazione delle norme che impongono una determinata forma, il rispetto di un termine, l’obbligo di acquisire un parere ecc..
Vizi di merito sono quei vizi che, senza mettere in discussione la conformità o meno alla legge di un atto amministrativo, denunziano l’inopportunità del contenuto dell’atto amministrativo, sindacandolo attraverso un riesame dello stesso.
18
B. ORGANIZZAZIONE.
1. L’Amministrazione viene tradizionalmente suddistinta in
Amministrazione attiva, consultiva e di controllo. Vi è una prevalenza
degli organi monocratici nell’amministrazione attiva, e degli organi
collegiali nell’amministrazione consultiva e di controllo.
Nell’amministrazione attiva, infatti, il carattere monocratico degli
organi e il principio della gerarchia consente una migliore
individuazione delle responsabilità e una più fedele esecuzione degli
atti amministrativi lungo la linea gerarchica che dal Ministro arriva
all’impiegato con mansioni meramente esecutive, passando per i
funzionari di diverso grado.
Nell’amministrazione consultiva e di controllo, invece, è minore il
problema della individuazione delle responsabilità (che restano in capo
agli organi di amministrazione attiva) e la struttura collegiale consente
una migliore ponderazione dell’attività ausiliaria per garantire la
regolarità dell’azione amministrativa. L’attività consultiva, nella
disciplina dell’organizzazione pubblica, è costituita da pareri tecnici e
pareri giuridici. (pareri amministrativi) I primi garantiscono
l’osservanza delle regole scientifiche, i secondi l’esatta interpretazione
delle leggi da applicare, riducendo così il più possibile gli spazi lasciati
aperti dalla legge. Accanto ai pareri facoltativi, che non sono previsti
dalla legge ma l’amministrazione può richiedere ove li ritenga utili,
sono presenti nella legislazione i pareri obbligatori, di cui la legge
impone l’acquisizione nell’ambito del singolo procedimento ed anche
casi di pareri vincolanti e semivincolanti, che, cioè, oltre a dovere
essere acquisiti, devono essere anche obbligatoriamente seguiti
(vincolanti), ovvero richiedono che la P.A. adotti particolari procedure
aggravate per discostarsi dagli stessi.
La presenza di pareri nei procedimenti serve a garantire la corretta
applicazione della legge, non solo quando si tratta di pareri
amministrativi, ma anche quando si tratta di pareri tecnici, poiché anche
questi ultimi, attraverso la corretta applicazione delle regole tecniche,
contribuiscono a rendere il più possibile conforme alla legge l’atto
19
amministrativo. Si tratta, infatti, di conformarsi alle prescrizioni
tecniche dettate dalla legge, accertando la sussistenza dei presupposti
tecnici da essa stabiliti per l’esercizio del potere (c.d. accertamento
tecnico), ovvero esercitando correttamente la c.d. discrezionalità
tecnica, quando la legge impone l’applicazione di scienze “non esatte”.
L’attività di controllo, almeno fino alla riforma del1994, è soprattutto
giuridica (conformità dell’atto alla legge). E’ significativo che nella
Costituzione del 1948 trova posto una norma (art. 100 Cost.) che
conferisce rilevanza costituzionale a due organi ausiliari del Governo,
di antica tradizione: il Consiglio di Stato in sede consultiva, “...organo
di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia
nell’amministrazione”; e la Corte dei Conti in sede di controllo, cui
viene attribuito il controllo preventivo di legittimità sugli atti del
Governo e quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato
(intesa come controllo della conformità alla legge di tale gestione: la
parificazione del bilancio dello Stato). Il collegamento operato dall’art.
100 dell’attività consultiva giuridico-amministrativa del Consiglio di
Stato alla finalità della “tutela della giustizia nell’amministrazione”,
rivela il legame esistente tra l’attività consultiva voluta dal Costituente e
la garanzia del cittadino. La previsione (vedi art. 100, ultimo comma)
della indipendenza sia del Consiglio di Stato che della Corte dei conti di
fronte al Governo, serve a perfezionare il meccanismo tradizionale,
garantendo al massimo il cittadino da eventuali deviazioni
dell’amministrazione attiva dalla corretta applicazione della legge.
2. L’antica distinzione tra amministrazione ‘diretta’ ed amministrazione
‘indiretta’ dello Stato, costituisce una valida “chiave” per intendere il
modo di concepire l’unità dello Stato nel rapporto Stato-società, almeno
fino agli anni cinquanta.
L’Amministrazione diretta dello Stato è composta dagli uffici
centrali, aventi sede nella Capitale e, quindi, dagli uffici periferici.
I) Uffici centrali: Ministeri. Organizzazione piramidale: Il Ministro è
l'organo esterno e di vertice; Gli uffici sono articolati in direzioni
20
generali, divisioni, sezioni, cui si aggiungono organi collegiali interni a
carattere tecnico-consultivo.
II) Uffici periferici: Prefetture; Provveditorati; il Sindaco quale
Ufficiale di governo. Il Sindaco, in questo modo, viene ad assumere la
figura di organo dell’amministrazione statale, accanto a quella “storica”
di vertice dell’amministrazione comunale. Rilevanza di quest’ultima
previsione per assicurare una diretta e capillare presenza
dell’Amministrazione statale (centrale) in tutti i comuni d’Italia.
L’Amministrazione indiretta dello Stato è, invece, composta dagli
enti autarchici territoriali e dagli altri enti pubblici minori istituiti per la
cura di specifici fini pubblici.
Significativa è la definizione di amministrazione indiretta data da
Santi Romano: “…consistente nell’amministrazione di enti, dotati di
personalità propria, che esplicano la loro attività primieramente nel
proprio interesse e, secondariamente, nell’interesse dello Stato che
coincide col loro e non se ne distingue. Così questi enti (il comune, la
provincia, le istituzioni di pubblica beneficenza, ecc.) che diconsi
<<autarchici>>, possono considerarsi organi dell’amministrazione
indiretta dello Stato” (Diritto amministrativo, III ed., Milano 1912, pag.
78).
Peraltro l'attività amministrativa viene qualificata come attività di
“polizia”, nel senso che si tratta di intervenire nei vari settori della vita
sociale, anche per mezzo di limitazioni all’attività privata, con
provvedimenti amministrativi autoritari (gli “ordini”), esclusivamente al
fine di prevenire i danni o i pericoli sociali che da queste attività
possano derivare.
La rivoluzione industriale, però, come si è detto, porta profondi
cambiamenti nelle esigenze della società, ampliando i compiti dello
Stato.
Così Santi Romano, nel citato manuale di diritto amministrativo del
1912, fa rientrare tra le attività di “polizia industriale” norme che in
realtà sempre più interferiscono nei rapporti interprivati e che si
rivolgono, più che all’individuo in generale, al lavoratore operaio. Vedi
21
in questo senso le norme in materia: di lavoro dei fanciulli e delle
donne; di lavoro notturno e riposo settimanale; di prevenzione degli
infortuni per talune imprese pericolose; di assicurazione degli operai
contro gli infortuni.
3. L’azione dello Stato a mezzo dei “concessionari di servizi
pubblici”. All’inizio del novecento viene elaborata la teoria dei c.d.
servizi pubblici cui si ricollegano le c.d. “concessioni di servizi
pubblici”. E’ una formula per assorbire il fenomeno della
moltiplicazione dell’ingerenza dello Stato nei settori teoricamente
assegnati al diritto privato. Per restare a Santi Romano e al suo manuale
del 1912, egli indica come concessioni di pubblici servizi attività tra
loro molto diverse per natura (almeno ai nostri occhi): i servizi di
trasporto, in particolare le ferrovie; la funzione di emissione dei biglietti
e il servizio di tesoreria, definiti come servizi svolti dalla Banca d’Italia
quale istituto commerciale, ed esercitati sotto il controllo del Min.
Finanze. Quindi, illustrando le limitazioni all’attività privata da parte
dello Stato, l’Autore precisa che non tutte le limitazioni si fermano a
dettare limiti di polizia mantenendo l’attività stessa in capo al privato,
poiché “…altre volte tutto un intero ramo di attività viene interdetto ai
privati e riservato agli enti pubblici o ai loro concessionari, non già per
prevenire mali futuri, nel senso stretto della parola, ma per la migliore
organizzazione di un pubblico servizio (imprese pubbliche) o anche per
iscopi finanziari (privative fiscali).” E ciò pur essendo “attività che, per
loro natura, potrebbero anche esercitarsi da privati”.
Oreste Ranelletti, in quegli anni, estende il concetto di attività pubblica
ad ogni attività dello Stato, si manifesti essa in forma coercitiva per atti
autoritari (d’imperio), ovvero nella “…prestazione di beni e servigi che
lo Stato o altri per esso faccia a favore del pubblico, per provvedere
all’assistenza o assicurare la conservazione e favorire e promuovere lo
sviluppo progressivo del benessere sociale, quando nell’interesse
generale e anche in quello individuale lo Stato creda di dovere rendere
obbligatorio e imporre all’individuo di valersi ed avvantaggiarsi di
22
taluni beni e servigi (es. istruzione obbligatoria, vaccinazione)….
[ovvero] quando nella prestazione o produzione di beni e servigi si
attribuisce un privilegio giuridico ad esempio assumendo quelle
funzioni in condizioni di monopolio per scopi finanziari … o per scopi
sociali, cioè per soddisfare meglio interessi collettivi popolari,
limitando per tal modo con un proprio atto di volontà la libertà
industriale degli altri subbietti … [ovvero] in tutta la sua azione di
aiuto dell’attività privata, di assistenza e produzione e prestazione di
quei beni e servigi, [in cui] lo Stato non si manifesta più nel suo potere
d’impero, ma solo come forza benefica che pone a disposizione della
società i suoi poderosi mezzi, di cui dispone, rimanendo ciascuno libero
di valersene o meno” (Principii di diritto amministrativo, Napoli 1912,
p.380-381). Da qui la definizione più diffusa secondo la quale è detto
servizio pubblico ogni attività di produzione di servizi, volta a
soddisfare bisogni di interesse generale, attribuita dalla legge in
titolarità ad un apparato pubblico e sottoposta ad un regime giuridico
derogatorio rispetto al regime giuridico privatistico (idest sottoposta ad
un regime giuridico amministrativo).
4. “Amministrazioni ed aziende autonome dello Stato”. La
concessione del servizio pubblico ai privati, da un punto di vista
organizzativo, serve alla P.A. per trasferire alla gestione del privato
imprenditore compiti che essa sente come propri (e dei quali quindi si
riserva la titolarità), ma per il cui esercizio (gestione) non si sente
adeguatamente attrezzata. Per esercitare servizi pubblici si sono
ricercati, tuttavia, anche altri modelli organizzativi. Dopo alcune isolate
esperienze del primo novecento di “società miste”, cioè s.p.a. a capitale
pubblico e privato, in seno alle quali la presenza di soci privati accanto
al socio pubblica amministrazione consentiva una collaborazione tra
controllo pubblico avente di mira l’interesse generale e capacità
imprenditoriali private, si è fatto strada, sia a livello comunale che a
livello statale, un modello organizzativo pubblicistico caratterizzato da
deroghe all’ordinario regime amministrativo aventi lo scopo di rendere
23
possibile l’esercizio da parte della P.A. dei nuovi compiti richiedenti
non già la “produzione” di provvedimenti amministrativi, ma di beni e
servizi. In sostanza, salvo il caso di servizi pubblici minori a basso
impegno gestionale, che venivano svolti direttamente
dall’Amministrazione attraverso i suoi ordinari uffici, si è ricorso al
modello delle “Amministrazioni ed aziende autonome dello Stato”.
Questi ultimi sono organi della persona giuridica Stato dotati di
particolari autonomie, legati ad un ministero (es.: Min. Trasporti per
l’Azienda Ferrovie dello Stato) e caratterizzati appunto da più o meno
estese deroghe alle ordinarie norme disciplinanti l’organizzazione
ministeriale (in questo consistono le “autonomie”), giustificate dalla
peculiarità dei compiti esercitati. A tale modello, a livello locale, faceva
riscontro l'Azienda municipale, organo autonomo del Comune per la
gestione di un servizio pubblico locale.
5. La proliferazione degli enti pubblici. Nel corso del novecento, il
modello dell’ente autarchico istituzionale ha un grande sviluppo, per la
sua idoneità a rispondere ai nuovi compiti che lo Stato assume. L’ente
pubblico funzionale è una persona giuridica pubblica, a disciplina
singola (esempio INA) o di gruppo (es. Camere di Commercio), istituita
dallo Stato per il perseguimento di un determinato fine pubblico, che
viene legislativamente disciplinato in modo da dotarlo di una
organizzazione mirata al compito da perseguire.
L’uso di tale strumento, avente una personalità giuridica e, quindi, una
soggettività diversa da quella dello Stato, almeno in via astratta, non
intacca la ricostruzione concettuale della garanzia del cittadino nei
confronti dell’Autorità pubblica data dal legame Governo-Parlamento-
cittadini, perché il collegamento con il potere esecutivo-Governo è
assicurato sotto molteplici profili: a) gli amministratori dell’ente
pubblico funzionale (detto anche “istituzionale”, ovvero “parastatale”)
sono nominati dal Governo; b) l’ente è sottoposto alla vigilanza di un
Ministero (quello competente per settore) che approva gli atti di
maggiore importanza ed il bilancio; c) i poteri esercitati dall’ente
24
pubblico funzionale sono poteri amministrativi e gli atti adottati sono
sottoposti al regime del diritto amministrativo; d) il personale dell’ente
è legato ad un rapporto di pubblico impiego privatizzato, sia pure
disciplinato dalle norme istitutive dell’ente e dal regolamento del
personale adottato dall’ente stesso.
Come si è detto, il modello dell’ente pubblico istituzionale, sia
nazionale che locale, si espande grandemente nel corso del ‘900 almeno
fino all’avvento delle Regioni a statuto ordinario. Tale moltiplicazione
si accentua con il fascismo, periodo in cui non solo si creano nuovi enti
pubblici, ma si attribuisce personalità giuridica di diritto pubblico a
numerosi enti preesistenti aventi scopi di interesse collettivo. Il
fenomeno (delle cc.dd. “amministrazioni parallele” o anche degli “enti
parastatali”) continua con la Repubblica, almeno fino agli anni ’70 del
novecento (ed è ancor oggi diffuso: vedi art. 26 c.d. ‘Taglia-enti’ d.l.
112/2008). Una ricerca del Ciriec del 1972 aveva individuato l’esistenza
di circa 58.019 enti pubblici, suddivisi in 345 enti a disciplina singola e
62 gruppi di enti. Gli enti territoriali (regioni, province, comuni e
consorzi di comuni) erano 12.902; nella sanità operavano n. 1.343 enti;
nella previdenza sociale n. 8.676 enti; nella assistenza sociale n. 17.628
enti; nel credito n. 148 enti; nell’istruzione (esclusa l’assistenza
scolastica) n. 2.279 enti; nell’agricoltura n. 543 enti.
Solo con l’avvento delle Regioni ordinarie, come vedremo, si assiste ad
una certa riorganizzazione dell’amministrazione pubblica intorno alle
regioni e agli altri enti rappresentativi delle collettività locali.
6. Gli “enti pubblici economici”. A partire dal periodo fascista, al
modello degli “enti pubblici istituzionali” sopra descritto si aggiunge
quello dei c.d. “enti pubblici economici”.
Lo sviluppo degli “enti pubblici economici” trae origine almeno da due
diverse vicende.
La prima vicenda si ricollega all’organizzazione fascista del lavoro. Il
personale di alcuni enti pubblici aventi carattere di impresa nel periodo
fascista viene inquadrato nel sistema corporativo e della magistratura
25
del lavoro, dando luogo ad un rapporto di lavoro identico a quello delle
imprese private. Dopo la caduta del fascismo e l’abolizione del sistema
corporativo, tuttavia tali enti, in considerazione della loro natura di
impresa operante in prevalenza mediante atti di diritto privato, hanno
mantenuto con il loro personale un rapporto di lavoro privato senza
tornare nell’ambito del pubblico impiego. Tali enti vengono così
denominati enti pubblici economici e restano nettamente distinti dagli
altri enti pubblici istituzionali.
La seconda vicenda è legata alla depressione degli anni ’30. In base alle
teorie economiche sul c.d. “salvataggio” delle imprese industriali,
elaborate già alla fine dell’800 a seguito del dibattito suscitato dalla
crisi bancaria del 1893-94 (vedi in particolare lo studio di Maffeo
Pantaleoni sulla Caduta della Società Generale di Credito Mobiliare
pubblicato nel Giornale degli Economisti del 1895), lo Stato durante la
“Grande depressione” intervenne massicciamente per salvare le banche
- e ,quindi, il sistema industriale. Tali interventi hanno portato
all’emanazione di una nuova disciplina del sistema creditizio, alla
istituzione dell’IMI – Istituto Mobiliare Italiano (che avrebbe dovuto
erogare crediti a medio lungo termine per risanare le società in crisi) e
dell’Istituto di liquidazione, poi trasfuso nell’IRI (Istituto di
Ricostruzione Industriale)
Nel dopoguerra il sistema ebbe nuovo impulso. All’IRI si aggiunse
l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi: l. 10.2.1953 n. 136), ed altri enti di
gestione, nonché si istituì il Ministero delle partecipazioni statali
(l.22.12.1956, n.1589) ed il Comitato interministeriale per le pp.ss.,
sottolineando in questo modo la dipendenza dal Governo del sistema
delle partecipazioni statali.
Sul versante delle imprese pubbliche è da ricordare, con l’avvento
politico dei governi di centro sinistra, la creazione del monopolio
elettrico, con la nazionalizzazione del settore e l’istituzione dell’ENEL,
ente pubblico economico (l. 6.12.1962, n.1643), come tale operante
mediante organizzazione, atti e personale di diritto privato.
26
L’ente pubblico economico, quindi, si distingue nettamente dall’ente
pubblico istituzionale, perché: ha una organizzazione interna di tipo
privatistico; ha un personale con rapporto di impiego non solo privato
ma legato ai contratti collettivi privati; esercita la propria attività
prevalentemente mediante la propria capacità di diritto privato e, cioè,
mediante atti privatistici e non poteri amministrativi. Esso, tuttavia, si
differenzia anche dalla persona giuridica privata perché, essendo un
ente pubblico, fa parte della Pubblica Amministrazione e, quindi, (a)
può essere titolare di potestà amministrative, (b) può essere oggetto di
normative ad hoc (sottrazione al principio di eguaglianza); (c) può
essere titolare di beni e servizi pubblici (e non mero gestore in
concessione degli stessi). Inoltre, in virtù della riserva di legge
sull’organizzazione pubblica dettata dall’art. 97 Cost, (d) deve essere
istituito per legge e, quindi, (e) può essere modificato e/o estinto solo
per legge.
C. PERSONALE. L’uguaglianza dei cittadini è espressa, nelle
dichiarazioni dei diritti dell’uomo, anche dal diritto di ogni cittadino ad
accedere alle carriere pubbliche in base alla capacità dimostrata (cfr.
l’art. 6 della Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino
del 26 agosto 1789, che afferma solennemente: “La legge è
l’espressione della volontà generale. … Tutti i cittadini essendo uguali
ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed
impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione che
quella delle loro virtù e dei loro talenti.”).
Come la disciplina dell’atto e quella dell’organizzazione per ministeri e
per enti pubblici, anche la disciplina del personale, come si è detto,
deve contribuire a raggiungere lo scopo di garantire la libertà del
cittadino nei riguardi dell’autorità dello Stato, concorrendo a far sì che
le scelte politiche contenute nelle leggi siano pienamente realizzate
dall’Amministrazione pubblica. La legislazione sul personale viene
affinandosi nel corso dell’ottocento e di gran parte del novecento,
27
agendo su due “fronti”: a) operando in modo da garantire la
professionalità e la competenza del personale; b) realizzando uno
“statuto” degli impiegati dello Stato che garantisca l’esatta esecuzione
delle disposizioni del personale politico posto al vertice dei ministeri da
parte del personale burocratico, ma con modalità tali da porre il
pubblico funzionario nella condizione di potere resistere alle eventuali
“pressioni” dei vertici politici che, per motivi di partito e/o elettorali,
mirassero a forzare l’attività burocratica allontanandola dai binari della
legittimità (intesa come conformità alla legge).
Si crea a tal fine un rapporto di pubblico impiego nettamente distinto
dall’impiego privato. La scelta della carriera burocratica normalmente
dà luogo ad una vita di lavoro che inizia nella P.A. e si conclude nella
P.A. al momento del collocamento a riposo per limiti di età.
Nasce una burocrazia professionale con caratteristiche e regole proprie.
Le competenze decisionali spettano al Ministro, coadiuvato dai
Sottosegretari di Stato (personale politico), ma è la burocrazia ad
istruire in modo professionale e tecnico i singoli provvedimenti,
applicando le leggi (personale amministrativo) e le regole scientifiche
(personale tecnico), al servizio esclusivo dello Stato ai sensi dell’art. 98
Cost. (per cui il pubblico impiegato gode di uno “statuto” che lo
protegge nella sua attività di imparziale e professionale applicazione
della legge dagli eventuali abusi del personale politico, fino alla
possibilità di esigere l’<<ordine scritto>>, ovvero all’obbligo di opporsi
anche ad un simile ordine se contro lo Stato). Per il pubblico impiegato
tale lavoro costituisce la sua sola o principale occupazione. E’ la c.d.
“burocrazia razionale” del modello Weberiano.
La Costituzione (artt. 97 e 98) porta a compimento tale processo
stabilendo una riserva di legge in materia di pubblici uffici ed
aggiungendo che la legge, a sua volta, deve stabilire un ordinamento
degli uffici che determini le sfere di competenza, le attribuzioni e le
responsabilità proprie dei funzionari. La Costituzione inoltre, sempre
all’art. 97, prevede l’accesso al pubblico impiego mediante concorso e,
28
all’art. 98, proclama solennemente che “…i pubblici impiegati sono al
servizio esclusivo della Nazione”.
La disciplina del pubblico impiegato è quindi dettata non già dal
Governo alle cui dipendenze esso lavora, o dalla contrattazione
collettiva, ma dal Parlamento mediante l’emanazione delle leggi sul
pubblico impiego.
Lo statuto degli impiegati civili dello Stato, dettato per legge, segue
regole che consentono, almeno in linea astratta, di raggiungere gli scopi
di garanzia della legalità che si sono sopra indicati: a) la scelta avviene
mediante pubblico concorso, e, quindi, in base alla qualificazione
professionale; b) la nomina è un atto amministrativo unilaterale che
autoritativamente instaura il rapporto di pubblico impiego; c) si entra
nella carriera burocratica dal primo gradino, per poi percorrere tutti i
successivi gradini, in base ad un rigido sistema di avanzamento, basato
su anzianità ed esami; d) la legge detta una minuziosa regolamentazione
dei fatti modificativi del rapporto (aspettative, congedi, comandi,
distacchi, missioni); e) la legge predetermina rigidamente le qualifiche,
le competenze ed i posti in organico; f) la legge detta un complesso e
minuzioso procedimento disciplinare, che ha lo scopo di garantire il
funzionario da “sanzioni” provocate non già dalla violazione di doveri
di ufficio, ma da sue legittime “resistenze” ad eventuali “pretese” del
vertice politico non corrispondenti alle leggi che disciplinano l’azione
amministrativa; g) vi è una rigida predeterminazione dei fatti estintivi
del rapporto (età, destituzione, dimissioni, incapacità fisica); h) le
retribuzioni sono fissate per legge, per evitare favoritismi.
Accanto e in aggiunta alla responsabilità penale e civile, viene prevista
una responsabilità amministrativa del pubblico funzionario, con un
giudice ad hoc, la Corte dei Conti. Della responsabilità amministrativa
risponde l’impiegato che, violando colpevolmente le leggi, abbia
provocato un danno allo Stato (ad esempio ponendo in essere un atto
amministrativo non corrispondente alle norme che lo regolano). Tale
responsabilità si estende agli amministratori pubblici. Del danno
erariale, fino alla riforma del 1994, rispondevano sempre anche gli eredi
29
dell’impiegato defunto. La Costituzione del 1948 completa tale disegno
normativo sancendo, all’art. 28, che i funzionari e i dipendenti dello
Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le
leggi penali, civili e amministrative degli atti compiuti in violazioni di
diritti. L’art. 103 attribuisce alla Corte dei Conti la giurisdizione nelle
materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge.
Come vedremo, il personale a tutt’oggi retto da un rapporto di pubblico
impiego, cioè con un rapporto di lavoro a regime di diritto pubblico
sottoposto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, è
ormai marginale (magistrati, avvocati dello Stato, professori
universitari, personale militare e della polizia di Stato, personale della
carriera diplomatica e della carriera prefettizia ecc.), mentre il modello
generale, ad opera della c.d. privatizzazione del pubblico impiego, è
oggi costituito dal rapporto di lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche, disciplinato dal codice civile e dalle leggi
sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa e sottoposto alla
giurisdizione del giudice ordinario (il giudice del lavoro), ma a
differenziare il mondo del lavoro pubblico rispetto al lavoro privato
resta la disciplina speciale dettata dal d.lgs. 30.3.2001, n. 165 e succ.
mod., la disciplina pubblicistica dei concorsi per l’accesso all’impiego,
sottoposta alla giurisdizione del giudice amministrativo, nonché la
responsabilità amministrativa attribuita alla giurisdizione della Corte
dei Conti. Inoltre è ancora molto limitata la mobilità tra lavoro alle
dipendenze delle imprese private e lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche; ancor oggi la carriera burocratica
generalmente si presenta alternativa al lavoro nel privato.
D. MEZZI FINANZIARI. Anche la disciplina dei mezzi finanziari e
dell’azione contabile della P.A. è strettamente ispirata al raggiungimento
dell’obiettivo finale di garantire la libertà del cittadino, legando l’azione
autoritaria dello Stato alle scelte volute dalla maggioranza dei cittadini
stessi, espresse attraverso l’organo rappresentativo del popolo, il
Parlamento. Il bilancio dello Stato è diretto da una autorità (il
30
Parlamento, come organo di indirizzo politico) ad altra autorità (il
Governo, come organo espressione della maggioranza formatasi in
Parlamento, cui spetta portare ad attuazione l’indirizzo politico
formatosi in Parlamento) per disciplinare l’attività di gestione svolta da
quest’ultima, attraverso la legge di bilancio.
La legge che approva il bilancio preventivo (art. 81 Cost.) è atto
insieme approvativo, confermativo, autorizzativo ed impositivo di
limiti, poiché con l’approvazione di questo fondamentale documento di
politica generale e particolare dello Stato, correlata al sacrificio sociale,
il Parlamento autorizza l’esercizio di potestà (tributi) o impone
l’adempimento di doveri giuridici da parte della P.A. per il
perseguimento degli scopi menzionati nel bilancio, entro l'anno
finanziario.
La garanzia del cittadino nei confronti del potere autoritario dello Stato
viene sotto l’aspetto contabile assicurata non solo dalla disciplina del
bilancio preventivo, ma anche attraverso una rigorosa regolamentazione
di ogni fase della spesa pubblica, ispirata a garantire il cittadino che la
spesa (e, quindi, il concreto operare dell’Esecutivo attraverso
l’Amministrazione) non si discosti dagli obbiettivi fissati dalla legge di
bilancio.
La Corte dei Conti, quale organo tecnico-giuridico indipendente dal
Governo e dal Parlamento che funge da cerniera tra potere legislativo e
potere esecutivo, parifica (cioè dichiara <<conforme alle proprie
scritture >>) il rendiconto generale dello Stato. La parificazione,
operata solennemente e con le forme giurisdizionali per sottolineare il
suo valore di garanzia della legalità dell’azione amministrativa, chiude
il sistema di rigorosa verifica della rispondenza dell’operato delle
PP.AA. alla legge di bilancio e, quindi, dell’uso del potere
amministrativo – per natura autoritario – in modo corrispondente alla
volontà della maggioranza dei cittadini, quale consacrata nella legge,
secondo i descritti meccanismi del livello “politico-costituzionale”. La
parificazione è accompagnata, ai sensi dell’art. 100 Cost., da una
relazione della Corte dei conti al Parlamento sul risultato del riscontro
31
eseguito, nella quale la Corte deve esporre le ragioni per le quali, in
sede di controllo, ha apposto con riserva il suo visto agli atti
amministrativi, nonché tutte le sue osservazioni sull’azione
amministrativa.
Successivamente, la Ragioneria generale dello Stato predispone lo
schema di disegno di legge di approvazione del bilancio consuntivo
che, secondo la procedura dei disegni di legge governativi, viene
presentato al Parlamento ed approvato con legge (anche in questo caso
con procedura ordinaria ex art. 72, ult. comma, Cost.).
32
PARTE SECONDA
Il MODELLO ATTUALE E LA SUA PIÙ RECENTE
EVOLUZIONE.
5. Il nuovo rapporto tra Società e Diritto.
Se, come si è detto (par.1), ogni società tende ad esprimere un diritto
che risponde al suo modo d’essere ed ai suoi bisogni, allora dobbiamo
interrogarci su quanto siano cambiati il modo d’essere della attuale società
italiana e i suoi bisogni rispetto a quelli da cui siamo partiti per tentare di
cogliere le radici e le ragioni del modello amministrativo italiano.
Da una società chiusa, con una popolazione giovane interessata dal
fenomeno dell’emigrazione (nel corso del novecento milioni sono gli italiani
emigrati all’estero, i più analfabeti, per sfuggire alla fame, e non solo dal
sud ma anche dal nord Italia verso le Americhe come anche gli altri paesi
europei; ancora nel secondo dopoguerra l’Italia, in base ad accordi con il
Governo belga, inviava migranti in Belgio per lavorare nelle miniere più
pericolose e degradanti in cambio della fornitura di carbone), si è passati ad
una società di anziani, esposta all’immigrazione non solo dai paesi
comunitari dell’Est Europa, ma dall’Africa e dall’Asia, con conseguenze
sulla eterogeneità delle etnie, dei costumi, delle culture, delle religioni
(l’Islam si appresta ad essere la seconda religione più diffusa, dopo la
Cattolica romana).
Ma lo stesso fenomeno, anche in forme più acute, coinvolge tutti gli
altri aspetti sociali, economici e commerciali della società d’oggi. Per
rendersene conto propongo un esempio: si pensi per un momento agli
oggetti di uso comune con i quali ciascuno di noi giornalmente ha a che
fare, al modo di vestire, di mangiare, di comunicare, di viaggiare… e lo si
raffronti idealmente con i nostri nonni o bisnonni, anche solo di settant’anni
fa. Tornando a settant’anni addietro, saremmo abbigliati con vestiti fatti in
casa o da sarti e sartine locali; solo i modelli e/o i tessuti delle classi sociali
più abbienti, forse, provenivano dall’estero, da Parigi. Oggi, quanti di noi
hanno anche solo un maglione fatto in casa? Guardate le etichette dei vostri
33
abiti e dei vostri maglioni… . Ieri la pizza napoletana a Brescia o ad
Agrigento era introvabile o del tutto esotica; oggi, come le pizzerie italiane
(o all’italiana) investono il mondo, i cibi del mondo investono l’Italia, dai
ristoranti cinesi al kebab. Dalle interurbane tramite centralino si è passati ai
cellulari triband, ad internet, a Facebook , agli iPod, …. Ieri i treni potevano
avere scartamenti diversi anche per motivi di difesa nazionale, senza
compromettere il commercio; oggi gli aerei non potrebbero volare se non vi
fosse una normativa mondiale che disciplini tutto quanto ruota attorno ai
viaggi aerei: dalle regole sugli aeromobili a quelle sul personale di volo,
dalle norme sulla meteorologia a quelle sui passaporti. Il numero di italiani
che oggi va all’estero per motivi non legati alla necessità di emigrare non è
comparabile con quello dei nostri nonni. Ancora negli anni trenta del
novecento, molti degli abitanti dei paesini rurali posti a pochi chilometri da
Roma non solo non avevano mai visitato altre regioni d’Italia, ma spesso
non erano stati neppure a Roma e tanto meno intrattenevano rapporti con
cittadini di altre nazioni; oggi possiamo con buona ragione parlare di
‘villaggio globale’ e le nuove generazioni non solo viaggiano, ma
intrattengono rapporti con giovani di tutto il mondo sia di persona che via
internet.
Tutte queste trasformazioni non sono senza conseguenze sul diritto,
innanzi tutto perché modificano i rapporti tradizionali tra diritto statale e
diritto internazionale e rendono utopico considerare il diritto in generale, e il
diritto amministrativo in particolare, come espressione dell’ordinamento
giuridico statale, inteso come ordinamento realmente ed effettivamente in
grado di imporsi come originario, indipendente e sovrano.
La globalità indebolisce e, comunque, trasforma il ruolo dello Stato
amministratore, come anche legislatore, sia verso l’alto, moltiplicandosi i
casi in cui l’ambito territoriale nazionale non è ottimale e deve cedere il
passo alla dimensione europea o mondiale, sia verso il basso, poiché di
riflesso si accentuano, non solo in Italia, le istanze locali, il che comporta
non indifferenti problemi in particolare per l’Italia che ha migliaia di
comuni e un numero di regioni ben più numeroso rispetto a molti altri Stati
europei, anche in relazione alla sua superficie.
34
Dallo Stato unitario del quale abbiamo celebrato i centocinquanta anni
e, poi, dalla Repubblica Italiana della Costituzione del 1948 ,“una e
indivisibile” che riconosce al proprio interno le autonomie locali e le
promuove, sia a livello comunale che regionale, come sua componente e
caratteristica, non è ancora chiaro se si stia passando ad una Italia federale1,
dove, per definizione, la solidarietà nazionale non può che presentarsi come
‘in seconda battuta’ rispetto alla solidarietà comunale e regionale, in un
contesto nel quale l’assetto legislativo e amministrativo che sembra tendere
ad imporsi su tutti – sullo Stato come sulle Regioni – è frutto piuttosto di
decisioni espresse da poteri comunitari e/o transazionali, cui lo Stato e le
Regioni possono partecipare ma difficilmente condizionare.
Le nuove caratteristiche della attuale società italiana, dunque,
sembrano non consentire agli individui che la compongono di attribuire allo
Stato, né ad alcun altra Autorità (o Istituzione), la capacità di esprimere la
società nel suo complesso. Se nessuna istituzione rappresenta per intero una
siffatta società, nessuna istituzione può vedersi da essa attribuito il
monopolio del diritto. Ne consegue che una siffatta società si trova ad avere
una pluralità di referenti “pubblici” che si integrano tra loro, ma nessuno dei
quali può assumere una posizione monopolizzante e totalizzante. Pertanto
tali “referenti pubblici” (compreso il referente Stato) sono necessariamente
portati ad essere aperti all’applicazione di regole giuridiche di diversa
provenienza.
Il diritto di una siffatta società non necessariamente deve essere
prodotto da una Istituzione, più o meno estesamente articolata al suo
interno, ma può essere prodotto da più strutture, tra loro diverse per origine
1 È da capire se si sia o meno di fronte ad un uso improprio del termine (federalismo amministrativo, federalismo fiscale ecc.) da parte del dibattito politico, che ha influenzato anche i giuristi (molti dei quali, non a caso, mettono il termine tra virgolette), ma che non intende trasformare l’Italia da stato unitario a stato federale, bensì mira ad introdurre riforme amministrative pienamente conformi al modello giuridico costituzionale delle autonomie locali iscritte in una Repubblica Italiana “una e indivisibile” (art. 5 Cost.). Va a tal riguardo osservato che, almeno fino ad oggi, anche dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, nel testo costituzionale mai si utilizzano termini come ‘federale’, ‘federalismo’ ecc. e l’autonomia finanziaria di cui all’art. 119 Cost. - e le norme attuative della stessa che sono in itinere - non contrastano né contraddicono l’art. 5 Cost. .
35
storica, natura e caratteristiche, che operano in modo più o meno
indipendente (o interdipendente). Si può avvertire l’esigenza di norme che
non vengano prodotte da una Istituzione (sia essa l’UE, o le strutture
rappresentative dello Stato o delle Regioni) ma da altre entità aventi una
diversa legittimazione sociale (vedi le c.d. autorità indipendenti). Si
moltiplicano i soggetti che possono elaborare e curare gli interessi pubblici.
L’elaborazione delle scelte politiche, cioè delle scelte che coinvolgono la
società, è quanto mai varia e disaggregata.
Lo Stato oggi opera applicando norme giuridiche di diversa
provenienza e non solo, al suo interno, viene definitivamente a perdere
l’originaria organizzazione accentrata, ma, oltre a presentarsi come una
struttura disaggregata e policentrica, sembra ridursi ad una tra le molteplici
strutture della società italiana, non più esclusiva né totalizzante. Certamente
ancor oggi lo Stato (nel suo complesso) occupa nella società una posizione
centrale e preminente, ma tale posizione non è più esclusiva e, soprattutto,
non ha più alle sue spalle un comune sentire che vede nello Stato
l’ordinamento originario nel quale si risolve l’ordinamento giuridico della
società. Al contrario, anche lo Stato viene posto in discussione dalla società
civile e, come tutte le altre strutture della società attuale, si giustifica nella
sua esistenza e nelle sue dimensioni solo se e in quanto è avvertito come
utile per essa e, dunque, nella misura in cui è efficiente ed efficace
nell’assolvere ai ruoli che ad esso vengono demandati.2
La libertà dell’individuo è ancora oggi alla base della nostra società;
ma la libertà costituisce l’ambiente in cui le strutture pubbliche devono
operare, non il fine delle stesse; e la libertà dell’individuo, singolo o
associato, è garantita non soltanto dallo Stato e dal sistema organizzativo
che abbiamo descritto nelle precedenti lezioni, ma dall’insieme delle
strutture della società globale in cui si inscrive la società italiana. Non a caso
si assiste ad una profonda rielaborazione del diritto internazionale e vi sono
2 Si pensi allo sviluppo dei c.d. ADR (dall'acronimo inglese di Alternative Dispute Resolution) e cioè del ricorso a metodi alternativi di risoluzione delle controversie, in quanto ritenuti più rapidi e efficienti nel dare soluzioni accettabili in modo meno oneroso. E sempre sul piano politico-legislativo si rifletta sulla nuova attenzione data alla efficacia della regolamentazione.
36
organismi e giudici internazionali chiamati a dirimere non soltanto le
controversie tra Stati, ma a sindacare e sanzionare, su richiesta
dell’individuo, i comportamenti repressivi degli Stati nei riguardi dei loro
cittadini colpiti nelle libertà fondamentali. Come osservava Benedetto XVI
nella enciclica Caritas in veritate (cfr. par. n. 24): “Nella nostra epoca, lo
Stato si trova nella situazione di dover far fronte alle limitazioni che alla
sua sovranità frappone il nuovo contesto economico-commerciale e
finanziario internazionale, contraddistinto anche da una crescente mobilità
dei capitali finanziari e dei mezzi di produzione materiali ed immateriali.
Questo nuovo contesto ha modificato il potere politico degli Stati.”
Le autorità pubbliche (siano esse nazionali o locali) non sono viste
come l’ineliminabile “male minore” che gli individui devono subire per
rendere possibile l’ordinata esistenza della società civile, bensì sono
percepite come alcuni degli strumenti attraverso cui la società si realizza.
Lo Stato non ha più soltanto compiti autoritativi volti ad assicurare ai
privati il libero esercizio della loro capacità giuridica generale e, cioè, le
proprie attitudini ed aspirazioni in una società di uomini liberi, bensì, per la
società che in esso si riconosce, ha il compito di erogare beni e servizi che
sono determinanti per l’affermazione della società (nel nostro caso italiana)
nella competizione mondiale.
Il giudizio sulle strutture amministrative della Repubblica Italiana,
quindi, viene espresso sul parametro della efficienza e della efficacia. Esse
trovano legittimazione e giustificazione in tanto in quanto vengono
percepite come fattore di competitività e di sviluppo per il Paese.
