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RIVISTA DEL DOTTORATO DI RICERCA IN PIANIFICAZIONE URBANA E … · 2013. 4. 16. · in Folio 3...

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in Folio 10 LUGLIO 2000 RIVISTA DEL DOTTORATO DI RICERCA IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE DELLE UNIVERSITÀ DI PALERMO CATANIA E REGGIO CALABRIA Giuseppe Albanese Francesca Starrabba Melita Brancati Marco Santangelo Chiara Barattucci Fabio Naselli Giuliana Panzica La Manna Giuseppa Santapaola Francesco Martinico Ignazio Vinci Biagio Bisignani Edoardo Salzano Francesco Gastaldi Bruno Gabrielli Enzo Scandurra Flavia Schiavo www.unipa.it/infolio
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inFolio

10LUGLIO 2000

RIVISTA DEL DOTTORATO DI RICERCA IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE DELLE UNIVERSITÀ DI PALERMO CATANIA E REGGIO CALABRIA

Giuseppe Albanese

Francesca Starrabba

Melita Brancati

Marco Santangelo

Chiara Barattucci

Fabio Naselli

Giuliana Panzica La Manna

Giuseppa Santapaola

Francesco Martinico

Ignazio Vinci

Biagio Bisignani

Edoardo Salzano

Francesco Gastaldi

Bruno Gabrielli

Enzo Scandurra

Flavia Schiavo

www.unipa.it/infolio

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indice

n. 10, luglio 2000

EDITORIALEGiuseppe Albanese

UN PROGETTO PER IL TERRITORIO LIBERO DELL’AREA ROMANAFrancesca Starrabba

LO “STUDIO DI CASO” COME STRATEGIA DI RICERCA. IL MUDULO DIDATTICO INTERDOTTORATI SULLAMETODOLOGIA DI RICERCAMelita Brancati

TERRITORI E TERRITORIALITÀ. SISTEMI LOCALI E SVILUPPO SOSTENIBILE TRA GLOBALIZZAZIONE EIDENTITÀ Marco Santangelo

URBANIZZAZIONE DISPERSA AL DI LÀ DELLA CITTÀ DENSA: STRATEGIE COGNITIVE E STRATEGIE DIINTERVENTO. FRANCIA E ITALIA 1970-2000Chiara Barattucci

EVOLUZIONI DEL CONCETTO DI RIQUALIFICAZIONE URBANAE TRASFORMAZIONE DEI MODI DI INTER-PRETAZIONE DELLA CITTÀ Fabio Naselli

LE AREE URBANE DISMESSE: SPUNTI DI RIFLESSIONE IN RELAZIONE AGLI STRUMENTI DI PIANIFICA-ZIONE ED ALLE SOCIETÀ MISTE PER LA LORO GESTIONE Giuliana Panzica La Manna

PAESAGGI DELLA NATURA - PAESAGGI DELL’UOMO. TIPIZZAZIONE E PROFILI DI TUTELAGiuseppa Santapaola

LE CONSEGUENZE TERRITORIALI DELLE EVOLUZIONI DEL SISTEMA DELLAPRODUZIONE INDUSTRIALEFrancesco Martinico

PIANIFICARE NELLA RETE: LO EUROPEAN SPATIAL PLANNING OBSERVATORY NETWORK Ignazio Vinci

ORIENTAMENTI, STRUMENTI, COMUNICAZIONE NELL'INNOVAZIONE URBANISTICA. L'OPINIONE DIEDOARDO SALZANO Biagio Bisignani

INNOVAZIONE NELLE POLITICHE URBANE (Intervista con Bruno Gabrielli)Francesco Gastaldi

AMBIENTE PIÙ UN’ELEVATA CIVILTÀ URBANA. RIFLESSIONI SULL’USO MODERNO DELLA TECNOLOGIAEnzo Scandurra

INNOVAZIONE: BREVI NOTE A MARGINE Flavia Schiavo

LA CITTÀ, L’UOMO, IL PIANO E LA METAFORA DEL GATTO. DIALOGO IMMAGINARIO TRAAUTORI CLAS-SICI SULLE RELAZIONI SOCIALI DELLA CITTÀ MODERNA.(Introduzione di Giuseppa Santapaola)

RECENSIONI

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attività

ricerca

tesi

reti

dibattito

antologia

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Le immagini di questo numero sono di Ignazio Vinci (1, 4, 5, 7) e Biagio Bisignani (2, 3, 6).

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Nelle produzioni di politiche urbane hanno inciso i processi di globalizzazione del mercato, i quadri ditrasformazione dei poteri, degli apparati e delle imprese, nonché le influenze che le città esercitano suisistemi decisionali sia relativamente alle istituzioni, sia in rapporto alle economie, sia rispetto alle dina-niche dei processi sociali.Il crescente bisogno di pianificazione strategica, di orientamento del mercato, nonché di sviluppo di coo-perazione con città-partner, costituiscono le nuove dimensioni delle politiche urbane.In tale contesto le Regioni e le Città assumono un maggiore peso come attori politici. È evidente l’af-fermarsi di taluni fenomeni che interessano le trasformazioni, fittamente connesse con l’emergere di unregime di globalizzazione politica ed economica.Una politica bilanciata, orientata al mercato e la promozione e lo sviluppo di un partnership con altrecittà, costituiscono i fattori essenziali per uno sviluppo strategico.A ciò viene a legarsi tutta la logica di costruzione delle politiche urbane, sulla considerazione di nuovirapporti tra economia e territorio (un regime globalizzato, in cui le grandi imprese hanno ridefinito illoro livello di operatività ed in cui viene a generarsi una densa e diretta competizione fra luoghi, consi-derati come localizzazioni potenziali per attività economiche). Si viene a determinare (Camagni, 2000)«una sorta di mercato globale della localizzazione, in cui si fronteggiano da una parte le imprese – inte-ressate non solo ad una pura comparazione dei costi dei fattori produttivi, ma dall’efficienza dei territo-ri di riferimento e delle relazioni inter-individuali e inter-istituzionali che si svolgono – e dall’altra le col-lettività territoriali, con le loro specifiche funzioni di utilità e di benessere collettivo, interessate al man-tenimento di livelli di occupazione, di reddito e di occasioni di crescita professionale per i loro compo-nenti». Si viene ad instaurare una sorta di rapporto dialettico tra “globalizzazione” e “localismo” che, daun lato, genera la necessità di alimentare i processi di globalizzazione, dall’altro di esaltare (fino ad enfa-tizzarli) i caratteri e le specificità locali.Tale situazione è posta in evidenza dalla Healey, secondo cui l’attuazione di strategie, piani e progettiavviene sulla base di pratiche che, da un lato sono orientate a garantire relazioni dello sviluppo, dall’al-tro sono fittamente legate alle domande di spazio connesse alle dinamiche sociali ed economiche che sisviluppano a livello locale.Gli attori del territorio si muovono tra il “globale” ed il “locale”, la percezione di controllo tra logicheglobali e logiche locali risulta difficile; la stessa pratica della pianificazione strategica diventa comples-sa e si muove in campo di incertezza, nonché di continua e crescente instabilità.I sistemi territoriali, all’interno di uno scenario di tale tipo, si ritrovano in una condizione di complessitàampia. I campi di decisione vengono investiti da progressivi livelli di incertezza.L’avanzamento scientifico e tecnologico che ha investito sia le discipline umane, sia quelle fisiche, hasuggerito un’estensione sia del campo disciplinare, sia di quello operativo della pianificazione urbanisti-ca, introducendo nuove forme di conoscenze finalizzate a più rispondenti approcci di analisi, di scelte, di

n. 10, luglio 2000

Editoriale

Giuseppe Albanese

editoriale

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politiche, di strumenti e di procedure. Oggi, oggetto importante – anche se non esclusivo – della pianifi-cazione è “il capitale relazionale”; di esso la pianificazione si deve oggi interessare in duplice senso:• nel senso che deve riconoscere il “capitale relazionale” come oggetto di sua gestione, assumendo

competenze e responsabilità ai processi di identificazione delle modalità, dei contesti e delle morfo-logie sociali ed urbanistiche attraverso cui vengono facilitati lo scambio e la interazione tra sogget-ti differenti;

• nel senso che deve assumere – come oggetto – un particolare “sistema di campo locale”, al cui inter-no vengono gestite attività di partecipazione, di interazione sociale e di cooperazione tra soggettidiversi.

Tant’è che oggi gli approcci maggiormente riferiti all’innovazione urbanistica non costituisconoapprocci di tipo alternativo, ma piuttosto estensioni del campo di attività sulla base di attenzione tran-sdisciplinare, di considerazione di complessità e riflessione critica relativamente al rapporto fra etica,morfologia sociale e territorio. Maggiore attenzione va riservata all’assunzione dell’attività urbanisticacome attività di pianificazione degli usi del suolo o più esplicitamente come attività di classificazionezonale e quindi di regolazione sociale. Il problema della innovazione si lega alla capacità di ridefini-zione dell’oggetto e del campo di azione, alla necessità di uscire dalla rigidezza istituzionale attraversola costituzione di una “infrastrutturazione amministrativa maggiormente rispondente alle convenienzefunzionali e sociali ed all’opportunità di eliminazione degli scenari teorici tipizzanti la staticità di talu-ne forme di approccio”.La convergenza fra problemi economici ed approcci territoriali alle politiche spaziali, ed il riferimentoa politiche di sostenibilità costituiscono le novità più evidenti di ultimo periodo.Logiche di intervento ed obiettivi vengono integrati attraverso “mediazioni normative”, superando iprincipi di regolazione dei sottosistemi (ambientale, economico e sociale).I tre nuovi principi (equità ambientale, funzionalità allocativa ed efficienza distributiva), permettono digovernare, con maggiore probabilità di successo, i fenomeni derivati dall’integrazione dei tre sottosi-stemi. È quindi superato l’approccio tradizionale il cui modello di riferimento è fondato su principi diregolazione separati per ogni sottosistema.L’integrazione, il partenariato e la partecipazione, sono termini ricorrenti. Così pure i nuovi obiettivi dicompetitività (integrazione intersettoriale per gli strumenti, integrazione tra livelli di governo, parteci-pazione dei cittadini, e partenariato) sono indicati all’interno dei documenti di indirizzo della ComunitàEuropea.Evoluzione etica del piano, estensione disciplinare, nuovi paradigmi, innovazione operativa, ingegne-ria conoscitiva, costituiscono gli elementi di riferimento per l’organizzazione dell’attività urbanistica.Competenza, obiettivi, mezzi ed azioni di piano, vengono fissati da parte degli attori pubblici in tempied in fasi riordinate, riservando per i processi di piano ed i processi di politiche, particolari forme di rap-presentazione finalizzate all’ottenimento di consenso considerate complementari ed aggiuntive, anchese necessarie e dovute.L’innovazione comporta la ridefinizione dei rapporti:• con le politiche, sulla base di costruzioni dei problemi e sulle progettazioni di conoscenza;• con le pratiche, operando un mirato posizionamento;• con gli ambiti normativi, con i meccanismi attuativi e con le strategie e con i sistemi di controllo

gestionale.La forte integrazione tra decisioni relative alle strutture fisiche, l’uso del suolo, la tutela ambientale, lepolitiche occupazionali, il rinnovamento del sistema dei servizi e l’innovazione tecnologica, costitui-scono i riferimenti attuali per la conformazione dei piani e la formazione di politiche urbane.

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Il rapporto tra progettazione del sistema naturaleed umano, attraverso una visione sistemica deiproblemi, è stato proposto come tema centraledel Seminario “Storia e Natura come sistema” 1

con l’obiettivo di individuare, ed interpretare insenso progettuale, le correlazioni tra gli elemen-ti fisico-naturalistici e gli aspetti antropici, dacui derivano i caratteri dell’ambiente, del territo-rio e del paesaggio, attraverso una lettura storicanel tempo.

Appare opportuno, con una breve premessa,sottolineare il percorso di lavoro, afferente adiversi campi disciplinari, che ha permesso unconfronto ed un’integrazione tra le fonti e ledocumentazioni prodotte al fine di operare,ragionando in modo interdisciplinare partendo daun’analisi delle interrelazioni tra gli aspetti terri-toriali, ambientali e paesistici, una serie diapprofondimenti relativi all’area romana.

I temi trattati nel Seminario sono stati oggettodella Mostra “Storia e Natura come sistema: l’a-rea romana”2, a cura della prof. VittoriaCalzolari, svoltasi a Palermo presso la VillaNiscemi dal 6 al 12 maggio 2000.

I lavori presentati costituiscono una conclu-sione della prima fase di una ricerca sull’arearomana e sulla sua struttura ambientale e storicabasata sull’ipotesi, assunta come idea – guida, diindividuare una linea progettuale per quello cheè stato definito il “territorio aperto” in relazioneal complesso ed articolato sistema delle areelibere in riferimento alle specifiche componenti econnotazioni fisiche naturali ed antropiche edalle loro funzioni ed usi.

I temi ed i lavori si inseriscono in un filone diricerca sulle interrelazioni tra i sistemi ambienta-li ed i sistemi degli insediamenti umani condotto,fin dagli anni ’70, presso la Facoltà diArchitettura ed il Dipartimento di PianificazioneTerritoriale ed Urbanistica dell’Università “LaSapienza” di Roma, attraverso tesi di laurea,ricerche ed il Corso di perfezionamento in

Progettazione Paesistica ed Ambientale, dal 1990al 1997.

Il metodo di lavoro adottato è basato sull’atti-tudine a considerare le risorse ambientali e lerisorse storiche come principi interrelati e comeelementi primari e prioritari ordinatori e qualifi-catori nella riorganizzazione fisica, funzionale eformale del territorio antropizzato, nell’elabora-zione di piani e di progetti alle varie scale diintervento.

Dal punto di vista metodologico, pertanto, siindividuano le interrelazioni tra i sistemi relativialla struttura geologica, al reticolo delle acque,alla trama dei luoghi verdi, alla trama dei luoghistorici ed archeologici, dei tracciati e delle strut-ture lineari (percorsi storici, acquedotti, ecc.).

Appare opportuno, a tal proposito, sottolinea-re i criteri considerati per la definizione dell’am-bito territoriale definito “area romana”.

Al di là dei confini amministrativi che nonpongono attenzione alle strutture ambientali edalle connotazioni storiche di un territorio, per-tanto, sono stati privilegiati i caratteri strutturalistorico-ambientali.

In tale ottica, è stato assunto il criterio stori-co- ambientale per l’area del bacino del Tevere alfine di osservare come si siano evolute nel tempole immagini del territorio e del paesaggio al finedi proporre soluzioni progettuali per il sistemadelle aree libere3, per la cui individuazione il‘tema dell’acqua’ costituisce il filo conduttore.

“La dichiarazione della volontà di assumere ilsistema storico- ambientale come fatto importan-te della pianificazione urbanistica è divenutapiuttosto usuale in Italia nell’ultimo decennio edin piani recenti; questo riteniamo risponda a dueesigenze che si sono andate rafforzando negliurbanisti ed architetti prima, negli amministrato-ri poi.

La prima è di tipo ecologico e dettata dallaconstatazione della rapidità con cui, specie negliultimi decenni, si sono andate consumando e

attività

Un progetto per il territorio liberodell’area romana

Francesca Starrabba

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degradando risorse primarie non rinnovabili olentamente rinnovabili e dalla necessità di gui-darne e regolarne l’uso; dal riconoscimento del-l’importanza delle superfici verdi, delle masseboscate, del fluire delle acque, dei corridoi diareazione al fine di ridurre l’inquinamento atmo-sferico, il surriscaldamento, migliorare il micro-clima, ecc.

La seconda è legata alla speranza di contrasta-re la perdita di ‘urbanità’ della città (come strut-tura, forma ed immagine) attraverso un’attenzio-ne rinnovata alla qualità e alla struttura deglispazi liberi e del verde, alla correlazione tra per-manenze storiche e caratteri ambientali dei lorositi.”4

Tra gli elaborati presentati nella Mostra, è dacitare, poiché costituisce un riferimento costante,la Grande Pianta di Giambattista Nolli, pubblica-ta per la prima volta nel 1748, in un’edizionecurata dall’autore e dedicata al Papa BenedettoXIV Lambertini (1741/1758) comprendente lariedizione della Carta di Leonardo Bufalini del1551.

In questa planimetria è possibile leggere latrama del non – costruito e la rete dei percorsidelle acque in relazione alla collocazione dellefontane, la trama delle vigne, degli orti, dei giar-dini, dei viali alberati, dei boschetti, rappresenta-ti con la medesima attenzione con cui sono dise-gnati gli edifici.5

La Mostra, articolata per sezioni, presenta lecarte sulla litomorfologia, sul sistema delleacque e sulle dinamiche dei paesaggi vegetalirelativamente al bacino idro-orografico delTevere, con l’obiettivo di una reinterpretazionedel territorio secondo una lettura ‘per struttura’attraverso il confronto di carte, immagini edescrizioni.

I grandi sistemi ambientali vengono conside-rati come fattori interrelati di configurazione eorganizzazione del territorio e del paesaggio del-l’area romana.

I temi specificatamente ambientali assumonoun ruolo costruttivo e “l’ambiente non è ‘ridotto’ad una serie di dati, né ad una premessa ‘politi-camente corretta’, ma è assunto come uno deiprincipali testi, e contemporaneamente punto diosservazione, del territorio e della società con-temporanea.”6

Una sezione della mostra è relativa al rappor-to tra sistemi ambientali ed uso del territorio, chepresenta alcune situazioni critiche in relazioneall’uso delle risorse ambientali primarie, alledinamiche della relazione acqua/suolo con il

sistema insediativo, ai corridoi ecologici comeelementi di organizzazione ambientale e connes-sione tra l’ambito di studio e gli ambiti territo-riali più ampi.

L’ultima sezione della Mostra è relativa allapresentazione di proposte progettuali in cui ilrapporto tra siti, insediamenti e trasformazioni èstato assunto come tema - guida nello svolgimen-to delle esperienze progettuali, sviluppate cometesi di laurea o come lavori di esame nell’ambitodel seminario di Laurea 1990/1996 sul “Sistemastorico- ambientale dell’area romana” nell’ambi-to dei corsi di Assetto del Paesaggio.

Il filo conduttore che lega i diversi progetti,riguarda la metodologia di lavoro basata sull’i-dea di sistema e su cinque ‘passaggi propositivi’posti non in sequenza temporale o logica, maorganizzati ciclicamente in riferimento all’indi-viduazione di uno schema di struttura ambienta-le, alla definizione dello schema di sintesi delsistema storico - ambientale, attraverso la cono-scenza e la valutazione delle componenti del ter-ritorio (fisiche, ambientali, storiche ed insediati-ve), all’organizzazione in sistema dei tipi di areelibere, attraverso l’individuazione di sub- sistemicome parti riconoscibili del sistema ambientale(la corona delle grandi riserve di naturalità, colliAlbani, monti Tiburtini e Lucretili, montiSabatini; la fascia costiera, i grandi cunei diVeio, dell’Appia Antica ricchi di risorse archeo-logiche oltre che vegetazionali che penetrano,dall’esterno, nel costruito fino al centro urbano;i corridoi biologici di attraversamento del Teveree dell’Aniene; gli affacci/profili della città sulTevere; gli avvolgimenti esterni, la cui strutturaprincipale è costituita dai canaloni; ai corridoi,considerati come spazi aperti differentementecaratterizzati; la corona interna formata dallasequenza frammentata di spazi verdi pubblici eprivati strutturati dai parchi storici esistenti,dalle aree di pertinenza delle grandi attrezzature,da parti di città con elevata dotazione di spaziverdi; le connessioni lineari con qualità storico-paesistiche come le strade, i viali alberati, gliacquedotti, i percorsi d’acqua; le aree agricole),ai luoghi emergenti, alla sperimentazione proget-tuale per temi ricorrenti, alle iniziative per veri-ficare e rendere attuabili le proposte progettuali,assumendo come punto di partenza le potenzia-lità al fine di indirizzare le esperienze progettua-li verso possibilità più concrete di attuazione egestione.

Gli elaborati, rappresentativi di alcuni temiprogettuali, selezionati e presentati nella sezione

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delle esperienze progettuali riguardano solo unapiccola parte del lavoro svolto inquadrato in unaricerca articolata e complessa in cui la fase pro-gettuale non si configura come il prodotto finaledelle analisi ma si costruisce gradualmentedurante tutto il percorso con l’individuazione diquei valori che danno, o potrebbero dare, unsenso ad un luogo o ad un territorio.

In conclusione, una riflessione riguarda l’ideadella nuova città definita attraverso l’interpreta-zione del rapporto storia- natura al fine di mette-re in luce, ritrovandoli, alcuni valori e significa-ti peculiari di una città come Roma e del suo ter-ritorio, seguendo, come ricorda la Calzolari, unitinerario simile a quello percorso nei suoi viag-gi da Marco Polo di Italo Calvino, per compren-dere “le ragioni segrete che hanno portato gliuomini a vivere nelle città, ragioni che potrannovalere al di là di tutte le crisi.

Le città sono l’insieme di tante cose: dimemorie, di desideri, di segni di un linguaggio;le città sono luoghi di scambio, come spieganotutti i libri di storia dell’economia, ma questiscambi non sono soltanto scambi di merci, sonoscambi di parole, di desideri, di ricordi.”7

Note

1. Il Seminario “Storia e Natura come sistema”, tenuto dallaprof. Vittoria Calzolari, si è svolto presso il DipartimentoCittà e Territorio della Facoltà di Architettura dell’Universitàdegli Studi di Palermo, il 5 maggio 2000.2. I lavori della Mostra, precedentemente, erano stati presen-tati in mostre nell’ambito di:- Rassegna Regionale di Urbanistica dell’Istituto Nazionaledi Urbanistica, Roma 1994;- Convegno dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, Lecce1996;- Convegno organizzato dal Comune di Roma – AssessoratoPolitiche del Territorio, Università “La Sapienza” di Roma,Enciclopedia Italiana, Roma 1994;in pubblicazioni:- Calzolari V. e Caravaggi L. in Documenti del ConvegnoINU, Palermo 1995;- Calzolari V. “Il sistema storico-ambientale dell’area romanaquale fondamento del suo Piano direttore” in “L’EcosistemaRoma, Ambiente e Territorio”, Palombi, Roma 1995, pp.136/137.- Calzolari V. (a cura di) “Storia e Natura come sistema. Unprogetto per il territorio dell’area romana” a curadell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”Dipartimento di Pianificazione territoriale ed Urbanistica,Nuova Argos edizioni, Roma 1999. 3. Il sistema delle aree libere comprende i giardini, le caveabbandonate, le zone agricole di valenza storica, con la diffi-coltà che, mentre si parla di sistema, nella realtà odiernaurbana, sono presenti ‘macchie’ di zone di interesse naturale. 4. Calzolari V. (a cura di) “Storia e Natura come sistema. Un

progetto per il territorio dell’area romana” a curadell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”Dipartimento di Pianificazione territoriale ed Urbanistica,Nuova Argos edizioni, Roma 1999, pag. 50.5. La Pianta del Nolli, esposta alla Mostra, è relativa ad una‘versione colorata’ a cura di F. Arduini e E. Jucci nell’ambi-to di uno studio sulle ville storiche di Roma svolto presso laFacoltà di Architettura di Roma “La Sapienza” nel corso diAssetto del Paesaggio (1993/1994) e presentata al Convegno“Le ville di Roma – Arcitetture e Giardini dal 1870 al 1930”,Roma 1994. 6. Calzolari V. (a cura di) “Storia e Natura come sistema. Unprogetto per il territorio dell’area romana” a curadell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”Dipartimento di Pianificazione territoriale ed Urbanistica,Nuova Argos edizioni, Roma 1999, pag. 199.7. I. Calvino “Le città invisibili”, Milano 1960, pag. IX.

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Nell’ambito delle attività svolte durante il primoanno di dottorato, l’aver partecipato al modulodidattico interdottorati organizzato presso ilD.S.T. del Politecnico di Milano dal Prof.Alessandro Balducci, nei giorni 5, 6 e 7 giugno2000, dal titolo “Metodologie e strategie diricerca: lo studio di caso”, è stata un’esperienzagratificante perché ha stimolato il confronto e ildibattito tra i dottorandi e i professori e perchéha mostrato un percorso metodologico, come unasorta di canovaccio, che il ricercatore devecostruire per affrontare in modo corretto unaricerca.

Articolato in tre giorni di lavoro (con la par-tecipazione di 16 dottorandi provenienti dallesedi di Milano, Roma, Catania e Pescara), ilmodulo è stato strutturato partendo dalla presen-tazione dei partecipanti invitati ad esporre bre-vemente i temi e i percorsi personali di ricerca,al fine di trovare un filo conduttore tra gli argo-menti trattati ed evidenziare le difficoltà incon-trate nella scelta e nella realizzazione di un casodi studio. Si è poi passati all’illustrazione delmetodo dello studio di caso come strategia diricerca, curato personalmente dal professoreBalducci durante il quale sono intervenuti con iloro contributi Claudio Calvaresi, Paolo Fareri eGabriele Pasqui.

Durante lo svolgimento del corso è stata orga-nizzata un’esercitazione che oltre a “testare” lavalidità del metodo, ha avuto il pregio per noidottorandi, non solo di stimolare la discussione elo scambio, ma soprattutto di argomentare lescelte operate. Questo, nel tentativo di migliora-re l’approccio teorico-metodologico della ricer-ca che attraverso lo studio di caso trova il suoapprofondimento empirico.

Lo studio di caso, considerato per moltotempo come metodo minore rispetto ad altrestrategie di ricerca, ha uno stretto legame conl’analisi delle politiche pubbliche in quanto rap-presenta uno strumento prioritario per supporta-

re empiricamente le ipotesi teoriche formulate epermette di comparare tra di loro casi diversinon immediatamente congruenti.

Ciò è dovuto alla relazione ambigua che ilpolicy approach ha con il proprio campo diindagine empirica che risulta difficilmente codi-ficabile.

Le condizioni che orientano la scelta dellastrategia di ricerca da utilizzare sono tre:

1. il tipo di interrogativo di ricerca;2. il grado di controllo che il ricercatore ha

sul comportamento degli attori;3. l’attenzione verso eventi contemporanei

piuttosto che passati.In generale, il caso di studio è considerato la

strategia di ricerca preferibile quando l’interro-gativo di ricerca è posto nella forma del “come”e del “perché” e riguarda eventi contemporaneisui quali il ricercatore ha scarso o nessun con-trollo (R.K. Yin, 1984). In tal senso il caso delGiubileo presentato da Claudio Calvaresi nel suointervento, risulta emblematico.

Le principali critiche che vengono mosse con-tro la strategia dello studio di caso sono di tretipi.

La prima, è che i casi di studio sono soggettiad un giudizio personale da parte del ricercatore,ma in tutti i tipi di ricerca quando vengono svi-luppati i dati raccolti durante le indagini cogniti-ve inevitabilmente entra in gioco la componentesoggettiva. L’interpretazione dei risultati secon-do Yin, è un’attività di pattern-matching, cioè unaccoppiamento tra modelli di comportamento edi situazioni differenti. Dallo scostamento o dal-l’adesione dei vari modelli, capisco, interpreto.

Per quanto sofisticate possano essere le tecni-che di raccolta dei dati, esse presentano sempredei limiti, cioè si riducono a ciò che vediamo(guardiamo), sentiamo (ascoltiamo) e leggiamo(interpretiamo) (E. J. Feldman, 1981).

La seconda è che generalmente i casi di studioappaiono come lunghi rapporti illegibili e noio-

Lo “studio di caso” comestrategia di ricerca.Il mudulo didattico interdottoratisulla metodologia di ricerca

Melita Brancati

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si, ma ciò può essere superato utilizzando unaforma narrativa accattivante e ricca di argomen-tazioni.

La terza è che il caso di studio per alcunisembra fornire una debole base per considera-zioni di tipo scientifico e ciò costituisce una cri-tica epistemologica più profonda.

Il caso di studio ha come caratteristica quelladi essere utilizzato quando i confini tra il feno-meno e il contesto non sono evidenti, per spie-gare, descrivere, valutare ed esplorare gli esiti.

Secondo R. K. Yin, il progetto di ricerca sifonda su cinque aspetti:

1. l’interrogativo o il problema di ricerca;2. le proposizioni o ipotesi della ricerca;3. l’unità di analisi;4. la logica che lega i dati alle proposizioni;5. i criteri per interpretare i risultati.Le ipotesi permettono di legare gli interroga-

tivi di ricerca alla ricerca stessa. L’unità di ana-lisi dipende dal tipo di interrogativo che si èscelto e viene assunta tentativamente, cioè puòessere messa in discussione man mano che siprocede con la ricerca.

In sintesi, ciò che occorre fare è “strutturareil percorso logico”, cioè bisogna costruire unragionamento disciplinato. L’obiettivo del ricer-catore sarà quindi quello di creare un legamestretto tra la teoria e la ricerca empirica, doveper teoria si intende un insieme di proposizioniconnesse logicamente.

Ma R. K. Merton afferma che, “la ricercaempirica va ben oltre il ruolo passivo di verifi-care o di mettere alla prova la teoria, fa di piùche confermare o invalidare le ipotesi. La ricer-ca svolge un ruolo attivo: compie almeno quattrofunzioni fondamentali che contribuiscono a pla-smare lo sviluppo della teoria. Stimola, riformu-la, riorienta e chiarifica la teoria”.

In altre parole un progetto di ricerca sicostruisce partendo dalla scelta dell’argomentoper poi definire il problema di ricerca (o sogget-to) e quindi l’oggetto da indagare per affrontareil problema.

L’oggetto (che rappresenta il mezzo) e il sog-getto di ricerca risultano legati dalle ipotesi, chedevono guidare la raccolta e l’analisi dei dati (E.J. Feldman, 1981).

I riferimenti principali per lavorare sul pro-blema di ricerca sono la letteratura o le ricercheche hanno affrontato argomenti simili.L’importanza del confronto orizzontale, cioè traricercatori che parlano lo stesso linguaggio e chehanno sviscerato il problema secondo la defini-

zione del proprio soggetto ed oggetto, aiuta acomprendere i lati oscuri e nascosti della ricercastessa.

Allora, le fonti e le tecniche di ricerca assu-mono un ruolo fondamentale. Yin ne cita sei tipidiversi e cioè:– I Documenti (lettere, comunicati, articoli di

giornale, delibere, circolari, ecc…).– I Dati di archivio, che non sono catalogabili

come documenti ufficiali (mappe, dati di cen-simento, organigrammi, archivi personali,ecc…). Di tali informazioni è importante cat-turare il senso in quanto esse svolgono unafunzione integrativa rispetto agli altri tipi difonti.

– Le Interviste, che possono essere aperte, foca-lizzate o strutturate nell’ambito di una survey.L’intervista deve mirare a fornire informazio-ni sui processi decisionali che non è possibilereperire altrove e atteggiamenti e conflittidegli attori coinvolti nel caso in esame. Essaviene strutturata in base a tre direttive: a) checosa si vuole scoprire dall’intervista; b) ilmodo di porre le domande che deve essereesplicito; c) i rilanci.

– L’Osservazione diretta, che è uno strumento di“presa di possesso” del problema, da operarein maniera sistematica per portare ad un risul-tato concreto. Esiste un modo di osservare ilfunzionamento dello spazio, la sua configura-zione, le tracce lasciate dagli utilizzatori cherivelano il modo d’uso che può essere di adat-tamento o di trasformazione, insostituibile daaltre tecniche più raffinate. Come afferma ilprofessore Balducci, “Il metodo dell’osserva-zione diretta trasforma una capacità naturalein uno strumento di ricerca. Si tratta di com-piere uno sforzo disciplinato nel vedere-guar-dare-interpretare tracce o comportamenti”.

– L’Osservazione partecipante, che si ha quandoil ricercatore svolge un ruolo effettivo all’in-terno di un’organizzazione di quartiere o di unprocesso decisionale.

– Gli Artefatti fisici, che sono l’oggetto princi-pale nel processo di analisi e progetto e rap-presentano i prodotti finali.Ogni volta che viene affrontata un’indagine

bisogna scrivere subito il rapporto. È infatti pro-vato che l’indomani si perdono già il 25% delleinformazioni acquisite.

In un caso di studio non ci si dovrebbe maiaffidare ad un solo tipo di fonte perché i nostridati sono sempre imperfetti, per cui dobbiamoscegliere delle tecniche che corrispondono il più

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possibile alle informazioni che ci servono, cioèche massimizzano l’affidabilità per poter ridurreil range di errore.

Quando scegliere casi singoli o multipli?Esistono diverse ragioni contingenti che por-

tano in una direzione piuttosto che in un’altra.La scelta tra casi singoli o multipli serve adindirizzare le domande di ricerca.

Il caso studio singolo viene utilizzato quandosi verificano determinate circostanze, ad esem-pio quando rappresenta un caso critico di unateoria esistente; o quando rappresenta un casounico o estremo (in tali condizioni si ha la pos-sibilità di analizzare un sistema fortemente sol-lecitato, e il caso dei Docklands di Londra comeriuso delle aree dismesse, è emblematico); oquando rappresenta un caso rivelatore, e ciò siverifica quando un ricercatore ha l’opportunitàdi osservare ed analizzare fenomeni prima inac-cessibili a ricerche scientifiche. Il caso studiomerita perciò di essere condotto perché le soleinformazioni descrittive sono rivelatorie.

Esistono anche altre situazioni per cui il casodi studio singolo risulta essere la scelta più ocu-lata, ad esempio quando esso rappresenta ilpunto di partenza, il preludio, per studi futuri oil caso pilota di casi studio multipli.

Il limite del caso studio singolo è che unavolta che viene sottoposto ad approfondimentosi dimostra differente dalle aspettative. Questotipo di problema può essere superato adoperandomaggiore accuratezza nell’analisi preliminare.

L’ostacolo più difficile da superare nella pro-gettazione e conduzione di un caso singolo è defi-nire l’unità di analisi. In tal senso devono essereprese alcune precauzioni per capire se il casopreso in esame sia rilevante e desti interesse.

Le ragioni per scegliere più casi studio sonomeno forti rispetto al caso singolo perché ilrischio di non pervenire ai risultati attesi èminore, e perché più casi forniscono diversipunti di vista. La scelta deve essere fatta rispet-tando determinati criteri come, eliminare queicasi che portano allo stesso tipo di risultati, farein maniera tale che il ventaglio delle ipotesivenga soddisfatto, articolare i vari casi inmaniera soddisfacente rispetto alle ipotesi.

Una caratteristica del caso di studio è la suaflessibilità. Cioè nel corso della ricerca possonoverificarsi delle circostanze che inducono allasua revisione. Ad esempio, lo studio di un casopilota ad un certo punto può rivelarsi inadegua-to al progetto iniziale o può capitare che un casostudio singolo che prima era rivelatore con l’e-

volversi della ricerca non risulta più tale. Alloraè possibile rivedere le condizioni iniziali chehanno determinato quella particolare scelta piut-tosto che un’altra.

Quando si affronta una ricerca sorgono dellepaure legate al fatto se essa rappresenti unanovità oppure se i risultati dipendano da fontiintrovabili o viceversa se troppo sia il materialea disposizione. Sono timori che possono esserefacilmente superati se si conduce un’indaginepreliminare o se si diventa selettivi.

In conclusione si è parlato delle procedure daseguire nelle fasi di redazione di una ricerca. Si èraccomandato di iniziare a scrivere presto, tenen-do una sorta di “diario di bordo” nel quale sidevono annotare le impressioni, le interpretazio-ni, i lati oscuri, gli eventuali approfondimenti chesi vogliono operare. Delineando la metodologiada seguire e stilando un’accurata bibliografia.

È stata messa in evidenza la necessità di revi-sioni continue e cadenzate nel tempo al fine dicapire se si sta operando in maniera corretta.Inoltre bisogna evitare di scivolare nell’imper-sonalità delle decisioni che al contrario devonoessere valorizzate.

Gli ultimi argomenti trattati sono stati dedi-cati alla tecnica di restituzione, che rappresentail passo più importante da compiere, ed allastruttura della ricerca.

Si possono ignorare le cose che non si sanno,oppure metterle in evidenza utilizzando una tec-nica simile a quella praticata nel restauro e cioèla “tecnica del frammento”, dove vengono messiin evidenza le parti esistenti distinguendole daquelle interpretate.

Mentre, per quanto riguarda la struttura dellaricerca, essa può essere di cinque tipi differenti:– analitica-lineare, come se fosse un racconto;– comparativa, dove vengono accostati casi

diversi;– cronologica, sviluppata secondo una sequenza

temporale;– per questioni, dove gli aspetti di vicenda

vanno in appendice e il caso di studio si svi-luppa in base ai problemi che si pongono.Questo tipo di struttura è un’elaborazione piùraffinata rispetto alle altre;

– di “suspense”, dove prima vengono presentatele conclusioni e lo svolgimento del testo devemirare a spiegare attraverso quali ragionamen-ti si è arrivati ad esse.L’invito da parte del corpo docente di formu-

lare una valutazione sull’esperienza condotta edi partecipare mediante un contributo personale

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all’approfondimento del corso nei prossimi anni,ha chiuso i lavori, in un quadro complessivoricco di dialogo, che ha favorito scambi e inter-locuzioni decisamente proficue.

Tipo di scheda elaborata durante l’esercitazione.

La scheda è stata costruita in base alleseguenti direttive:

1. Definizione del soggetto di ricerca;2. Definizione dell’oggetto di ricerca;3. Fonti da utilizzare.Sono stati formati tre gruppi a seconda degli

interessi e degli argomenti personali di ricerca,allo scopo di stimolare le capacità dialetticheindividuali, fattori caratterizzanti di tutto ilmodulo.

Scheda n° 1Soggetto: In che modo l’infrastruttura definiscel’identità urbana nelle città diffusa.Ipotesi: Necessità di rivisitare il concetto diinfrastruttura, non più vista come attrezzaturama come luogo di senso.Oggetto: Strada statale nella Valle del Tronto(indagine preliminare per la selezione di un casosingolo.Fonti: osservazione diretta

Osservazione partecipanteRassegna stampaMappeIntervistaSurvey.

Scheda n°2Soggetto: Quali soggetti e strumenti si possonocostruire attorno al problema della riqualifica-zione.Oggetto: Come la localizzazione/realizzazionedel depuratore di Milano può costituire un’op-portunità di riqualificazione diffusa del territo-rio, non settoriale sia dal punto di vista dei sog-getti che degli strumenti attivabili.Fonti: Caso singolo

Ricostruzione della vicendaIndividuazione degli attori:a) rilevanti: soggetti istituzionali, forzeeconomiche, società civile;b) potenziali (funzionali alla costruzione delprogetto): Comune di Milano e altri, agenziedi sviluppo, consorzi di industrializzazione,Province, Regione, Ministero dell’Ambiente,Associazione ambientalisti.IntervisteOsservazione diretta.

Scheda n°3Soggetto: Le ricadute delle Politiche nel settoreturistico sull’assetto del Paesaggio.Oggetto: Le Politiche per l’agriturismo nellearee collinari e pedecollinari, nella fascia costie-ra adriatica.Ipotesi: Il ricorso alle politiche del turismo è un

modo per controllare le trasformazioni del pae-saggio.Fonti: Ricerche analoghe in altri contesti

(Toscana, Piani Provinciali Paesistici);Letteratura di settore;Piani–Programmi di settore;Quadro legislativo locale;Dati del censimento;Mappe;Interviste.

Riferimenti bibliografici

Feldman J., Elliot (1981), A Practical Guide tothe Conduct of Field Research in the SocialSciences, Westview Press, Boulder,Colorado.

