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RELITTI DI STORIA: LO SCAVO DEL PORTO DI OLBIA* di … · 380x20x4 di profondità media) giungendo...

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63 * Questo contributo è pres- soché identico a quello che comparirà negli Atti del XIV Convegno “L’Africa Romana”, 2000 (2002); non è mio costu- me replicare lavori simili in sedi diverse, tuttavia la rilevan- za del rinvenimento e le conse- guenti pressanti “richieste” da parte della comunità scientifica non consentono alternative, soprattutto in questa fase inizia- le a scavo appena concluso. Per dirla con le parole di F. Nicosia quando mi associò all’invito al lui rivolto per partecipare a que- sto volume in memoria dell’a- mico Fabio: “Non si può non parlare dei relitti di Olbia”. Le ipotesi ricostruttive sono fatte per essere sostituite da visioni migliori, ma non possiamo accettare e riteniamo addirittura disdicevole rinunciare alle ricostruzioni, magari per la paura di cadere nel genere del romanzo storico… Lo scopo dell’archeologo non è quello di fotografare le misere condizioni in cui ci è stato lasciato l’antico mondo ma quello di arrivare a un racconto, a una rappresenta- zione di esso… L’idea globale che ci siamo fatti…può suscitare nuove idee da parte di spiriti critici, capaci di invalidare, confer- mare o migliorare l’immagine… La ricostruzione rappre- senta a nostro avviso un aspetto fondamentale della que- stione morale per quanto attiene il nostro campo di studi. (A. Carandini, Dieci anni fra Palatium e Sacra via, in A. Carandini-P. Carafa (a cura di), Palatium e Sacra via I, Bollettino di Archeologia 31-33, 1995 (2000), pp. 17 s.). Lo scavo Il primo luglio 1999, nell’ambito della quotidiana attività di controllo che la sede di Olbia della Soprintendenza Archeologica per le Provv. di Sassari e Nuoro effettua nei cantieri pubblici e privati della città (fig. 1), durante un sopralluogo nell’area di realizzazione del tunnel di raccordo tra il porto e la viabilità extraurbana (fig. 2) si constatava la presenza di legni di imbarcazioni romane e materiali mobili coevi in corrispondenza di piccole trincee per lo smaltimento dell’acqua di falda. Si procedeva quindi all’arresto dei lavori, eseguiti dall’ANAS, in uno spazio di m 120x20, nel quale i materiali di superficie indicavano presenze archeologiche. Da allora sono state condotte 3 campagne di scavo (agosto-settem- bre 1999/giugno-ottobre 2000/feb- braio-dicembre 2001) che hanno via via interessato buona parte del- l’intero tracciato del tunnel (m 380x20x4 di profondità media) giungendo ovunque fino al vergine. Il lavoro è stato diretto da chi scrive, con la collaborazione di E. Riccardi (archeologia navale), G. Pietra (contesti e materiali campa- gna 2001), G. Pisanu (contesti e RELITTI DI STORIA: LO SCAVO DEL PORTO DI OLBIA* di Rubens D’Oriano 1. - Il golfo e la città antica di Olbia. © 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale
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* Questo contributo è pres-soché identico a quello checomparirà negli Atti del XIVConvegno “L’Africa Romana”,2000 (2002); non è mio costu-me replicare lavori simili insedi diverse, tuttavia la rilevan-za del rinvenimento e le conse-guenti pressanti “richieste” daparte della comunità scientificanon consentono alternative,soprattutto in questa fase inizia-le a scavo appena concluso. Perdirla con le parole di F. Nicosiaquando mi associò all’invito allui rivolto per partecipare a que-sto volume in memoria dell’a-mico Fabio: “Non si può nonparlare dei relitti di Olbia”.

Le ipotesi ricostruttive sono fatte per essere sostituite davisioni migliori, ma non possiamo accettare e riteniamoaddirittura disdicevole rinunciare alle ricostruzioni,magari per la paura di cadere nel genere del romanzostorico…Lo scopo dell’archeologo non è quello di fotografare lemisere condizioni in cui ci è stato lasciato l’antico mondoma quello di arrivare a un racconto, a una rappresenta-zione di esso…L’idea globale che ci siamo fatti…può suscitare nuoveidee da parte di spiriti critici, capaci di invalidare, confer-mare o migliorare l’immagine… La ricostruzione rappre-senta a nostro avviso un aspetto fondamentale della que-stione morale per quanto attiene il nostro campo di studi.

(A. Carandini, Dieci anni fra Palatium e Sacra via, in A.Carandini-P. Carafa (a cura di), Palatium e Sacra via I,Bollettino di Archeologia 31-33, 1995 (2000), pp. 17 s.).

Lo scavo

Il primo luglio 1999, nell’ambito della quotidiana attività di controllo che lasede di Olbia della Soprintendenza Archeologica per le Provv. di Sassari eNuoro effettua nei cantieri pubblici e privati della città (fig. 1), durante unsopralluogo nell’area di realizzazione del tunnel di raccordo tra il porto e la

viabilità extraurbana (fig. 2) siconstatava la presenza di legni diimbarcazioni romane e materialimobili coevi in corrispondenza dipiccole trincee per lo smaltimentodell’acqua di falda.