Per questo diviene primario il principio dell’efficienza e dell’efficacia
di tali strutture. Non basta che queste strutture siano democratiche e che
agiscano in modo da garantire la libertà dell’individuo; esse, per giustificare
la loro presenza (e l’estensione della loro presenza), devono essere capaci di
dare risultati, cioè di concorrere utilmente allo sviluppo della società nel
suo complesso.
37
Le strutture che producono il diritto applicato dalla società e quelle
che si occupano di gestire tutte le funzioni necessarie per la vita della
società (dalla circolazione stradale alla giustizia) devono essere tra loro
coordinate ma non necessariamente rispondere ad un unico vertice. Esse,
tuttavia sono accomunate dal fatto di costituire le strutture della società
italiana come società aperta ed il suo diritto che, appunto per tale diversa
origine, non è più monopolizzato da un solo centro unitario di potere.
6. Il livello politico-amministrativo.
Indagare sulle conseguenze che da questa nuova realtà derivano nella
elaborazione del livello politico-costituzionale interno allo Stato italiano ci
porterebbe lontano dal nostro tema. Infatti una realtà ancora in fieri e così
articolata non consente un discorso unitario come quello che si è svolto con
riferimento al periodo storico precedente. Dobbiamo pertanto soffermare la
nostra attenzione sul livello politico amministrativo, per indicare alcune
riflessioni generali.
Si è già detto che, a causa dei mutamenti intervenuti nella società, il
modello di organizzazione amministrativa che sta nascendo appare fondato
su principi nuovi e diversi, sia rispetto alla parte della Costituzione del 1948
per così dire “tradizionalista” che a quella c.d. “innovativo-programmatica”.
Se non si è di fronte ad un modello che contrasta con la Costituzione, senza
dubbio si è di fronte ad un modello che va oltre la Costituzione. Sta di fatto
che la Costituzione, almeno in questa fase storica, sembra avere perso quel
ruolo di “bussola”, di “mappa” della società attuale, di strumento
interpretativo costituente la “chiave” di lettura, il punto di riferimento per la
ricostruzione del livello politico amministrativo.
In sostanza, i principi che stanno a fondamento del nuovo modello che
ogni giorno va costruendosi non sono contro la Costituzione del 1948 ma
certamente in molti casi non sono neppure nella Costituzione e non
traggono ispirazione ed alimento dalla Costituzione. Certo, le modifiche
apportate a cavallo del nuovo secolo ad alcuni articoli della Costituzione del
1948 e all’intero Titolo V della Parte II mirano a far riguadagnare alla Carta
Costituzionale il ruolo che si è appena descritto, ma, trattandosi di correttivi
38
parziali, non sembrano ad oggi riuscire a indicare un nuovo modello
complessivo sufficientemente chiaro, completo e coerente.
Comunque, seguendo le nuove indicazioni, la chiave interpretativa più
fruttuosa per cercare di decifrare e descrivere l’amministrazione pubblica
dell’Italia del terzo millennio sembra essere quella di considerare la stessa
come parte di un sistema giuridico aperto, nel quale circolano discipline
giuridiche di diversa provenienza secondo principi di coordinamento, di
assimilazione e di reciproco riconoscimento, piuttosto che di separazione e
di estraneità. Ne consegue la possibilità di individuare strutture
amministrative molto diverse che pure collaborano fianco a fianco e si
integrano per comporre un unico quadro che rappresenta il medesimo
soggetto complesso: gli apparati amministrativi della società italiana d’oggi.
Il principio generale che sta a fondamento di questo modello è molto
diverso da quello del precedente modello di amministrazione pubblica dello
Stato nazionale, ed è, in definitiva, piuttosto semplice nella sua
pragmaticità.
Ogni struttura sovra-individuale, in ultima analisi, non trova altra
effettiva legittimazione che nel fatto di essere utile allo sviluppo della
società e di rappresentare la struttura più idonea per lo svolgimento del
compito che sta espletando.
Corollario di tale principio è che ogni struttura va valutata secondo i
criteri della efficienza e della efficacia.
Applicare questo principio ed il suo corollario all’azione
amministrativa ha portato, ad esempio, a dare maggiore attenzione
all’impatto della regolamentazione e, cioè, alla capacità dell’azione
amministrativa e normativa di raggiungere i risultati che essa si propone.
Così negli anni novanta e, poi, con la legge 28 novembre 2005, n. 246 (art.
14) e s.m.i., si è dato impulso alle metodologie in materia di analisi di
impatto della regolamentazione (AIR) e di verifica dell’impatto della
regolamentazione (VIR). L’AIR interviene in fase di predisposizione degli
atti normativi al fine di verificare ex ante l’opportunità di un nuovo
intervento normativo e valutarne i probabili effetti sulle attività dei cittadini
e delle imprese e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni. Il
39
VIR opera nella fase successiva, ex post, consistendo “nella valutazione,
anche periodica, del raggiungimento delle finalità e nella stima dei costi e
degli effetti prodotti da atti normativi sulle attività dei cittadini e delle
imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche
amministrazioni” (art. 14, comma 4, l.n. 246/2005).
Applicare questo principio ed il suo corollario alla organizzazione
amministrativa vuol dire cambiare radicalmente il sistema e la sua logica, a
partire dalla stessa definizione di "pubblico".
Riflettiamo sul concetto di “pubblico”.
Superata da tempo la netta separazione tra sfera pubblica e sfera
privata, può ritenersi superata la stessa distinzione tra pubblico e privato,
almeno nei limiti in cui il “pubblico” viene ad essere identificato con lo
Stato. Le strutture della società attuale non si prestano ad una lettura che
identifica lo Stato come “il” potere pubblico della società nazionale.
L’interesse pubblico non solo non è più unitario, in quanto ha perso
l’elemento unificatore che lo rendeva tale (lo Stato-Persona del c.d. <<Stato
monoclasse>> di ottocentesca memoria), ma non è più neppure
identificabile con l’interesse perseguito dai molteplici apparati statuali del
c.d. <<Stato pluriclasse>> del novecento. Se ancor oggi è utile qualificare
un interesse o un organismo come “pubblico” o “privato” al fine di
distinguere il livello individuale da quello sovra-individuale, si deve, però,
essere ben consapevoli che, così intesa, la distinzione consente, senza dar
luogo ad alcuna contraddizione, che un “interesse pubblico” faccia capo ad
un soggetto privato, sia esso una ONG o altra figura privata, e che un
organismo possa essere qualificato “organismo di diritto pubblico” pur
essendo formalmente esterno all’apparato amministrativo della Repubblica.
Ne consegue la necessità, a livello di studio e di esame
dell’organizzazione pubblica amministrativa della odierna società italiana,
di disegnare una società complessa nella quale operano più strutture di
diversa provenienza che, nel loro insieme, costituiscono l’organizzazione
pubblica complessiva della società italiana, svolgendo una molteplicità di
vecchie e nuove funzioni. Nell’effettuare tale studio, le strutture
40
amministrative che tradizionalmente vanno sotto la denominazione
“pubbliche amministrazioni” - ovvero sotto la formula “lo Stato e gli altri
enti pubblici” - devono essere considerate parte certamente fondamentale e
rilevantissima della organizzazione amministrativa complessiva della
società italiana, ma pur sempre una parte di tale organizzazione, la quale,
per la sua ampiezza e complessità, non può essere ridotta (né ricondotta) alla
somma delle “pubbliche amministrazioni” statali, né alla somma delle
strutture che vanno sotto la ricorrente denominazione “Stato ed altri enti
pubblici”. Anzi, come avviene ad opera dell’art. 7 del codice del processo
amministrativo, lo stesso termine “pubbliche amministrazioni” oggi può
legittimamente essere dilatato fino ad utilizzarlo per ricomprendervi anche
soggetti che certamente non lo sono e, pur tuttavia, possono rientrarvi in
quanto “ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del
procedimento amministrativo” (art. 7, comma 2, c.p.a.).
Lo Stato, nelle sue articolazioni amministrative, gli enti pubblici
nazionali e locali, le Regioni, le Province ed i Comuni, in breve tutti
“soggetti pubblici” nel senso tradizionale del termine, non solo non
esauriscono il quadro della organizzazione amministrativa della società
italiana del duemila ma, per ben comprenderne il ruolo, vanno presi in
considerazione e studiati nel contesto generale in cui oggi si collocano,
senza estrapolarli ed isolarli col pretesto di uno studio limitato al c.d. diritto
“interno”. Ed essi vanno esaminati con la consapevolezza che non si tratta di
studiare e descrivere apparati amministrativi “intangibili” e/o
“insostituibili”, poiché non è la società che deve piegarsi alle esigenze dello
Stato, ma sono gli apparati amministrativi statali che devono adeguarsi alle
nuove esigenze della società e rendersi “compatibili” con gli altri
componenti del sistema, al fine di non compromettere i risultati complessivi
cui mira l’“azienda Italia”. Invero, anche per tali strutture vale la regola che
un soggetto va sostituito allorquando altri soggetti risultassero più idonei
allo svolgimento del compito ad esso attribuito.
Si giunge così alla visione di una pluralità di apparati pubblici,
collettivi, comunitari, statali in senso stretto, “indipendenti”, regionali ecc.
come co-elementi di una società aperta. A nessuna di tali strutture i cittadini
41
tendono a riconoscere uno status speciale, sovraordinato ed indiscutibile per
il suo carattere sovrano e necessario. Al contrario, la società civile è in ogni
momento propensa a mettere in discussione l’autorità e le competenze di
ogni sua struttura, valutandone la “legittimazione” sul metro dei risultati
raggiunti nelle attività ad essa affidate, e, in questo contesto, pretendendo
che, come tutte le altre strutture esistenti nella società moderna, anche le
strutture amministrative della Repubblica debbano dimostrare di essere in
linea con gli standards raggiunti dagli altri settori della società italiana, in
modo da potere contribuire allo sviluppo della società italiana nella
competizione internazionale.
Ed è proprio a tali esigenze ed a tali “richieste” provenienti dai
cittadini di oggi che si ispira e risponde l’attuale stagione di riforme che,
soprattutto a partire dagli anni novanta dello scorso secolo, ha investito tutti
gli apparati amministrativi (e non solo amministrativi) dello Stato,
imponendo una revisione generale di tali apparati che ne ha posto in
discussione la necessità, il modo di essere, i principi d’organizzazione e di
azione e le forme di finanziamento.
Caduto il monopolio del diritto e dell’organizzazione pubblica da
parte dello Stato-Persona, il panorama degli apparati pubblici amministrativi
si rivela quanto mai vario, per la presenza di innumerevoli componenti:
istituzioni internazionali; istituzioni comunitarie; enti pubblici strumentali
degli organi comunitari; Stato-persona; Regioni; Comuni; enti pubblici
nazionali e locali; enti pubblici a modello privatistico; autorità indipendenti;
enti privati di rilievo pubblico (soggetti privati gestori di servizi pubblici);
associazioni per la cura di interessi diffusi; partiti politici; sindacati; gruppi
di pressione; gruppi societari di livello nazionale o multinazionale ecc.
Per dare un ordine a tale complessa realtà, si impone un nuovo
criterio, non a caso mutuato da esperienze extra-nazionali: il principio di
sussidiarietà, che, nella “reinterpretazione” infra-nazionale, in buona
sostanza, applica l’idea di attribuire ogni funzione sociale al livello ed alla
struttura più idonea ad espletarla.
Su queste basi possiamo passare in rassegna il quadro odierno
dell’organizzazione amministrativa servente l’attuale società italiana per poi
42
evidenziare, entro tale quadro, lo sforzo di trasformazione messo in opera
dalle strutture amministrative dello Stato italiano, allo scopo di riuscire a
svolgere al meglio i compiti che loro competono e, nello stesso tempo, di
dismettere i compiti che possono essere meglio espletati da altre strutture.
43
I- Le strutture di livello transnazionale ed europeo.
7. Premessa.
Diversamente da quanto accade per il precedente periodo storico in
cui la Società italiana si identificava totalmente con lo Stato italiano,
nell’attuale fase storica, in cui l’Italia si presenta come una società “aperta”,
limitarsi ad esaminare gli apparati amministrativi statali vorrebbe dire
privarsi di ogni possibilità di comprendere (o addirittura di percepire)
l’organizzazione pubblica amministrativa della società italiana nelle sue
reali dimensioni e nei suoi effettivi confini.
Devono, quindi, venire contestualmente presi in considerazione,
trattandosi di strutture integrate componenti l’unico ed unitario sistema
amministrativo della attuale società italiana, tutti gli aggregati che
compongono l’organizzazione pubblica amministrativa della società italiana
e concorrono a formare il suo diritto amministrativo.
Su alcuni di tali aggregati, i quali tradizionalmente esulano dal
consueto programma del corso di diritto amministrativo per essere oggetto
di altri insegnamenti, per ovvi motivi di tempo e di opportunità pratica, ci
limitiamo a rapidi cenni, molto sommari e frammentari. Occorre, tuttavia,
avvertire che sarebbe errato e fuorviante desumere dalla esiguità dello
spazio che siamo costretti a dedicare a queste strutture una loro minore
incidenza sul diritto amministrativo italiano. Al contrario, è fondamentale
tenere ben presente l’esistenza di queste componenti nell’organizzazione
complessiva della società italiana, sia per avere una esatta visione
dell’insieme del sistema, sia per essere in grado di valutare correttamente il
ruolo degli apparati statali ed i principi che li reggono.
8. La componente internazionale.
Per descrivere il quadro attuale delle strutture amministrative
utilizzate dalla società italiana secondo il punto di vista sopra descritto,
dobbiamo innanzi tutto prendere atto che la nostra società, per poter operare
con profitto, necessita in molti settori di un elevato grado di omologazione e
standardizzazione tecnica, spesso da realizzare a livello mondiale. Il
44
fenomeno è nuovo non tanto nella sua esistenza (perché anche la società
settecentesca necessitava di relazioni con le altre società nazionali) ma per
le sue dimensioni, che lo rendono non più marginale e, anzi, impongono a
chi esamina la realtà attuale di rivedere il ruolo e la rilevanza di tali
organismi quali strutture della società italiana.
Da tempo la società italiana, insieme alle altre società statali del
mondo moderno, si è resa conto che la struttura più idonea a rispondere a
talune esigenze della vita sociale andava individuata fuori dall’ambito degli
apparati amministrativi dello Stato. Sono stati così creati numerosi
organismi internazionali aventi lo scopo di provvedere a tutte quelle
esigenze richiedenti una simile dimensione di intervento per potere essere
pienamente soddisfatte. Limitandoci agli organismi con compiti
“amministrativi” (ma ve ne sono anche con funzioni “giurisdizionali”, si
pensi alla Corte penale internazionale il cui statuto istitutivo è stato adottato
a Roma il 17 luglio 1998 dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite
ed è stato ratificato con la legge 12 luglio 1999 n. 232) ricordiamo l’ICAO
(Organizzazione dell’Aviazione Civile Internazionale) e l’UIC (Union
Internationale des chemins de Fer), ma anche il CIO (Comitato olimpico
internazionale) ovvero l’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità).
E’ indubbio che tali organismi traggono origine e fondamento
giuridico da trattati internazionali siglati tra gli Stati aderenti, ma ciò non
toglie che, se si vuole descrivere la realtà degli apparati amministrativi della
società italiana, non può tacersi del ruolo e della rilevanza di questi
organismi, né può ignorarsi che è da tali organismi internazionali che
proviene l’elaborazione di una serie di normative di natura sostanzialmente
amministrativa tecnica, dirette a disciplinare aspetti della società italiana
legati al suo essere parte della comunità mondiale.
Invero, questo tipo di organismi sovranazionali sono più numerosi di
quanto si immagini e concorrono a formare il diritto amministrativo della
società italiana in numerosissimi settori della vita moderna, anche se la loro
presenza è meno avvertibile da parte del cittadino, avendo di solito la loro
sede in città lontane dall’Italia ed essendo il loro intervento spesso limitato
alla produzione di “raccomandazioni” ovvero di normative tecniche di tipo
45
regolamentare, restando la rimanente disciplina normativa del settore e gran
parte degli aspetti operativi affidati alla competenza delle strutture
amministrative statali di ciascuna comunità interessata. Per fare un esempio
volutamente “minimale”: certamente il passaporto non viene rilasciato al
cittadino dall’ICAO, ma è pur vero che il suo contenuto e le sue
caratteristiche rispondono a normative ICAO.
Peraltro, a mio avviso, considerare tali organismi come fossero posti
su un piano diverso ed estraneo rispetto a quello interno, e, cioè, come
strutture distinte ed esterne rispetto all’ordinamento (e/o al diritto) “interno”
della società italiana, significherebbe non rendersi conto che, nell’attuale
fase storica, questo tipo di organismi non sono rappresentativi di una società
internazionale che si contrappone alle singole società nazionali, bensì
costituiscono una componente essenziale della società italiana come delle
altre società nazionali, di cui concorrono a disegnare la fisionomia giuridica
e a formare il diritto interno.
Ritengo si possa affermare che i singoli Stati, nell’aderire a tali
organismi sovranazionali, prendono atto che una serie di regole
indispensabili per la vita delle moderne società devono trovare una fonte di
produzione di livello trasnazionale, che si legittima per la sua maggiore
idoneità allo scopo. Ne deriva l’istituzione di enti ad hoc, dotati di organi ed
uffici, di personale, di sedi e di mezzi finanziari, che hanno compiti di cura
del settore in cui operano, con funzioni non esclusive ma rilevanti. Del
resto, vanamente lo Stato potrebbe tentare di “ribellarsi” al
ridimensionamento del proprio ruolo nelle moderne società aperte che tale
nuova realtà comporta, poiché questa nuova situazione trova la sua
legittimazione in quello stesso elemento che legittima lo Stato: la
rispondenza alle esigenze della società.
Per restare all’esempio dell’ICAO si veda la Convenzione relativa
all'aviazione civile internazionale (Chicago, 7.12.1944), approvata con d.lgs.
6 marzo 1948 n.616 ratificato con l. 17 aprile 1956, n.561 e l’art. 687 del
Codice della Navigazione.
In forza dell'art. 12 della Convenzione, ogni Stato contraente si è
impegnato a mantenere la propria regolamentazione in materia di aviazione
46
civile il più possibile conforme a quella di volta in volta stabilita in
applicazione della Convenzione.
Una parte della convenzione si occupa della creazione di una
organizzazione per l’aviazione civile internazionale. Con l'art. 43 viene
istituita l’"Organizzazione per l'Aviazione Civile Internazionale".
L'organismo ha una propria sede e propri organi: una Assemblea, (composta
da tutti gli Stati contraenti); un Consiglio (quale organo permanente
responsabile verso l'Assemblea); un Presidente del Consiglio permanente, e
tutti gli altri organi necessari per il funzionamento dell'Organismo. L’art. 47,
prevedendo che tale organismo godrà nel territorio di ogni Stato contraente
della capacità giuridica necessaria all’esercizio delle sue funzioni e di piena
personalità giuridica ove tale personalità sia compatibile con la costituzione
e le leggi degli Stati interessati, viene in sostanza ad equiparare il
trattamento di tale organismo a quello degli enti amministrativi nazionali di
ciascuno Stato membro.
Dalla lettura dell’art. 44, che indica gli scopi e gli obbiettivi
dell’Organismo, emerge che questo è preposto alla cura di un interesse
pubblico.
L’art. 37, nell’ambito del Cap. VI della Convenzione avente ad
oggetto gli standards internazionali e i sistemi pratici raccomandati, indica
le funzioni attribuite all’Organismo. Esso ha il potere di adottare e
modificare detti standards e sistemi pratici, che intervengono
sostanzialmente su ogni momento importante della amministrazione del
settore, coinvolgendo in questo modo la regolamentazione dell’aeromobile,
della struttura aeroportuale, del personale, delle carte di bordo, dei sistemi di
comunicazione, delle carte aeronautiche, delle informazioni meteorologiche
ecc. (vedi art. 37, comma 2), con una norma di chiusura che rende
meramente esemplificativo il pur lungo elenco contenuto nel secondo
comma dell’art. 37, poiché precisa che la competenza ricomprende ogni
materia connessa alla sicurezza, alla regolarità e all’efficienza della
navigazione aerea e, cioè, in pratica, ogni elemento necessario alla cura
dell’interesse pubblico affidato a tale Organismo.
47
L’art. 687 del Codice della Navigazione, pur attribuendo al Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti poteri di indirizzo, assegna all’Ente
nazionale per l'aviazione civile (ENAC) la funzione di unica autorità di
regolazione tecnica, certificazione, vigilanza e controllo nel settore
dell'aviazione civile. Ma il successivo art. 690 c.n. dà applicazione alla
Convenzione di Chicago prevedendo modalità di recepimento in via
amministrativa della normativa tecnica ICAO “anche mediante
l'emanazione di regolamenti tecnici dell'ENAC”. Ne consegue che la
disciplina amministrativa fondamentale del settore è sostanzialmente opera
non già del Ministero delle infrastrutture o dell’ENAC, ma dell’ICAO.
Anzi, approfondendo l’analisi della normativa dal punto di vista che ci
occupa, possiamo concludere che oggi, con riferimento alla disciplina
regolamentare del settore, il margine di “autonomia” che permane dopo il
recepimento delle regole fissate dall’ICAO viene riempito, piuttosto che dal
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dagli uffici della Unione
Europea che elaborano le normative comunitarie in materia di aviazione
civile (l’art. 687 c.n. fa riferimento al rispetto dei regolamenti comunitari.
Cfr. anche gli artt. 691 e 691 bis c.n.).
9. La componente europea.
E’ intuibile che il processo di integrazione europea, facendo
tendenzialmente confluire la società italiana nella società europea, ha
ampliato fortemente i settori della vita sociale nazionale nei quali
competenze amministrative sono state in tutto o in parte trasferite dagli
apparati amministrativi della Repubblica Italiana a quelli della Unione
Europea, coinvolgendo in tale ripartizione anche settori facenti parte del
nucleo “classico” della sovranità statale, come da ultimo è avvenuto per la
moneta. Significativa sotto questo aspetto, è la istituzione di una
cittadinanza dell’Unione (vedi art. 20 Trattato UE) e le norme dettate a
garanzia del rispetto dei principi democratici nella UE (vedi Titolo II,
Disposizioni relative ai principi democratici, del Trattato sull’Unione
Europea).
48
Ne deriva un panorama molto più vasto e complesso rispetto a quello
considerato nell’esaminare la presenza ed il ruolo degli organismi
internazionali di cui al punto precedente.
Una sia pur rapida lettura dei diversi “titoli” che compongono il
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea nella sua versione attuale
(Lisbona). Vengono indicati come oggetto di competenza esclusiva
dell’Unione i settori: unione doganale; definizione delle regole di
concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno; politica
monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l'euro; conservazione delle
risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca;
politica commerciale comune (art. 3 Trattato UE). Come oggetto di
competenza concorrente con gli Stati membri i settori: a) mercato interno, b)
politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel trattato, c)
coesione economica, sociale e territoriale, d) agricoltura e pesca, tranne la
conservazione delle risorse biologiche del mare, e) ambiente, f) protezione
dei consumatori, g) trasporti, h) reti transeuropee, i) energia, j) spazio di
libertà, sicurezza e giustizia, k) problemi comuni di sicurezza in materia di
sanità pubblica, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel trattato. Nonché
nei settori della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dello spazio, e nei
settori della cooperazione allo sviluppo e dell'aiuto umanitario (art. 4
trattato). Ancora, l'Unione ha competenza per svolgere azioni intese a
sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri nei settori: a)
tutela e miglioramento della salute umana, b) industria, c) cultura, d)
turismo, e) istruzione, formazione professionale, gioventù e sport, f)
protezione civile, g) cooperazione amministrativa. (art. 6 Trattato
Funzionamento).
L’ambito delle competenze della UE viene ulteriormente regolata dai
principi di attribuzione, di sussidiarietà e di proporzionalità, come
disciplinati dall’art. 5 del Trattato sull’Unione. In particolare il terzo comma
dell’art. 5 dichiara che in virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che
non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in
quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in
misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello
49
regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti
dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione.
Quindi, per le materie di competenza “concorrente”, si afferma il potere-
dovere della Unione di sostituirsi e/o avocare a sé l’intervento, se ritiene che
gli obiettivi da raggiungere non possono essere realizzati dai singoli Stati o,
comunque, possono essere meglio realizzati a livello comunitario.
La UE, intervenendo attraverso i suoi regolamenti e le direttive,
assume innanzi tutto il ruolo di fonte di produzione del diritto
amministrativo sostanziale con riferimento a settori sempre più vasti della
società italiana, lasciando di norma agli apparati amministrativi degli Stati
membri i compiti esecutivi ed operativi. Sempre più spesso, però, l’Unione
svolge anche una funzione amministrativa di tipo operativo ed esecutivo, sia
mediante strutture proprie che si affiancano ed integrano quelle dei singoli
Stati membri, sia mediante strutture nazionali utilizzate come propri uffici.
L’integrazione delle norme e delle istituzioni comunitarie all’interno della
società italiana costituisce un fenomeno in atto che progressivamente si
allarga ed intensifica secondo forme e gradi diversi.
Alcuni esempi possono aiutarci a prendere coscienza del fenomeno e
della sua gradualità. Gli esempi che seguono, infatti, si caratterizzano per la
diversità delle forme di intervento della UE (solo a livello normativo o
anche a livello organizzativo) e per la maggiore o minore intensità della
integrazione che viene a realizzarsi tra strutture nazionali e strutture
comunitarie.
a) Il settore degli appalti pubblici. In questo settore, come è noto,
l’intervento europeo si sostanzia nella emanazione nel corso degli anni di
numerose direttive che sono state riunite nelle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE. Quel che rileva ai nostri fini, non è il fatto che la UE, per
soddisfare i propri bisogni, concluda pubblici appalti e li concluda secondo
proprie regole, bensì il fatto che qualsiasi pubblica amministrazione della
Repubblica Italiana, come degli altri Stati membri, che intenda concludere
un appalto di lavori, di fornitura o di servizi pubblici è tenuta ad operare
secondo principi e discipline dettati dalla UE. Anzi, è significativo che sia di
competenza della UE la stessa individuazione di quali siano i soggetti
50
dell’ordinamento italiano tenuti ad osservare tali regole. Pertanto, pur
essendo formalmente il c.d. “Codice degli appalti pubblici di opere, servizi e
forniture” (d.lgs. 12.4.2006, n. 163 e s.m.i.), poiché tale codice costituisce
attuazione delle direttive europee, si deve con buona ragione concludere che
non vi è una disciplina comunitaria degli appalti pubblici distinta e diversa
da quella “interna” (ovvero nazionale), ma che la disciplina nazionale degli
appalti pubblici è, in tutto o in gran parte, quella elaborata da una struttura
diversa dallo Stato italiano, individuabile nella UE.
b) Il settore della concorrenza e del mercato. Il settore viene
disciplinato secondo norme e principi comunitari, ma la competenza della
Unione non si limita a incidere sulla normativa. Vengono attribuite alla
Commissione funzioni di amministrazione attiva (vedi artt. 101 - 106 del
Trattato sul funzionamento della UE). Tra questa e l’Autorità garante della
concorrenza e del mercato (istituita con la legge 10.10.1990 n. 287), le
funzioni di amministrazione attiva sono ripartite in modo da riservare alla
Autorità italiana una competenza residuale (quelle fattispecie che non
ricadono nell’ambito della competenza della Unione in base alle norme
europee: art. 1, comma 1, l.n. 287/90). Inoltre, l’Autorità italiana deve
coordinarsi con la UE ed è significativo che la legge n. 287/1990, nel
disciplinare la tutela della concorrenza e del mercato, espressamente
stabilisce, al quarto comma dell’art. 1, che l’interpretazione delle norme da
essa dettate in tema di intese, di abuso di posizione dominante e di
operazioni di concentrazione deve essere effettuata “…in base ai principi
dell’ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della
concorrenza”. Come si vede, in questo caso l’intervento comunitario è certo
più intenso e multiforme rispetto a quello del caso precedente.
c) Il settore della protezione dell’ambiente. Una ricognizione delle
strutture preposte dalla tutela dell'ambiente deve registrare la presenza non
solo di strutture di livello regionale e locale (provincia), e di livello
nazionale, come il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del
mare, cui si affiancano, sempre nell’ambito nazionale interno, una rete di
agenzie ambientali, che vede al centro l'Istituto superiore per la protezione e
la ricerca ambientale -ISPRA (art. 28 d.l. n. 112/2008) e nel territorio 21 tra
51
Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA) ed Agenzie
provinciali (APPA) costituite con legge regionale, tutte raccordate tra loro
anche attraverso l’istituzione, in seno all’ISPRA, di un Consiglio federale
rappresentativo delle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente, , ma
anche strutture comunitarie come l’Agenzia europea per l’ambiente (reg.
(CE) 23.4.2009 n. 401/2009), con la quale le strutture nazionali devono
cooperare, che ha lo scopo di attuare una rete europea di informazione e di
osservazione in materia ambientale (sulla base della considerazione che “…
la raccolta, l'elaborazione e l'analisi dei dati ambientali a livello europeo
sono necessarie per fornire informazioni oggettive, attendibili e comparabili
che consentano alla Comunità e agli Stati membri di adottare le misure
indispensabili alla protezione dell'ambiente, di valutarne l'attuazione e di
garantire una efficace informazione del pubblico sullo stato dell'ambiente”),
nonché funzioni di tipo consultivo. Del resto dell’ambiente si occupa il
Trattato sul funzionamento dell’UE (vedi gli artt. 191-193). Possiamo in
questo caso identificare un’ulteriore forma di integrazione, che vede la
compresenza, accanto di strutture nazionali, di uffici comunitari diversi
dagli organi istituzionali della Comunità, costituiti dalle agenzie comunitarie
(anche se in questo caso, tali agenzie hanno funzioni meramente ricognitive
e consultive).
d) Il settore farmaceutico. Anche la disciplina amministrativa del
settore farmaceutico, come quella già citata degli appalti pubblici e di molti
altri settori, è dettata da direttive comunitarie recepite con legge nazionale
(d.lgs. 24.4.2006, n. 219 di attuazione della direttiva 2001/83/CE e succ.
mod. relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso
umano, nonché della direttiva 2003/94/CE). Ma in questo settore l'intervento
comunitario non si limita alla emanazione delle direttive. La Commissione
della UE, attraverso un procedimento amministrativo europeo che ha come
fulcro l’Agenzia europea per i medicinali (Reg. (CE) 31.3.2004 n.
726/2004), rilascia autorizzazioni europee alla vendita delle specialità
medicinali che consentono la commercializzazione del farmaco autorizzato
in tutto il territorio europeo. Ai sensi dell’art. 71 del citato regolamento
l’agenzia ha personalità giuridica e, in ciascuno degli Stati membri, essa
52
gode della più ampia capacità giuridica che la legge riconosce alle persone
giuridiche. In particolare, essa può acquistare e alienare beni immobili e
mobili e stare in giudizio.
La condivisione di poteri amministrativi tra UE e Amministrazioni
statali è, quindi, in tale settore ancor più marcata che nel settore della
protezione dell’ambiente. In questo caso l’Agenzia europea viene
sostanzialmente (e la Commissione anche formalmente) a porre in essere dei
veri e propri provvedimenti amministrativi (l’autorizzazione al commercio
del medicinale); e tali provvedimenti amministrativi non hanno natura
regolamentare o, comunque, di atti generali, ma sono provvedimenti aventi
natura individuale che hanno come destinatari singoli cittadini
(l’autorizzazione, infatti, viene rilasciata a singole imprese private). Sulla
tematica confronta anche gli artt. 168 del Trattato sul funzionamento
dell’UE.
e) Il settore della moneta. L’attuale apparato preposto alla politica
monetaria vede in una posizione di preminenza degli organismi comunitari
(Banca Centrale Europea, Banca Europea degli Investimenti) configurando
un sistema complessivo nel quale vengono integrate le strutture statali
nazionali (Banca centrale europea - sistema delle Banche centrali nazionali)
(vedi d.lgs. 10.3.1998 n. 43 di adeguamento alle norme UE). Vedi anche
artt. 127-133 del Trattato sul funzionamento UE ed il protocollo n. 4 del
trattato sullo Statuto del sistema europeo di banche centrali e della banca
centrale europea. In questo caso non solo la moneta europea ha soppiantato
le monete nazionali, ma l’integrazione degli apparati preposti alla
regolazione del settore è ancora più sensibile che negli altri casi prima presi
ad esempio.
f) Il settore agricolo. Come esempio di intervento operativo della
Comunità svolto avvalendosi di strutture nazionali si pensi al ruolo
dell’AGEA – Agenzia per le erogazioni in agricoltura (cfr. d.lgs. 27.5.1999,
n. 165) nel settore agricolo. Tale agenzia è l’organismo di coordinamento
con gli Uffici comunitari preposti al settore ed è responsabile nei confronti
dell’Unione Europea degli adempimenti connessi alla gestione degli aiuti
derivanti dalla politica agricola comune, nonché degli interventi sul mercato
53
e sulle strutture del settore agricolo, finanziate dal FEOGA. Vedi anche artt.
38 ss. Trattato sul funzionamento dell’UE.
La presenza e l’importanza della attività amministrativa svolta dagli
organi comunitari è confermata dalla istituzione del Mediatore, quale
organo nominato dal Parlamento europeo (equivalente al “difensore civico”)
abilitato a ricevere le denunzie dei cittadini europei riguardanti casi di
“cattiva amministrazione” da parte delle istituzioni o degli organi
comunitari (vedi art. 228 Trattato funzionamento UE).
Rinviando per gli altri aspetti all’insegnamento del diritto dell’Unione
europea, con specifico riferimento al nostro tema – l’organizzazione
amministrativa – va segnalata la presenza non solo di una ormai numerosa
burocrazia comunitaria, ma di un attiva presenza nelle strutture e negli uffici
comunitari di funzionari pubblici dei diversi Stati. Tale presenza è
particolarmente importante perché l’amministrazione europea tende ad
operare attraverso Comitati, appunto composti da funzionari delle diverse
amministrazioni pubbliche dei paesi membri.
E’ da ricordare, infine, l’istituzione del Comitato economico e
sociale (vedi art. 300 e segg. Trattato funzionamento UE) composto da
rappresentati delle varie categorie della vita economica e sociale, nonché
delle libere professioni “e degli interessi generali” e del Comitato delle
regioni (vedi artt. 305 e segg. Trattato funzionamento UE) composto dai
rappresentanti delle collettività regionali e locali.
54
II - Le strutture esterne agli apparati costituenti l’ordinamento
politico-amministrativo della Repubblica.
10. Partiti politici e sindacati.
Come è noto, la vicenda storica dei partiti e dei sindacati è ricca e
complessa. Dal punto di vista nel quale ci siamo posti è da sottolineare
l’accentuata integrazione di tali organismi a livello europeo (partiti) ed
anche internazionale (sindacati).
10.1. Partiti politici.
La Costituzione affronta l’argomento ‘partiti politici’ sotto l’angolo di
visuale del cittadino e dei suoi diritti. Ma i partiti sono certamente qualcosa
di più dell’espressione del diritto dei cittadini “di associarsi liberamente in
partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica
nazionale” (art. 49 Cost.).
Certamente il ruolo da loro svolto a livello politico costituzionale è
quello che immediatamente balza in evidenza quando si pensa ai partiti
politici. Infatti, nel circuito classico “Popolo – Parlamento – Governo” è ai
partiti politici che viene demandato il ruolo di “cinghia di trasmissione” tra
Popolo e Parlamento per la funzione da essi assolta nel sistema elettorale3, e
ciò rischia di nascondere il ruolo centrale dei partiti e del “personale
politico” da essi espresso nell’organizzazione e nell’azione delle strutture
pubbliche della società, con il rischio di diffondere una visione incompleta o
distorta dell’organizzazione amministrativa complessiva (come testimonia il
poco spazio ad essi riservato nei manuali di diritto amministrativo).
In sostanza, va segnalato con forza all’attenzione il collegamento
“Governo – Pubblica amministrazione” che determina la presenza del
personale politico-partitico anche negli apparati amministrativi statali. E va
anche ricordato che, accanto alle elezioni c.d. ‘politiche’, vi sono le elezioni
3 La Corte Costituzionale ha affermato che “…i partiti politici sono garantiti dalla Carta costituzionale - nella prospettiva del diritto dei cittadini di associarsi - quali strumenti di rappresentanza di interessi politicamente organizzati” (C.Cost. ord. 24.2.2006, n. 79)
55
c.d.‘amministrative’, attraverso le quali il personale politico-partitico
penetra nelle Regioni, nelle Province e nei Comuni.
Invero ancor oggi, al di là dei problemi contingenti che li hanno
interessati (da “tangentopoli” in poi), essi comunque costituiscono delle
strutture stabili, composte da personale con accentuati caratteri
professionali, che funzionano da raccordo tra la massima parte delle
strutture amministrative della nostra società, essendo presenti, sia
direttamente che attraverso persone da loro designate, in tutte le sedi
pubbliche più rilevanti di tutti i livelli (dagli organismi internazionali a
quelli comunitari: cfr. art. 10 Trattato dell’Unione e art. 224 Trattato sul
Funzionamento UE; dalle amministrazioni dello Stato alle Regioni, alle
Province ed ai Comuni, dagli enti pubblici nazionali a quelli regionali e
locali).
Questa loro funzione appare sempre più essenziale nel nuovo modello
di società aperta, in quanto il pluralismo e l’autonomia delle differenti
strutture riducono le occasioni di raccordo e coordinamento, rendendo i
partiti una sorta di “minimo comune denominatore” che dovrebbe (o
potrebbe) creare un legame tra le diverse strutture amministrative, sia fra
loro che con la società civile, nell’ambito della quale i partiti si inscrivono
dovendo essere considerati, per usare le parole della Corte Costituzionale,
“come organizzazioni proprie della società civile, alle quali sono attribuite
dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche, e non come poteri dello
Stato…” (C.Cost. ord. n. 79/2006).
Visto il ruolo svolto dai partiti e la loro stabilità, è intuibile come le
trasformazioni che si registrano nella composizione, nella organizzazione e
nelle caratteristiche dei partiti politici italiani, con il passaggio dai grandi
partiti popolari fortemente ideologizzati di ieri (dalla DC al PCI e dai vari
partiti socialisti - PSI e PSDI - al Partito Liberale e al Partito Repubblicano)
agli attuali partiti oggi presenti, non possono non avere conseguenze
sull’andamento delle amministrazioni pubbliche sia nazionali che locali. La
questione, quindi, meriterebbe di essere indagata in modo approfondito, per
tentare di cogliere i nuovi caratteri dei partiti d’oggi. Ma non è un compito
facile, sia per la attuale ‘fluidità’ dell’oggetto da studiare che per l’assenza
56
di una disciplina comune. Infatti, ragioni storiche legate alla giusta
intenzione di lasciare la massima libertà ai partiti come formazioni sociali
tramite cui il cittadino svolge la propria personalità (art. 2 Cost.), hanno
portato a non attribuire ai partiti neppure la personalità giuridica,
considerandoli delle associazioni non riconosciute4, in modo da sottrarli
anche alla disciplina delle persone giuridiche.
Invero, nonostante sia palese che i partiti politici costituiscano una
realtà oggettivamente distinta da quella dei cittadini (anzi, uno dei maggiori
problemi attuali riguarda proprio la loro capacità di rappresentarli), non vi è
una normativa volta a garantire la democrazia interna nei partiti politici. E
l’ormai frequente presenza, nel simbolo di molti partiti, del nome di un
singolo leader, sembra sintomatico di una loro forte personalizzazione, che,
al limite, potrebbe essere funzionale al ruolo del partito come ‘macchina
elettorale’, ma molto meno a quello del partito come struttura stabile,
esterna alle pubbliche amministrazioni ma destinata a fornire alle stesse idee
e personale politico e, quindi, al ruolo del partito come organizzazione della
società civile entro cui si forma la classe politica e si elaborano programmi
ed indirizzi politici di lungo respiro5.