Yin K. Robert (1984), Case Study Research.Design and Methods, Sage Publications,Beverly Hills.

Yin K. Robert (1995), Case Study Applications.Sage Publications, Beverly Hills.

Smelser J. Nell (1982), La comparazione nellescienze sociali, Il Mulino, Bologna.

Calvaresi C. (1996), Concezioni e pratiche dellapianificazione strategica: riguardare all’ur-banistica a partire dagli attori sociali, Tesidi dottorato..

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Nelle giornate di giovedì 8 e venerdì 9 giugno scorsi si sonotenuti, a Palermo, due seminari organizzati dal DipartimentoCittà e Territorio, dal Dottorato di Ricerca in PianificazioneUrbana e Territoriale delle Università di Palermo, Catania eReggio Calabria e dall’Istituto di Scienze Antropologiche eGeografiche della Facoltà di Lettere.

Nella prima giornata, Claude Raffestin ed Aldo Bonomihanno discusso, introdotti da Bernardo Rossi Doria, su“Futuri locali auto-sostenibili fra descrizioni e progetti:esperienze e nuove prospettive di ricerca”. Nella secondagiornata, Giuseppe Dematteis, introdotto da VincenzoGuarrasi, ha impostato la sua relazione sui cambiamentiavvenuti nel passaggio “Dalla geografia regionale alla geo-grafia dei sistemi locali”.

I due seminari, apparentemente indipendenti l’uno dal-l’altro, hanno avuto un legame nella ricerca di comprensionedel ruolo del territorio, e della territorialità, nelle dinamiche disviluppo locale. Si è quindi riproposto un tema che, in manie-ra e con accenti diversi, attraversa un’ampia parte del dibatti-to scientifico contemporaneo, non solo quello dei geografi,degli urbanisti, dei territorialisti, ma anche quello dei polito-logi, dei sociologi, degli studiosi di ecosistemi, per citare soloalcune categorie.

Il riconoscimento di una dimensione “attiva” della ter-ritorialità, che conferma il ruolo fondamentale del territo-rio come risorsa e patrimonio per uno sviluppo sostenibile,è un’esigenza che i tre relatori hanno posto come primaria,seppure con significati diversi al concetto di “attività” econ un diverso peso dato alla componente territoriale nelsistema locale.

Prima di chiarire le diverse posizioni e di approfondire itre interventi, è opportuno ricordare che, come ha fatto nota-re Bonomi, ci confrontiamo, in seno al dibattito prettamentescientifico, con argomenti e teorie che sono divenute oramaidi uso comune. Sviluppo locale, sviluppo sostenibile, globa-lizzazione, territorio, etc., sono termini, e concetti, che suiquotidiani e nel dibattito politico hanno un peso sempre mag-giore. Ciò è senz’altro dovuto all’importanza dei nuovi stru-menti di intervento sul territorio (dai patti territoriali ai con-tratti di quartiere) che su questi concetti si fondano, ma occor-re tenere presente che il modello di sviluppo che si ha di fron-te, con il quale si deve operare anche e soprattutto con l’esi-

genza di modificarlo, è un modello comunitario (o europeo).Un modello che Bonomi riconosce come “bavarese/nord-estitaliano”, applicato su scala europea sin dagli anni ’70 e cheha diffuso la cultura del progetto integrato vista come varcoper introdurre il concetto della comunità locale che autode-termina il proprio sviluppo1. È inoltre importante ricordareche proprio la diffusione di questi concetti, diffusione chedeve moltissimo al successo dei Fondi Strutturali dell’Ue, èugualmente forte a livello locale come a livello regionale,nazionale e sovra-nazionale. L’impostazione di politiche disviluppo si basa sul principio di sussidiarietà così come sullacultura del progetto integrato, e politiche impostate spesso alivello comunitario e/o nazionale sono attuate a livelli territo-riali intermedi, da organismi talvolta creati ex novo. Come ciricorda l’esperienza dei patti territoriali in Italia, i processi diattuazione di queste politiche riportano spesso il discorso alivello sovra-locale o statale, ma le cause di questa marciaindietro esulano da queste brevi note e perciò si rimandaall’ampia letteratura disponibile su queste esperienze2.

L’intervento di Claude Raffestin si è incentrato sul rap-porto tra territorialità e sviluppo sostenibile. Se la territoria-lità è vista come l’insieme delle relazioni tra ungruppo/società/comunità ed esteriorità (mondo fisico edorganico) e alterità (ambiente sociale), si individuano talirelazioni come modalità di soddisfazione di bisogni nellaprospettiva di ottenere la maggiore autonomia possibile.L’autonomia è quindi obiettivo della territorialità e dipendedalle risorse del sistema, è relativa3. Viene inteso come svi-luppo sostenibile il problema di assicurare autonomia (allepersone) in un sistema nel quale le risorse sono rare.Raffestin pone il problema di rendere operativo il concettodi territorialità: se, in senso lato, la territorialità può essereassimilata ai grandi ecosistemi umani, e dato che questi simodificano nel tempo, come può essere descritto il mondoattuale? Come possono essere descritti alcuni fenomeni chein esso riconosciamo, come la globalizzazione?

Nella sua relazione, Raffestin ha fornito più che altrospunti per ulteriori riflessioni. L’idea di utilizzare l’improntaecologica di un sistema umano, per verificare che la sua ter-ritorialità non sia pericolosa per la sua stessa bio-capacità,rappresenta uno dei modi possibili di applicare analiticamen-te ed operativamente il concetto di territorialità allo studio del

Territori e territorialità.Sistemi locali e sviluppo sostenibiletra globalizzazione e identità

Marco Santangelo

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attività

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territorio come luogo e componente di una azione collettiva4.Per Bonomi la territorialità è un insieme di reti/legami che

determina un gruppo che si insedia su un determinato territo-rio, in rapporto con l’esterno. Il territorio è un ambiente che simodifica in rapporto con l’ambiente esterno, e questo aspettodifferenzia il punto di vista di chi agisce sul territorio, viven-dolo come luogo d’azione (punto di vista di Bonomi stesso),rispetto al punto di vista della relazione di Raffestin. Bonomiha infatti proposto una lettura del ruolo del territorio nellemaggiori esperienze di programmazione di politiche di svi-luppo locale, e di dibattito seguente, in Italia. Dagli operatoridi comunità, in Sicilia, dal 1945 in poi, alla nascita del model-lo della produzione flessibile e dei distretti industriali, con lefigure simbolo dell’Italia dello sviluppo degli anni del boomeconomico: gli imprenditori mediocri, i sindaci imprenditori,i banchieri locali. Dal modello europeo, che è ispirato in partealla dimensione territoriale dello sviluppo dato dal modellodella produzione flessibile e che introduce la diversificazionedelle funzioni di un territorio come strumento di competitività,all’esperienza dei patti territoriali in Italia, che Bonomi e DeRita vedono come proseguimento dell’esperienza degli ope-ratori di comunità (De Rita e Bonomi, 1998), ma che dagliattori mobilitati non sono stati utilizzati come strumenti peruno sviluppo locale autosostenibile.

Resta infine aperta una questione annosa: il rapporto fralocale e globale. A questo riguardo, Bonomi ripropone ladistinzione fra la sua idea di un intreccio complesso diapprocci globali utilizzati a livello locale, in una dimensio-ne intermedia di operatività detta “glocale”, e l’opzione datadalla capacità del locale di programmare il proprio svilup-po partendo dal basso, così come proposto da AlbertoMagnaghi5. In questa situazione, Bonomi individua alcuneidee per il futuro, consapevole dei problemi osservatidurante l’esperienza dei patti territoriali. Attenzione deveessere posta a riorientare al territorio l’università italiana(contaminazione dei saperi), ad alimentare il dibattito suforme di credito alternativo (nella direzione del “prestitod’onore” e della legge 44), a sfruttare il nuovo rapporto deisindaci con il territorio, a rimettere in circolo gli attori socia-li in grado di utilizzare il modello contaminante, ma nonegemone, il “modello europeo”.

Nella seconda giornata, Giuseppe Dematteis ha rico-struito il percorso che la geografia ha fatto dalle origini, daIppocrate, fino ai nostri giorni. Questo esercizio non è statointeso come veloce ricostruzione storica o filologica, macome analisi del ruolo del territorio nelle diverse epoche enelle differenti considerazioni che i geografi stessi hannoavuto dell’oggetto principale del loro interesse, il territorioappunto. A tal fine è stato utilizzata come parametro diinterpretazione la considerazione di normalità o patologiadello stato di un territorio.

Se nel periodo che intercorre tra Ippocrate eMontesquieu si ha l’affermazione del determinismo geogra-fico, per cui la norma dipende da condizioni ambientali date,

già Montesquieu stesso, nelle sue “Lettere persiane”, intro-duce una sorta di relativismo geografico culturale per ilquale ciò che per altre culture è normale per noi può esserepatologico, e viceversa (l’anomalo è visto come allontana-mento dalla norma statistica). Nella geografia classica,Humboldt e Ritter, con accenti diversi, sono autori che scri-vono dello stato di salute della Terra. Non c’è l’anomalo ol’anormale, ma normalità variabile da luogo a luogo. È unconcetto interattivo, normativo, che passa attraverso le rap-presentazioni della collettività. A fine ‘800 questa visione siappiattisce sulla norma scientifica: la normalità da attivadiventa passiva, la scienza spiega tutto, si ha una riduzionedel ruolo della territorialità a semplice accadimento scienti-fico. È l’epoca del positivismo (o pseudo-positivismo) geo-grafico. Anche il possibilismo della scuola francese, la scuo-la regionale di Vidal de la Blanche, non si allontana da que-sta posizione: “avant tout dècrire”, la geografia come scien-za dei luoghi. Il concetto di milieu, vicino al concetto attua-le di territorio, rappresenta un rapporto implicitamente nor-mativo tra società e territorio, ma Vidal presenta questo rap-porto a scelte fatte, come dato. Egli ha in mente società rura-li, un rapporto interattivo uomo/ambiente come avvenutonel passato, quindi una visione statica: il positivismo, esalta-to poi da Lucien Febvre, è la trasformazione di un determi-nismo fisico in un determinismo storico. È in questo pano-rama che nasce una scienza che si occupa di patologie, l’ur-banistica, e che si guarda al territorio per rimediare alle suedisfunzioni. È nel XX secolo che Georges Canguilhem, sto-rico e filosofo della scienza, maestro di Foucault, spiega cheil normale è ciò che è adatto ad un ambiente. Il territorio è ilprolungamento di organi corporei in un determinatoambiente, un ambiente esterno. La capacità di mantenere insalute questo ambiente è capacità normativa, capacità diadattamento: rendere normale e stato di salute ciò che eraanormale e patologico. Territorialità è, dunque, la capacità diistituire norme di adattamento, essendo perciò, e prima,capaci di rappresentare uno stato di normalità. Patologico èinvece perdere la capacità di cambiare, di innovare.

Dematteis ha quindi illustrato più nello specifico i diversicontributi al modo di vedere il territorio. Questa capacitàviene da Vidal de la Blanche, ma si è visto come si tratti diuna visione statica. Un altro contributo è quello del planning,dell’urbanistica, della cura del territorio, ma ha visto il terri-torio come macchina banale o ha fatto ricorso ad un organi-cismo/meccanicismo, come si può vedere in Mumford. Vi èpoi il contributo delle teorie economiche e sociali, in partedegli antropologi, dello sviluppo locale, teorie nelle qualiviene però spesso dimenticato il rapporto con l’ambiente fisi-co. Infine il contributo delle teorie derivate da modelli dellescienze naturali, biologiche, i modelli dell’auto-organizzazio-ne e del paradigma della complessità. Modelli dinamici mautilizzabili solo come metafore, in quanto il rapportosocietà/territorio non è organico per sua natura, non rispondea regole immanenti, ma a costruzioni mentali, fisiche, tecni-

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che che generano conflitti, cioè possibilità, all’interno di unostesso sistema, di diverse rappresentazioni6.

La territorialità è quindi fatta di norme da inventare, nonda osservare, per essere capaci di dare risposte al cambia-mento. La geografia dei sistemi locali è basata su considera-zioni di questo tipo. Si tratta di considerare sistemi aperti echiusi (rifacendosi alle teorie dell’autopoiesi), sistemi neiquali l’identità non è intesa come senso di appartenenza ailuoghi ed alle società locali, poiché questa sarebbe identitàpassiva, resistenza al cambiamento. Si tratta invece di unaidentità attiva, data cioè dalla comprensione del fatto cheessa sia generata da un’azione che costruisce senso di appar-tenenza. I sistemi locali possono essere formati, non è dettoche esistano a priori (si guardi alle migliori esperienze deipatti territoriali). Lo sviluppo locale è allora inteso come nor-matività: capacità di riconoscere elementi del milieu suscet-tibili di essere utilizzati come risorse. Si ha senso soggettivodi attribuzione di valore ad un territorio, studiando forme diprogettualità collettiva per capire quale sia il senso soggetti-vo. Si ha studio di un’identità che precede l’analisi dell’am-biente, al contrario di quanto faceva Vidal de la Blanche.

Per concludere queste note sulle due giornate palermita-ne, un’ultima considerazione riguarda i recenti interventi, sulsupplemento “Tuttolibri” del quotidiano “La Stampa”, diAldo Bonomi (26-02-2000), Marco Revelli (04-03-2000),Giuseppe De Rita (18-03-2000), Lelio Demichelis (01-04-2000) e Giuseppe Dematteis (15-04-2000) sul caso Haider ela “malattia” del territorio. Oltre all’interesse in sé degliinterventi, questi articoli sono un’ulteriore conferma delladiffusione del dibattito sulle condizioni di salute del territo-rio e sulla territorialità intesa come dimensione attiva, o atti-vabile, e riconosciuta, o riconoscibile, di un determinato ter-ritorio. Si discute di una dimensione locale, di una identità,che acquista un sempre maggiore significato, o lo assumeagli occhi di sempre più persone, in un periodo nel quale ilfenomeno della globalizzazione è rapportato all’indeboli-mento dell’autorità statale. Come ha fatto notare VincenzoGuarrasi, durante la seconda giornata di seminario, in realtàil processo di globalizzazione cui si fa riferimento, è solouno dei globali possibili, il globale “egemone” che sta inglo-bando tutti gli altri (oltre che i diversi locali). Allo stessomodo, la questione della crisi dello Stato-nazione non èriconducibile ad una semplice sparizione progressiva del-l’autorità statale a favore di autorità sovra e infra-nazionali,ma si tratta di processi di più difficile lettura che riguardanola ridefinizione del territorio statale e del ruolo dello Statorispettivamente come ambito e come entità di riferimentoper l’appartenenza e la regolazione (Badie, 1995; Sassen,1998). È opportuno che questi temi vengano affrontati in unconfronto scientifico che consenta un dibattito preciso eaggiornato, del quale i due seminari di Palermo hanno costi-tuito una tappa utile che rimanda però a futuri, non troppolontani, ulteriori momenti di dialogo.

Note

1. Si veda a questo proposito il working paper “Territorio e sviluppo locale.Teorie, metodi, esperienze”, a cura di Francesca Governa, pubblicato nelluglio 2000 dal Dipartimento Interateneo Territorio del Politecnico edell’Università di Torino. Nel working paper Aldo Bonomi, AlbertoMagnaghi, Giuseppe Dematteis e la curatrice, tra gli altri, affrontano i temidella centralità del territorio e di quale sia il territorio per un progetto locale,fornendo ulteriori spunti per l’approfondimento delle tematiche toccate neidue seminari palermitani.2. Si veda, per iniziare, il punto di vista privilegiato dello stesso Bonomi, in:De Rita G. e Bonomi A. (1998).3. L’autonomia è intesa come capacità di intrattenere con l’ambiente rela-zioni aleatorie, come possibilità di fare delle scelte. Ciò implica che la pre-senza di un problema significa diminuzione di autonomia.4. Raffestin ha avuto modo di approfondire alcuni concetti in un successivoseminario, dal titolo “Geografia delle territorialità. Significati e ruoli nelledinamiche urbane e territoriali contemporanee”, tenuto presso la Facoltà diArchitettura del Politecnico di Torino, il 30 giugno 2000. In questa occasio-ne, Raffestin ha parlato della territorialità come di una metodologia, primache come paradigma, che tenta di introdurre l’oggetto (il territorio) in una gri-glia di riflessione nella quale il tempo conta più dello spazio nel quale l’og-getto è inserito. La territorialità è esplicitazione di pratiche e conoscenze chesi hanno nei luoghi, in rapporto con un oggetto materiale (i luoghi stessi).5. Questi due modelli, insieme ad un terzo, il modello della competitività (incui gli attori locali forti sfruttano le caratteristiche del locale in un contestocompetitivo dato), sono presentati e discussi in: Magnaghi A. (1998).6. Si veda a questo proposito: Bagnasco A. (1999).

Riferimenti bibliografici

Badie B. (1995), La fin des territoires. Essai sur le désordreinternational et sur l’utilité sociale du respect, Fayard,Paris.

Bagnasco A. (1999), Tracce di comunità, il Mulino, Bologna.Canguilhem G. (1998), Il normale e il patologico, Einaudi,

Torino.Dematteis G. (1985), Le metafore della Terra. La geografia

umana tra mito e scienza, Feltrinelli, Milano.De Rita G. e Bonomi A. (1998), Manifesto per lo sviluppo

locale. Dall’azione di comunità ai Patti territoriali,Bollati Boringhieri, Torino.

Governa F. (a cura di) (2000), Territorio e sviluppo locale.Teorie, metodi, esperienze, Working Papers,Dipartimento Interateneo Territorio, Politecnico eUniversità di Torino, Torino.

Magnaghi A. (1998), Il territorio degli abitanti. Società loca-li e autosostenibilità, Dunod, Milano.

Raffestin C. (1981), Per una geografia del potere, Unicopli,Milano (ed. or.: Pour une géographie du pouvoir, LesLibrairies Téchniques, Paris, 1980).

Sassen S. (1998), Fuori controllo. Mercati finanziari controstati nazionali: come cambia la geografia del potere, ilsaggiatore, Milano (ed. or.: Losing control?, ColumbiaUniversity Press, 1996).

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Campo della ricerca

Molti territori europei negli ultimi trent'anni circa sono statiinteressati secondo principi insediativi differenti da un'ur-banizzazione dispersa2 che si è sviluppata al di là della cittàdensa3 e che sembra rappresentare un’importante trasfor-mazione nei modi di costruire e abitare il territorio rispettoalla città tradizionale.

Queste recenti trasformazioni territoriali apparente-mente simili in tutta Europa rappresentano un superamen-to di differenze culturali nazionali? Si tratta di trasforma-zioni “omologhe”? O questi mutamenti manifestano for-malmente delle resistenze locali alla presunta omogeneiz-zazione territoriale? Quali sono le posizioni delle urbanisti-che europee nei confronti di queste trasformazioni?

Per cominciare a rispondere a queste e ad altre doman-de appare necessario portare avanti degli studi comparativisu questo tema nelle differenti nazioni europee, osservandole forme concrete di questa trasformazione insediativa indifferenti situazioni e studiando gli strumenti utilizzati perconoscerle e per gestirle. La validità di tali studi compara-tivi è data dal fatto che l'Unione Europea propone già davari anni delle azioni per migliorare le informazioni com-parative sulle situazioni urbane e territoriali europee, suglistrumenti urbanistici e sui dispositivi legislativi dei diversistati membri4.

Sullo sfondo di tali ricerche comparative si pone la con-siderazione che esiste simultaneamente l'Europa comeentità e l'Europa come differenza così come esiste l'Europadelle continuità e l'Europa delle rotture. Parlare di unità nonsignifica dunque sparizione delle differenze, ma stabilire uncodice comune di riferimento per la conoscenza di questedifferenze5. Alla base dello stabilimento di questo codicecomune si pone la conoscenza delle differenti situazioni.

Su questo tipo di trasformazione dei territori europei,già nel 1992 Bernardo Secchi6 aveva coordinato la ricercainteruniversitaria. Le trasformazioni dell’habitat urbano inEuropa7 il cui punto di partenza era stata la convinzionediffusa che in differenti paesi europei la città stesse suben-do una "trasformazione radicale" basata sulla scelta di unapercentuale sempre più alta di popolazione di risiedere incase unifamiliari isolate nel loro lotto in aree disperse,

esterne alla città che sembravano essere sorte senza unavera e propria azione urbanistica8. Tale ricerca9 partendodai caratteri fisici del territorio10, ha esaminato le formedella trasformazione insediativa in una serie di casi-stu-dio11 in Italia, in Belgio, in Svizzera, in Olanda, inPortogallo e in Grecia.

La presente ricerca si inserisce in questo quadro e poneal centro della sua attenzione l’urbanizzazione dispersa inItalia e in Francia.

Delimitazione della ricerca e problematica

La domanda dalla quale è partita questa ricerca è stata:rispetto alle forme di questa urbanizzazione dispersa inFrancia e in Italia12, come si stanno rinnovando o ade-guando nelle due nazioni le strategie13 cognitive e diintervento?

L’epicentro della ricerca è dunque la comparazione14

tra Italia e Francia dello stato della conoscenza e dellagestione del fenomeno di dispersione dell'urbanizzazioneal di là della città densa.

Alla base di una qualsiasi ricerca comparativa si ponela definizione di un idealtipo15, in questo caso è necessariodefinire un idealtipo dell’urbanizzazione dispersa chepossa essere valido per la comparazione in entrambe lenazioni, nonostante le molte differenze del fenomeno.

Definiamo dunque “urbanizzazione dispersa” comeparte della città contemporanea16 al di là della città densa lecui forme insediative17 sono caratterizzate da un’estensio-ne a bassa densità del costruito in cui si mescolano casemonofamiliari isolate su lotto, grandi infrastrutture, spaziaperti, centri commerciali e altri oggetti e funzioni.

Dall'esplorazione generale delle ricerche condotte negliultimi decenni in Francia e in Italia e considerate più rap-presentative tra quelle che si sono preoccupate di studiarel’urbanizzazione dispersa è subito emersa una difficoltà dileggibilità, di comprensione, di definizione e dunque digestione urbanistica.

Molti studiosi18 di differenti discipline (urbanisti, socio-logi, geografi, economisti, ecc.) hanno sostenuto che si è difronte a forme insediative che non sembra essere possibilecomprendere e gestire se non si procede ad un rinnova-

ricerche

Urbanizzazione dispersa al di làdella città densa: strategie cognitivee strategie di intervento. Francia eItalia 1970-20001

Chiara Barattucci

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mento pertinente del modo di guardare e pensare la città ead un adeguamento delle strategie cognitive e di interven-to. Questi studiosi hanno infatti incontrato la difficoltà (senon l'impossibilità) di comprendere e gestire la dispersioneinsediativa con i tradizionali strumenti cognitivi e di descri-verla utilizzando il vocabolario urbano codificato. Da quila nascita di definizioni che presentano differenze e discre-panze nel rapporto tra significante e significato. Infatti ilfenomeno della dispersione insediativa che viene definitoattraverso strategie cognitive differenti, spesso non è desi-gnato con lo stesso nome, così come spesso usando lo stes-so appellativo vengono compresi nella stessa definizionedifferenti caratteri del fenomeno. Bisogna però non dimen-ticare che ogni definizione19 interagisce con il fenomenonella realtà poiché definendolo non solo riconosce la suaesistenza, ma orienta anche le scelte per le sue possibilimodificazioni. Ogni definizione che parte da una determi-nata strategia cognitiva può dunque condizionare la strate-gia di intervento e l'azione urbanistica (il tipo di azione èlegata ad un'idea, ad un concetto, ad una definizione delladispersione) e a sua volta l'azione sul fenomeno reale puòmodificare la definizione stessa, in un rapporto di recipro-co e progressivo aggiustamento tra fenomeno, definizionedel fenomeno e azione.

Non sembra dunque essere possibile compiere unacomparazione delle strategie di intervento e degli strumen-ti urbanistici in determinate situazioni senza considerarequeste definizioni spesso divergenti, che nascono da diffe-renti strategie cognitive e che spesso guidano l'azione urba-nistica.

Nello sforzo di descrizione e definizione delle recentitrasformazioni territoriali sono stati coniati vari neologi-smi: in Italia si è parlato ad esempio di “campagna urba-nizzata”, di “città diffusa” o di “città dispersa”. In Franciasi parla forse dello stesso fenomeno con i concetti di "rur-banisation", di “ville eclatée”, o di “ville émergente”? Daun punto di vista linguistico i neologismi sono consideratiuna ricchezza, una lingua è ritenuta viva finché produceparole e le parole nuove d'altra parte si fissano stabilmentenella lingua con molta lentezza; c'è sempre un intervallo ditempo tra l'apparizione di un oggetto e l'assegnazione adesso di un nome. Ma qual è il rapporto tra neologismo edoggetto osservato? Da chi e quando questi neologismisono stati creati, in relazione a quale situazione particolaree quando per designare un fenomeno in generale? Da qualistrategie cognitive sono nati e quali proposte contengonoper il rinnovamento delle strategie di intervento?

Partendo da queste domande, l’esplorazione del campogenerale della ricerca in entrambe le nazioni ha permessodi fare emerge in particolare uno scollamento tra lo stato diavanzamento delle ricerche che rinnovano le strategiecognitive rispetto allo stato di avanzamento del rinnova-mento delle strategie di intervento.

Qual è dunque il rapporto tra strategie cognitive e stra-

tegie di intervento secondo differenti situazioni delladispersione insediativa? Come e quali strategie cognitiverendono leggibile e dunque gestibile l’urbanizzazionedispersa? Quali tra queste propongono possibili innovazio-ni delle strategie di intervento? E il rinnovamento dellestrategie di intervento quanto viene influenzato da questestrategie cognitive?

Partendo da queste constatazioni e domande si ipotizzache:

1. Le strategie di intervento urbanistiche partono da unapercezione deformante della città contemporanea, si riferi-scono cioè nella maggior parte dei casi ad un modello20 dicittà che non integra queste parti ad urbanizzazione disper-sa;

2. Il rinnovamento di tale modello di città attraversodifferenti strategie cognitive è alla base del rinnovamentodelle strategie di intervento;

3. L’innovazione pertinente delle strategie di interventorelativamente a queste parti esiste in quelle situazioni in cuitale rinnovamento è guidato dal rinnovamento delle strate-gie cognitive.

Per la dimostrazione di tali ipotesi, la ricerca si articolaattraverso la messa in rapporto di strategie cognitive e stra-tegie di intervento secondo determinate situazioni in Italiae in Francia.

Corpus: criteri di selezione e metodi di analisi21

Si sta effettuando la ricerca su un corpus che compren-de diversi tipi di documenti:

- Testi di diversa natura (libri, articoli, rapporti di ricer-ca) e di differenti studiosi ed attori (sociologi, urbanisti,geografi, amministratori) che contengano studi, interpreta-zioni e definizioni della dispersione insediativa e che pro-pongano possibili strategie di intervento. L'analisi di questitesti è tesa a rilevare: il campo disciplinare dello studio, lastrategia cognitiva e la terminologia utilizzata, i temi emer-genti, con una particolare attenzione alle proposte di inno-vazione delle strategie di intervento in rapporto alle parti-colari situazioni osservate.

- Documenti urbanistici cartografici a differenti scale(piani e progetti) di alcuni contesti trasformati nelle duenazioni che contengano la volontà di gestire il fenomenodella dispersione dell’urbanizzazione. L’analisi di talidocumenti è tesa a rilevare i caratteri della dispersione inparticolari situazioni, a quale strategia cognitiva o modelloteorico fa riferimento la strategia di intervento e la suaapplicazione alla specifica situazione attraverso gli stru-menti urbanistici22.

Note

1. Questo scritto è la presentazione della ricerca di dottorato in corso che

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ricerche

si sta svolgendo nel quadro di un dottorato in cotutela tra Italia e Francia.Chi scrive è iscritta in dottorato all’Università di Palermo (PianificazioneUrbana e Territoriale, XIII ciclo) dopo avere superato il concorso ed èiscritta in dottorato anche all’Università di Parigi 8 (Urbanisme etAménagement) dopo avere superato il DEA (Diplome d’EtudesApprofondies – Diploma post-lauream propedeutico al dottorato inFrancia che permette l’iscrizione in dottorato se superato l’esame di diplo-ma a partire da un determinato voto). Infatti, secondo un accordo del 1998tra le Università francese ed italiana, è possibile fondere i dottorati delledue nazioni in un unico “dottorato di ricerca in cotutela”. Tale ricerca èseguita da due tutors: all’Università di Palermo dal prof. Paolo La Grecae all’Università di Paris 8 dal prof. Yannis Tsiomis. Il dottorato in cotute-la implica l’obbligo di alternare l’attività di studio nelle due nazioni perperiodi di equivalente durata, sei mesi l’anno in Italia e sei mesi l’anno inFrancia, durante i quali si deve portare avanti la ricerca e partecipare alleattività seminariali dei due dottorati. Vi è inoltre l’obbligo di scegliere unasede principale tra le due dalla quale ricevere la borsa, in questo caso lasede principale scelta è l’Università di Palermo. La tesi sarà dunque redat-ta in italiano e sintetizzata in francese. Alla fine dei tre anni dedicati a que-sta ricerca (1998-2001) la tesi sarà sostenuta davanti ad una commissio-ne franco-italiana, composta da componenti francesi ed italiani, per otte-nere infine il titolo di dottore di ricerca dell’Università di Palermo e il tito-lo equivalente dell’Università di Parigi 8;2. Per la definizione di un idealtipo di “urbanizzazione dispersa” vedi piùavanti nel testo;3. Per “città densa” si intende un’agglomerazione urbana compatta, costi-tuita dal centro-città e dalle espansioni periferiche compatte e a coronacostruite a partire dagli anni ‘50;4. Vedi per esempio: Programma Urban, 1994; Schéma de developpe-ment de l’espace communnautaire, presentato a Noordwijk nel giugno del1997; George Cavallier, Défis pour la gouvernance urbaine dans l’unionEuropéenne, 1998; Union eurpéenne, Politiques régionale et Cohésion,Cadre d’action pour un développement urbain durable dans l’UnionEuropéenne, EC, 1998; Europa 2000, prospettive del territorio comuni-tario, Comunicazione della Commissione, Ottobre 1991; 5. Tsiomis Y., Ville-cité. Des patrimoines européens, Picard, Paris, 1998;6. Secchi B., ECC program “Human capital mobility” - Le trasformazio-ni dell’habitat urbano in Europa, 1992; 7. Secchi B., “The transformation of the urban habitat in Europe: somenotes”, Quaderno sulle trasformazioni dell’habitat urbano in Europa,n.1, nov. 1993, pp. 7-11;8. Bianchetti C., “Le trasformazioni dell’habitat urbano: note sul pro-gramma della ricerca”, Quaderno della ricerca sulle trasformazioni del-l’habitat urbano in Europa, n.1, nov. 1993 pp. 93-101; “I territori delladispersione”, Urbanistica, n.103, 1995;9. I resoconti degli stati parziali della ricerca delle diverse unità localidelle Università europee sono stati presentati in varie occasioni: in unaserie di seminari (Bergamo 1 ott. 1992; Venezia-Giudecca, 24 nov., 1992;Venezia- Fondazione Levi, 9-10 feb. 1993; Venezia- Giudecca, 16 mag.1994), in un seminario internazionale (International SeminarTransformation of the urban habitat, Venezia- Cà Dolfin, 1-4 dic. 1993),in una rivista dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia(Quaderno sulle trasformazioni dell’habitat urbano in Europa, n.0, lug.1993; n.1, nov. 1993; n.2, giu. 1994, I.U.A.V. - D.A.E.S.T., Venezia) e indue convegni internazionali di Urbanistica (cfr. Gabellini P. (a cura di),Progettare nella città esistente per la società esistente, Atti del ConvegnoInternazionale di Urbanistica, Siena 13-14 Marzo 1992, Edizioni Danibel,1993; Atti del II Congresso Internazionale d’Urbanistica Descrivere ilTerritorio, Prato, 1995);10. Gabellini P., “Relazioni di senso”, Urbanistica, n. 103, 1995;11. I casi studiati non sono stati proposti come esaustivi, ma sono statiscelti perché considerati tra i più significativi per la ricerca;12. Francia e in Italia sono qui considerati come due differenti “campio-ni nazionali” europei entrambi partecipi sia della cultura dell’Europa

Occidentale che Mediterranea. Sono stati già condotti diversi studi com-parativi in campo urbanistico tra Francia e Italia, non ancora sull’urba-nizzazione dispersa, ma per ciò che concerne la città densa, vedi peresempio: La Greca P. (a cura di), Interventi nella città consolidata: casifrancesi e italiani a confronto, Dipartimento di Architettura e urbanistica,Università degli Studi di Catania, Gangemi, Roma, 1996; Nigrelli F.C.,Percorsi del progetto urbano in Francia e in Italia, Officina, Roma, 1999;13. Sul concetto di “strategia” vedi Luttwak E., Strategia, Rizzoli,Milano, 1989, (ed. or. 1987); per una possibile applicazione di un taleconcetto in campo urbanistico vedi Cecchini A., Indovina F. (a cura di),Strategie per un futuro possibile, Angeli, Milano, 1992, in partic. a pag.10: la strategia “prevede come condizioni minime l’esistenza di soggettiin conflitto, la loro disponibilità ad usare la forza, la volontà di usarla anta-gonisticamente e la messa in campo di un piano per usarla”;14. Sulla comparazione vedi Smelser N.-J., La comparazione nelle scien-ze sociali, il Mulino, Bologna, 1982 (ed. or. 1976), in partic. le due defi-nizioni sui compiti della comparazione: “l’analisi dei fenomeni in unitàevidentemente dissimili (specialmente differenti società e culture” (p.4) e“analizzare scientificamente sistemi sociali evidentemente dissimili traloro” (p.208); 15. Definizione di idealtipo di Max Weber: “Un tipo ideale è ottenutomediante l’accentuazione unilaterale di uno o di alcuni punti di vista emediante la connessione di una quantità di fenomeni particolari diffusi ediscreti, esistenti qui in maggiore e là in minore misura, e talvolta ancheassenti, corrispondenti a quei punti di vista unilateralmente posti in luce,in un quadro concettuale in sé unitario”, cit. da Coser L., I maestri del pen-siero sociologico, Mulino, Bologna, 1985, pp.319-321; vedi ancheGiesen B., Schmid M., Introduzione alla sociologia, I. Premesse episte-mologiche, il Mulino, Bologna, 1982 (ed. or. 1976), in cui a p.283: “Tipoideale: combinazione teorica di caratteri che di fatto non si riscontra nellarealtà. I tipi ideali sono di natura euristica”;16. Con “città contemporanea” ci si riferisce al territorio abitato costitui-to da differenti parti urbanizzate (zone industriali più o meno dismesse,centri storici, periferie dense degli anni ‘50 e ‘60, urbanizzazioni disper-se, ecc.). Per conoscerla e gestirla, si ritiene necessario differenziare lostudio secondo le differenti parti e situazioni, pur considerando i rapportidi interdipendenza sistemica esistenti tra queste parti ed il processo dina-mico di trasformazione di ognuna di esse. Concentriamo qui l’attenzionesulle urbanizzazioni disperse, territori esterni alla città densa urbanizzatinegli ultimi decenni, parti della città contemporanea che presentano delleforme insediative spesso non riconducibili ai tradizionali modelli urbani,tentando di non dare per scontato la loro natura periferica. Per la defini-zione di città contemporanea e delle sue parti, vedi diffusamente: SEC-CHI B., Prima lezione di Urbanistica, Laterza, 2000;17. Forme insediative: manifestazioni visibili, fisiche e dinamiche del-l’intreccio tra i caratteri sociali, economici e politici;18. Vedi i riferimenti bibliografici;19. Su nominare e descrivere vedi in part.: Wittgenstein L., Ricerche filo-sofiche, Einaudi, Torino, 1983, p.37; vedi anche: Dr Beaugrande R.A. –Dressler W.U., Introduzione alla linguistica testuale, Il Mulino, Bologna,1984; Segre C., Avviamento all’analisi del testo letterario, Einaudi,Torino, 1985;20. Per la definizione di “modello”, v. Iinkeles A., Introduzione alla socio-logia, il Mulino, Bologna, 1971, pp. 49-80;21. Si segnalano alcuni dei testi che sono stati consultati sui metodi gene-rali della ricerca: Bardin L., L’analyse de contenu, PUF, Paris, 1977;Beaud M., L’art de la thèse, La Decouverte, Paris, 1997; Boudon R., Lesméthodes des sciences sociales, Presses Universitaires de France, Paris,1969; Boudon P. (a cura di), De l’architecture à l’épistémologie. La que-stion de l’échelle, PUF, Paris, 1991; Eco U., Trattato di semiotica gene-rale, Bompiani, Milano, 1975; Grawitz M., Méthodes des sciences socia-les, Dalloz, Paris, 1996; 22. Gli strumenti urbanistici di differenti situazioni e a differenti scale chevengono studiati in questa ricerca sono: per l’Italia quelli relativi alle parti

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di città contemporanea ad urbanizzazione dispersa di Milano, Roma eLecce; per la Francia quelli relativi all’urbanizzazione dispersa di Lyon,Rennes e Marseille.

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Evoluzioni del concetto diriqualificazione urbanae trasformazione dei modidi interpretazione della città

Fabio Naselli

Obiettivi della ricerca e metodologia

La lettura dei fenomeni urbani di trasformazione che oggisono in corso e che interessano diversi aspetti della realtàdell’uomo e dell’ambiente nel quale egli vive e si muove,fa emergere chiaramente che vi è una crescente domandadi qualità che interessa i più diversi campi, da quellosociale, a quello economico, a quello del tempo libero, aquello dei luoghi fisici, a quello del lavoro, a quello delconsumo ed altri ancora.

L’evoluzione dei modi d’uso della città in relazione alletrasformazioni economiche e sociali, indotte da fenomeniquali l’aumento della propensione ai consumi individuali,l’avvento delle nuove tecnologie, i fenomeni di globaliz-zazione crescente, la riduzione delle politiche di Welfare, latrasformazione degli stili di vita e la crescente presenza diflussi migratori da paesi extra-europei oltre che il gravestato di crisi dell’ambiente naturale compromesso dallosviluppo eccessivo del suolo urbano, dalla grande concen-trazione e dallo sfruttamento incontrollato delle risorse,induce in primo luogo ad una profonda riflessione sul futu-ro della città.

Obiettivo generale del lavoro di ricerca è quello dicomprendere, attraverso una esplorazione degli studi edelle applicazioni pratiche, realizzate o in corso di realiz-zazione, verso quali soluzioni si stanno muovendo le città,e in special modo quelle mediterranee, per fare fronte aifenomeni di obsolescenza, di sviluppo incontrollato e allecrescenti esigenze di qualificazione dei contesti urbani,con lo scopo di individuare attinenze e divergenze checontribuiscono alla crescita ed alla innovazione nella pras-si della pianificazione urbana.

A questo fine è necessario porsi delle domande.- Perché è aumentata la domanda di qualità, e su quali

basi sta avvenendo il passaggio dall’istanza di quantità aquella di qualità?

- Quali conseguenze sta determinando questa nuovaesigenza?

- Come si può soddisfare teoricamente questa esigen-za e come viene soddisfatta nella pratica?

- Quali esperienze possono essere prese a campione intal senso?

- Come questo nuovo concetto di qualità urbana stiaintervenendo nella modificazione dei modi d’uso dellacittà e negli strumenti in nostro possesso oggi?