Si procedeva quindi all’arrestodei lavori, eseguiti dall’ANAS, inuno spazio di m 120x20, nel qualei materiali di superficie indicavanopresenze archeologiche.

Da allora sono state condotte 3campagne di scavo (agosto-settem-bre 1999/giugno-ottobre 2000/feb-braio-dicembre 2001) che hannovia via interessato buona parte del-l’intero tracciato del tunnel (m380x20x4 di profondità media)giungendo ovunque fino al vergine.

Il lavoro è stato diretto da chiscrive, con la collaborazione di E.Riccardi (archeologia navale), G.Pietra (contesti e materiali campa-gna 2001), G. Pisanu (contesti e

RELITTI DI STORIA: LO SCAVO DEL PORTO DI OLBIA *di Rubens D’Oriano

1. - Il golfo e la città antica diOlbia.

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1 Panedda 1953, p. 46. 2 Panedda 1953, p. 60.

materiali campagne 1999-2000), V. Gavini(rilievi dei relitti), E. Grixoni ed E. Trainito(foto) e si è concluso il 20.12.2001, con ilrinvenimento di oltre 20 porzioni – tramolto grandi e molto piccole – di imbarca-zioni antiche e la raccolta di una strabocche-vole quantità di reperti mobili (circa 600cassette di materiale, pur drasticamente sele-zionato).

Già i soli dati dimensionali ora citatichiariscono che non è possibile in questasede fornire nulla di più che una panoramicacomplessiva dei soli dati maggiormente rile-vanti sul piano storico, per di più trattandoappena per sommi capi le evidenze archeo-logiche sui quali essi si fondano. Non sfug-ge a chi scrive l’irritualità di tale procedura,ma la rilevanza dei risultati e l’eco che loscavo ha avuto anche presso gli studiosiimpongono di fornire senza altro indugioalmeno questa nota preliminare, rimandando

le argomentazioni di dettaglio ad altre più opportune occasioni. È pur vero chea volte si abusa della prassi delle notizie preliminari, tanto demonizzate da nonessere nemmeno chiamate più così – con falso pudore che qui, come si vede, èbandito – ma pareva senz’altro più scorretto lasciare che la sfera della ricercacontinuasse ad attingere notizie solo dai mass media.

Lo spazio dello scavo corrisponde all’attuale lungomare di via Principe Um-berto e via Genova, checorre parallelamente al latoorientale delle mura di cintadella città antica, ad una di-stanza di circa 90 m, ed è inparte antistante all’iniziodel corso Umberto, che do-vrebbe coincidere con il de-cumanus maximus dell’Ol-bia romana 1 (figg. 2 e 3). Sitratta di uno spazio che cer-tamente in antico era unospecchio d’acqua limitrofoalla linea di costa ed utiliz-zato per attività portuale,come già suggeriva Pa-

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2. - L’area di scavo e l’abitatoantico.

3. - Lo scavo.

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nedda 2 e come è avvalorato dai ri-sultati dello scavo, che indicano ad-dirittura in questa area il principaleapprodo della città antica almeno inetà tardo romana (v. infra), non acaso di fronte al decumanus maxi-mus.

L’area non conserva, per buonaparte, alcun tipo di stratigrafiaarcheologica di qualche attendibi-lità, come è comprensibile trattan-dosi di un fondale costituito dafango plastico per gran parte osses-sivamente omogeneo e le cui dina-miche di tipo continentale e marinodeterminano, ancorché non partico-larmente imponenti, periodici rime-scolamenti di materiali di cronolo-gia e origine molto diversa: oggettigettati fuori bordo dalle navi per-ché deterioratisi durante il viaggio,

perduti durante le operazioni di carico e scarico o comunque durante le soste inporto, rifiuti urbani, oggetti piombati in acqua dal lungomare per effetto dipiogge torrenziali e simili.

Tuttavia le osservazioni sulla giacitura dei reperti concordano con l’inter-pretazione del movimento del fondale, in questa zona, fornita da uno speciali-sta del settore, alla cui nota geologica qui edita in appendice si rimanda perulteriori delucidazioni.

Il grafico di fig. 4 descrive schematicamente la dinamica di movimento delfondale e dei materiali che esso contiene.

In un momento A del tempo, quando già giacciono sotto e sulla superficie delfondale reperti X (quadratini), pervengono sulla superficie materiali Y (stelli-ne). A questo punto la dinamica continentale/marina (piogge torrenziali ecc.) ol-tre ad apportare materiale solido (fango ecc.) rimescola il fondale, ma il feno-meno non può interessare, per motivi legati alla idrogeologia ecc. locale, unaprofondità superiore in genere ai 50 cm circa (fig. 4 fase A). In seguito a ciò af-fiorano sulla superficie del fondale alcuni reperti X (quadratini) che stavano sot-to e vanno giù alcuni reperti Y (stelline) che giacevano sulla superficie, ma essinon possono oltrepassare i 50 cm circa di profondità (fig. 4 fase A’).