10.2. Sindacati e Organizzazioni dei datori di lavoro.
Non meno rilevanti, per offrire un quadro reale delle strutture
pubbliche della nostra attuale società, sono i Sindacati dei lavoratori e le
Associazioni dei datori di lavoro. La disposizione costituzionale
sull’organizzazione sindacale (art. 39) ancora una volta non appare in grado
4 Peraltro, in deroga alle regole comuni dettate dal codice civile per le associazioni non riconosciute, l’art. 6-bis, aggiunto alla l. n. 157 del 1999 dal d.l. n. 273 del 2005, conv. con mod. con l. n. 57 del 2006, nel dettare le norme in materia di rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie ai partiti ed ai movimenti politici, ha esonerato gli amministratori dei partiti e movimenti politici dalla responsabilità per le obbligazioni contratte in nome e per conto di tali organizzazioni, salvo che abbiano agito con dolo o colpa grave.5 Negli ultimi decenni sempre più l’organizzazione dei partiti popolari per sezioni e/o cellule di partito ha perso importanza soppiantata dalla video politica. Spetta a voi studenti, che siete la nuova generazione, elaborare e proporre il futuro, come anche rispondere al quesito se l’avvento di internet, con le possibilità di interazione di strumenti come Face book, You Tube e Twitter, possa far tramontare quella comunicazione a senso unico cui dà luogo la televisione.
57
di rendere a pieno la posizione ed il ruolo nella nostra società dei sindacati,
indirizzandone l’evoluzione, anche se questa volta il divario è dovuto alla
divergenza che si è prodotta tra il modello prefigurato dal secondo e terzo
comma dell’art. 39 e il modello che si è effettivamente realizzato
nell’ambito della libertà sindacale stabilita dal primo comma.
Siamo ancora una volta in presenza di strutture stabili con accentuati
caratteri di professionalità, che incidono sulla vita sociale ben al di là del
pur importante settore dei contratti collettivi di lavoro, ovvero della loro
legittimazione ad agire a tutela delle categorie rappresentate6, concorrendo –
in misura maggiore o minore a seconda del momento storico e dei rapporti
tra le differenti organizzazioni sindacali – alle scelte politiche generali sia di
livello locale che nazionale e comunitario (si pensi, ad esempio, al “Patto
sociale per l’occupazione e lo sviluppo”, firmato dal Governo e dalle c.d.
Parti sociali nel dicembre 1998 ed alla rilevanza che esso ha avuto sulla
società e sull’azione amministrativa, ovvero all’intesa sulle pensioni minime
del luglio 2007 tra il Governo Berlusconi ed i sindacati, conclusa
nell’ambito della c.d. “concertazione”).
Del resto la rilevanza, non solo dei partiti politici, ma anche di altre
organizzazioni della società civile rappresentative delle diverse categorie
produttive – ed oggi anche delle associazioni di promozione sociale e delle
organizzazioni di volontariato (art. 17 l.n. 383/2000) – trova riscontro nella
Costituzione, laddove l’art. 99 Cost. prevede il Consiglio Nazionale
dell’economia e del lavoro - CNEL.
Invero, almeno al momento, in assenza di altre strutture associative di
pari consistenza e diffusione, i sindacati (dei lavoratori) e le organizzazioni
sindacali dei datori di lavoro (Confindustria, Confagricoltura,
Confcommercio ecc.) appaiono come le uniche strutture rappresentative dei
6 La legge 11.11.2011 n. 180 ( Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese), all’art. 4, ha attribuito alle associazioni di categoria rappresentate in almeno cinque camere di commercio, o nel CNEL, la legittimazione a proporre azioni in giudizio sia a tutela di interessi relativi alla generalità dei soggetti appartenenti alla categoria professionale, sia a tutela di interessi omogenei relativi solo ad alcuni soggetti.2. Le associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale, regionale e provinciale sono legittimate ad impugnare gli atti amministrativi lesivi degli interessi diffusi.
58
cittadini “concorrenti” con i partiti politici nella funzione di raccordo di cui
si è detto. Come il personale politico-partitico è presente negli apparati
statali, regionali e locali, così le leggi prevedono meccanismi di presenza del
personale politico-sindacale in molti organi amministrativi collegiali, in
diversi enti pubblici dotati di’autonomia funzionale’, quali le Camere di
commercio (vedi art. 12 l. 29.12.1993 n. 580 e artt. 2 e 7 del regolamento di
attuazione adottato con d.m. industria 24.7.1996 n. 501), ovvero nei c.d.
“enti pubblici associativi”, come gli enti previdenziali.
Si veda, ad esempio, la composizione del Consiglio di
Amministrazione dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – INPS e,
quindi, il “peso” in tale Istituto di tale componente (vedi art. 3 del D.P.R. 30
aprile 1970 n. 639).
Peraltro, nei settori della vita sociale meno direttamente legati
all’economia, come ad esempio nella scuola, si intravede la presenza di
organismi, non inquadrabili né tra i partiti politici, né tra i sindacati,
rappresentativi degli interessi di volta in volta coinvolti, che partecipano
all’attività delle amministrazioni pubbliche, spesso con funzioni consultive,
ma talora anche con compiti e responsabilità di indirizzo e gestionale (vedi
le rappresentanze dei genitori e degli studenti nelle scuole: art. 8 d.lgs. 16
aprile 1994, n. 297).
11. Le Associazioni di volontariato.
Il panorama descritto non sarebbe completo se, prima di passare
all’esame delle tradizionali strutture amministrative “repubblicane” (PP.AA.
ed Enti pubblici statali, regionali e locali) non si desse conto della presenza
delle associazioni di volontariato e del ruolo sempre più “ufficiale” e
rilevante che ad esse viene riconosciuto nella nostra società. Il
riconoscimento giuridico a favore di tali associazioni del loro compito di
tutela di interessi pubblici ha, innanzi tutto, una importantissima valenza
teorica di principio, poiché implicitamente nega alle pubbliche
amministrazioni il “monopolio” istituzionale della rappresentanza e della
cura degli interessi pubblici; monopolio che, sulla base della distinzione tra
“pubblico” e “privato”, faceva concettualmente da pendant alla riserva a
59
favore del privato cittadino della cura degli interessi individuali e
particolari.
Siamo, cioè, di fronte ad un’altra manifestazione del modo di essere
della attuale società come società aperta. Invero, la società riconosce come,
in certe circostanze e per certe esigenze, le associazioni private di
volontariato si rivelano, rispetto agli apparati amministrativi statali, le
strutture più idonee ed efficienti per la tutela di alcuni interessi generali, che
possono anche dirsi “diffusi”, in quanto (apparentemente) privi di specifici
centri di imputazione, o, altre volte, “collettivi”, in quanto imputabili a
collettività o categorie organizzate, ma che in ogni caso fanno parte
dell’ampio genere degli “interessi pubblici”.
Il fenomeno, poi, nei suoi aspetti concreti, è tanto più importante
perché queste associazioni sono formazioni sociali non solo extra statali ma
spesso anche extra partitiche, operanti su molteplici piani:
a) attraverso la presenza di loro esponenti in organi collegiali
amministrativi statali (es.: il Consiglio nazionale per l’ambiente presso
Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio, art. 12, l.8.7.1986 n.
349; il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, art. 136
D.lgs. 6.9.2005, n. 206, Codice del consumo), regionali o locali;
b) attraverso l’affidamento ad essi di compiti di controllo e di intervento
alternativi e/o complementari a quelli della amministrazioni pubbliche;
c) attraverso particolari legittimazioni processuali che abilitano tali
associazioni ad attivare le tutele giudiziarie civili, amministrative e
penali (vedi ad es.: art. 139 codice consumo);
d) attraverso la previsione di una presenza di tali associazioni nel CNEL
(art. 17, legge 7 dicembre 2000 n. 383).
La legge 7 dicembre 2000 n. 383 ha dettato una disciplina speciale per
le associazioni di promozione sociale, intese come espressione di
partecipazione, solidarietà e pluralismo. Tale normativa dichiaratamente
mira a favorire l’apporto originale che l’associazionismo volontario dà al
conseguimento di finalità di carattere sociale, civile, culturale e di ricerca
etica e spirituale.
60
L’art. 2 della legge n. 383/2000 considera associazioni di promozione
sociale le associazioni riconosciute e non riconosciute, i movimenti, i gruppi
e loro coordinamenti o federazioni costituiti al fine di svolgere attività di
utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro, con
esclusione dei partiti politici, dei sindacati, delle associazioni professionali o
di categoria e, in genere, delle associazioni che hanno come finalità la tutela
esclusiva di interessi economici degli associati.
III – Gli apparati amministrativi della Repubblica.
III.A) I principi.
12. La legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3: la riforma del Titolo V
della Parte II della Costituzione.
Se l’esigenza primaria che la nostra Società si attende venga
soddisfatta dalla organizzazione amministrativa della Repubblica è quella
che abbiamo più volte richiamato, cioè concorrere allo sviluppo della
società italiana come società aperta che opera nella società globale (per cui
il cittadino non si accontenta di strutture democratiche e rispettose della
libertà dell’individuo, ma è disposto ad accettare le strutture amministrative
repubblicane solo in quei settori e con quelle modalità che consentono di
giustificarle in quanto si dimostrano le strutture più idonee per lo
svolgimento delle specifiche funzioni loro attribuite, senza vedere in esse
una realtà indiscutibile ed insostituibile), allora occorre chiedersi come
l’organizzazione amministrativa che direttamente fa capo alla Repubblica
intenda oggi rispondere a tale richiesta della Società, e la risposta non
possiamo che desumerla dalla legislazione più recente.
In tale nuovo “strato” legislativo, rappresentato soprattutto dalla
legislazione degli anni novanta (vedi l. 24.12.1993, n. 537; l. 15.3.1997, n.
59) ma anche dalla legislazione degli anni ottanta (vedi l. 23.8.1988, n.
400), che si aggiunge alle precedenti stratificazioni normative, si devono
cogliere i nuovi principi di riordinamento dell’organizzazione pubblica,
frutto ovviamente di scelte politiche che tengono conto della nuova realtà
61
internazionale ed europea e delle idee guida che oggi incontrano maggiori
consensi.
Questi nuovi principi di riordinamento dell’assetto amministrativo
della Repubblica, una volta bruscamente interrotto il processo di una vasta
revisione della Costituzione avviato con la legge costituzionale 24 gennaio
1997, n. 1 ed i lavori della c.d. “Bicamerale”, sono emersi attraverso la
legislazione ordinaria legata alle c.d. leggi “Bassanini” (legge 15 marzo
1997 n. 59; legge 15 maggio 1997 n. 127; e legge 16 giugno 1998 n. 191) e,
successivamente, a livello costituzionale, con l’emanazione della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, di modificazione del Titolo V della
Parte seconda della Costituzione e, quindi, con la successiva legislazione
ordinaria di attuazione e, in particolare, con la legge c.d. “La Loggia” (legge
5 giugno 2003, n. 131, modificata con l. 28.5.2004, n. 140 e poi con l.
27.12.2004, n. 306).
13. Il principio di sussidiarietà.
Tra i nuovi principi di riordinamento dell’organizzazione pubblica un
ruolo assolutamente principale assume il principio di sussidiarietà, che
abbiamo già ritrovato nell’art. 5 del Trattato UE.
Il principio di sussidiarietà è richiamato nell’art. 118, primo comma,
della Costituzione che dichiara: “…le funzioni amministrative sono
attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano
conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei
principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.”; nonché
nell’ultimo comma dello stesso articolo, che richiama il principio di
sussidiarietà come valevole a radicare la competenza dei cittadini in ordine
alla cura di interessi generali, stabilendo che: “…Stato, Regioni, Città
metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei
cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse
generale, sulla base del principio di sussidiarietà.”.
Con il richiamo del primo comma dell’art. 118, il principio di
sussidiarietà viene ad essere inteso come criterio di distribuzione delle
funzioni e dei compiti tra i vari livelli di amministrazione. La norma, quindi,
62
esprime la c.d. sussidiarietà verticale, in base alla quale la dislocazione
delle funzioni amministrative deve essere disposta imputando ciascuna
funzione al livello di governo più prossimo, in termini territoriali, ai
portatori degli interessi amministrati.
L’ultimo comma dell’art. 118, invece, esprime la c.d. sussidiarietà
orizzontale, e cioè il principio in base al quale va favorita la diretta
attribuzione di attività di interesse generale all’iniziativa dei cittadini,
singoli o associati. In questo modo si viene a riconoscere un ruolo
nell’assolvimento di compiti di interesse generale anche alle formazioni
sociali esterne all’organizzazione amministrativa dei vari enti pubblici
costituenti la Repubblica. Il principio di sussidiarietà, dunque, regola non
solo il modo di rapportarsi fra loro dei diversi enti pubblici rappresentativi
delle comunità locali, regionali e nazionale, ma anche le modalità attraverso
le quali ciascuna delle predette amministrazioni dialoga con le formazioni
sociali attraverso le quali il cittadino svolge la propria personalità.
Il principio di sussidiarietà “verticale” ed “orizzontale” comporta una
vera e propria rivoluzione copernicana nel modo di intendere i rapporti non
solo tra lo Stato e gli altri enti rappresentativi delle collettività regionali e
locali, ma anche tra enti pubblici e cittadini in ordine alla cura degli interessi
generali.
Più vicina al principio di sussidiarietà di cui all’art. 5 del Trattato UE
è, poi, la c.d. sussidiarietà sostitutiva, che trova riscontro nel dettato del
secondo comma dell’art. 120 Cost., il quale dispone: “Il Governo può
sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province
e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali
o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e
la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità
giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo
dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure
atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del
principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.”.
63
Infatti il principio di sussidiarietà, come criterio di sostituzione di un
livello di governo ad un altro è tipico dell’ordinamento comunitario. L’art.
5, comma 3, del Trattato UE 25.3.1957 detta:
“3. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione.”.
L’art. 118 Cost. trova un significativo precedente nell’art. 4, comma 3,
lett. a) della legge 15 marzo 1997, n. 59:
“a) il principio di sussidiarietà, con l'attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l'esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l'assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati.”.
Il nuovo art. 118 Cost., combinato con il dettato del nuovo art. 117,
viene a sancire, in coerenza col principio di sussidiarietà applicato alla
funzione amministrativa, la fine di quel parallelismo tra funzioni legislative
e funzioni amministrativa che si riscontrava nella vecchia formulazione
degli artt. 117 e 118 Cost.
In base alla nuova normativa, cioè, si deve ritenere che gli enti che
hanno potestà legislativa su una materia non necessariamente debbano avere
sulla medesima potestà amministrativa. Anzi, in linea di massima, si delinea
una ridistribuzione delle competenze, tra gli enti rappresentativi delle
comunità popolari, che vede nello Stato e nelle Regioni gli enti con compiti
preminentemente legislativi e solo “eccezionalmente” amministrativi, e nei
Comuni, nelle Province e nelle Città metropolitane gli enti ordinariamente
titolari dei compiti amministrativi.
14. Il principio di differenziazione.
Altri principi di riordinamento dell’organizzazione pubblica sono
quelli di “differenziazione”, di “adeguatezza” e di “leale collaborazione”.
64
L’art. 118, primo comma, della Costituzione, accanto al principio di
sussidiarietà richiama anche i principi di “differenziazione” e di
“adeguatezza”. Una definizione del principio di differenziazione viene
fornita dall’art. 4, comma 3, lett. h), della legge 15 marzo 1997, n. 59,
secondo cui detto principio impone al Legislatore di tenere conto
nell'allocazione delle funzioni delle diverse caratteristiche, anche
associative, demografiche, territoriali e strutturali, degli enti riceventi.
Quindi, le funzioni dovranno essere ripartite non già secondo regole
uniformi per categorie di enti (es. comuni, province ecc.), bensì
differenziando tra ente ed ente in base alle concrete caratteristiche di ciascun
ente ricevente.
15. Il principio di adeguatezza.
Il principio di differenziazione, definito come sopra, si ricollega
all’altro principio richiamato dall’art. 118, primo comma, il principio di
adeguatezza. Infatti la differenziazione, in sostanza, mira a consentire la
realizzazione del principio di adeguatezza e cioè a far si che il Legislatore
tenga conto dell’ idoneità organizzativa dell'amministrazione ricevente a
garantire, anche in forma associata con altri enti, l'esercizio delle funzioni ad
essa attribuite. (art. 4, comma 3, lett. g), della legge n. 59 del 1997).
16. Il principio di leale collaborazione.
Il Principio di leale collaborazione costituisce un principio cardine nel
nuovo sistema di organizzazione dell’amministrazione pubblica.
Esso è richiamato, insieme al principio di sussidiarietà, dall’art. 120,
comma 2, Cost. e può essere definito come dovere di collaborazione
reciproca nell’esercizio delle rispettive funzioni amministrative. Ciascun
ente titolare di funzioni amministrative (e, ove presenti, legislative) deve
esercitare le stesse relazionandosi lealmente con le altre amministrazioni
coinvolte nell’azione amministrativa.
Il necessario coordinamento tra le diverse strutture pubbliche, fino a
ieri realizzato soprattutto attraverso il vecchio principio della gerarchia, nel
nuovo assetto policentrico e autonomistico viene raggiunto attraverso
65
procedure dirette ad assicurare, mediante strumenti di leale collaborazione,
la partecipazione allo svolgimento concreto della funzione amministrativa
dei livelli di governo interessati.
17. Il nuovo rapporto Stato, Regioni, enti locali.
Il nuovo assetto della Repubblica derivante dalla riforma del Titolo V,
ispirato ai principi appena esposti, viene sancito dall’art. 114 Cost. che, al
primo comma, solennemente dichiara:
“La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città
metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.”
e, al secondo comma, aggiunge:
“I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti
autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla
Costituzione.”.
Infine, il terzo comma aggiunge una particolare disciplina per Roma
capitale:
“Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo
ordinamento”.
La nuova articolazione della Repubblica non comporta più una
ripartizione uniforme del territorio nazionale (per cui ogni punto del
territorio nazionale faceva parte di un comune, di una provincia, di una
regione). Infatti, a parte la disciplina speciale per Roma, alcune parti del
territorio nazionale fanno capo alle città metropolitane, altre alle province; e
ciò ha conseguenze anche sull’ordinamento di livello comunale, poiché i
comuni facenti parte di una provincia hanno competenze ben differenti da
quelli facenti parte di una città metropolitana.
Si abbandona quindi l’uniformità ispirata a principi di garanzia di
eguale trattamento, a favore di una eterogeneità ispirata ai principi di
differenziazione e di adeguatezza per una ottimale organizzazione delle
diverse realtà locali.
Tale nuovo criterio – peraltro già parzialmente presente nella vecchia
formulazione costituzionale attraverso le regioni a statuto speciale – trova
fondamento non solo nell’art. 114 Cost. ma anche nell’art. 116 che, dopo
66
avere confermato le Regioni a statuto speciale, al terzo comma stabilisce
che:
“…Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le
materie di cui al terzo comma dell’art. 117 e le materie indicate dal
secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente
all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite
ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione
interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’art. 119.
La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti
sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.”
La riportata disposizione, in sostanza, anche al di fuori dalle deroga
prevista per le Regioni a statuto speciale, permette di differenziare ciascuna
Regione ordinaria dalle altre, in risposta alle particolari esigenze locali.
Questo modello differenziato trova completamento anche nella
previsione contenuta nell’art. 117, comma 8, Cost. secondo cui le Regioni
possono dar luogo ad intese con altre Regioni per il migliore esercizio delle
proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni e dette intese
sono ratificate con legge regionale
Quindi non solo ciascuna Regione ordinaria può avere, sia pure entro
certi limiti, condizioni particolari di autonomia (art. 116, comma 3 Cost.),
ma alcune Regioni, con decisioni autonome che portano ad una loro
differenziazione rispetto alle altre Regioni, possono pervenire tra loro ad
intese con l’effetto di diversificarsi ulteriormente, esercitando le proprie
funzioni attraverso organi comuni che, in quanto tali, operano su aree
ultraregionali.
Questa nuova fase della autonomia regionale, tuttavia, almeno
nell’attuale assetto costituzionale – come ribadisce il secondo comma
dell’art. 114 Cost. – resta fermamente ancorata ai principi fondamentali
sanciti in materia dall’art. 5 Cost. che, come è noto:
a) dichiara la Repubblica, “una e indivisibile”;
b) riconosce e promuove, all’interno della Repubblica, le “autonomie
locali”;
67
c) impone all’apparato dello Stato “il più ampio decentramento
amministrativo”.
Quindi un modello fondato sulle autonomie locali e sul
decentramento statale (come esplicita l’ultima parte dell’art. 5 Cost.), ma
non su una forma federale.
L’assetto autonomistico viene rafforzato anche dall’applicazione del
principio di sussidiarietà. L’art. 117 Cost. sovverte il precedente riparto del
potere legislativo tra Stato e Regioni, delimitando in modo tassativo – anche
se attraverso elencazioni “trasversali” – la competenza legislativa esclusiva
dello Stato, ampliando la competenza concorrente, e riservando alle Regioni
la competenza c.d. “residuale”; in questo modo le Regioni (e non più lo
Stato) diventano gli enti titolari della potestà legislativa generale, poiché
vanno ad esse attribuite tutte le materie non contemplate dalle citate norme
costituzionali.
Il disegno è completato dal nuovo riparto tra Stato, Regioni e
autonomie locali minori della potestà regolamentare, nel senso di
attribuire allo Stato, salva la possibilità di delega alle regioni, la sola potestà
regolamentare relativa alle materie in cui ha competenza legislativa
esclusiva, dando alle Regioni la potestà regolamentare in tutte le altre
materie. Mentre ai comuni, alle province e alle città metropolitane viene
riservata la potestà regolamentare in ordine alla disciplina
dell'organizzazione ed allo svolgimento delle funzioni loro attribuite.
18. L’affiorare dell’“ordinamento comunitario” nella Costituzione ed il
ruolo delle Regioni.
E’ da segnalare che con la legge costituzionale n. 3 del 2001, di
riforma del Titolo V della Costituzione, per la prima volta viene richiamato
in Costituzione l’ordinamento comunitario.
Infatti, l’art. 117, primo comma, nell’indicare i limiti entro cui deve
essere esercitata la potestà legislativa (ordinaria), oltre al rispetto della
Costituzione, indica i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e
dagli obblighi internazionali. Inoltre, l’art. 117, al terzo comma, inserisce
tra le materie di legislazione concorrente i rapporti internazionali e con
68
l’Unione europea delle Regioni. Infine, al comma quinto, prevede che le
Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro
competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti
normativi comunitari e, poi, al comma nono, prevede che, sempre nelle
materie di sua competenza, la Regione può concludere accordi con Stati e
intese con enti territoriali interni ad altro Stato, sia pure “nei casi e con le
forme disciplinati da leggi dello Stato”.
La legge 5 giugno 2003 n. 131 di attuazione dell’art. 117 Cost., ha
quindi, previsto, che la Regioni e le Province autonome di Trento e di
Bolzano partecipano, nell'ambito delle delegazioni del Governo, alle attività
del Consiglio e dei gruppi di lavoro e dei comitati del Consiglio e della
Commissione europea (art. 5). Inoltre, ha previsto che le Regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria
competenza legislativa, possono concludere, con enti territoriali interni ad
altro Stato, intese dirette a favorire il loro sviluppo economico, sociale e
culturale, nonché a realizzare attività di mero rilievo internazionale,
dandone comunicazione preventiva alla Presidenza del Consiglio dei
ministri. Esse possono, altresì, concludere con altri Stati accordi esecutivi ed
applicativi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore, o accordi
di natura tecnico-amministrativa, o accordi di natura programmatica
finalizzati a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale, nel
rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario, dagli obblighi internazionali e dalle linee e dagli indirizzi di
politica estera italiana, nonché, nelle materie di cui all'articolo 117, terzo
comma, della Costituzione, dei principi fondamentali dettati dalle leggi
dello Stato.
19. Gli interventi di ammodernamento dell’organizzazione pubblica.
Per offrire una percezione anche solo “quantitativa” della vastità degli
interventi di ammodernamento legislativo dell’organizzazione pubblica
effettuati in seguito alla legge n. 59 del 1997 e successive, ricordiamo gli
ulteriori criteri considerati da detta legge di delega accanto ai già ricordati
69
principi di sussidiarietà, di adeguatezza e di differenziazione e l’elenco dei
decreti legislativi emanati.
Gli altri principi ispiratori del riordinamento dell’organizzazione
amministrativa si possono desumere dall’esame dei criteri imposti al
legislatore delegato dalla citata legge n. 59/1997:
il principio di completezza, nella attribuzione ad una struttura dei
compiti e delle funzioni amministrative e delle funzioni di
programmazione;
il principio di efficienza e di economicità, anche con la
soppressione delle funzioni e dei compiti divenuti superflui;
il principio di cooperazione tra Stato, regioni ed enti locali anche al
fine di garantire un'adeguata partecipazione alle iniziative adottate
nell'ambito dell'Unione Europea (coinvolgendo in questo modo tutti
i livelli politico amministrativi nelle iniziative europee);
i principi di responsabilità ed unicità dell'amministrazione, con
la conseguente attribuzione ad un unico soggetto delle funzioni e dei
compiti connessi, strumentali e complementari, cui si aggiunge il
principio di identificabilità in capo ad un unico soggetto anche
associativo della responsabilità di ciascun servizio o attività
amministrativa;
il principio di omogeneità, che comporta l’attenzione alle funzioni
già esercitate dal soggetto nella attribuzione ad esso di nuove
funzioni e compiti, in modo che si raggiunga una omogeneità
nell’ambito dello stesso livello di governo;
il principio della copertura finanziaria e patrimoniale dei costi
per l'esercizio delle funzioni amministrative;
il principio di autonomia organizzativa e regolamentare e di
responsabilità nell'esercizio delle funzioni e dei compiti
amministrativi conferiti.
Anche se, a prima vista, i principi sopra enumerati possono apparire
quasi “ovvi”, in realtà, essi sono innovativi laddove non danno più
prevalenza a finalità garantistiche e si distaccano dai principi di gerarchia e
di stretta legalità (realizzata attraverso le riserve di legge) venendo, nel loro
70
insieme, a disegnare un assetto generale dell'organizzazione amministrativa
della Repubblica che è oggettivamente diverso da quello tradizionale.
Quanto alle deleghe legislative sono da ricordare:
quelle in tema di trasferimenti di competenze a Regioni ed enti
locali, che ha dato luogo alla emanazione del d.lgs. 31 marzo 1998,
n. 112 di conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle regioni ed agli enti locali; cui è seguita, dopo l’adozione
della l.cost. n. 3 del 2001, la già ricordata legge 5 giugno 2003 n.
131;
quelle sul riordinamento delle attribuzioni della Conferenza
permanente per i rapporti Stato, regioni e della Conferenza Stato-
Città e autonomie locali, che ha portato alla adozione del d.lgs. 28
agosto 1997 n. 281;
quelle sulla razionalizzazione dell'ordinamento della Presidenza
del Consiglio dei ministri e dei Ministeri, anche attraverso il
riordino, la soppressione e la fusione di Ministeri, nonché di
amministrazioni centrali anche ad ordinamento autonomo, che ha
dato luogo all’emanazione dei d.lgs. 30 luglio 1999 nn. 300 e 303;
quelle per il riordinamento degli enti pubblici nazionali. Delega
esercitata con: d.lgs. 29.1.1998 n. 19; d.lgs. 9.1.1999 n. 1; ed anche:
d.lgs. 29.10.1999 n. 419; d.lgs. 18.11.1997 n. 426; d.lgs. 29.1.1998
n. 20; d.lgs. 23.4.1998 n. 134; d.lgs. 13.10.1998 n.373; d.lgs.
11.5.1999 n. 141; d.lgs. 17.8.1999 n. 304; d.lgs. 23.7.1999 n. 242;
d.lgs. 20.7.1999 n. 258; d.lgs. 20.7.1999 n. 273;
quelle volte a riordinare e potenziare i meccanismi e gli strumenti di
monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei
risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, che
hanno portato alla adozione del d.lgs. 30 luglio 1999 n. 286 (oggi
modificata dalla d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150);
quelle volte a riordinare e razionalizzare gli interventi diretti a
promuovere e sostenere il settore della ricerca scientifica e
tecnologica nonché gli organismi operanti in tale settore: d.lgs.
5.6.1998 n. 204; 30.1.1999 n. 19; d.lgs. 30.1.1999 n. 27; d.lgs.
71
30.1.1999 n. 36; d.lgs. 23.7.1999 n. 296; d.lgs. 27.7.1999 n. 297;
d.lgs. 29.9.1999 n. 381.
Peraltro, attraverso tali riforme non si è mirato a realizzare un assetto
nuovo ma statico, bensì a creare un modello dinamico, come tale soggetto
ad una revisione permanente, in base alla considerazione che
l’amministrazione va costantemente adeguata alle nuove esigenze della
società in trasformazione e migliorata.
A tal proposito è rilevante sottolineare che la legge n. 59 del 1997 (art.
20, mod. con l. 29.7.2003 n. 229) ha istituito un meccanismo di
semplificazione e di riassetto normativo e di delegificazione permanente
con cadenza annuale. In tal modo la disciplina di numerose materie è stata
devoluta ai regolamenti, e cioè a fonti più "flessibili" le cui modalità di
produzione offrono certamente al cittadino meno garanzie rispetto alla legge
(se non altro perché prodotte dal Governo e non dal Parlamento), ma che
sono però molto più facilmente modificabili e quindi consentono un più
rapido ed agevole aggiornamento (si dà così priorità alla "efficienza"
rispetto alla "garanzia", secondo una scala di valori opposta a quella cui si
ispira il meccanismo della "riserva di legge").
In attuazione di questa disposizione di legge sono state, nel corso di
questi anni, emanate numerose leggi (vedi la legge 8 marzo 1999, n. 50, c.d.
legge di semplificazione 1998; la legge 24 novembre 2000, n. 340, Legge di
semplificazione 1999; la legge 29 luglio 2003 n. 229, Legge di
semplificazione 2001; d.l. 25 giugno 2008, n. 112 conv. con mod. dall'art. 1,
comma 1, l. 6 agosto 2008, n. 133).
III.B) I Comuni, le Province e le Città metropolitane. Le Regioni.
20. I Comuni e le Province sono disciplinate dal d.lgs. 18 agosto
2000, n. 267, testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
Il Comune è l'ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura
gli interessi e ne promuove lo sviluppo (art. 3, comma 2).
72
La Provincia, ente locale intermedio tra Comune e Regione,
rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne
coordina lo sviluppo (art. 3, comma 3)7.
Come si è visto, in base all’art. 114, secondo comma Cost., i Comuni
e le Province, come le Città metropolitane e come le Regioni sono enti
autonomi con propri statuti, poteri e funzioni. Essi, dunque, sono competenti
a deliberare il proprio statuto (art. 6). A tale potestà si affianca anche una
potestà regolamentare nelle materie di propria competenza (art. 7. d.lgs.
267/2000).
Questi enti rappresentativi delle rispettive comunità locali (e quindi
con capacità di indirizzo politico), diversamente dallo Stato e dalle Regioni
e insieme alla Città metropolitane, esercitano soltanto funzioni
amministrative proprie o conferite con leggi statali o regionali.
Il d.lgs. n. 267/2000 disegna un’azione dei Comuni e delle Province
legata alla programmazione regionale, ove la Regione dovrebbe indicare gli
obiettivi generali della programmazione economico-sociale e territoriale
ripartendo a tal fine le risorse destinate al finanziamento del programma di
investimenti degli enti locali. Nel contempo i Comuni e le Province
dovrebbero concorrere alla determinazione degli obiettivi contenuti nei
piani e programmi dello Stato e delle Regioni e provvedere, per quanto di
propria competenza, alla loro specificazione ed attuazione.
Si è visto, come le nuove norme costituzionali hanno eliminato quel
principio, in precedenza seguito (vedi il vecchio art. 118 Cost.), secondo cui
laddove si aveva competenza legislativa, si aveva anche competenza
amministrativa. Oggi lo Stato e le Regioni dovrebbero svolgere soprattutto
funzioni legislative e programmatiche, le Province funzioni di
programmazione provinciale (vedi art. 20 d.lgs. 267/2000), restando le
funzioni amministrative attribuite in linea di principio ai Comuni (art. 118)
salvo che ragioni concrete non richiedano il loro conferimento ad altri livelli
di autonomia territoriale per assicurarne l'esercizio unitario, in base ai
principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
7 Va segnalato che in Sicilia, lo statuto speciale attribuisce alla Regione siciliana particolari poteri e le Province sono ‘province regionali’ (l.r. Sicilia n. 9/1986).
73
In questa direzione si muove la recente legislazione volta a ridurre il
numero delle Province e ad indirizzarne l’attività verso compiti di
programmazione. Così i commi 14,15 e 16 dell’art. 23 del d.l. 6.12.2011 n.
201 (conv. con mod. dall'art. 1, comma 1, l. 22 dicembre 2011, n. 214)
dettano:
“14. Spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo e di
coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati
con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
15. Sono organi di governo della Provincia il Consiglio provinciale ed il
Presidente della Provincia. Tali organi durano in carica cinque anni.
16. Il Consiglio provinciale è composto da non più di dieci componenti
eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della
Provincia. Le modalità di elezione sono stabilite con legge dello Stato entro
il 31 dicembre 2013.”.
Nei comuni derivati dalla fusione di più comuni possono essere
istituiti i c.d. ‘municipi’, cioè organismi di decentramento amministrativo
(art. 16 d.lgs. 267/2000). Si denominano, invece, ‘circoscrizioni’ le
articolazioni territoriali dei Comuni con popolazione superiore a 250.000
abitanti (vedi lett. b) del comma 186 dell’art. 2, della l. 23.12. 2009, n. 191,
come mod. dall'art. 1, comma 1-quater, lett. c), d.l. 25.1.2010, n. 2, conv.
con mod. dalla l. 26.3.2010, n. 42). Le circoscrizioni sono organismi di
partecipazione, di consultazione e di gestione di servizi di base, nonché di
esercizio delle funzioni delegate dal Comune (art. 17).
Gli organi di governo del Comune e della Provincia, come è noto,
sono costituiti dal Sindaco (ovvero dal Presidente della provincia), dalla
Giunta e dal Consiglio.
È inoltre prevista la possibilità che nello statuto comunale e in quello
provinciale sia prevista l'istituzione del difensore civico, (oggi però
soppresso a livello comunale dalla cit. l.n. 42/2010 per economie di spesa)
con compiti di garanzia dell'imparzialità e del buon andamento della
pubblica amministrazione comunale o provinciale, segnalando, anche di
propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze ed i ritardi
dell'amministrazione nei confronti dei cittadini.
74
In linea con i principi di sussidiarietà orizzontale e di partecipazione,
l’ordinamento degli enti locali prevede che i Comuni debbano valorizzare le
libere forme associative e promuovere, anche su base di quartiere o di
frazione, organismi di partecipazione popolare all'amministrazione locale.
L’art. 9 del d.lgs. 267/2000, prevede, inoltre, la possibilità per ciascun
elettore di far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e
alla provincia.
L'Italia ha 8.094 Comuni di cui, però, sono appena 150 circa quelli
che superano i 50.000 abitanti. Le Province sono 110 con 117 capoluoghi di
provincia (ciò perché vi sono 5 province con 2 capoluoghi (Pesaro e Urbino,
Olbia-Tempio, Medio Campidano, Ogliastra e Carbonia-Iglesias) ed 1
provincia con 3 capoluoghi (Barletta-Andria-Trani). In Val d’Aosta la
Regione svolge anche le funzioni della Provincia.
Quanto alle aree metropolitane, queste dovrebbero riguardare le zone
comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna,
Firenze, Roma, Bari, Napoli e Reggio Calabria. Da anni previste, le città
metropolitane non sono state ancora realizzate. Il decreto legge 6.7.2012, n.
95 le istituisce con decorrenza 1.1.2014.
21. Per le Regioni, sia ordinarie che a statuto speciale, possiamo
rinviare a quanto già esposto ai punti precedente e alle nozioni già acquisite
nello studio del diritto costituzionale, essendo le stesse disciplinate dalla
Costituzione e dai rispettivi statuti, che hanno valore di legge regionale
rafforzata.
Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 121 Cost. sono organi della Regione:
il Consiglio regionale, la Giunta e il suo Presidente.
Il Consiglio regionale esercita la potestà legislativa, mentre la potestà
regolamentare è di competenza del Consiglio o della Giunta, secondo la
previsione di ciascuno statuto.
Come stabilisce l’art. 121, la Giunta regionale è l’organo esecutivo
delle Regioni. Il Presidente della Giunta rappresenta la Regione; dirige la
politica della Giunta e ne è responsabile; promulga le leggi ed emana i
75
regolamenti regionali; dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato
alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica.
III.C) Le strutture di coordinamento.
22. Le Strutture di coordinamento dei livelli nazionali, regionali e locali.
Va registrata l'esistenza sia di strutture permanenti "di vertice" che
mirano a svolgere tale funzione di coordinamento, che di strutture
temporanee, che costituiscono uno strumento sempre più diffuso per rendere
più rapido l'esercizio coordinato di singole attività amministrative. Inoltre,
l’art. 117, comma 8, Cost. consente alle regioni di regolare con legge
regionale forme di coordinamento per la gestione di attività di propria
competenza, anche attraverso organi comuni.
23. La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome.
In attuazione della delega prevista dall’art. 7 della legge n. 59/1997 il
d.lgs. 28 agosto 1997 n. 281 ha ridisciplinato la Conferenza permanente per
i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome istituita dall'art. 12
delle legge 23.8.1988 n. 400, attribuendole maggiori compiti (vedi art. 2
d.lgs. cit.) e funzioni anche in merito ai rapporti tra regioni e Unione
Europea (vedi art. 5 d.lgs n. 281/97.).
Viene così, fra l'altro (vedi art. 2), attribuita a tale Conferenza, nel
rispetto delle competenze del CIPE, la promozione del coordinamento della
programmazione statale e regionale, anche riguardo all'esercizio dei servizi
pubblici gestiti da soggetti pubblici e privati, nonché la promozione e
sanzione delle intese e degli accordi tra Governo, Regioni e Province
autonome.
Infatti frequentemente la legislazione più recente prevede
procedimenti nei quali il provvedimento finale deve essere adottato dagli
organi statali, ma previa intesa con le regioni e con le province autonome di
Trento e di Bolzano.
76
Quanto agli accordi, l’art. 4 della legge n. 281/1997 prevede, come
espressione del principio di leale collaborazione, che Stato e regioni, nel
perseguimento di obiettivi di funzionalità, economicità ed efficacia
dell'azione amministrativa, possono concludere accordi sia al fine di
coordinare l'esercizio delle rispettive competenze che di svolgere attività di
interesse comune.
La Conferenza interviene anche in tema di determinazione dei criteri
di ripartizione delle risorse finanziarie che la legge assegna alle regioni, ed è
obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e di
decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di
competenza delle regioni o delle province autonome (si tratta, dunque, di un
parere obbligatorio anche se sottoposto ad un termine, trascorso il quale il
Governo potrà comunque procedere).
Accanto a tale parere obbligatorio, e previsto anche un parere
facoltativo: La Conferenza è sentita su ogni oggetto di interesse regionale
che il Presidente del Consiglio dei Ministri ritiene opportuno sottoporre al
suo esame, anche su richiesta della Conferenza dei presidenti delle regioni e
delle province autonome di Trento e di Bolzano.
Quanto ai rapporti con l'UE, invero, già il Trattato UE avverte la
necessità di un coordinamento tra le regioni d’Europa e di una
partecipazione alle scelte dell’Unione Europea anche da parte delle regioni
europee e tenta di rispondere a tale esigenza attraverso l’istituzione del
“Comitato delle regioni” (vedi artt. 305-307 Trattato funzionamento UE).