Ambito tematico

Siamo in un periodo di grandi mutazioni. Ai più diver-si livelli della nostra vita avvengono trasformazioni anchemolto profonde e che investono tutti gli aspetti da quellosociale a quello economico; da quello finanziario almondo del lavoro; dall’alimentazione alle comunicazionied ai trasporti. Questi ed altri ancora sono tutti aspetti chemutano molto velocemente davanti agli occhi, ogni gior-no. Naturalmente questi cambiamenti hanno i loro riflessisulla città, divenuta la massima espressione dei modi divita dell’uomo (che già raccoglie oltre il 60% della popo-lazione mondiale), in essa tutte queste modificazioni tro-vano il giusto spazio non soltanto per coagularsi, maanche per prendere corpo, ossia trasformarsi in modifica-zioni di natura fisica.

È un fatto ormai assodato che la città che ci troviamodavanti all’inizio del nuovo millennio sia una città profon-damente diversa dalla città post-industriale e post-post-industriale, sulla quale si sono sviluppati e sulla qualehanno proliferato tutti gli studi e le sperimentazioni chehanno portato alla nascita della disciplina urbanistica.Essa è stata infatti l’oggetto di tutta quella sperimentazio-ne operativa delle teorie nascenti di una urbanistica cheprendeva corpo dalle leggi sanitarie e che giungeva finoalla cristallizzazione del metodo razionalista, giunto conqualche lieve modifica fino ai giorni nostri.

La città che si muove verso il terzo millennio è perva-sa da fenomeni nuovi, difficilmente prevedibili, e dei qualisolo oggi dopo circa un ventennio siamo in grado di ren-derci concretamente conto, seppure senza, forse, essere ingrado di valutarne realmente l’entità (E. Scandurra, 1997).

In questo quadro generale appare ovvio che la massi-ma concentrazione di interventi sulla città oggi sia dedi-cata soprattutto alla sua rimessa in discussione piuttostoche alla sua costruzione.

Dopo decenni di crescita, il più delle volte incontrolla-ta, sembra che l’uomo si sia fermato a riflettere sulla sua

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opera e da queste riflessioni ne sia derivato un bilancio perniente soddisfacente ma al contrario molto migliorabile.Lo scenario è quello che conosciamo bene, uno scenarioche già qualcuno definisce da quarto mondo. Ossia di unmondo di nuovi poveri sviluppatisi all’interno delle nazio-ni più evolute (M. Balbo, 1999).

Per dare un cenno, che poi più avanti verrà meglioesplicitato, sulle cause delle trasformazioni della cittàcontemporanea si possono elencare: dall’aumento dellaqualità degli stili di vita alla massiccia presenza di immi-grati extraeuropei, dalla riduzione delle politiche diWelfare allo sfruttamento indiscriminato delle risorse,dalle dinamiche economiche dei mercati finanziari alladiffusione delle tecnologie dell’informazione, e non ulti-mo il decremento demografico dei paesi evoluti. Sul ver-sante degli aspetti fisici le aree delle grandi fabbriche odei grandi servizi – in un’ottica di cicli di produzionecompletamente diversi da quelli industriali e post-indu-striali, vengono dimesse, lasciando indefiniti ed indefi-nibili – vuoti ai margini o all’interno delle città. Intereparti di città nate spontaneamente si configurano inammassi informi e spesso incontrollati di case e strade.In alcuni esempi (vedi le metropoli mondiali) la dimen-sione di tale fenomeno è ciclopica. Le parti più antichesono state spesso oggetto di abbandono da parte degliabitanti d’origine e sono state occupate con un insedia-mento di rapina, che tende da un lato a fare aumentare ildegrado e contemporaneamente farne diminuire il valo-re. I collegamenti viari, ferroviari, metropolitani, ecc.risultano troppo spesso inadeguati alle crescenti esigen-ze e richieste degli attuali traffici.

Diventa quindi prioritario rivedere il discorso dellaqualità urbana come uno degli aspetti più importanti del-l’assetto complessivo della città; è prioritario occuparsidella città costruita piuttosto che della città ancora dacostruire.

Che l’interesse generale vada in questa direzione sivede dal grande proliferare normativo di leggi, decreti enuovi strumenti normativi: alcuni veri strumenti di pianifi-cazione, altri soltanto programmi di incentivazione sul sin-golo intervento di riqualificazione (Prusst, Contratti diQuartiere, Programmi Integrati, ecc., e, non ultime le attua-li agevolazioni fiscali per la ristrutturazione o il restauro).

A questo punto il quadro sia abbastanza esaustivo perpoter affermare che a tutti i livelli oggi è diventata pres-sante la domanda di riqualificazione della città esistente.

Una riqualificazione non più univoca, ma che prendele mosse da tre diversi modi di interpretazione. Tre livelliinterpretativi complanari che derivano da tre approcci dif-ferenti al tema.

Un primo livello interpretativo è quello dell’approcciofisico-strutturale, che vede la qualità in funzione del recu-pero fisico diretto di edifici, monumenti, tessuti, infra-strutture, spazi verdi e da qualche anno anche in funzione

di un recupero ambientale (Qualità Fisica).Un secondo livello interpretativo individua la qualità

come elemento di scambio e di relazione in un sistemaglobale di competizione nel quale, essendo accessibile atutti, l’unica discriminante è proprio l’offerta di QualitàGlobale. La città diviene un punto qualificato in un siste-ma di rete.

L’ultimo livello interpretativo tende a legger la qualitàurbana come fenomeno legato ad una evoluzione dellacittà di tipo tecnologico-informatica. In questa accezionela qualità diventa slegata dalla fisicità dei luoghi per arri-vare in certe estremizzazioni, alla qualità perfetta dellacittà virtuale (Qualità Virtuale).

In tutto ciò il Piano Urbanistico classico dove si trova?Pare purtroppo che ad un certo punto si sia fermato e abbiarinunciato a trasformarsi anch’esso per seguire o quanto-meno comprendere queste nuove evoluzioni.

Le istanze di riqualificazione e l’obsolescenza deimanufatti. La demolizione della città (La QualitàFisica)

Sempre più frequentemente il dibattito sull’urbanisti-ca, sul Piano, sulla città, si è andato concentrando intornoal tema della qualità. Convegni, concorsi, leggi, ecc., ven-gono messi a punto in vista del perseguimento di unadomanda di qualità che si opponga all’indifferenza concui il nostro tempo nega sostanza alla città e al modo incui essa si trasforma. Al tempo stesso è evidente lo statodi disagio che accompagna l’attuale trasformazione dellacittà e del territorio.

Ciò che risalta di più è proprio l’inconsistenza del rap-porto che oggi lega il Piano a queste trasformazioni, nelsenso che nella maggioranza dei casi il primo sembra averrinunciato a stabilire una qualsiasi relazione con gli evi-denti processi di cambiamento.

Due sono gli aspetti che ne derivano con maggiore evi-denza: da un lato, il fatto che il progetto è diventato sem-pre più occasione per le sperimentazioni più ardite del for-malismo contemporaneo; dall’altro, che vengono sancitinei fatti l’astrattezza e i limiti di quella visione separatadell’urbanistica. Una visione che appare alla fine diretta-mente funzionale alla frammentazione delle sue stesseproposte.

Più o meno tutti i progetti di recupero e trasformazio-ne urbana sviluppati negli ultimi anni in Europa, e conqualche ritardo in Italia, dichiarano apertamente questiobiettivi.

In realtà non sempre i progetti si fondano davvero suuna visione così ampia del futuro urbano, ma anche intanti casi impostati con serietà di obiettivi manca spesso lacapacità di valutare a fondo tutti i diversi aspetti, in parti-colare quelli più innovativi, e cioè la competitività dell’i-niziativa e la sua compatibilità ambientale.

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Nel nostro paese poi questa difficoltà viene aggravatada una specialità nazionale, quella di pretendere l’elabora-zione di strumenti urbanistici dettagliati e difficili damodificare, prima che siano maturate le condizioni eco-nomiche di fattibilità reale degli interventi. E magari, pos-siamo aggiungere, l’altra nostra specialità, di accorgercidei problemi ambientali posti da un intervento solo quan-do sta per essere realizzato, o magari dopo.

A tutte queste difficoltà c’è sempre chi dà la solitarisposta, abolire i piani e fare solo grandi progetti. Certo, inostri strumenti urbanistici sono da modificare profonda-mente, ma dobbiamo riconoscere che i grandi progettihanno avuto più successo proprio nei paesi con forte tra-dizione di governo del territorio, e nelle aree urbane in cuiesisteva maggiore chiarezza sulle prospettive di tutela del-l’ambiente, sui principali programmi infrastrutturali; inaltri termini dove era abbastanza chiara e condivisa l’ideadi città, un’idea dei possibili percorsi futuri di quel siste-ma urbano in cui il progetto si collocava.

La città è oggi necessaria sia come prodotto che con-sente alle regioni urbane dei paesi più sviluppati di com-petere fra loro, di attrarre investimenti e di costruire rela-zioni, sia come idea motrice di sviluppo, come risorsa,come luogo fisico e culturale in cui la gente possa ricono-scersi, radicarsi, compiere azioni comuni, superare la pas-sività e l’individualismo che hanno sempre segnato ladecadenza di un territorio (C. Monti, 1998).

La struttura abitativa urbana, indipendentemente dal-l’evolversi dell’economia e delle condizioni sociali che nehanno formato le connotazioni architettoniche, è statacaratterizzata frequentemente da grandi opere di tecnicacostruttiva per la difesa fisica ambientale, quali i moli por-tuali, il consolidamento delle riviere marine, gli argini dicanali interni, le sponde di fiumi e laghi, i contrafforti diconsolidamento di terreni in altura o di terrazzamenti,oppure da grandi opere di comunicazione tra settori urba-ni separati da corsi d’acqua, quali i ponti di rilevanteestensione e profilo, oppure, infine, grandi opere di difesamilitare quali le mura o baluardi con adiacenti fossati chehanno delineato la topografia di moltissime città, dalle piùantiche a quelle medievali, rinascimentali sino a tutto ilsettecento. Ma è solo nella seconda metà dell’800 che latecnica dell’ingegneria viene utilizzata non solo per dife-sa e qualificazione fisica della città, ma pure per fornireservizi, attivando prima un corredo di prescrizioni e pre-stazioni impiantistiche di tutela dell’igienicità ambientale,e poi, per migliorare il movimento dei flussi logisticiall’interno dell’abitato.

L’eccessivo incremento demografico, l’aumento deltraffico, il congestionamento all’interno delle città dellestrade di penetrazione, l’insufficienza della struttura edelle sezioni viarie a sopportare l’afflusso quotidiano o gliattraversamenti territoriali alimentati dai flussi esterni,determinano la necessità di interventi correttivi e risoluti-

vi nel sistema metropolitano, al fine di disciplinarlo unita-riamente, coordinando le esigenze delle singole iniziativeedilizie con l’immissione di nuove attrezzature collettive.

È in questo momento che Parigi diverrà il modello perle riforme urbanistiche di tutte le città in crisi, non soloeuropee.

Dal piano di Parigi in poi si è andata determinando unaprassi progettuale che ha portato al posto delle strade trac-ciate per motivi formali – per ottenere prospettive assialio fondali monumentali – a stabilire i propri interventi inrelazione a parametri tendenti a facilitare la mobilità urba-na.

Le iniziative dell’inizio del ‘900, per allentare la pres-sione crescente del traffico e dell’incremento demografi-co sui centri storici, vengono attuate mediante l’espansio-ne programmata con la costruzione di quartieri residen-ziali nei margini periferici delle maggiori città italiane.

Attualmente, nell’ambito della città, gli interventi diriqualificazione sono principalmente rivolti a risanarefenomeni di congestione e sovraffollamento. Spesso sitratta di individuare ed attivare mediante il ridisegnoarchitettonico di delimitate parti di città interventi diriqualificazione ambientale, ossia un approccio per lagestione della forma urbana attuato per mezzo di inter-venti puntuali e ricuciture del sistema architettonico com-promesso.

In relazione a tali progetti urbani ed all’incidenza cheessi hanno sulle trasformazioni della città, si possono fareuna serie di esemplificazioni che evidenziano come gene-ralmente le soluzioni adottate comportano importanti rica-dute sul sistema architettonico urbano, in alcuni casi com-promettendolo con pesanti intromissioni o lacerazioni, inaltri casi (pochi), divenendo motore trainante e promotoredi interessanti operazioni di recupero e rivalutazione del-l’esistente.

In tal senso la riqualificazione viene pensata e vistacome la traduzione tecnica di un progetto urbano, quandooccorre anche di dimensione sovracomunale, scomponi-bile in operazioni singole e ben individuabili, ma comun-que integrate con i rispettivi intorni.

In questo quadro la demolizione può divenire un attoprogrammatico della pianificazione attraverso il quale sipossono realizzare i processi di disurbanizzazione edecongestionamento necessari alla città esistente, ma,anche, la progettazione del continuo rinnovo del rapportotra gli oggetti e il territorio su cui insistono e delle moda-lità di utilizzo dei luoghi (L. Urbani, 1978).

A fronte di questa tendenza non si deve tuttavia ritene-re che tutti i processi realizzativi debbano possedere ilcarattere della reversibilità, in funzione delle specifichecondizioni strutturali del contesto e della necessaria flessi-bilità di fruizione della città e del territorio.

Il progetto, è da considerarsi, pertanto, non più comeoggetto isolato, ma concepito come dialogo con il conte-

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sto allargato, in aderenza alla identità del sito ed ai suoicaratteri fisici e sociali. Impostato inoltre su precise rela-zioni strutturali, secondo le quali l’insieme deve essere ingrado di fissare regole chiare per lo sviluppo a cui le partidevono essere soggette.

I criteri di risparmio energetico, di compatibilità delletecnologie e dei sistemi costruttivi, di riduzione dell’im-patto inquinante nelle architetture ecologicamente prodot-te, così come i concetti di compensazione ambientale, dipermeabilità, di tutela delle risorse – acqua, aria e suolo –in esempi attuali di pianificazione ambientale, hanno indi-viduato nel livello intermedio l’ambito privilegiato diintervento.

Il problema della compatibilità ambientale nella riqua-lificazione dei contesti urbani rende necessaria la ricercadella compatibilità tra sistemi artificiali e sistemi naturali.

L’approccio ambientale in relazione al sistema urbanoè materia in costante sviluppo e sono ormai numerosi icontributi e le ricerche condotte in ambito scientifico; tut-tavia, proprio per la complessità, l’attualità ed i caratteriinnovativi che definiscono l’approccio ecologicamentesostenibile all’interno dei contesti antropizzati sono, atutt’oggi, ancora rarissimi i casi e gli esempi di realizza-zioni concrete.

Il contesto urbanizzato, caratterizzato dalla coesisten-za, più o meno drammatica, di elementi antropici ed ele-menti naturali, costituisce opportunità ed occasioni di stu-dio esemplari: tali ambiti urbani necessitano, soprattuttoin relazione ai luoghi di margine, alle aree di risulta, aivuoti interni, di metodi di riqualificazione ambientalecomplessi ed articolati, nei quali non è comunque possibi-le l’esclusione del vincolo storico, artificiale e “antropi-co”, ma deve anzi esserne necessariamente prevista unacorretta integrazione con gli aspetti ambientali e le com-ponenti naturali.

L’offerta di qualità come competizione fra città.Globalizzazione e competizione (La Qualità Globale)

Entrare in una città non vuol dire soltanto penetrare inun agglomerato di edifici, dentro labirinti stratificati e traf-ficati di strade, di gallerie e di cunicoli, talvolta di canali,di ponti, di pontili; cioè accedere a una realtà prevalente-mente fisica o tecnicizzata, eppure affidata a una comunitàumana che è imprevedibile, e che si fa complicata varia-bile sotto l’impulso di vicende incontrollabili e impreve-dibili. Invece e contemporaneamente vuol dire addentrar-si in un mito altrettanto labirintico e stratificato, dove l’ar-chitettura è un linguaggio della storia e insieme una sortadi prologo al trascendente; in un mito legittimato e impre-ziosito da opere d’arte e da istituzioni, avvalorato e resoresistente dalle consuetudini (C. Niccolai, 1998).

I cittadini sono uomini, cioè esseri i cui valori di rife-rimento e le cui risorse sono in buona parte immateriali.

Nessuna meraviglia, dunque, se sia proprio in virtù dirisorse e valori immateriali che le città ci consentonoanche oggi di fare affidamento e di nutrire speranze in unfuturo urbano che vogliamo ritenere migliore anche se sicolloca al di là di una fase di profondi e rapidi cambia-menti, com’è quella che stiamo vivendo.

La visione occidentale del mondo si basa su due costru-zioni storiche fondamentali: la prima è l’etica cristiana, laseconda è la città nella quale si esprime la fondamentaledistinzione tra il mondo orientale ed il mondo occidentale.La città tipica è rappresentata dalle città italiane e da quel-le nord-occidentali dell’Europa, fondate da una libera asso-ciazione creata dal ceto cittadino, dalla sua particolare eticadella concorrenza, del successo, della libertà politica ecommerciale, che sanziona, appunto, il trionfo economicodella borghesia, basato su una concezione tecnico-raziona-le che impone la sua conseguente struttura etica e sociale.È da notare che le città sono organismi tipicamente rivolu-zionari: esse sono in lotta sin dall’inizio contro una conce-zione irrazionale od orientale della vita che tenta d’impor-si nelle distinzioni di casta e di classe, nel burocratismo enel mandarinismo, nel dogmatismo unificatore e massicciodel potere centrale tipicamente rappresentato dai grandiimperi d’Oriente (E. Paci, 1950).

Ma oggi tanti tradizionali punti di forza sono divenutielementi di debolezza. Se in passato la città poteva offrirelavoro e opportunità di crescita sociale, oggi ai nuoviimmigrati offre spazi ghettizzati e attività marginali più omeno illegali; in passato le città erano i luoghi più sicuri,ed oggi sono le aree a più alto rischio, non solo per la cri-minalità ma anche per l’inquinamento, il traffico, lo stressdella vita urbana. L’immagine della città non è più positi-va; l’orgoglio di essere cittadino spesso sopravvive solonel tifo più o meno incivile per una squadra sportiva.

Sembra in crisi non solo l’assetto fisico, l’assetto eco-nomico e sociale su cui si sono fondate le nostre città, malo spirito stesso che le ha fatte nascere e prosperare.

In effetti sembra scomparsa da tempo l’utopia urbana;lo sforzo degli urbanisti di immaginare modelli per la cittàdel futuro. I sociologi, dopo il successo delle loro profeziedegli anni ‘60 (Ardigò, Weber e altri) proiettano spessoombre inquietanti sulla civiltà della telematica. Solo i tec-nologi sembrano convinti e fiduciosi di poter prevedere lanuova città, totalmente informatizzata e quindi ambiental-mente sostenibile.

In realtà, quella che è andata in crisi è proprio la pre-vedibilità del futuro della città tradizionale, cioè di unospecifico, limitato insediamento urbano. Essa è infatti tra-volta da una duplice ondata di globalità: la globalità dellecomunicazioni, della produzione e dei mercati, con la con-seguente omologazione culturale, e la globalità dell’am-biente, con la permanente minaccia di una catastrofe eco-logica.

In altri termini, non sembrano più prevedibili e

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governabili i rapporti fra ogni città e il suo contesto.Ovvero il contesto si è dilatato fino ad investire ilmondo intero e l’effetto dei cambiamenti avvenuti,anche in luoghi fisicamente lontani, si sente in temporeale (J. Rifkin, 1997).

Questa del resto è la naturale evoluzione di processiricorrenti nella storia urbana. In passato, però, questi pro-cessi di trasformazione erano relativamente lenti e riguar-davano di volta in volta alcuni settori produttivi e com-merciali. Possiamo dire che l’inerzia al cambiamento deidiversi sistemi lasciava margini per correre ai ripari, percombattere il declino, per trovare nuove vie di crescita.

Oggi invece si ha la sensazione che tutto sia così dina-mico da essere effimero; un pò come le celebri città deiminatori dei tempi della febbre dell’oro. Qualcosa disimile fanno certi imprenditori nella loro ricerca di mano-dopera a basso costo nei paesi più poveri, o i grandi grup-pi che muovono capitali nel mercato finanziario interna-zionale. Questo costituisce un cambiamento epocale ana-logo a quello portato dalla rivoluzione industriale.Sembra irreversibile, e servono a poco moralismo,nostalgia, speranze di un nuovo ordine mondiale cheriduca i conflitti, destinati invece a crescere per l’amplia-mento dei sistemi di relazione, esattamente come sonodestinate ad un incremento anche le più varie relazionipersonali. Traducendo tutto questo sulle prospettive dellacittà si conferma la relativa imprevedibilità del futuro, lanecessità di competizione fra singole città e fra reti urba-ne, il rischio continuo di perdita di posizioni acquisite inpassato e di emarginazione.

Tuttavia si può osservare che sono sempre esistiticompetizione e rischio nello sviluppo urbano, e che oggi,paradossalmente, l’inerzia alla trasformazione dei sistemiè forse maggiore che in passato, e costituisce, più che inpassato, garanzia per il futuro.

In concreto, se e vero che oggi ogni punto di qualun-que territorio potrebbe essere sede di un centro economi-co e produttivo di livello mondiale, utilizzando la telema-tica ed ogni altra appropriata tecnologia, è certo che que-sto avverrà assai difficilmente. Salvo casi rari dovuti aspeciali esigenze di sicurezza è estremamente improbabi-le che le attività di più alto valore economico e produttivosi collochino al di fuori dei più importanti sistemi urba-ni/sociali.

La tendenza è semmai alla concentrazione: se in epocadi diffusione industriale si poteva pensare di sviluppareregioni arretrate costruendo infrastrutture e fabbriche,ottenendo risultati con relativa rapidità, oggi per installareattività di alto contenuto tecnologico occorre contare suuna massa critica di utenza e su un tessutoculturale/imprenditoriale maturo, che solo le aree più svi-luppate offrono.

È l’accumulo di informazioni, di cultura, di risorsefinanziarie, di capacità imprenditoriali pubbliche e priva-

te e anche di storia e di pietre, che forma l’immagine dellegrandi città e che continua ad assicurarne il futuro.

Le prime risorse vengono proprio da fattori immate-riali: la cultura del luogo; l’identità urbana che spinge arimanere e investire piuttosto che a trasferire cervelli ecapitali in luoghi magari più dinamici; la capacità di riu-sare in nuovi campi le reti di relazioni storicamente con-solidate; e così via.

Il vero nemico delle grandi aree urbane in questa fasedi trasformazione è soprattutto il declino demografico, lasindrome da pensionamento collettivo, la mancanza di ini-ziativa, la fiducia ristretta, il razzismo, l’imbarbarimento,l’ignoranza, tutte cose certamente fra loro legate e chesono, appunto, il contrario delle virtù caratteristiche dellastoria urbana.

Non a caso, in tutta Europa da tempo prosperano lecittà medie e fra queste sono privilegiate quelle poste allaperiferia dei grandi sistemi urbani e inserite in una rete dicittà.

A tutte le scale il tema dominante è la manutenzione ela riqualificazione, che ovviamente non comporta la finedei grandi interventi, ma sposta l’accento dalla quantitàalla qualità, dalla certezza dei fabbisogni arretrati da sod-disfare alla competizione per acquistare quote di mercatoo, meglio ancora, per inventare nuovi segmenti di merca-to. La tutela degli equilibri ambientali rende ancora piùstringente questo cambiamento di prospettive.

La qualità urbana e ambientale diviene, in definiti-va, un elemento essenziale nella competizione fra siste-mi urbani, anche molto distanti. Oggi tutti sembranoconvinti, quindi, che sia possibile rendere competitivele nostre città nella nuova dimensione globale tecnolo-gica ed economica, e riqualificarle sotto il profiloambientale.

L’ambiente è il patrimonio che abbiamo ricevuto edobbiamo trasmettere a chi ci seguirà, tutelandolo e pos-sibilmente arricchendolo (K. Lync, 1971).

In un contesto in cui il ruolo urbano dipende dallacapacità di promuovere relazioni materiali e immaterialiextralocali almeno quanto dalla propensione ad esserepunto di riferimento territoriale, l’allargamento dell’arenacompetitiva determina nuove opportunità e nuovi rischi.Le rendite di posizione conteranno sempre meno mentresarà sempre più rilevante la capacita di produrre offerteurbane innovative in termini di connessione con le retidegli scambi internazionali, di affidabilità degli insedia-menti, di relazioni con l’economia locale. La ricchezzadel1’articolazione urbana europea è un patrimonio diffi-cilmente riducibile. Accanto alle città globali, comeLondra e Parigi, possono trovare posto diverse altre gran-di città internazionali e numerosissime realtà intermedieche mostrino dinamismo e capacità di accoglienza diesperienze innovative, che sappiano cogliere l’opportunitàdi un ambito più vasto al quale rivolgere la propria offer-

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ta, che possano valorizzare le potenzialità turistiche e rela-zionali della propria collocazione.

L’essere aperte, economicamente produttive, funzio-nalmente efficienti e socialmente equilibrate, riuscendonel contempo a custodire il patrimonio culturale e a farcrescere la propria fruibilità è una sfida che le città italia-ne possono vincere, ma non con un singolo atto. Al con-trario è richiesta un’azione costante, una verifica continuadei processi in corso, una ricerca attenta delle soluzioniinnovative, un continuo sforzo di immaginazione, proget-tazione e realizzazione di un futuro urbano che coniughile aspettative del domani con le esigenze più immediate,ed in primo luogo la necessità di far partecipare al perse-guimento di questi obiettivi l’insieme delle forze econo-miche e sociali presenti nella realtà urbana. Le istituzionilocali, le rappresentanze imprenditoriali, le autonomiefunzionali, i singoli operatori difficilmente possono riu-scire ad ottenere risultati significativi ciascuno per proprioconto. Solo una logica di coalizione fondata sulla selezio-ne comune degli obiettivi e la costruzione di strumenti dico-gestione può consentire di affrontare questa sfida. Lesperimentazioni di intese e di collaborazioni transnaziona-li sono processi che trovano compimento all’interno diuna logica di reti relazionali e di alleanze territoriali, ma aa questi processi ci si apre non con azioni improvvisate macon una continua opera di creazione e consolidamento dirapporti continentali.

Gli osservatori esteri, in particolare, focalizzano l’at-tenzione sulla rilevanza delle attività immateriali di altoprofilo, sviluppo dell’attività di ricerca ed attivismo cultu-rale, cui si affiancano quelle di controllo dei processi pro-duttivi (attività direzionali e finanziarie).

La capacità di interscambio con il proprio territorio diriferimento rappresenta ancora, al di là della crescita delleconnessioni extralocali, un fattore decisivo. La ricerca diuna identità è indispensabile alla città per fronteggiare l’a-rena globale, presentando o anche solo rappresentando alresto del mondo una immagine di sé originale e suggesti-va. Anche le maggiori realtà locali cercano a questo finedi ritagliarsi un proprio spazio su Internet, o perseguonol’inserimento nelle molte reti di città, alleanze strategicheinternazionali strette, per avere maggiore visibilità, perfare lobbying, per scambiarsi esperienze legate soprattut-to allo sviluppo sostenibile. Anche il tema della competi-tività urbana riporta direttamente alla capacità degli attoridi costituire una vera comunità a rete, dove gli interessi egli sforzi assumono la convergenza come condizione irri-nunciabile, pena il regresso e la emarginazione dai grandiprocessi di sviluppo territoriale europeo.

Le innovazioni che trasformano la città fisica:le nuovetecnologie. La città virtuale (La Qualità Virtuale)

Ciò che avverrà nelle nostre città all’inizio di questo

nuovo millennio sicuramente deciderà le sorti delle città incui viviamo. Anche se con ritardo rispetto alle attese, itempi sono maturi perché si concretizzino i cambiamentipositivi e negativi che negli ultimi decenni il progressotecnologico ha lasciato intravedere.

I sintomi di un’importante svolta nei processi di for-mazione e trasformazione degli agglomerati urbani e delterritorio sono già in parte leggibili in forme più o menopuntuali.

Come sempre avviene nell’applicazione pratica, glieffetti di questa poderosa innovazione tecnologica tendo-no a manifestarsi con uno sfasamento temporale che puòessere anche molto ampio e che è anche funzione dellediverse realtà regionali in cui si muove.

La lentezza delle trasformazioni della città e del terri-torio rispetto alla rapidità delle innovazioni tecnologiche èdovuta al fatto che l’assetto del territorio tende ad esserepiù stabile (presentando quindi maggiore inerzia al cam-biamento), rispetto alle strutture economiche e sociali chelo trasformano, alle funzioni che vi si svolgono e alle tec-niche con cui è stato costruito (B. Secchi, 1987).

L’innovazione tecnologica agisce su due livelli paral-leli: quello delle singole parti che compongono la città e ilterritorio, e quello delle relazioni reciproche che si stabili-scono tra le parti. La trasformazione della città come insie-me complesso, deve essere analizzata su entrambi i frontie deriva sia dai cambiamenti che subiscono le sue partiche da quelli che agiscono sulle relazioni.

Lo scenario che si prospetta per il nostro prossimofuturo è legato a due importanti condizioni, diverse traloro ma connotate entrambe dal carattere di trasversalitàrispetto a tutti i settori dell’attività umana.a) La realtà dell’enorme potenziale trasformativo indotto

dall’introduzione del microcip, dai processi di informa-tizzazione, di automazione e dalla telematica.

b) L’assunzione dei principi di qualità/sostenibilità dellosviluppo e l’applicazione delle tecnologie ad essiispirate.La prima costituisce ormai una realtà concreta, che

attende solamente di essere consolidata; la seconda è unobiettivo verso cui tendere per costruire un rapporto piùequilibrato tra elementi antropici ed elementi ambientali,per una maggiore qualità di vita.

La telematica non inquina, ovvero si può rendere asso-lutamente innocua senza nessuna emissione di agentiinquinanti o tossici. Ma cosa avviene alla luce delle nuovescoperte sulle onde elettromagnetiche e sui campi e sullaloro pericolosità per l’uomo?

L’era informatica può dirsi iniziata tra gli anni ‘50 e’70, prima con la meccanizzazione dell’informazione esuccessivamente con la sua teletrasmissione (radio e tele-visione). Le prospettive di sviluppo delle cosiddette nuovetecnologie lasciavano già allora presagire l’avvento di con-sistenti trasformazioni in molti settori dell’attività umana.

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In alcuni di essi quali l’economia, la finanza, il lavoro, l’a-limentazione, le relazioni umane, la ricerca scientifica, ecc.i mutamenti sono già avvenuti e hanno raggiunto avanzatilivelli evolutivi rispetto alle potenzialità offerte. In altri, inparticolare nella struttura fisica della città e del territorio, irisultati di questa forte innovazione devono ancora mani-festarsi in tutta la loro portata. Ci sono in realtà dei segnaliemergenti che possono indicare come questi risultati sonogià prossimi, ma ci sono oggi soprattutto tanti pensatorialle cui profezie possiamo soltanto appoggiarci.

A partire dalla seconda metà degli anni ’80, quandoormai le principali innovazioni tecnologiche connesseall’informatica avevano dato prova delle loro sterminatepotenzialità applicative, si è sviluppato un intenso dibatti-to che riconosceva ad esse un notevole impatto trasforma-tivo sugli edifici, sulle città e sul territorio.

Si possono al proposito fare due prime considerazionisui riflessi immediati che queste innovazioni hanno giàraggiunto:a) il processo di annullamento dei vincoli di prossimità

spaziale e delle consuete limitazioni, ossia un annulla-mento di fatto di ogni distanza geografica reale;

b) il progressivo affievolirsi e, in ultima analisi, la scom-parsa dei nessi di identificazione fra i caratteri tipicidelle attività e quelli dello spazio fisico.Le funzioni e le modalità di svolgimento di determi-

nate attività (sempre di più) oggi sono basate principal-mente sull’informazione, in particolare le nuove tecnolo-gie interferiscono con il sistema delle relazioni che si sta-biliscono all’interno di un processo, di qualsiasi tipo essosia, in quanto sono caratterizzate dalla manipolazione del-l’informazione, dalla sua trasmissione e dalla automazio-ne delle procedure di svolgimento delle attività. Il fattoreinnovativo per eccellenza delle tecnologie dell’informati-ca, dell’automazione e della telematica è costituito propriodall’immaterialità e pertanto il processo di trasformazionedelle relazioni funzionali avviene proprio sul piano dellaloro de-materializzazione e annullamento fisico.

Una prima conseguenza dell’annullamento dei vincolidi prossimità spaziale, e quindi anche di identità spaziale,è il fenomeno ormai diffuso di decentramento e di disper-sione spaziale delle attività produttive che sovverte la ten-denza alla concentrazione spaziale tipica della rivoluzioneindustriale.

L’omologazione delle attività produttive e di servizio,introdotta dai processi di informatizzazione ha condottoprogressivamente verso una indifferenziazione degli spaziurbani così come degli edifici rispetto alla funzione pre-valente a cui sono destinati. Fenomeno dovuto in granparte alla omologazione delle modalità di svolgimentodelle attività di ogni tipo. In sostanza telematica e infor-matica hanno introdotto un principio di flessibilità cherende molto simili tra loro i processi esecutivi di funzionianche molto diverse.

Ma c’è il rischio che a questa omologazione funziona-le si possa riferire una simile omologazione del paesaggiourbano e del territorio?

L’attività progettuale non essendo più condizionatadall’esigenza della corrispondenza fra attività e spazio,può ipotizzare nuove forme, sicuramente nuove modalitàdi fruizione, e trasferire agli elementi fisici della cittànuovi valori e nuove aspettative per l’utente?

Certo che il concetto di zone territoriali omogenee dif-ferenziate per destinazioni, appaiono in quest’ottica lonta-ne anni luce dalla evoluzione della realtà, ma un’ipotesiveramente suggestiva la ritroviamo in W. J. Mitchell chedescrive la città digitale, capitale del XXI secolo, comesegue. “La rete è il sito urbano che ci fronteggia, un invi-to a progettare e costruire la città dei bits … Sarà una cittàsradicata da qualsiasi punto definito sulla superficie dellaterra, configurata dalle limitazioni della connettività e dal-l’ampiezza di banda, più che dall’accessibilità e dal valo-re di posizione della proprietà, ampiamente asincrona nelsuo funzionamento, abitata da soggetti incorporei e fram-mentati … I suoi luoghi saranno costruiti virtualmente dalsoftware e non più fisicamente da pietra e legno, questiluoghi saranno collegati da legami logici al posto di porte,passaggi e strade” (W. J. Mitchell, 1997).

In questa visione avviene un passaggio, un decisivospostamento dalla materialità all’immaterialità dell’inno-vazione tecnologica, ossia dall’hardware al software: iprocessi di costruzione degli edifici e della città informa-tica hanno davvero superato per importanza i mattoni stes-si (microcip, computer, cablaggi) con cui è stata realizza-ta? E ancora, l’uomo può davvero fare a meno della fisi-cità dei luoghi? E della sua? È davvero in fase di supera-mento il concetto stesso di proprietà? Di valore del suolo?(J. Rifkin, 1997)

Queste suggestive immagini della città del XXI seco-lo sono immagini di una città virtuale edificata con il lin-guaggio digitale. Tuttavia nel pensare a questa città non sipuò fare a meno di fare dei riferimenti fra i grandi magaz-zini e i siti del commercio elettronico, fra le scuole e icampus virtuali, fra gli ospedali e la telemedicina, fra leborse e i sistemi di scambio elettronico, fra le bibliotechee le banche dati, fra gli uffici e il telelavoro.

“La dissoluzione elettronica delle tipologie tradiziona-li si ricombina in nuove architetture reali. La città luogofisico della manifestazione delle attività di cui si componela vita dell’uomo, abitare, lavorare, divertirsi, muoversi,ecc., ormai emancipata dalla condizione della fisicità efunzionalità, diventa rappresentativa di se stessa, di nuovimodelli di fruizione e di convivenza sociale, il propriovolto è orientato a coltivare la propria rappresentativitànella qualità estetica disinteressata”. (R. Bologna, 1998)

Si è sviluppata una prospettiva di grande trasforma-zione che porta ad un futuro metaindustriale in cui ristrut-tureremo radicalmente la civiltà urbana industriale sosti-

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tuendola con una civiltà decentralizzata, democratica, ali-mentata da energie rinnovabili, a dimensione planetaria,costruita intorno ad adeguate e autoregolate città e ad eco-nomie bioregionali? (G. J. Coates, 1991).

I fenomeni descritti possono a ragion veduta definirsidi portata epocale nella storia dell’evoluzione della città.Le due tipologie di innovazioni tecnologiche attuano ilproprio potenziale trasformativo della città e dei suoi edi-fici secondo modalità e risultati differenti ma entrambicon una prospettiva unificante: la riconquista da parte delgenere umano dei luoghi fisici della propria vita, l’am-biente naturale e quello costruito.

La città è un fatto complesso. L’innovazione tecnologi-ca rappresenta per l’uomo un incremento delle potenzialitàe delle risorse disponibili per gestire questa complessità.

L’innovazione delle tecnologie e la diffusione di nuoveforme di telecomunicazione accelerano i mutamenti inatto delle città incidendo in modo considerevole sulle atti-vità umane e sui comportamenti sociali.

L’impiego sempre più diffuso di queste nuove tecno-logie contribuisce a variare le tradizionali motivazioni dilocalizzazione delle differenti attività produttive e di ser-vizio, oltre ad incidere indirettamente sulle dislocazioniresidenziali.

“Il destino della città del XXI secolo, come afferma C.Beguinot, è legato alla capacità di raccogliere e distribuiresul territorio la risorsa primaria della società del futuro:l’informazione. Nella città del XXI secolo la presenza direti di telecomunicazione, sia fisiche (fibre ottiche) che vir-tuali (via etere), consentirà la realizzazione di nuovi rappor-ti fra la città e la configurazione di nuove gerarchie urbane,in una dimensione sovranazionale” (C. Beguinot, 1995).

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La ricerca: obiettivi e percorsi operativi

Gli obiettivi che si propone la ricerca sono quelli dell’indivi-duazione delle tendenze manifestatesi nelle politiche urbanee delle esperienze innovative che emergono dal governo deiprocessi di trasformazione urbana con riferimento ai vuotideterminatisi a seguito delle dinamiche della globalizzazio-ne economica.

Tale obiettivo ha lo scopo di proporre degli elementi peruna valutazione qualitativa delle trasformazioni avvenute edunque adottare parametri per un corretto approccio pianifi-catorio e progettuale.

Le fasi della ricerca devono affrontare gli aspetti cono-scitivi individuando le dinamiche territoriali inerenti la que-stione tramite un’analisi della letteratura esistente; quelliinterpretativo-progettuali in rapporto alla scelta dei casi distudio emblematici per la determinazione dei fattori di crisie degli eventuali slanci innovativi nell’azione di riqualifica-zione; quelli operativi attinenti alle possibilità di rendereconcretamente attuabili scelte progettuali.

La lettura di casi esemplari europei rivelatisi fallimenta-ri (Docklands di Londra) o di successo (Iba Emcher-Park)diviene strumentale per la determinazione dei parametri divalutazione.

La schedatura dei casi di studio, fatta puntualizzando ele-menti chiave, evidenzierà fattori di crisi o elementi innovati-vi in ambito di rigenerazione urbana tramite l’utilizzo dellearee dismesse.

Da tale approccio cognitivo possono scaturire due livel-li di intervento inerenti l’uno, un approccio integrato alla pia-nificazione urbana intesa come pluralità di interventi agentisul sistema complesso dell’habitat urbano, l’altro livello diintervento, di natura relazionale, si ispira all’idea di pianifi-cazione strategica in rapporto ai problemi ed ai soggetti lacui integrazione diventa essenziale per la definizione deiprocessi di trasformazione urbana.