In un momento B del tempo, sulla superficie del fondale si sommano, a X eY già presenti, anche reperti Z (cerchietti) (fig 4 fase B). I fenomeni continen-tali/marini apportano e rimescolano ancora e portano in superficie parte di X eY, strappandoli da profondità non superiori ai 50 cm circa, e trascinano giù –sempre non oltre i 50 cm circa – parte dei reperti Z (fig. 4 fase B’).

Con l’andare dei secoli lo spessore di fanghi sulla roccia si incrementa pergli apporti da terra e in esso i reperti, come è stato facile osservare in scavo, si

Relitti di storia: lo scavo del porto di Olbia

4. - Schema della dinamica deireperti nel fondale.

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3 D’Oriano 2001.

sovrappongono dal basso in alto secondo lo schema descritto: i più antichi (X)sono “passanti” in senso verticale, cioè si ritrovano sempre anche alle quotesuperiori, mentre quelli più recenti, in senso relativo (Y e Z), non oltrepassanocerte profondità. Si potranno quindi distinguere, per quote, 3 “tagli”: I con solomateriale X, II con solo X e Y, III con X-Y-Z (fig. 4 fase B’), ognuno “datato”dai reperti più recenti. Ciò ha consentito di individuare anche, per esempio, lependenze del fondale da terra verso mare, poi confermate dalle pendenzemostrate dalle differenze delle quote di giacitura delle estremità dei relitti, mapermette soprattutto di fornire indicazioni attendibili circa la cronologia deinumerosi relitti rinvenuti, datati appunto tenendo presenti i materiali più recen-ti ad essi strettamente adiacenti sopra, sotto, di lato.

Non è possibile approfondire ulteriormente in questa sede le svariate diffi-coltà archeologiche, di conservazione e di metodo di scavo che l’intervento hacomportato, ma si cercherà di fornire una anticipazione, per quanto provvisoriaessendo lo scavo appena concluso e i dati e i materiali in corso di elaborazionee studio, dei risultati complessivi sul piano della topografia e della storia dellacittà.

La sequenza storica

Per comodità espositiva si differenzierà lo spazio indagato in settori sud enord (più correttamente sud-ovest e nord-est, ma si è preferito non modificarequi i nomi convenzionali usati nella documentazione di scavo), come definitidalla presenza in antico di una lingua di terra sporgente dalla linea di costa cheeffettivamente separava in due il fronte portuale urbano e presso la quale eraubicato nella prima età imperiale un cantiere navale. Nella fig. 3, che schema-tizza la situazione descritta non vengono visualizzati relitti rinvenuti nel setto-re sud (v. infra) perché si è data precedenza, ad elaborazione dei dati ancora incorso e a scavo appena concluso, a quelli del settore nord in quanto più rile-vanti sul piano storico.

In sequenza cronologica, scarsi ma importantissimi sono i reperti relativialla frequentazione arcaica del sito di Olbia, frequentazione che solo da poco èuscita dalle nebbie del mito nelle quali la confinavano le fonti letterarie 3: nonsolo sono testimoniati materiali di fine VI sec. a.C. (una sorprendente testina interracotta di stile ionico) ma addirittura di VIII e VII secolo (collo di brocchet-ta fenicia di provenienza orientale, frammento di anfora Bartoloni A1, ecc.).

La documentazione diventa massiccia tra fine IV-inizi III sec. a.C., inseguito alla fondazione urbana punica, e fino alle soglie dell’età imperiale ven-gono utilizzati entrambi i settori, nord e sud, del fronte portuale, forse con unacerta predilezione per quello meridionale alla luce delle incidenze di attesta-zione dei materiali.

Nel I sec. d.C. sembra ancora preferito il settore meridionale, che fu quasicompletamente abbandonato, assieme alla parte principale del cantiere navaleubicato presso la lingua di terra che separa i due settori nord e sud, dopo l’etàneroniano-vespasianea in seguito ad un “disastro” naturale per ora non meglio

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definibile (alluvione?), testimoniato dagli unici veri contesti di tutto lo scavo:uno spessore di fango non distinguibile dal resto dell’interro, ma contenenteuna enorme quantità di materiale esclusivamente di quella cronologia, compre-si due relitti – non visualizzati nella fig. 3 – (uno dei quali presso il cantierenavale), e sparso su una vastissima superficie dal cantiere all’estremità sud-orientale dello scavo.

L’attività portuale si concentrò dal II sec. d.C. quasi esclusivamente nel set-tore settentrionale, chiuso a nord-est (forse proprio ora) da una lunga diga col-legante la terraferma all’isola Peddona, visibile ancora un secolo fa 4 (fig. 3).