La Conferenza Stato-regioni designa i componenti regionali in seno
alla rappresentanza permanente italiana presso l'Unione europea, favorisce
la cooperazione tra la Cabina di regia nazionale e le Regioni al fine della
piena e tempestiva utilizzazione delle risorse comunitarie destinate all'Italia
ed interviene con poteri consultivi nella predisposizione degli atti
amministrativi dello Stato che, in materie di interesse regionale, danno
attuazione alle direttive comunitarie ed alle sentenze della Corte di giustizia
delle comunità europee.
77
La Conferenza, inoltre, dà parere obbligatorio sullo schema del
disegno di legge annuale che detta le disposizioni per l'adempimento di
obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea.
24. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali. La Conferenza
unificata.
L'art. 8 del d.lgs. n. 281/97 prevede, inoltre, la Conferenza Stato-città
ed autonomie locali, con funzioni nei rapporti tra Stato ed autonomie locali.
La Conferenza è presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri
(o, per sua delega, dal Ministro dell'interno o dal Ministro per gli affari
regionali) ed è costituita, oltre che da tali Ministri:
dal Ministro dell'economia e delle finanze,
dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti,
dal Ministro della salute,
dal presidente dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia -
ANCI,
dal presidente dell'Unione province d'Italia - UPI,
dal presidente dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti
montani - UNCEM,
da 14 sindaci designati dall'ANCI,
da 6 presidenti di provincia designati dall'UPI.
La Conferenza ha un ruolo di studio, informazione e confronto nelle
problematiche connesse agli indirizzi di politica generale che possono
incidere sulle funzioni proprie o delegate di province e comuni e comunità
montane e, in particolare, è sede di discussione ed esame dei problemi
relativi all'ordinamento ed al funzionamento degli enti locali e dei problemi
relativi alle attività di gestione ed erogazione dei servizi pubblici.
La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è unificata con la
Conferenza Stato-regioni per le materie ed i compiti di interesse comune
delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane.
La “Conferenza unificata” (Stato – regioni e Stato – città) per le
materie di interesse comune (artt. 8 e 9 d.lgs. n. 281/97), assume
deliberazioni, promuove e sancisce intese ed accordi, esprime pareri,
78
designa rappresentanti in relazione alle materie ed ai compiti di interesse
comune alle regioni, alle province, ai comuni e alle comunità montane.
Essa, inoltre, esprime parere sul disegno di legge finanziaria e sui disegni di
legge collegati, sul documento di programmazione economica e finanziaria
e sugli schemi di decreto legislativo adottati in base all'articolo 1 della legge
15.3.1997 n. 59.
25. Le Conferenze di servizi.
Le “Conferenze di servizi” di cui agli artt. 14 e segg. l.n. 241/90 e
succ. mod. rappresentano una nuova importante formula organizzativa di
raccordo a carattere non permanente per l’esame contestuale di vari interessi
pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo o in più procedimenti
connessi.
L’indizione di conferenze di servizi per l’esame contestuale di vari
interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, cui
partecipano rappresentanti di più enti ed amministrazioni pubbliche statali,
regionali o locali, rappresenta un efficace strumento per coordinare l'attività
amministrativa in un nuovo contesto di sempre più spinta autonomia politica
dei diversi enti componenti la Repubblica Italiana (ovvero, se si vuole, in un
contesto di c.d. federalismo amministrativo).
III.D) Le strutture comuni.
26. Le strutture comuni a servizio della Repubblica.
Il principio di efficienza coniugato con quello della autonomia (vedi
l'appena evocato c.d. federalismo amministrativo) degli enti rappresentativi
delle comunità locali, impone la presenza di strutture “serventi” le
amministrazioni statali, regionali e locali, che, pur operando a livello
nazionale, tuttavia possano più agevolmente essere “accettati” dalle diverse
autonomie politiche in quanto non si presentano come “uffici ed organi”
ministeriali, né come enti nazionali longa manus dei ministeri. In sostanza,
queste strutture comuni, almeno tendenzialmente, hanno caratteristiche tali
79
da evitare di essere interpretati da regioni, province e comuni, come
strumenti attraverso i quali lo Stato si riappropria di funzioni o di poteri di
direzione e controllo.
Esaminiamo, senza fini di completezza ma a titolo esemplificativo, tre
casi tra i più significativi di questo tipo di strutture comuni:
l’ISTAT ed il Sistema statistico nazionale (SISTAN) che ad esso
fa capo;
l’ARAN – Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche
amministrazioni;
L'Agenzia per l'Italia Digitale.
27. L’ISTAT e il Sistema Statistico Nazionale (SISTAN).
A norma dell’art. 117, co. 2, lett. r), della Costituzione rientra nella
legislazione esclusiva dello Stato il coordinamento statistico
dell'amministrazione statale, regionale e locale. L'informazione statistica
ufficiale è fornita al Paese e agli organismi internazionali attraverso il
Sistema statistico nazionale. Il Sistema Statistico Nazionale (SISTAN) è
integrato nel sistema statistico europeo ed ha al suo centro l’ISTAT (Istituto
nazionale di statistica), che è una persona giuridica di diritto pubblico (art.
14 d.lgs. 6.9.1989 n. 322 e d.P.R. 7.9.201, n. 166) sottoposta alla vigilanza
del Presidente del Consiglio dei Ministri, che vede tra i suoi organi
(composti secondo criteri di professionalità tecnica) oltre al Presidente, al
Consiglio e al Collegio dei revisori dei conti, un “Comitato per l’indirizzo
ed il coordinamento dell’informazione statistica” (art. 3 D.P.R. 7.9.2010, n.
166, Regolamento recante il riordino dell'Istituto nazionale di statistica) nel
quale sono presenti anche tre rappresentanti delle regioni e degli enti locali,
designati dalla Conferenza Unificata Stato, Regioni ed Enti locali. Certo tale
presenza, che mira a coinvolgere le regioni, rischia di essere solo simbolica,
ma si deve anche tener conto che si tratta di attività tecnica e, comunque,
anche i “simboli” hanno importanza.
Accanto all’ISTAT, il Sistema statistico nazionale (SISTAN) vede la
presenza di una “Commissione per la garanzia dell’informazione statistica
con compiti di vigilanza“(art. 12 l.n. 322/1989), istituita presso la
80
Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale esprime il proprio parere sul
Programma statistico nazionale, avente durata triennale, che viene
predisposto dall’ISTAT ed approvato con d.P.R. su proposta del Presidente
del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del CIPE (art.13 l.cit.). E’
nel programma statistico nazionale che vengono indicate le rilevazioni
statistiche di interesse pubblico affidate al Sistema e stabiliti i relativi
obiettivi.
Completano il SISTAN gli uffici di statistica (artt. 2) che devono
essere presenti nelle amministrazioni e negli enti pubblici. Gli uffici di
statistica delle amministrazioni centrali dello Stato e delle aziende autonome
sono posti alle dipendenze funzionali dell’Istat (art. 3, 1° comma), mentre
nei confronti degli uffici di statistica delle regioni l’Istat esercita poteri di
indirizzo e coordinamento tecnico (art. 5, comma 3).
I soggetti privati hanno obbligo di fornire dati statistici per le
rilevazioni statistiche, rientranti nel Programma statistico nazionale,
espressamente indicate con deliberazione del Consiglio dei Ministri.
E’ inutile sottolineare l’importanza dei flussi statistici per una
moderna gestione delle strutture pubbliche attenta ai risultati con obiettivi di
efficacia ed efficienza. Come indica l’art. 1 della legge n. 322/1989, si tratta
di disciplinare le attività di rilevazione, elaborazione, analisi e diffusione e
archiviazione dei dati statistici svolte dagli enti ed organismi pubblici di
informazione statistica, al fine di realizzare l'unità di indirizzo, l'omogeneità
organizzativa e la razionalizzazione dei flussi informativi a livello centrale e
locale.
28. L’ARAN.
L’ARAN – Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche
amministrazioni (vedi oggi l’art. 46 del d.lgs. 30.3.2001 n. 165 e il d.P.R.
25.1.1994 n. 144) ha personalità giuridica ed autonomia organizzativa,
gestionale e contabile.
L’Agenzia ha il fine di rappresentare le pubbliche amministrazioni per
la contrattazione a livello nazionale delle condizioni dell'impiego pubblico
allo scopo di assicurare che la disciplina contrattuale e le retribuzioni dei
81
dipendenti garantiscano il maggiore rendimento dei servizi pubblici per la
collettività con il minore onere per essa (art. 1, comma 2 d.P.R. n. 144/94).
L'ARAN, in tale veste, esercita a livello nazionale, sulla base degli indirizzi
ricevuti dalla amministrazioni ed attenendosi alle direttive impartite dal
Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei
ministri (che ha la vigilanza sull’ARAN), ogni attività relativa alle relazioni
sindacali, alla negoziazione dei contratti collettivi e alla assistenza delle
pubbliche amministrazioni ai fini dell'uniforme applicazione dei contratti
collettivi.
Le pubbliche amministrazioni esercitano il potere di indirizzo nei
confronti dell'ARAN (e le altre competenze loro attribuite nelle procedure di
contrattazione collettiva nazionale) attraverso le loro istanze associative o
rappresentative, le quali danno vita a tal fine a comitati di settore, cioè a
degli organismi collegiali costituiti per rappresentare categorie omogenee di
amministrazioni (sanità; ministeri, agenzia e P.C.M.; scuola; università;
autonomie locali; enti pubblici).
Tra gli organi dell’ARAN, oltre al Presidente ed al Comitato direttivo,
vi è il “Comitato di coordinamento”, che è costituito da quattordici
rappresentanti delle amministrazioni pubbliche comprese nei comparti di
contrattazione collettiva, designati dalla Conferenza dei presidenti delle
regioni e delle province autonome, dall'Associazione nazionale dei comuni
d'Italia (ANCI), dall'Unione delle province d'Italia (UPI), dall'Unione
nazionale comuni, comunità ed enti montani (UNCEM), dall'Unione delle
camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura (Unioncamere),
dalla Conferenza dei presidenti degli enti pubblici non economici, dalla
Conferenza dei presidenti delle istituzioni e degli enti di ricerca e
sperimentazione, dalla Conferenza permanente dei rettori delle università,
nonché dalla Conferenza dei direttori generali del personale dei Ministeri.
Una simile struttura appare indispensabile presupposto della
privatizzazione del rapporto di lavoro del personale burocratico, sia in
termini operativi, dovendo le pubbliche amministrazioni attrezzarsi in modo
nuovo per sostenere la contrattazione sindacale, sia in termini di
“mentalità”, essendo ben diversa la forma mentis richiesta per porre in
82
essere provvedimenti amministrativi rispetto a quella richiesta dal confronto
con i sindacati dei lavoratori.
29. L'Agenzia per l'Italia Digitale.
L'Agenzia per l'Italia Digitale è preposta alla realizzazione degli
obiettivi dell'Agenda digitale italiana, in coerenza con gli indirizzi elaborati
dalla Cabina di regia (di cui all'art. 47 del d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, conv.
con mod. dalla l. 4 aprile 2012, n. 35) e con l'Agenda digitale europea,
promuovendo a tale scopo la definizione e lo sviluppo di grandi progetti
strategici di ricerca e innovazione. Essa esercita le sue funzioni nei
confronti delle pubbliche amministrazioni allo scopo di promuovere la
diffusione delle tecnologie digitali nel Paese e di razionalizzare la spesa
pubblica. Infatti, a norma dell’art. 117, co. 2, lett. r), della Costituzione
rientra nella legislazione esclusiva dello Stato il coordinamento informatico
dell'amministrazione statale, regionale e locale.
Il d.l. 9.2.2012 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di
sviluppo), conv. con mod. dalla l. 4.4.2012, n. 35, all’art. 47, dichiara che il
Governo, nel quadro delle indicazioni dell'agenda digitale europea, di cui
alla comunicazione della Commissione europea COM (2010) 245
definitivo/2 del 26.8.2010, persegue l'obiettivo prioritario della
modernizzazione dei rapporti tra pubblica amministrazione, cittadini e
imprese, attraverso azioni coordinate dirette a favorire lo sviluppo di
domanda e offerta di servizi digitali innovativi, a potenziare l'offerta di
connettività a larga banda, a incentivare cittadini e imprese all'utilizzo di
servizi digitali e a promuovere la crescita di capacità industriali adeguate a
sostenere lo sviluppo di prodotti e servizi innovativi.
A tale fine l’art. 47 cit. prevede l’istituzione, con decreto del Ministro
dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la pubblica
amministrazione e la semplificazione, il Ministro per la coesione territoriale,
il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministro
dell'economia e delle finanze, di una cabina di regia per l'attuazione
dell'agenda digitale italiana, che deve coordinare gli interventi pubblici
volti alle medesime finalità da parte di regioni, province autonome ed enti
83
locali perseguendo, secondo le indicazioni sancite dall'agenda digitale
europea, fra l’altro, gli obiettivi di:
a) realizzazione delle infrastrutture tecnologiche e immateriali al
servizio delle «comunità intelligenti» (smart communities), finalizzate a
soddisfare la crescente domanda di servizi digitali in settori quali la
mobilità, il risparmio energetico, il sistema educativo, la sicurezza, la sanità,
i servizi sociali e la cultura;
b) promozione del paradigma dei dati aperti (open data) quale
modello di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico, al fine di
creare strumenti e servizi innovativi;
c) potenziamento delle applicazioni di amministrazione digitale (e-
government) per il miglioramento dei servizi ai cittadini e alle imprese, per
favorire la partecipazione attiva degli stessi alla vita pubblica e per
realizzare un'amministrazione aperta e trasparente.
L'Agenzia opera sulla base di principi di autonomia organizzativa,
tecnico-operativa, gestionale, di trasparenza e di economicità e persegue gli
obiettivi di efficacia, efficienza, imparzialità, semplificazione e
partecipazione dei cittadini e delle imprese. Per quanto non previsto dal d.l.
n. 83/2012 all'Agenzia si applicano gli articoli 8 e 9 del decreto legislativo
30 luglio 1999, n. 300 e cioè la disciplina delle agenzie paraministeriali
(sulle quali vedi par.45). Missione: la realizzazione dell'amministrazione
digitale.
Organi dell’Agenzia sono: a) il Direttore generale; b) il Comitato di
indirizzo; e c) il Collegio dei revisori dei conti. Il Direttore Generale è il
legale rappresentante dell'Agenzia, la dirige e ne è responsabile.
L’Agenzia, oltre al Presidente del Consiglio dei ministri (o suo
delegato), è sottoposta alla vigilanza di ben quattro ministri: il Ministro
dell'economia e delle finanze, il Ministro per la pubblica amministrazione e
la semplificazione, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
L'Agenzia per l'Italia Digitale ha incorporato il DigitPA (Ente
nazionale per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione) (d.lgs. 1
dicembre 2009, n. 177) che, a sua volta, in attuazione dell’art. 24 della l.
84
18.6.2009 n. 69, aveva riorganizzato il Centro nazionale per l'informatica
nella pubblica amministrazione (CNIPA), mutandone la denominazione in
DigitPA.
III.E) Le Autorità amministrative indipendenti.
30. Il ruolo delle Autorità amministrative indipendenti.
Il fenomeno delle Autorità amministrative indipendenti appare
particolarmente significativo per cogliere i nuovi aspetti della
organizzazione amministrativa della società italiana.
Invero, ci sembra innegabile che le Autorità indipendenti, o almeno
alcune di esse aventi effettivi poteri di amministrazione attiva (poiché sotto
tale denominazione si annoverano organismi molto diversi per poteri e per
compiti), rappresentano un nuovo modello organizzativo che la Costituzione
del 1948 non contempla perché risponde a problematiche, esigenze e
soluzioni che all’epoca, quantomeno in Italia, non si ponevano (anche se
una eccezione potrebbe essere costituita dal settore del credito e della
moneta che, con la riforma degli anni trenta del secolo scorso - frutto non
già della ideologia corporativa dell'epoca, ma delle esigenze di regolazione
del settore fatte emergere dalla crisi bancaria ed industriale - ha visto
operare la Banca d'Italia secondo moduli di autonomia e tipo di funzioni
che, se non altro dal punto di vista della indipendenza dal potere esecutivo,
sembrano assimilabili a quelli delle moderne Autorità indipendenti, anche se
con obiettivi non già di tutela della concorrenza e del mercato quanto di
garanzia della stabilità del sistema creditizio e monetario).
Come si è già avuto modo di segnalare, il modello "autorità
indipendente" sembra rispondere alle aspettative di una opinione pubblica,
evidentemente attualmente maggioritaria (altrimenti non si avrebbe il
fenomeno della proliferazione di simili Autorità!), che mostra di ritenere che
alcuni compiti amministrativi di interesse generale possano essere meglio
assolti da organismi che non siano parte del circuito politico-rappresentativo
tradizionale fondato sulla componente politico-partitica e che, dunque,
85
operino (il che vuol dire prendono delle decisioni amministrative) sulla base
di una legittimazione politica che - paradossalmente – trae forza e
fondamento nella conclamata indipendenza dal Governo e, in genere, nella
sua estraneità rispetto a quel circuito che costituisce il classico fondamento
di ogni legittimazione dei poteri amministrativi nel tradizionale modello di
“Stato di diritto”, il circuito partiti-parlamento-governo.
La legittimazione delle autorità amministrative indipendenti, infatti,
non si fonda sul loro collegamento agli organi di rappresentanza politica, ma
al contrario, sulla “indipendenza” dei componenti sia rispetto ai poteri
politici pubblici che ai c.d. poteri privati, e sembra radicarsi nella “notoria”
alta competenza tecnica delle persone fisiche chiamate a comporre
l’Autorità, nella loro probità ed indipendenza di giudizio, e nella
trasparenza della loro azione.
Le c.d. Autorità amministrative indipendenti, infatti, pur
collocandosi, in quanto organismi amministrativi operanti su base nazionale,
all'interno dell'organizzazione amministrativa statale, tuttavia si
caratterizzano per essere indipendenti dal Governo ed estranee al sistema
Stato - Regioni - Province - Città metropolitane - Comuni.
L'indipendenza dal Governo, se si sposa con l'attribuzione di funzioni
di amministrazione attiva, costituisce un fattore "rivoluzionario", in quanto
viene a rompere quel sistema di garanzia del cittadino nei confronti della
P.A., di cui abbiamo più volte parlato nella prima parte delle lezioni, e che
si fonda sulla dipendenza dell'Amministrazione dal Governo e, a sua volta,
sulla dipendenza del Governo e del potere amministrativo dal Parlamento e
dal potere legislativo (che, ricordiamo ancora una volta, si realizza ex post
con la responsabilità politica dell'esecutivo nei confronti del Parlamento e,
quindi, con la possibilità per quest'ultimo di sanzionare l'azione del Governo
mediante la sfiducia).
Infatti, l’indipendenza di un organo amministrativo dotato di potere di
amministrazione attiva dal Potere esecutivo e da qualsiasi altro potere
politico rappresentativo della comunità popolare, (come le Regioni, le
Province ed i Comuni), sembra confliggere con il disegno costituzionale del
86
1948 e, in particolare, con i principi di direzione e di responsabilità del
Governo sull’azione amministrativa desumibili dall’art. 95 Cost.
Certo, l’art. 100, ultimo comma, della Costituzione prevede che il
Consiglio di Stato e la Corte dei conti, pur nella loro funzione di “organi
ausiliari” del Governo, siano indipendenti di fronte al Governo. Ma, a parte
il dato di fatto che i componenti dei due organi fanno parte della
magistratura, è assorbente la considerazione che, in base all'art. 100 Cost., la
loro funzione, rispettivamente di consulenza giuridico-amministrativa e di
controllo, non comporta compiti di amministrazione attiva, bensì l'adozione
di giudizi, in sede consultiva o di controllo, sulla conformità dell’azione
amministrativa alla legge, e questo tipo di attività non comporta scelte
politico-amministrative che, in quanto tali, secondo il modello dell’art. 95
Cost., devono restare sotto la direzione e la responsabilità politica del
Governo.
Né il fenomeno delle Autorità amministrative indipendenti si riallaccia
alla relativamente recente tendenza, presente nel nostro panorama
amministrativo, di far partecipare il Parlamento (cioè il potere legislativo)
alla attività amministrativa (si pensi ai provvedimenti che la Commissione
bicamerale per l'indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi adotta in
materia di accesso alle trasmissioni c.d. "autogestite"), poiché le Autorità
indipendenti non possono considerarsi "dipendenti" dal Parlamento anziché
dal Governo. Infatti, anche se di frequente la legge attribuisce al Parlamento
(o ai Presidenti della Camera e del Senato) la nomina dei componenti le
Autorità indipendenti, ciò avviene unicamente allo scopo di sottrarre tale
potere al Governo (che è il tradizionale titolare di simili poteri) al fine di
garantire l'indipendenza dell'Autorità dal Governo, e non già per creare una
posizione di dipendenza dell'Autorità stessa dall'indirizzo politico del
Parlamento, come conferma il fatto che il potere di nomina non è
accompagnato da alcun altro potere del Parlamento nei confronti
dell’Autorità volto a realizzare una dipendenza dell'Autorità dagli indirizzi
politici del Parlamento (es.: poteri di direttiva, di revoca).
87
31. Le principali Autorità amministrative indipendenti.
La denominazione di “Autorità amministrativa indipendente” viene
comunemente utilizzata per indicare molteplici organismi8, che possono
essere così raggruppati:
I. Vi sono organismi, sia pure aventi competenze e poteri molto diversificati,
ormai universalmente riconosciuti come appartenenti alla categoria delle
Autorità indipendenti, quali:
- l’Autorità garante della concorrenza e del mercato - AGCM (1egge
10.10.1990 n. 287);
- la Commissione nazionale per le società e la borsa - CONSOB (d.l.
8.4.1974 n. 95 conv. 1. 7.6.1974 n. 216 e d.lgs. 24.2.1998 n.58);
- il Garante per la protezione dei dati personali (legge 31.12.1996 n.
675);
- l’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni – IVASS (art. 13 d.l.
6.7.2012 n. 95 conv. con mod. dalla l. 7.8.2012 n. 135);
8 L’art. 23 del d.l. 6.12.2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), al fine di perseguire il contenimento della spesa complessiva per il funzionamento delle Autorità amministrative indipendenti, è intervenuto a ridurre il numero dei componenti delle singole autorità amministrative indipendenti. In base a tale disposizione il numero dei componenti:a) del Consiglio dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è ridotto da otto a quattro, escluso il Presidente. Conseguentemente, il numero dei componenti della commissione per le infrastrutture e le reti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è ridotto da quattro a due, escluso il Presidente, e quello dei componenti della commissione per i servizi e i prodotti della medesima Autorità è ridotto da quattro a due, escluso il Presidente;b) dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture è ridotto da sette a tre, compreso il Presidente;c) dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas è ridotto da cinque a tre, compreso il Presidente; d) dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato è ridotto da cinque a tre, compreso il Presidente; e) della Commissione nazionale per la società e la borsa è ridotto da cinque a tre, compreso il Presidente; f) del Consiglio dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (oggi IVASS) è ridotto da sei a tre, compreso il Presidente; g) della Commissione per la vigilanza sui fondi pensione è ridotto da cinque a tre, compreso il Presidente; h) della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche è ridotto da cinque a tre, compreso il Presidente; i) della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali è ridotto da nove a cinque, compreso il Presidente.
88
- la Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sull'esercizio
del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali (1egge
12.6.1990 n.146 modificata dalla legge 11.4.2000 n. 83);
- l’ Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture - AVCP (art. 6 d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, Codice dei
contratti pubblici);
- le Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità (legge
14.11.1995 n. 481), che sono costituite da:
- l’ Autorità per l'energia elettrica ed il gas - AEEG (art. 3 l.n.
481/95),
- l’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni (legge 31.7.1997,
n. 249) e
- l’Autorità di regolazione dei Trasporti (art. 37 d.l. n. 201/2011);
- la Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e
l'integrità delle amministrazioni pubbliche - CiVIT, che opera anche
quale Autorità nazionale anticorruzione (art. 13 d.lgs. 27.10.2009 n.
150 e art. 1, comma 2, l. 6.11.2012 n. 190);
- la Commissione di vigilanza sui fondi pensione – COVIP (d.lgs.
21.4.1993 n. 124).
II. Infine vi è un ente, molto meno recente, ma che ha caratteristiche, funzioni
e posizioni che sembra possano farlo annoverare a buon diritto tra le più
importanti “autorità indipendenti”, ci riferiamo alla Banca d'Italia (art. 19
l. 28.12.2005, n. 262; r.d. 11.6.1936 n. 1067; d.lgs. 1.9.1993 n. 385).
Dalla normativa disciplinante le singole Autorità amministrative
indipendenti sembra emergere un panorama molto vario che fa ritenere
necessario distinguere i singoli casi, per individuare più distinti ruoli affidati
alle c.d. autorità amministrative indipendenti. Tale diversità, peraltro, non
va considerata negativamente; anzi, se porta a respingere la possibilità di
ricostruire un unico ed unitario modello organizzativo che ricomprenda tutte
le c.d. autorità indipendenti, la constatazione della molteplicità di ruoli
attribuiti alle autorità indipendenti risulta a maggior ragione significativa ai
fini della nostra ricerca, la quale mira a descrivere quanto multiforme sia
89
diventato il panorama della organizzazione amministrativa della società
italiana. Infatti, ci consente di individuare non un solo nuovo modello, ma
più modelli organizzativi, certamente molto diversi tra loro ma tutti originali
e molto interessanti in quanto miranti a rispondere in forme nuove alle
molteplici esigenze di una moderna società civile.
Invero, non sembra possa parlarsi di un unico modello perché l'unico
carattere comune a tutti gli organismi sopra esaminati sembra essere
costituito dalla particolare importanza che viene attribuita alla
"indipendenza di giudizio" dei loro componenti. Tuttavia, tale comune
requisito minimo, anche se resta un elemento apprezzabile nella lettura del
ruolo degli organismi in esame, sembra troppo poco caratterizzante per
potere basare su di esso l’individuazione di un modello unitario. Infatti,
"indipendenza di giudizio" non sempre vuol dire "indipendenza dal
Governo" e, quindi, almeno in alcuni casi, tale caratteristica sembra rifluire
nell’ambito di quella "imparzialità" che l'art. 97 Cost. pone come comune
requisito della Pubblica Amministrazione, rendendola inidonea a fungere da
“minimo comune denominatore” di un particolare modello organizzativo.
Non a caso la legge attribuisce “indipendenza di giudizio” anche
all’Agenzia per l’Italia digitale, che utilizza la sua indipendenza per
svolgere in modo autorevole funzioni di razionalizzazione della
informatizzazione all’interno delle amministrazioni pubbliche (tanto che il
predecessore di tale organismo originariamente era stato denominato
“Autorità per l’informatica nella p.a.” - AIPA).
32. L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture.
Nel caso dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture (art. 6 d.lgs. 12.4.2006, n. 163 ‘codice contratti
pubblici’ e art. 2, comma 85 d.l. 3.10.2006, n. 262, conv. in l. 24.11.2006, n.
286), l’indipendenza dal Governo si esprime in attività che non comportano
lo svolgimento di compiti decisionali di amministrazione attiva e, quindi,
non danno luogo a forme di indirizzo politico-amministrativo, sia pure ad
alto contenuto tecnico. Infatti, in questo caso, l'indipendenza di giudizio si
90
coniuga con funzioni essenzialmente di vigilanza e di garanzia della qualità,
della efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa nel settore degli
appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, senza dare luogo a poteri che
possano assimilarsi a compiti di amministrazione attiva e/o di regolazione
del settore.
Nella nostra tradizione mancava un organismo istituzionalmente
preposto ad assistere l’attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni,
attraverso una continuativa attività di raccolta e di diffusione di dati rilevanti
per una ottimale gestione dei contratti di appalto di lavori, servizi e
forniture, come anche un organismo indipendente, dotato di poteri di
ispezione e di vigilanza non esclusivamente giuridico formale sulla attività
contrattuale pubblica. A ciò ha posto riparo la istituzione dell’Autorità in
esame, cui è collegato un “Osservatorio” sui contratti pubblici.
L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture è organo collegiale costituito – quando sarà a regime secondo la
citata modifica del 2012 – non più da sette, ma da tre membri, Presidente
compreso, nominati con determinazione adottata d’intesa dai Presidenti
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. I membri
dell’Autorità, al fine di garantire la pluralità delle esperienze e delle
conoscenze, sono scelti tra personalità che operano in settori tecnici,
economici e giuridici con riconosciuta professionalità. L’Autorità sceglie il
presidente tra i propri componenti e stabilisce le norme sul proprio
funzionamento. I membri dell’Autorità durano in carica cinque anni e non
possono essere confermati.
Nell’ambito dell’Autorità opera l’Osservatorio dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture, composto da una sezione centrale e da
sezioni regionali aventi sede presso le regioni e le province autonome.
L’Osservatorio:
provvede alla raccolta e alla elaborazione dei dati informativi
concernenti i contratti pubblici su tutto il territorio nazionale e, in
particolare, di quelli concernenti i bandi e gli avvisi di gara, le
aggiudicazioni e gli affidamenti, le imprese partecipanti, l'impiego
della mano d'opera e le relative norme di sicurezza, i costi e gli
91
scostamenti rispetto a quelli preventivati, i tempi di esecuzione e le
modalità di attuazione degli interventi, i ritardi e le disfunzioni;
determina annualmente costi standardizzati per tipo di lavoro e per
tipo di servizio e fornitura in relazione a specifiche aree territoriali;
pubblica semestralmente i programmi triennali dei lavori pubblici
predisposti dalle amministrazioni aggiudicatrici e l'elenco dei
contratti pubblici affidati;
cura l’elaborazione di prospetti statistici.
L’Autorità, cui la legge attribuisce indipendenza funzionale, di
giudizio e di valutazione, nonché autonomia organizzativa, oltre a
sovrintendere all'attività dell'Osservatorio dei contratti pubblici svolge i
seguenti compiti:
a) nei riguardi del Governo e del Parlamento, deve segnalare (con apposita
comunicazione) fenomeni particolarmente gravi di inosservanza o di
applicazione distorta della normativa sui contratti pubblici e, comunque,
deve presentare una relazione annuale nella quale si evidenziano le
disfunzioni riscontrate nel settore dei contratti pubblici (esemplificando:
frequenza del ricorso a procedure non concorsuali ovvero a sospensioni
dell’esecuzione o a varianti in corso di esecuzione; eventuali
inadeguatezze della pubblicità degli atti o scostamenti dai costi
standardizzati; sviluppo anomalo del contenzioso ecc.);
b) nei riguardi del Governo, ha altresì il compito di formulare proposte in
ordine alle modifiche occorrenti per migliorare la legislazione sui
contratti pubblici di lavori, servizi, forniture e, in particolare, di
formulare al Ministro delle infrastrutture proposte per la revisione del
regolamento di esecuzione ed attuazione del codice dei contratti pubblici;
c) vigila sui contratti pubblici, anche di interesse regionale, di lavori, servizi
e forniture nei settori ordinari e nei settori speciali, al fine di garantire
l’osservanza dei principi generali fissati dall’art. 2 del codice dei contratti
pubblici e, in particolare, il rispetto dei principi di correttezza e
trasparenza delle procedure di scelta del contraente, e di economica ed
efficiente esecuzione dei contratti, nonché il rispetto delle regole della
concorrenza nelle singole procedure di gara;
92
d) vigila sul sistema di qualificazione degli operatori economici che
contrattano con le Amministrazioni pubbliche, con il potere,
nell’esercizio di tale vigilanza, di annullare, in caso di constatata inerzia
degli organismi di attestazione, le attestazioni rilasciate in difetto dei
presupposti stabiliti dalle norme vigenti, nonché sospendere, in via
cautelare, dette attestazioni;
e) su iniziativa della stazione appaltante e di una o più delle altre parti,
esprime parere non vincolante relativamente a questioni insorte durante
lo svolgimento delle procedure di gara, eventualmente formulando una
ipotesi di soluzione;
f) promuove la realizzazione di un collegamento informatico con le stazioni
appaltanti, nonché con le regioni, al fine di acquisire informazioni in
tempo reale sui contratti pubblici, garantendo l'accesso generalizzato,
anche per via informatica, ai dati raccolti e alle relative elaborazioni;
g) nell'ambito della propria attività ha il potere di richiedere alle stazioni
appaltanti, agli operatori economici esecutori dei contratti, nonché ad
ogni altra pubblica amministrazione e ad ogni ente, anche regionale,
operatore economico o persona fisica che ne sia in possesso, documenti,
informazioni e chiarimenti relativamente ai lavori, servizi e forniture
pubblici, nonché ha il potere di disporre ispezioni;
h) ha la competenza ad irrogare sanzioni pecuniarie, commisurate al valore
del contratto pubblico cui le violazioni si riferiscono, ai soggetti che
rifiutino od omettano, senza giustificato motivo, di fornire le
informazioni o di esibire documenti, ovvero che forniscano informazioni
o esibiscano documenti non veritieri.
L’art. 64 bis, comma 4 bis, aggiunto dal d.l. 13.5.2011, n. 70 (art. 4,co. 2
lett. h) ha attribuito all’AVCP anche l’approvazione dei bandi-tipo sulla
base dei quali le stazioni appaltanti dovranno predisporre i bandi per le
gare pubbliche.
Infine, le norme prevedono espressamente che restano salve, anche
con riferimento al settore dei contratti pubblici, le competenze delle altre
Autorità amministrative indipendenti e che l’Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici, qualora accerti l'esistenza di irregolarità, deve trasmettere
93
gli atti e i propri rilievi ai competenti organi di controllo e, se le irregolarità
hanno rilevanza penale, agli organi giurisdizionali competenti. Inoltre, ove
sia stato provocato un pregiudizio per il pubblico erario, gli atti e i rilievi
devono essere trasmessi anche ai soggetti interessati e alla procura generale
della Corte dei conti.
Dunque, attraverso l’azione di questa Autorità si intende coprire
esigenze nuove e diverse rispetto a quelle soddisfatte attraverso le
preesistenti strutture pubbliche. L’Autorità per la vigilanza si aggiunge, ma
non si sostituisce, a quella degli altri organi di vigilanza amministrativa
previsti per gli enti pubblici e per le amministrazioni statali, regionali,
provinciali e comunali, né alle competenze dell’Autorità garante della
concorrenze e del mercato, né, a maggior ragione, alla giurisdizione civile,
penale, amministrativa e contabile.
33. La Commissione di Garanzia per l'esercizio del diritto di sciopero
nei servizi pubblici essenziali.
Nel caso della Commissione di Garanzia per l'esercizio del diritto
di sciopero nei servizi pubblici essenziali – CGS (art. 12, legge 12.6.1990,
n. 146 e succ. mod.) siamo di fronte ad un organismo che risponde a un
ruolo ancora diverso. La Commissione è istituita al fine di valutare l'idoneità
delle misure volte ad assicurare il contemperamento dell'esercizio del diritto
di sciopero nei servizi pubblici essenziali9 con il godimento dei diritti della
persona, costituzionalmente tutelati.
La Commissione, cui spetta di eleggere nel suo seno il presidente, è
composta secondo la citata modifica del 2012 – da cinque membri, scelti, su
designazione dei Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica, tra esperti in materia di diritto costituzionale, di diritto del
lavoro e di relazioni industriali, e nominati con decreto del Presidente della
9 L’art. 1 della legge n. 146/90 provvede a definire la nozione ai fini della applicazione della legge stessa: “...sono considerati servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla libertà di comunicazione.”
94
Repubblica. Essa dura in carica per sei anni e i suoi membri possono essere
confermati una sola volta (art. 12, comma 2, l. 12.6.1990, n. 146 come
modificato, da ultimo, dall’art. 1, d.l. 30.12.2009, n. 194).
L'indipendenza della Commissione serve a consentire a questa
Autorità di svolgere un ruolo di mediazione tra lavoratori e datori di lavoro
privati e pubblici per il contemperamento del diritto di sciopero con le
esigenze dell'utenza nei servizi pubblici essenziali. In questo caso
l'indipendenza è un elemento essenziale, poiché la stessa pubblica
amministrazione, insieme ai lavoratori, diviene, direttamente o
indirettamente, uno dei soggetti destinatari dell'intervento di mediazione.
Il tentativo è quello di garantire una soluzione “concordata” dei
problemi legati allo sciopero. Le amministrazioni e le imprese erogatrici dei
servizi, nel rispetto del diritto di sciopero e delle finalità sopra indicate ed in
relazione alla natura del servizio ed alle esigenze della sicurezza, nonché
alla salvaguardia dell'integrità degli impianti, concordano, nei contratti
collettivi, negli accordi sindacali o nei regolamenti di servizio, prestazioni,
modalità e procedure di erogazione indispensabili che sono tenute ad
assicurare (es.: astensione dallo sciopero di quote di lavoratori; forme di
erogazione periodica comunque assicurate; intervalli minimi da osservare
tra l'effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo). Inoltre
nei contratti o accordi collettivi devono essere previste procedure di
raffreddamento e di conciliazione, obbligatorie per entrambe le parti, da
esperire prima della proclamazione dello sciopero.
Le suddette determinazioni pattizie ed i regolamenti di servizio
nonché i codici di autoregolamentazione e le regole di condotta devono
essere dagli interessati comunicati tempestivamente alla Commissione che
ne valuta l'idoneità ai fini del contemperamento del diritto di sciopero con il
godimento dei diritti della persona, anch’essi costituzionalmente tutelati,
intervenendo a dettare una provvisoria regolamentazione qualora le
prestazioni indispensabili non siano previste dai contratti o accordi collettivi
o dai codici di autoregolamentazione, ovvero, se previste, non siano valutate
idonee.
95
Accanto a tale compito, la Commissione esercita diverse altre funzioni
(art. 13 della legge n. 146/90):
- esprime, a richiesta o d’ufficio, il proprio giudizio sulle questioni
interpretative o applicative dei contenuti degli accordi o codici di
autoregolamentazione per la parte di propria competenza e, su richiesta
congiunta delle parti interessate, può emanare un lodo sul merito della
controversia;
- nel caso di conflitti di particolare rilievo nazionale può invitare, con
apposita delibera, i soggetti che hanno proclamato lo sciopero a differire la
data dell'astensione dal lavoro per il tempo necessario a consentire un
ulteriore tentativo di mediazione;
- indica ai soggetti interessati eventuali violazioni delle disposizioni relative
al preavviso, alla durata massima, all'esperimento delle procedure
preventive di raffreddamento e di conciliazione, ai periodi di franchigia, agli
intervalli minimi tra successive proclamazioni, e ad ogni altra prescrizione
riguardante la fase precedente all'astensione collettiva, e può invitare, con
apposita delibera, i soggetti interessati a riformulare la proclamazione in
conformità alla legge e agli accordi o codici di autoregolamentazione
differendo l'astensione dal lavoro ad altra data;
- segnala all'autorità competente le situazioni nelle quali dallo sciopero o
astensione collettiva può derivare un imminente e fondato pericolo di
pregiudizio ai diritti della persona costituzionalmente tutelati e formula
proposte in ordine alle misure da adottare con l'ordinanza che l’art. 8 della
legge stessa prevede possa essere adottata dal Prefetto (non dalla
Commissione) per prevenire il predetto pregiudizio;
- se rileva comportamenti illegittimi delle amministrazioni o delle imprese
che erogano i servizi pubblici essenziali che comunque possano determinare
l'insorgenza o l'aggravamento di conflitti in corso, invita, con apposita
delibera, le amministrazioni o le imprese a desistere dal comportamento e ad
osservare gli obblighi derivanti dalla legge o da accordi o contratti collettivi;
- delibera le sanzioni amministrative pecuniarie previste dall’art. 4 della
legge n. 146/90 in caso di inadempienze o violazioni degli obblighi che
derivano dalla legge, dagli accordi o contratti collettivi sulle prestazioni
96
indispensabili o dalle altre misure di contemperamento e prescrive al datore
di lavoro di applicare le eventuali sanzioni disciplinari.