L’idea guida è quella di perseguire strategie volte al recu-pero della struttura urbana nel suo complesso.

Tale presupposto implica la necessità di agire in modoselettivo riducendo le azioni ed incrementando le azioni dimedio e lungo raggio.

La trasformazione del territorio

L’aspetto conoscitivo del percorso di ricerca presupponeuna lettura delle trasformazioni territoriali che partendo dauna visione storicizzata della città contemporanea arrivi alladefinizione dei processi di dismissione legandoli alla com-pagine urbana nel suo complesso.

Nella visione evolutiva della città proposta da B. Secchisi evidenziano tre fasi che hanno determinato l’attuale con-dizione urbana:1. la fase del periodo moderno che va dal XV al XVIII sec.2. il cosiddetto secolo breve tra gli inizi del XX sec. e gli

anni ’70/’803. il periodo degli ultimi 15 anni1.

La città di oggi non può essere vista come una formadegradata della città moderna o come un suo stadio evolu-tivo; è una realtà autonoma e nuova che prefigura realtàfuture.

Essa contrapponendosi alla metropoli impressionista delXIX sec. fondata sulla visibilità, la crescita, la concentrazio-ne, prende corpo inglobando l’esperienza della dispersionedei soggetti, della rarefazione dei luoghi nel territorio; altempo stesso si arresta la crescita addizionale con una spic-cata tendenza al riuso di ampie porzioni di territorio.

Con i nuovi temi relativi all’arresto della crescita, delladispersione, della crisi dei modelli economici consolidati delfordismo si delinea la questione della nascita delle areedismesse tema morfologico e funzionale di rilievo nella defi-nizione di una nuova identità urbana.

Il contesto metropolitano europeo ha dunque attraversa-to le fasi del cosiddetto “ciclo di vita”: urbanizzazione,suburbanizzazione, disurbanizzazione, riurbanizzazione2.

I paradigmi interpretativi dei fenomeni di deindustrializ-zazione, e conseguente dismissione di ampie porzioni di ter-ritorio, della maturità, della specializzazione produttiva, e delfallimento concorrono alla definizione delle cause del feno-meno.

In questa situazione, alle mutazioni della struttura eco-nomica conseguono dei risvolti sulla compagine fisica dellecittà e di intere aree metropolitane.

L’aprirsi improvviso dentro i tessuti urbani di immensivuoti di aree private di funzioni, ruoli ed identità, il frantu-

Le aree urbane dismesse: spuntidi riflessione in relazione aglistrumenti di pianificazione ed allesocietà miste per la loro gestione

Giuliana Panzica La Manna

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marsi dello spazio economico europeo, l’allargarsi dell’in-frastrutturazione territoriale propongono temi di interventoche sin dagli anni ’80 hanno investito la città europea di ten-tativi diretti alla renovatio urbis.

La fase della trasformazione ha determinato una rifor-mulazione dei caratteri della crescita urbana con assunti pro-pri della riconversione fisica e funzionale che ha condotto adun’ampia casistica di operazioni di rinnovo, sostituzione, eriqualificazione urbana.

I processi rigenerativi hanno spesso assunto i connotatidi processi di sostituzione edilizia dagli incerti effetti riqua-lificatori. La città è dunque un palinsesto, la pergamena sucui si sono sovrapposti i segni della storia naturale edumana3.

L’annullamento dello spazio mediante il tempo, perusare l’espressione di Marx, l’estrema mobilità del capitalefinanziario del villaggio globale, ha destabilizzato i modelliproduttivi, insediativi, e di vita consolidati, ha causato ildeclino dei più vecchi centri industriali ed ha favorito l’e-mergere dei nuovi modelli di sviluppo come la “Terza Italia”o le Sylicon Valleys.

La città industriale del XIX sec. e dei primi anni del XXper riciclare i suoi punti di forza e riproporsi in un ruolo cen-trale ha dovuto “reinventarsi” proponendo nuove specificitàdei luoghi capaci di riportarle in un contesto di competizio-ne urbana. In tal senso le aree urbane dismesse sembranol’occasione per costruire nuove immagini urbane capaci dicostituire un rifugio mentale in un mondo che è diventatocosì piccolo da oscurare la nozione stessa di luogo4.

Le aree urbane dismesse sono associate all’idea di vuotourbano ed il “vuoto” ha insita l’idea di luogo indifferenziatoprivo di relazioni significative con il contesto, di identitàlegata alla popolazione insediata.

Questa interpretazione riduttiva appiattisce qualsiasi ten-tativo di azione di recupero arrecando talvolta distruzioni dimanufatti architettonici di pregio o tessuti spaziali caratteriz-zati da identità propria.

Sembra fondamentale operare una differenziazione tipo-logica delle aree in questione per capire quale tipo di sistemaspaziale ci troviamo di fronte ed in che modo è possibileoperare.

Una volta riconosciuta la casistica di fronte la quale ci sitrova è possibile assumere dei parametri per il riuso deduci-bili dall’analisi empirica di situazioni esistenti e di esperien-ze già condotte5.

Diviene così possibile passare dalla nozione di “vuotourbano” a quella di “luogo urbano”6.

L’incapacità di leggere il luogo ha costituito un fattore dicrisi in molte operazioni.

La molteplicità degli aspetti del luogo urbano non puòche emergere dalla sensibilità topologica che può ridefinirel’identità urbana sfilacciatasi negli ambiti interessati dalledismissioni.

Il passaggio da “vuoto da riempire” ad occasione per il

superamento dei deficit urbani deve costituire l’obiettivo difondo nella pianificazione di queste aree.

L’approccio territorialista proposto da Magnaghi misembra il più corretto per comprendere che i luoghi sonooggetto della raffigurazione e sono frutto di interazioni com-plesse (in cui si inserisce la trasformazione) che non sonoascrivibili ad un rapporto lineare e deterministico traambiente naturale e società insediata.

In tal senso i luoghi industriali dismessi all’interno deipaesaggi urbani sono la rappresentazione della coevoluzio-ne tra ambiente fisico, naturale ed antropico e della riformu-lazione degli equilibri tra questi sistemi.

L’analisi delle aree dismesse e del loro potenziale nel-l’ottica dell’approccio territorialista implica la rappresenta-zione di determinati fattori che ci fanno comprendere lanecessità di una descrizione dei sistemi locali e della lorocapacità di auto-organizzazione che non sia neutra.

Tali fattori sono:- i caratteri estrinseci (posizionali e quantitativi) ed i carat-

teri intrinseci (identità, forma, struttura, nodi, reti, paesag-gio) dei sistemi territoriali;

- i processi coevolutivi di ambiente fisico, antropico ecostruito;

- il repertorio e la tensione progettuale implicita dei valoriterritoriali localizzati;

- le dinamiche del degrado ambientale;- gli scenari di trasformazione autosostenibile.

La trasformazione del territorio relativamente alle tema-tiche connesse alle dismissioni mi sembra vada raccontataattraverso la descrizione dei processi di deterritorializzazio-ne (analisi degli aspetti strutturali dell’interruzione dei ciclistorici di crescita e sviluppo del territorio), decontestualizza-zione (analisi della perdita delle identità operata dalla rottu-ra delle relazioni con i luoghi), degrado (rottura degli equili-bri ambientali).

Si delinea comunque un’immagine del cambiamento edella trasformazione prodotta dalla collettività che si puòricondurre alla descrizione di quella che viene chiamatariterritorializzazione7.

Politiche di trasformazione urbana e nuovi strumenti diintervento

L’attenzione posta dalla CE alla “questione urbana” si èresa manifesta nella produzione di documenti che a partiredal Libro verde sull’ambiente urbano (1990) sono arrivatiallo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (1998).

L’obiettivo dell’UE è quello di valorizzare le diversesituazioni urbane europee per perseguire il riequilibrio delterritorio comunitario da un punto di vita strategico.

Le direttive comunitarie hanno trovato riscontro nellapredisposizione di programmi dotati di finanziamenti delFSE e del FESR.

Gli indirizzi per le politiche territoriali sono mirati ad uno

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sviluppo endogeno ed all’integrazione delle aree perifericheal sistema urbano europeo basato sulle connessioni di rete8.

Il sostegno dell’UE alle politiche urbane si struttura attra-verso programmi basati su azioni di partenariato tra sogget-ti istituzionali e privati.

Per quanto riguarda le aree dismesse ed il loro recupero,troviamo un riferimento esplicito nel rapporto Europa 2000+in cui si trova espressa la necessità di concentrare la crescitanelle aree urbane esistenti incoraggiando il rinnovamentourbano mediante l’utilizzo efficace dei luoghi in stato diabbandono e sottoutilizzati.

In effetti il tema della rigenerazione non è del tutto nuovoin particolare per quanto concerne le aree interessate dadeclino industriale.

Infatti, specifici programmi operativi (es. Resider,Resider II) si sono occupati dei fenomeni di dismissionenelle regioni comprese nell’Obiettivo 2 dei Fondi Europeiper lo Sviluppo Regionale (Reg CEE, n. 2081/93); numero-si sono i casi italiani ed europei che vi rientrano (Glasgow,Manchester, Genova, Torino, Marghera…).

Una lettura comparata dei documenti europei in sensodiacronico, la crescente attenzione alla città per la soluzionedelle problematiche legate al benessere sociale ed al perse-guimento di una buona qualità della vita.

L’ultimo documento guida per le politiche urbane, loSchema per lo Sviluppo dello Spazio Europeo, ha assuntocome temi prioritari su cui agire:1. i processi di diffusione insediativa;2. i processi di degrado infrastrutturale;3. i processi innovativi di partecipazione dei cittadini;4. le modalità innovative di finanziamento delle nuove

infrastrutture;5. le modalità per favorire procedure di programmazione

negoziata.L’interpretazione trasversale di questi temi mostra ine-

quivocabilmente come le aree dismesse siano risorsa irri-nunciabile nel perseguimento degli obiettivi di riequilibriodello sistema insediativo e territoriale europeo9.

Nel contesto italiano va prendendo sempre più campo lanecessità di esplorare nuove possibili forme di piano e stru-menti di intervento, vista l’incapacità dei piani di matricerazional-comprensiva di rispondere in modo efficace ainuovi scenari ed alla nuove dinamiche urbane.

Resta ferma comunque la legittimità del livello di piani-ficazione comunale intendendo il piano come dato di cultu-ra e come registrazione delle istanze manifestate dallasocietà sia in termini di interessi che di conflitti.

Tuttavia la rigidità delle norme in rapporto ai problemiemergenti nella città richiede un modo di ragionare “strate-gico” nella pianificazione; vanno cioè individuati una seriedi obiettivi da perseguire agendo sui sistemi territoriali.

Agli obiettivi, che costituiscono i capisaldi del pianononché le invarianti cui riferirsi, vanno associate le azioni, iprogrammi, le procedure temporalizzate10: flessibilità dello

strumento, dunque, purchè accompagnata da una strategiagenerale.

La riqualificazione urbana richiede uno strumento cheprescinda dall’ “occasionalità”; in esso gli obiettivi di inte-resse pubblico devono interagire con il privato senza esseresvuotati del loro significati ed indeboliti nella loro priorità.

Quest’intenzionalità di applicazione della sussidiarietà,della partecipazione, del coordinamento, ha trovato riscontronell’ideazione di nuovi strumenti e nuove risorse da attivareche alla fine hanno assunto la connotazione di straordina-rietà, hanno costituito l’humus per trasformazioni delegitti-manti lo strumento urbanistico e i vari livelli di pianificazio-ne ordinaria. Il riferimento va alla famiglia dei programmicomplessi di cui si da una lettura sintetica e schematizzataanche per comprendere come le aree dismesse siano parti-colarmente interessate dalla loro applicazione.

In particolare il riferimento va in ordine cronologico:- la L. 142/1990 i cui contenuti ispirati al principio di con-

certazione sono il presupposto del complesso di questistrumenti.

- alla legge cosiddetta Botta-Ferrarini (art. 9 L 179/92) cheall’articolo 16 definendo i Programmi Integrati di inter-vento prevede la riqualificazione del tessuto urbanisticoed edilizio tramite integrazione funzionale e tra gli ambi-ti di intervento include aree dismesse escludendo le areeagricole o di pura espansione;

- al Pic Urban Italia (1994 – 1996) che nei suoi obiettivi diintervento contempla il riuso di aree industriali dismessevolto a favorire il recupero sociale ed il rilancio economi-co delle aree.

- al D.M. 21/12/94 che istituisce Programmi diRiqualificazione Urbana (art. 16) insieme alla L. 179/92che tra i suoi obiettivi ha il recupero edilizio e funzionaledi ambiti urbani specificamente individuati sono privile-giate dai Comuni le aree con valenza strategica tra le qualiaree industriali dismesse;

- al D.M. n.195 dell’8/10/98 che promuove i Programmi diriqualificazione urbana per lo sviluppo sostenibile del ter-ritorio che tra i vari obiettivi di riqualificazione delle com-pagini fisiche interessate da fenomeni di degrado e di svi-luppo coerente ai principi dello sviluppo sostenibile delterritorio, pone l’accento sulla riqualificazione di insedia-menti produttivi.

Individuazione dei fattori di crisi

La lettura di esempi sulle soluzioni adottate nel contestoeuropeo rappresentativi dei diversi approcci progettuali, ilcaso inglese dei Docklands di Londra e l’esperienza dell’IbaEmscher Park, possono contribuire alla definizione di unagriglia interpretativa per la definizione dei fattori determi-nanti nella definizione e nella gestione delle operazioni direcupero delle aree industriali.

Le esperienze inglesi e tedesche appaiono esemplificati-

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ricerche

ve e strumentali per l’individuazione dei fattori di crisi lega-ti ai diversi modi con cui le città ed il territorio si rigeneranoattraverso l’uso di aree dismesse: la prima ha avuto risvoltifallimentari11 per l’uso e l’abuso di pratiche basate sulladeregulation e sulla valorizzazione immobiliare senza unreale disegno strategico alle spalle; è stato addirittura dele-gittimato tutto il sistema di pianificazione britannico con lasoppressione del Greater London Council da parte delgoverno Thatcher che adotta in linea di principio la filosofiadel Non-Plan Manifesto, espressa da un gruppo di intellet-tuali tra cui Peter Hall e Reyner Banham nel 1969, ma chedi fatto è spesso riconducibile a degenerazioni liberistichelegittimate dallo Stato12; al contrario l’esperienza tedescadell’Emcher Park sembra dimostrare che laddove esistonoserie politiche di recupero ambientale sostenute dai soggettipubblici, è possibile ottenere effetti riqualificatori di grandeportata (in questo caso a scala regionale).

In effetti il caso tedesco si è sviluppato attorno alla strut-turazione di una società di pianificazione, l’Iba EmcherPark, istituita dal governo regionale del Land Nordrhein-Westfalen.

I progetti di recupero ambientale e di riconversione dellearee dismesse sono inseriti all’interno della pianificazioneordinaria (comunale e comprensoriale) mentre i finanzia-menti seguono corsie preferenziali secondo la priorità strate-gica attribuita dalla società di pianificazione.

I nodi problematici che si evidenziano nella questionedelle aree dismesse e nell’aspirazione di trasformarle da pro-blema ad occasione riguardano due temi di fondo:- la qualità dei progetti (rapporti con il contesto e le rela-

zioni con lo strumento urbanistico; prospettive di riuso ele regole della trasformazione; costi del recupero e delriuso)

- l’efficacia dell’azione di governo (processi decisionali;modalità operative di coordinamento fra i soggetti; fatto-re tempo che interviene sia nei processi di dismissioneche in quelli di riuso).Sarà possibile una valutazione di tali elementi e l’indivi-

duazione di parametri operativi solo a partire da un’attentavalutazione di alcuni casi di studio emblematici, la cui lettu-ra consenta tanto l’individuazione dei fattori di crisi quantol’adozione di possibili metodi utilizzabili sia in termini diprogetto che di gestione.

Un caso di studio: Genova

L’analisi delle modalità di intervento in relazione aisoggetti sociali interessati (pubblici e privati) ed alle pro-cedure di gestione ha determinato la scelta del casogenovese in quanto strumentale nella definizione deiparametri operativi di successo nella gestione della risor-sa costituita dalle aree dismesse in ambito urbano, maanche per la valutazione dei fattori di crisi e per la valu-tazione di elementi innovativi introdotti.

In effetti due ordini di fattori divengono chiavi di let-tura prioritarie del problema inquadrato secondo il tagliodescritto:1. si tratta di una città caratterizzata da estesi e consolidati

fenomeni di dismissione;2. si è creata una strutturazione delle azioni di recupero e

riconversione fortemente legata all’interazione pubbli-co/privato.Si sono conseguiti significativi obiettivi di riqualificazio-

ne in aree derivanti da fenomeni di dismissione in cui l’inte-razione tra pubblico e privato tramite l’utilizzo di società acapitale misto che hanno assunto una veste operativa deter-minante nella conduzione delle operazioni13.

In particolare la Società Ponente Sviluppo ha condottoun’esperienza per la quale ha assunto ruolo strumentale inrapporto all’Amministrazione gestendo i fondi comunitaridel programma Resider II con orizzonti temporali circoscrit-ti commisurati agli obiettivi di piano identificabili con le pre-visioni del PTC e del PRG.

Va comunque precisato che in relazione agli strumentiordinari della pianificazione l’azione viene condotta inmodo coerente eccettuati quei casi14 in cui le destinazionid’uso risultavano avere diverse destinazioni nei diversi piani(PTC, PRG in vigore del 1989, PRG adottato del 1997).

La critica che può essere mossa alla situazione genoveseè legata all’assenza di un chiari quadro complessivo con sce-nari globali agganciati ad una maglia strutturale forte: ilPiano sceglie l’incertezza ed in particolare in riferimento allecosiddette aree di trasformazione che individua, non fa altroche tradurre trasformazioni già in atto.

La trasformabilità del territorio si misura dunque con lapresenza di azioni innovative da parte dell’Amministrazioneche vanno comunque agganciate a verifiche di compatibilitàe congruenza a partire dalla dotazione di un apparato inter-pretativo e descrittivo.

Note

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dello sviluppo locale; Agenda 2000 (1997) propone un maggiore sostegnoai processi di integrazione; Lo SSSE (1998) cerca di passare da un approc-cio regionale a quello territoriale pur riconoscendo la priorità dell’azionelocale per la forte e radicata identità urbana che caratterizza la città europea.10. Corboz A., La città del XX secolo, in Ordine sparso, Milano 1998.Pinzello I., “Quale Piano per la tutela del territorio”, in I paesaggi di pietra,Marsala, 2000.11. Una recente ricostruzione delle procedure urbanistiche britanniche èproposta da Alessandro Vignozzi in Urbanistica e qualità estetica. La lezio-ne della Gran Bretagna, Milano 1997.12. L’esperienza di Docks si articola su due livelli interrelati: uno istituzio-nale con la creazione dei Lddc (London Docklands DeveloppementCorporation), l’altro operativo consistente nell’individuazionedell’Enterprise Zone in cui si consente agli operatori immobiliari di agire inun quadro di totale esenzione fiscale e di semplificazioni burocratiche radi-cali.13. Il riferimento va alla Società per la Bonifica di Campi oggi Società perla Bonifica delle Aree Dismesse ed alla Società Ponente Sviluppo.14. L’area in questione è quella di Bolzaneto per la quale si è proceduto tra-mite Conferenza dei Servizi.

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1. Nota preliminare

“Paesaggi della natura” e “paesaggi dell’uomo” intendo-no porsi in termini definitori, quali categorie componentidell’organizzazione urbanistica di un determinato conte-sto territoriale. È ormai universalmente riconosciuta l’im-portanza culturale e sociale della preservazione, delladifesa attiva delle identità locali, del mantenimento e delrecupero dell’integrità fisica di un territorio. Così altresì èampliamente diffusa una consapevolezza crescente neitermini di attenzione nei riguardi dei beni culturali edambientali come patrimonio collettivo e come risorsa ter-ritoriale; patrimonio costruito da particolari “oggetti”,documenti e rappresentazioni territoriali, riconosciuti,tipizzati attraverso attenzioni identificative e valorizzatiattraverso organizzazione progettuale. In tal senso allausuale definizione di “beni della natura”1 si è sostituitaquella di “paesaggi della natura”; così come a quella di“beni culturali” si è volutamente sostituita quella di “pae-saggi dell’uomo” ovvero “paesaggi culturali”.

Per “paesaggi della natura”2 si intendono le aree giu-ridicamente protette, così come istituite attraverso appo-sito provvedimento; per “paesaggi dell’uomo” si è inte-so l’insieme dei beni storici, monumentali, documenta-li, culturali, nonché le espressioni fisiche generate daiprocessi di antropizzazione. Nel raggruppamento deipaesaggi naturali rientrano i sistemi ambientali, in quel-lo dei paesaggi culturali rientrano le “armature” storico-culturali, ad entrambi, va riconosciuta la funzione costi-tutiva e rappresentativa del territorio, sulla base dell’in-cidenza di due dimensioni - l’ambientale e la culturale -da considerare nei processi operativi di progettazioneurbanistica. I beni materiali e/o immateriali rientrantinell’uno e nell’altro raggruppamento costituisconoinsiemi e strutturazioni di “paesaggi protetti”; per unasignificativa considerazione, in senso urbanistico, glistessi vanno rapportati in una configurazione territoria-le di tipo eco-museale ed in una qualificazione strategi-ca supportata e verificata con scenari di invarianza ter-ritoriale, definiti sulla base di principi etici e di codifi-cazioni di valore.

La ricerca, proposta sulla base di profili di interesse per

i beni culturali ed ambientali, è finalizzata ad approfondi-menti relativi a:– principi e criteri di costruzione di conoscenza sul tema;– metodi e codici funzionali alla attività di identificazione;– progetti di tipizzazione riguardanti i “paesaggi protetti”

zonalmente significativi;– problematiche di gestione pianificatoria e progettuale.

La necessità di affrontare le problematiche ambientali(di tutela dell’ambiente e della sua conservazione)3 neiprocessi di pianificazione territoriale, ponendo maggioreattenzione agli strumenti pianificatori di tipo speciale deri-va dal fatto che il problema della conservazione, valoriz-zazione, tutela e gestione delle risorse naturali è una que-stione che investe tutte le dimensioni, dalla costruzionefisico-ecologica a quella dell’organizzazione territoriale, echiede nel contempo precise e rapide risposte per la risolu-zione di alcuni conflitti emergenti che la disciplina pianifi-catoria deve attualmente affrontare.

2. Paesaggi Protetti

Per “paesaggio protetto”4 è inteso un paesaggio ogget-to di tutela. Le attività di tutela e valorizzazione sono soste-nute da particolari forme di pianificazione paesistica chepotremmo chiamare “progetti di paesaggio”. Tale tipologiadi progetto rientra nel raggruppamento dei Piani di Tutelae Valorizzazione delle Risorse di Area (espressione a scalalocale, del Piano Urbanistico Territoriale con specifica con-siderazione dei valori paesistici ed ambientali ex leggen.431/1985) e costituisce quindi una particolare forma diPiano Paesistico. La pianificazione paesistica è una condi-zione di base per l’organizzazione urbanistica del territorioe contribuisce ad organizzare le diversificate forme di pro-tezione sia ambientale, sia formale. Ciò è particolarmenteimportante per i territori, le aree ed i sistemi caratterizzatida alti livelli di sensibilità, vulnerabilità e significativa pre-senza di valori testimoniali e formali.

Per i “territori-rappresentazione”, quindi per i paesaggiambientalmente sensibili, tutte le forme di programmazio-ne e pianificazione fisica debbono essere conformati sullabase di particolari scenari di sviluppo. Ciò significa chel’approccio pianificatorio, più che mai in tali casi, deve

Paesaggi della Natura - Paesaggidell’Uomo. Tipizzazione e profili ditutela

Giuseppa Santapaola

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essere sostenuto dalla finalità della conservazione specifi-ca, fittamente interrelata alle condizioni di contesto edaltresì attenta a proporre forme di organizzazione dellerisorse compatibili, sostenibili e legate ad una condizionedi “sviluppo durevole”5.

Una attività di pianificazione così direzionata costitui-sce una componente fondamentale di una progettazioneoperativa e come tale si situa come uno dei quadri di rife-rimento strutturale per l’organizzazione del piano operati-vo (quadro costituito da documenti di procedimento e darappresentazioni di bilancio tra fattori di esigenza, elemen-ti di attenzione e quadri territoriali di qualificazione). Letutele vengono identificate e conformate sulla base di unprogetto (il progetto delle tutele), in base al quale il territo-rio interessato viene suddiviso in unità territoriali concaratteri di “invarianza”, la cui trasformabilità territoriale ècondizionata dal grado di sensibilità, vulnerabilità, valore,la cui organizzazione e/o trasformabilità è legata ai fattoridi contesto e/o alle valutazioni ambientali degli effetti(parti, quindi, condizionate a forme di sviluppo differen-ziato in funzioni delle loro situazioni di contatto, contiguitào lontananza rispetto alle zone normate sulla base dei prin-cipi e dei criteri di compatibilità, fermo restando per le stes-se una applicazione di politiche rispettose del concetto diconservazione globale).

Lo stesso ragionamento vale per il progetto di valoriz-zazione dei beni culturali, testimoniali ed in generale pae-sistici. Quindi devono essere considerati raggruppamentiprogettuali:– l’insieme dei progetti delle tutele;– l’insieme dei progetti finalizzati alle valorizzazioni;– l’insieme dei progetti di uso.

Attraverso i due progetti - quello delle tutele e quellodelle valorizzazioni - vengono identificati:– la struttura territoriale delle condizioni ambientali;– l’armatura storico culturale.

Il progetto di uso del suolo, il quale conserva la suaposizione centrale all’interno dell’attività di organizzazio-ne territoriale, costituisce la terza articolazione componen-te del progetto urbanistico. Il piano delle tutele, il pianodelle valorizzazioni ed il piano degli usi vengono gestitiall’interno di un sistema procedimentale fortementeinfluenzato da variabili di contesto. Tali piani sono utiliz-zati a comporre il quadro di riferimento generale cui vannorapportate le azioni di progetto.

La costruzione delle forme specifiche di tutela dei pae-saggi protetti viene affidata ad un procedimento comples-so, articolato in attività finalizzate a “progettare le tutele”.Un progetto di tale genere dovrà garantire, nei processi dipianificazione, una corretta gestione delle dimensioniambientali, ecologiche, funzionali e formali del paesaggio.Attraverso i suoi risultati dovranno essere indirizzati ledestinazioni di uso del suolo e le forme organizzative disupporto alle utilizzazioni.

Il progetto delle tutele è proiettato ad identificare e qua-lificare gli “oggetti territoriali” esigenti protezione. Nelleoperazioni di identificazione vengono definiti quadri strut-turali di riferimento, mentre in quelle di qualificazione ven-gono costruiti scenari che potremmo definire “scenari digaranzia” ovvero “protocolli tematici di garanzia”.

Il meccanismo operativo che permette di qualificare ivincoli, progettare i protocolli tematici e posizionare que-sti ultimi nel quadro strutturale operativo è supportato daun sistema di tipo procedimentale.

Attraverso i protocolli tematici di garanzia, vengonodeterminate le strategie:– per la conservazione delle risorse di base (aria, acqua,

suolo);– per il mantenimento dell’equlibrio ecologico;– per il contenimento delle esposizioni ai rischi;– per la difesa e la protezione dei valori storico-culturali,

antropologici e formali.

3. I percorsi pianificatori

I percorsi pianificatori, funzionali alla gestione di undeterminato procedimento progettuale, debbono essereselezionati in funzione di predeterminate finalità. La primaè quella di “creazione di conoscenza”, dove per tale, non siintende un’analisi di tipo descrittivo (lettura del territorio econseguente rappresentazione), bensì una organizzazionefinalizzata ad una esplorazione problematica del territorio,sulla base di una “prospettiva di complessità” attraverso ilsostegno di una “ingegneria valutativa”.

Le scienze ambientali, le discipline storiche e le disci-pline della conoscenza sono direttamente interessate alprocesso cognitivo. L’applicazione di principi e metodi dilogica organizzativa, di organizzazione di apprendimento,nonché continui riferimenti alla teoria di coerenza dellaspiegazione, possono agevolare il processo conoscitivo.

Nel progetto di “creazione di conoscenza” debbonoessere coinvolte forme di sapere ordinario, esperto e scien-tifico ed utilizzate modalità di analisi sia quantitativa, siaqualitativa.

Il “progetto di conoscenza”, che accompagna tutto ilpercorso di organizzazione progettuale è costituito dallasintesi degli scenari di identificazione, orientamento eposizionamento riguardante la gestione delle tutele, degliusi e delle valorizzazioni delle risorse di area.

Il piano6 inoltre può essere espresso separatamenteoppure come sintesi di tre modalità:– come piano normativo;– come piano conformativo;– come piano performativo.

Per piano normativo viene inteso un piano attraver-so il quale vengono identificate e perimetrate le aree adifferente grado di sensibilità, vulnerabilità e valore, eper esse vengono stabilite vincoli e limitazioni (con

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applicazione di pianificazione di tipo normativo).Per piano conformativo viene inteso un piano in cui è

costruito un sistema procedimento con il quale, da un lato,viene operata una qualificazione territoriale per areali, dal-l’altro, viene costruito un sistema di valutazione il qualepossa permettere di legittimare le scelte di uso, le strategieprevisionali ed i modi di utilizzazione (pianificazione -stra-tegia).

Qualunque sia la forma di piano scelta, il meccanismofunzionale risultante deve essere equivalente alla specificanormativa d’uso e di valorizzazione ambientale, con riferi-mento ai beni ed alle aree elencati dal quinto comma del-l’art.82 del Decreto del presidente della Repubblica 24luglio 1977 n.616, come integrato e richiamato dall’art. 1bis della legge 431/1985.

Il piano, inoltre, riguardo alla sua natura ed ai suoi con-tenuti, deve essere in grado di provocare tre livelli di con-divisione:– un primo livello di condivisione relativa alla risponden-

za tra elaborazione prodotta, dispositivi di legge e nor-mative sia nazionale, sia regionali;

– un secondo livello di condivisione relativa al rapportofunzionale tra scala amministrativa locale (singolo terri-torio e/o porzione comunale ed enti di governo sovra-comunali);

– un terzo livello di condivisione relativo alla risponden-za tra produzione tematica (piano ambientale paesistico)e piano operativo locale (piano regolatore comunale).

Note

1. Si veda: Di Fidio M., Tutela dell’ambiente naturale; Pirola, Milano,1987.Si parla di “beni” o di “risorse naturali” riferendosi al ruolo assunto daglielementi e dai fattori naturali nell’economia umana. «I beni naturali costi-tuiscono nel loro insieme il potenziale naturale di una determinata zona»,l’ambiente viene a delinearsi come «l’insieme dei fattori abiotici (inani-mati) e biotici (animati) in cui vivono i diversi organismi ed in particola-re l’uomo», e con un significato più ampio con specifico riferimento allasocietà umana viene considerato come «tutto ciò che circonda l’uomo, lopuò influenzare e può essere influenzato». Inoltre, si veda: Salzano E.,Fondamenti di Urbanistica, Laterza, Bari,1998. «l’ambiente per noi è unvalore perché strettamente legato alla dimensione estetica e alla dimen-sione morale della nostra vita».2. Nella I Conferenza Nazionale per il paesaggio tenutasi a Roma dal 14al 16 dicembre del 1999 il paesaggio è inteso come «l’insieme di elementinaturali interrelati alle componenti storiche dovute alla presenza dell’uo-mo sul territorio, che rappresenta in Italia parte fondamentale della nostraidentità culturale e ne costituisce, con i monumenti e le città storiche, l’im-magine caratterizzante, una delle maggiori ricchezze del Paese, attrattivaper il turismo nazionale ed internazionale, prezioso ed immenso patrimo-nio, che la Costituzione pone tra i primi valori da tutelare».La Conferenza ha voluto essere un momento di riflessione collettiva -attraverso un confronto con tutti i soggetti coinvolti - del Paese sul temadella tutela del paesaggio in Italia. Tema centrale è stato l’esigenza del-l’individuazione di nuovi strumenti procedurali e/o amministrativi «cheservono a far si che il paesaggio diventi una delle componenti irrinuncia-bili delle strategie di gestione e pianificazione del territorio da parte delle

autorità locali, regionali e nazionali».3. Bisogna ricordare che l’esigenza di produzione di politiche di tuteladell’ambiente naturale si sviluppa di pari passo con la produzione indu-striale - che minaccia e modifica sempre in modo più preoccupante lanatura ed il paesaggio, e con essa quindi, le risorse naturali - ma si deveevidenziare che il pensiero economico dei grandi economisti - Smith,Ricardo, Marx - ha considerato per oltre un secolo i beni presenti in quan-tità illimitata “privi di valore socialmente riconosciuto” (cioè privi divalore di scambio). Solo da pochi decenni si è riconosciuto all’ambienteun “valore meritevole di tutela”, comprendendo che tutte le risorse, anchequelle apparentemente illimitate ed inesauribili, sono limitate, e la lorolimitatezza non riguarda soltanto la “quantità” del bene risorsa disponibi-le, ma anche la “qualità” che attualmente tende sempre più a ridursi edimpoverirsi.4. I paesaggi protetti appartenenti alla categoria 5 della classificazionedelle aree dell’UICN vengono definiti come «aree dove avvengono armo-niche interazioni tra popolazione umana e natura. Possono palesare ele-menti culturali come l’organizzazione sociale e culturale che si manife-stano nelle modalità d’uso. Aree esteticamente importanti o modelli unicidi insediamento umano, dove sono presenti pratiche colturali agricole,della pesca e del pascolo». Bisogna evidenziare come la maggior partedelle aree protette europee può essere collocata in tale categoria. Tale clas-se, l’unica che prevede le interrelazioni tra uomo e natura, diviene quindiil “contenitore” per tutte le aree protette non classificabili nelle altre cate-gorie dettate dall’UICN.In senso più estensivo per paesaggio protetto vogliamo intendere un par-ticolare tipo di paesaggio che per condizioni costitutive, per sensibilità,per vulnerabilità o valore deve essere assoggettato ad articolate misure ditutela.5. Si veda: F.N.P.N.R., Carta del turismo durevole. Per Sviluppo turisticodurevole s’intende «ogni forma di sviluppo, assetto o attività turistica cherispetta e preserva a lungo termine le risorse naturali, culturali e sociali eche contribuisce in modo positivo ed equo allo sviluppo economico e albenessere degli individui che vivono, lavorano o soggiornano in queglispazi». Un turismo dunque ecologicamente e socialmente sostenibile,impegnato a conservare per le generazioni future - attraverso azioni con-cilianti gli interessi economici, sociali, culturali, scientifici ed ambientalidei luoghi e della popolazione - la bellezza della natura e la possibilità digoderne.6. Si veda: G. Albanese, M.E. D’Angelo, L’urbanistica tra territorio edambiente, Gangemi, Roma, 1992; ed in particolare: «È piuttosto opportu-no individuare capisaldi strategici di formazione del piano, diversamentecoinvolgibili ed utilizzabili ad uno specifico repertorio che contenga, daun lato, indicazioni e parametri tecnici utili per la singola composizioneelaborativa, dall’altro, i necessari criteri di verifica e di controllo dellostrumento stesso, rispetto alle classi di funzioni-obiettivo, costituenti lastruttura delle finalità e dei meccanismi procedurali degli stessi strumen-ti.Nell’ambito di tale repertorio sarà riportata una definitiva classificazionetipologica delle situazioni cui riferire le opportunità redazionali.Tale classifica va perseguita con differenti tecniche e con diversi sistemi,da non effettuarsi in modo rigido, ma capaci di tener conto del comporta-mento funzionale temporalmente attribuibile ad ogni territorio, e, dal fattoche la razionalizzazione dei sistemi consolidati, ed il controllo dello svi-luppo di quelli previsti, va operata a vari livelli della pianificazione egestione urbanistica, che include diversi settori della organizzazione terri-toriale. Ciò si viene a trovare con tre tipi di problemi di portata generale:Il bilancio dell’attività di pianificazione ambientale finora operata.La necessità di configurare lo strumento di piano in maniera più consoli-data ai fini della sua utilizzazione e, relativamente alla sua formazione, inmaniera più congruamente differenziata riguardo le tematiche interessate.L’opportunità di perseguimento di uno strumento meno rigido rispetto aquello tradizionale e che, dovendo assolvere al compito di supporto e diservizio alla più ampia attività di pianificazione, abbia la capacità di varia-

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re funzionalmente, secondo le necessità poste dall’esercizio delle attivitàdi pianificazione. In un necessario ed irrinunciabile tentativo di riconfi-gurazione e rilancio attivo della strumentazione urbanistica, non ci si può,ovviamente esimere dal tirare in campo i principi e presupposti generali,quali gli obiettivi e le strategie cui dovranno obbligatoriamente puntare glistrumenti cui sarà affidata la gestione urbanistica nei prossimi anni».

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in Folio 39n. 10, luglio 2000

Introduzione

La ricerca ha approfondito alcuni aspetti delle rela-zioni tra l’evoluzione della produzione industriale el’uso e la pianificazione dei suoli destinati a tale fun-zione. In questa prospettiva, il contributo della pia-nificazione territoriale può essere finalizzato nonsolo alla definizione di strumenti di supporto tecnicoma anche ad ampliare le capacità di operare degliattori dei processi di trasformazione del territorio,secondo modalità che tengano conto oltre che dellosvolgimento delle attività economiche anche delleesigenze più ampie delle collettività insediate in undeterminato contesto.

Alla concorrenza tra imprese si affianca oggi, inmodo sempre più rilevante, la concorrenza tra territo-ri e tra città che puntano ad attirare quote crescentid’investimenti. Così come le aziende più qualificateriescono a competere su fattori come l’utilizzazionedi alte tecnologie, la qualità e la forza commerciale(non price competition), lo stesso accadrà per i terri-tori più ricchi di elementi di elevata qualità come ilcapitale umano, il tessuto produttivo già esistente, iservizi alle imprese, le infrastrutture a rete, l’efficien-za della pubblica amministrazione, e, non ultima, laqualità complessiva dell’ambiente insediativo. Altriterritori meno dotati competeranno sui fattori legati alprezzo, in altre parole sugli elementi come il livellodei salari o della tassazione (price competition).

Gli aspetti territoriali, pur rimanendo un elemen-to indispensabile per qualsiasi politica industriale,hanno mutato profondamente il loro ruolo. Se ladimensione territoriale delle politiche industriali delrecente passato è stata spesso limitata agli investi-menti in infrastrutture ed aree industriali attrezzatesecondo le caratteristiche richieste dalle esigenzedella produzione, oggi queste politiche non sono piùadeguate a garantire quella competitività di un deter-minato territorio che costituisce un elemento fonda-mentale per attrarre imprese qualificate.

Il settore produttivo ha conosciuto negli ultimianni il passaggio dal sistema cosiddetto fordista

della produzione in serie a modelli d’organizzazionepiù articolati. Le conseguenze sulle modalità di pro-duzione e sulle logiche insediative sono state consi-derevoli. Queste profonde mutazioni hanno riguar-dato non solo le modalità operative ma soprattutto ilsistema di valori alla base dell’agire delle aziende,per quanto riguarda sia i prodotti che i processi.

Anche le evoluzioni delle modalità insediativenelle varie forme in cui esse si manifestano sono datempo oggetto di studi approfonditi. Al modello disviluppo polare delle città che ha fortemente caratte-rizzato i contesti dei paesi industrializzati si affian-cano e sovrappongono nuovi e differenti sistemiinsediativi. La diffusione degli insediamenti urbaninel territorio è forse il fenomeno più eclatante.