Nel V sec. d.C. si verificò un secondo disastro, che causò l’affondamentodi almeno 10 navi onerarie (qualche esempio a Tavv. I-IV), di dimensioni ori-

ginarie variabili dai 15 ai30 m, colate a picco allastessa profondità in acquabassa, parallele fra di loroe ortogonalmente allavicina linea di costa e allemura di cinta, quindiquando erano ormeggiatein porto, probabilmentelungo pontili lignei deiquali si rinvengono ditanto in tanto i resti (figg.3 e 5. In queste dueimmagini le sagome deipontili sono rese gio-coforza in modo del tuttoindicativo). Circa i carichie le dotazioni di bordo,

4 Anedda 1953, p. 126 e tav.fuori testo.

Tav. I. - Relitto romano n. 1 dopolo smontaggio delle ordinate.Tav. II. - (a destra) Relitto romanon. 2.

Tav. III. - Relitto romano n. 2 dopolo smontaggio delle ordinate.

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non è affatto facile dedur-re se materiali, ancorchédi V sec. e aderenti ailegni, siano o no pertinen-ti al carico, poiché, datala dinamica del fondale edei reperti che esso con-tiene come sopra riassun-

ta, a contatto con gli scafi si trova anche – per esempio – ceramica a vernicenera. In un paio di casi, forti concentrazioni di spatheia e piatti di sigillataafricana D, rinvenuti sulle ordinate quasi senza “inquinamenti”, fanno sospet-tare fortemente la pertinenza al carico delle imbarcazioni, ma la certezza chesi richiede ad una evidenza archeologica non può esserci. D’altro canto lenavi possono essere state affondate dopo lo scarico delle merci, o recaremerce che non si conserva nel tempo o essere state depredate dopo il disastro.Tra le poche eccezioni di oggetti certamente presenti a bordo, quali moneteraccolte tra fasciame e ordinate (v. infra), paradossalmente si segnalano sva-riati frammenti di una o più statue di bronzo – almeno una a grandezza natu-rale – che l’elevato pregio stilistico e tecnologico collocano non dopo laprima età imperiale. Facevano parte con certezza del carico del relitto n. 1 –evidentemente quali frantumi da rifusione e non recuperati in antico perchémagari subito coperti dal fango – in quanto rinvenuti tutti a contatto o quasidello scafo e del tutto assenti nel resto dello scavo.

La cronologia dell’affondamento, da dettagliare dopo lo studio sistematicodei reperti, è tuttavia suggerita, come sopra argomentato, dal materiale piùrecente (sigillata africana D forme Hayes 61, 67, lucerne forme Atlante VIII,sigillata grigia forma Rigoir 3, spatheia, anfore Keay XXV B-D-E, ecc) rin-

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Tav. IV. - Relitto romano n. 3.

5. - I relitti del settore nord.

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5 De bello gildonico, XV,518-9

6 Olechowska 1978.

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venuto a contatto con i legni cioè sopra, sotto, lateralmente. Si tratta in varicasi di forme già attestate nel IV sec, ma è possibile escludere la parte bassadella forbice cronologica grazie a due termini post quos degli ultimi anni delIV sec.

Il primo è rappresentato da monete rinvenute tra fasciame e ordinate, quindia bordo al momento del disastro, come per esempio - in attesa del restauro diquelle ora illeggibili e comunque moduli tipici di V sec. - una coniazione diTeodosio I di 396 (identificazione di F. Guido) e dunque certamente circolantenel V sec.

L’altro terminus post quem è il ben noto passo di Claudio Claudiano: “Parsadit antiqua ductos Carthagine Sulcos / partem litoreo complectitur Olbiamuro” 5, ove si parla della flotta da guerra imperiale inviata contro Gildone nel397 d. C. che, giunta di fronte alle coste sarde, si divide e, mentre parte si diri-ge verso Sulci, “l’altra parte la accoglie/abbraccia Olbia col suo muro litora-neo”, evidentemente un porto almeno in parte costruito. Ancora nel 2001,molti di coloro i quali hanno commentato il passo tenendo presente la topogra-fia della città sono stati sviati proprio dall’evidenza che in parte il tracciatodelle mura urbiche doveva essere lambito dalle onde, intendendo quindi che“Olbia è circondata da mura (di cinta) litoranee”. E l’avere scorporato l’esame-tro da quello precedente, al quale invece è gemellato dalla forte ripresaPars/partem, non ha consentito di cogliere che una tale lettura non dava sensorispetto a Pars adit antiqua ductos Carthagine Sulcos: «Parte (della flotta) sidirige verso Sulci, fondata dall’antica Cartagine, Olbia è circondata da muralitoranee»? C’è stato addirittura chi ha voluto vedere in litoreo un’allusionealla lingua di sabbia che doveva separare le mura dal mare: «Da una striscia disabbia Olbia è abbracciata». Bene invece legge E. Olechowska: «Une partie dela flotte parvient à Sulci, fondation de l’antique Carthage, l’autre s’abrite der-rière la digue d’Olbia» 6, certo più attenta al contesto e alle caratteristiche sin-tattico/grammaticali/semantiche del testo: complectitur è deponente transitivoche regge l’accusativo partem (della flotta). Ai nostri fini di riflessione topo-grafica è maggiormente utile una lettura, certo più pedissequa della bellaespressione della filologa slava: «l’altra parte (della flotta) la accoglie/abbrac-cia Olbia col suo muro lungo il mare». Per litoreo muro non può che intendersiun porto almeno in parte in muratura e non certo le mura di cinta che, dato ilpercorso sì in parte litoraneo ma “chiuso” (un poligono irregolare: fig. 2), nonpossono certo complecti alcuna imbarcazione. È piuttosto probabile che ilpoeta alessandrino stia invece parlando proprio del sistema costituito dalladiga di connessione tra la terraferma e l’isola Peddona già citata, dalla linguadi terra tra i nostri settori nord e sud da cui poteva dipartirsi un’altra diga, e daun possibile molo tra le due e al quale erano agganciati i pontili d’ormeggiodei nostri relitti (fig. 3). Infatti per un porto tanto attivo da secoli, il più impor-tante della Sardegna di fronte a Ostia, non è impossibile pensare a moli in pie-tra, anche se per prudenza nelle tavole qui presentate si è tracciata una linea dispiaggia poiché, come si evince dalla fig. 5, lo scavo ha messo in luce soloparte dei relitti; ciò che resta di essi e dei pontili e l’eventuale molo o spiaggia