Dalle relazioni della Commissione si ricava la particolare importanza
della attività preventiva svolta dalla Commissione anche attraverso la
adozione di alcune deliberazioni interpretative volte ad individuare le regole
applicabili allo sciopero generale, nonché agli scioperi riguardanti una
pluralità (ma non la totalità) di settori, ovvero riguardanti tutti i servizi
pubblici, ma in ambiti territoriali limitati. L’attività interpretativa della
Commissione, peraltro, normalmente si svolge attraverso pronunce più
puntuali, ad esempio, in ordine alla individuazione delle attività
direttamente o indirettamente funzionali alla erogazione di un servizio
pubblico, ai fini dell’applicazione delle regole sull’esercizio del diritto di
sciopero. Si tratta di problematiche che, come rilevano le relazioni della
Commissione, inevitabilmente risentono dei mutamenti che intervengono
nel contesto economico e sociale di riferimento e, che, quindi, richiedono
una costante e continuativa attenzione da parte della Commissione e che non
potrebbero certo essere risolte moltiplicando le normative.
34. Il Garante per la protezione dei dati personali.
Ancora diverso è il ruolo del Garante per la protezione dei dati
personali, istituito con la legge n. 675 del 1996 ed oggi disciplinato dagli
art. 153 e segg. del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, codice in materia di
protezione dei dati personali.
Il Garante, che opera in piena autonomia e con indipendenza di
giudizio, è un organo collegiale costituito da quattro componenti, eletti due
dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica con voto
limitato. I componenti sono scelti tra persone che assicurano indipendenza e
che sono esperti di riconosciuta competenza delle materie del diritto o
dell'informatica, garantendo la presenza di entrambe le qualificazioni.
I componenti eleggono nel loro ambito un presidente, il cui voto
prevale in caso di parità. Eleggono altresì un vice presidente, che assume le
funzioni del presidente in caso di sua assenza o impedimento.
97
Il presidente e i componenti durano in carica quattro anni e non
possono essere confermati per più di una volta.
Il “codice” si prefigge di garantire che il trattamento dei dati personali
si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della
dignità dell'interessato, con particolare riferimento alla riservatezza,
all'identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali.
Dopo avere dettato una normativa generale in tema di tutela delle
persone nel trattamento dei dati personali, il codice affida al Garante una
serie di competenze (pareri, autorizzazioni) che mirano a disciplinare in
concreto il trattamento dei dati sensibili mediando tra diritto alla
riservatezza ed altri diritti ed interessi (dal diritto di impresa al diritto alla
salute).
L’art. 154, primo comma, del codice elenca i compiti affidati in via
generale al Garante:
- controllare se i trattamenti sono effettuati nel rispetto della disciplina
applicabile e in conformità alla notificazione, anche in caso di loro
cessazione e con riferimento alla conservazione dei dati di traffico;
- esaminare i reclami e le segnalazioni e provvedere sui ricorsi presentati
dagli interessati o dalle associazioni che li rappresentano;
- prescrivere anche d'ufficio ai titolari del trattamento le misure necessarie o
opportune al fine di rendere il trattamento conforme alle disposizioni
vigenti;
- vietare anche d'ufficio, in tutto o in parte, il trattamento illecito o non
corretto dei dati o disporne il blocco;
- promuovere la sottoscrizione di codici deontologici;
- segnalare al Parlamento e al Governo l'opportunità di interventi normativi
richiesti dalla necessità di tutelare i diritti e le libertà fondamentali di cui
all'art. 2 del codice (i diritti e le libertà fondamentali, nonché i diritti alla
dignità dell'interessato, con particolare riferimento alla riservatezza,
all'identità personale e alla protezione dei dati personali), anche a seguito
dell'evoluzione del settore;
- esprimere pareri nei casi previsti;
98
- curare la conoscenza tra il pubblico della disciplina rilevante in materia di
trattamento dei dati personali e delle relative finalità, nonché delle misure di
sicurezza dei dati;
- denunciare i fatti configurabili come reati perseguibili d'ufficio, dei quali
viene a conoscenza nell'esercizio o a causa delle funzioni;
- tenere il registro dei trattamenti formato sulla base delle notificazioni di
cui all'articolo 37 (norma che in determinati casi impone la notificazione dei
trattamenti di dati personali al Garante);
- predisporre annualmente una relazione sull'attività svolta e sullo stato di
attuazione del presente codice, che è trasmessa al Parlamento e al Governo
entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello cui si riferisce.
I poteri di autorizzazione all'uso di dati sensibili che, ad esempio, l'art.
26 del codice attribuisce al Garante, come anche molti degli altri poteri
sopra ricordati, sembrano legittimare la tesi che il Garante non solo venga
ad esercitare poteri di amministrazione attiva, ma poteri amministrativi che
si caratterizzano per avere un contenuto altamente discrezionale, in quanto
scarsamente delimitato da norme e regolamenti.
Inoltre, va segnalata l’importanza della tutela dinanzi al Garante, che
può essere anche alternativa a quella giurisdizionale (art. 145 cod.). In
questo modo il codice sembra attribuire al Garante il compito, su richiesta
degli interessati, di dettare una concreta e flessibile disciplina della materia
del trattamento dei dati sensibili e, quindi, di esercitare una attività
amministrativa di completamento della disciplina legislativa della materia.
Questa attività, avente ad oggetto la tutela di diritti fondamentali del
cittadino, non viene affidata ad un Giudice ma ad un organo amministrativo,
essendo sostanzialmente “amministrativa” e non “giurisdizionale”, in
quanto si tratta di dettare – e non solo di fare applicare - norme di
comportamento. Tuttavia tale funzione, per la sua delicatezza, viene affidata
non ad una tradizionale Amministrazione Pubblica che fa capo alla
direzione politica del Governo, ma ad una Autorità Amministrativa che non
sia solo "imparziale" (come è la P.A. ex art. 97 Cost.) ma indipendente dal
sistema Governo - P.A..
99
Le forme di tutela innanzi al Garante previste dal codice sono di tre
tipi:
a) il reclamo circostanziato, per rappresentare una violazione della
disciplina rilevante in materia di trattamento di dati personali;
b) la segnalazione, quando non vi siano i presupposti per presentare un
reclamo circostanziato, al fine di sollecitare un controllo da parte del
Garante sulla disciplina medesima;
c) il ricorso, per far valere i diritti sui dati personali di cui all'articolo 7
cod.10
Il Garante, inoltre, coopera con altre autorità amministrative
indipendenti nello svolgimento dei rispettivi compiti. A tale fine, il Garante
può anche invitare rappresentanti di un'altra autorità a partecipare alle
proprie riunioni, o essere invitato alle riunioni di altra autorità, prendendo
10 Riportiamo tale disposizione:“Art. 7. Diritto di accesso ai dati personali ed altri diritti.1. L'interessato ha diritto di ottenere la conferma dell'esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile. 2. L'interessato ha diritto di ottenere l'indicazione: a) dell'origine dei dati personali; b) delle finalità e modalità del trattamento; c) della logica applicata in caso di trattamento effettuato con l'ausilio di strumenti elettronici; d) degli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell'articolo 5, comma 2; e) dei soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati. 3. L'interessato ha diritto di ottenere: a) l'aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l'integrazione dei dati; b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati; c) l'attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato. 4. L'interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte: a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta; b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.”.
100
parte alla discussione di argomenti di comune interesse; può richiedere,
altresì, la collaborazione di personale specializzato addetto ad altra autorità.
35. Le Autorità per la regolazione dei servizi di pubblica utilità e il
moderno assetto dei servizi pubblici (AEEG, Agcom e Autorità dei
Trasporti).
Nel caso delle Autorità per la regolazione dei servizi di pubblica
utilità (e cioè della Autorità per l’energia elettrica ed il gas,
dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dell’Autorità di
regolazione dei trasporti) la presenza di tali organismi sembra costituire
l'ultima “evoluzione” (ovvero, “trasformazione”) della disciplina dei servizi
pubblici.
Abbiamo ricordato (vedi supra p. 22) come agli inizi del novecento il
servizio pubblico si presentava come una attività di produzione di servizi,
come tale appartenente all’area tipica del diritto privato, che tuttavia, in
quanto volta a soddisfare bisogni di interesse generale, veniva attribuita
dalla legge in titolarità allo Stato a alle amministrazioni pubbliche locali e
sottoposta ad un regime giuridico derogatorio rispetto al regime giuridico
privatistico e, cioè, ad un regime giuridico amministrativo, sia esso quello
della gestione diretta da parte della P.A., ovvero della gestione tramite le
aziende autonome, nazionali o municipali, o ancora quello dell’affidamento
della gestione del servizio ad un privato concessionario di servizio pubblico.
Nella concezione del libero mercato, che sta alla base
dell’integrazione europea, si tende a restituire i servizi pubblici, nella misura
massima possibile, ai privati e, cioè, alle leggi del mercato e della libera
concorrenza, sul presupposto che la loro direzione e gestione pubblicistica
non garantisce affatto alla collettività prestazioni migliori e più efficienti
rispetto alla direzione e gestione affidata al libero mercato.
Di conseguenza, si assiste alla privatizzazione dei servizi pubblici,
laddove possibile, ovvero alla privatizzazione di tutte quelle parti dei servizi
pubblici che si prestano ad essere esercitati in condizioni di concorrenza,
101
limitando i monopoli e le privative alle sole parti del servizio che
costituiscano c.d. monopoli od oligopoli naturali.
A livello comunitario la nozione di servizio pubblico ha un duplice
senso: può designare l'ente che produce il servizio, ovvero la missione
d'interesse generale ad esso affidata. Al fine di favorire o permettere
l'assolvimento della missione di interesse generale, l’autorità pubblica può
imporre specifici obblighi di servizio all'ente che produce il servizio, ad
esempio nel campo dei trasporti terrestri, aerei o ferroviari, ovvero, nel
campo energetico. Tali obblighi, che possono essere esercitati a livello
nazionale o regionale, non implicano la necessità di classificare il servizio
pubblico nell’ambito del settore pubblico.
Vengono designati servizi d'interesse generale le attività di servizio,
commerciali o non, considerate di interesse generale dalle autorità pubbliche
e soggette quindi ad obblighi specifici di servizio pubblico. Rientrano in
questa ampia nozione sia attività di servizio non economico (sistemi
scolastici obbligatori, protezione sociale ecc.), sia funzioni inerenti alla
potestà pubblica (sicurezza, giustizia, ecc.), sia attività di servizi di interesse
economico generale (energia, comunicazioni, ecc.). Le norme comunitarie
dettate dall'articolo 86 (ex articolo 90) del Trattato, però, espressamente non
si applicano alle due prime categorie (attività di servizio non economico e
funzioni inerenti alla potestà pubblica).
I servizi d'interesse economico generale designano le attività
commerciali che assolvono missioni d'interesse generale . A tal fine sono
assoggettati dagli Stati membri ad obblighi specifici di servizio pubblico
(art. 106 del TFUE). Rientrano in tale gruppo, in particolare, le reti di
trasporto, di energia e di comunicazione.
In questi casi si applicano pur sempre le regole della concorrenza, ma
le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico
generale vi sono sottoposte “nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non
osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione
loro affidata” (art. 106 cit., comma 2).
Il carattere eccezionale della deroga, viene confermato dal fatto che
l’art. 106, nel prevedere la deroga, tiene però a ribadire che “lo sviluppo
102
degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli
interessi dell'Unione” e prevede che “la Commissione vigila
sull'applicazione delle disposizioni del presente articolo rivolgendo, ove
occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni.” (art. 106,
comma 3).
Già il trattato di Amsterdam ha riconosciuto l'importanza dei servizi di
interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione
europea, nonché il loro rilevante ruolo nella promozione della coesione
sociale e territoriale dell’Europa ed ha prescritto che i servizi d’interesse
economico generale devono funzionare in base a principi e condizioni che
consentano loro di assolvere i propri compiti.
Anche l'art. 36 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
richiama detti servizi e pone tra i diritti fondamentali l'accesso ai servizi
d'interesse economico generale.
Altra importante nozione e quella del c.d. servizio universale. Il
concetto di servizio universale è stato sviluppato dalle istituzioni
comunitarie. Il servizio universale definisce un insieme di prestazioni a
favore degli utenti relative ad un servizio pubblico (telecomunicazioni,
poste ecc.) che devono essere assicurate nell’intero territorio europeo, in
quanto corrispondono ad esigenze essenziali di interesse generale la cui
soddisfazione deve essere garantita in ogni paese della Comunità. Dal
servizio universale discendono, dunque, precisi obblighi nell'intento di
garantire a tutti e dappertutto l'accesso a determinate prestazioni essenziali,
a determinate garanzie di qualità ed a prezzi ragionevoli.
L'idea della carta dei servizi pubblici si riallaccia al progetto di
puntualizzare in uno specifico documento i diritti fondamentali ed i principi
che ispirano la prestazione dei servizi agli utenti. Figurano tra questi
principi:
la continuità del servizio;
la qualità;
la sicurezza dell'approvvigionamento;
la parità di accesso;
un prezzo ragionevole;
103
l'accettabilità sotto il profilo sociale, culturale ed ambientale.
La politica condotta dall'Unione è segnata dalla volontà di
liberalizzare i servizi pubblici in rete e di aprire maggiormente i mercati
nazionali alla concorrenza nell'ambito dei trasporti ferroviari, dei servizi
postali, dell'energia e delle telecomunicazioni.
Tale “liberalizzazione”, viene accompagnata da un nuovo assetto
organizzativo che riserva allo Stato non già la titolarità del servizio e, tanto
meno, la sua gestione, ma compiti di amministrazione diretti a garantire il
regolare svolgimento delle regole del libero mercato, ovvero a rimuovere gli
ostacoli che si frappongono al libero gioco della concorrenza.
A tali compiti di regolazione dei settori dei servizi vengono preposte
le c.d. autorità amministrative di regolazione (Autorità per l’energia
elettrica ed il gas - AEEG e dell’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni - Agcom), le quali non solo non sono titolari del servizio
pubblico (ovvero del servizio di interesse economico generale), né,
ovviamente, gestori del servizio stesso, ma neanche mirano a guidarlo e/o
dirigerlo. Queste Autorità hanno piuttosto la funzione di facilitare il libero
gioco del mercato, tendendo a eliminare o ridurre gli ostacoli tecnici e legali
che si frappongono alla presenza di una vera concorrenza, anche attraverso
strumenti volti a riequilibrare l'economicità dell'azione imprenditoriale. I
poteri di regolazione settoriale e di controllo dell’Autorità investono la
determinazione delle tariffe, la fissazione dei livelli di qualità dei servizi e le
condizioni tecnico-economiche di accesso e interconnessione alle reti.
Proprio per questo motivo, peraltro, tali Autorità di regolazione dei
servizi pubblici, pur indipendenti, non sono del tutto sottratte all'indirizzo
politico del Governo, anche se sono indipendenti nella scelta delle modalità
attraverso cui dare attuazione all’indirizzo politico espresso dal Governo,
mantenendo in questo modo un elevato grado di autonomia nei propri
giudizi e regolazioni rispetto all’esecutivo. A tal proposito è significativo
che l'art. 1 della legge 14 novembre 1995, n. 481, recante “Norme per la
concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle
Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità”, dichiari la finalità di
garantire la promozione della concorrenza e dell’efficienza nel settore dei
104
servizi di pubblica utilità, nonché adeguati livelli di qualità nei servizi,
tenendo conto della normativa comunitaria e degli indirizzi di politica
generale formulati dal Governo 11 .
In quanto autorità nazionali competenti per la regolazione e il
controllo, queste Autorità svolgono attività consultiva e di segnalazione al
Governo nelle materie di propria competenza anche ai fini della definizione,
del recepimento e della attuazione della normativa comunitaria.
L’Autorità per l’energia elettrica e il gas - AEEG, che ha sede a
Milano, è organo collegiale costituito dal presidente e da altri due membri,
nominati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione
del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro competente. Le
designazioni effettuate dal Governo sono previamente sottoposte al parere
delle competenti Commissioni parlamentari. Si deve trattare di persone
dotate di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore.
I componenti l’AEEG durano in carica sette anni e non possono essere
confermati.
L’AEEG, oltre ai già indicati poteri di regolazione dei settori
dell’energia elettrica e del gas, ha funzioni di controllo delle condizioni di
svolgimento dei servizi, con poteri di acquisizione della documentazione, di
ispezione, accesso e sanzione, che esercita anche in base a reclami e
segnalazioni di utenti e loro associazioni, dando luogo a procedure di
conciliazione e di arbitrato in merito a controversie fra utenti e soggetti
esercenti i servizi, determinando i casi di indennizzo da parte dei soggetti
esercenti nei confronti di utenti e consumatori.
L’Autorità ha deliberato un regolamento (del. n. 33 del 2003) che
prevede la convocazione in audizione periodica, a frequenza almeno
11 Ai sensi del comma 11 dell’art. 1 della legge 23.8.2004 sul riordino del settore energetico, il Governo indica all'Autorità per l'energia elettrica e il gas, nell'ambito del Documento di programmazione economico-finanziaria, il quadro di esigenze di sviluppo dei servizi di pubblica utilità dei settori dell'energia elettrica e del gas che corrispondono agli interessi generali del Paese. Ai fini del perseguimento degli obiettivi generali di politica energetica del Paese di cui al comma 3, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle attività produttive, può definire, sentite le Commissioni parlamentari competenti, indirizzi di politica generale del settore per l'esercizio delle funzioni attribuite all'Autorità per l'energia elettrica e il gas ai sensi della legislazione vigente.
105
annuale, dei rappresentanti delle associazioni dei consumatori e degli utenti,
delle associazioni ambientaliste, delle associazioni sindacali delle imprese e
delle associazioni sindacali dei lavoratori. Tale audizione pubblica,
effettuata in forma o in audizioni separate, ha il fine di reperire informazioni
e di aprire dibattiti su questioni e proposte concernenti i servizi di pubblica
utilità dei settori dell’energia elettrica e del gas.
L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è stata istituita con
la legge 31 luglio 1997, n. 249. Si tratta di un unico organismo con funzioni
di regolamentazione e vigilanza nei settori delle telecomunicazioni,
dell’audiovisivo e dell’editoria. Essa ha una struttura più articolata rispetto
all’AEEG. Sono, infatti, organi dell'Autorità:
- il Presidente,
- la Commissione per le infrastrutture e le reti,
- la Commissione per i servizi e i prodotti.
- il Consiglio.
Ciascuna commissione è organo collegiale costituito dal presidente
dell'Autorità e da due commissari; mentre il Consiglio è costituito dal
presidente e da tutti e quattro i commissari.
Il presidente dell'Autorità è nominato con decreto del Presidente della
Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri d'intesa con
il Ministro delle comunicazioni (oggi Ministro dello sviluppo economico:
art. 1 d.l. 16.5.2008, n. 85). La designazione del nominativo del presidente
dell'Autorità è previamente sottoposta al parere delle competenti
Commissioni parlamentari.
Anche la procedura di nomina dei quattro commissari è più
complessa. Il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati eleggono
due commissari ciascuno, i quali vengono nominati con decreto del
Presidente della Repubblica. Ciascun senatore e ciascun deputato esprime il
voto indicando due nominativi, uno per la commissione per le infrastrutture
e le reti, l'altro per la commissione per i servizi e i prodotti.
Presso l'Autorità opera anche il Consiglio Nazionale degli Utenti,
composto da esperti designati dalle associazioni rappresentative delle varie
categorie degli utenti dei servizi di telecomunicazioni e radiotelevisivi, che,
106
in piena autonomia, esprime pareri e formula proposte all'Autorità, al
Parlamento, al Governo per la tutela dei diritti dei cittadini in materia di
comunicazione.
L’Agcom ha il compito di assicurare la corretta competizione degli
operatori sul mercato e di tutelare le libertà fondamentali dei cittadini
coinvolte nell’esercizio delle telecomunicazioni. A questi fini la legge
distingue le competenze specifiche di ciascuna Commissione e quelle del
Consiglio. Inoltre, il codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs.
1.8.2003, n. 259) definisce l’Agcom “autorità nazionale di
regolamentazione” e riparte le funzioni tra l’Autorità e l’ex Ministero delle
comunicazioni (art. 7 cod.), oggi trasformato in un Dipartimento del
Ministero dello sviluppo economico.
In sostanza l’Agcom si occupa: dell’attuazione della liberalizzazione
nel settore delle telecomunicazioni, con attività di regolamentazione e
vigilanza e di risoluzione delle controversie; della razionalizzazione delle
risorse nel settore dell’audiovisivo; dell’applicazione della normativa
antitrust nelle comunicazioni e della verifica di eventuali posizioni
dominanti; della gestione del Registro Unico degli Operatori di
Comunicazione; della tutela del diritto d'autore nel settore informatico ed
audiovisivo; della vigilanza sulla qualità e sulle modalità di distribuzione
dei servizi e dei prodotti, compresa la pubblicità; della risoluzione delle
controversie extragiudiziarie tra operatori e utenti; della disciplina del
servizio universale e della predisposizione di norme a salvaguardia delle
categorie disagiate; nonché, ai sensi della legge 22.2.2000, n. 28
(Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le
campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica) della
tutela del pluralismo sociale, politico ed economico nel settore della
radiotelevisione.
Con l'art. 1, comma 1, della legge 24.3.2012, n. 27 è stato modificato
l’art. 37 del d.l. n. 201/2011 istituendo l’Autorità di regolazione dei
trasporti.
L'Autorità è competente nel settore dei trasporti e dell'accesso alle
relative infrastrutture e ai servizi accessori, in conformità con la disciplina
107
europea e nel rispetto del principio di sussidiarietà e delle competenze delle
regioni, delle Province, delle Città metropolitane e dei Comuni (cioè degli
enti espressione delle autonomie locali).
L'Autorità è organo collegiale composto dal presidente e da due
componenti nominati secondo le stesse procedure viste per l’AEEG.
I componenti dell'Autorità sono scelti, nel rispetto dell'equilibrio di
genere, tra persone di indiscussa moralità e indipendenza e di comprovata
professionalità e competenza nei settori in cui opera l'Autorità.
36. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato - AGCM e la
Commissione nazionale per le società e la borsa - Consob.
Autorità come la AGCM e la Consob, pur tra loro diverse nelle
modalità organizzative e nei poteri esercitati, appaiono essere accomunate
dal fatto di intervenire con compiti di regolazione in settori nevralgici
dell'attuale società italiana.
Così l’ Autorità garante della concorrenza e del mercato - AGCM
(art. 10 legge 10 ottobre 1990, n. 287) ha rilevantissimi poteri non solo di
indagine ma di intervento a tutela dell’interesse pubblico a che l’attività
economica si svolga secondo le regole del libero mercato; si tratta di
assicurare in concreto la libertà d’iniziativa economica favorendo le
condizioni necessarie perché gli operatori economici possano accedere al
mercato e competere tra loro con pari opportunità. In particolare, per
raggiungere tali obiettivi l’AGCM ha poteri in materia di intese restrittive
della concorrenza, in materia di abuso di posizione dominante, e in materia
di operazioni di concentrazione (oggi anche in materia bancaria: art. 19 e
segg. legge 28.12.2005, n. 262). Nell’esercizio di tali competenze l’Autorità
ha importati poteri sanzionatori ed anche poteri di adozione di misure
cautelari (art. 14 bis l.n. 287/90).
Ancora l’AGCM ha competenze in materia di pubblicità ingannevole
e comparativa (D.Lgs. 6.9.2005 n. 206, Codice del consumo), nonché in
materia di conflitto di interessi da parte di titolari di cariche di governo (art.
6 legge 20 luglio 2004, n. 215).
108
In tema di pubblicità ingannevole, è funzione dell'Autorità, prima
ancora che sanzionare, intervenire a bloccare la divulgazione dei messaggi
pubblicitari ingannevoli, in quanto una simile pubblicità, oltre ad indurre in
errore e quindi di causare un danno al consumatore, provoca anche
distorsioni della concorrenza.
L'Autorità ha anche il compito di giudicare le controversie in materia
di pubblicità comparativa, verificando se sono state soddisfatte le condizioni
di liceità della comparazione pubblicitaria.
Inoltre l’art. 37 bis del codice del consumo (d.lgs. 6.9.2005, n. 206) ha
attribuito all’AGCM la tutela amministrativa contro le clausole vessatorie,
prevedendo che l’Autorità, sentite le associazioni di categoria
rappresentative a livello nazionale e le camere di commercio interessate o
loro unioni, d'ufficio o su denuncia, dichiara la vessatorietà delle clausole
inserite nei contratti tra professionisti e consumatori che si concludono
mediante adesione a condizioni generali di contratto o con la sottoscrizione
di moduli, modelli o formulari.
Infine, il d.l. n. 6.12.2011, n. 201 ha aggiunto alla legge n. 287 del
1990 l’art. 21 bis attribuendo all’Autorità un potere di intervento sugli atti
amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza. Infatti l’art.
21 bis aggiunto alla legge n. 287/1990 stabilisce che l’AGCM è legittimata
ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i
provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a
tutela della concorrenza e del mercato.
Pertanto l'Autorità, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia
emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del
mercato, può emettere, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale
indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se, poi, la pubblica
amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla
comunicazione del parere, l'Autorità può presentare, tramite l'Avvocatura
dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni, trovando applicazione
il rito abbreviato di cui al codice del processo amministrativo.
L'AGCM opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e
di valutazione ed è organo collegiale costituito dal presidente e da due
109
membri, nominati con determinazione adottata d'intesa dai Presidenti della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il Presidente è scelto tra
persone di notoria indipendenza che abbiano ricoperto incarichi istituzionali
di grande responsabilità e rilievo. I due membri sono scelti tra persone di
notoria indipendenza da individuarsi tra magistrati del Consiglio di Stato,
della Corte dei conti o della Corte di cassazione, professori universitari
ordinari di materie economiche o giuridiche, e personalità provenienti da
settori economici dotate di alta e riconosciuta professionalità.
I membri dell'AGCM sono nominati per sette anni e non possono
essere confermati.
La Commissione nazionale per le società e la borsa - Consob è
preposta a vigilare e regolare il corretto andamento del mercato mobiliare e,
insieme alla Banca d’Italia, del settore dell’intermediazione finanziaria.
Istituita con la legge 7 giugno 1974, n. 216, è un'autorità amministrativa
indipendente, dotata di personalità giuridica e di piena autonomia (art. 1
legge 4 giugno 1985, n. 281).
La Commissione è composta da un presidente e da due membri, scelti
tra persone di specifica e comprovata competenza ed esperienza e di
indiscussa moralità e indipendenza, nominati con decreto del Presidente
della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri,
previa deliberazione del Consiglio stesso. Essi durano in carica 5 anni e
possono essere confermati una sola volta.
L’attività della Consob è rivolta alla tutela degli investitori,
all'efficienza, alla trasparenza e allo sviluppo del mercato mobiliare italiano.
Di conseguenza le sue funzioni riguardano tutti gli aspetti rilevanti per
l'efficiente tutela del risparmio, dai prodotti oggetto degli investimenti e
relativi emittenti, agli intermediari dei quali i risparmiatori si avvalgono per
effettuare i loro investimenti ed ai mercati nei quali essi vengono realizzati.
Il controllo sui prodotti finanziari (azioni, obbligazioni, titoli di stato,
quote di fondi comuni di investimento ecc.) si realizza assicurando ai
risparmiatori tutte le informazioni necessarie per effettuare e gestire i propri
investimenti in modo consapevole (controllo di trasparenza).
110
Il controllo sugli intermediari si realizza con l'emanazione di norme
dirette a proteggere l'investitore da comportamenti scorretti che possano
danneggiarlo (controllo di correttezza).
Il controllo sui mercati si realizza assicurando: la massima efficienza
delle contrattazioni, per consentire all'investitore di negoziare agevolmente i
prodotti finanziari; la qualità dei prezzi, che devono riflettere le effettive
componenti del mercato; l'efficienza e la certezza delle modalità di
esecuzione dei contratti conclusi.
In particolare la Consob:
- regolamenta la prestazione dei servizi di investimento, gli obblighi
informativi delle società quotate e le offerte al pubblico di strumenti
finanziari;
- autorizza la pubblicazione dei prospetti informativi relativi ad offerte
pubbliche di vendita e dei documenti d'offerta concernenti offerte pubbliche
di acquisto; l'esercizio dei mercati regolamentati; le iscrizioni agli Albi;
- vigila sulle società di gestione dei mercati e sulla trasparenza e l'ordinato
svolgimento delle negoziazioni nonché sulla trasparenza e la correttezza dei
comportamenti degli intermediari e dei promotori finanziari;
- sanziona i soggetti vigilati, direttamente o formulando una proposta al
Ministero dell'Economia e delle Finanze;
- controlla le informazioni fornite al mercato dalle società quotate e da chi
promuove offerte al pubblico di strumenti finanziari nonché le informazioni
contenute nei documenti contabili delle società quotate;
- accerta eventuali andamenti anomali delle contrattazioni su titoli quotati e
compie ogni altro atto di verifica di violazioni delle norme in materia di
abuso di informazioni privilegiate (insider trading) e di aggiotaggio su
strumenti finanziari.
37. La COVIP e la CiVIT.
Tra le autorità indipendenti si annoverano anche due particolari
organismi: la COVIP, Commissione di vigilanza sui fondi pensione, che è
un ente dotato di personalità giuridica operante sotto l’alta vigilanza del
111
Ministero del lavoro e delle politiche sociali e la CiVIT, Commissione
indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle
amministrazioni pubbliche, che oggi opera anche come autorità nazionale
anticorruzione.
La COVIP ha il compito di vigilare sul buon funzionamento del
sistema dei fondi pensione, a tutela degli aderenti e dei loro risparmi
destinati a previdenza complementare (art. 18 d.lgs. 5.12.2005 n. 252).
Inoltre le sono stati attribuiti anche compiti di controllo sugli investimenti
finanziari e sul patrimonio delle Casse professionali private e privatizzate.
La COVIP è composta da un presidente e da due membri, scelti tra
persone dotate di riconosciuta competenza e specifica professionalità nelle
materie di pertinenza della stessa e di indiscussa moralità e indipendenza,
nominati con deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata su proposta
del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze. Il presidente e i commissari durano in carica
quattro anni e possono essere confermati una sola volta.
La Corte dei conti esercita il controllo generale sulla COVIP per
assicurare la legalità e l'efficacia del suo funzionamento e ne riferisce
annualmente al Parlamento.
La CiVIT, Commissione indipendente per la valutazione, la
trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche, è prevista dall’art.
13 del d.lgs. 27.10.2009 n. 150 di attuazione della legge 4 marzo 2009, n.
15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di
efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni (vedi infra p. 151).
È un organo collegiale composto da 3 membri, compreso il Presidente,
scelti tra esperti di elevata professionalità, anche estranei
all'amministrazione con comprovate competenze in Italia e all'estero, sia nel
settore pubblico che in quello privato in tema di servizi pubblici,
management, misurazione della performance, nonché di gestione e
valutazione del personale.
La Commissione opera in posizione di indipendenza di giudizio e di
valutazione e in piena autonomia, in collaborazione con il Dipartimento
della funzione pubblica e con la Ragioneria generale dello Stato, “con il
112
compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all'esercizio indipendente
delle funzioni di valutazione, di garantire la trasparenza dei sistemi di
valutazione, di assicurare la comparabilità e la visibilità degli indici di
andamento gestionale, informando annualmente il Ministro per l'attuazione
del programma di Governo sull'attività svolta.” (art. 13, comma 1, cit.).
L’art. 34 bis del d.l. 18.10.2012, n. 179, conv. con mod. dall'art. 1,
comma 1, l. 17.12.2012, n. 221 (c.d. decreto “cresci Italia”) ha attribuito alla
CiVIT la funzione di autorità nazionale anticorruzione. Per tale ragione
l’art. 34 bis cit. prevede che alla Commissione venga preposto un presidente
nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del
Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, del Ministro
della giustizia e del Ministro dell'interno, tra persone di notoria
indipendenza che hanno avuto esperienza in materia di contrasto alla
corruzione e persecuzione degli illeciti nella pubblica amministrazione..
Gli altri due componenti sono nominati, ai sensi dell’art. 13 d.lgs. n.
150/2009, tenuto conto del principio delle pari opportunità di genere, con
decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio
dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e
l'innovazione, di concerto con il Ministro per l'attuazione del programma di
Governo, previo parere favorevole delle Commissioni parlamentari
competenti espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti.
38. La Banca d’Italia.
La Banca d’Italia, inserita nel sistema europeo delle Banche Centrali,
assolve alla vigilanza e regolazione della moneta e del credito ed ha anche
poteri autorizzativi in ordine alle operazioni di acquisizioni e di
concentrazioni bancarie, in collaborazione con AGCM.
La legge 28.12.2005, n. 262 (art. 19) ha modificato la precedente
disciplina che non poneva un termine di durata alla carica di Governatore.
Oggi il Governatore dura in carica sei anni, con la possibilità di un solo
rinnovo del mandato. Inoltre, la nomina non avviene più attraverso i “soci”
della Banca d’Italia, bensì è disposta con decreto del Presidente della
Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa
113
deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio
superiore della Banca d'Italia.
Il comma 6 dell’art. 19 cit ha anche stabilito che, ad eccezione delle
competenze del Governatore rientranti nelle attribuzioni del Sistema
europeo di banche centrali, sono trasferite al direttorio le competenze ad
adottare i provvedimenti aventi rilevanza esterna fino a ieri rientranti nella
competenza del governatore e quelle relative agli atti adottati su sua delega.
Il Direttorio è costituito dal Governatore, dal Direttore generale e da tre
Vice direttori generali (art. 21 Statuto D.P.R. 12.12.2006).
La Banca d’Italia, dal 1926 unico istituto di emissione, con la legge
bancaria del 1936, in risposta alla crisi di quegli anni, assunse natura di
istituto di diritto pubblico ed il Governatore della Banca d’Italia una
posizione di assoluta centralità nell’ordinamento del credito e del risparmio
e della moneta, con finalità di stabilità del sistema.
Tale ruolo, che esercitava insieme al Ministro del tesoro (oggi
dell’economia e delle finanze) e al Comitato interministeriale per il credito
ed il risparmio, si è mantenuto anche nel dopoguerra fino alla realizzazione
della moneta unica europea e, poi, alla riforma del dicembre del 2005.
In realtà, questa autorità indipendente ante litteram non nasce con
compiti di tutela della concorrenza e del mercato, quanto di tutela della
stabilità della moneta e del sistema bancario, con attribuzione di poteri
amministrativi strumentali al fine di difendere il cambio, contrastare
l’inflazione (area monetaria) ed evitare situazioni di sofferenze (area
bancaria) capaci di dar luogo a nuove crisi degli istituti di credito
destabilizzanti l’intera economia nazionale.
Quanto alla circolazione della moneta, la Banca d’Italia concorre alle
decisioni di politica monetaria attraverso la partecipazione del Governatore
al Consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE) e contribuisce alla
gestione operativa della politica monetaria e agli interventi sul mercato dei
cambi, secondo i principi di decentramento e sussidiarietà stabiliti a livello
europeo.
La Banca d’Italia è istituto di emissione nel senso che concorre alla
produzione del quantitativo di banconote assegnatele e detiene e gestisce le
114
riserve ufficiali dell’Italia che costituiscono parte integrante delle riserve
dell’Eurosistema, congiuntamente alle riserve di proprietà della Banca
centrale europea (BCE).
Sui mercati internazionali la Banca d’Italia investe le proprie riserve
sia direttamente sia avvalendosi dell’Ufficio italiano dei cambi, in qualità di
ente strumentale.
Quanto al sistema bancario, la Banca d’Italia svolge funzioni vigilanza
informativa, regolamentare ed ispettiva nei confronti delle banche, dei
gruppi bancari e degli intermediari finanziari (società finanziarie, di gestione
del risparmio e di intermediazione mobiliare) che mirano a garantire la sana
e prudente gestione dei soggetti vigilati, la stabilità complessiva, l’efficienza
e la competitività del sistema finanziario, nonché l’osservanza della
normativa in materia creditizia e finanziaria. Nell’esercizio di tali funzioni
la Banca d’Italia dispone di autonoma capacità normativa e di poteri di
intervento e sanzionatori. E’ la Banca d’Italia che propone al Ministro
dell’economia e delle finanze l’adozione dei provvedimenti di
amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa degli
istituti di credito.
Nei comparti della gestione del risparmio e dell’intermediazione
mobiliare le norme vigenti ripartiscono i poteri di controllo fra la Banca
d’Italia e la Consob, attribuendo alla Banca d’Italia la vigilanza sul
contenimento del rischio e sulla stabilità patrimoniale degli intermediari che
operano in questo settore.
Inoltre la Banca d’Italia assolve al servizio di tesoreria centrale dello
Stato, nonché il servizio di tesoreria provinciale dello Stato e degli enti
pubblici soggetti, ex lege n. 720 del 1984, al sistema di tesoreria unica.
Infine, tra le funzioni più rilevanti della Banca d’Italia va ricordata la
gestione del debito pubblico. Infatti compete alla Banca d’Italia
l’organizzazione e la gestione, per conto del Ministero dell’economia e delle
finanze, delle attività concernenti il collocamento e il riacquisto dei titoli
nonché il servizio finanziario del debito.
39. L’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private – IVASS.
115
All’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse
collettivo – ISVAP è succeduto l’IVASS – Istituto per la vigilanza sulle
assicurazioni, istituito dall’art. 13 del d.l. 6.7.2012 n. 95 (conv. con mod.
con l. 7.8.2012 n. 135).
Il nuovo Istituto, che ha personalità giuridica di diritto pubblico, è
organicamente collegato alla Banca d’Italia, allo scopo di assicurare la piena
integrazione dell'attività di vigilanza assicurativa attraverso un più stretto
collegamento con quella bancaria.
Infatti, sono organi dell’IVASS:
a) il Presidente, che è il direttore generale della Banca d’Italia;
b) il Consiglio composto dal Presidente e da due Consiglieri; e
c) il Direttorio integrato, che è il Direttorio della Banca d’Italia integrato,
ai fini dell'esercizio delle funzioni istituzionali dell'IVASS in materia
assicurativa, dai due componenti il Consiglio dell’IVASS.
I due consiglieri sono scelti tra persone di indiscussa moralità ed
indipendenza oltre che di elevata qualificazione professionale in campo
assicurativo, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, previa
delibera del Consiglio dei Ministri, ad iniziativa del Presidente del
Consiglio, su proposta del Governatore della Banca d’Italia e di concerto
con il Ministro dello sviluppo economico. I due consiglieri restano in carica
sei anni, con possibilità di rinnovo per un ulteriore mandato.
L’IVASS opera sulla base di principi di autonomia organizzativa,
finanziaria e contabile, oltre che di trasparenza ed economicità, per garantire
la stabilità e il buon funzionamento del sistema assicurativo e la tutela dei
consumatori.
116
III.F) L’organizzazione statale per ministeri.
40. La Presidenza del Consiglio dei Ministri. La riforma operata con la
legge 23 agosto 1988 n. 400 e la successiva emanazione del d.lgs. 30
luglio 1999 n. 303.
La legge 23.8.1988 n. 400 sull’ordinamento della Presidenza del
Consiglio dei Ministri può essere presa a riferimento come un momento
importante della modernizzazione delle strutture politico amministrative
dello Stato. Essa, sostituendo leggi risalenti all’ottocento (l. 12.2.1888 n.
5195) regola in modo più ordinato e preciso i rapporti tra Consiglio dei
Ministri, Presidente del Consiglio, Ministri.