In questo quadro di consistenti mutazioni i tradi-zionali sistemi di pianificazione delle attività indu-striali, che ben si adattavano alla produzione dimassa, si sono rivelati inadeguati a fronte dellemutate esigenze delle aziende. La semplice disponi-bilità di zone industriali dotate d’infrastrutture, loca-lizzate in aree con ampia possibilità di impiego dimanodopera a basso costo, non costituisce più l’uni-co elemento alla base delle scelte localizzative. Aquesto quadro di esigenze del mondo della produzio-ne si contrappone la necessità sempre più pressantedi garantire condizioni di compatibilità tra le attivitàproduttive e gli altri usi del territorio.

Obiettivi della ricerca

L’obiettivo principale della ricerca è l’approfondi-mento delle logiche insediative dettate dalle nuovemodalità di produzione e di organizzazione delleimprese, allo scopo di comprendere meglio il ruoloche la pianificazione territoriale può svolgere nel-l’ambito del sistema della produzione industriale e dicontribuire alla definizione di un’innovazione nellaprassi della pianificazione che utilizzi criteri di pro-gettazione contestuali, capaci di apprendere dalle con-dizioni contingenti e di proporre modalità di azionepiù consensuali e meno decisionistiche.

tesi

Le conseguenze territorialidelle evoluzioni del sistemadella produzione industriale

Francesco Martinico

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Le conseguenze territoriali delle evoluzionidel sistema della produzione industriale

Indice

IntroduzioneI nuovi territori della produzione

Economia di mercato e territorioLe conseguenze territoriali delle evoluzioni del sistema della produzione industriale

Parte I TERRITORIO E PRODUZIONE INDUSTRIALE

Capitolo primo La visione aziendale del sistema della produzione

Dal fordismo al toyotismoLe caratteristiche del sistema produttivo fordistaI luoghi della produzione fordistaLa crisi del modello di produzione fordistaLa fabbrica della produzione snellaIl nuovo ruolo dei trasporti e della logistica nella produzione industrialeLe nuove logiche localizzative

Riferimenti bibliografici

Capitolo secondoL’organizzazione territoriale dei sistemi produttivi

Il Mutato scenario internazionale: Globalizzazione e strategie localizzativeFinanza e direzioneI territori della produzioneI luoghi delle produzioni ad alta tecnologiaUno sguardo alla situazione italiana Alcuni contributi teoriciIl fenomeno dei distretti industrialiLa localizzazione dei distretti logisticiLa struttura dei sistemi urbani nello scenario italiano recente

Riferimenti bibliografici

Parte IILE PRATICHE DELLA PIANIFICAZIONE

Capitolo terzoLe esperienze di pianificazione e promozione delle attività industriali in Gran Bretagnae in alcuni paesi europei

Le politiche europee e le agenzie di pianificazioneLa pianificazione delle aree industriali in FranciaLa Gran Bretagna

Dalla commissione Barlow alle politiche di sostegno alle aree meno sviluppateLa pianificazione di struttura e le attività industriali Le recenti trasformazioni nell’organizzazione degli enti locali e nella pianificazio-ne di strutturaLe agenzie per la promozione dello sviluppo La Scottish Enterprise L’esperienza del Galles: la Welsh Development AgencyIl risanamento dei siti industriali e minerari La struttura dell’agenzia e le strategie recentiLe attività promozionali della WdaLa strategia ambientaleGli interventi di rinnovo urbano Il caso della Lg I limiti dell’azione della WdaUn esempio di promozione integrata

Riferimenti bibliografici

Capitolo quartoLe attività industriali nella pianificazione e nella legislazione in Italia

La pianificazione delle aree industriali nella legislazione italianaI nuovi strumenti legislativi La pianificazione territoriale e gli insediamenti industrialiLa manualisticaIl mutato senso della pianificazione delle aree industriali

Riferimenti bibliografici

Parte III I CASI DI STUDIO DEL MEZZOGIORNO

Capitolo quintoLa specificità del contesto meridionale ed alcuni casi di studio

Questione meridionale e sviluppo industrialeLa politica dei poli di sviluppoUn campione di agglomerati industriali del MezzogiornoI fenomeni recenti: l’emergere del Mezzogiorno esportatoreLe nuove strategie delle grandi aziende nel meridioneIl caso di Gioia TauroLa vicenda dell’Area industriale e del portoDal porto industriale alla piattaforma logisticaLe prospettive futureTre modelli insediativi

Riferimenti bibliografici

Capitolo sestoLe Asi in Sicilia

Le Aree di sviluppo industriale: definizioni e quadro normativoAlcune considerazioni sulla legge sicilianaLo stato degli agglomerati sicilianiLa pianificazione degli agglomerati ed il caso dell’Asi Siracusa-Priolo-AugustaLa lezione delle Asi siciliane

Riferimenti bibliografici

Capitolo settimoLe aree industriali nella pianificazione comunale. Il caso dei piani per gli insediamen-ti produttivi in Sicilia

La normativa specificaLe aree per gli insediamenti produttivi nella pianificazione comunaleI Pip finanziati negli ultimi anniIl caso dell’area attrezzata di Priolo GargalloL’esperienza della Regione Molise Un primo bilancio

Riferimenti bibliografici

Capitolo ottavoAttività industriali e sviluppo economico nell’area metropolitana catanese

Il sistema insediativo e i processi economici nell’area metropolitana cataneseLe recenti vicende amministrativeIl patto territoriale Catania SudL’ufficio “Investi a Catania”Le aree industriali catanesiL’area di Pantano d’ArciL’incubatore di impreseLe aziende insediateLe strategie di pianificazione delle aree industriali: dal consorzio Asi all’area metro-politanaLa gestione degli agglomeratiIl ruolo del consorzioLe prospettive dell’area catanese

Riferimenti bibliografici

Capitolo nonoUna visione integrata per la pianificazione degli insediamenti industriali

Le esperienze del MezzogiornoL’esperienza della Gran BretagnaDai modelli territoriali alla teoria del’ azioneLe tre metafore della pianificazione industriale La quarta metafora: “Il territorio lacerato”Il passo successivo: la definizione del processo

Riferimenti bibliografici

APPENDICE ASchede bibliograficheAPPENDICE BElenco testi consultati

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tesi

Una corretta pianificazione che comprenda le logi-che e le esigenze delle imprese all’interno degli inte-ressi collettivi assume un ruolo ancora più importantein contesti che devono basare la loro forza sulla valo-rizzazione degli elementi locali. Infatti, la sfida per ilmantenimento del vantaggio competitivo si giocaoggi sempre di più sulla dotazione di beni collettivimateriali (infrastrutture e qualità insediativa edambientale) ed immateriali (efficienza della pubblicaamministrazione, capacità gestionale ed abilità anegoziare per il raggiungimento di obiettivi di lungoperiodo).

La pianificazione delle aree industriali si è tradi-zionalmente intrecciata in generale con le politicheindustriali ed in particolare con gli interventi a favoredelle zone meno sviluppate dei paesi ad economiacapitalistica. Nei casi di studio esaminati si è cercatodi evidenziare da una parte le assonanze e dall’altragli scarti e le incoerenze rispetto alle dinamiche checaratterizzano il mondo della produzione industriale ele esigenze di un uso del territorio che ne rispetti lespecificità ed i valori.

Per quanto riguarda l’ambito della ricerca,occorre chiarire che oggi il processo di fabbricazio-ne dei prodotti tende sempre di più a compenetrarsicon quelle della direzione e della logistica, creandodelle zone grigie tra le diverse attività. La difficoltànel definire esattamente l’oggetto dello studio èemblematica della natura del processo produttivo,sempre meno riconducibile entro precisi confini.Gli argomenti trattati rimandano all’attività indu-striale intesa come processo di fabbricazione di pro-dotti attraverso la trasformazione di materie prime,con un breve accenno agli aspetti della logistica, perle loro rilevanti implicazioni di tipo territoriale.

Metodologia e struttura della tesi

Il dibattito disciplinare punta da tempo adapprofondire le ragioni della crisi della pianifica-zione. Il superamento dell’approccio tecnico razio-nale nei suoi svariati esiti, tra i quali l’utilizzo dimodelli matematici che ha rivelato i suoi limitinella risoluzione dei problemi complessi, ha gene-rato risultati articolati. Affrontare il tema degliinsediamenti produttivi comporta la capacità diosservare la realtà anche da un punto d’osservazio-ne differente, cioè quello degli operatori economi-ci. Una crescente attenzione, a partire dagli annisettanta, è stata rivolta agli aspetti procedurali ed alruolo delle organizzazioni che si occupano dellapianificazione territoriale. In questo senso l’analisieffettuata sulle esperienze italiane ed estere ha for-nito spunti e suggerimenti utili per la ricerca.

A quest’aspetto si lega un altro tema ampiamentedibattuto, cioè quello dell’interdisciplinarietà, intesacome necessità di creare un linguaggio comune checonsenta di costruire modalità operative più evolute.Comprendere in che modo contributi provenienti daaree disciplinari “contigue” come ad esempio l’epi-stemologia della pratica professionale1 o lo studiodelle organizzazioni2, possano contribuire a definiredelle modalità di pianificazione più efficaci può rap-presentare un utile tentativo di approfondimento.

La metodologia utilizzata ha affiancato alla letturadelle teorie e dei casi di studio riscontrabili in lettera-tura una verifica diretta, effettuata con riferimento adalcuni casi tratti dalla realtà dell’Italia meridionale.Uno degli strumenti utilizzati è stata l’analisi di alcu-ni aspetti di quella letteratura di matrice extradiscipli-nare, che osserva sia la produzione industriale “dalpunto di vista dell’azienda” che il funzionamentodelle organizzazioni. Lo scopo di tale approfondi-mento è stato duplice: da una parte tentare di com-prendere con maggior dettaglio quello che accadeoggi all’interno della fabbrica per verificarne poi gliesiti nel territorio, dall’altra comprendere meglio iprocessi che governano le organizzazioni che pianifi-cano e gestiscono le aree industriali.

Nella prima parte si analizzano i modi in cui lefabbriche si localizzano oggi nel territorio. Prendendospunto dalla letteratura che osserva la scatola neradella fabbrica dall’interno, sono stati indagate edescritte le principali conseguenze sulla localizzazio-ne delle fabbriche e sull’organizzazione territoriale,con riferimento ai paesi occidentali ed all’Italia.

La seconda parte è rivolta alla conoscenza delleprassi pianificatorie relative agli insediamenti produt-tivi. Anche in questo caso sono state analizzate leprincipali modalità di pianificazione a partire da quel-le tradizionali fino ad alcune esperienze più recenti edinnovative in Italia e all’estero tra cui l’esperienzadell’Agenzia di promozione dello sviluppo del Galles.

Nella terza parte sono stati approfonditi alcuni casidi studio della realtà meridionale, con particolare rife-rimento alla Sicilia.

Nella conclusione si propongono alcuni elementidi riferimento per una possibile mutazione nella pia-nificazione delle aree industriali. attraverso un meto-do di lettura delle modalità di pianificazione esamina-te basato sulla distinzione tra l’attività di problem sol-ving e problem setting proposta da Donald Schön.

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Parte PrimaTerritorio e produzione industriale

1 La visione aziendale del sistema della produzione

La modalità di produzione in grande serie e acosti contenuti è solitamente individuata con il ter-mine di fordismo poiché si fa risalire la sua intro-duzione al fondatore della casa produttrice di auto-mobili. Essa richiedeva un’organizzazione deglispazi di produzione ben caratterizzata. Alla vigiliadella prima guerra mondiale questo modello si eradefinitivamente affermato, anche se la produzioneartigianale continuerà a giocare un ruolo nello svi-luppo economico dei paesi industrializzati.

L’organizzazione del processo produttivo fordi-sta è basata su una lavorazione a catena di montag-gio per l’assemblaggio del prodotto finale. La pre-parazione delle parti complesse avviene per lotti.Le parti da assemblare nel prodotto finito sonoaccumulate in aree dello stabilimento in attesa diessere assemblati nella catena di montaggio.

Tali elementi si riflettono sia sulle scelte dilocalizzazione della fabbrica che sull’organizzazio-ne spaziale della stessa. Inizialmente, la localizza-zione è stata influenzata principalmente dalla pre-senza delle fonti energetiche assieme alla vicinanzadelle fonti di approvvigionamento delle materieprime, che consentiva di ottimizzare i costi del tra-sporto, e da una disponibilità di una consistenteforza lavoro a basso costo.

Molteplici sono le motivazioni alla base dell’in-debolimento del modello di produzione fordista edell’emergere di nuovi sistemi produttivi. Tra que-ste vi sono certamente l’evoluzione tecnologica, lavolontà di modificare la struttura dei costi dei siste-mi produttivi, riducendo il peso della manodoperae, infine, la tendenza alla saturazione del mercatodei prodotti di largo consumo. Uno degli aspettiche ha certamente cambiato la fabbrica è la diffu-sione delle tecnologie. Il numero maggiore di cam-biamenti organizzativi si è tuttavia verificato a par-tire dall’esperienza dell’industria giapponese e, inparticolare, di quella automobilistica3.

L’immagine ricorrente nella letteratura, utilizza-ta per descrivere la nuova filosofia della produzio-ne, è quella del flusso di un liquido attraverso unatubazione4. In effetti, il processo produttivo vienelinearizzato, cioè si tende ad integrare le varie fasiin un processo continuo che deve scorrere il piùpossibile senza interruzioni. Contemporaneamentesi cerca di produrre, o acquistare all’esterno, i com-ponenti del prodotto finale e le materie prime, esat-tamente nel momento in cui esse sono richieste nelprocesso produttivo.

Osservando i cambiamenti che si sono verificatinelle modalità di produzione a partire dagli annisessanta, appare evidente come efficienti sistemi ditrasporto costituiscano non solo un vantaggio com-petitivo ma siano una condizione indispensabileper attuare le nuove strategie produttive. Negli ulti-mi venti anni la logistica, intesa come sistema digestione del flusso di materie prime e componentinel processo produttivo e distributivo, ha assuntoun ruolo cruciale, diventando uno degli aspetti stra-tegici del business aziendale.

Nei sistemi industriali moderni quindi il vantag-gio competitivo non è più solamente un problemadi basso costo del lavoro o del terreno su cui instal-

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in Folio 43n. 10, luglio 2000

tesi

lare l’impianto ma il risultato di un complesso diazioni manageriali di lungo termine mirate princi-palmente all’investimento sul capitale umano.Queste caratteristiche rendono difficilmente trasfe-ribile un impianto produttivo che abbia raggiuntolivelli d’eccellenza. Tutto questo influisce in modorilevante non solo sulla forma degli stabilimentiindustriali ma anche sulle scelte localizzative delleaziende che necessitano, ad esempio, di lavoratoriad elevata formazione anche nei ruoli più operativi,e di un articolato sistema di aziende cui delegarefasi del processo produttivo. I fattori localizzativifondamentali in questi campi diventano la qualitàdella forza lavoro e dell’ambiente socio-culturale(aziendale ed esterno), tutti elementi necessari perconsentire la massima produttività.

La qualità dell’ambiente fisico è strettamentelegata alle nuove logiche della localizzazione. Essasi può considerare5 una conseguenza e non unacausa di localizzazione, in quanto una presenza con-sistente di forza lavoro qualificata e con redditi altigenera una particolare attenzione per la qualità deiservizi e dell’ambiente. Tuttavia, un’elevata qualitàambientale può diventare un importante elemento dirichiamo soprattutto per quelle aziende che, operan-do in ambienti ad elevato tasso di innovazione,devono attrarre personale altamente qualificato cherichiede solitamente un luogo di lavoro ed un con-testo residenziale e ricreativo di elevato livello.

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2. L’organizzazione territoriale dei sistemi produttivi

In questo capitolo si prosegue l’analisi di alcuniaspetti della mutazione del sistema della produzio-ne assumendo un punto d’osservazione più ampiorispetto a quello dell’organizzazione aziendale. Ilconfine tra gli argomenti trattati in questo capitolo ein quello precedente, tende a divenire sempre piùlabile poiché oggi le aziende manifatturiere tendonoad essere maggiormente integrate in una rete di rap-porti con il territorio.

Il punto di partenza è la constatazione di come ifenomeni di globalizzazione hanno portato ad unaparcellizzazione dei processi, finalizzata all’otti-mizzazione dell’uso dei fattori produttivi localizza-ti in ciascun territorio. A tale fenomeno si affianca ilruolo crescente del settore quaternario, soprattuttofinanza e direzione aziendale, che conosce una fased’elevata crescita e modalità insediative caratteriz-zate da una forte concentrazione in una rete gerar-chica di centri con a capo le tre città globali(Londra, New York e Tokyo)6.

L’evoluzione dei fenomeni localizzativi dell’in-dustria è efficacemente sintetizzata nel passaggio daun modello gerarchico ad uno reticolare. Tale con-cetto però non implica affatto un’indifferenza loca-lizzativa dell’insediamento industriale che conosceinvece rilevanti fenomeni di territorializzazione7

dovuti all’importanza del ruolo svolto dalle risorseumane e più in generale dall’accumulazione di benicollettivi sociali e materiali. In questo senso, è par-ticolarmente indicativo l’esempio dei luoghi in cuisi concentrano le produzioni ad alta tecnologia, eparticolarmente quelli localizzati negli Stati Uniti.

Per quanto riguarda la situazione italiana, ilfenomeno più interessante è quello dei distrettiindustriali8, il cui ruolo si è progressivamente affer-mato a partire dal processo di decentramento pro-duttivo che si avvia negli anni ‘70. I distretti si

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caratterizzano fortemente per la complessa rete dirapporti tra la struttura sociale delle comunità e lemodalità insediative, segnate dalla presenza di unarete di centri urbani privi di una forte organizzazio-ne gerarchica, dalla diffusione insediativa e dalruolo spesso marginale svolto dal capitale fissosociale.

Un altro importante fenomeno riguarda la loca-lizzazione delle infrastrutture per la logistica, nellanuova accezione che il termine va assumendo nel-l’ambito delle attività di produzione. La logistica,infatti, include sempre più spesso fasi a valoreaggiunto del ciclo produttivo che sono svolte nel-l’ambito di aree ad elevata concentrazione di servi-zi ed infrastrutture situate in posizione baricentricarispetto ai flussi di merci che si configurano comeveri e propri distretti logistici9.

I fenomeni osservabili nel territorio italiano,seppure con una forte differenziazione regionale, sicaratterizzano per una crescente complessità deilegami tra i processi di produzione e le altre attività,come ad esempio i servizi. A questo si aggiungal’incremento della capacità di interagire sia con isistemi locali sia con ambienti remoti legati in unaconfigurazione reticolare, fenomeno tipico dellerealtà più dinamiche10.

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Parte SecondaLe pratiche della pianificazione

3. Le esperienze di pianificazione e promozionedelle attività industriali in Gran Bretagna e in alcu-ni paesi europei

La necessità di ridurre le disparità regionali rap-presenta, sin dal 1986, uno degli obiettividell’Unione Europea. Di conseguenza, la recentetendenza delle politiche dell’Unione ha visto un rin-novato interesse nei confronti dei temi dello svilup-po regionale e della pianificazione territoriale.

L’analisi degli investimenti diretti esteri dimostracome essi si siano concentrati principalmente nelleregioni con costo del lavoro relativamente alto madotate di fattori come la qualificazione della forzalavoro, le infrastrutture e l’ambiente, cioè tutti que-gli elementi di supporto alla produttività che sono diimportanza prevalente rispetto al semplice costodella manodopera.

Un elemento di particolare interesse che emergeda tali strategie è il riconoscimento che la pianifica-zione regionale deve coinvolgere, con la stessaintensità, gli aspetti ambientali e quelli economici.Un elemento importante nelle politiche di svilupporegionale attuate in diversi paesi europei è costituitodalle agenzie di sviluppo regionale. Esse sono pre-senti in diversi paesi, tra i quali Belgio, Francia,Danimarca Germania, Gran Bretagna, Irlanda,Portogallo e Spagna.

Particolarmente significative sono le esperienzedelle agenzie di sviluppo francesi ed inglesi. Inentrambi i casi, si tratta di paesi con una consolidatatradizione nell’ambito della pianificazione di areavasta, nei quali è stata rivolta una particolare atten-zione alle attività industriali. Nel caso inglese lavicenda della pianificazione delle attività industriali

ha origine nei primi tentativi, risalenti al 1945, dicontrollare la localizzazione delle industrie in unalogica di riequilibrio della concentrazione nell’arealondinese. Le successive esperienze degli StructurePlans, come il caso dell’area di Glasgow in Scozia,introducono interessanti elementi quali la classifica-zione dei siti industriali in funzione della qualità delcontesto, allo scopo di destinare i siti di maggiorpregio ad attività ad elevato valore aggiunto.

L’esperienza dell’Agenzia per lo Sviluppo delGalles (Wda) rappresenta un interessante esempio dipromozione integrata di un territorio profondamentesegnato, sia dal punto di vista ambientale che daquello socio economico, dalle attività minerarie edelle industrie del settore metallurgico. L’agenziagallese, dalla sua costituzione avvenuta nel 1975,opera in un vasto campo d’attività, dal risanamentodei siti industriali dismessi alla promozione territo-riale mirata ad attrarre nuovi investimenti, alla con-sulenza ed assistenza verso le aziende già insediate.Le attività di promozione del territorio gallese sonocaratterizzate da una strategia che mira ad attrarreinvestimenti puntando sulla qualità delle risorse.Questo significa offrire ai potenziali investitori ele-menti quali una forza lavoro altamente qualificata, lapossibilità di trovare fornitori di componenti e semi-lavorati e, non ultima, un’elevata qualità dei sitiindustriali e del territorio nel suo complesso.

L’evoluzione delle attività svolte dall’Agenzia èstata caratterizzata da un progressivo spostamentoverso le attività di consulenza alle aziende insediatee d’attrazione di nuovi investimenti, rispetto al ruoloiniziale di promotore immobiliare, impegnato nellarealizzazione diretta d’aree e capannoni industriali.Un’attenzione particolare è rivolta ai temi ambienta-li. La strategia dell’Agenzia è basta sul presuppostoche non debba esserci conflitto tra sviluppo econo-mico e protezione dell’ambiente. In questa logical’investimento ambientale deve contribuire allacostruzione di un’immagine vendibile del Galles edal miglioramento della qualità della vita degli abitan-ti. Tale qualità costituisce un ulteriore elemento divantaggio per le aziende che preferiscono scegliereluoghi in cui è più facile attrarre risorse umane,anche grazie ad un elevato standard insediativo.

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4. Le attività industriali nella legislazione e nellapianificazione in Italia

L’analisi dei principali provvedimenti legislativiitaliani e dei contributi offerti dalla disciplina urbani-stica con riferimento alle attività industriali, a partiredagli anni ’50, consente di comprendere alcuni aspet-ti delle vicende dello sviluppo industriale in Italia.

Il principale provvedimento legislativo italianoche riguarda, a partire dagli anni ‘50, la pianifica-zione delle aree industriali (L. 634/57) s’inquadra

nell’ambito delle politiche per l’intervento specialedel Mezzogiorno. L’obiettivo di queste politiche erala costituzione di un sistema d’attività produttive,principalmente orientate ai settori tradizionali(metalmeccanico, petrolchimico) da diffondere sul-l’intero territorio nazionale, allo scopo di riequili-brare lo sviluppo industriale del Paese. Tale riequi-librio per i pianificatori poteva essere raggiuntoattraverso la costituzione nel Mezzogiorno d’areeattrezzate per favorire l’insediamento delle indu-strie “libere”, vale a dire non legate a risorse natu-rali o alla presenza dei centri urbani11. Queste poli-tiche potevano compensare le rilevanti economieesterne e la maggiore solidità dell’armatura urbana,riscontrabili nelle regioni del Nord del Paese. I pro-blemi posti da questo modello di sviluppo industria-le erano sostanzialmente tecnici e riguardavanosoprattutto il corretto dimensionamento delle infra-strutture a servizio di una produzione industriale dimassa.

Il panorama legislativo recente si è arricchito dinuovi strumenti che hanno superato la visione set-toriale dei primi provvedimenti. Si tratta di normeche definiscono un complesso d’interventi a favo-re dello sviluppo economico, denominate comeprogrammazione negoziata. L’obiettivo dichiaratodi queste nuove modalità d’intervento, come i PattiTerritoriali, è quello di perseguire un progetto disviluppo che sia radicato nella realtà territoriale eche coinvolga diversi settori, oltre a quello mani-fatturiero – in particolare il turismo e l’agricoltura– da promuovere attraverso progetti che vengonodefiniti mediante un processo di negoziazione.Anche le cosiddette “leggi Bassanini” introducononorme relative alle attività industriali come l’isti-tuzione dello Sportello unico per le attività produt-tive. Lo scopo è quello di semplificare i procedi-menti relativi alle normative urbanistiche, sanita-rie, di tutela ambientale e della sicurezza, pergarantire rapidità e trasparenza nei procedimentiautorizzativi.

Per quanto riguarda l’interesse dell’urbanisticaitaliana per le attività industriali si deve rilevarecome esso è stato senza dubbio minore rispetto allatradizione d’altre discipline, come quelle sociologi-che ed economiche. Il tema degli insediamenti indu-striali è stato trattato principalmente con un approc-cio di tipo tecnico, finalizzato a garantire alla pro-duzione industriale bassi costi d’impianto e buonecondizioni di lavoro per gli operai. Alcuni contribu-ti disciplinari12 più recenti dimostrano l’evoluzionedell’approccio al problema. Da una visione raziona-le si passa ad approcci più problematici che inqua-drano il tema della pianificazione industriale in una

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prospettiva storica e valutano le relazioni con lepolitiche industriali e con i comportamenti di loca-lizzazione spaziale delle imprese.

La localizzazione delle attività industriali è,infatti, sempre più dipendente da un complessoinsieme di elementi. Il ruolo della pianificazioneterritoriale è profondamente mutato; esso può man-tenere ancora una rilevanza, a condizione di esseresempre di più giocato in un contesto di integrazionecon altre forme di politica industriale.

In particolare emergono due aspetti, tra loro for-temente correlati. Il primo è la difesa delle “ragionidel territorio”, da tutelare anche attraverso un cor-retto uso, e riuso, delle aree per la produzione indu-striale. Questa tutela inoltre rappresenta, nel lungotermine, anche una garanzia per le forze imprendi-toriali, salvaguardando il valore economico degliinvestimenti industriali. Il secondo è la necessità digiocare un ruolo nel processo di accentuata compe-tizione e specializzazione territoriale che non puòriguardare solamente la dotazione di servizi di tipoimmateriale, come la finanza, la formazione o lacreazione di reti di imprese, ma richiede anche qua-lità insediativa, come dimostrano, ad esempio, ipiani di struttura britannici, attenti anche alla salva-guardia dei siti industriali di pregio.

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Parte terza I Casi di Studio del Mezzogiorno

5. La specificità del contesto meridionale ed alcunicasi di studio

Il Mezzogiorno d’Italia è oggi caratterizzato dauna condizione di considerevole eterogeneità sia deiprocessi di sviluppo economico che della strutturainsediativa delle attività industriali. Se anche nelcontesto meridionale si afferma la prevalenza del-l’economia dei servizi e livelli di consumo inferiorima comunque comparabili con il resto del Paese13,è innegabile una condizione di divario sostanzialerispetto alle regioni settentrionali. La situazioneattuale è caratterizzata da una notevole varietà neltasso di sviluppo delle regioni che include condizio-ni migliori, come nel caso dell’Abruzzo e, in misu-ra minore, del Molise e casi più problematici comela Sicilia o la Calabria14.

Tuttavia diversi elementi dimostrano che anchein contesti meridionali si possono verificare interes-santi fenomeni di crescita di attività produttive, for-temente orientate all’esportazione, in settori in cui ècruciale il ruolo delle economie esterne di tipoambientale15. Processi di sviluppo analoghi aidistretti industriali cominciano a consolidarsi inalcune aree del Mezzogiorno mentre in altre, comead esempio la Sicilia, continuano ad avere un pesomarginale.

A queste nuove tendenze si affiancano ancora leattività industriali e gli usi del territorio legati allalunga stagione dell’intervento speciale che, puravendo contribuito in misura notevole alla dotazio-ne infrastrutturale del Mezzogiorno, ha costituito unsistema, non sempre efficiente, di insediamenti pro-duttivi.

La politica dello sviluppo per poli ha portato allarealizzazione di un sistema, spesso poco coerente,di infrastrutture per le attività industriali che, al dilà delle intenzioni programmatiche, ha prodottoprincipalmente l’insediamento di grandi complessiindustriali, prevalentemente di proprietà pubblica.Le conseguenze del mancato sviluppo industriale,perseguito attraverso l’intervento speciale, sonoancora più profonde poiché il Mezzogiorno non èriuscito a costruire quel sistema di elementi (tessu-to di relazioni industriali, contesto istituzionale eformativo, dotazione di servizi, qualità urbana, ecc.)indispensabili ad attrarre attività produttive ed a sti-molarne la nascita.

Il quadro dello sviluppo industriale, e non solo,del Mezzogiorno è tuttavia molto più articolato diquanto possa emergere dalla lettura in negativo del-

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l’esperienza delle politiche di sostegno allo svilup-po. L’emergere di alcune aree in cui si sono affer-mati sistemi produttivi particolarmente dinamici èsegnalato dall’andamento delle esportazioni. Uncaso emblematico è quello della zona di Matera incui si è sviluppato in pochi anni un vero e propriodistretto industriale che opera nella produzione deidivani, destinati soprattutto all’esportazione.

Negli ultimi anni, si sono verificate delle trasfor-mazioni anche nelle strategie adottate da alcunegrandi aziende che hanno stabilimenti industrialinelle regioni meridionali. Particolarmente emble-matico è il caso della politica adottata dalla Fiatdopo il 1989, con la costruzione del nuovo stabili-mento di Melfi, in Basilicata. La qualità del conte-sto sociale ha favorito la costruzione della nuovacultura richiesta dalla produzione snella. La condi-zione di pratoverde (greenfield) dell’area melfese,da vincolo si è trasformata in opportunità per l’in-sediamento della nuova fabbrica16.

Un altro caso emblematico, per gli sviluppi deltutto inattesi rispetto ai piani originari, è la vicendadell’Area industriale e del porto di Gioia Tauro. Ilgrande porto industriale, costruito inizialmente aservizio del V Centro Siderurgico mai realizzato,dopo alterne e complesse vicende ha conosciuto undestino del tutto diverso ed è oggi adibito a terminalcontainers gestito da una società privata. In pochianni l’attività del porto ha conosciuto un ritmo dicrescita elevatissimo diventando uno dei principaliscali del mediterraneo. Un sito per molti aspettimarginale dal punto di vista non solo geografico maanche socioeconomico rispetto alle regioni forti, incui si concentrano i distretti logistici, si è trasfor-mato improvvisamente in un luogo centrale nellanuova logica del trasporto marittimo. Si è quindicreata una delle condizioni necessarie, ma non suf-ficienti, per costituire nella zona una piattaformalogistica. Tale condizione rappresenta un’opportu-nità di grandissimo interesse per l’area che attendeancora di essere adeguatamente utilizzata e chevede nella disponibilità di grandi superfici di suoloindustriale un importante vantaggio rispetto ad areepiù congestionate, come ad esempio Rotterdam oGenova.

In estrema sintesi si possono individuare tremodelli insediativi per le attività industriali delMezzogiorno: quello etero-diretto tradizionale,riconducibile alla logica degli agglomerati Asi,etero-diretto aggiornato, come nel caso della Fiat aMelfi o della ST a Catania, endogeno aggiornatocon riferimento ai sistemi produttivi assimilabili adistretti industriali.

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6. Le Asi in Sicilia

La vicenda delle aree di sviluppo industriale inSicilia è lunga e complessa. Gli avvenimenti recentisono infatti intrecciati alla storia della Cassa per ilMezzogiorno, e della successiva Agenzia.

In Sicilia l’attività degli 11 consorzi Asi è regola-ta da una legge regionale che ne condiziona in modorilevante il funzionamento. L’elemento principaleche caratterizza la legge sembra l’esigenza di agevo-lare l’insediamento industriale, favorendo soprattut-

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to la riduzione del costo del suolo e la dotazioneinfrastrutturale. Come abbiamo visto, tali fattori gio-cano ancora oggi un ruolo importante ma non piùesclusivo nell’attrazione delle aziende. Del tutto tra-scurato dalla legge è, ad esempio, l’aspetto relativoalla capacità di rispondere in tempi rapidi e certi alleesigenze delle aziende. Per quanto riguarda la ces-sione delle aree, il meccanismo previsto appare par-ticolarmente rigido. Non sono infatti previste moda-lità differenti rispetto alla vendita e questo causanotevoli problemi.

La situazione relativa agli agglomerati industria-li gestiti dai consorzi Asi siciliani presenta un qua-dro piuttosto frammentato. L’utilizzazione delle areeindustriali Asi si concentra negli agglomerati mag-giori, situati nelle zone più sviluppate e/o urbanizza-te della regione. Le politiche di sostegno alle indu-strie, compresa la realizzazione degli agglomeratiAsi, sono riuscite solo in minima parte a diffonderel’attività secondaria nel territorio della regione,secondo quei principi di riequilibrio territoriale allabase delle politiche di industrializzazione delMezzogiorno. La situazione peggiore riguarda learee meno sviluppate della regione ed in particolarele provincie di Agrigento ed Enna, ad ulteriore dimo-strazione che la disponibilità di aree attrezzate non èriuscita a controbilanciare tutti gli altri elementi cheimpediscono lo sviluppo delle attività industriali.

Il primo elemento che emerge dall’esperienzadelle Asi siciliane è la constatazione che anche inSicilia le modalità di pianificazione e gestione deisuoli a destinazione industriale, impostate a partiredalla seconda metà degli anni ’50, pur avendo con-sentito la realizzazione di un sistema infrastrutturaledi una certa importanza, sono oggi ampiamente ina-deguate non solo rispetto alla salvaguardia degliinteressi collettivi ma anche in relazione alle esigen-ze delle aziende.

In secondo luogo si rileva che, anche da un puntodi vista “aziendale”, gli attuali meccanismi di piani-ficazione e gestione si rivelano inefficaci. I datidisponibili confermano che l’attenzione principale,sia da parte del legislatore nella redazione dellenorme che da parte dei consorzi nella gestione dellearee, è stata rivolta essenzialmente verso la costru-zione dei sistemi infrastrutturali.

Un elemento assolutamente carente è quello delcoordinamento dell’azione dei consorzi, ciascunodei quali opera in assoluta autonomia, aumentandocosì la possibilità che si verifichino sprechi e dupli-cazioni. Vengono inoltre a mancare dei meccanismidi promozione efficaci che consentano di attirarenuovi investimenti nelle aree esistenti ed ampiamen-te sottoutilizzate. Questo ruolo può essere svolto

efficacemente da un’istituzione che operi a strettocontatto con la realtà locale, come ad esempio, un’a-genzia di promozione dello sviluppo agile e dinami-ca, che abbia competenza esclusivamente sul territo-rio regionale, all’interno della quale le scelte di pia-nificazione e gestione dei suoli a destinazione indu-striale devono integrarsi con le politiche industrialiin senso lato.

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7. Le aree industriali nella pianificazione comuna-le. Il caso dei piani per gli insediamenti produttiviin Sicilia.

Una vicenda di notevole interesse, per compren-dere la distanza esistente tra i meccanismi di pianifi-cazione delle aree per le attività industriali e le effet-tive esigenze delle aziende, è quella dei piani per gliinsediamenti produttivi (Pip), destinati principalmen-te ad accogliere le imprese artigiane che svolgonoattività di produzione. Anche in questo caso la Siciliaha una legislazione regionale che modifica le normenazionali.

La ricostruzione di un quadro complessivo aggior-nato della pianificazione comunale in Sicilia, utile percomprendere la vicenda dei Pip si presenta estrema-mente problematico17, a causa della carenza d’infor-mazioni a disposizione delle strutture tecniche del-l’amministrazione regionale. L’analisi dei dati dispo-nibili conferma diverse carenze nella modalità con cuisono state pianificate le aree attrezzate siciliane. In

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primo luogo si riscontra una sostanziale mancanza diprogrammazione nell’allocazione delle risorse.Inoltre, la minima percentuale di utilizzazione dellearee è indicativa sia di un’insufficiente risposta alleesigenze delle imprese esistenti che di una mancatacapacità di attrarre nuovi investimenti. Nonostante lenorme sui Pip appaiano più avanzate rispetto a quellerelative ai consorzi Asi la loro attuazione dimostra unachiara mancanza di strategie ed un approccio fram-mentato e inefficiente.

I piani per gli insediamenti produttivi tuttavia,costituiscono una modalità insediativa che presentadiversi vantaggi che, se opportunamente utilizzati,possono trasformare tale vicenda in un’interessanteopportunità per le comunità locali. Si tratta infatti diinsediamenti di dimensioni più contenute, destinati adaccogliere piccole strutture produttive e ciò acquisisceparticolare importanza in un’epoca in cui la distinzio-ne tra grandi e piccole aziende cambia profondamentedi significato. Essi quindi possono più facilmenteessere progettati e realizzati con modalità che garanti-scano un minore impatto territoriale, rispetto ai grandiagglomerati industriali realizzati negli anni ‘60. Taleelemento è particolarmente importante alla luce delfatto che l’evoluzione di sistemi produttivi privilegiagli insediamenti di piccole dimensioni fortemente inte-grati con la struttura sociale e territoriale di un deter-minato contesto.

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8. Attività industriali e sviluppo economico nell’a-rea metropolitana catanese

L’area metropolitana catanese – polo centrale diuna più vasta conurbazione che si articola, quasi concontinuità, lungo la costa orientale siciliana daMessina a Siracusa ed oltre – è caratterizzata tradi-zionalmente da una prevalenza di attività economichecentrate sul settore commerciale. Il sistema economi-co provinciale, nel suo complesso già scarsamenteorientato alle attività industriali, ha subito una consi-derevole crisi negli ultimi anni. A tale quadro genera-le caratterizzato da diversi elementi negativi si con-trappongono alcuni segnali di ripresa legati sia alle

recenti vicende amministrative che all’emergere di unpolo di attività ad alte tecnologia che fa capo allaazienda multinazionale ST Microelectronics.

Le principali attività industriali che si svolgononell’area catanese sono localizzate nei nuclei gestitidal consorzio Asi. Il consorzio per l’Area di SviluppoIndustriale di Catania gestisce tre distinti agglomera-ti, il maggiore dei quali, denominato Pantano d’Arci,e localizzato nella zona pianeggiante a Sud diCatania. Si tratta di un insediamento industriale digrandi dimensioni progettato all’inizio degli anni ‘60secondo i criteri allora prevalenti che ipotizzavanouno sviluppo dei settori tradizionali delle attivitàindustriali e che oggi appare sostanzialmente sovradi-mensionato, A tale aspetto si aggiungono i problemigestionali che riguardano sia le modalità di acquisi-zione e assegnazione di nuove aree che la fornituradei servizi all’interno dell’agglomerato.

Anche nel caso catanese l’attuale modalità di ope-rare del consorzio Asi è caratterizzata da procedurelunghe e complesse che richiedono frequenti intera-zioni con altre istituzioni pubbliche e caratterizzateda livelli di complessità. Analogamente a quantoaccade nelle altre amministrazioni, le strategie adot-tate a livello sia territoriale che gestionale sono carat-terizzate da un’elevata inerzia, che rende particolar-mente difficoltoso il cambiamento. Le conseguenzedi questa generale mancanza di efficienza sono quin-di ancora più rilevanti considerando il livello diestrema competizione, anche internazionale, cui sonosottoposte aziende che operano in regime di liberomercato.