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7 Metà dell’insenatura dove-va invece essere inagibile in an-tico: D’Oriano 1998, p. 806 ss.

di approdo sono sepolti al di là dell’area di scavo, sotto l’attuale via PrincipeUmberto.

L’ipotesi che Claudiano stia parlando di questo settore del porto poggiasulle seguenti considerazioni.

Anzitutto questo doveva essere allora forse l’unico porto urbano, per quan-to ora noto, o comunque il principale. Infatti, nonostante siano stati ora rinve-nuti anche nella parte più meridionale del settore sud 3 frammenti di navi di Vsec. d.C., tuttavia i parametri di questa attestazione (dimensioni dei frammentie loro posizione casuale, superficie interessata dai reperti mobili, quantità diquesti ultimi ecc) ne mostrano la scarsa consistenza, facendo sospettare unfenomeno assolutamente marginale e non certo un ormeggio – che sarebbecomunque di rango del tutto secondario – e l’ipotesi più probabile è che si trat-ti di porzioni, spinte qui dal mare, delle navi affondate nel settore nord; anchea motivo di questa scarsa rilevanza – combinata con le esigenze di tempestivitàdi questa prima notizia sullo scavo – esse non vengono visualizzate a fig. 3.Ad ulteriore conforto dell’unicità o della massima rilevanza del nostro settorenord come bacino portuale tardo antico si deve considerare anche sia la posi-zione davanti al decumanus maximus, sia un’opera come l’imponente digaappena citata, sia i relitti rinvenuti, sia la sua ripresa in età medievale anche acosto di gravose opere di bonifica, come si vedrà in seguito. È pur vero chel’insenatura settentrionale del litorale urbano reca il toponimo Porto Romano;tuttavia, quand’anche l’informazione che esso tramanda fosse del tutto attendi-bile 7, nulla assicura che vi si svolgesse attività portuale anche nel tardo impe-ro. Sembra argomento forte, a favore dell’unicità del nostro “settore settentrio-nale” quale scalo urbano tra la tarda antichità e il Medioevo, il fatto che per ilsuo ripristino nel XIII-XIV sec. si dovette procedere ad una bonifica tantoimpegnativa da lasciare memoria fino al ’700 (v. infra), che si sarebbe certoevitata se fossero esistiti nelle vicinanze approdi alternativi adeguati.

Tornando al passo di Claudiano va infine segnalato l’uso del verbo com-plecti “cingere, abbracciare”; il sistema sopra descritto (molo tra l’isola Peddo-na e la terraferma, molo o spiaggia con pontili, lingua di terra tra i settori norde sud), e che corrisponde al nostro settore nord, forma un bacino racchiuso sutre lati, il quale ben può dirsi che “abbraccia” una flotta (fig. 3).

Se l’ipotesi è corretta, quando nel 397 questo bacino ospitò parte della flot-ta da guerra dell’Impero, il disastro non poteva essere ancora avvenuto, poichéi nostri relitti, affondati in basso fondo, ostruirono lo specchio d’acqua impe-dendone l’utilizzo per numerose navi di dimensioni medio-grandi.

Stabilita così la cronologia dell’affondamento, vanno individuate le cause.In una ria così profonda, quasi uno stagno, come il golfo interno di Olbia,

uno dei più riparati del Mediterraneo, non è possibile pensare ad un eventometeorologico tanto distruttivo da causare una simile catastrofe, anche perchéle posizioni dei relitti in tal caso risulterebbero casuali e non ordinate e,comunque, ci si dovrebbe domandare come mai sia accaduto solo una volta intanti secoli di storia del porto (il disastro d’età neroniano-vespasianea del set-tore sud, non pare comunque essere stato così imponente e sarebbe in ogni

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8 Panedda 1953 , p. 18 s.

caso un antecedente troppo sporadico: in otto secoli di storia del porto solo duevolte?).