In questa legge, che sarà poi modificata ed integrata dalle leggi
successive, troviamo definite le figure:
del Consiglio di Gabinetto, come comitato facoltativo che il
Presidente del Consiglio può costituire per coadiuvarlo nello
svolgimento delle proprie funzioni di direzione della politica
generale del Governo e di coordinamento dell’attività dei ministri al
fine di mantenere l’unità di indirizzo politico ed amministrativo (art.
95, co. 1, Cost.); i membri del Gabinetto sono i ministri designati
dallo stesso Presidente, sentito il Consiglio dei ministri (art. 6 l.
n.400/1988);
dei comitati di ministri (usualmente con funzioni istruttorie12) e dei
comitati interministeriali (da istituire per legge);
dei Vicepresidenti del Consiglio (figura facoltativa);
dei Ministri senza portafoglio, con incarichi speciali di governo, con
incarichi di reggenza ad interim13;
12 D.P.C.M. 10 novembre 1993. Regolamento interno del Consiglio dei Ministri. “Art. 2. 1. Ferme restando le competenze del Consiglio dei Ministri e dei comitati interministeriali previsti per legge, il Presidente del Consiglio può deferire l'esame di singole questioni ad un comitato di Ministri, informandone il Consiglio dei Ministri. 2. Possono partecipare ai lavori del Comitato anche Sottosegretari, delegati ovvero espressamente autorizzati dal Presidente del Consiglio, per sostituire o coadiuvare i rispettivi Ministri. 3. Il Comitato comunica le proprie conclusioni al Presidente del Consiglio.”.13 L.n. 400/1988: Art. 9. Ministri senza portafoglio, incarichi speciali di Governo, incarichi di reggenza ad interim.
117
dei Sottosegretari di Stato.
La legge n. 400/88, inoltre, nel riordinare la Presidenza del Consiglio
aveva anche affrontato il problema del coordinamento tra Stato e Regioni
istituendo la già ricordata Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome (art.12), le cui competenze sono state poi
potenziate dalle successive leggi, accentuando il ruolo della Conferenza
stessa nei rapporti Stato-Regione.
Già nella legge n. 400/88 l’organizzazione interna della Presidenza del
Consiglio viene imperniata sul Segretario generale della P.C.M., struttura
che viene mantenuta anche dal d.lgs. n. 303 del 1999, e su una serie di
dipartimenti, alcuni dei quali affidati a Ministri senza portafoglio
(attualmente nel Governo Monti: 1) per gli Affari europei; 2) per gli Affari
regionali, turismo e sport; 3) per la Coesione territoriale; 4) per i Rapporti
con il Parlamento; 5) per la Cooperazione internazionale e l’integrazione; 6)
per la Pubblica amministrazione e la semplificazione).
41. La riforma dell'organizzazione amministrativa statale nella legge 24
dicembre 1993 n. 537. I comitati interministeriali.
Un altro importante momento della riforma degli apparati statali è
costituito dalla legge 24.12.1993 n. 537. Questa legge merita di essere
ricordata in quanto le linee da essa indicate appaiono ancora attuali e sono
state sviluppate dalla legislazione successiva fino ai nostri giorni con i
decreti legge “salva Italia” del Governo Monti.
1. All'atto della costituzione del Governo, il Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, può nominare, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ministri senza portafoglio, i quali svolgono le funzioni loro delegate dal Presidente del Consiglio dei ministri sentito il Consiglio dei ministri, con provvedimento da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale. 2. Ogni qualvolta la legge o altra fonte normativa assegni, anche in via delegata, compiti specifici ad un Ministro senza portafoglio ovvero a specifici uffici o dipartimenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, gli stessi si intendono comunque attribuiti, rispettivamente, al Presidente del Consiglio dei Ministri, che può delegarli a un Ministro o a un Sottosegretario di Stato, e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
3. Il Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri, può conferire ai ministri, con decreto di cui è data notizia nella Gazzetta Ufficiale, incarichi speciali di Governo per un tempo determinato.
118
La legge n. 537 del 1993, per la riforma ha previsto deleghe
legislative: a) per riordinare, sopprimere e fondere i Ministeri e le
amministrazioni autonome; b) per istituire organismi indipendenti per la
regolazione dei servizi di rilevante interesse pubblico e per attribuire
funzioni omogenee a nuove persone giuridiche; c) per riordinare i servizi
tecnici nazionali operanti presso la presidenza del Consiglio (cfr. art. 1,
comma 1, l.n. 537/93).
Non meno importante è stata la previsione, tra i criteri della delega
legislativa, della attribuzione di potestà regolamentari al Governo in
importanti materie relative all’organizzazione (vedi art. 1, comma 2, lett. l),
operando un più ampia delegificazione.
La legge n. 537/93, ribadendo la separazione tra politica ed
amministrazione (e, quindi, tra organi di indirizzo politico-amministrativo e
di verifica dei risultati ed organi di direzione e gestione amministrativa), ha
proseguito l’opera di riduzione degli apparati statali.
La legge n. 537/93, infatti, si segnala per:
Il riordinamento dei comitati interministeriali. La legge sopprime
molti comitati (art. 1, comma 24) tra i quali il CIP, il CIPI ed il
CIPES e, quindi, fissati i principi del riordino rinvia alla fonte
regolamentare per il riordino della materia (art. 1,comma 24). Così,
col d.P.R. 20.4.1994 n. 373, le residue competenze dei soppressi
comitati interministeriali sono state devolute ai singoli ministeri
ratione materiae, ovvero al CIPE, quando permaneva la necessità di
un esercizio collegiale della funzione. Sono restati in funzione il
CIPE – Comitato Interministeriale per la Programmazione
Economica e il CICR – Comitato Interministeriale per il Credito e il
Risparmio.
Il Comitato Interministeriale per la Programmazione
Economica (CIPE) è un organo collegiale del Governo presieduto
dal Presidente del Consiglio dei Ministri e composto dai c.d. Ministri
economici14. Svolge la funzione di Segretario del CIPE il Ministro 14 Gli 11 Ministri membri permanenti sono:il Ministro dell'economia e delle finanze (Vice Presidene); il Ministro degli affari esteri; il Ministro dello sviluppo economico, infrastrutture e trasporti; il Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
119
per la coesione territoriale. Istituito nel 1967, all’epoca delle leggi di
programmazione economica nazionale, al CIPE vengono riservate una
serie di funzioni di indirizzo della politica economica e di
coordinamento e indirizzo generale in materia di intese istituzionali
di programma e di programmazione negoziata. Dunque è un
importante organo di decisione politica in ambito economico e
finanziario, alloca le risorse finanziarie a programmi e progetti di
sviluppo; approva le principali iniziative di investimento pubblico
del Paese.
Il Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio
(CICR) svolge funzioni di alta vigilanza in materia di credito e di
tutela del risparmio. Inoltre nella regolamentazione dell’attività delle
banche e degli altri intermediari finanziari disciplinati dal Testo
unico bancario, il CICR delibera, su proposta della Banca d’Italia, i
principi ed i criteri per l’esercizio della vigilanza. Compongono il
CICR: il Ministro dell’Economia e delle Finanze – Presidente; il
Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali; il Ministro
dello Sviluppo Economico; il Ministro delle Infrastrutture e dei
Trasporti; il Ministro per le Politiche Europee.
Alle riunioni del Comitato partecipa, senza diritto di voto, il
Governatore della Banca d’Italia. Inoltre, in relazione alla trattazione
di argomenti attinenti alle rispettive competenze, il Presidente può
il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali; il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;il Ministro per i beni e attività culturali; il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca; il Ministro per gli affari europei; il Ministro per gli affari regionali, turismo e sport; il Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province Autonome.Partecipano alle riunioni del Comitato: il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; il Ragioniere Generale dello Stato; il Governatore della Banca d'Italia; il Presidente dell'ISTAT.Su invito del Presidente, possono essere chiamati a partecipare alle sedute del CIPE anche: i Ministri non appartenenti al CIPE nelle cui competenze siano comprese le materie oggetto delle proposte iscritte all'ordine del giorno; ivertici di istituzioni ed enti pubblici in relazione agli argomenti all'ordine del giorno; i rappresentanti di Regioni e Province, quando, ad esempio, siano iscritti all'ordine del giorno argomenti relativi ad opere infrastrutturali previste dalla legge 443/2001 (c.d. legge obiettivo); il Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
120
invitare a prendere parte a singole riunioni del Comitato, a fini
consultivi, altri Ministri o i Presidenti di altre Autorità di vigilanza.
A questi due importanti comitati vanno aggiunti altri comitati di
più recente istituzione come: 1) il Comitato interministeriale per la
sicurezza della Repubblica (CISR); 2) il Comitato
interministeriale per la prevenzione e il contrasto della
corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione; e 3) il
Comitato interministeriale per le politiche urbane (CIPU).
1) Il Comitato interministeriale per la sicurezza della
Repubblica (CISR) è stato istituito dall’art. 5 della l. 3.8.2007 n.
124 con funzioni di consulenza, proposta e deliberazione sugli
indirizzi e sulle finalità generali della politica dell’informazione per
la sicurezza. In tale ambito esso elabora gli indirizzi generali e gli
obiettivi fondamentali da perseguire nel quadro della politica
dell’informazione per la sicurezza, delibera sulla ripartizione delle
risorse finanziarie tra il Dipartimento delle informazioni per la
sicurezza (DIS) e i servizi di informazione per la sicurezza e sui
relativi bilanci preventivi e consuntivi. Il Comitato è presieduto dal
Presidente del Consiglio dei Ministri ed è composto dal Ministro
degli affari esteri, dal Ministro dell’interno, dal Ministro della difesa,
dal Ministro della giustizia, dal Ministro dell'economia e delle
finanze e dal Ministro dello sviluppo economico. Inoltre il
Presidente può chiamare a partecipare alle sedute del Comitato,
anche a seguito di loro richiesta, senza diritto di voto, altri Ministri, i
direttori dell’AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) e
dell’AISI (Agenzia informazioni e sicurezza interna), nonché altre
autorità civili e militari di cui di volta in volta sia ritenuta necessaria
la presenza in relazione alle questioni da trattare.
2) Il Comitato interministeriale per la prevenzione e il
contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica
amministrazione, ha il compito di elaborare e adottare le linee di
indirizzo cui si deve attenere il Dipartimento per la funzione
pubblica nella attività anticorruzione. Detto Comitato, è stato
121
previsto dall’art. 1 della legge 6.11.2012 n. 190 che ne ha demandato
l’istituzione e la disciplina del comitato ad un decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri. Con D.P.C.M. 16 gennaio 2013 si è
istituito detto Comitato interministeriale anticorruzione, composto
dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che lo presiede, dal
Ministro per la pubblica amministrazione e per la semplificazione,
dal Ministro della giustizia e dal Ministro dell'interno. In caso di
assenza del Presidente del C.M., il Comitato è presieduto dal
Ministro per la pubblica amministrazione e per la semplificazione.
Anche per tale Comitato viene inoltre previsto che, su invito del
Presidente, possono essere chiamati a partecipare alle riunioni del
Comitato i Ministri non appartenenti al Comitato stesso, il Primo
Presidente e il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte
di cassazione, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente ed il
Procuratore Generale della Corte dei conti, il Procuratore Nazionale
Antimafia, il Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, il Capo del Dipartimento della funzione pubblica e, in
relazione agli argomenti all'ordine del giorno, i dirigenti pubblici, i
vertici di istituzioni ed enti pubblici, i rappresentanti delle Regioni,
delle Province e dei Comuni. Si ritiene che tali partecipanti non
abbiano diritto di voto in sede di adozione delle linee di indirizzo.
3) Il Comitato interministeriale per le politiche urbane (CIPU)
è stato istituito dall’art. 12-bis del d.l. 22.6.2012, n. 83 conv. con
mod. dall'art. 1, co. 1 della l. 7.8.2012, n. 134 (Misure urgenti per la
crescita del Paese). Il Comitato, nella prospettiva della crescita,
dell'inclusione sociale e della coesione territoriale, ha lo scopo di
coordinare le politiche urbane attuate dalle amministrazioni centrali
interessate e di concertarle con le regioni e con le autonomie locali.
Esso è presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal
Ministro delegato ed è composto dal Ministro per la coesione
territoriale, dal Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport,
dal Ministro dell'interno, dal Ministro dell'economia e delle finanze,
dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, dal Ministro dello
122
sviluppo economico, dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti,
dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dal
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Inoltre,
alle riunioni del CIPU partecipano anche i Ministri aventi
competenza sulle materie oggetto dei provvedimenti e delle
tematiche inseriti all'ordine del giorno (si ritiene con diritto di voto),
nonché un rappresentante delle regioni e delle province autonome di
Trento e di Bolzano, un rappresentante delle province e un
rappresentante dei comuni, nominati dalla componente
rappresentativa delle autonomie territoriali nell'ambito della
Conferenza unificata. Poiché la materia urbanistica coinvolge le
competenze legislative regionali e quelle amministrative comunali e
provinciali l’art. 12-bis cit. precisa che il CIPU svolge i propri
compiti nel rispetto delle competenze attribuite dalla Costituzione e
dalla legge al Consiglio dei Ministri, alla Conferenza permanente per
i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
di Bolzano e alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
Il riordinamento degli organi collegiali dello Stato, con la
soppressione di molti di essi. Anche in questo caso l’art. 1, comma
28, fissati i principi, delegifica rinviando ai regolamenti. Su tale base
legislativa il d.P.R. 9.5.1994 n. 608, ha: 1) soppresso numerosissimi
organi collegiali (vedi elenco tab. A); 2) sostituito altri organi
collegiali con “conferenze di servizi”, a carattere temporaneo (v.
elenco tab. B); 3) ridotto il numero dei componenti di molti organi
collegiali mantenuti in vita (vedi elenco tab. C); 4) eliminato da
alcuni organi collegiali la presenza dei rappresentanti sindacali o di
categoria (vedi tab. D); 5) trasferito ai dirigenti amministrativi una
serie di funzioni prima di competenza dei soppressi organi collegiali.
Tale linea di interventi di riduzione e snellimento è proseguita nella
legislazione successiva, investendo anche un organo a rilevanza
costituzionale come il CNEL che si è visto ridurre il numero dei
componenti dall’art. 23, comma 8, lett. a), del d.l. 6.12.2011 n. 201,
nel testo integrato dalla legge di conversione 22.12.2011, n. 214.
123
La previsione di una delega - esercitata con il d.lgs. 30.6.1994, n.
479 - per il riordino degli enti pubblici previdenziali ed assistenziali
(art. 1, comma 32). Riordino proseguito dalle successive leggi. Così,
da ultimo, con l’art. 7 del d.l. 31.5. 2010, n. 78 conv. con mod. in l.
30.7.2010 n. 122, sono stati soppressi l'Istituto di previdenza per il
settore marittimo -IPSEMA e l'Istituto per la prevenzione e la
sicurezza del lavoro - ISPESL attribuendo le relative funzioni
all'INAIL - Istituto Nazionale Assicurazione contro gli Infortuni sul
Lavoro . Inoltre, per effetto del d.l. 6.12.2011 n. 201 (c.d. "decreto
salva Italia"), poi conv. con mod. in l. 27.12.2011 n. 214 dal 1°
gennaio 2012 sono stati soppressi l'Istituto nazionale di previdenza
per i dipendenti dell'amministrazione pubblica - INPDAP e l' Ente
Nazionale di Previdenza e di Assistenza per i Lavoratori dello
Spettacolo e dello Sport Professionistico - ENPALS confluiti
nell’INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.
Si tratta di riforme che mirano tutte a rendere più snella, efficiente e
flessibile l’organizzazione degli apparati amministrativi statali al fine di
rendere più agile l’attività amministrativa, secondo un disegno coerente che
passa anche attraverso una riforma delle modalità di adozione degli atti
amministrativi, come quella operata, sempre negli anni novanta, con la
legge 12.1.1991, n. 13 che ha drasticamente ridotto gli atti amministrativi da
adottarsi nella forma del d.P.R. (vedi art. 2) a favore di forme più snelle
come il d.P.C.M. e il d.M. .
42. Il decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 300 sull’organizzazione
ministeriale.
La tappa fondamentale nell’iter di riforma dell’organizzazione
amministrativa degli anni novanta dello scorso secolo è costituita dal d.lgs.
30 luglio 1999 n. 300.
Il decreto legislativo n. 300/99, emanato in attuazione della delega
disposta con l'articolo 11, comma 1, lett. a) della legge n. 59/97 (mod.
dall'art. 1 della legge 16.6.1998, n. 191 e dall'art. 9 della legge 8.3.1999, n.
50), detta norme per la razionalizzazione, il riordino, la soppressione e la
124
fusione di ministeri, l'istituzione di agenzie ed il riordino
dell'amministrazione periferica dello Stato.
Significativamente, già al secondo comma dell’art. 1, il d.lgs.
conferma la volontà di riordinare l’apparato statale all’insegna del principio
di sussidiarietà e delle autonomie locali, statuendo, con una norma di
interpretazione, che “in nessun caso” le norme del decreto possono essere
interpretate nel senso della attribuzione allo Stato, alle sue amministrazioni
o ad enti pubblici nazionali, di funzioni e compiti trasferiti, delegati o
comunque attribuiti alle regioni, agli enti locali e alle autonomie funzionali
dalle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore del decreto stesso,
ovvero da conferire ai sensi dei decreti legislativi emanati in attuazione della
legge 15 mano 1997, n. 59.
Ridurre il numero dei dicasteri, in presenza di coalizioni di governo
non è obiettivo politicamente facile da realizzare. La riforma del 1999 ne
rinviava l’entrata in vigore alla legislatura successiva. Va, poi, segnalato che
l’originario indirizzo volto a ridurre il numero dei ministeri a 12 è stato nella
legislatura successiva abbandonato con le modifiche apportate nel 2001, che
hanno portato a 14 il numero dei ministeri (d.l. 12.6.2001 n. 217). Nella
legislatura ancora successiva (Governo Prodi) si è proceduto al c.d.
“spacchettamento” dei ministeri, portandoli a ben 18 (d.l. 18.5.2006, n. 181
conv. con mod. in l. 17.7.2006, n. 233), con innumerevoli vice ministri e
sottosegretari, anche se, in extremis, con i commi 376 e 377 dell’art. 1 della
legge finanziaria 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244) si è stabilito che:
“A partire dal Governo successivo a quello in carica alla data di entrata in vigore della presente legge, il numero dei Ministeri è stabilito dalle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nel testo pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 203 del 30 agosto 1999. Il numero totale dei componenti del Governo a qualsiasi titolo, ivi compresi ministri senza portafoglio, vice ministri e sottosegretari, non può essere superiore a sessanta e la composizione del Governo deve essere coerente con il principio stabilito dal secondo periodo del primo comma dell’articolo 51 della Costituzione.”.
Nella attuale legislatura (col Governo Monti) si sono ridotti
nuovamente i ministeri con portafoglio, che sono 13. Pertanto attualmente i
ministeri sono i seguenti:
125
1) Ministero degli affari esteri;
2) Ministero dell'interno;
3) Ministero della giustizia;
4) Ministero della difesa;
5) Ministero dell'economia e delle finanze;
6) Ministero dello sviluppo economico;
7) Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
8) Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
9) Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
10) Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
11) Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
12) Ministero per i beni e le attività culturali;
13) Ministero della salute.
Ovviamente vanno aggiunti i ministri senza portafoglio (cioè privi di
ministero, che utilizzano le strutture della Presidenza del Consiglio dei
ministri e che attualmente sono sei: Affari europei; Affari regionali, turismo
e sport; Coesione territoriale; Rapporti con il Parlamento; Cooperazione
internazionale e integrazione; Pubblica amministrazione e semplificazione).
Il d.lgs. n. 300 del 1999:
distingue le attribuzioni che i ministeri curano attraverso la propria
organizzazione (che riguardano funzioni più propriamente
amministrative), da quelle che, invece, i ministeri realizzano per mezzo
delle Agenzie, che sono definite dalla legge come strutture che svolgono
attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, in passato
esercitate dai ministeri e da enti pubblici nazionali (art. 8, comma 1);
organizza la gran parte dei ministeri su strutture di primo livello
costituite dai Dipartimenti (restando gli altri ministeri organizzati in
Direzioni generali). I dipartimenti, che sono al loro interno articolati in
“unità di gestione”, sono definiti come strutture di primo livello
costituite per assicurare l'esercizio organico ed integrato delle funzioni
del ministero. Le attribuzioni dei Ministeri organizzati per dipartimenti,
126
infatti, vengono dal decreto fissate secondo aree funzionali (cfr. artt. 24,
28, 33, 42, 46, 47-ter, 50 e 53) ed i dipartimenti corrispondono ad
almeno una (o più) aree funzionali. Ai dipartimenti sono attribuiti
compiti finali concernenti grandi aree di materie omogenee ed i relativi
compiti strumentali (ivi compresi i compiti di indirizzo e coordinamento
delle unità di gestione, i compiti di organizzazione e quelli di gestione
delle risorse strumentali, finanziarie ed umane attribuite ai dipartimenti
stessi);
mantiene, accanto ai Dipartimenti (ovvero alle Direzioni generali), degli
Uffici di diretta collaborazione con il Ministro (art. 7), disciplinati
mediante regolamenti, che servono al Ministro (ed ai Sottosegretari di
Stato e ai “vice ministri”) per svolgere le funzioni assegnate al personale
politico dal d.lgs. n. 165/2001 (vedi in particolare l’art. 14, comma 2,
primo periodo), secondo il principio della distinzione tra direzione
politica (che si sostanzia nei poteri di indirizzo – indicazione degli
obiettivi – vigilanza sui risultati), spettante al Ministro e direzione e
gestione amministrativa, spettante ai dirigenti ministeriali;
riorganizza l’amministrazione periferica dello Stato trasformando le
prefetture in “Prefetture - Uffici territoriali del Governo” (art. 11) ai
quali è preposto un Prefetto. Le Prefetture - uffici territoriali del governo
hanno tutte le funzioni di competenza delle vecchie prefetture,
assumono quelle ad essi assegnate dal decreto e, in generale, sono
titolari di tutte le attribuzioni dell'amministrazione periferica dello Stato
non espressamente conferite ad altri uffici (ad esclusione degli organi
periferici dei ministeri degli AA.EE., della giustizia, della difesa, del
tesoro, della pubblica istruzione e dei beni e delle attività culturali),
secondo quanto il d.lgs. prevede verrà specificamente previsto tramite
regolamenti governativi.
43. I dipartimenti.
Si è già detto della articolazione di alcuni ministeri per dipartimenti,
definiti come strutture di primo livello costituite per assicurare l'esercizio
organico ed integrato delle funzioni del ministero.
127
Per realizzare il fine della massima flessibilità organizzativa, i
dipartimenti vengono previsti dal decreto solo nel loro numero massimo , di
norma pari al numero di aree funzionali presenti in ciascun ministero (che
vanno dalle 2 aree del Ministero delle politiche agricole alimentari e
forestali alle 5 aree funzionali del Ministero dell’economia e delle finanze),
mentre la loro effettiva costituzione viene demandata ai regolamenti
governativi, fonte come è noto più flessibile rispetto alla legge. Invece,
all'individuazione degli uffici di livello dirigenziale non generale di ciascun
ministero e alla definizione dei relativi compiti, nonché la distribuzione dei
predetti uffici tra le strutture di livello dirigenziale generale, si provvede con
decreto ministeriale di natura non regolamentare.
L'incarico di “Capo del dipartimento” viene conferito, in conformità
alle disposizioni di cui all'articolo 19, comma 3, del d.lgs. 30 marzo 2001 n.
165, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del
Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, a dirigenti della
prima fascia dei ruoli dirigenziali ovvero può essere conferito, entro il limite
del 10 % della dotazione organica, anche con contratto a tempo determinato,
a persone esterne in possesso delle specifiche qualità professionali richieste
dal comma 6 dell’art. 19 cit.15.
Il capo del dipartimento svolge compiti di coordinamento, direzione e
controllo degli uffici di livello dirigenziale generale compresi nel
dipartimento stesso, al fine di assicurare la continuità delle funzioni
dell'amministrazione ed è responsabile dei risultati complessivamente
raggiunti dagli uffici da esso dipendenti, in attuazione degli indirizzi del
ministro.
Dal Capo del dipartimento dipendono funzionalmente gli uffici di
livello dirigenziale generale compresi nel dipartimento stesso.
15 E cioè “...a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, ... con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro maturate, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.”(art. 19, comma 6, d.lgs. 165/2001).
128
Nell'esercizio dei poteri ad esso spettanti il Capo del dipartimento:
a) determina i programmi per dare attuazione agli indirizzi del ministro;
b) alloca le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili per
l'attuazione dei programmi secondo princìpi di economicità, efficacia ed
efficienza, nonché di rispondenza del servizio al pubblico interesse;
c) svolge funzioni di propulsione, di coordinamento, di controllo e di
vigilanza nei confronti degli uffici del dipartimento;
d) promuove e mantiene relazioni con gli organi competenti dell'Unione
Europea per la trattazione di questioni e problemi attinenti al proprio
dipartimento;
e) adotta gli atti per l'utilizzazione ottimale del personale secondo criteri di
efficienza, disponendo gli opportuni trasferimenti di personale all'interno del
dipartimento;
44. Le Direzioni generali ed il Segretario Generale.
Nei ministeri organizzati in dipartimenti, il coordinamento è realizzato
appunto attraverso il dipartimento stesso, quale struttura preposta ad una
intera area funzionale; di conseguenza nei ministeri organizzati per
dipartimenti non può ricorrersi alla nomina di un Segretario generale.
Invece, può essere istituita la figura del Segretario generale nei ministeri che
conservano l’organizzazione per direzioni generali come strutture di primo
livello (art. 6 d.lgs. n. 300/99).
Infatti, in quest’ultimo caso la maggiore frammentazione delle
strutture ministeriali di primo livello (si consideri che sono previste fino a
11 direzioni generali per il Ministero della difesa e fino a dieci uffici
dirigenziali generali centrali e diciassette uffici dirigenziali generali
periferici per il Ministero per i beni e le attività culturali, nonché fino a 20
direzioni generali per il Ministero degli affari esteri) e la mancanza di
strutture per aree funzionali rende necessario, ai fini di una maggiore
efficienza, prevedere un coordinamento generale affidato al personale
amministrativo (in passato, invece, una simile figura era osteggiata nel
timore che attribuire un siffatto potere ad un componente del personale
129
burocratico potesse alterare i rapporti tra personale politico e personale
dirigenziale).
Il Segretario generale opera alle dirette dipendenze del Ministro,
assicura il coordinamento dell’azione amministrativa, provvede
all'istruttoria per l'elaborazione degli indirizzi e dei programmi di
competenza del Ministro, coordina gli uffici e le attività del Ministero,
vigila sulla loro efficienza e rendimento e ne riferisce periodicamente al
Ministro (art.6).
45. Le Agenzie.
Le Agenzie sono disciplinate in via generale dagli artt. 8 e 9 del d.lgs.
300/1999 come strutture che svolgono attività a carattere tecnico-operativo
di interesse nazionale ed hanno il compito di operare “ …a servizio delle
amministrazioni pubbliche, comprese anche quelle regionali e locali”(art. 8,
comma 116).
Le Agenzie sono di regola prive di personalità giuridica e quindi
fanno capo alla persona giuridica Stato e, nell’ambito dello Stato persona, ai
Ministeri cui afferiscono. Il d.lgs. 300/99, però, accorda alle Agenzie piena
autonomia nei limiti stabiliti dalla legge e prevede che siano ordinate
secondo statuti emanati con regolamenti governativi e siano rette da un
Direttore Generale, nominato all’incarico con le medesime modalità
previste per l’incarico di Capo del dipartimento.
Il decreto prevede, inoltre, che le Agenzie siano sottoposte ai poteri di
indirizzo e di vigilanza del Ministro cui afferiscono17 e al controllo
successivo della Corte dei conti sulla gestione del bilancio e del
patrimonio (cioè il tipo di controllo previsto dall’art. 3, comma 4, l.n.
20/94).
Il d.lgs. n. 300/99 attribuisce ad alcune particolari Agenzie la
personalità giuridica. In questo modo si è pienamente verificata una
16 Art. 8, comma 1, d.lgs. n. 300/1999: “1. Le agenzie sono strutture che, secondo le previsioni del presente decreto legislativo, svolgono attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, in atto esercitate da ministeri ed enti pubblici. Esse operano al servizio delle amministrazioni pubbliche, comprese anche quelle regionali e locali.”.17 O di tutti i Ministri cui afferiscono, come accade per l’Agenzia per l’Italia digitale.
130
trasformazione del precedente ufficio statale in un nuovo ente pubblico. Nei
confronti di tali Agenzie con personalità giuridica il Ministro è titolare dei
poteri di indirizzo politico di cui agli artt. 4 e 14 d.lgs. n. 165/2001 e assume
la relativa responsabilità.
Sono Agenzie ordinarie: l’Agenzia dei trasporti terrestri e delle
infrastrutture, operante presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
(art. 44) e l’ Agenzia per la formazione e l'istruzione professionale (art. 88).
Hanno personalità giuridica: l’Agenzia Industrie Difesa, posta sotto la
vigilanza del Ministro della difesa ed avente il compito di gestire le attività
delle unità produttive ed industriali della difesa (art. 22). Questa Agenzia è
oggi disciplinata dall’art. 48 del d.lgs. 15.3.2010 n. 66, Codice dell'ordina
mento militare, come modificato dal dall'art. 1, comma 1, lett. e), del d.lgs.
24.2.2012, n. 20, e le Agenzie fiscali, che operano nell’ambito
dell’amministrazione delle finanze (art. 61 d.lgs. n. 300/1999).
Le Agenzie fiscali sono tre:
l’Agenzia delle entrate;
l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, nuova denominazione della
precedente Agenzia delle dogane che, in applicazione del d.l.
6.7.2012, n. 95, dal 1° dicembre 2012 ha incorporato l’Ammini
strazione Autonoma dei Monopoli di Stato, assumendo la nuova
denominazione di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli; e
l’Agenzia del demanio, che non solo ha la personalità giuridica
pubblica, ma è ente pubblico economico (art. 61, comma 1, d.lgs. n.
300/1999).
III.G) Gli organi ausiliari.
46. L’indipendenza del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.
La posizione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, come
organi ausiliari del Governo ma indipendenti dal Governo (sia come
collegio che come singolo componente), risulta dalla interpretazione
sistematica dell’art. 100 Cost. (vedi, da un lato, la denominazione della Sez.
III del Titolo III Cost., e, dall’altro lato, il disposto del terzo comma dell’art.
100 Cost.). Trattandosi di organi ausiliari composti da magistrati e che
131
svolgono il loro ruolo il primo attraverso l’esercizio della funzione di
consulenza giuridico amministrativa (comma 1) ed il secondo attraverso
l’esercizio della funzione di controllo giuridico (comma 2), appare evidente
come l’indipendenza che la Costituzione assicura ai due organi risponde ad
una logica “garantista” (garantire la legalità dell’azione amministrativa e,
quindi, la libertà del cittadino nei confronti dell’Autorità dello Stato).
Si mira a dotare l’Amministrazione Pubblica di due organi
indipendenti che assicurino la conformità alla legge degli atti
amministrativi, il Consiglio di Stato attraverso pareri preventivi sulla
conformità al diritto degli atti amministrativi che si intende adottare, la
Corte dei conti attraverso un controllo giuridico “preventivo di legittimità”
sugli stessi dopo la loro adozione ma prima della loro efficacia.
I due organi svolgono la propria attività rispettivamente di consulenza
giuridica amministrativa e di controllo, innanzi tutto verso lo Stato, ma
anche verso le altre pubbliche amministrazione e, in particolare, verso le
Regioni.
47. Il Consiglio di Stato.
Come è noto, i pareri possono essere: facoltativi, quando la legge non
prevede l’obbligo per l’Amministrazione di richiederli, ma vengono chiesti
spontaneamente dalla P.A.; obbligatori, quando la legge obbliga la P.A. a
richiederli, ma non anche a seguirli, potendo la stessa discostarsi da essi
quando non li condivide, sia pure motivandone le ragioni; vincolanti,
quando la legge impone alla P.A. sia di richiederli che di attenersi ad essi; e
semi vincolanti, quando la legge prevede il parere come vincolante e tuttavia
stabilisce una procedura rafforzata che consente alla P.A. di discostarsi dal
parere18.
18 E’ da sottolineare che la possibilità per le Amministrazioni di non condividere il parere facoltativo od obbligatorio e, quindi, di discostarsene nell’adozione del provvedimento, non rende irrilevanti tali pareri in quanto comporta la necessità di una adeguata motivazione delle ragioni di tale decisione. Nel caso del parere vincolante, invece, l’A. deve seguire il parere anche se non dovesse condividerlo.
132
Devono, ancora, distinguersi i pareri tecnici, attraverso i quali viene
acquisita una valutazione fondata su regole scientifiche, da quelle mediche a
quelle ingegneristiche, dai pareri giuridici.
La funzione consultiva del Consiglio di Stato come consulenza
“giuridico-amministrativa”, mirante alla “tutela della giustizia
nell’amministrazione” piuttosto che alla cura dello specifico interesse
pubblico perseguito dal singolo ramo dell’Amministrazione statale agente,
risalta dall’analisi del primo comma dell’art. 100, se si considera che il
richiamo alla “giustizia” ( il Consiglio di Sato viene definito “organo…di
tutela della giustizia nell’amministrazione”) sembra riguardare appunto
l’attività consultiva e non già l’attività giurisdizionale del Consiglio di Stato,
che è estranea all’art. 100, essendo prevista e disciplinata in un altro
articolo, l’art. 103, facente parte di un altro titolo, il titolo IV della
Costituzione.
Le Sezioni consultive del Consiglio di Stato sono le Sezioni I, II e III
e VII, quest’ultima istituita dall’art. 17, co. 28, della legge 15.5.1997 n. 127,
mentre le Sezioni IV, V e VI sono giurisdizionali (ma, in base alla
normativa attualmente in vigore, all’inizio di ciascun anno giudiziario il
Presidente del Consiglio di Stato può assegnare funzioni giurisdizionali
anche ad altre Sezioni, e ciò avviene per la Sez. III, che svolge entrambe le
funzioni).
I pareri vengono espressi dall’Adunanza Generale, dalle singole
Sezioni consultive e dalle Commissioni speciali. È, infatti, in facoltà del
Presidente, quando il Consiglio sia chiamato a dar parere sopra affari di
natura mista o indeterminata, di formare Commissioni speciali,
scegliendone i consiglieri nelle sezioni.
L’influsso della nuova visione dell’organizzazione amministrativa
come volta non solo a garantire la legittimità degli atti amministrativi, ma
l’efficienza dell’azione amministrativa, si avverte anche riguardo al ruolo
del Consiglio di Stato (che pure è ancora massimamente disciplinato dal t.u.
n. 1054 del 1924).
Così, per snellire l’azione amministrativa, ferma la possibilità per le
Amministrazioni statali (e regionali) di chiedere pareri facoltativi, è stato
133
fortemente ridotto il numero dei pareri obbligatori. Il parere obbligatorio del
Consiglio di Stato è oggi richiesto:
a) nella procedura per l’emanazione dei regolamenti del Governo e dei
singoli ministri e dei testi unici;
b) sugli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti
da uno o più ministri.
Invece, con la modifica introdotta dalla legge 18.6.2009, n. 69 (art.
69) il parere del Consiglio di Stato nella procedura relativa alla decisione
dei ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica è diventato un parere
vincolante.
La disciplina del procedimento consultivo, dettata dal comma 27
dell’art. 17 l.n. 127/1997, risulta ispirata a criteri di efficienza e rapidità
dell’azione amministrativa piuttosto che a criteri di garanzia, laddove
consente al dirigente di procedere indipendentemente dal parere quando
quest’ultimo dovesse ritardare. Precisamente, la norma dispone che il parere
deve essere reso dal Consiglio di Stato, di regola, entro 45 giorni dal
ricevimento della richiesta; decorso tale termine, l'Amministrazione può
procedere indipendentemente dall'acquisizione del parere. Il termine può
essere interrotto, per esigenze istruttorie, una sola volta e il parere deve
essere reso definitivamente entro venti giorni dal ricevimento degli elementi
istruttori da parte delle amministrazioni interessate.
48. La Corte dei conti.
Ai sensi del secondo comma dell’art. 100 della Costituzione “La
Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del
governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato.
Partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla
gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria.
Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito.”.
Peraltro, nell’attuale assetto organizzativo, ai suoi compiti tradizionali
di cui all’art. 100 Cost., la Corte dei conti ha aggiunto nuovi importanti
ruoli, sia con riguardo al passaggio dal controllo di legittimità al controllo
sui risultati, sia con riguardo al controllo delle regioni e delle autonomie
134
locali nel nuovo contesto derivante dalla riforma in senso autonomistico
della Repubblica. Di conseguenza attualmente possiamo individuare tre
modelli principali attraverso cui si esercita l’attività di controllo della Corte
dei conti: il controllo preventivo di legittimità; il controllo successivo sulla
gestione delle amministrazioni pubbliche e il controllo
economi-co/finanziario con funzione referente (c.d. controllo-referto).
48.1. Il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo.
Il controllo è di legittimità, in quanto verifica la conformità dell’atto
alle norme vigenti; è preventivo, in quanto viene svolto dopo il
perfezionamento dell’atto ma prima della sua efficacia. Dal punto di vista
del procedimento amministrativo, dunque, si situa nella fase c.d.
“integrativa dell’efficacia”.
La disposizione costituzionale (art. 100 Cost.) consacra il tradizionale
controllo preventivo di legittimità che veniva prima della riforma del 1994
effettuato su tutti gli atti amministrativi statali comportanti una spesa.
Già nel 1988, tuttavia, con la legge n. 400/88, si erano sottratti a tale
controllo i decreti legge ed i decreti legislativi, dando luogo a dubbi di
costituzionalità. La Corte Costituzionale, chiamata dalla Corte dei conti a
decidere sulla questione di costituzionalità, ha superato tale dubbio con una
motivazione che, tuttavia, confermava la regola generale. Infatti, si è
affermato che l’art. 100 Cost. andava interpretato come rivolto
esclusivamente agli atti amministrativi del Governo, mentre i decreti legge
ed i decreti legislativi sono atti aventi forza di legge e non atti
amministrativi del Governo.
Comunque, una importante rilettura della portata dell’art. 100 Cost. si
è avuta dopo l’emanazione della legge n. 20 del 1994 che ha eliminato il
controllo preventivo generalizzato della Corte dei conti su tutti gli atti
amministrativi statali, limitandolo ad alcune categorie di atti, salva la facoltà
delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, di estendere il controllo per un
periodo determinato anche ad altri atti (analoga facoltà è attribuita anche al
Presidente del Consiglio dei ministri). Tale normativa è stata riconosciuta
135
costituzionale dalla Corte costituzionale con la sentenza 12-27 gennaio
1995, n. 29.
Le materie sottoposte al controllo preventivo di legittimità sono
indicate dall’art. 3, commi 1 della legge n. 20/1994: si tratta di
provvedimenti di particolare rilevanza, ovvero di atti “sospetti” in quanto
per darvi corso è dovuto intervenire l'ordine scritto del Ministro.
Va aggiunto che anche nel caso del controllo preventivo di legittimità
della Corte dei Conti vale la regola, stabilita dal comma 2 dell’art. 3 cit., che
i provvedimenti sottoposti al controllo preventivo acquistano efficacia se il
controllo non interviene entro un determinato periodo di tempo.