In particolare, l’atteggiamento riscontrabile perquanto riguarda le scelte di tipo territoriale sembragovernato da un processo di autorafforzamento18

delle iniziali opzioni di piano. Il programma iniziale,che si è rivelato non rispondente alle effettive esigen-ze di sviluppo industriale dell’area, non è stato assog-gettato ad alcuna revisione sostanziale.

Certamente i problemi legati allo sviluppo di unterritorio come quello catanese non possono ridursi aquelli connessi alla pianificazione delle aree industria-li. D’altra parte la sola disponibilità di ampie superficigià pronte per l’insediamento di nuovi impianti, comequella verificata nel caso in questione, non è sufficien-te a generare sviluppo. Essa però costituisce un’im-portante opportunità, da integrare in una strategia piùcomplessa come dimostrano alcune esperienze euro-pee19. Probabilmente l’istituzione dell’agenzia per losviluppo, proposta dall’amministrazione comunale,potrà svolgere quest’auspicabile ruolo di coordina-mento, a condizione che essa abbia competenze di tipoorganizzativo in grado di consentire il dialogo tra i variattori dei processi ed anche effettivi poteri di incidere

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tesi

sulle scelte relative alla pianificazione e gestione deisuoli industriali.

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9. Una visione integrata per la pianificazione degliinsediamenti industriali

Le vicende esaminate nel corso della ricerca hannoconsentono sia di effettuare alcune riflessioni riferitesia alle situazioni specifiche analizzate che di propor-re uno schema interpretativo di portata più generaleall’interno del quale si individuano alcuni elementiche potrebbero costituire uno quadro di riferimentoper una pianificazione delle aree industriali delMezzogiorno più coerente con lo scenario attuale.

Un interessante modo per sintetizzare le strategiedi pianificazione adottate in Europa dal dopoguerra inpoi, con particolare riferimento all’industrializzazionenelle aree a sviluppo ritardato può basarsi sul concetto

proposto da Schön20 secondo il quale nella fase fonda-mentale di definizione di un problema si fa spessoricorso alle metafore.

Seguendo questo schema concettuale si è provato aripercorrere le vicende sinteticamente riportate in pre-cedenza, allo scopo di ricostruire quali possano esserestate le metafore che hanno guidato gli interventi dipolitica industriale e le relative modalità di pianifica-zione e gestione. Naturalmente si tratta soltanto di unartificio retorico il cui unico obbiettivo è quello disistematizzare alcuni dei concetti esposti. L’obbiettivoè cercare di comprendere come un cambiamento diimpostazione possa contribuire a sbloccare quella con-dizione di impasse che sembra caratterizzare le politi-che per le aree industriali nel Mezzogiorno.

Alla luce di queste avvertenze si può provare a rias-sumere la vicenda delle politiche per la promozionedello sviluppo in Europa nel seguente schema:

Le tre metafore:Il territorio povero(Italia, Gran Bretagna, Francia, dagli anni ‘50 fino aiprimi anni ‘80):– la realizzazione delle infrastrutture;– lo sviluppo per poli;– le incentivazioni economiche.

Il territorio come luogo del libero mercato(Gran Bretagna anni ‘80 Italia, anni ‘90):– Lo sviluppo a tutti i costi;– Alcuni esiti della programmazione negoziata, lalegge Bassanini.

Il territorio come prodotto(Gran Bretagna, Irlanda, Francia, dagli anni 80 in poi): – Le agenzie di promozione dello sviluppo;– Dalla promozione delle industrie a quella del territorio.

La prima metafora è quella che ha guidato la lungastagione delle politiche di sostegno alle regioni a svi-luppo ritardato. Essa concentra l’attenzione sugliaspetti infrastrutturali del territorio semplificandone lacomplessità e proponendo soluzioni altrettanto sche-matiche. Non si può negare che sia stata in molti casiefficace a risolvere oggettive condizioni di arretratez-za, ma oggi non è più sufficiente valutare la “povertàdi un territorio” in un paese sviluppato in termini didotazione di strade e acquedotti.

La seconda metafora è radicata in profonde con-vinzioni relative al ruolo delle libera iniziativa, o allecapacità di autoregolazione del mercato, e le soluzioniche da esso scaturiscono puntano ad una semplifica-zione dei processi decisionali. Alcuni di questi ele-menti sembrano essere presenti anche nelle strategie

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avviate in Italia successivamente alla fine della stagio-ne dell’intervento speciale, ed in particolare in alcunedelle prime applicazioni degli interventi di program-mazione negoziata. In realtà, da alcuni segnali cheemergono dai recenti strumenti come i Contratti d’a-rea, sembra prevalere una logica che punta allo scardi-namento dei sistemi di controllo della pianificazionein nome dell’urgenza di raggiungere un risultato tan-gibile in termini soprattutto di nuovi posti di lavoro.

La terza metafora ha anch’essa una chiara deriva-zione di natura aziendale ed è legata ad una visione “dimercato” del territorio. Essa tuttavia interpreta, inmodo meno schematico delle precedenti, le attuali ten-denze localizzative delle aziende che, come abbiamovisto, ricercano una qualità territoriale molto più arti-colata e completa di quella caratterizzata dalla soladotazione infrastrutturale o dalla mancanza di vincoli.L’attività delle agenzie di promozione dello sviluppo,in forme variamente articolate, ne rappresenta la tra-duzione operativa. Nel caso, esaminato in precedenza,dell’agenzia gallese la componente di tutela dell’am-biente e del paesaggio diventa parte integrante di que-st’atteggiamento.

Anche questo modo di promuovere il territorio,nella sua accezione ambientale, si basa su valori oggiprofondamente radicati nella coscienza collettiva ed èquindi facile che tale approccio raccolga ampi consen-si, ma è anche opportuno sottolineare come in essosiano insiti diversi elementi di rischio. Appaiono inesso evidenti elementi di incongruenza che risiedonosoprattutto nella frequente sottomissione ad esigenzedi mercato in cui gli aspetti ambientali assumono unruolo eccessivamente marginale e la scarsa attenzionea forme di sviluppo endogeno.

Ciascuno dei tre approcci individuati ha prodottodiverse modalità d’uso e di gestione delle aree per gliinsediamenti industriali, appare quindi opportunochiedersi quale possa essere la metafora più adeguataalla realtà del Mezzogiorno d’Italia. Si ritiene che unelemento su cui concordano la maggior parte delleanalisi che hanno osservato, da diverse angolazioni, lasocietà ed il territorio21 meridionale sia lo stato diestrema frammentarietà, in cui i contesti arretrati simescolano con realtà variamente avanzate. La metafo-ra che si ritiene possa esprimere efficacemente questacondizione è quella del territorio lacerato, termine chenaturalmente va esteso non solo agli aspetti dello spa-zio fisico ma che coinvolge l’intero assetto socioeco-nomico. L’intervento su questo territorio deve avveni-re operando su una molteplicità di elementi materialied immateriali fra i quali l’insieme delle aree indu-striali rappresenta un aspetto non trascurabile.L’aspetto relativo agli insediamenti industriali nel pro-cesso di pianificazione territoriale nel Mezzogiorno

dovrebbe quindi basarsi sui seguenti elementi:- promuovere la qualità del territorio (fisico e socia-

le) attraverso un sistema integrato di scelte non set-toriali;

- ricostruire una trama insediativa lacerata più dal-l’eccesso di offerta che dalla carenza;

- diversificare l’offerta di siti industriali, integrati conla trama insediativa, in conseguenza di un’articola-zione dei settori produttivi.Pianificare gli insediamenti produttivi significa

quindi connettere sempre di più questi elementi alsistema sociale e territoriale nel suo complesso.Emerge la necessità di superare una visione limitataalla pianificazione dello spazio fisico che deve costi-tuire un quadro di riferimento spaziale costruito a par-tire da un insieme di elementi di conoscenza. Tuttoquesto comporta la necessità di costruire progetti disviluppo che partano dall’ascolto delle realtà territo-riali ma che siano anche in grado di orientare e cor-reggere i processi di tale sviluppo. Così come emergenei processi di interpretazione delle logiche localizza-tive, un superamento dei modelli della razionalità fortea vantaggio di una visione più dinamica e dialogica22,allo stesso modo la pianificazione degli insediamentiproduttivi deve acquisire un’analoga capacità di pro-porre soluzioni che dialoghino con il contesto fisico esocioeconomico.

Note

1. Con particolare riferimento ai contributi di Schön (1983, 1988) eArgyris (1985).2. Ad esempio i contributi fondamentali di Simon (1972) o Crozier(1963).3. Hayes, Wheelwright e Clark, (1988).4. ivi p.186 ed anche in Fiocco (1997).5. Castells (1989). 6. Sassen (1991).7. Veltz (1998).8. Bagnasco (1977, 1994 e 1996), Garfoli (1978).9. Bologna (1998).10. Dematteis, Bonavero (1997)11. Lacava (1968)12. Lacava (op. cit.), Susani (1983), Colombo (1988)13. (Viesti, 1996).14. Cersosimo e Donzelli (op. cit.).15. Bodo e Viesti, (1997).16. Cersosimo (1994).17. Quartarone (1998). 18. (Ross e Staw, 1986) 19. (Governa, 1997).20. Schön (1988).21. Talia (1998). 22. Dematteis, 1995.

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La crescita della dimensione europea come scenarioentro cui organizzare buona parte delle politiche disviluppo locale e territoriale ha certamente contri-buito ad incrementare l’uso, già di per se vigorosonell’ultimo decennio, delle forme di organizzazionereticolare. Sin dalle prime applicazioni, infatti, iprogrammi e le iniziative comunitarie hanno punta-to molto sulla costituzione di network tra città, isti-tuzioni locali, attori pubblici e privati, con la pro-spettiva che potesse costituire il metodo miglioreper rinsaldare determinate sinergie locali e favorireil trasferimento delle esperienze più riuscite ai con-testi più svantaggiati. Nel corso degli ultimi anni, ilraccordo tra gli sforzi compiuti nella direzione diuna più incisiva competenza dell’Unione europeasulle questioni urbane e territoriali e la complessitàdelle situazioni politiche, istituzionali e normative alivello degli stati membri ne ha reso il ricorso un’e-sigenza quasi irrinunciabile.Sebbene, tuttavia, nell’implementazione di com-plesse politiche transnazionali il ricorso alle retipresenti, accanto all’ovvia possibilità di penetrarepiù efficacemente in contesti e situazioni locali, ilvantaggio di disarticolare i processi decisionaliattraverso ruoli, competenze e responsabilità piùlimitate, la necessità di raggiungere obiettivi com-plessi entro tempi ragionevoli pone tuttavia la que-stione del coordinamento in termini tanto decisiquanto nelle organizzazioni più centralizzate. Ne èun esempio l’andamento lento e faticoso che ha con-traddistinto il processo tendente ad attribuire fun-zioni di coordinamento al livello comunitario inmateria di pianificazione terrioriale, processo piùrecentemente intrecciatosi con la produzione delprimo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo.

Cercando di storicizzare, il primo impulso versola creazione di forme di coordinamento sovranazio-nale a supporto della pianificazione spaziale inEuropa nasce dall’attivismo del governo tedescoalla vigilia della Conferenza dei Ministri responsa-bili per la Pianificazione territoriale tenuta a Lipsianel 1994. In quella occasione venivano formalizzati

dalla Presidenza tedesca due progetti destinati ad unfuturo controverso ma in ogni caso determinanti perl’indirizzo operativo assunto dall’Unione negli annia seguire: lo European Planning Atlas e lo EuropeanSpatial Planning Observatory Network (Espon). Ilprimo era orientato alla creazione di un grandearchivio nel quale raccogliere le informazioniriguardanti il quadro istituzionale, normativo e deglistrumenti operativi che a livello dei singoli statimembri definiscono il contesto della pianificazioneterritoriale. Il secondo era un progetto inizialmentepromosso dal Comitato per lo Sviluppo Spaziale1 edalla DG XVI della Commissione avente comeobiettivo la creazione di una rete permanente diosservatori sulla pianificazione spaziale con parti-colare orientamento alle tematiche europee. Se ilprimo progetto ha condotto – dopo una travagliatafase di avvio e alcune prime formalizzazioni nelrapporto Europa 2000+ (1994) – alla realizzazionedel Compendium of Spatial Planning Systems andPolicies (1997), la realizzazione dell’Espon haavuto un’accellerazione significativa soltanto negliultimi anni.

A dire il vero già all’epoca di Lipsia era chiaro amolti che un orientamento della Commissione versola produzione di documenti politici in materia dipianificazione territoriale avrebbe necessariamenterichiesto uno sforzo rapido e significativo per sup-portare il processo in termini tecnici e di ricerca(produzione e rappresentazione di dati, valutazionee revisione delle proiezioni territoriali, etc.).Un’articolazione quanto più capillare a livello deglistati membri avrebbe fornito maggiore leggittima-zione alle scelte di natura politica compiute dalComitato per lo Sviluppo Spaziale, nella prospettivache lo Ssse, operando a regime, si sarebbe configu-rato come un sistema di opzioni territoriali sottopo-ste a un processo di revisione continuo. Le conclu-sioni del meeting sottolineavano infatti che sarebbestato necessario «stabilire un sistema permanenteper l’osservazione del territorio europeo e renderesistematica la cooperazione e la complementarietà

reti

Pianificare nella rete:lo European Spatial PlanningObservatory Network

Ignazio Vinci

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tra gli Stati membri, la Commissione e gli istituti diricerca che operano assieme alle amministrazioniresponsabili per lo sviluppo del territorio».

Le difficoltà realizzative di un dispositivo cosìcomplesso come l’Espon hanno suggerito di far pre-cedere l’avvio della fase operativa da una fase distudio da svolgersi nel biennio 1998-99.Nell’ambito delle risorse messe a disposizione dal-l’art. 10 dei Fondi strutturali per la realizzazione diprogetti pilota anche nel campo della ricerca spazia-le, la Commissione e il Comitato per lo sviluppospaziale hanno varato a tal proposito lo StudyProgramme on European Spatial Planning (Spesp),programma che si è da poco concluso sotto il coor-dinamento dell’istituto di ricerca Nordregio (NordicCentre of Spatial Development) che ha sede aStoccolma. I risultati attesi dallo Spesp riguardava-no in particolare la costruzione di un linguaggiocomune tra le organizzazioni chiamate in seguito afare parte dell’Espon, linguaggio tratto dal com-plesso, e in alcuni casi ambiguo, patrimonio termi-nologico della ricerca urbanistica europea. Si è con-venuto da più parti che si dovesse innanzi tutto, daun lato, uniformare le basi cartografiche e le unitàdi misura statistiche da utilizzare nelle indagini ter-ritoriali e, dall’altro, consolidare con un riferimentocondiviso il significato di alcuni termini adottatidallo Ssse quali “sistema urbano”, “policentrismo”,“gerarchia”, etc.

La seconda fase, avviata nel 2000, prevede lacostituzione dell’Espon nella sua configurazionefinale. L’armatura principale della rete è costituitadai 15 focal point nazionali, selezionati tra le strut-ture governative, universitarie e gli istituti di ricer-ca che abbiano maturato significative esperienzenella ricerca urbana e territoriale a livello europeo eposseggano dotazioni adeguate allo svolgimento deicompiti assegnati alla Rete di osservatori2. I focalpoint nazionali sono finanziati dai singoli statimembri e a loro spetta la costituzione di eventualipartnership con ulteriori centri di ricerca a livellonazionale per la predisposizione di approfondimen-ti e studi settoriali. Il coordinamento delle attivitàdei focal point nazionali e le funzioni di program-mazione dell’attività dell’Espon sono affidate ad unSegretariato permanente, di cui fa parte un comita-to di gestione composto da esperti nominati daigoverni nazionali.

Il principale compito dell’Espon è di fornireassitenza tecnica e scientifica al lavoro delComitato dello sviluppo spaziale nell’attuazione enel processo di aggiornamento dello Ssse. La natu-ra strettamente politica del documento e l’assunzio-ne ampiamente condivisa del metodo processuale a

cui sottoporre le indicazioni in esso contenute attri-buisce ai componenti dell’Espon un ruolo di crucia-le importanza per rendere operativi principi politicialtrimenti intangibili. All’Espon spetta dunque,accanto alla predisposizione di scenari di lungo ter-mine alternativi a quelli già indicati nel documentofinale dello Ssse, la produzione di cartografie discala significativa per rendere di una qualche utilitàstrategica le indicazioni territoriali che gli statimembri riconoscono alla dimensione comunitaria.

Un aspetto di grande rilevanza riguarda inoltre lavalutazione e il monitoraggio degli effetti più diret-tamente territoriali delle politiche di coesionedell’Unione europea. Nel corso degli anni novantain particolare, gli effetti della politica regionale –dalle politiche strutturali alle Reti transeuropee ditrasporto, dalla politica ambientale ai programmiper le aree urbane e rurali – hanno configurato unimpatto che lo Ssse si propone di indirizzare versoobiettivi di sostenibilità ed equlibrio territoriale. Perfarlo è tuttavia necessario un sistema di valutazionepermanente capace di riorientarne gli indirizzi sullabase di strumenti analitici che proprio l’Espondovrebbe fornire. Come conseguenza della politicadi allargamento dell’Unione europea, il programmaEspon prevede inoltre che la rete venga estesa ad uncerto numero di centri ed istituti di ricerca in paesiesterni all’Ue, in particolare tra quelli candidati adun’imminente ingresso nella Comunità.

Note

1. Il Comitato per lo sviluppo spaziale è un organo compostodalla Commissione e dai Ministri responsabili della pianificazio-ne del territorio dei vari paesi. A partire dal 1991 ha affiancato laConferenza europea dei Ministri per la pianificazione territoriale(Cemat, operante nell’ambito del Consiglio d’Europa) per tratta-re delle implicazioni territoriali delle politiche comunitarie.2. Per lo svolgimento dello Spesp, cioè la fase propedeutica allarealizzazione dell’Espon, la rete era costituita in prevalenza da isti-tuti e dipartimenti universitari, con l’eccezione dell’Italia, la cuirappresentanza era affidata al Dipartimento per i Servizi TecniciNazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e di alcunipaesi (Austria, Francia, Olanda, Belgio) che hanno fatto ricorso adagenzie e fondazioni specialistiche per la pianificazione.

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dibattito

Orientamenti, strumenti,comunicazione nell'innovazioneurbanistica.L'opinione di Edoardo Salzano

Biagio Bisignani

In Italia, da circa un decennio, la pianificazione haintrapreso un processo di “riappropriazione delterritorio” (B. Dolcetta 1999). Una tesi probabile èche, tra gli anni ‘60 ed ‘80, le realtà urbano-terri-toriali fossero sfuggite alle regole pianificatorie,non per assenza di esse, ma per un “fare urbanisti-co” ancorato alle superate concezioni razionaliste(G. Nigro 1995).

È evidente come, nel dibattito contemporaneo,emerge la necessità d’innovazione: diversi gli orien-tamenti metodologici che da più parti si propongo-no: partecipazione, concertazione, perequazione,sostenibilità, rappresentazione, valutazione…

Teorie, idee e prassi sostanzialmente accomuna-te dal “prodotto finito” costituito dal Piano.

Disegno, norma o processo si tende ad innovaretale “prodotto finito”, forse, rincorrendo troppoquella svolta epocale che retoricamente per ogni“grande evento” si fa avanti. Tanti i dubbi poche lecertezze, dilemmi che tengono alto il dibattito urba-nistico in Italia e che alimentano sempre più nelcampo scientifico filoni di ricerca “orientati”.

Ne abbiamo parlato con Edoardo Salzano, ordi-nario al D.U. dello IUAV.

La prima domanda è rivolta ai nuovi orienta-menti dell’Urbanistica contemporanea. Oggi, aisignificati “dell’Urbanistica classica”, s’intrec-ciano delle nuove teorie definite da alcuni “orien-tate”: ecourbanistica, urbanistica contrattata,partecipata, dalle quali scaturiscono nuovi stru-menti per la pianificazione.Cosa ne pensa e come considera questi nuovi filo-ni disciplinari?

(E.S.) È una domanda complicata! Secondo me ci sono due aspetti. Da un lato esi-

stono dei limiti, in parte anche storici, della pianifi-cazione tradizionale, dall’altro c’è il tentativo, inparte riuscito, di scardinare la pianificazione tradi-zionale attraverso nuove procedure e strumenti cherisolvono uno soltanto, in generale, dei limiti della

pianificazione tradizionale, cancellando tutto ilresto.

La pianificazione tradizionale ha almeno trelimiti. Il primo è quello di essere sostanzialmenteindifferente al territorio, alla struttura fisica ed allasua “personalità”. Il territorio continua ad esserelargamente considerato come omogeneo, isotropo,quindi da qui, il tentativo di recuperare “l’ambien-talismo”, l’attenzione all’ambiente. Il secondo èdato dal rapporto col tempo, quindi la scarsa effica-cia. Il terzo limite è rappresentato dal rapporto conla società.

Questi i tre limiti, come probabilmente altri chenon vedo, che sottovaluto, che possono esistere, eche, secondo me, vanno superati non perdendo i treaspetti essenziali della pianificazione tradizionale:

1) di essere un sistema di coerenze;2) di essere condotto con procedure trasparenti;3) di essere efficace e pertanto impositiva.In merito al terzo punto c’è da affermare che il

Piano in realtà deve ordinare le trasformazioni, agliagenti delle mutazioni, deve avere la capacità diimporsi, quindi deve avere una forza normativa;diversamente non è Piano, è studio, è ricerca, è dise-gno, è tante altre cose, ma non è Piano. La mia con-cezione del Piano è evocata dalla cultura europeapost-giacobina.

C’è da dire, in ogni caso, che nell’ambiente cul-turale in cui oggi ci muoviamo vanno sviluppando-si teorie e tecniche non sempre innovative. A mesembra che i nuovi strumenti perdano alcuni deglielementi fondamentali del piano. Ritengo che èimportante fare un distinguo: ci sono strumenti chepossono essere definiti semplicemente d’analisi,d’approfondimento. Ad esempio tutti quelli chevengono “dall’ambientalismo” e che, in qualchemodo, recuperati o recuperabili all’interno dellapianificazione: carta dei limiti/vincoli. Una serie dielementi che secondo me (ma non ho mai approfon-dito la questione) riconducibili alla pianificazioneclassica. Per inciso, io uso un altro metodo per inse-rire la dimensione ambientale nei processi di piani-

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ficazione. Parto dalle condizioni che la tutela del-l’integrità fisica e culturale impone alla pianifica-zione, quindi calibro una griglia risultante che evi-denzi quali i vincoli e le opportunità del sistema perla pianificazione e le trasformazioni del territorio.Per me ciò rappresenta il primo elemento della pia-nificazione, un layer o una serie di layers. Il meto-do inverso si limita soltanto ad alcuni aspetti, inaltre parole, chi parte dall’ecologia e dalle proble-matiche correlate ad essa, non inserisce il quadrocomplessivo del sistema delle trasformazioni.

Tornando alla domanda iniziale posso affermareche tanti sono gli strumenti “orientati”, penso tra glialtri alla negoziazione. È lì, secondo me, la maggio-re tendenza. A mio avviso la soluzione correttasarebbe introdurre la negoziazione nella fase del-l’attuazione del Piano; la prassi corrente è sostituirela negoziazione alla pianificazione, contrattare letrasformazioni ex-ante, ex-post (visto che bisognarispettare la legge), modificare i Piani in conformitàa ciò che è stato negoziato. Ciò conduce ad un ribal-tamento del rapporto tra potere pubblico e proprietàprivata, in sostanza il capovolgimento del sistemadella pianificazione così come si è formato nelmondo occidentale.

L’altra domanda fa riferimento alla nuova stru-mentazione urbanistica “locale” e “territoriale”che oggi tende a perfezionarsi attraverso i PRU,PRUSST, Contratti d’area…Appare chiaro come, attualmente in Italia, il“fare urbanistico” ordinariamente significhiattendere un nuovo dispositivo di legge che defi-nisca interventi, procedure, talvolta semplice-mente di tipo amministrativo – ricordo la rela-zione di Giovanni Ferraro al Convegno di Romaorganizzato dall’Università La Sapienza “Gliambiti dell’innovazione in Urbanistica. Esiti diuna ricerca” dal titolo “efficacia e innovazione”1997 –.Senza far critica fine a se stessa o polemicademagogica, un forte dubbio pur sempre miresta: È questo il “fare urbanistico”?

(E.S.) Bella domanda!Io non so bene che cosa significhino in urbani-

stica questi nuovi strumenti. Non li conosco bene ecredo che sia sbagliato fare una generalizzazioneeccessiva. A me sembra che abbiano quasi tutti unobiettivo in comune, rischiosissimo per la pianifica-zione, quello di costituire, generalmente, deroga alPiano Regolatore. Pensandoci sono tutti “elementi”che hanno avuto genesi negli anni ’80, e non a caso-tra l’altro io ho scritto anzi tempo un libro con

Piero Della Seta (non è Cesare De Seta), che ha unorrendo titolo e un’orrenda copertina. Lì abbiamoragionato molto sull’urbanistica contrattata, soprat-tutto sui primi strumenti derogatori. È proprio daquei ragionamenti che nascono le prime forme distrumenti, per così dire, innovativi-, in ogni modonon darei un giudizio del tutto negativo.

È necessario fare una distinzione tra tutti glistrumenti oggi in campo. Una cosa sono i PRUS-ST e un’altra cosa sono gli altri strumenti, come icontratti d’area ecc. Tutti hanno aspetti diversi,quindi bisogna distinguerli e pensarli nel contestounitario del Piano. È vero che si cercano strumen-ti diversi per risolvere esigenze, a volte anche giu-ste, anzi spesso giuste, ma di frequente il risultatoconduce ad una frammentazione del sistema dipianificazione.

Io sarei tentato di rispondere alla tua domandaaffermando che nel complesso non è Urbanisticaquella fatta da questi strumenti. Basta guardare iPRUSST: cosa sono? Sono un ritorno “togato” agli“interventi a pioggia”. Analizzandoli attentamentesi nota che essi rappresentano la copertura econo-mica di grossi progetti; come la metropolitana “C”di Roma o questa di Venezia, oppure sono la raccol-ta indiscriminata di tutte le esigenze o dei progetticommissionati dalle amministrazioni. Ho visto peresempio il PRUSST di Salerno e provincia. È vera-mente la raccolta di tutti gli intendimenti delleamministrazioni che vi partecipano, nientemeno,senza progetti! Senza uno studio delle condizionireali di quel sito! Sono anche altamente improbabi-li come realizzazione. Un bravo funzionario delMinistero della Repubblica ha fatto dei conti, sti-mando la somma di tutti i costi dei PRUSST. Essacorrisponde ad una domanda di 35.000 miliardi,mentre le disponibilità sono di 400. A questo puntoa me sorge un dubbio: abbiamo veramente spesocosì tante risorse per cose che non serviranno aniente?

Comunque bisogna minimizzare pensando inve-ce alle iniziative integrabili con il sistema della pia-nificazione, che rispondono a veri criteri attuatividel sistema della pianificazione, sperando che pro-prio questi possano prendere il sopravvento rispettoad altri che invece hanno soltanto caratteristicademagogica.

Adesso un’ultima domanda che fa riferimentoalle problematiche dell’innovazione urbanisticain Italia. Concentriamoci sul problema dellariforma urbanistica; da tempo si discute dellanecessità di un nuovo testo di legge (ufficialmen-te dal 1995 con il congresso INU di Bologna).

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dibattito

È così necessaria? Bisogna mettere soltanto unpo’ d’ordine tra le leggi esistenti?

(E.S.) A mio avviso bisognerebbe soprattutto mette-re un po’ d’ordine, fissare alcuni punti fondamenta-li. Tra l’altro una Legge Nazionale oggi ha sensosoltanto se tratta questioni che riguardino l’interanazione. Per esempio se volesse affrontare il regimeimmobiliare, se volesse dare un indirizzo unitarioalle Regioni, ecc. Ciò potrebbe anche essere ragio-nevole. Faccio un esempio: si ritiene che la tuteladell’ambiente sia una questione importante d’inte-resse nazionale? Un po’ in linea con la 431 se vuoi;le Regioni hanno facoltà di recepire o meno unaLegge Nazionale emanata, nella loro strumentazio-ne urbanistica. Vista la discrezionalità delleRegioni, in ambito così importante, sarebbe invecenecessario delineare principi uguali per tutti a livel-lo nazionale.

Mi sembra perseguibile la via di riordinare lalegislazione vigente determinando un sistema,anch’esso come per la strumentazione urbanistica,di coerenze. L’esigenza c’è. Definire alcuni principisul regime immobiliare, se vuoi assumere il criteriodella perequazione (a mio avviso esiste già dallalegge ponte), la questione dei vincoli… La miapreoccupazione è comunque un’altra! In questoclima politico, che legge viene fuori?

Personalmente ho informazioni su un lavoro chea Roma, la commissione speciale, sta elaborando: laproposta Amburghetti. Me ne hanno parlato bene, ionon ho visto il materiale, ma mi hanno riferito i con-tenuti. L’impostazione sembra che sia giusta. Tra letante proposte sembra che ci siano spunti interes-santi: la prima è dichiarare illegittime tutte le dero-ghe concesse agli strumenti urbanistici; la secondadi applicare il sistema della perequazione ai com-parti, alle lottizzazioni convenzionate, ricondurla aquello che era.

L’ultima domanda si scosta un po’ dal tema cen-trale del nostro incontro, però nasce dall’esigen-za che molti professionisti del settore oggi avver-tono: fare chiarezza sulle competenze professio-nali.Considerando i nuovi filoni disciplinari ed i rin-novati significati dell’urbanistica, ha mai ripen-sato al “senso” della professione d’urbanista?

(E.S.) Si certo! Tra l’altro io insegno al primo anno,quindi figurati lo sforzo... Non ho le idee moltochiare devo dire. Avrai certamente notato come nel-l’incontro avuto assieme, Giancarlo De Carlo, che èstato bravissimo com’è suo solito, abbia dimentica-

to un termine. È strano che l’abbia dimenticato pro-prio lui: “La società”. L’urbanista non si può occu-pare soltanto dello spazio fisico, deve continuamen-te occuparsi anche dello spazio sociale, tutta la dif-ficoltà secondo me, o almeno una delle difficoltà,nasce esattamente da questo. Non puoi occupartisolo dell’uno, non puoi occuparti solo dell’altro.Non sei architetto, non sociologo, né politologo népolitico, non amministratore, non geologo, nonnaturalista, però devi lavorare con tutte queste figu-re professionali. Secondo me la figura dell’urbani-sta si avvicina molto, dico questo da molti anni, aquella del “regista”. Il regista di un’opera teatrale èuno che mette insieme le cose, mette insieme imestieri, conosce un po’ di ciascuno ma di nessunoè pienamente padrone, però in che cosa è speciali-sta? È specialista nella visione d’insieme, nella con-nessione tra gli elementi. È secondo me questa ladirezione sulla quale bisognerebbe puntare. Il riferi-mento centrale è naturalmente il territorio, il territo-rio abitato, il territorio che è spazio e società. Sonoidee forse un po’ confuse, però le mie esperienzesono andate in tutte le direzioni. Ho cominciatofacendo, ancora studente, con amici calcoli incemento armato e arredamenti, per passare all’espe-rienza d’amministratore delle città.

Sai, c’è una tesi che va di moda e che mi con-vince abbastanza, almeno in questo periodo: nonesiste il mestiere dell’urbanista, ma esistono imestieri dell’urbanista. Probabilmente c’è una plu-ralità almeno di declinazioni. La SIU ha tentato difare un ragionamento in questo senso. C’è certa-mente l’urbanista architetto, l’architetto urbanista(o l’ingegnere urbanista), colui che si occupa dellacostruzione dello spazio fisico; c’è certamente l’ur-banista che collabora alla formazione dei pianiregolatori, dico collabora perché insisto sempre coimiei studenti che il piano regolatore non è fatto daltecnico, ma è fatto dal tecnico e dal politico insie-me, c’è il Planner, vale a dire quello che coordinal’organizzazione degli spazi e degli attori nello spa-zio, c’è il City Manager che è un’altra cosa ancora,forse simile, c’è l’urbanista specializzato in undeterminato settore, per esempio nel paesaggio,anche se De Carlo non accetta questa distinzione. Indefinitiva affermerei che diversi sono gli aspetti delmestiere. Secondo me l’urbanista deve “tenereinsieme” lo spazio e la società, deve sapersi “muo-vere” nello spazio, nella società. Muovere significacomprendere e saper capire.

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Innovazione nelle politiche urbane:il caso di Genova

Francesco Gastaldi

Genova conta oggi 640.000 abitanti. Un tempo verti-ce del triangolo industriale, attraversa da molti anniuna crisi di identità e di ruolo: indici di disoccupa-zione fra i più alti del nord Italia, marcato calodemografico, perdita di sedi direzionali e debolecapacità di attrazione di nuovi investimenti.L’economia cittadina dominata dal porto e dall’in-dustria pesante legata alle partecipazioni statali, habeneficiato nel dopoguerra di protezioni e di renditedi posizione. La profonda crisi degli anni ottantainaugura una fase di depressione e disorientamentoche vede gli attori di politiche pubbliche in difficoltànel cogliere nuove opportunità ed occasioni di rilan-cio. Oggi, dopo un significativo incremento dei traf-fici portuali che ha fatto seguito alla travagliatavicenda della privatizzazione nella gestione dellebanchine, si tenta di ridefinire un nuovo ruolo dellacittà, in un’ottica di rilancio turistico e culturale, dicentro di servizi di rango elevato, di sede potenzialeper nuove aziende legate alle tecnologie avanzate.

Con l’Esposizione Colombiana del 1992 ha inizioil recupero a funzioni urbane del Porto Storico chesta procedendo tramite l’insediamento di nuovepolarità turistiche, culturali e di servizio lungo tuttoil Waterfront. Dopo la facoltà di Economia eCommercio, presente da alcuni anni nell’area del-l’antica Darsena, è stato deciso l’insediamento dellaFacoltà di Ingegneria. Nell’area di Ponte Parodiampi spazi saranno ottenuti tramite l’abbattimentodel silos granario costruito negli anni 60. Il nuovoassetto della zona prevede anche la realizzazione diun nuovo polo ludico-culturale.

A seguito delle crisi e delle ristrutturazioni deglianni ottanta e novanta, Genova dispone oggi di unconsistente patrimonio di aree industriali dismesse,in gran parte di proprietà pubblica e localizzatenella zona di ponente della città. Un significativoesempio di recupero di un’area IRI è rappresentatodall’area ex Italsider di Campi a Cornigliano chevede nuove aziende insediate con più di 2000 addet-ti. L’ultimo lotto da realizzare ha ottenuto la conces-sione edilizia grazie alle procedure agevolate offerte

dallo Sportello unico per le imprese istituito dalComune.

Gli interventi previsti dal PRU di Fiumara nellagrande area ex Ansaldo a Sampierdarena sono incorso di realizzazione, altre aree situate in localizza-zioni strategiche sono attualmente in fase di colloca-zione sul mercato da parte della società mista di tra-sformazione urbana “Ponente e Sviluppo” (a preva-lente partecipazione comunale) che ha utilizzatofondi provenienti dal programma comunitarioResider II. Una grande vertenza è oggi aperta sul“caso Acciaierie di Cornigliano”, un tempo legatealle partecipazioni statali e oggi di proprietà di unindustriale privato che gestisce l’azienda e ha inconcessione gli spazi demaniali ricavati con un riem-pimento a mare realizzato tra gli anni trenta e cin-quanta. Da tempo lo stabilimento è oggetto di con-flitti per le emissioni di fumi, rumori e polveri. Inbase ad un accordo di programma sottoscritto datutte le parti interessate, l’imprenditore per poterproseguire le sue attività e continuare a beneficiaredella concessione demaniale dovrebbe chiudere l’im-pianto “a caldo” maggiormente inquinante e cedereparte delle aree per funzioni urbane e aeroportuali.

L’amministrazione attualmente in carica si è inol-tre impegnata nella redazione di importanti strumen-ti di governo del territorio: ha trasformato il PianoRegolatore Generale adottato dalla giunta preceden-te in Piano Urbanistico Comunale (ai sensi dellanuova legge urbanistica regionale 36/97), ha predi-sposto un Programma di Riqualificazione Urbana eSviluppo Sostenibile del Territorio approvato dalMinistero dei lavori pubblici, ha dato l’avvio ad unprocesso partecipativo che dovrebbe portare ad unpiano strategico denominato “Piano della città”.

Di questi temi parliamo con Bruno Gabrielli,docente di Urbanistica presso la Facoltà diArchitettura dell’Università di Genova e Assessoreall’Urbanistica e al Centro Storico dal 1997.

Genova, in analogia a quanto è accaduto in altrecittà italiane, ha dato avvio ad un percorso che

Intervista a Bruno Gabrielli

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dibattito

porterà alla definizione di un piano strategicodenominato “Piano della città”. Quali sono lecaratteristiche e gli obiettivi di questo piano?Qual è il suo rapporto con gli strumenti di pianifi-cazione ordinaria?

(B.G.) Nel mese di maggio del 1999 si è tenuta laConferenza strategica dal titolo “Genova: le vie delMediterraneo all’Europa” dove sono stati presentati irisultati di una lunga fase di ascolto e ricerca sulleproblematiche e sulle proposte di sviluppo della città.Si è trattato di un processo di coinvolgimento delleforze economiche e sociali attorno ad un nuovo pro-getto di sviluppo condiviso. Molte proposte sono per-venute da semplici cittadini o piccole associazioni, ilavori delle varie sessioni tematiche erano aperte atutta la cittadinanza. La Conferenza rappresenta unprimo passo verso il Piano della città, una sorta dipiano strategico capace di definire le priorità digoverno della città attraverso un quadro certo diobiettivi e azioni. Il Piano della città, in corso di ela-borazione, dovrebbe definire, in modo certo e preci-so, l’offerta di trasformazione urbana della città.Attraverso la redazione di schede si è cercato di crea-re un quadro trasparente dei principali interventi darealizzare. Ciascuna scheda precisa i contenuti, gliobiettivi, i tempi e le modalità finanziarie (risorsepubbliche o private) con cui i progetti saranno realiz-zati. In vista della messa a punto definitiva del piano,il Sindaco convoca periodicamente il “Comitato perlo sviluppo”, un tavolo propositivo sulle scelte prin-cipali della città di cui fanno parte rappresentantidella Regione, della Provincia, delle Associazionisindacali, di categoria e del terzo settore, diUniversità, Autorità portuale e di un istituto bancariocittadino.

Il Piano della città ha l’obiettivo di governare ilprocesso di trasformazione della città, dando coeren-za ai diversi strumenti e piani di settore (PianoUrbanistico Comunale, Programmi diRiqualificazione Urbana, PRUSST, Piani di Bacino).Con l’attuale frammentazione dovuta a tutti questistrumenti si rischiava di veder sfuggire di mano ilquadro e gli obiettivi generali.