Sembra quindi più logico pensare ad una causa antropica, stanti anche varietracce di bruciatura osservabili su alcuni dei legni vicini alla linea di galleggia-mento delle imbarcazioni nonché su frammenti di statua di bronzo trasportatidal relitto n. 1, e questa causa antropica dovette essere motivo di profonda crisiper l’intera città, dal momento che in seguito non fu ripristinata la funzionalità,compromessa dai relitti affondati in acqua bassa, di ciò che era fin dalla fonda-zione la stessa ragione di vita della città: il porto. Da qui a indicare nelle scor-rerie dei Vandali contro Corsica, Toscana, Sardegna, Sicilia, Campania, Romastessa, il contesto storico dell’affondamento dei relitti e del collasso della città,che non significa certo però la sua totale scomparsa (v infra), il passo è breve.Del resto già Panedda attribuiva a scorrerie vandaliche un quadro di indizi di“trauma” della vita urbana, anche se forse non tutti cogenti se esaminati allaluce della odierna metodologia 8.

Naturalmente non si può chiedere ad uno scavo archeologico di chiariredettagli contingenti da sceneggiatura cinematografica. Obiettare che gliaggressori dovessero essere interessati più all’impossessamento che all’affon-damento delle navi non pare cogente: possono essere state fatte colare a piccodai difensori proprio per non farle cadere preda del nemico, oppure la loro per-dita può essere stata accidentale, dato che quanto accade durante uno scontroarmato non è certo “controllabile” in toto da parte di alcuno. Altrettanto acca-demico sarebbe ragionare sul perché, ipotizzando un attacco dal mare, le navinon siano sfuggite per la stessa via: si può replicare che la particolare confor-mazione del golfo interno ed esterno di Olbia, una vera e propria trappola “abottiglia” (fig. 1), trasformerebbe una tale fuga in un suicidio. Va infatti suppo-sto che gli aggressori abbiano sfruttato vento di scirocco o levante, che consen-te di arrivare velocemente all’ingresso del golfo interno con navi da guerra eche, al contrario, si oppone a chi vi esce e per di più con navi onerarie. Contan-do poi che lo spazio di manovra per 10 navi che si muovono contemporanea-mente è ristrettissimo nello specchio d’acqua in cui erano ancorate, anche unavvistamento e un riconoscimento precoce della flotta nemica non garantisceaffatto a navi da carico di uscire dalla trappola naturale del golfo interno intempo utile da allontanarsi, da sopraggiungenti più rapide navi da guerra, tantoda essere al sicuro. Più logico tentare una difesa nel porto.

E del resto nulla vieta che gli attaccanti possano essere arrivati, magari not-tetempo, via terra, dopo uno sbarco in altri scali del territorio come il Golfo diCugnana, Porto S. Paolo ecc.

E via ipotizzando…Viceversa, il dato fattuale del non avere posto rimedio (con la rimozione dei

relitti – pur affondati in un facile basso fondale – o con una colmata di bonifi-ca) alla ostruzione dell’ unico specchio d’acqua portuale urbano allora in uso,col conseguente languire di un porto – e quindi dell’area urbana che da esso hasempre tratto vita – tanto attivo da molti secoli, sembra un argomento forte perindiziare non certo la sparizione ma almeno il tracollo della città intera come

Relitti di storia: lo scavo del porto di Olbia

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Rubens D’Oriano

9 Pisanu 1996.10 Argiolas - Mattone 1996,

p. 127.

corpo sociale, amministrativo, economico, organizzativo in grado di procedereall’opera.

Nei secoli dell’Alto Medioevo il ruolo e la rilevanza di Olbia furono netta-mente minori rispetto all’età romana, e sono proprio i reperti dello scavo delporto – come, assieme a lucerne e sigillate africane di VI e VII sec., un impor-tante vaso di Forum Ware – a testimoniare attività commerciali ininterrotte eancora vive ma certo non paragonabili al passato, pur se importanti per ulte-riormente sostenere, con l’ultimo studioso che si è occupato dell’Olbia post-classica 9, la revisione critica dell’ipotesi dell’ abbandono del sito urbano afavore di un centro più interno.