La procedura del controllo preventivo è piuttosto articolata (artt. 24 e
segg. R.D. 12.7.1934 n. 1214 t.u. Corte Conti). I provvedimenti sottoposti al
controllo preventivo acquistano efficacia se il competente ufficio di
controllo non ne rimetta l'esame alla sezione del controllo nel termine di
trenta giorni dal ricevimento. Il termine è interrotto se l'ufficio richiede
chiarimenti o elementi integrativi di giudizio. Decorsi trenta giorni dal
ricevimento delle controdeduzioni dell'amministrazione, il provvedimento
acquista efficacia se l'ufficio non ne rimetta l'esame alla sezione del
controllo. La sezione del controllo si pronuncia sulla conformità a legge
entro trenta giorni dalla data di deferimento dei provvedimenti o dalla data
di arrivo degli elementi richiesti con ordinanza istruttoria. Decorso questo
termine i provvedimenti divengono esecutivi.
Particolarmente importante è la procedura da seguire in caso di
controllo negativo (art. 25 t.u. cit.).
Qualora il consigliere della Corte dei conti delegato al controllo,
sentita l'Amministrazione interessata, ritenga che un atto o decreto non
debba essere ammesso al visto o alla registrazione, lo trasmette al Presidente
della Corte, il quale promuove una pronunzia motivata della Sezione di
controllo. Del deferimento alla Sezione di controllo è data comunicazione
scritta alla Amministrazione interessata e al Ministero dell’economia e delle
finanze, che possono presentare deduzioni e farsi rappresentare avanti la
Sezione stessa da propri funzionari per sostenere la legittimità del
provvedimento.
136
Il rifiuto del visto, può essere superato solo portando la questione
all’esame del Consiglio dei ministri. Se il Consiglio dei ministri delibera
insistendo a volere dare corso all’atto, ovvero anche a parte di esso, sulla
richiesta di visto, la Corte si pronunzierà a sezioni riunite e, qualora non
riconosca cessata la causa del rifiuto, ne ordina la registrazione con
riserva. In questo modo l’atto acquista efficacia, ma della registrazione con
riserva la Corte deve dare subito notizia al Parlamento (entro 15 giorni), in
modo da mettere in grado sia la Camera dei deputati che il Senato di attivare
la responsabilità politica del Governo, ove lo ritenga necessario.
Tuttavia il rifiuto di registrazione è assoluto ed il controllo negativo
annulla il provvedimento senza possibilità di registrazione con riserva
quando si tratta:
a) di impegno od ordine di pagamento riferentesi a spesa che ecceda la
somma stanziata nel relativo capitolo del bilancio od, a giudizio della Corte,
imputabile ai residui piuttosto che alla competenza e viceversa, ovvero ad
un capitolo diverso da quello indicato nell'atto del ministero che lo ha
emesso;
b) di decreti per nomine e promozioni di personale di qualsiasi ordine
e grado, disposte oltre i limiti dei rispettivi organici;
c) di ordini di accreditamento a favore di funzionari delegati al
pagamento di spese, emessi per un importo eccedente i limiti stabiliti dalle
leggi (cfr. artt. 22, 24, 25 e 26 T.u. Corte dei conti R.D. 12.7.1934 n. 1214).
Anche riguardo al controllo di legittimità, tuttavia, la riforma del 1994
ha dato maggiore spazio alle esigenze di efficienza rispetto al garantismo. Si
è così disposto (vedi oggi art. 27 legge 24.11.2000, n. 340) che gli atti
trasmessi alla Corte dei conti per il controllo preventivo di legittimità
divengono in ogni caso esecutivi trascorsi sessanta giorni dalla loro
ricezione, senza che sia intervenuta una pronuncia della Sezione del
controllo, salvo che la Corte, nel predetto termine, abbia sollevato questione
di legittimità costituzionale, per violazione dell'articolo 81 della
Costituzione, delle norme aventi forza di legge che costituiscono il
presupposto dell'atto, ovvero abbia sollevato, in relazione all'atto, conflitto
137
di attribuzione19. Il predetto termine è sospeso per il periodo intercorrente tra
le eventuali richieste istruttorie e le risposte delle amministrazioni o del
Governo, che non può complessivamente essere superiore a trenta giorni.
E’ stata accelerata anche la procedura relativa alla registrazione con
riserva, prevedendo che l’atto sul quale il Consiglio dei Ministri delibera
debba avere corso, diventa esecutivo ove le Sezioni riunite della Corte dei
conti non abbiano deliberato entro trenta giorni dalla richiesta.
48.2. Il controllo su singoli atti delle amministrazioni statali di notevole
rilievo finanziario.
Ai sensi del comma terzo dell’art. 3 della legge n. 20 del 1994, le
Sezioni riunite della Corte dei conti possono, con deliberazione motivata,
stabilire che singoli atti di notevole rilievo finanziario, individuati per
categorie ed amministrazioni statali, siano sottoposti all'esame della Corte
per un periodo determinato.
La Corte può chiedere il riesame degli atti entro quindici giorni dalla
loro ricezione, ferma rimanendone l'esecutività.
Le amministrazioni trasmettono gli atti adottati a seguito del riesame
alla Corte dei conti, che ove rilevi illegittimità, ne dà avviso al Ministro.
48.3. La parificazione del rendiconto generale dello Stato e di quello
delle Regioni.
Sempre in base all’art. 100 della Costituzione alla Corte dei conti
compete il controllo del bilancio dello Stato. Pertanto, a tal fine, il
rendiconto generale dello Stato, che il Ministro dell’economia e delle
finanze deve rendere alla fine di ogni esercizio finanziario, è trasmesso alla
Corte dei conti, prima che sia presentato all'approvazione delle Camere. La
19 Ma per i i provvedimenti commissariali adottati in attuazione delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri emanate nei casi d’urgenza della protezione civile (ai sensi dell’ articolo 5, comma 2, della legge 24 febbraio 1992, n. 225: Stato di emergenza e potere di ordinanza) il termine, incluso quello per la risposta ad eventuali richieste istruttorie, è ridotto a complessivi sette giorni; in ogni caso l’organo emanante ha facoltà, con motivazione espressa, di dichiararli provvisoriamente efficaci. Qualora la Corte dei conti non si esprima nei sette giorni i provvedimenti si considerano efficaci.
138
Corte lo verifica e ne confronta i risultati tanto per le entrate, quanto per le
spese ponendoli a riscontro con le leggi del bilancio.
A tale scopo la Corte dei conti verifica se le entrate riscosse e versate
ed i resti da riscuotere e da versare risultanti dal rendiconto, siano conformi
ai dati esposti nei conti periodici e nei riassunti generali trasmessi alla Corte
dai singoli ministeri; se le spese ordinate e pagate durante l'esercizio
concordino con le scritture tenute o controllate dalla Corte ed accerta i
residui passivi in base alle dimostrazioni allegate ai decreti ministeriali di
impegno ed alle proprie scritture.
La Corte, quindi, delibera sul rendiconto generale dello Stato a sezioni
riunite e con le formalità della sua giurisdizione contenziosa, procedendo
alla c.d. “parificazione”. (vedi artt. 38, 39 e 40 r.d. n. 1214/1934).
Inoltre, ai sensi dell’art. 1, comma 5, del d.l. 10.10.2012 n. 174 come
sostituito dalla legge di conversione 7.12.2012 n. 213, anche il rendiconto
generale della regione è parificato dalla sezione regionale di controllo della
Corte dei conti con le forme che si applicano a quello dello Stato e alla
decisione di parifica è allegata una relazione nella quale la Corte dei conti
formula le sue osservazioni in merito alla legittimità e alla regolarità della
gestione e propone le misure di correzione e gli interventi di riforma che
ritiene necessari al fine, in particolare, di assicurare l'equilibrio del bilancio
e di migliorare l'efficacia e l'efficienza della spesa. La decisione di parifica e
la relazione sono trasmesse al Presidente della Giunta regionale e al
Consiglio regionale.
48.4. Il controllo sulla gestione finanziaria degli enti sovvenzionati dallo
Stato.
Questo potere di controllo, previsto dall’art. 100 Cost., riguarda sia gli
enti pubblici che quelli privati cui lo Stato contribuisce in via ordinaria e,
cioè, che ricevono una contribuzione pubblica avente carattere di continuità:
vedi art. 2 l.n. 259/1958,
Gli enti sottoposti al controllo devono far pervenire alla Corte i conti
consuntivi e i bilanci, unitamente alle relazioni degli organi di revisione e
139
dare ogni informazione utile che la Corte richieda. La Corte dei conti, non
oltre i sei mesi successivi comunica alla presidenza delle due Camere i
documenti stessi e riferisce sul risultato del controllo effettuato sulla
gestione finanziaria degli enti stessi (vedi artt. 4 e 7 l. 21.3.1958 n. 259).
Quando si tratta di enti pubblici ai quali lo Stato contribuisce con
apporto al patrimonio in capitale o servizi o beni, ovvero mediante
concessione di garanzia finanziaria, il controllo viene esercitato anche
mediante la presenza di un magistrato della Corte che assiste alle sedute
degli organi di amministrazione e di revisione dell’ente controllato (vedi art.
12 l. 21.3.1958 n. 259).
48.5. Il controllo successivo sulla gestione delle Amministrazioni
pubbliche statali e regionali.
Un nuovo controllo non espressamente previsto dall’art. 100 Cost. è
quello previsto dall’art. 3, commi 4, 5, 6 e 10 bis della legge n. 20/1994, e
cioè il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle
amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi
di provenienza comunitaria, svolto dalla Corte verificando la legittimità e la
regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni a
ciascuna amministrazione.
La Corte definisce annualmente i programmi e i criteri di riferimento
del controllo sulla base delle priorità previamente deliberate dalle
competenti Commissioni parlamentari, anche tenendo conto, ai fini di
referto per il coordinamento del sistema di finanza pubblica, delle relazioni
redatte dagli organi che esercitano funzioni di controllo o vigilanza su
amministrazioni, enti pubblici, autorità amministrative indipendenti o
società a prevalente capitale pubblico20.
20 L’art. 60 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), ai fini del controllo sul costo del lavoro ha previsto l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di presentare, entro il mese di maggio di ogni anno, alla Corte dei conti, per il tramite del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato ed inviandone copia Dipartimento della funzione pubblica, il conto annuale delle spese sostenute per il personale. Il conto è accompagnato da una relazione, con cui le amministrazioni pubbliche espongono i risultati della gestione del personale, con riferimento agli obiettivi che, per ciascuna amministrazione, sono stabiliti dalle leggi, dai
140
La differenza “qualitativa” di tale controllo rispetto agli altri previsti
dall’art. 100 si percepisce se si considera che il suo scopo primario non è il
controllo della legalità dell’atto o della gestione, ma piuttosto la verifica
della rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi
stabiliti dalla legge.
La norma, inoltre, stabilisce che nei confronti delle amministrazioni
regionali il controllo della gestione concerne il perseguimento degli obiettivi
stabiliti dalle leggi di principio e di programma.
Tale attività di controllo sui risultati - e, quindi, sulla efficacia ed
efficienza dell’azione amministrativa statale e regionale - implica da parte
della Corte dei conti un ruolo non già di giudice-controllore-sanzionatore
delle violazioni di legge, ma di “collaboratore” altamente qualificato e
indipendente che, proprio in quanto tale, è in grado di fornire al personale
politico e al personale amministrativo dirigenziale giudizi critici e dati di
valutazione per meglio comprendere l’efficacia e l’efficienza dell’azione
amministrativa già svolta e per apportare miglioramenti a quella futura, con
riguardo non già alla legalità ma al raggiungimento dei risultati.
Proprio per tale ragione questo controllo non si conclude con un
annullamento dell’atto di cui si fosse accertata la non conformità alla legge
(controllo preventivo di legittimità ex art. 100 Cost.), bensì si conclude con
una relazione, rispettivamente al Parlamento, se si tratta di gestione statale,
o al Consiglio regionale, se si tratta di gestione regionale, nonché con
l’invio delle suddette relazioni e di eventuali specifiche osservazioni -
formulate in qualsiasi momento la Corte le ritenga necessarie -
all’Amministrazione interessata (art. 3, comma 6, l.n. 20/94) al trasparente
scopo di collaborare all’attività di continuo miglioramento
dell’organizzazione dell’attività amministrativa.
Da qui il collegamento della Corte dei conti con gli organi di controllo
interno (art. 3, comma 4 e comma 8, l.n. 20/94), che le recenti leggi hanno
regolamenti e dagli atti di programmazione.La Corte dei conti deve riferire annualmente al Parlamento sulla gestione delle risorse finanziarie destinate al personale del settore pubblico, avvalendosi di tutti i dati e delle informazioni disponibili presso le amministrazioni pubbliche. Peraltro, come vedremo, la Corte interviene anche in sede di verifica della compatibilità dei contratti collettivi in itinere (cfr. infra par. 52).
141
istituito presso ogni amministrazione pubblica, ed il potere attribuito alla
Corte (art. 3, comma 4) non solo di chiedere alle Amministrazioni
informazioni e documenti, ma anche di disporre ispezioni e accertamenti
diretti (poteri non indispensabili per un controllo di tipo documentale,
limitato alla regolarità formale degli atti amministrativi, e, invece,
fondamentale per il nuovo tipo di controllo sui risultati della gestione).
L’art. 1 del d.l. 10.10.2012 n. 174, conv. con mod. in l. 7.12.2012 n.
213, ha fortificato la partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla
gestione finanziaria delle Regioni al dichiarato fine di rafforzare il
coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo
statale e regionale, e di garantire il rispetto dei vincoli finanziari derivanti
dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea.
In base a tale nuova normativa ogni sei mesi le Sezioni regionali di
controllo della Corte dei conti trasmettono ai Consigli regionali una
relazione sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate nelle leggi
regionali approvate nel semestre precedente e sulle tecniche di
quantificazione degli oneri.
Inoltre il Presidente della Regione deve trasmettere ogni dodici mesi
al Presidente del Consiglio regionale e alla Sezione regionale di controllo
della Corte dei conti una relazione sulla regolarità della gestione e
sull'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei controlli interni adottato
sulla base delle linee guida deliberate dalla Sezione delle autonomie della
Corte dei conti.
Nell'ambito delle verifiche effettuate l'accertamento, da parte delle
competenti Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, di squilibri
economico-finanziari, della mancata copertura di spese, della violazione di
norme finalizzate a garantire la regolarità della gestione finanziaria o del
mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità interno,
comporta per le amministrazioni interessate l'obbligo di adottare, entro
sessanta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia di
accertamento, i provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarità e a
ripristinare gli equilibri di bilancio.
142
Tali provvedimenti sono trasmessi alle Sezioni regionali di controllo
della Corte dei conti che li verificano nel termine di trenta giorni dal
ricevimento. Qualora la Regione non provveda alla trasmissione dei suddetti
provvedimenti o la verifica delle sezioni regionali di controllo dia esito
negativo, la nuova normativa del 2012 stabilisce che è preclusa l'attuazione
dei programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o
l'insussistenza della relativa sostenibilità finanziaria.
Il d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali, ha ribadito che la Corte dei Conti esercita
il controllo sulla gestione degli enti locali, ai sensi delle disposizioni di cui
alla legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni ed
integrazioni e precisato che il controllo di gestione è la procedura diretta a
verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati e, attraverso
l'analisi delle risorse acquisite e della comparazione tra i costi e la quantità e
qualità dei servizi offerti, la funzionalità dell'organizzazione dell'ente,
l'efficacia, l'efficienza ed il livello di economicità nell'attività di
realizzazione dei predetti obiettivi.
In particolare gli artt. 148 e 148 bis del d.lgs. n. 267/2000, nel testo
sostituito dall'art. 3, comma 1, lett. e), del d.l. 10.10.2012, n. 174, conv. con
mod. dalla l. 7.12.2012, n. 213, prevedono un rafforzamento ulteriore del
controllo della Corte dei conti sugli enti locali stabilendo che le Sezioni
regionali della Corte dei conti verificano, con cadenza semestrale, la
legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei
controlli interni ai fini del rispetto delle regole contabili e dell'equilibrio di
bilancio di ciascun ente locale.
A tale fine, il sindaco, relativamente ai comuni con popolazione
superiore ai 15.000 abitanti, o il presidente della provincia, avvalendosi del
direttore generale, quando presente, o del segretario negli enti in cui non è
prevista la figura del direttore generale, trasmette semestralmente alla
Sezione regionale di controllo della Corte dei conti un referto sulla
regolarità della gestione e sull'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei
controlli interni adottato, sulla base delle linee guida deliberate dalla sezione
143
delle autonomie della Corte dei conti. Detto referto deve essere, altresì,
inviato al Presidente del consiglio comunale o provinciale.
E’ ovvio che da tale trasformazione (od arricchimento) di ruoli della
Corte dei conti scaturiscono problemi di compatibilità: compatibilità tra
formazione essenzialmente giuridica dei magistrati e nuove competenze non
giuridiche richieste al magistrato; compatibilità tra la veste tradizionale della
Corte di controllore e giudice e quella di “esperto” di fiducia
dell’Amministrazione che analizza e critica per collaborare a migliorare i
risultati e non per giudicare e sanzionare gli errori.
48.6. Il controllo della Corte dei conti sui conti consuntivi delle province
e dei comuni con più di 8.000 abitanti.
La Corte dei conti esercita un controllo anche sulle province e sui
comuni con popolazione superiore a ottomila abitanti (vedi art. 13, d.l.
22.12.1981, n. 786, conv. con mod. in l. 26.2.1982, n. 51). Tali enti sono
tenuti a trasmettere i propri conti consuntivi alla Corte dei conti unitamente
alle relazioni dei revisori nominati dal consiglio comunale e ad ogni altro
documento e informazione che questa richieda.
Questa forma di controllo avviene sulla base di una programmazione
dell’attività di controllo. Entro il 31 luglio di ogni anno, la Corte comunica
ai Presidenti delle Camere l'elenco dei conti consuntivi pervenuti, il piano
delle rilevazioni che si propone di compiere e i criteri ai quali intende
attenersi nell'esame dei conti medesimi. In ogni caso la Corte esamina la
gestione di tutti gli enti i cui consuntivi si chiudano in disavanzo ovvero
rechino la indicazione di debiti fuori bilancio.
La Corte, sempre entro il 31 luglio di ogni anno, riferisce al
Parlamento i risultati dell'esame compiuto sulla gestione finanziaria e sul
buon andamento dell'azione amministrativa degli enti (vedi art. 13, commi
4, 5 e 6 d.l. 22.12.1981, n. 786, conv. con mod. in l. 26.2.1982, n. 51).
144
48.7. Il controllo della Corte dei conti in relazione al patto di stabilità
interno ed ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione
europea.
La legge 5.6.2003, n. 131, recante “Disposizioni per l'adeguamento
dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3”,
all’art. 7, commi 7 e 8, ha previsto che la Corte dei conti, ai fini del
coordinamento della finanza pubblica, verifica il rispetto degli equilibri di
bilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in
relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall'appartenenza
dell'Italia all'Unione europea.
Peraltro oggi la legge cost. 20 aprile 2012, n. 1 nel comma aggiunto
all’art. 97 Cost. ha sancito che “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza
con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e
la sostenibilità del debito pubblico”, rafforzando i vincoli di stabilità
economico finanziaria nazionali.
A tal fine le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti
verificano, nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla
gestione, il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali
di principio e di programma, secondo la rispettiva competenza, nonché la
sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli
interni e riferiscono sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai consigli
degli enti controllati.
Le Regioni, inoltre, possono richiedere ulteriori forme di
collaborazione alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ai fini
della regolare gestione finanziaria e dell'efficienza ed efficacia dell'azione
amministrativa, nonché pareri in materia di contabilità pubblica. Analoghe
richieste possono essere formulate, di norma tramite il Consiglio delle
autonomie locali, se istituito, anche da Comuni, Province e Città
metropolitane (art. 7, comma 8 l.cit.).
L’art. 1, comma 166 e ss. della legge 23.12.2005, n. 266 (legge
finanziaria 2006) ha, inoltre, stabilito che, ai fini della tutela dell'unità
economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, gli
organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali devono
145
trasmettere alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei
conti una relazione sul bilancio di previsione dell'esercizio di competenza e
sul rendiconto dell'esercizio medesimo, creando in questo modo un rapporto
diretto tra la Corte dei conti e tali organi di controllo interno.
Spetta alla Corte dei conti definire unitariamente i criteri e le linee
guida cui debbono attenersi tali organi nella predisposizione della predetta
relazione, la quale deve, comunque, dare conto del rispetto degli obiettivi
annuali posti dal patto di stabilità interno, dell'osservanza del vincolo
previsto in materia di indebitamento dall'articolo 119, ultimo comma, della
Costituzione, e di ogni grave irregolarità contabile e finanziaria in ordine
alle quali l'amministrazione non abbia adottato le misure correttive segnalate
dall'organo di revisione (art. 1, comma 167, l.n. 266/2005).
Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, qualora
accertino, anche sulla base delle suddette relazioni, comportamenti difformi
dalla sana gestione finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi posti con
il patto, adottano specifica pronuncia e vigilano sull'adozione da parte
dell'ente locale delle necessarie misure correttive e sul rispetto dei vincoli e
limitazioni posti in caso di mancato rispetto delle regole del patto di stabilità
interno (art. 1, comma 168, l.n. 266/2005).
La Corte dei conti ha chiarito che la “specifica pronuncia” di cui sopra
ha lo scopo di sollecitare le necessarie misure correttive delle irregolarità
segnalate e, quindi, è espressione della “natura collaborativa” di tale
controllo della Corte “...che non è diretto a sanzionare comportamenti, ma
ad ottenere che gli stessi organi rappresentativi degli enti locali provvedano
a tutelare l’equilibrio del proprio bilancio.” (cfr. deliberazione 19.3.2007,
in S.O. n. 99 alla G.U. n. 82 del 7.4.2007).
Con la citata deliberazione 19 marzo 2007, la Corte dei conti ha
dettato le linee guida cui debbono attenersi gli organi di revisione
economico-finanziaria degli enti locali nella predisposizione della relazione,
nonché una serie di questionari predisposti alla scopo di acquisire dati
omogenei rilevanti per l’attività di controllo. In tali linee guida, inoltre, la
Corte ha precisato che la nozione di “grave irregolarità contabile e
finanziaria” non può essere definita in astratto, ma deve essere ricavata
146
dall’analisi della situazione finanziaria dell’ente, dovendo perciò gli organi
di revisione segnalare, sulla base di tale analisi, tutte le irregolarità
riscontrate che possano incidere sull’equilibrio del bilancio e sul rispetto del
“principio di veridicità” (cfr. da ultimo la delibera 20.7.2009 n.
12/SEZAUT/2009/INPR, recante le Linee guida e relativi questionari per gli
organi di revisione economico-finanziaria degli Enti locali).
La Corte ha anche chiarito che tale forma di controllo attraverso
l’esame delle relazioni degli organi di revisione economico-finanziaria degli
enti locali è distinto e si aggiunge al controllo sulla gestione ex art. 7 l. n.
131/2003 descritto all’inizio di questo paragrafo, poiché è un controllo
necessario che si esegue su tutti i comuni e le province, mentre il controllo
sulla gestione riguarda soltanto gli enti e i contenuti individuati nel
programma annuale della Sezione.
48.8. Il controllo sulla gestione ed il controllo economico/finanziario
della Corte dei conti.
L’importanza delle innovazioni apportate dalla legislazione ordinaria
sul ruolo della Corte dei conti sono state messe in luce dalla Corte
Costituzionale in due importanti sentenze, la n. 267 del 2006 e la n. 179 del
2007.
La Corte Costituzionale ha segnalato la novità del dettato dell’art. 3
della legge n. 20 del 1994, in quanto il controllo sulla gestione,
differenziandosi dal controllo interno “di gestione”, concomitante all'azione
della pubblica amministrazione e di natura amministrativa, costituisce un
controllo successivo ed esterno all'amministrazione, di natura imparziale e
collaborativa. Secondo la Corte “l'estensione di tale controllo a tutte le
amministrazioni pubbliche, comprese le Regioni e gli enti locali, è il frutto
di una scelta del legislatore che ha inteso superare la dimensione un tempo
“statale” della finanza pubblica riflessa dall'art. 100 Cost. ed ha
riconosciuto alla Corte dei conti, nell'ambito del disegno tracciato dagli
artt. 97, primo comma, 28, 81 e 119 (nel testo originario) Cost., il ruolo di
organo posto al servizio dello “Stato-comunità”, quale garante imparziale
dell'equilibrio economico-finanziario del settore pubblico e della corretta
147
gestione delle risorse collettive sotto il profilo dell'efficacia, dell'efficienza e
dell'economicità (sentenze n. 29 del 1995 e n. 470 del 1997)”.
La Corte, inoltre, ha sottolineato il legame esistente tra tali nuove
funzioni ed “i vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione
europea, tra cui, in particolare, l'obbligo imposto agli Stati membri di
rispettare un determinato equilibrio complessivo del bilancio nazionale”.
Nella successiva sentenza n. 179 del 2007 la Corte Costituzionale ha
ribadito che le regole dettate dai commi 166 e segg. dell’art. 1, della l. n.
266/2005 sopra commentate, “introducono un nuovo tipo di controllo
affidato alla Corte dei conti, dichiaratamente finalizzato ad assicurare, in
vista della tutela dell'unità economica della Repubblica e del
coordinamento della finanza pubblica, la sana gestione finanziaria degli
enti locali, nonché il rispetto, da parte di questi ultimi, del patto di stabilità
interno e del vincolo in materia di indebitamento posto dall'ultimo comma
dell'art. 119 Cost.” Viene così sviluppato “il quadro delle misure necessarie
per garantire la stabilità dei bilanci ed il rispetto del patto di stabilità
interno, prescritti dall'art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131”.
Nota ancora la Corte Cost. che tale “controllo, che è ascrivibile alla
categoria del riesame di legalità e regolarità, ha tuttavia la caratteristica,
in una prospettiva non più statica (com'era il tradizionale controllo di
legalità-regolarità), ma dinamica, di finalizzare il confronto tra fattispecie e
parametro normativo alla adozione di effettive misure correttive. Ne
consegue che esso assume anche i caratteri propri del controllo sulla
gestione in senso stretto e concorre, insieme a quest'ultimo, alla formazione
di una visione unitaria della finanza pubblica, ai fini della tutela
dell'equilibrio finanziario e di osservanza del patto di stabilità interno, che
la Corte dei conti può garantire (sentenza n. 267 del 2006).”.
Viene, inoltre sottolineata la natura collaborativa del controllo, che si
limita alla segnalazione all'ente controllato delle rilevate disfunzioni e
rimette all'ente stesso l'adozione delle misure necessarie per evidenziare la
“netta separazione” esistente, secondo la Corte, “tra la funzione di controllo
della Corte dei conti e l'attività amministrativa degli enti, che sono
sottoposti al controllo stesso”. Per cui, sempre secondo la citata sentenza
148
della Corte Costituzionale, non “può dirsi che la vigilanza sull'adozione
delle misure necessarie da parte degli enti interessati implichi un'invasione
delle competenze amministrative di questi ultimi, poiché l'attività di
vigilanza, limitatamente ai fini suddetti, è indispensabile per l'effettività del
controllo stesso.” (n. 179 del 2007).
Quindi, nel venire meno dei controlli sulle autonomie regionali e
locali previsti nel precedente Titolo V della Costituzione, la Corte dei conti
sembra emergere come l’organo cui è affidato il controllo attraverso la
“chiave” finanziaria. Come conclude la Corte Cost. nella sentenza n. n. 179
del 2007 “…In questo quadro, appare evidente che il controllo sulla
gestione finanziaria è complementare rispetto al controllo sulla gestione
amministrativa, ed è utile per soddisfare l'esigenza degli equilibri di
bilancio”.
49. La Ragioneria generale dello Stato.
Nel Ministero dell’economia e delle finanze è costituito il
Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, con a capo il Ragioniere
Generale dello Stato.
Il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, secondo quanto
stabilito con regolamento organizzativo (d.P.R. 30.1.2008 n. 43, adottato ai
sensi dell’art. 1, comma 404, della legge 27 dicembre 2006, n. 296), si
articola in: a) Uffici centrali di livello dirigenziale generale (si tratta di nove
Ispettorati Generali e un Servizio studi dipartimentale, che costituiscono le
strutture centrali del dipartimento); b) Uffici centrali di bilancio; c)
Ragionerie territoriali dello Stato.
Il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ha competenza
nel settore delle politiche di bilancio e del coordinamento e verifica degli
andamenti della spesa pubblica, sulla quale esercita i controlli, i monitoraggi
e le verifiche previsti dall'ordinamento (cfr. d.l. 6.9.2002, n. 194, conv. con
mod. dalla l. 31.10.2002, n. 246), provvedendo anche alla valutazione della
fattibilità e della rilevanza economico-finanziaria dei provvedimenti e delle
iniziative di innovazione normativa, anche di rilevanza comunitaria, alla
149
verifica della quantificazione degli oneri e della loro coerenza con gli
obiettivi programmatici in materia di finanza pubblica.21
Gli Uffici centrali di bilancio (nuova denominazione assunta dalle
Ragionerie centrali dello Stato), sono uffici di livello dirigenziale generale
inseriti all’interno di ciascun ministero ma funzionalmente dipendenti dal
Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato.
Tali organismi hanno tra le loro funzioni principali quelle di:
21 Ai sensi dell’art. 8 del citato regolamento, nell'esercizio delle funzioni istituzionali la Ragioneria generale dello Stato provvede, in particolare, nelle seguenti materie:a) previsioni economiche e finanziarie; elaborazione dei conti finanziari ed economici delle amministrazioni pubbliche; monitoraggio dei relativi saldi; relazione trimestrale di cassa; predisposizione dei documenti di programmazione economico-finanziaria per quanto di competenza; verifica delle relazioni tecniche dei provvedimenti; copertura finanziaria della legislazione di spesa e di minore entrata;b) formazione e gestione del bilancio dello Stato, definizione del rendiconto generale dello Stato, nonché predisposizione del budget e del consuntivo economico;c) evoluzione normativa dei bilanci pubblici e raccordo operativo con la Commissione tecnica per la finanza pubblica di cui all'articolo 1, comma 474, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Analisi studio e ricerca economica sugli impatti delle politiche settoriali nelle materie di competenza del Dipartimento;d) coordinamento dei servizi di tesoreria statale; integrazione e consolidamento della gestione per cassa del bilancio dello Stato con i relativi flussi di tesoreria, previsione e calcolo del fabbisogno;e) rapporti con gli organismi e le istituzioni internazionali per quanto di competenza del Dipartimento e con l'ISTAT per i raccordi tra la contabilità finanziaria e la contabilità economica prevista dalla disciplina dell'Unione europea e le rilevazioni statistiche d'interesse del Sistema statistico nazionale;f) informatizzazione dei dati di finanza pubblica; definizione delle esigenze funzionali, prestazioni e modalità operative dei sistemi informativi per lo svolgimento dei compiti istituzionali del Dipartimento;g) attività di indirizzo e coordinamento normativo in materia di contabilità delle amministrazioni pubbliche;h) definizione dei principi e delle metodologie della contabilità economica, anche analitica, e patrimoniale, anche ai fini del controllo di gestione da parte delle amministrazioni pubbliche in ordine alla loro armonizzazione con quelli previsti nell'ambito dell'Unione europea; individuazione degli strumenti per il controllo di economicità ed efficienza; analisi, verifica, monitoraggio e valutazione dei costi dei servizi e dell'attività delle amministrazioni pubbliche;i) monitoraggio delle leggi di spesa; monitoraggio e valutazione degli andamenti generali della spesa sociale; monitoraggio degli oneri derivanti dall'attuazione dei contratti collettivi in materia di personale delle amministrazioni pubbliche; analisi e verifica del costo del lavoro pubblico; consulenza per l'attività predeliberativa del CIPE nonché relativi adempimenti di attuazione, per gli aspetti di competenza del Dipartimento; partecipazione all'attività preparatoria del Consiglio dei Ministri e supporto tecnico in sede di Consiglio dei Ministri;
150
a) concorrere alla formazione del bilancio dei singoli Ministeri con gli altri
uffici del Dipartimento, anche curando la compilazione del rendiconto di
ciascun Ministero;
b) esercitare, anche a campione, il controllo di regolarità amministrativa e
contabile e provvedere alla tenuta delle scritture contabili e alla
registrazione degli impegni di spesa risultanti dai provvedimenti assunti
dagli uffici amministrativi, sotto la responsabilità dei dirigenti competenti;
c) effettuare, anche a campione, il riscontro amministrativo contabile dei
rendiconti amministrativi resi dai funzionari delegati e conti giudiziali resi
dagli agenti contabili.
Il regolamento 30.1.2008 n. 43 prevede, ancora, che gli Uffici centrali
di bilancio coordinino l’attività di Conferenze permanenti, istituite presso
ciascun ministero, delle quali fanno parte rappresentanti dell'ufficio stesso e
dei corrispondenti uffici dell’amministrazione interessata. La Conferenza ha
lo scopo di contribuire ad assicurare, ferme restando le rispettive funzioni, il
più efficace esercizio dei compiti in materia di programmazione dell'attività
finanziaria, di monitoraggio finanziario dell'attuazione delle manovre di
bilancio e di valutazione tecnica dei costi e degli oneri dei provvedimenti,
delle funzioni e dei servizi istituzionali e delle iniziative legislative nel
l) controllo e vigilanza dello Stato in materia di gestioni finanziarie pubbliche, anche attraverso i servizi ispettivi del dipartimento, secondo criteri di programmazione e flessibilità nonché in relazione allo svolgimento dei compiti di cui alle lettere g) e h);m) partecipazione al processo di formazione, esecuzione e certificazione del bilancio dell'Unione europea e relativi adempimenti, compresa la quantificazione dei conseguenti oneri a carico della finanza nazionale; monitoraggio complessivo dei corrispondenti flussi finanziari ed esercizio dei controlli comunitari affidati dall'Unione europea; gestione del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie istituito con la legge 16 aprile 1987, n. 183;n) definizione delle modalità e dei criteri per l'introduzione nelle amministrazioni pubbliche di principi di contabilità economica, e per la trasmissione dei bilanci in via telematica da parte di enti pubblici, regioni ed enti locali;o) definizione delle esigenze del Dipartimento in materia di politiche delle risorse umane e strumentali in coerenza con le linee generali di attività elaborate dal Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi; relazioni sindacali con la rappresentanza dipartimentale nell'ambito degli indirizzi generali definiti dal Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi; definizione dei livelli di servizio per le attività amministrative in materia di gestione delle risorse umane, acquisti e logistica di competenza del Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi, rapporti con le articolazioni territoriali.
151
settore di pertinenza dell'amministrazione. A tal fine la Conferenza ha il
compito di elaborare in sede tecnica metodologie e criteri di valutazione dei
costi e degli oneri finanziari sulla base della specifica disciplina del settore e
di compiere, a fini istruttori, le valutazioni relative ai provvedimenti che le
sono sottoposti.
Concludendo sui compiti degli Uffici centrali di bilancio, anche in
questo caso possiamo affermare che le modifiche al sistema sono nel senso
di semplificare e snellire i controlli di legittimità, integrandoli con quelli
sulla efficienza e garantendo l’autonomia direttiva del dirigente.
Il sistema delle ragionerie si completa con le Ragionerie territoriali
dello Stato, che sono organi locali del Ministero dell'economia e delle
finanze e dipendono organicamente e funzionalmente dal Dipartimento della
ragioneria generale dello Stato. Costituite nel numero complessivo di 63,
svolgono, su base regionale ovvero interregionale ed interprovinciale, le
funzioni attribuite al Dipartimento della ragioneria generale dello Stato e,
quindi, esse: a) provvedono alle attività in materia di monitoraggio degli
andamenti di finanza pubblica con riferimento alle realtà istituzionali
presenti nel territorio anche nell'ottica dei processi di federalismo
amministrativo; b) esercitano nei confronti degli organi decentrati e degli
uffici periferici delle amministrazioni dello Stato il controllo di regolarità
amministrativo-contabile su tutti gli atti dai quali derivino effetti finanziari
per il bilancio dello Stato; c) esercitano la vigilanza su enti, uffici e gestioni
a carattere locale e le altre competenze necessarie per il funzionamento dei
servizi.
50. L’Avvocatura dello Stato.
L’Avvocatura dello Stato è composta dalla Avvocatura generale dello
Stato e dalle Avvocature distrettuali dello Stato. L'Avvocatura generale ha
sede in Roma. Le avvocature distrettuali hanno sede in ciascun capoluogo di
regione e, comunque, dove siano istituite sedi di corte d'appello (vedi art.
18, r.d. 30.10.1933 n. 1611 e art. 8 l. 3.4.1979 n. 103). Gli uffici
152
dell'Avvocatura dello Stato dipendono dal Presidente del Consiglio dei
ministri e sono posti sotto la immediata direzione dell'Avvocato generale.
L'Avvocatura dello Stato ha compiti di difesa in giudizio e di
consulenza (vedi art. 13, r.d. n. 1611/1933 e art. 9 l.n. 103/79). Precisamente
ha il compito: a) di provvedere alla tutela legale dei diritti e degli interessi
dello Stato; b) di provvedere alle consultazioni legali richieste dalle
Amministrazioni e, su richiesta, di consigliarle e dirigerle quando si tratti di
promuovere, contestare o abbandonare giudizi; c) di esaminare, su richiesta,
progetti di legge, di regolamenti, di capitolati redatti dalle Amministrazioni;
d) di predisporre transazioni d'accordo con le Amministrazioni interessate,
ovvero di esprimere parere sugli atti di transazione redatti dalle
Amministrazioni.
L'Avvocatura generale dello Stato provvede alla rappresentanza e
difesa delle amministrazioni nei giudizi davanti alla Corte costituzionale,
alla Corte di cassazione, al Tribunale superiore delle acque pubbliche, alle
altre supreme giurisdizioni, anche amministrative, ed ai collegi arbitrali con
sede in Roma, nonché nei procedimenti innanzi a collegi internazionali o
comunitari.
Le avvocature distrettuali provvedono alla rappresentanza e difesa in
giudizio delle amministrazioni nelle rispettive circoscrizioni.
Salva la facoltà dell'Avvocatura generale dello Stato di rendere
consultazione sulle questioni di massima in qualsiasi materia, l'avvocatura
distrettuale dello Stato provvede alla consulenza nei riguardi di tutti gli
uffici della propria circoscrizione.
Si rifletta sulla differenza tra funzione consultiva dell’Avvocatura
dello Stato e funzione consultiva del Consiglio di Stato raffrontando il citato
art. 13 r.d. n. 1611/33 e l’art. 100, primo comma Cost. (quale interesse si
intende tutelare nei due casi?).
Gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le
giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato,
bastando che consti della loro qualità (art. 1 r.d. n. 1611/1933).
153
L’Avvocatura dello Stato può anche assumere la difesa delle Regioni
che decidano di avvalersene con deliberazione del consiglio regionale (vedi
art. 10, l. 3.4.1979 n. 103).
Le eventuali divergenze che dovessero insorgere tra l'Avvocatura
dello Stato e le Amministrazioni statali interessate, circa la instaurazione di
un giudizio o la resistenza nel medesimo, sono risolte dal Ministro
competente con determinazione non delegabile (vedi art. 12 l.n. 103/79 e
art. 16, comma 1, lett. f d.lgs. n. 165/2001).
Eventuali divergenze tra l'Avvocatura dello Stato e le
Amministrazioni regionali, ovvero le altre Amministrazioni pubbliche non
statali o gli enti pubblici, sono definite con la determinazione degli organi
delle Regioni o delle amministrazioni ed enti competenti, a norma dei
rispettivi statuti (art. 12 l.n. 103/79).
III.H) Il personale.
51. Premessa. Riforma dell'amministrazione e riforma della burocrazia.
L’amministrazione dello Stato si avvale di personale politico
(Ministri, Sottosegretari di Stato) e di personale “burocratico”, legato
all’amministrazione da un rapporto di lavoro subordinato (a tempo
indeterminato o a tempo determinato). All’interno degli organi
amministrativi dello Stato troviamo, inoltre, personale rappresentativo degli
interessi di categorie o di interessi diffusi, nonché “esperti”, cioè soggetti
aventi particolari professionalità che collaborano temporaneamente con
l’Amministrazione ma non sono legati ad essa da un rapporto di lavoro
subordinato.