Mentre il PRG, per i cittadini, è un qualcosa diastratto, il Piano della città è evocativo di un sistemadi interventi chiaramente visibili. Nel Piano dellacittà si palesa quello che si vuol fare ed è chiaro ilmetodo e il percorso con cui si arriva a definire lepriorità. L’innovazione nelle politiche urbane consi-ste dunque nell’aver affiancato al piano tradizionale,un piano strategico con contenuti di forte integrazio-ne fra i piani e tra questi e le principali azioni ammi-nistrative della città. Infatti il piano della città non

riguarda le sole scelte territoriali, ma anche quelleeconomiche, sociali e culturali. Per quanto riguarda ilmetodo di lavoro, il Piano della città è stato concepi-to in tre tempi:- la fase di ascolto, cioè una serie di conferenze ed

incontri dove interlocutori “istituzionali”, associa-zioni o liberi cittadini hanno presentato documentisui rispettivi settori di interesse avanzando propo-ste e richieste;

- la conferenza strategica, dove sono stati presentatii risultati della fase di ascolto e riflessioni, propo-ste e priorità individuate dall’amministrazionecomunale;

- il piano della città, la cui presentazione è immi-nente e traguarderà le date del 2001 (Genova cittàsede del G8), del 2004 (Genova Città europeadella cultura) e del 2010.

Durante i lavori della Conferenza strategica l’am-ministrazione ha dimostrato una notevole apertu-ra nei confronti dei soggetti privati e ha invitatogli imprenditori a presentare progetti, quali rispo-ste si sono avute?

(B.G.) L’ente pubblico, con le proprie risorse ordina-rie ha scarse capacità di investimento. Le più signifi-cative occasioni le ha in base alla sua capacità dicogliere risorse provenienti da “occasioni” esterne albilancio ordinario (ad esempio i PRU, il programmaUrban, i fondi statali per la realizzazione del G8 nel2001, i fondi per Genova Città della Cultura 2004, ifondi europei dell’obiettivo 2). Ma l’utilizzo di que-sti fondi pone anche grossi limiti perché devono esse-re spesi per realizzare opere già destinate dal gover-no nazionale o dalla comunità europea. Il comunedeve sfruttare queste occasioni, ma si trova a doversubire scelte di politica amministrativa e non puòscegliere le priorità. Un esempio è la realizzazionedella Metropolitana per la quale si attinge a finanzia-menti statali a ciò destinati. Forse per la città questanon era una priorità. Molti cittadini ci scrivono chie-dendoci come mai utilizziamo una grande quantità didenaro per quest’opera, quando ci sarebbero altreurgenze ed è difficile spiegare che questi soldi ci pro-vengono dallo Stato attraverso leggi “ad hoc” e nonpossiamo destinarli ad utilizzi alternativi. I finanzia-menti privati ci lasciano invece dei margini di libertà,il Comune può scegliere su cosa far intervenire il pri-vato, può sollecitare realtà imprenditoriali su proget-ti scelti dalla pubblica amministrazione o favorirenuove modalità di gestione di servizi. Attraverso ilproject financing sarà realizzato un nuovo palasportnella zona di Fiumara, saranno ristrutturate e gestitele piscine di Albaro, si creerà il polo ludico-culturale

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di Ponte Parodi e un ponte (o tunnel sottomarino) chemetta in comunicazione le due sponde dell’arco por-tuale storico.

Il progetto di polo ludico-culturale per PonteParodi è stato uno degli elementi di maggiorvalenza simbolica fra quelli presentati nellaConferenza strategica. Il riferimento è alla nuovaimmagine turistica di Bilbao creata dal museoGuggenheim di Gehry, Ponte Parodi sarà la gran-de attrattiva della Genova degli anni duemila?

(B.G.) Ponte Parodi è uno dei moli del ponto storico,ancora in attesa di essere recuperato a funzioni urba-ne, si tratta del molo più centrale e in stretta conti-nuità con i quartieri della Darsena dove accanto allanuova Facoltà di Economia e Commercio sorgerannoil Museo del Mare e della Navigazione, un Museod’arte contemporanea e la Casa della Musica.Secondo gli intendimenti della giunta si intende tra-sformare il molo di Ponte Parodi in una grande piaz-za sul Mare di grande effetto scenografico con spaziad uso ludico-culturale.

La gestione dell’operazione è affidata alla societàconcessionaria dell’area, la Società Porto Antico p.a.,che dal 1995 gestisce l’area dove è stata realizzatal’Expo Colombiana, l’Autorità portuale e la camera diCommercio partecipano alla società con proprie quote,così come il Comune che è socio di maggioranza.

È stato indetto un concorso internazionale diarchitettura che ha già visto la selezione dei gruppipartecipanti. Andrà anche individuato un operatoreprivato e il bando prescrive che il progetto abbia cri-teri di autonomia finanziaria attraverso lo strumentodel project financing.

Le progettualità in corso nell’area della Darsena,di Ponte Parodi e del silos Hennebique (dove andràad insediarsi la facoltà di Ingegneria) costituiscono ilcompletamento del processo di recupero a funzioniurbane del Waterfront del porto antico di Genova eche costituisce una risorsa primaria (anche in terminidi immagine) per l’intera città.

Nel periodo in cui si dava avvio a questo processodi pianificazione strategica, gli uffici comunalierano però impegnati nell’adeguamento del PRGapprovato dalla giunta precedente in PUC, secon-do quanto previsto dalla nuova legge regionale(n.36/97), quali sono state le principali innovazio-ni introdotte?

(B.G.) Nel luglio 1997, l’amministrazione presiedutadal sindaco Adriano Sansa ha adottato il nuovo PianoRegolatore Generale della città di Genova, dopo

pochi mesi, nel settembre 1997 è stata approvata lanuova legge urbanistica regionale che istituisce ilPUC (Piano Urbanistico Comunale). Il nuovo stru-mento si caratterizza per notevoli vantaggi procedura-li tra cui l’eliminazione dell’obbligo di approvazioneregionale delle varianti. La nuova amministrazionerinnovata nel dicembre dello stesso anno accoglie confavore la proposta formulata dalla regione di adegua-re il PRG ai contenuti del PUC. I margini di manovraerano però limitati in quanto il piano era già statoadottato, si è potuto lavorare solo attraverso le con-trodeduzioni del comune alle osservazioni formulatedai cittadini, si è redatto un documento di convertibi-lità che è stato inviato alla regione per la definitivaapprovazione sotto forma di PUC. Questa è avvenutanel marzo 2000 e ha comportato una migliore defini-zione del peso e del significato strategico di alcunearee urbane e una maggiore definizione degli obietti-vi di coerenza e riequilibrio dei grandi servizi urbanie delle infrastrutture di livello urbano.

Le zone di trasformazione previste dal PRG ave-vano caratteristiche e finalità differenti, sono statetradotte in “Distretti di trasformazione” e in “Ambitidi conservazione e riqualificazione” così come previ-sto dalla legge urbanistica regionale. La riclassifica-zione è avvenuta tenendo conto della diversa rilevan-za strategica, dei possibili effetti futuri e del diversolivello di definizione di procedure trasformative giàin corso di svolgimento. Per i “Distretti di trasforma-zione” e per gli “Ambiti speciali di riqualificazioneurbana o ambientale” (così sono definiti nel PUC diGenova) sono puntualmente definite le potenzialitàtrasformative con una specifica scheda progettuale enormativa. La scheda fornisce dati sullo stato difatto, sulla proprietà e sui soggetti a vario titolo coin-volti, descrive inoltre eventuali intese o progettualitàesistenti con il loro stato di definizione.

I Distretti di trasformazione possono essere “sin-goli”, “aggregati” o “aggregati con funzioni logisti-che”. Un esempio di Distretto aggregato è costituitodal fronte a mare urbano e comprende tutte le Zonedi trasformazione già individuate dal PRG nell’arcoportuale. Il Distretto logistico ha vocazione ad ospi-tare servizi di tipo logistico o infrastrutture di livellourbano (ad esempio il sistema delle rimesse dell’au-totrasporto urbano) e permette una ridefinizione deipesi e delle gravitazioni di questi servizi nella città.

Quali sono le indicazioni del PUC per favorire unriutilizzo del grande patrimonio di aree industria-li dismesse presenti nel territorio comunale?

(B.G.) A Genova come in molte altre città in cui iltema della dismissione industriale è ricorrente, si

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dibattito

incontra il problema del costo dello smantellamentoe della demolizione dei fabbricati dismessi e dell’in-dividuazione degli attori che se ne fanno carico. Nelnuovo piano l’operazione di demolizione diventa ele-mento di negoziazione all’interno di altre partite inaltre parti della città, anche vecchie e da tempo inso-lute. Il meccanismo individuato dal piano consente didemolire da una parte della città, senza che il termi-ne di scambio sia necessariamente nuova volumetria,ma piuttosto un cambio di destinazione d’uso. Si trat-ta di un’innovazione di estremo interesse, demolirenon è più un costo, ma può innescare importanti pro-cessi di riqualificazione urbana.

A Genova esiste un conflitto storico, per le areecostiere, tra utilizzi a fini portuali e utilizzi a finiurbani. Negli anni recenti questa conflittualitàsembrava sopita, quando è riemersa a propositodel PRU di Fiumara a Sampierdarena. Cosa hascatenato questa nuova polemica?

(B.G.) Negli anni cinquanta e sessanta questa conflit-tualità si è manifestata in una forte dialettica tra ilComune e l’allora Consorzio Autonomo del Porto.Oggi c’è una comunità di intenti tra i due enti che siè manifestata nella congruenza tra i contenuti delPRG elaborato dal Comune e il piano redattodall’Autorità portuale (il primo in Italia in base aquanto previsto dalla legge di riforma dell’ordina-mento portuale del 1994).

Recentemente, questo conflitto si è riproposto aproposito del PRU di Fiumara, un’area ex Ansaldosituata alla foce del torrente Polcevera, nel quartieredi Sampierdarena. Anche in questo caso il dibattitoha ruotato intorno alle alternative di riutilizzo di talearea industriale dismessa fra funzioni urbane e fun-zioni legate alle attività portuali. Il PRU promosso daun grosso operatore del settore cooperativo, opta perla prima delle due ipotesi prevedendo un centro dire-zionale dove saranno raggruppate tutte le attivitàAnsaldo, la realizzazione di un Palasport, un parcopubblico, un centro commerciale ed edilizia residen-ziale. Le opposizioni in consiglio comunale e l’asso-ciazione degli industriali si sono schierati (tardiva-mente) per la seconda ipotesi accusando il Comunedi sottrarre spazi allo sviluppo economico. È interes-sante notare come il conflitto tipico della realtà geno-vese sia emerso solo nel momento in cui le sceltesono diventate operative e non prima. Il PRU traeinfatti origine dalle indicazioni del Piano Territorialedi Coordinamento elaborato dalla regione all’iniziodegli anni novanta, in quegli anni non c’era stata nes-suna contestazione all’ipotesi di riqualificazione afini urbani dell’area di Fiumara. Così come non c’e-

rano state opposizioni nel momento in cui il Comuneaveva approvato la proposta di PRU per l’invio alMinistero, va poi detto che gli oppositori non hannomai proposto un’ipotesi alternativa suffragata da unaconcreta fattibilità tecnica e finanziaria. Questo con-flitto ha rappresentato però anche un segnale positivoper Genova, sintomatico della ripresa economicadella città, negli anni ottanta con il porto in crisi nonsi sarebbe mai pensato di mettere in dubbio la desti-nazione dell’area ad uso urbano.

Bibliografia recente su Genova

Alcozer Federica, “Genova. Lavori in corso”,InfoRUM n. 5, 2000.

Gabrielli Bruno, “Urbanistica”, in Bruno Sessarego(a cura di), La Genova del 2000, Quaderni delCircolo Rosselli n. 2, 2000.

Gabrielli Bruno, “L’idea del futuro di Genova”,InfoRUM n.5, 2000.

Gastaldi Francesco, “Pru e programmi integrati aGenova: a che punto siamo?”, UrbanisticaInformazioni n. 159, 1998.

Gattorna Carola, Nuove forme della politica urbana eazioni di piano, Tesi di Dottorato di Ricerca inUrbanistica, IUAV, Venezia, dicembre 1999.

Seassaro Loredana, “L’area metropolitana genove-se”, in Avarello Paolo, Ombuen Simone (a curadi), Aree metropolitane, Urbanistica dossier n.12, 1998.

Seassaro Loredana, “Dieci Pru a Genova. Dieci occa-sioni per sperimentare”, in Monti Carlo, RodaRiccardo. Trebbi Giorgio (a cura di), La cittànecessaria, Edizioni Fiere internazionali diBologna, 1998.

Seassaro Loredana, “Attorno al dismesso a Genova.Piani ed azioni, attori ed occasioni, conflitti edesiti”, in Dansero Egidio, Giaimo Carolina, Areeindustriali dismesse. I temi e le ricerche, AlineaFirenze, 1999.

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Tecnologia ambiente (uomo e natura): una questio-ne di disadattamento sistemico

La cosiddetta questione ambientale – è stato detto -nasce da un disadattamento sistemico, cioè da unoscollamento accompagnato da un’opposizione tra ledue componenti del sistema: “uomo nell’ambienteo, che forse è la stessa cosa, tra tecnologia e natu-ra1.Pur essendo interdipendenti le due componentisono indubbiamente fortemente interagenti e dasempre l’ambiente si è “difeso” dagli interventi del-l’uomo attraverso retroazioni negative di feed-back2. Quando, in passato, l’uomo con la sua tecno-logia (non avanzata), operava qualche danno, l’am-biente (inteso come sistema cibernetico) ripristinava(quasi) automaticamente le condizioni precedentiannullando e azzerando gli effetti negativi prodottidall’intervento dell’uomo. Oggi il ricorso semprepiù massiccio a tecnologie potenti si accompagna alrifiuto, da parte della società, di accettare quei sot-toprodotti della tensione ecologica (piogge acide,carestie, riscaldamento del pianeta) che da semprehanno rappresentato i correttivi naturali (feed-back,appunto) di risposta. Le retroazioni della naturaindotte dall’intervento umano si estendono e si pro-pagano inoltre nel futuro a carico delle generazionid’ingresso, e questo crea l’altro problema: quellodelle cosiddette “generazioni future”. In questa pro-spettiva il ricorso alla stessa tecnologia per risolve-re il problema ecologico (creato dalla tecnologia)non dà esiti scontati. Ma la tecnologia, intesa nelsenso di cultura, dispositivi, protesi artificiali, mec-canismi non è un’entità distinta dall’uomo stesso.Essa è il destino dell’uomo (Severino, 1998;Galimberti, 1999; Longo, 2000) poiché concorre aformarne l’essenza. Senza di essa infatti l’uomo nonpotrebbe sopravvivere nel mondo così come esso è.La condizione attuale dell’uomo contemporaneo èquella nella quale evoluzione biologica (che segue

la legge darwiniana dei tempi lunghi) ed evoluzioneculturale e tecnologica (che segue i tempi brevissi-mi della legge lamarckiana) si sono intrecciatedando vita ad una sorte di simbionte completamenteemergente di tipo autorganizzativo (Longo, 2000c).Oggi possiamo affermare che lo sviluppo tecnologi-co tende ad evolvere come macrosistema vivente,con tempi incomparabilmente più veloci di quellibiologici e con “innesti” nella stessa biologia umana(protesi, manipolazione di organi, clonazione),modificando per la prima volta traiettorie ed esitievolutivi verso direzioni inedite. Qualcuno in pro-posito sostiene che “stiamo realizzando il sognocapitalistico di colonizzare la vita”. Oggi – afferma-va Bateson già circa vent’anni fa - siamo diventatiabbastanza “saggi” da poter distruggere il mondo..con le migliori intenzioni.

In linea generale, infatti, potremmo sintetizzarel’attuale condizione dell’uomo contemporaneo inquesto modo: o l’uomo è diventato troppo “intelli-gente” (homo sapiens-demens) al punto da riteneredi essersi completamente affrancato e autonomizza-to dal suo rapporto con la natura, eliminando le sueradici biologiche, oppure non è stato abbastanza“abile” nel limitare la sua cupidigia e nell’utilizzarequei mezzi che portano alla distruzione del sistemaevolutivo globale (Bateson, 2000). Nel secondocaso, il tema del rapporto (convivenza) con la natu-ra rimane una questione ancora aperta e non defini-tivamente compromessa, allo stesso di quello tracittà e natura. Proverò a collocarmi in questa secon-da prospettiva.

Homo technologicus vs homo sapiens: Città vsnatura.

L’immaginario collettivo di una scienza e di unatecnica - la tecno-scienza - possano preludere a sce-

Ambiente più un’elevata civiltàurbana. Riflessioni sull’usomoderno della tecnologia1

Enzo Scandurra

1. Abbiamo sottoposto il tema dell’“innovazione nelle politiche urbane” al prof. Enzo Scandurra per un’intervista. Egli ha preferito rispon-dere con lo scritto che qui riportiamo integralmente.

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dibattito

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nari apocalittici da “fine del mondo”, “fine dell’u-manità” o a un improbabile avvento di un’era “post-umana” o, ancora, come diceva la Arendt, nella tota-le trasformazione dell’intero umano in materiaprima, nasce indubbiamente dalla consapevolezza edall’osservazione quotidiana che la tecnica siannuncia sempre più come adempimento dei finidell’uomo, come suo inevitabile destino, come fineultimo del processo di civilizzazione, come totaleannientamento dei mondi vitali. Da strumento ausi-liario dell’homo sapiens, da mezzo necessario peraffrontare l’ostilità della natura, la tecnologia spin-ge l’uomo moderno “oltre i confini pragmaticamen-te limitati delle epoche precedenti” verso nuoveforme di totalitarismo tecnologico.

La specie homo vive costantemente la contraddi-zione di essere una specie che ha bisogno della tec-nologia per sopravvivere in un ambiente (l’ambien-te) per il quale non è adatto (specie mancante).Necessita di un ambiente artificiale (la città) che lodifenda dall’ambiente naturale; ha bisogno di unatecnica in grado di elaborare, e manipolare le condi-zioni naturali proprio perché non dispone, a diffe-renza delle altre specie animali, di un ambiente“inteso come un insieme di condizioni naturali divita a lui specificatamente assegnato dalla natura”(Galimberti,1999). Secondo questa concezioneantropologica (la specie mancante di Gehlen)3, l’uo-mo è costretto ad ingaggiare una lotta inevitabilecon la natura. L’uomo amplifica sempre di più la suacapacità di produzione del suo particolare “ambien-te” artificiale a lui adatto, cancellando il confine tra“polis” e “natura” a favore della sfera artificiale. Inun secondo momento l’”artificiale” - la città - tendea diventare esso stesso un nuovo tipo di “natura”,ossia una peculiare forma di habitat con la quale lalibertà umana si trova ad essere confrontata in unsenso del tutto nuovo. Questo “secondo ambiente”assume le dimensioni fisiche, sociali, politiche etecniche di luogo “biologicamente” adatto, doveegli si stacca dal suo rapporto primario con la natu-ra e le altre specie animali. Mano a mano che la tec-nica si specializza, la città - cultura e tecnica insie-me - si sradica dal rapporto con la natura che finiscecon il dominare attraverso le leggi della produzione,dei consumi, dei profitti, in una parola, dell’econo-mia. La macchina urbana diventa predatrice dellanatura, una gigantesca protesi meccanica energivoraattraverso la quale l’uomo esercita la sua duplicefunzione di difesa dell’ambiente e di aumento smi-surato dei prelievi dalla natura, per soddisfare i suoicrescenti bisogni. Aumento della popolazione,aumento delle capacità tecniche, leggi dell’econo-mia, rendono sempre più autonomo questo secondo

ambiente ormai organizzato a sostituire il primo.Questo inedito scenario del contemporaneo non

può però essere demonizzato a favore di un ritornonostalgico alla natura. Il processo di aumento cumu-lativo della tecnica non può, di per sé, essere consi-derato come un “traviamento umano” il cui esitosarà inevitabilmente quello dell’era della post-uma-nità4. Se è vero che la civilizzazione tecnica ha in séla forte tendenza a degenerare nell’esasperazione enell’incompatibilità, ciò non è per effetto esclusiva-mente di una delega incontrollata alle macchine e aisuccessi della tecnica, quanto piuttosto per la pre-senza di forze economiche, sistemi, che spingono aporre l’uso della tecnica al di fuori del controlloumano; situazione che Jonas paragona a quella di uncapezzale dove l’umanità è al contempo paziente emedico.

Suggerimenti per la pianificazione

Per non lasciare il discorso ad un livello chepotrebbe apparire troppo astratto, avanzerei, allaluce delle considerazioni svolte, alcuni suggerimen-ti o quantomeno alcuni elementi di riflessione conriferimento soprattutto a chi – urbanisti, pianifica-tori e planner – si occupano di questioni di città eterritorio. Suggerimenti che mi vengono dalla fre-quentazione di quel particolare e insolito scienziato,Gregory Bateson, cui in realtà non piaceva moltoessere annoverato tra gli ambientalisti.

Ambiente più elevata civiltà urbana

Nel suo saggio: “Ecologia e flessibilità nellaciviltà urbana”5, Bateson formula alcuni indirizzi dipianificazione nella direzione di un ritrovato equili-brio tra ambiente ed uomo. In questo caso la “solu-zione” sarebbe quella di tentare di costruire ununico sistema costituito dall’ambiente-più-un’ele-vata civiltà umana. Gregory Bateson spiega cosavuol dire “elevata civiltà” dal punto di vista tecno-logico e dell’uso delle risorse. Egli fa l’esempiodella metamorfosi della farfalla che deve vivere, instato di crisalide, solo del suo “brodo ecologico”.Con il termine di “elevata civiltà” si intende l’usovirtuoso delle attuali tecnologie (dagli strumenti dicomunicazione ai calcolatori) e l’uso parsimoniosodelle risorse da utilizzare solo ai fini del cambia-mento. In questo senso la città costituirebbe il luogodella “elevata civiltà” non più contrapposto allanatura.

Bateson indica quattro percorsi nella direzionedi “costruzione” di un sistema “ambiente più un’e-levata civiltà umana”. Primo: è innanzi tutto non

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saggio pensare di ritornare all’innocenza di stili divita di precedenti società in equilibrio armonico conla natura (Aborigeni australiani, Eschimesi,Boscimani), perché ciò “comporterebbe la perdita disaggezza che ha spinto a questo ritorno e non fareb-be che rimettere in moto daccapo tutto il processo”.Secondo: la società o civiltà saggia dovrebbe favori-re la produzione di tecnologie avanzate (un grandeprogresso tecnologico) a livello diffuso; tecnologiemeno ortogonali ai processi della natura, e quindipiù compatibili all’interno di una saggia visionesistemica. A proposito di questo punto occorre met-tere in discussione forse quel pensiero ambientalistasecondo il quale l’uso esclusivo di fonti energetichealternative (sole, maree, venti, fotosintesi, ecc.)basterebbe da solo a mantenere in condizioni accet-tabili di vita l’attuale popolazione del pianeta.Questa è una cosa che non sappiamo e che non èfacile calcolare o prevedere. Terzo: le risorse nonrinnovabili dovrebbero essere utilizzate in manieraparsimoniosa solo allo scopo di facilitare i muta-menti necessari. Quarto: questa civiltà saggiadovrebbe favorire il più possibile la produzione didiversità “non solo per accogliere la diversità gene-tica e di esperienza delle persone, ma anche percreare la flessibilità e il preadattamento necessari adaffrontare mutamenti imprevedibili”.

Bateson ritiene che il patrimonio di flessibilitàsia vitale non solo per l’ecosistema, ma per ognisocietà saggia. La flessibilità può essere definitacome potenziale non impegnato nel cambiamento.La società moderna consuma dosi massicce di flessi-bilità portando i sistemi in prossimità del collasso.Tutti i processi della modernità vanno nella direzio-ne opposta alla produzione di flessibilità: noi cer-chiamo sempre l’ottimizzazione, l’efficienza, la spe-cializzazione, pretendiamo di prevedere e calcolare irischi, facciamo valutazioni per vedere il limite mas-simo di carico sopportabile, ecc. In merito a questoaspetto Bateson fa l’esempio dell’acrobata che riescea stare in equilibrio dinamico, passando da una posi-zione di instabilità all’altra, grazie alla sua riserva diflessibilità. Se le sue braccia fossero bloccate, l’a-crobata cadrebbe. L’ecologia dei nostri sistemi eco-nomici, giuridici, pianificatori, sociali e così viariduce la flessibilità attraverso norme, vincoli, dispo-sitivi, prescrizioni che ci dicono tutto ciò che dob-biamo fare. Ora questi provvedimenti possono ancherisultare necessari durante la fase di apprendimento(così come l’acrobata impara a diventare tale utiliz-zando una rete di protezione in caso di caduta), ma“in ogni caso il ricorso alla legge non è il metodo piùadatto per stabilizzare le variabili fondamentali. Ciòdovrebbe avvenire grazie ai processi dell’educazione

e della formazione del carattere”. C’è infine un’ulti-ma raccomandazione di Bateson che suggerirei aipolitici, agli amministratori, e ai colleghi urbanisti eplanner: “In effetti il problema di come comunicarele nostre argomentazioni ecologiche a coloro chevogliamo indirizzare verso quella che a noi sembrauna “buona” direzione ecologica è a sua volta unproblema ecologico. Noi non siamo fuori dall’ecolo-gia che stiamo pianificando: ne facciamo sempre ecomunque parte. […] Dio non può essere beffato” –continua Bateson – “e quest’affermazione vale per larelazione tra l’uomo e la sua ecologia”. Non serveaddurre a pretesto che un certo peccato d’inquina-mento o di sfruttamento in fondo è di poco conto oche è stato commesso senza intenzione o con lemigliori intenzioni. Oppure dire “se non l’avessifatto io l’avrebbe comunque fatto qualcun altro”. Iprocessi ecologici non possono essere beffati”.Infine Bateson aggiunge qualcosa che gli urbanistidovrebbero sempre avere a mente: “Se questo miogiudizio è corretto, allora le idee ecologiche implici-te nei nostri piani sono più importanti dei piani stes-si, e sarebbe una follia sacrificare queste idee sul-l’altare del pragmatismo. Alla lunga non conviene“vendere” i piani con superficiali argomentazioni adhominem che nascondono o contraddicono l’intui-zione più profonda”. Straordinari questi insegna-menti di Bateson!

Conclusioni: Quali speranze?

Nel recente, e acceso dibattito, sull’impiego, aifini di ricerca, degli embrioni prodotti in soprannu-mero nelle pratiche di fecondazione assistita, sem-bra essere accaduto qualcosa di diverso dal passato.In un certo senso abbiamo assistito al prevaleredella sfera etica e politica sulla questione diventataspecialistica della bioetica. Mi riferisco al fatto cheil dibattito avvenuto fuori dal Parlamento inglese èstato sottratto ai suoi luoghi specialistici per diven-tare questione comune e pubblica. Qualcuno ha fattonotare che fino ad oggi eravamo assuefatti all’ideache la velocità della tecnologia dovesse travolgerenecessariamente i tempi sia dell’etica che della poli-tica. Probabilmente l’unica garanzia valida alle pre-tese (con conseguente dominio) di autonomizzazio-ne della tecnica, è rappresentata dalla discussionepubblica, dal formarsi di un’agorà (locale e globa-le, ovvero sia come assemblee locali, sia come crea-zione di organismi mondiali di discussione pubbli-ca) dove è possibile discutere il nesso tra i destiniprivati degli individui (al di fuori delle macchineideologiche) e le scelte pubbliche che a quei destinisono molto legate. In assenza dell’agorà – del luogo

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dibattito

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privato/pubblico - sarà difficile sottrarre il dibattitoalla sfera ristretta e lobbistica dei tecnologi, specia-listi, scienziati – cui si aggiungono sempre affaristie, politici troppo interessati a trovarvi un tornacon-to personale – che faranno per noi le scelte che loroconsiderano più giuste, e sarà allora troppo tardi,come qualcuno ha detto, riappropriarsi eticamente epoliticamente della “nuda vita”. Ma perché questosia possibile occorre il riconoscimento preliminare,da parte delle forze culturali e politiche, dell’inter-dipendenza tra le componenti uomo e ambiente;interdipendenza che riconnette anziché distruggere.Ciò obbliga a riformulare ragioni e convenienze diuna possibile coesione e convivenza sociale in cui,come sosteneva Castoriadis, “ i valori economici (ela tecnologia, io aggiungo) non siano più centrali (ounici), dove l’economia sia rimessa al suo postocome semplice mezzo della vita umana e non comefine ultimo”.

Note

(1) Attribuisco al concetto di tecnica (e tecnologia), quellopiù generale (Galimberti, 1999) di cultura, nelle sue manifesta-zioni di oralità, scrittura, saper fare, costruire artefatti, oggetti,utensili e così via, e a quello di natura biologica l’inseparabilità diogni creatura vivente con il mondo organico. Secondo Longo unodei primi strumenti tecnologici è il corpo, inteso come protesi bio-logica di interfaccia tra interno ed ambiente (Longo, 2000a).

(2) I nuovi indirizzi dell’epistemologia (a differenza di quel-li del passato basati sulla separabilità tra componenti) attribuisco-no importanza fondamentale al contesto e all’interazione retroat-tiva tra gli elementi del sistema (Longo, 2000b).

(3) Faccio esplicito riferimento alla teoria antropologica diGehlen che sostiene che la specie umana è una specie mancantedi quelle “attrezzature” (in generale il corredo biologico dell’i-stinto e delle protesi biologiche necessarie) che gli consentireb-bero di sopravvivere nell’ambiente. Non a caso la specie umananon ha un suo habitat naturale specifico e può vivere, a differen-za degli animali, quasi in qualsiasi condizione ambientale, dalpolo all’equatore (vedi Gehlen in bibliografia).

(4) Il carattere aperto delle scienze contemporanee della natu-ra ci permette di ipotizzare che nel corso delle progressive gene-razioni la biotecnologia possa dotarci degli strumenti adatti a per-mettere di compiere ciò che gli specialisti dell’ingegneria socialenon sono stati in grado di fare. A questo stadio, avremo definiti-vamente concluso la storia umana, poiché avremo abolito gliesseri umani in quanto tali. Allora comincerà una nuova storia, aldi là dell’umano (Fukuyama, 1999). È questa la tesi apocalittica eregressiva di Fukuyama.

(5) Il saggio in oggetto è stato recentemente tradotto dall’in-glese e compare all’interno dell’ultima edizione (aggiornata) di“Verso un’ecologia della mente” (Adelphi, 2000). Tale saggio fuscritto da Bateson nel 1970 quando l’autore fu invitato a presie-dere un convegno ristretto di cinque giornate sul tema:“Ristrutturazione dell’ecologia di una grande città”, patrocinatodalla Wenner-Gren Foundation.

Bibliografia di riferimento

Bateson G., 2000, Verso un’ecologia della mente,Milano, Adelphi (nuova edizione).

Bencinelli E., Galimberti U., 2000, E ora? Ladimensione umana e le sfide della scienza,Torino, Einaudi.

Cini M., 2000a, Elogio della diversità, in “La rivi-sta del manifesto”, n°3, pp. 3-8.

Cini M., 2000b, Ancora sulla diversità, in “La rivi-sta del manifesto”, n°5.

Gehlen A.,1940, Der Mensch. Seine Natur und seineStellung in der Welt, trad. it., L’uomo. La suanatura e il suo posto nel mondo, Milano,Feltrinelli, 1983.

Galimberti U., 1999, Psiche e Techne. L’uomo nel-l’età della tecnica; Milano, Feltrinelli.

Jonas H., 1990/93, Il principio di responsabilità.Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino,Einaudi.

Jonas H., 1999, Organismo e libertà, Torino,Einaudi.

Jonas H., 2000, Sull’orlo dell’abisso. Conversazionisul rapporto uomo e natura, Torino, Einaudi.

Longo O. Giuseppe, 2000a, Mente e tecnologia,“Pluriverso” n°1, Milano, La Nuova Italia.

Longo O. Giuseppe, 2000c, Tecnologia e mutamen-to culturale, prolusione tenuta il 21.3.2000 perl’inaugurazione dell’a.a. 1999/2000dell’Università degli studi di Trieste.

Longo O. Giuseppe, 2000b, L’uomo mobile e flessi-bile può adattarsi quasi a tutto, “Telèma”, annoVI, primavera 2000, p. 66.

Longo O. Giuseppe, 1998, Il nuovo Golem. Come ilcomputer cambia la nostra storia, Roma-Bari,Laterza.

Magnaghi A., 2000, Il progetto locale, Torino,Bollati Boringhieri.

Scandurra E., La convivenza umana nella città con-temporanea, Roma, Meltemi (in corso di stam-pa).

Severino E., 1998, Il destino della tecnica, Milano,Rizzoli.

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“Innovazione”: brevi note amarginedi Flavia Schiavo

A conclusione di questo doppio nume-ro di Infolio, il n. 9 e il n. 10,sull’Innovazione, si sente l’esigenza dicompiere – attraverso alcune breviriflessioni – un sintetico bilancio.

Perché la redazione ha avvertito lanecessità di riflettere su tale tema,destinando ad esso due numeri dellarivista?

L’argomento è stato reputato cen-trale e fondativo a livello della teoria edella pratica disciplinare: l’urbanisticainfatti edifica il proprio corpus attra-verso una ininterrotta dinamica di tra-sformazione; la società cambia e ladisciplina rinnova, inventa, trasformastatuti e struttura scientifica al fine dicomprendere e orientare il cambia-mento.

Non a caso in questi due numeri èstato utilizzato il termine “innovazio-ne”, il cui senso, “mutare qualcosaaggiungendovi elementi nuovi”(Alemanni, 1546), rimanda ad un per-corso di trasformazione che, pur nellaricerca di nuovi mezzi, fini, strategie,mantiene – nel mutamento – unasostanziale continuità. Elementi per-manenti, forti, che vogliamo ritenereimmodificabili – anche se diversamen-te declinati - manifestano l’esistenza diuna trama a volte slabbrata, ma assaisolida, costituita da rapporti ed ele-menti fondamentali e reiterati: identità,riconoscibilità dei luoghi, interrelazio-ne tra uomo e ambiente, confronto conil passato.

Innovare in urbanistica, in analogiacol senso del vocabolo ed in terminicontemporanei, potrebbe significare –infatti - mutare, aggiungere, sostituire,trasformare, proporre sintesi e ristrut-turazioni culturali, ricercando – nellosconfinato ambito rappresentato dalrinnovamento – coerenza, continuità,permanenza, proponendo rifondazioniterritoriali che muovano dalla volontàdi tutelare e reinterpretare le preesi-stenti sedimentazioni.

È significativo che ciò che emergein gran parte dagli interventi del dibat-tito sia dato dalla ricorrente presenzadel piano, considerato quale nucleocentrale di riferimento. Certamente

non si tratta di un piano inteso in sensotradizionale, formalizzato attraverso lozoning e la sola imposizione normativao che preveda un andamento lineare edeterodiretto, non si tratta certamente diuno strumento strettamente fisico o lacui azione sia dipendente dai confiniamministrativi o che, ancora, immagi-ni e prefiguri il territorio come spazioa-temporale, segmentabile, bidimen-sionale, isotropo o omogeneo; piutto-sto di un “progetto collettivo”, uninsieme coerente e coeso di riferimentiche, come dice F. Indovina, si espliciticome frutto di “scelte politiche tecni-camente assistite”, uno spazio entrocui far incontrare le “ragioni dellacomunità” e “la volontà politica del-l’amministrazione”.

Le categorie della descrizione e delprogetto vengono senz’altro innovate,cambiano gli strumenti di attuazione edi intervento, si trasformano le dinami-che di partecipazione e di finanzia-mento, ma permane l’esigenza (che cisembra ineludibile) di ricondurre iframmenti verso l’unità del piano -cercando centri di convergenza - conl’obiettivo comune di potenziare essoattraverso gli strumenti dell’innovazio-ne, piuttosto che immaginare contrad-dittorie e improduttive contese tra dif-ferenti sistemi.

I contributi che abbiamo inseritoall’interno dei due numeri manifestanoquesta urgenza duplice e insieme com-plementare, che ci sembra coniughiinnovazione e tradizione disciplinare.Ciò appare ancor più pressante allaluce di una rilettura diacronica deltempo trascorso (soprattutto l’ultimoventennio), considerando secondoun’ottica generale gli scenari tecnolo-gici contemporanei, o in termini piùspecifici l’imporsi di numerosi e nuovistrumenti di progetto e attuazione che,insieme ad una grande rapidità e flessi-bilità, prevedono in larga misura inter-venti potenzialmente derogatori osconnessi da un sistema generale diattinenze.

Ciò che sembra emergere dallospaccato presentato è la necessità diinnovare a partire dalla riforma legi-slativa, sino ai quadri formativi, acco-gliendo, selezionando e metabolizzan-do paradigmi emergenti, attraverso unoculato processo di elaborazione sin-tetica che la disciplina ha cercato di

mettere in atto sin dalla sua nascita:tradizione ed innovazione, conformitàe immaginazione, regola e infrazionealla regola, alla ricerca di un ideale esempre transitorio equilibrio tratempo, spazio e società. È in tal sensoche l’innovazione in urbanistica puòessere rappresentata da una continuariconsiderazione delle preesistenzeattraverso nuovi strumenti, paradigmi,approcci: a termini storici come “coe-renza”, “memoria”, “storia” si asso-ciano vocaboli recentemente riconsi-derati o introdotti in periodi più attua-li, come “ascolto”, “partecipazione”,“paesaggio”, “ecosistema”, “rete”,“qualità”, “molteplicità”, “contamina-zione”, che testimoniano come ladisciplina metta in atto sintesi inter-pretative mirate ad integrare valoripermanenti con episteme che innesca-no innovative decodificazioni.

Questo è sostanzialmente – ci sem-bra – ciò che emerge dai contributi cheabbiamo raccolto, entro cui vengonorappresentati – in un quadro efficace esintetico, di ampio respiro – temi enodi; gli autori sollecitati fornisconodunque preziosi spunti di riflessione esuggeriscono strategie culturali e ope-rative per comprendere la tensioneverso l’innovazione e la trasformazio-ne della disciplina e del territorio.

Alla ricerca di “un ordine piùampio” (Mumford, 1961), inteso intermini che trascendono il solo aspettodimensionale, l’innovazione appare –dunque – come la capacità di metterein atto immaginazione e processi crea-tivi, impiegando, in termini produttivi,scoperte tecniche e teoriche; si tratte-rebbe di un sovvertimento di un cano-nico campo normativo, orientato aproporre soluzioni, che si evidenzia esi rende necessario quando le prece-denti modellizazioni del reale manife-stino un livello di disequilibrio o diimpotenza.

Ciò che definiamo come innova-zione in urbanistica è dunque, contem-poraneamente, creazione teorica eazione produttiva; è una strategia evo-lutiva che, muovendo dalla capitalizza-zione e dalla conservazione dei prece-denti risultati, delimiti un confine e,proponendone il superamento, all’in-terno di un sistema di valori esplicitatidi riferimento, ne affermi la mobilità.

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“Pensare è una specie di agire sperimentale, un agiredunque che, se ancora non trasforma il mondo, pure neprepara la trasformazione”Sigmund Freud

Introduzionedi Giuseppa Santapaola

La città può essere considerata come «un essere vivente incontinua trasformazione, sottomesso a influenze che nonagiscono in massa ma per sintesi»1. Con la svolta econo-mica degli anni Ottanta, l’urbanistica moderna non sem-bra più avere una precisa chiave di lettura della città poi-ché le trasformazioni economiche e sociali hanno portatoad una progressiva decadenza e crisi delle città italiane edeuropee. Un complesso travaglio di analisi, studi, teorie,strumenti istituzionali ed attuativi segnano il percorso del-l’inefficacia degli strumenti d’intervento e di governo delterritorio. Il concetto di partecipazione e di esigenza daparte dei cittadini nell’evoluzione delle trasformazioni ter-ritoriali urbane è cambiato in relazione ai diversi pesiassunti dalla domanda economica, sociale e di uso e con-sumo del territorio. Mentre nell’era della rivoluzione indu-striale il bisogno primario degli abitanti della città era la“casa”, nell’era postindustriale, con le trasformazioni deglistili di vita e delle esigenze, il nuovo bisogno primario èdato dalla crescente domanda di “qualità urbana”. Le con-dizioni di vita offerte nell’ultimo trentennio, anzichémigliorare hanno perso giorno dopo giorno qualità. Lacittà, storicamente luogo di incontri e di relazioni tra per-sone, è ormai diventata luogo di segregazione, di isola-mento, di incomunicabilità.