Solo verso il XIII-XIV secolo – data suggerita dalle ceramiche e tuttavia daprecisare nella fase del loro studio dettagliato – si procedette a colmare l’areadel settore nord altrimenti inutilizzabile a fini di attività portuali adeguate, poi-ché ancora ingombra, più che dei relitti, del fango che la presenza di questiaveva trattenuto elevando la quota del fondale. Una colmata di pietre (anchemolte colonne e blocchi da costruzione romani, che dovevano costellare l’im-mediato panorama periurbano dell’abitato medievale, addensato nella partecentrale della un tempo più estesa città romana), ghiaia, e pali bonificò il sito,ottenendo così un avanzamento della linea di costa per attingere livelli di fon-dale sgombri e quindi sufficienti per navi di un certo pescaggio. Furono utiliz-zate allo scopo, secondo un uso ben noto fin dall’antichità, anche 6 imbarca-zioni dell’epoca già in abbandono al momento del loro affondamento, percostituire punti di tenuta della colmata. Esse infatti sono disposte lungo quelloche pare il margine a mare della gettata, evidenziato nella fig. 5 (ove invecenon compaiono i bordi laterali, più difficili da individuare con esattezza inscavo a causa dell’erosione). Particolarmente indicativo il relitto n. 9 spezzatoin due tronconi posti ad angolo retto e bordati da pali. Nell’attesa dello studiodella tecnica costruttiva delle imbarcazioni e delle ceramiche ad esse associa-bili, non si esclude che uno dei 6 relitti, denominato RC, possa essere un affon-damento precedente alla colmata stessa, come paiono suggerire ceramiche diXI sec. rinvenute esclusivamente a contatto e nelle immediate vicinanze diesso.

Questa iniziativa di bonifica è probabilmente da ascrivere all’impulso datoda Pisa alle relazioni transmarine di questa zona della Sardegna, nell’ambitodei noti rapporti di potere con il Giudicato di Gallura del quale l’antica Olbiaromana, col nome prima di Civita poi di Terranova, era la capitale. Infatti, nonsolo sono abbondanti anche in questo scavo le coeve ceramiche di ambito pro-duttivo e commerciale pisano e toscano in genere, ma soprattutto si può riferiremolto direttamente alle vicende di questa porzione del golfo la notizia dell’a-nonimo – ma autorevole in quanto giudice della Reale Udienza in Sardegna –compilatore settecentesco della Veridica relazione del Regno di Sardegna ecc.,secondo il quale l’allora Terranova, cioè Olbia, «…era colonia de’ Romanicon un gran porto dalla parte di levante che fu riempito dalli Pisani…» 10. Evi-dentemente l’ impegnativa opera aveva lasciato viva traccia nelle memorielocali.

Lo scavo ha infine restituito anche documentazione della successiva attività

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11 Prime osservazioni in Ric-cardi 2002 e Riccardi 2003.

12 Pietra 2003, Sanciu 2002 ePisanu 2002.

portuale, fino almeno al XVII sec., che attende anch’essa l’esame degli specia-listi del settore.

Il fortunato rinvenimento, quindi, oltre ad avere restituito materiali - dai re-litti medesimi alle ceramiche, dalle lucerne alle monete ecc. - di grande impor-tanza sul versante della tecnologia navale 11, della ricostruzione dei contatti com-merciali della Sardegna nordorientale ecc. 12, della topografia urbana e portualedi Olbia, fa direttamente luce su due dei momenti topici della storia della città edell’Isola intera: la fine dell’età romana e la ripresa in età giudicale.

Relitti di storia: lo scavo del porto di Olbia

Bibliografia

Argiolas-Mattone 1996 – A. Argiolas - A. Mattone, Or-dinamenti portuali e territorio costiero di una comu-nità della Sardegna moderna. Terranova (Olbia) inGallura nei secoli XV-XVIII, in AA.VV., Da Olbiaad Olbia, Atti del Convegno di Studi, 1996, p. 127.

D’Oriano 1998 – R. D’Oriano, Nuovi dati sulla viabilitàromana nell’agro di Olbia, in «L’Africa romana»,Atti del XII Convegno Internazionale di Studi su l’A-frica Romana, 1998, p. 806 ss.

D’Oriano 2001 – R. D’Oriano, Olbia e la Sardegna set-tentrionale in AA. VV, MAXH. La battaglia del MareSardonio, in «Studi e ricerche», 2001, p. 205 ss.

Olechowska 1978 – Claudiano, De bello gildonico, XIV,519, Roma Aeterna,X, Leiden 1978, p. 111 (testo etraduzione di E. Olechowska).

Panedda 1953 – D. Panedda, Olbia nel periodo punico eromano,1953.

Pietra 2003 – G. Pietra, Lateres e mortaria con bolli difabbrica dal porto di Olbia, in AA.VV., Viaggi per

mare, viaggi per l’aldilà. Vecchi e nuovi rinvenimentiolbiesi.

Pisanu 1996 – G. Pisanu, Olbia tra V e X sec, inAA.VV., Da Olbìa ad Olbia, Atti del Convegno diStudi,1996, p. 495 ss.

Pisanu 2002 – G. Pisanu, Materiali di cultura punica dalporto di Olbia, in «L’Africa romana», Atti del XIVConvegno Internazionale di Studi su l’Africa Roma-na, 2002.

Riccardi 2002 – E. Riccardi, I relitti del porto di Olbia,in «L’Africa romana», Atti del XIV Convegno Inter-nazionale di Studi su l’Africa Romana, 2002.

Riccardi 2003 – E. Riccardi, Relitti, e non solo, dal portodi Olbia, in AA.VV., Viaggi per mare, viaggi perl’aldilà. Vecchi e nuovi rinvenimenti olbiesi.