Come abbiamo più volte sottolineato, vi è un rapporto strettissimo tra
riforma dell’organizzazione pubblica e riforma del pubblico impiego, oggi
più propriamente denominato dal d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, “lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche”.
154
Le leggi degli anni novanta hanno posto le premesse per una radicale
trasformazione dell’ottica burocratica, verso la realizzazione di una
privatizzazione che non si limita a ricondurre il rapporto di pubblico
impiego nell’ambito del diritto comune e della A.g.O., ma mira ad
avvicinare la gestione della c.d. “azienda Italia” alle comuni regole
operative di qualsiasi azienda moderna.
Il d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, più volte successivamente integrato e
modificato ed oggi ricompreso nel d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 (“Norme
generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche”), riunisce in un’unica ed organica disciplina complessiva norme
afferenti alla razionalizzazione delle amministrazioni pubbliche e norme
attinenti alla disciplina del c.d. “pubblico impiego”.
Le finalità del nuovo ordinamento vengono esplicitate dall’art. 1 co. 1
d.lgs. 165/2001, come modificato dall’art. 21 della l. 4.11.2010, n. 183:
a) accrescere l'efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei
corrispondenti uffici e servizi dei Paesi dell'Unione europea, anche mediante
il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici;
b) razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa
complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza
pubblica;
c) realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche
amministrazioni, assicurando la formazione e lo sviluppo professionale dei
dipendenti, applicando condizioni uniformi rispetto a quelle del lavoro
privato, garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori nonché
l’assenza di qualunque forma di discriminazione e di violenza morale o
psichica.
La disciplina si applica a tutte le Amministrazioni dello Stato, ivi
compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative,
le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le
Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e
associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari,
le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro
associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e
155
locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario
nazionale (vedi art. 1 commi 2 e 3 d.lgs. 165/01). Le norme del d.lgs.,
tuttavia, per le Regioni ordinarie costituivano principi fondamentali ex art.
117, vecchio testo, Cost. e per le Regioni speciali principi fondamentali di
riforma economico-sociale. Oggi la portata del d.lgs. 165/01 va riesaminata
alla luce del nuovo Titolo V, Parte II, della Costituzione.
Nel quadro della razionalizzazione dell’organizzazione degli uffici
pubblici:
viene previsto che spetta a ciascuna amministrazione pubblica, mediante
propri atti organizzativi adottati in base ai rispettivi ordinamenti,
definire le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, individuare
gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità
dei medesimi, nonché determinare le dotazioni organiche complessive,
sia pure operando secondo i principi generali fissati dalle disposizioni di
legge (vedi art. 2, comma 1 e la riserva relativa di legge di cui all’art. 97
Cost.). Tale previsione è fondamentale per il buon esito della riforma.
Infatti, se ancor oggi venissero rigidamente fissati per legge, da un lato,
le finalità e gli obiettivi dell’azione amministrativa e, dall’altro lato,
l’organizzazione dei pubblici uffici e del personale (come in qualche
modo prefigurava la riserva di legge di cui all’art. 97 Cost.), sarebbe
impossibile attivare realmente un processo che vede, nel vertice politico,
il soggetto competente alla determinazione degli obiettivi ed alla
assegnazione delle risorse disponibili per raggiungerli, e, nella dirigenza,
il soggetto dotato della autonomia, della competenza e della capacità di
gestire al meglio le risorse disponibili per il raggiungimento degli
obiettivi, assumendone la responsabilità.
Vengono previste nel ruolo dei dirigenti due fasce – prima e seconda
fascia (artt. 15 e 23) – e vengono precisate le competenze dei dirigenti
generali e dei dirigenti (vedi artt. 16 e 17), attribuendo, fra l’altro, ai
dirigenti generali l’adozione degli atti relativi all’organizzazione degli
uffici di livello dirigenziale non generale e le attività di organizzazione e
gestione del personale e ai dirigenti la gestione del personale e delle
risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici;
156
viene affermato il principio della distinzione tra le funzioni del
personale politico (di indirizzo politico-amministrativo e di verifica dei
risultati) e quelle del personale dirigenziale (di gestione finanziaria,
tecnica ed amministrativa, con adozione degli atti amministrativi),
eliminando i poteri di revoca e di avocazione prima presenti in capo al
Ministro (vedi artt. 4 e 14, primo e terzo comma);
viene attribuita al potere regolamentare governativo la definizione
periodica (almeno ogni tre ani) degli uffici e delle dotazioni organiche
previa verifica degli effettivi fabbisogni, mentre la distribuzione del
personale dei diversi livelli o qualifiche previsti dalla dotazione organica
viene effettuata con d.P.C.M, (art. 6, commi 1-3);
viene affinato un meccanismo per la rilevazione dei costi dei singoli
programmi di attività e del costo del personale, attribuendo ai dirigenti
generali il compito di adottare le misure organizzative necessarie per
consentire la rilevazione e l’analisi dei costi e dei rendimenti dell’attività
amministrativa (artt. 18, comma 1 e 59);
viene affinato un meccanismo per il controllo del costo del lavoro,
attraverso modelli di rilevazione predisposti dal Ministero del tesoro di
intesa con la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della
funzione pubblica; i modelli sono compilati e trasmessi da tutte le
amministrazioni pubbliche alla Corte dei conti, oltre che al Dipartimento
della funzione pubblica (artt. 8 e 60, commi 1-2);
viene sottolineato il rilievo degli Uffici relazioni con il pubblico per
garantire, anche mediante l'utilizzo di tecnologie informatiche, la piena
attuazione della legge n. 241/90 (art. 11 d.lgs. n. 165/2001).
Nel d.lgs. n. 165/2001, per quanto riguarda la disciplina del rapporto
di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche:
1) viene individuata nel codice civile, e nelle altre leggi sui rapporti di
lavoro subordinato nell’impresa, la disciplina generale dei rapporti di
lavoro in questione, sia pure fatte salve le diverse disposizioni dettate dal
decreto stesso (art. 2, comma 2); inoltre, si prevede che contratti ed
accordi collettivi di lavoro successivamente siglati possano intervenire
157
anche in deroga alle norme di legge o di regolamento contenenti
discipline speciali che dovessero essere state emanate dopo la sigla del
precedente contratto, salvo espressa disposizione di legge contraria (art.
2, comma 2, ultima parte). La disposizione ha un valore sia sostanziale
che interpretativo e serve a cercare di evitare che si formi una nuova
normativa speciale che eroda l’area di azione dei contratti collettivi.
2) dalla riforma si escludono, però, alcune particolari categorie di personale,
indicate nell’art. 3 (“Personale in regime di diritto pubblico”), che
rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti; si tratta, in particolare:
dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili; degli avvocati e
procuratori dello Stato; del personale militare e delle Forze di polizia di
Stato; del personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia;
dei professori e ricercatori universitari.
3) viene trasferita dalla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo
all’A.g.O., in funzione di giudice del lavoro, la giurisdizione sulle
controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle PP.AA.
(art. 63);
4) viene ricollegata alla contrattazione collettiva tutta la materia relativa al
rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali (vedi: art. 40 commi 1 e 4)
mediante contratti nazionali per comparto (es. comparto ministeri,
aziende ed amministrazioni ad ordinamento autonomo dello Stato; es.
accordo quadro per la definizione delle autonome aree di contrattazione
della dirigenza) cui si aggiunge una contrattazione collettiva integrativa a
livello di singola amministrazione nel rispetto dei vincoli di bilancio;
5) viene affidata all’ARAN la contrattazione collettiva. Le pubbliche
amministrazioni sono legalmente rappresentate dall'Agenzia per la
rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni agli effetti
della contrattazione collettiva nazionale (art. 46, comma 1). Le pubbliche
amministrazioni esercitano il potere di indirizzo nei confronti dell'ARAN
(art. 41, comma 1). L'ARAN ammette alla contrattazione collettiva
nazionale le organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto o
nell'area una rappresentatività non inferiore al 5% (art. 43, comma 1);
158
6) viene prevista l'assunzione del personale dipendente nelle
amministrazioni pubbliche tramite la stipula di contratti individuali di
lavoro, procedendo al reclutamento del personale: a) mediante procedure
selettive volte all'accertamento della professionalità richiesta, che
garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno; b) mediante
avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della
legislazione vigente per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il
solo requisito della scuola dell'obbligo, facendo salvi gli eventuali
ulteriori requisiti per specifiche professionalità (art. 35, comma 1);
7) viene istituito in ogni amministrazione dello Stato, anche ad ordinamento
autonomo, il ruolo dei dirigenti, articolato in due fasce. La distinzione in
fasce ha rilievo agli effetti del trattamento economico e ai fini del
conferimento degli incarichi di dirigenza generale (art. 23, comma 1);
8) viene previsto che l’accesso alla qualifica di dirigente di ruolo della
seconda fascia nelle amministrazioni statali e negli enti pubblici non
economici avviene per concorso per esami indetto dalle singole
amministrazioni ovvero per corso-concorso selettivo di formazione
bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione (art. 28);
9) viene previsto che il conferimento degli incarichi di funzioni dirigenziali
avvenga a tempo determinato e sulla base di contratti individuali che ne
definiscono l’oggetto, gli obiettivi da conseguire e la durata (art. 19). La
Dir. P.C.M. 1° luglio 1999 ha fissato le “Linee guida per la definizione
dei contratti individuali della dirigenza”;
10) viene istituita la c.d. “responsabilità dirigenziale” (art. 21) che si
aggiunge alle comuni responsabilità (civili, amministrative, ecc.) di tutti i
dipendenti delle amministrazioni pubbliche. Tale responsabilità riguarda
i risultati negativi dell’attività amministrativa e della gestione ovvero il
mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati (sul punto vedi par.
57).
52. La contrattazione collettiva.
159
Il procedimento di contrattazione collettiva è regolato dall’art. 47. Gli
indirizzi per la contrattazione collettiva nazionale sono deliberati dai
comitati di settore prima di ogni rinnovo contrattuale. Gli atti di indirizzo
delle amministrazioni diverse dallo Stato sono sottoposti al Governo che,
non oltre dieci giorni, può esprimere le sue valutazioni per quanto attiene
agli aspetti riguardanti la compatibilità con le linee di politica economica e
finanziaria nazionale.
L'ARAN informa costantemente i comitati di settore e il Governo
sullo svolgimento delle trattative con le organizzazioni sindacali. Raggiunta
l'ipotesi di accordo, l'ARAN acquisisce il parere favorevole del comitato di
settore sul testo contrattuale e sugli oneri finanziari diretti e indiretti che ne
conseguono a carico dei bilanci delle amministrazioni interessate.
Acquisito il predetto parere favorevole sull'ipotesi di accordo, l'ARAN
trasmette la quantificazione dei costi contrattuali alla Corte dei conti ai fini
della certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione e
di bilancio. La Corte dei conti certifica l'attendibilità dei costi quantificati e
la loro compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio,
deliberando entro quindici giorni dalla trasmissione della quantificazione
dei costi contrattuali, decorsi i quali la certificazione si intende effettuata
positivamente.
L'esito della certificazione viene comunicato dalla Corte all'ARAN, al
comitato di settore e al Governo. Se la certificazione è positiva, il Presidente
dell'ARAN sottoscrive definitivamente il contratto collettivo. Se la
certificazione della Corte dei conti non è positiva, l'ARAN, sentito il
comitato di settore o il Presidente del Consiglio dei Ministri, assume le
iniziative necessarie per adeguare la quantificazione dei costi contrattuali ai
fini della certificazione, ovvero, qualora non lo ritenga possibile, convoca le
organizzazioni sindacali ai fini della riapertura delle trattative.
Le iniziative assunte dall'ARAN in seguito alla valutazione espressa
dalla Corte dei conti sono comunicate, in ogni caso, al Governo ed alla
Corte dei conti, la quale riferisce al Parlamento sulla definitiva
quantificazione dei costi contrattuali, sulla loro copertura finanziaria e sulla
loro compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio.
160
La procedura di certificazione deve concludersi entro quaranta giorni
dall'ipotesi di accordo, decorsi i quali il Presidente dell'ARAN ha mandato
di sottoscrivere definitivamente il contratto collettivo, salvo che non si renda
necessaria la riapertura delle trattative.
53. Il controllo interno.
La materia è stata recentemente riformata con il d.lgs. 27 ottobre
2009, n. 150 che ruota intorno al concetto di <<performance>> e mira a
realizzare un sistema di valutazione delle strutture e dei dipendenti delle
amministrazioni pubbliche al dichiarato fine di assicurare elevati standard
qualitativi ed economici del servizio tramite la valorizzazione dei risultati e
della performance organizzativa e individuale.
La misurazione e la valutazione della performance sono volte al
miglioramento della qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni
pubbliche, nonché alla crescita delle competenze professionali, attraverso la
valorizzazione del merito e l'erogazione dei premi per i risultati perseguiti
dai singoli e dalle unità organizzative in un quadro di pari opportunità di
diritti e doveri, trasparenza dei risultati delle amministrazioni pubbliche e
delle risorse impiegate per il loro perseguimento.
A questo scopo è stato elaborato un c.d. “Ciclo di gestione della
performance” che si articola in più fasi:
a) definizione e assegnazione degli obiettivi che si intendono raggiungere,
dei valori attesi di risultato e dei rispettivi indicatori;
b) collegamento tra gli obiettivi e l'allocazione delle risorse;
c) monitoraggio in corso di esercizio e attivazione di eventuali interventi
correttivi;
d) misurazione e valutazione della performance, organizzativa e individuale;
e) utilizzo dei sistemi premianti, secondo criteri di valorizzazione del
merito;
f) rendicontazione dei risultati agli organi di indirizzo politico-
amministrativo, ai vertici delle amministrazioni, nonché ai competenti
161
organi esterni, ai cittadini, ai soggetti interessati, agli utenti e ai destinatari
dei servizi.
Gli obiettivi sono programmati su base triennale attraverso un
documento programmatico triennale, denominato Piano della performance
e le verifiche avvengono annualmente attraverso un documento denominato
Relazione sulla performance.
È stata quindi istituita, a livello centrale, una Commissione per la
valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche
(CiVIT), che opera in posizione di indipendenza di giudizio e di valutazione
e in piena autonomia. Si tratta di un organo collegiale composto da cinque
componenti scelti tra esperti di elevata professionalità, anche estranei
all'amministrazione con comprovate competenze in Italia e all'estero, sia nel
settore pubblico che in quello privato in tema di servizi pubblici,
management, misurazione della performance, nonché di gestione e
valutazione del personale.
Il decreto n. 150/2009, inoltre, ha sostituito i servizi di controllo
interno con un Organismo indipendente di valutazione della
performance (monocratico o collegiale), istituito presso ogni
amministrazione, singolarmente o in forma associata, che è nominato
dall'organo di indirizzo politico-amministrativo per un periodo di tre anni
che ha il compito di:
a) monitorare il funzionamento complessivo del sistema della valutazione,
della trasparenza e integrità dei controlli interni ed elabora una relazione
annuale sullo stato dello stesso;
b) comunicare tempestivamente le criticità riscontrate ai competenti organi
interni di governo ed amministrazione, nonché alla Corte dei conti,
all'Ispettorato per la funzione pubblica e alla Commissione per la
valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche,
istituita presso la Ragioneria generale dello Stato;
c) validare la Relazione sulla performance e assicurarne la visibilità
attraverso la pubblicazione sul sito istituzionale dell'amministrazione;
162
d) garantire la correttezza dei processi di misurazione e valutazione, nonché
dell'utilizzo dei premi nel rispetto del principio di valorizzazione del merito
e della professionalità;
e) proporre all'organo di indirizzo politico-amministrativo, la valutazione
annuale dei dirigenti di vertice e l'attribuzione ad essi dei premi;
f) far applicare correttamente le linee guida, le metodologie e gli strumenti
predisposti dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità
delle amministrazioni pubbliche;
g) promuovere e attestare l'assolvimento degli obblighi relativi alla
trasparenza e all'integrità dettati dallo stesso d.lgs;
h) verificare i risultati e le buone pratiche di promozione delle pari
opportunità.
Infatti sono previsti sistemi di incentivazione meritocratici e premi, di
cui è espressamente vietata la distribuzione in maniera indifferenziata o
sulla base di automatismi.
In questo contesto il decreto attribuisce all'organo di indirizzo
politico-amministrativo di ciascuna amministrazione il compito di
promuovere la cultura della responsabilità per il miglioramento della
performance, del merito, della trasparenza e dell'integrità. A tal fine
l’organo:
a) emana le direttive generali contenenti gli indirizzi strategici;
b) definisce in collaborazione con i vertici dell'amministrazione il Piano
della performace e la Relazione sulla performance;
c) verifica il conseguimento effettivo degli obiettivi strategici;
d) definisce il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità, nonché
gli eventuali aggiornamenti annuali.
Per uno sguardo d’insieme ed una valutazione del sistema si consiglia
di visitare il sito web dal CiVIT (www.civit.it) e, in particolare, vedere le
relazioni del 2010 e del 2011 ivi pubblicate.
54. Il personale politico.
Secondo l’art. 4 del d.lgs. n. 165/2001, agli organi di governo
(ministri, sottosegretari di Stato) non compete la gestione amministrativa
163
della Amministrazione pubblica, bensì competono funzioni di indirizzo
politico-amministrativo che essi esercitano, da un lato, definendo gli
obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti inerenti alla
citata funzione, dall’altro lato, verificando la rispondenza dei risultati
dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti (funzione
di controllo politico-amministrativo, ovvero di “controllo strategico”).
Rientrano in particolare nell’ambito delle suddette funzioni:
a) le decisioni in materia di atti normativi e l'adozione dei relativi atti di
indirizzo interpretativo ed applicativo;
b) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali
per l'azione amministrativa e per la gestione;
c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie
da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello
dirigenziale generale;
d) la definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di
determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi;
e) le nomine, designazioni ed atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche
disposizioni;
f) le richieste di pareri alle autorità amministrative indipendenti ed al
Consiglio di Stato;
Tale distinzione, peraltro, ha valore generale. Infatti, ai sensi del
comma 4 dell’art. 4 del decreto, le amministrazioni pubbliche, i cui organi
di vertice non siano direttamente o indirettamente espressione di
rappresentanza politica, devono adeguare i propri ordinamenti al principio
della distinzione tra indirizzo e controllo, da un lato, e attuazione e gestione
dall'altro.
L’art. 14 del decreto ritorna sulla materia stabilendo che il Ministro,
per svolgere le suddette funzioni, deve - periodicamente, e comunque ogni
anno entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio
- anche sulla base delle proposte dei dirigenti generali:
a) definire obiettivi, priorità, piani e programmi da attuare ed emanare le
conseguenti direttive generali per l'attività amministrativa e per la
gestione;
164
b) effettuare l'assegnazione. ai dirigenti preposti ai centri di responsabilità
di livello dirigenziale generale, delle risorse umane, materiali ed
economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità.
Per l'esercizio delle suddette funzioni il Ministro si avvale di uffici di
diretta collaborazione, aventi esclusive competenze di supporto e di
raccordo con l'amministrazione, istituiti e disciplinati con regolamento ex
art. 17, comma 4-bis, legge n. 400/88.
Coerentemente con il nuovo ruolo assegnato al personale politico
nell’ambito della Amministrazione pubblica, il comma 3 dell’art. 14 d.lgs.
n. 165/2001 stabilisce che il Ministro non può revocare, riformare, riservare
o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei
dirigenti. In caso di inerzia o ritardo il Ministro può (e deve) intervenire
soltanto fissando un termine perentorio entro il quale il dirigente deve
adottare gli atti o i provvedimenti. Qualora l'inerzia permanga, o in caso di
grave inosservanza delle direttive generali da parte del dirigente competente,
che determinino pregiudizio per l'interesse pubblico, il Ministro può
nominare, salvi i casi di urgenza previa contestazione dei fatti al dirigente
interessato, un commissario ad acta, dando comunicazione al Presidente del
Consiglio dei Ministri del relativo provvedimento.
Quanto ai poteri di annullamento, il comma 3 dell’art. 14 cit. conserva
agli organi di Governo soltanto: 1) il potere di annullamento straordinario
degli atti amministrativi illegittimi a tutela dell’unità dell’ordinamento; 2) il
potere di annullamento del Ministro dell’interno nei confronti di atti del
Prefetto o di altra autorità di pubblica sicurezza soggetti a ricorso gerarchico
ai sensi dell’art. 6 del t.u. n. 773/1931 di pubblica sicurezza; 3)
l’annullamento ministeriale per motivi di legittimità previsto in via generale
dall’art. 3, terzo comma, del d.P.R. sulla dirigenza n. 748 del 1972.
55. Il personale dirigenziale.
L’art. 4 del d.lgs. n. 165/01 attribuisce, invece, alla competenza dei
dirigenti l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti
gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione
finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di
165
organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.
Coerentemente con tale nuovo ruolo la norma espressamente stabilisce che i
dirigenti sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della
gestione e dei relativi risultati.
In base alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150/2009 spetta ai
dirigenti intervenire nella elaborazione del documento di programmazione
triennale del fabbisogno di personale con proposte volte ad individuare i
profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti istituzionali
delle strutture cui sono preposti.
I dirigenti, come si è detto, vengono distinti in due fasce facenti capo
ad un unico ruolo, la fascia dei dirigenti generali e quella dei dirigenti.
55.1. Competenze dei Dirigenti generali.
In base all’art. 16 spettano ai dirigenti di uffici dirigenziali generali i
seguenti compiti e poteri:
a) formulano proposte ed esprimono pareri al Ministro, nelle materie di sua
competenza e propongono le risorse e i profili professionali necessari allo
svolgimento dei compiti dell'ufficio cui sono preposti anche al fine
dell'elaborazione del documento di programmazione triennale del
fabbisogno di personale previsto dal d.lgs. n. 150/2009;
b) curano l'attuazione dei piani, programmi e direttive generali definite dal
Ministro e attribuiscono ai dirigenti gli incarichi e la responsabilità di
specifici progetti e gestioni; definiscono gli obiettivi che i dirigenti devono
perseguire e attribuiscono le conseguenti risorse umane, finanziarie e
materiali;
c) adottano gli atti relativi all'organizzazione degli uffici di livello
dirigenziale non generale;
d) adottano gli atti e i provvedimenti amministrativi ed esercitano i poteri di
spesa e quelli di acquisizione delle entrate rientranti nella competenza dei
propri uffici, salvo quelli delegati ai dirigenti;
e) dirigono, coordinano e controllano l'attività dei dirigenti e dei
responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con potere sostitutivo in
166
caso di inerzia, e propongono l'adozione, nei confronti dei dirigenti, delle
misure previste per la responsabilità dirigenziale;
f) promuovono e resistono alle liti ed hanno il potere di conciliare e di
transigere, fermo restando il potere del Ministro in ordine ad eventuali
divergenze tra amministrazione ed avvocatura dello Stato (vedi art. 12,
comma 1, legge n. 103/1979;
g) richiedono direttamente pareri agli organi consultivi dell'amministrazione
(diversi dal Consiglio di Stato e dalle Autorità amministrative indipendenti:
vedi art. 3 comma 1 d.lgs. 29/93) e rispondono ai rilievi degli organi di
controllo sugli atti di competenza;
h) svolgono le attività di organizzazione e gestione del personale e di
gestione dei rapporti sindacali e di lavoro;
i) decidono sui ricorsi gerarchici contro gli atti e i provvedimenti
amministrativi non definitivi dei dirigenti;
l) curano i rapporti con gli uffici dell'Unione Europea e degli Organismi
internazionali nelle materie di competenza secondo le specifiche direttive
dell'organo di direzione politica (se tali rapporti non siano espressamente
affidati ad apposito ufficio o organo).
Quest’ultima competenza è oggi particolarmente importante, in quanto
l’attività amministrativa ministeriale si intreccia e spesso dipende da quella
comunitaria e gli uffici comunitari spesso operano mediante comitati ecc.
composti da dirigenti dei diversi Stati membri.
E’ ancora da segnalare che l’art. 16, comma 4, espressamente prevede
che gli atti e i provvedimenti adottati dai dirigenti preposti al vertice
dell'amministrazione e dai dirigenti di uffici dirigenziali generali di cui allo
stesso articolo non sono suscettibili di ricorso gerarchico (tali provvedimenti
quindi sono “definitivi”: su quest’ultimo concetto vedi art. 1, comma 1, e
art. 8, comma 1, del d.P.R. 24.11.1971 n. 1199, sui ricorsi amministrativi).
55.2. Competenze dei Dirigenti.
In base all’art. 17 del decreto, spettano ai dirigenti, fra gli altri, i
seguenti compiti e poteri:
167
a) formulano proposte ed esprimono pareri ai dirigenti degli uffici
dirigenziali generali e concorrono con i dirigenti generali all'individuazione
delle risorse e dei profili professionali necessari allo svolgimento dei
compiti dell'ufficio cui sono preposti anche al fine dell'elaborazione del
documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale
previsto dal d.lgs. n. 150/2009;
b) curano l'attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi assegnati dai
dirigenti degli uffici dirigenziali generali, adottando i relativi atti e
provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di
acquisizione delle entrate;
c) svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati dai dirigenti degli uffici
dirigenziali generali;
d) dirigono, coordinano e controllano l'attività degli uffici che da essi
dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con
poteri sostitutivi in caso di inerzia;
e) provvedono alla gestione del personale e delle risorse finanziarie e
strumentali assegnate ai propri uffici e, in particolare, ai sensi del d.lgs.
150/2009, effettuano la valutazione del personale assegnato ai propri uffici,
nel rispetto del principio del merito, ai fini della progressione economica e
tra le aree, nonché della corresponsione di indennità e premi incentivanti.
La Corte costituzionale, con sentenza 18-25 luglio 1996, n. 313, ha
dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 16
e 17 del d.lgs. 29/93 (e anche degli artt. 2, commi secondo e quarto, e 20,
primo comma) – oggi trasfusi nel d.lgs. n. 165/2001 - sollevata in
riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.
56. Gli incarichi di funzioni dirigenziali.
Per il conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene
conto della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare, delle
attitudini e della capacità professionale del singolo dirigente, anche in
relazione ai risultati conseguiti in precedenza e della relativa valutazione
(vedi art. 19).
168
Gli incarichi hanno durata non inferiore a tre anni e non superiore a
cinque anni, con facoltà di rinnovo. Sono definiti contrattualmente, per
ciascun incarico, l'oggetto, gli obiettivi da conseguire, la durata dell'incarico,
nonché il corrispondente trattamento economico (in linea con la
contrattazione collettiva: art. 24, comma 2).
Gli incarichi di segretario generale di ministeri, gli incarichi di
direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e
quelli di livello equivalente sono conferiti con decreto del Presidente della
Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del
Ministro competente, a dirigenti della prima fascia del ruolo unico o, con
contratto a tempo determinato, a persone in possesso di specifiche qualità
professionali (cioè a persone di particolare e comprovata qualificazione
professionale, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o
privati o aziende pubbliche e private con esperienza acquisita per almeno un
quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una
particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile
dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni
scientifiche o da concrete esperienze di lavoro, o provenienti dai settori della
ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli
avvocati e procuratori dello Stato).
Gli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale generale
sono conferiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su
proposta del Ministro competente, a dirigenti della prima fascia del ruolo
unico o anche, almeno per una parte dei posti disponibili, con contratto a
tempo determinato a persone in possesso di specifiche qualità professionali.
Gli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale sono
conferiti, con decreto del dirigente dell'ufficio di livello dirigenziale
generale, ai dirigenti assegnati al suo ufficio.
Gli incarichi di direzione degli uffici dirigenziali sono revocati nelle
ipotesi di responsabilità dirigenziale per inosservanza delle direttive generali
e per i risultati negativi dell'attività amministrativa e della gestione (vedi art.
21 d.lgs. 165/01), ovvero nel caso di risoluzione consensuale del contratto
individuale (art. 19, comma 2, d.lgs. 165/01). Il mancato raggiungimento
169
degli obiettivi può avere anche effetti sulla retribuzione (in particolare sulla
parte della retribuzione c.d. “retribuzione di risultato”).
Gli incarichi di segretario generale di ministeri, gli incarichi di
direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e
quelli di livello equivalente cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla
fiducia al Governo (art. 19, comma 8, d.lgs. 165/01). Risulta in questo
modo accentuato il carattere fiduciario del rapporto tra tali alti dirigenti ed il
Governo.
57. La responsabilità dirigenziale e le modalità di verifica.
Alle competenze dei dirigenti si ricollega una specifica responsabilità,
che si aggiunge alla normale responsabilità civile, amministrativa e penale
dei dipendenti pubblici, e che viene denominata “responsabilità
dirigenziale”.
L’art. 21 del d.lgs. n. 165/2001, come modificato dal d.lgs.
27.10.2009, n. 150, precisa l’oggetto di tale responsabilità, che costituisce
l’altra faccia dei poteri di gestione del dirigente. Ferma restando l'eventuale
responsabilità disciplinare, il mancato raggiungimento degli obiettivi,
accertata con il sistema di valutazione delle performance, ovvero
l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente, comportano
l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. In relazione alla
gravità dei casi, l'amministrazione può, inoltre, revocare l'incarico
collocando il dirigente a disposizione dei ruoli, ovvero recedere dal rapporto
di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo.
Inoltre, la colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da
parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e
qualitativi fissati dall'amministrazione, conformemente agli indirizzi
deliberati dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità
delle amministrazioni pubbliche, comporta la decurtazione della
retribuzione di risultato di una quota fino all'ottanta per cento.
Le procedure di valutazione valgono per tutte le amministrazioni
statali, fatte salve le norme particolari relative alla presidenza del Consiglio
170
dei ministri ed alcune amministrazioni operanti nei settori della difesa, della
polizia e della giustizia.
Peraltro, con il d.lgs. 20 dicembre 2009 n. 198, al fine di rafforzare le
misure volte a controllare l’efficienza delle pubbliche amministrazioni e dei
concessionari di servizi pubblici, ai “titolari di interessi giuridicamente
rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori” è stata
attribuita una azione giudiziaria mirante a ripristinare il corretto svolgimento
della funzione o la corretta erogazione di un servizio, con riferimento non
solo a ritardi ed omissioni legate alla violazione di atti amministrativi
generali obbligatori, ma anche alla violazione degli obblighi contenuti nelle
carte di servizi o nelle disposizioni in materia di performance.
58. Il “telelavoro”.
Un esempio del nuovo modo di atteggiarsi dell’organizzazione, sia
rispetto alla disciplina del lavoro che rispetto alle modalità di svolgimento, è
dato dalla previsione del c.d. “telelavoro”, cioè del “lavoro a distanza”, che
realizza anche nell’ambito delle pubbliche amministrazioni una forma di
rapporto di lavoro flessibile.
Il ricorso a tale modello di lavoro può consentire anche nelle pp.aa. di
soddisfare l’esigenza di distribuire in maniera ottimale il personale sul
territorio nazionale garantendo una migliore erogazione dei servizi.
Il ricorso a tale forma innovativa di lavoro è oggi facilitata dalla
disponibilità di tecnologie innovative, dalla diffusione dell’uso della firma
elettronica e dalla presenza in rete della necessaria documentazione
giuridica e amministrativa.
L’art. 4 della legge 16.6.1998, n. 191, prevede il telelavoro come
moderna forma di svolgimento del lavoro mutuata dalle più recenti
esperienze aziendali. Il regolamento approvato con il d.P.R. 8.3.1999, n. 70,
disciplina il <<telelavoro>>, definito come prestazione di lavoro eseguita
dal dipendente pubblico in qualsiasi luogo collocato al di fuori della sede di
lavoro, cioè dell'ufficio al quale il dipendente è assegnato, dove la
prestazione sia tecnicamente possibile, con il prevalente supporto di
171
tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che consentano il
collegamento con l'amministrazione cui la prestazione stessa inerisce.
Ai sensi del regolamento l'assegnazione a progetti di telelavoro non
muta la natura del rapporto di lavoro in atto" (art.4, co.3)
Un accordo collettivo regola il trattamento retributivo e normativo del
telelavoro (vedi attualmente l’accordo quadro nazionale sul telelavoro nelle
pp.aa. del 23.3.2000, stipulato tra l’Aran ed i sindacati, pubblicato nella
G.U. n. 94 del 24 aprile 2000).
IV - La gestione dei mezzi finanziari della Repubblica.
59. I Mezzi Finanziari
Anche i profili finanziari, come quelli organizzativi e del personale,
subiscono una evoluzione sotto la spinta delle nuove esigenze della società
italiana nel contesto europeo e mondiale.
I principi e le funzioni della legge di bilancio di cui abbiamo dato
alcuni cenni all’inizio delle lezioni non vengono eliminati, ma ad essi si
aggiungono e diventano non meno importanti anche altri principi e funzioni.
Prende sempre maggiore importanza, già a partire dagli anni settanta
dello scorso secolo e dalla realizzazione delle Regioni ordinarie, una visione
funzionale della finanza pubblica, quale strumento economico per la
realizzazione dei fini sociali perseguiti dallo Stato contemporaneo.
Una prima riforma (legge n. 468 del 1978) è stata rivolta a porre,
accanto alla legge di bilancio (attraverso la quale, ricordiamo, il Governo
comunica preventivamente al Parlamento, per l’approvazione, le spese e le
entrate previste per l'anno successivo in base alle leggi vigenti), la c.d.
“legge finanziaria” e il c.d. “collegato alla finanziaria”.
172
Il disegno di legge, presentato dal Governo al Parlamento con
sufficiente anticipo (settembre/ottobre), propone l’introduzione di nuove
norme in materia di entrate e di spesa, fissando anche il tetto
dell'indebitamento dello Stato; esso viene da quest’ultimo esaminato e
modificato e, quindi, approvato, dando luogo alla c.d. legge finanziaria.
Sotto la denominazione “collegato alla finanziaria”, poi, vengono
posti quei disegni di legge sottoposti al Parlamento che contengono
interventi connessi alla realizzazione della manovra finanziaria (vedi la
legge n. 362 del 1988).
La pressione della Comunità europea, divenuta Unione Europea dotata
di una moneta unica, ha comportato un ulteriore rafforzamento del controllo
della spesa pubblica, intesa non soltanto con riguardo alla spesa statale e
delle regioni, bensì con riguardo ai flussi finanziari pubblici globali.
Così con la l.cost. n. 1 del 2012, all’art. 81 Cost. si sono aggiunti due
primi commi che dichiarano solennemente:
Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.
Inoltre all’art. 97 Cost. si è premesso un nuovo primo comma che detta:Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico
E ancora all’art. 119 Cost. è inserito un comma che statuisce:
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea
Infine l’art. 5 della l.cost. n. 1/2012 ha stabilito:
173
1. La legge di cui all'articolo 81, sesto comma, della Costituzione, come sostituito dall'articolo 1 della presente legge costituzionale, disciplina, per il complesso delle pubbliche amministrazioni, in particolare:a) le verifiche, preventive e consuntive, sugli andamenti di finanza pubblica; b) l'accertamento delle cause degli scostamenti rispetto alle previsioni, distinguendo tra quelli dovuti all'andamento del ciclo economico, all'inefficacia degli interventi e agli eventi eccezionali; c) il limite massimo degli scostamenti negativi cumulati di cui alla lettera b) del presente comma corretti per il ciclo economico rispetto al prodotto interno lordo, al superamento del quale occorre intervenire con misure di correzione; d) la definizione delle gravi recessioni economiche, delle crisi finanziarie e delle gravi calamità naturali quali eventi eccezionali, ai sensi dell'articolo 81, secondo comma, della Costituzione, come sostituito dall'articolo 1 della presente legge costituzionale, al verificarsi dei quali sono consentiti il ricorso all'indebitamento non limitato a tenere conto degli effetti del ciclo economico e il superamento del limite massimo di cui alla lettera c) del presente comma sulla base di un piano di rientro; e) l'introduzione di regole sulla spesa che consentano di salvaguardare gli equilibri di bilancio e la riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo nel lungo periodo, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica; f) l'istituzione presso le Camere, nel rispetto della relativa autonomia costituzionale, di un organismo indipendente al quale attribuire compiti di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e di valutazione dell'osservanza delle regole di bilancio; g) le modalità attraverso le quali lo Stato, nelle fasi avverse del ciclo economico o al verificarsi degli eventi eccezionali di cui alla lettera d) del presente comma, anche in deroga all'articolo 119 della Costituzione, concorre ad assicurare il finanziamento, da parte degli altri livelli di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali.2. La legge di cui al comma 1 disciplina altresì:a) il contenuto della legge di bilancio dello Stato; b) la facoltà dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane, delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano di ricorrere all'indebitamento, ai sensi dell'articolo 119, sesto comma, secondo periodo, della Costituzione, come modificato dall'articolo 4 della presente legge costituzionale; c) le modalità attraverso le quali i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni.3. La legge di cui ai commi 1 e 2 è approvata entro il 28 febbraio 2013.4. Le Camere, secondo modalità stabilite dai rispettivi regolamenti, esercitano la funzione di controllo sulla finanza pubblica con particolare riferimento all'equilibrio tra entrate e spese nonché alla qualità e all'efficacia della spesa delle pubbliche amministrazioni.
174
Invero, dette norme costituzionali coronano una ulteriore riforma della
contabilità e della finanza pubblica, apportata dalla legge 31 dicembre 2009
n. 196 e s.m.i., che si è posta l’obiettivo di adeguare le norme di contabilità
e finanziarie alle innovazioni dell’assetto istituzionale italiano e che ha
comportato l’adesione dell’Italia ad un sistema di vincoli di bilancio
sovranazionali.
La legge finanziaria, di conseguenza, ha assunto il nome (e anche la
sostanza) di legge di stabilità, e, insieme alla legge di bilancio, realizza la
manovra di finanza pubblica per il triennio di riferimento (l. 7 aprile 2011,
n. 39) e rappresenta lo strumento principale di attuazione degli obiettivi
programmatici definiti con la Decisione di finanza pubblica (DFP),.
Quest’ultima, che sostituisce il Documento di programmazione economica e
finanziaria, come messo in evidenza dai documenti dell’Ufficio Studi della
Ragioneria Generale dello Stato, fra l’altro espone, almeno per il triennio
successivo:
gli obiettivi di politica economica e il quadro delle previsioni
economiche e di finanza pubblica;
le previsioni tendenziali a legislazione vigente del conto economico
della pubblica amministrazione, del saldo di cassa e del debito, sia
complessivi che articolati per i sotto settori istituzionali;
gli obiettivi programmatici dei saldi e del debito, per il complesso
delle amministrazioni pubbliche e per i suoi sottosettori, al netto e al
lordo degli interessi e delle misure una tantum, espressi in
percentuale del Pil.
La DFP, inoltre, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica e con
il Patto di convergenza, di cui all'articolo 18 della legge n. 42 del 2009,
indica il contenuto del Patto di stabilità interno e delle sanzioni per gli enti
territoriali in caso di mancato rispetto di quanto previsto dal Patto di
stabilità. Essa, altresì, contiene l'indicazione di massima delle risorse
finanziarie necessarie a confermare per il periodo di programmazione gli
impegni e gli interventi di politica economica e di bilancio per i principali
settori di spesa (politiche invariate), nonché, a fini conoscitivi, il valore
175
atteso del prodotto potenziale e degli indicatori strutturali programmatici del
conto economico delle amministrazioni pubbliche.
Si rinvia, infine, a quanto già esposto in tema di controlli interni ed
esterni (Corte dei conti) sulla gestione e sul rispetto del patto di stabilità, per
completare, anche con riferimento a questo importante aspetto
dell’amministrazione pubblica, il panorama generale che si è cercato di
tratteggiare.
Prof. Salvatore Alberto Romano
176