Sanciu 2002 – A. Sanciu, Lucerne con bolli di fabbricadal porto di Olbia, in «L’Africa romana», Atti delXIV Convegno Internazionale di Studi su L’AfricaRomana, 2002.

NOTA GEOLOGICAdi Giovanni Tilocca

A) Brevi considerazioni geologiche

Sul piano litostratigrafico, i primi rilievi sul luogo dei ritrovamenti hanno indotto ascartare un’ipotesi di “annegamento” via mare delle navi ovvero un evento catastroficoda collegare con l’attività di moti ondosi di particolare intensità ed energia, data anchel’inammissibilità delle necessarie condizioni meteomarine nel contesto fisiografico edinamico della Ria di Olbia.

È apparso chiaro che gran parte dei relitti, in particolare quelli più integri e colloca-ti parallelamente tra loro e ortogonali alla linea di costa – datati dagli archeologi al Vsec. d.C. – provenisse da un medesimo livello stratigrafico.

I ripetuti esami geolitologici operati nei sopralluoghi hanno rivelato come talelivello fosse stratimetricamente costante e costantemente fossilizzato da una spessacoltre di depositi piuttosto ciottolosi di varia granulometria (pluricentimetrici) e poten-za (in genere almeno 3 m), in forte prevalenza conglomeratici. Nell’insieme, datianche gli avvicendamenti sia laterali che verticali di sacche e di lenti, ora argillose orasabbiose e data la mancanza di qualunque selezione granulometrica, tali termini litolo-

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1 Bascom W. 1964: Wavesand beaches, Educational Servi-ces Incorporated, Anchor Books,New York; Komar P.D. 1976:Beach processes and sedimenta-tion, Prentice Hall, EnglewoodCliffs, New Jersey.

gici sono stati riferiti ad un ambiente di sedimentazione continentale fluviale alluvio-nale. Gli elementi costituenti lo scheletro litologico possono del resto molto facilmenteessere messi in relazione all’attuale basamento cristallino della Gallura orientale ed inparticolare coi litotipi costituenti il sostrato granitoide degli attuali bacini che sottendo-no la Ria di Olbia.

Verso l’alto stratigrafico, tali depositi alluvionali ricchi in matrice argillosa, sonoricoperti da sabbie, da poco coerenti ad incoerenti, di altrettanto chiara origine marina,dati i marcati caratteri di litoralità (classazione) insiti nel sorting e nella presenza dispecifiche faune subfossili (Ostrea e Patella ferruginea?). Pertanto si deve ammettereche, se non del tutto, almeno una parte del giacimento sia stato sepolto ad opera dialmeno un improvviso e più o meno parossistico evento critico di natura alluvionale dicui i conglomerati debbono considerarsi il prodotto sedimentario. Deve essersi trattatoin sostanza di un evento idrologico di grande intensità conseguente ad un altrettantointenso evento pluviale, compatibile con intensità ascrivibili, secondo i modelli attuali,a tempi di ritorno di 500 o di 1000 anni (espressione a carattere idrologico senza alcu-na implicazione cronologica né stratigrafica). Si noti che tale ipotesi deve considerarsioltremodo realistica e compatibile con alcune considerazioni di carattere geomorfolo-gico, idrologico e paleoclimatico.

La Gallura odierna è infatti un’area vincolata ad una pericolosità idrologica con-nessa da un lato con i massimi afflussi pluviometrici della Sardegna (Alta Gallura eGallura Sud Orientale), dall’altro coi gradienti morfologici, le pendenze e la naturalitologica impermeabile dei suoi terreni. In particolare, poiché proprio la zona di Olbiaappare oggi, sotto questo profilo, la più idraulicamente vulnerabile (CNR-GNDCI(1998): Catalogo delle informazioni sulle località italiane colpite da frane e da inonda-zioni. Pubblicazione n° 1799), non v’è ragione alcuna di ritenere che tali caratteristi-che siano state meno influenti nel passato storico, dal momento che, in accordo conspecifici studi di settore, si possono ammettere almeno per l’Alto Medioevo maggioripluvialità rispetto ad oggi.

B) Considerazioni sulla profondità del rimaneggiamento naturale del fondale

L’ipotesi delle profondità di rimaneggiamento naturale del fondale (0.5 m) è spie-gabile facendo riferimento sia alle caratteristiche fisiografico-batimetriche della Ria diOlbia che attraverso i consueti modelli di propagazione dell’onda marina 1. Le primenon possono che considerarsi simili a quelle odierne, stante che le difformità debbanoritenersi possibili solo nell’immediatezza del clymax idraulico fluviale, seguito da unprogressivo parziale allontanamento dei sedimenti fini e da una loro redistribuzioneverso mare. I secondi danno modo di ritenere verticalmente efficace il moto ondoso dilunghezza d’onda L fino ad una profondità di L/2. Poiché è noto che in corrispondenzadi un fondo decrescente il moto ondoso rallenta la sua celerità e produce onde di lun-ghezza inferiore, è facile concludere che questa in prossimità della linea di costa, nellecondizioni di scarsa profondità, non potesse, ieri come oggi, superare gli 1-2 m.

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