Fra le tante cause di questa crisi bisogna annoverare iproblemi causati dalla mobilità, dallo sviluppo, dall’ab-bandono del patrimonio storico culturale dei centri storici,dalla perdita dei confini della città e dell’identità culturale(perdita del senso della memoria storica), dalle disegua-glianze sociali, nonché dall’incapacità dei piani e deglistrumenti urbanistici.

Questa crisi ha portato il mondo scientifico alla ricercadi una strumentazione innovativa (che propone piani strut-

tura, schemi direttori, quadri strategici di riferimento),facendo convergere la pianificazione verso la ricerca diuna misura conforme e controllabile dei fenomeni omeglio del “sistema gestibile” e verso la sostanziale perdi-ta di efficacia del Piano-Normativa a favore dell’Idea-Progetto. Il piano pensato come strategia di medio perio-do confligge con le più rapide scansioni del divenire tec-nologico. I conflitti riassumibili in:• conflitto fra piano come strumento per l’espansione

edilizia nel territorio e tensioni insediative nel costruito;• conflitto fra zoning ed effettiva determinazione delle

convenienze localizzative attraverso le reti infrastruttu-rali;

• conflitto tra il tempo – lento – della pianificazione edelle strategie, ed il tempo – veloce – delle trasforma-zioni tecnologiche e socioeconomiche;Questi producono una oggettiva divaricazione fra piani

per l’urbanistica e piani per lo sviluppo sociale ed econo-mico.

Uno dei maggiori punti di crisi dell’urbanistica è datodall’incapacità da parte del sistema gerarchico dei piani difornire risposte alle domande provenienti da una società invia di complessificazione (dove gli attori delle trasforma-zioni urbane si moltiplicano) ed al tempo stesso della dif-ficoltà di dare risposte efficaci in tempi accettabili alla cre-scente domanda di qualità urbana.

Uno dei principi fondamentali della pianificazione - sela si vuole legare a principi etici - è data dal “bene comu-ne”, che pone al centro dell’attenzione sia nelle politiche,sia nelle pratiche, la Comunità (principio di considerazio-ne delle morfologie sociali). Nella ripartizione territorialela perdita di identità culturale equivale alla perdita di coe-sione e autonomia. Ogni Comunità, dunque, si dovrebbeidentificare con il luogo di appartenenza attraverso la pro-pria cultura, in modo tale da poter delineare il territorio,segnare i confini di paesi, di città, di regioni e di Stati.

Proporre un’antologia significa presentare un collagedi scritti apparentemente distanti e non assolutamente cor-relati, ma che possono semplicemente sottendere ad unastrategia argomentativa su un tema. Il richiamo del pen-siero espresso da autori classici quali, Lewis Mumford2,Alexander Mitscherlich3, E. A. Gutkind4, Robert Park,

antologia

La città, l’uomo, il piano e lametafora del gatto.Dialogo immaginario tra autoriclassici sulle relazioni socialidella città moderna.

L. Mumford, A. Mitscherlich, E.A. Gutkind, R. Park,E.W. Burgess, R.D. Mckenzie

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Ernest W. Burgess e Roderick D. Mckenzie5, serve a con-figurare le attenzioni che il piano ed i produttori dei pianidevono porre nei confronti della città, allontanandosi daatteggiamenti di tipo tecnocratico e prestando maggioreattenzione alle morfologie sociali nonché alle Comunitàurbane ed alle interazioni che il sistema città deve confi-gurare con gli utenti. Negli scritti che seguono sono messia confronto e riportati in termini di mini-antologia argo-mentativa, pensieri e riflessioni critiche degli autori sopra-citati sulla città, sulla società e sulla problematica dellanecessaria innovazione dei piani. I pensieri espressi dagliautor,i coinvolti in tale gioco, rivelano tutt’oggi una evi-dente attualità e profondità propositiva nei riguardi deicomplessi problemi urbani.

MumfordLa crisi mondiale che ha continuato ad esistere per iltempo di un’intera generazione indica che si è verificatoun cambiamento radicale nella direzione del movimentosociale: questo cambiamento ebbe inizio durante l’ultimoquarto del diciannovesimo secolo ed oggi, direttamente oindirettamente, esso influenza quasi tutte le istituzioni.(…) L’era dell’espansione occidentale ha avuto tre fasiche si sovrappongono in parte e si influenzano reciproca-mente: l’espansione della terra, l’espansione della popola-zione e l’espansione industriale. Tutte queste tre fasi sonoper solito considerate come se si trattasse di fenomeni cheappaiono costantemente in qualsiasi società sana; mentreessi furono cambiamenti per nulla comuni e altamentelocalizzati, che ebbero un inizio ben definito ed una inevi-tabile fine. Altri popoli che un secolo fa conducevanoun’esistenza primitiva hanno fatto presto a padroneggiarele macchine e le armi dell’occidente, e sono divenuti pro-duttori. Tali popoli non sopporteranno più di essere tratta-ti come portatori o servi: a buon diritto essi reclamano illoro posto quali soci, e rinforzano la loro richiesta appog-giandosi alla dottrina cristiana del valore infinito dell’in-dividuo, e alla dottrina democratica della libertà e dell’u-guaglianza di tutti gli uomini in quanto uomini. Noi nonpossiamo sconfessare queste due dottrine senza tradire lanostra preziosa eredità. Il commercio mondiale, la produ-zione mondiale, gli scambi mondiali debbono ora esserefondati su vantaggi equivalenti per tutte le regioni interes-sate: deve essere un traffico nei due sensi: e ciò deve avve-nire consapevolmente e deliberatamente. Nel frattempo,cambiamenti altrettanto radicali stanno per verificarsi inaltri campi dove l’espansione è avvenuta. (…) Non èaltrettanto facile tracciare i lineamenti del periodo di uma-nizzazione che si approssima: molti dei personaggi devo-no ancora essere inventati e le loro battute devono esserescritte: nel migliore dei casi, alcuni costumi e vari pacchicontenenti parti di scenario annunciano che si sta allesten-do la commedia. Per contrapposizione si potrebbe chia-mare il periodo che si approssima un periodo di equilibrio

dinamico, un equilibrio del genere di quello che il corpoumano mantiene in tutte le fasi della sua crescita. Il temadel nuovo periodo non sarà <<le armi e l’uomo>> né <<lemacchine e l’uomo>>: il tema sarà il risorgere della vita,la sostituzione dell’elemento organico a quello meccani-co, e la restaurazione della persona come misura supremadi tutto lo sforzo umano. Coltivazione, umanizzazione,cooperazione, simbiosi: queste sono le parole d’ordinedella nuova cultura su scala mondiale.

MitscherlichLe nostre città e le nostre abitazioni sono prodotti dellafantasia e della mancanza di fantasia, della grandiositàquanto della meschina testardaggine. Ma consistendo diuna dura materia, hanno anche l’effetto proprio deglistampi; noi non possiamo che adattarci ad esse. Questomodifica, in parte il nostro atteggiamento, il nostro essere.Si tratta, alla lettera, di un circolo fatale, tale da determi-nare un destino; gli uomini si creano nelle città uno spazioper la loro vita, ma non meno un ambito d’espressione consfaccettature innumerevoli, e tuttavia tale configurazioneurbana determina a sua volta il carattere sociale degli abi-tanti.

GutkindNoi siamo oggi a una svolta decisiva della nostra vita nelmondo: le semplici riforme, anche le meglio intenzionate,non bastano a risolvere l’assillante problema tra uomo egruppo e tra gruppo e ambiente. L’universo in espansionee l’ambiente in espansione seguono nel complicarsi delleloro strutture gli stessi princìpi. Una nuova misura, unanuova unità, una nuova mobilità, sono gli elementi fonda-mentali di questo sviluppo parallelo che conduce inevita-bilmente al formarsi di una nuova visione della vita.

MumfordL’uomo occidentale ha esaurito il sogno della potenzameccanica che per tanto tempo ha dominato la sua fanta-sia. Se egli è destinato a conservare gli strumenti che hacreato con tanta abilità, se egli deve continuare a raffinaree perfezionare l’intero apparato della vita, egli non puòlasciarsi stregare da quel sogno: egli deve proporsi scopipiù umani di quelli che ha assegnato alla macchina. Noinon possiamo vivere oltre, con le illusioni del successo, inun mondo ceduto a meccanismi senza vita, ad organismidesocializzati e a civiltà spersonalizzate: è un mondo cheaveva perduto l’ultimo residuo del suo sentimento didignità della persona quasi quanto lo perdette l’ImperoRomano all’apogeo della sua grandezza militare e dellasua potenza tecnica. I nazisti non hanno fatto altro cheportare più rapidamente al punto critico un processo chegià stava minando la nostra civiltà in modo più nascostoed insidioso. Ma ora dovrebbe essere ugualmente eviden-te un’altra debolezza sintomatica: anche coloro che sono

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rimasti attaccati al vecchio dramma dell’espansione edella conquista, dell’organizzazione meccanica e dellosfruttamento materiale, non credono più in quella storia.Gerorges Sorel osservò questo fatto al principio del ven-tesimo secolo: egli paragonò con disprezzo i nuovi capi-talisti ai baroni ladri del diciannovesimo secolo, e temevache sarebbe scomparso lo slancio rivoluzionario in unasocietà i cui uomini d’affari e i cui industriali hanno persola loro violenza originaria se non la loro originaria avidità.(…) Adifferenza dei rapaci industriali del diciannovesimosecolo, i dirigenti d’oggi non considerano più il sistemaindustriale come fine a se stesso. Per un aumento dellameccanizzazione l’uomo occidentale domanda un prezzospeciale: pane e spettacoli, sicurezza materiale e distrazio-ni semi-mentali. Egli deve esser corrotto e costretto percompiere atti che i suoi avi compivano lietamente, di tuttocuore, con una convinzione quasi religiosa.

GutkindChe questo assurdo accentramento della popolazione edell’industria ci condurrà alla rovina è stato riconosciutoda alcune persone benintenzionate e lungimiranti, le qualihanno pensato di migliorare la situazione con riformeesterne ed interne. Le prime si concretano nella creazionedi nuove città entro la sfera d’influenza delle metropoli ele seconde nella «scoperta della terza dimensione». Ilprimo crea un bambino con tutti gli svantaggi di un’origi-ne per metà oscura e senza lo stimolante eccitamento chequest’avventura nell’ignoto potrebbe suscitare.

MitscherlichDove la fantasia non è operante alla configurazione deirapporti di gruppo, dove la dinamica di tali rapporti non èanimata dal coraggio della ricerca, là non resta al singoloche il regresso in un arcaico sognare ad occhi aperti, chepuò essere trasformato senza gran resistenza in un agireottuso. La coscienza critica – come il nostro passato nazi-sta dimostra – viene, allora vittoriosamente attaccata disorpresa. Una pianificazione urbanistica che non mette neisuoi calcoli queste connessioni è schierata dalla parte del-l’autodistruzione, dell’annientamento della cultura, delresto sempre praticati dall’uomo (…). Urbanisti, architet-ti, cultori di psicologia sociale, e, non ultimo, il cittadinoche le case ha da abitarle, in questa triste situazione sifanno coraggio a vicenda, esortandosi all’utopia, all’uto-pia di città migliori. Ci sono due specie di utopia: una,folle, che, fosse mai realizzata, si rileverebbe per un car-cere ancora più tristo di quello a cui siamo avvézzi. Ciòtuttavia non significa che tali utopie a volte non siano rea-lizzate. L’altra specie consiste nell’anticipazione del futu-ro nei suoi elementi essenziali. È l’anticipazione del pen-siero. (…) È prova autentica di pigrizia mentale aspettarsicome cosa ovvia e naturale che la città di domani continuiad adempire quella funzione che, dapprima fortuita, ino-

pinata, si è venuta lentamente attuando nel corso dellegenerazioni: di essere cioè il luogo dell’autoliberazionedell’uomo. Non sappiamo abbastanza circa la costellazio-ne topica che ha infuso nel modo di vita urbano questofenomeno del pensiero insorgente, ribelle; certo non inogni città, ma sì nelle «capitali», cioè nelle città-capo divarie culture, di così lunghe epoche. Sarà la megalopoliuna tale città-capo? Oppure il luogo del lavoro di massa,del divertimento di massa, del sonno di massa? Un luogosenza forma e senza storia? (…) Ora, se si attuano tra-sformazioni storiche assai profonde, come la moltiplica-zione e l’ammassamento degli uomini nelle città, unmutamento radicale nelle tecniche produttive e nei modidel traffico, avviene che le nuove esigenze, i nuovi desi-deri vadano a cozzare, e assai duramente, contro la vec-chia forma urbana. Il processo di sopraffazione è crudelee inesorabile. Quanto di nuovo sorge non possiede però innessun modo, in principio, il taglio delle forme da grantempo sperimentate; basta che si garantisca l’assolvimen-to delle funzioni speciali previste: centro commerciale o didivertimento, quartieri residenziali, sobborgo industriale.La vecchia città altamente integrata si è scissa nelle suevarie funzioni. L’inospitalità che si va estendendo su que-ste nuove zone urbane è opprimente. La questione daporre è: deve essere così, è inevitabile che sia così? (…)La città in cui si è vissuti per secoli era un biotopo. Perchiarire questo termine: essa è un luogo nel quale le piùdiverse forme di vita raggiungono un equilibrio ed in essopersistono. Ciò accade in presenza di condizioni assai spe-cifiche, non sempre facilmente decifrabili. Quando dun-que si progetta una città, è lecito pensare che lo studiosodi biotopi dovrebbe recare il suo contributo, e un tale stu-dioso che ha a che fare con il comportamento umano insituazioni determinate è lo psicoanalista. Egli cerca letracce che la vita sociale ha lasciato nel carattere, ma inve-stiga anche il destino della spontaneità psichica nell’am-biente del singolo e di singoli gruppi. In ciò egli ha la pos-sibilità di orientarsi sul sistema finemente articolato che lasua scienza gli fornisce. Si tratta ogni volta di come unaciviltà – quale specifico ambiente umano – viene a capodel presupposto onde la natura istintuale umana non èlegata una volta per tutte a un ambiente, a oggetti definiti-vamente fissati.

Park, Burgess e MckenzieLa città può essere un prodotto inconsapevole dell’intera-zione tra successive generazioni e l’ambiente, oppure puòessere il risultato di un’attività intenzionale che si propo-ne un fine specifico. Sappiamo di antiche città sorte pervolontà di un imperatore che voleva glorificare il proprionome. In America esistono città che sono il prodotto pre-meditato di individui o di società che intendono creare lasuccursale di una fabbrica. In America esistono città capi-tali che debbono la loro esistenza alle deliberazioni di una

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legislatura. La città progettata differisce dalla città «natu-rale» non soltanto nella forma strutturale, ma negli aspet-ti funzionali e nella capacità di sviluppo. Probabilmentenessuna città progettata può svilupparsi in metropoli senon si trova in qualche modo una funzione importantenell’economia mondiale e se non conquista un suo postonel processo di competizione.

MumfordFino ad oggi questo cambiamento è avvenuto ciecamentee con continui errori. Non soltanto sono state ignorate lecause principali, ma gli interessi e gli atteggiamenti che sisono formati per effetto della tradizione di espansionehanno impedito a tutte le comunità di affrontare con mezzirazionali le nuove condizioni di vita. Coloro che hannoaccettato le premesse della stabilizzazione hanno collega-to questo movimento a scopi regressivi e lo hanno taglia-to fuori dalla sua missione creativa. Coloro che si sonoopposti alla stabilizzazione hanno cercato di perpetuare unpassato che è fuori della portata dei nostri richiami, unpassato che non varrebbe la pena di richiamare, anche seciò fosse possibile. Sia il ritmo che la tradizione dellanostra vita stanno per subire un cambiamento profondo: equesto si dimostrerà un cambiamento benevolo a pattoche noi respingiamo la tentazione fatale di venerare leombre di ciò che siamo stati e di perpetuare i nostri pas-sati errori. (…) Ogni campo della vita registrerà questocambiamento: esso avrà influenza sui metodi di insegna-mento e sui procedimenti scientifici non meno che sullaorganizzazione delle imprese industriali, sulla pianifica-zione delle città, sullo sviluppo delle regioni, sullo scam-bio delle risorse mondiali.

MitscherlichI luoghi in cui i cittadini mettevano a frutto e preservava-no politicamente la loro libertà, il foro, la piazza del mer-cato, il caffè inglese del XVIII e quello continentale delXIX secolo, il club e simili sono oggi privati di questa fun-zione. La «politica al tavolo del caffè» non vive ancorache come manifestazione di risentimenti e resta sterileverbalismo. (…) La città come spazio politico (e non diproduzione, commercio, amministrazione) deve offrirespazio a quella polarità. Dove tale dialettica non è facilita-ta da spazi configurati, sia privati che pubblici, la cittàperde il suo compito di formatrice della coscienza, di pro-pulsore storico: si provincializza. I cittadini devono averela possibilità di sperimentare se stessi, di disporsi nelladimensione pubblica al compromesso senza per questotradire i propri convincimenti. Su questa via, che è la viadella ragione, avanza la causa della collettività. (…) Inmezzo ai cattivi impianti provvisori che dànno ricetto agrandi masse umane, le quali diventano masse appunto inquesta provvisorietà, abbiamo tuttavia imparato a distin-guere con chiarezza due piani di esistenza umana: l’uomo

è intellettualmente mobile, straordinariamente capace diadattamento – per un’evoluzione equilibrata - egli ha peròbisogno di radicarsi in costanti rapporti affettivi duranteun lungo periodo di maturazione. (…) Riassumiamo dun-que ancora una volta. La città deve permettere questeesperienze: di un ambiente il quale costringe alla vitacomunitaria, e che nel contempo elargisce e garantisce lalibertà individuale. Il compito nostro può essere solo quel-lo di dare spazio a tale possibile libertà. Purtroppo ciò chevi contrasta, la perturbazione di questo processo, è di granlunga più agevole, giacchè si può fare moltissimo per con-culcare la libertà. Sinora in simile repressione la nostrasocietà, consapevolmente o inconsapevolmente, è stataevidentemente assai più abile e, a quanto sembra, moltopiù interessata. Se dunque non si può pianificare la feli-cità, si può almeno, tenendo gli occhi ben aperti, diminui-re l’infelicità. Un’impresa non priva di rilievo, visto quan-to le città nostre sono inospitali. (…) L’architetto e tutti glialtri tecnici non possono più padroneggiare da soli il pro-blema di una pianificazione urbanistica e non hanno lapossibilità di impedire l’evoluzione patologica che giàprofondamente si delinea nella nostra struttura sociale.Quel che preme è conoscere l’interiore disposizione in cuigli uomini di oggi – anche per come sono fatte le loro città– si trovano. Quel che importa è tentare di creare daccapoa questo abitante della città, così deluso del suo ambientee perciò anche così incostante, così «maniaco della mobi-lità», un ambiente in cui possa radicarsi e stabilire dure-voli relazioni con uomini e cose, per esempio con la suacasa, anche se questa dovesse essere un grattacielo. Il met-tere a disposizione i vari comforts non produce ancora unospirito di comunità, uno spirito civico; occorre conosceregli uomini a cui bisogna dare una casa – conoscerli qualinelle nostre città sono diventati – per cogliere quegli indi-zi di cui c’è bisogno per non abbandonarsi, dimentichi diloro, a fantasie che, se realizzate, non sono più fatte pro-prie dai cittadini. Parecchie speranze della società sonoapprodate così alla pura e semplice pianificazione archi-tettonica. Ne consegue che il lavoro di pianificazione puòessere svolto da un team. Il sano buon senso è finzione, inogni caso non basta per risolvere i problemi configuratividel biotopo tecnico-artificiale destinato agli uomini. Perquesto non si richiede la sola conoscenza dell’uomo, sirichiede anche la scienza dell’uomo.

La metafora del gattoPoscritto di E. A. Guttkind da L’ambiente in espansione.

Finito di scrivere queste pagine (da “L’ambiente in espan-sione”), cominciai a meditare sul vero significato di “pia-nificazione”. Pensai che una conversazione seria conToopie Toops, la nostra gatta, non poteva nuocere, e cosìdecisi di consultarla.

“Sto scrivendo sulla fine delle città e su una nuova

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struttura di vita in un ambiente migliore. Capisci cosavoglio dire?”.

“Non molto”, rispose, “ Io sono il mio proprio ambien-te. All’infuori di questo non c’è nulla”.

“Sta a sentire: voglio spiegare perché il nostro modo divivere nelle città è diventato assurdo. Dobbiamo cambiarlo,e possiamo farlo solo se siamo più realisti, più sistematici diquanto siamo stati finora. Sai che cos’è la pianificazione?”.

“Certo”, rispose indignata con un colpo di coda, “nonè il vecchio metodo che usate sempre voi uomini per rime-diare qualche pasticcio che avete combinato?”.

“Già; forse c’è del vero in quello che dici. Ma stavol-ta è una cosa seria. Dopo il nostro ultimo massacro gene-rale tutto e tutti sono un po’scombussolati. Dobbiamo tro-vare un rimedio”.

“Capisco… E vuoi sapere prima quello che bisognafare?”.

“Sì, pressapoco. Ma è difficile da spiegare”, risposi, unpo intimidito dal suo sguardo severo.

“Che bisogno hai di saperlo prima? Io mi baso sul mioistinto che non mi tradisce mai. Sei un dilettante nei tuoirapporti con tutte le cose, con te stesso e con il mondoesterno. Se ti sentissi veramente tutt’uno con le cose che ticircondano, faresti istintivamente ciò che è giusto. Ma ilguaio è che non sai fare le fusa. Ogni volta che faccio lefusa mi sento felice e in armonia con tutto ciò che mi cir-conda. Allora sono veramente in pace”.

“Dì! Non mi piace quest’aria di condiscendenza. Te nestai lì come una sfinge! Mi pare che dimostri in modo unpo’troppo sfacciato quanto sei fiera dei tuoi antenati egizi.Pessima educazione! So che la tua razza vanta una deagatto, ma non è un buon motivo per trattarmi con questosussiego”.

“Fai una gran confusione. Una sfinge non è una deagatto. E se sembro una sfinge è soltanto perché la mia anti-ca saggezza proviene dal mio pensiero e dal mio istinto. Inme corpo ed anima, cervello ed emozioni sono una cosasola. Ogni mio movimento, ogni mia posizione sono l’e-spressione di tutto il mio essere”.

“Bene... Devo dedurne che nei riguardi del mondo checi circonda tu sei una professionista ed io un dilettante?”

“Infatti. È un’ottima spiegazione”.“Adesso ci siamo. I professionisti hanno la mentalità

ristretta e i dilettanti sono i campioni dell’elasticità.Dicono continuamente di non saperne abbastanza e poifanno esattamente ciò che piace a loro e che non piace aglialtri. Un po’ come gli inglesi, mi pare”.

“Non parlare male degli inglesi! Sono una BritishBlue, e dopotutto noi gatti siamo gli unici esseri che trat-tano come creature superiori”.

“Non possiamo continuare il nostro discorso? È cosìcomplicato e le mie idee urtano continuamente contro isani ragionamenti di tutti i realisti incalliti. Sono presun-tuosi quasi quanto te”.

“Queste osservazioni sarcastiche sono assolutamentefuori luogo”, replicò voltandomi la schiena e rizzando lacoda verso il cielo. Dopo un poco si girò di nuovo e lacoda tornò in una posizione più decente. Lentamente siaccovacciò, tirò in dentro il sedere e assunse un aria abba-stanza socievole. “Credo”, disse, “che il vostro guaio siadi avere una scala tempo e una scala spazio sbagliate e perdi più di tenerle separate. La mia vita è senza tempo esenza spazio. È senza fine e senza limiti. Qualcuno, nonricordo chi, disse che “un gatto cammina da solo, perchéper lui tutti i posti sono uguali”. Per noi c’è una completaunità di spazio, e siccome c’è una unità spaziale c’è ancheunità di tempo, e tempo e spazio sono una cosa sola”.

“È una spiegazione davvero sorprendente. Un po’intellettuale, forse, ma capisco cosa vuoi dire”.

“Invece di stare sempre a spiare le interruzioni e gliintervalli nel tempo e nello spazio, mi baso sul mio ritmodi vita. Sono io l’anello di congiunzione fra tutte le cose.Per me non esiste il vostro problema di vedere prima i par-ticolari e poi l’insieme, che spesso non vedete affatto”.

“Sei acuta davvero. Non sapevo che il tuo istinto aves-se un’impronta così intellettuale”.

Un colpo sprezzante di coda fu l’unica risposta. “Nonvolevo offenderti”, mi affrettai ad aggiungere. “Continua,ti prego. Comincio ad accorgermi che ne sai molto più dime”.

“E c’è un’altra cosa che forse ti riuscirà nuova. Tuttociò che è immobile non mi interessa e non vedo mai lasuperficie delle cose. Per me sono sempre corpi a tuttotondo. Il movimento e la simultaneità mi fanno sentired’essere viva”.

“Che cosa c’entra tutto questo con la pianificazione?”.“C’entra moltissimo! Ti ritiri come una lumaca nel

guscio, nel chiuso di un ambiente immutabile; o per lomeno così credi di fare. In realtà sei semplicemente osses-sionato dalla paura perché non riesci a conciliare leschiaccianti contraddizioni fra te e la vita come tu crediche sia”.

“Ma io non sono una lumaca. Non sfuggo alla vita stri-sciando dentro un guscio come un vigliacco”.

“Sei peggio di una lumaca: sei antiquato. Sei un abi-tante delle caverne. Una lumaca ha la sua casa trasporta-bile e può vivere dove le pare. Tu hai bisogno di tutti que-gli edifici presuntuosi e imponenti che un terremoto puòdistruggere in un soffio ”.

“In questo paese non ci sono terremoti”.“Di nuovo questa cecità campanilistica! Come se que-

sto fosse l’unico e il solo paese di Dio. Se non ci sono ter-remoti, del resto, troverete altri mezzi di distruzione”.

“Non mi piace questa aggressività. Dimmi piuttostoqual’è il tuo vero scopo nella vita”.

“La mia vita è il mio scopo”.“Non è un po’ troppo generale?”.“Affatto; quando la vita è generale è molto definita”.

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“Hum... davvero? E la pianificazione?”.“La fai sempre tu per me. Mi lusingo di essere una

gatta completa. Piaccio a tutti. Sono bella”.“Scusa… ma non ti pare di eccedere con queste van-

terie?”.“Non essere impaziente. Mi vedi sempre attraverso le

tue lenti da uomo. Dovresti chiederti piuttosto perché sonouna creatura piacevole e perché sento di avere una vitacompleta. Te lo dirò io... visto che da solo non ci arrivere-sti ugualmente. Perché fai tutto il possibile per prepararmiun ambiente dove io mi possa muovere a mio agio, dovetrovo ciò che desidero e ciò che mi serve, dove c’è varietàe, soprattutto... perché non cerchi di imprigionare la miavita personale nella camicia di forza di una rigida tutela”.

“Sono contento che finalmente tu mi faccia qualchecomplimento”.

“Sono sempre giusta. I tuoi sforzi sono molto lodevo-li. Siccome tu mi crei le condizioni migliori, le miemigliori qualità affiorano. Dico questo per riconoscere ituoi meriti e non., come tu dici, soltanto per vanteria”.

“E questa sarebbe una spiegazione di quello che è lapianificazione?”.

“Proprio così. Metti insieme tutto quello che ti ho dettoe adoperalo per trasformare il tuo ambiente. Dimentica ituoi pregiudizi. Dimentica più che puoi. Basati sulla tuaspontaneità e sensibilità. Scopri i veri valori in tutto ciòche fai. Non pianificare gli uomini ma eccita la loro fan-tasia e alimenta il loro attaccamento al lavoro alla più vivafiamma di una rivoluzione pacifica. Ma adesso sono stan-ca. Non mi piacciono queste lunghe discussioni. Prendereo lasciare. Non ho altro da aggiungere”. E si arrotolò inuna forma impeccabile, tranquilla eppure in sintonia contutto ciò che avveniva intorno a lei.

Passeggiavo avanti e indietro per la stanza, cercando didigerire quello che Toopie Toops mi aveva detto. Eromolto sconcertato. Mi buttai su una sedia comoda e a pocoa poco una grande stanchezza mi invase. Mi abbandonaia quel piacevole stato tra la veglia e il sonno, quando ilcompleto distacco dalla realtà crea una strana lucidità euna ancora più strana comprensione dei disordinati fattidella vita. E improvvisamente mi trovai in una enormesala buia.

Una voce, dal nulla, mi disse di sedere. Cercai di farloma non c’erano sedie. “Siedi”, ripetè la voce. Provai anco-ra e sentii un cuscino d’aria crescere sotto di me fino adiventare una magnifica poltrona. “Ti trovi nel Cinemazesurrealista del mondo. Vedrai quattro film sullaPianificazione per il Disordine”.

Si avvicina un aeroplano. Sotto la carlinga si distin-gue, a caratteri enormi, la scritta Compromesso S.A. Nonha carrello d’atterraggio. Vola su città e campagne senzamai fermarsi. Una voce dice: “Io sono il magicoPianificatore Generale. Il mio destino è di girare intorno almondo, sempre intorno al mondo, senza mai fermarmi. Io

pianifico dal Cielo. Dò soltanto consigli d’alta quota”.Dissolvenza sullo spazio vuoto. Ogni tanto scendonoparacadute ognuno dei quali porta un Aiuto delPianificatore Generale e lo fa atterrare felicemente inimponenti uffici di diverse capitali, città e cittadine.Dissolvenza all’indietro sullo spazio vuoto. Quando l’ae-reo torna dal secondo volo intorno al mondo vengonosganciati paracadute più piccoli ognuno dei quali reca unvoluminoso rapporto sulla risistemazione delle rispettivelocalità. Dissolvenza su raduni di massa in tutte le localitàche hanno ricevuto un rapporto. Rallegramenti generalifra le folle, che non conoscono il contenuto dei rapporti.Anche quelli che ne sanno qualcosa sono soddisfatti per-ché hanno un argomento di discussione. Si rivolgono allafolla quando il film dissolve sul Quartier Generale delleRagazze Scout. La Colonnella in Capo dà le ultime istru-zioni. Parla a una velocità spaventosa. La parola d’ordineper le operazioni della giornata è indagine. Le scouts sisparpagliano in tutte le direzioni. Dissolvenza su città evillaggi sui quali le scouts calano come sciami di caval-lette. Gli abitanti sono terrorizzati: pensano di non merita-re una simile punizione. Ma le componenti della spedi-zione dicono loro: “Rimanete al vostro posto.Pianifichiamo soltanto alla superficie. Se rispondete benea tutte le domande ce ne andremo presto”. E poi comin-ciano a divorare tutte le informazioni che riescono adavere. Ma quando, vogliono andarsene si accorgono dinon potere: sono in un vicolo cieco. Appare la Colonnellain Capo con un grammofono che impartisce le istruzioni.Il grammofono non riesce più a fermarsi. Le parole sonosfasate rispetto a quello che sta accadendo in realtà. Sivede la Colonnella che cerca disperatamente di fermare ildisco e di parlare lei, ma è così rauca dal continuo parlareche è costretta a lasciar fare al grammofono. Le istruzionisono: “Srotolate le indagini, le mappe, i rapporti. Via!”.Una lunga strada comincia a snodarsi, travolgendo uomi-ni e case, animali ed alberi. L’obiettivo la segue. A poco apoco il cammino è sgombro... e porta nel vuoto assoluto.

Dissolvenza su un enorme Scrivania sulla quale sonoammucchiate pratiche e vario materiale d’ufficio. La scri-vania è chiusa da ogni lato da un pannello coperto dimappe e fotografie di città distrutte. Da dietro il pannellogiunge il brusio indistinto di una gran folla. Ogni tanto sidistingue qualche parola: case…slums...bombardamentoa tappeto... abitazioni nei bunker. Alla scrivania siede unfunzionario con una faccia da sensale che in gioventùfaceva il maggiordomo. I suoi modi hanno la disinvoltu-ra voluta della cortesia professionale. Egli dice: “Svolgoqueste mansioni da 27 anni. So come regolarmi. Io pia-nifico dalla scrivania. Qui c’è la mia realtà”, e picchiacon fierezza il pugno sulle pratiche. Il visitatore sorrideimbarazzato e scoraggiato. “Ma non crede che bisogne-rebbe fare qualcosa per i sinistrati...?”. “Facciamo mol-tissimo, continuamente. Noi abbiamo istituito cinque

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nuove commissioni e un trust dei cervelli interministeria-le. Noi mandiamo memorandum da un ufficio all’altro.Noi stabiliamo i princìpi fondamentali. Noi...”.Dissolvenza su una catena di montaggio. Innumerevolifunzionari lavorano indefessamente. Alla fine della cate-na, ogni 30 secondi, un nuovo castello di carta vieneproiettato in aria. Dissolvenza all’indietro sul pannellodietro il quale la folla rumoreggia sempre più.Improvvisamente il pannello si squarcia. Il funzionario sialza, si avvicina alla fessura e affronta la folla che si intra-vede tra cumuli di macerie e rovine. Il funzionario dice:“Cosa volete? Non capite che non è affar nostro rendervifelici? Dai più antichi tempi viviamo per noi e da noi. Voidisturbate la nostra routine e il nostro lavoro che si autoa-limenta. Quello che non c’è nelle nostre pratiche non puòesistere ”. Il pannello si chiude.

Dissolvenza sull’Universo. Un’enorme onda di flussosi alza dal sole. Un’altra stella, molto vicina, con la suaforza di flusso manda in frantumi la montagna che stavaformandosi sulla superficie del sole. I frantumi sonoproiettati nello spazio vuoto. Una voce profonda annun-cia: “Io sono l’Onorevole Segretario. Sono il Creatore dinuovi Satelliti. Sto creando Nuovi Satelliti intorno allametropoli madre del sole. State assistendo all’incontro trala Dea del Sole e me, il suo amante. Io pianifico parlan-do”. A poco a poco appare una bocca gigantesca, come unfantasma fluttuante nel vuoto, che indietreggia a velocitàspaventosa lungo una strada a senso unico che porta aduno spazio vuoto in una città. L’obiettivo segue il percor-so. Dissolvenza su un enorme manifesto nel centro vuotodella città, sul quale sta scritto: “Questo è il centro socia-le. Verrà costruito dopo la distruzione di questa comunitànella prossima guerra”. Improvvisamente la bocca diven-ta tutto un corpo. Un uomo sta di fronte al manifesto. “Iosono il gran patriota. Vivo sulla tradizione. Odio gli stra-nieri e la loro presenza sovversiva. Io sono il gran man-giatore di fuoco al servizio della Pianificazione dell’UnicoPaese di Dio. Io sono per la libertà delle mie idee”.

Qualcuno mi batté sulla spalla. “Chi è?”, domandai,ancora un pò stordito. “Sono l’uomo dietro lo schermo”.“Cioè?”. “Sono il Capo della Propaganda Associata.Scrivo articoli e m’intendo di particelle di pianificazione.Scrivo articoli di fondo e interi giornali. Scrivo libri e diri-go gruppi ”. Schiacciò un bottone nell’aria. La mia pol-trona sparì e caddi sul duro pavimento... o meglio caddidalla sedia nella mia stanza. Toopie Toops mi era saltatasulle ginocchia. Mentre ce ne stavamo lì seduti in terra, michiese con un certo sarcasmo: “Sai adesso che cosa non èla pianificazione?”.

Qualunque tipo di pianificazione è una follia crimina-le se non ha come centro l’uomo, se non esprime in ognisua fase e senza compromessi le aspirazioni più alte dellapersonalità umana. Deve essere limitata alla trasformazio-ne dell’ambiente e all’amministrazione delle cose ma non

deve mai infiltrarsi neppure alla periferia. del campo delgoverno degli uomini.

Siamo portati a credere che basti imitare l’interazioneorganica delle forze della natura perché ci piova dal cieloun metodo bello e pronto. Ma purtroppo la nostra cono-scenza dell’operare della natura è molto frammentaria, epiù cerchiamo di aumentare la nostra indipendenza car-pendole qualche segreto, più si complica la vulnerabilitàdel nostro ambiente. Saccheggiamo il nostro pianeta senzaconsiderare il possibile esaurimento delle risorse naturalie senza una sufficiente comprensione delle leggi dellanatura. Costruiamo il nostro ambiente con la brutalità deipionieri o dei nuovi ricchi, ma senza la sicurezza istintivadelle società primitive. Come Prometeo provocò l’iradegli dei col furto del fuoco, così noi sembriamo attirarciaddosso la vendetta della natura e il potere distruttivo dellenostre stesse opere.

Note

1. Cfr. il contributo di L. Piccinato, in Enciclopedia Einaudi, sub voce

“città”.

2. Da: Lewis Mumford, The condition of man, Haroutrt, Brace & Co.,

New York 1944; traduzione di Alberto Mondini, La condizione dell’uo-

mo, Edizioni di Comunità, Milano, 1957.

3. Da: Alexander Mitscherlich, Die Unwirtlichkeit unserer Städte.

Antstiftung zum Unfrieden, Frankfurt am Mein, 1965; traduzione italia-

na Il feticcio urbano, Einaudi, Torino, 1965.

4. Da: E.A. Gutkind, The expanding enviroment, Fredon Press, London,

1953; traduzione in italiano: L’ambiente in espansione. La fine delle

città. Il sorgere delle Comunità, Edizioni di Comunità, Milano, 1957.

5. Da: R.Park, E. W. Burgess, R. D. Mckenzie, The city, The University

of Chicago Press, 1925; traduzione dall’inglese di Armando De Palma,

La Città, Edizioni di Comunità, Milano, 1967.

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Dal Piaz Alessandro, Ragionandodi urbanistica, Edizioni Graffiti,Napoli, 1999.

L’analisi delle principali questionisulla città e sul territorio, la pre-sentazione di metodi e tecniche,l’illustrazione delle diverse posi-zioni teoriche ed il giudizio sulquadro normativo, sono gli stru-menti che Alessandro Dal Piazutilizza per presentare un quadrocompleto che si inserisce nell’at-tuale dibattito sulla pianificazio-ne. In particolare, nella riaccesaquestione tra architettura e urba-nistica, nel desiderio espresso dapiù parti di voler ridefinire “chi fache cosa”, il testo, attraverso l’a-nalisi delle problematiche con-temporanee, offre i giusti parame-tri per la comprensione e la preci-sazione del “fare urbanistica”.L’interesse dell’autore per il ver-sante operativo della disciplina,ordina gli argomenti affrontati,secondo logiche finalizzate ad unaccordo tra la riflessione teoricacontemporanea, il sistema legisla-tivo e istituzionale e la progetta-zione urbanistica. Il primo tema preso in esame, lapianificazione nella fase dellaglobalizzazione, introduce leriflessioni sulle relazioni tra retiurbane e territoriali, sviluppolocale e ambiente. Dai ragiona-menti di Dal Piaz emerge comel’attività di pianificazione sia ingrado di individuare, senza pre-scindere da valutazioni quantitati-ve e qualitative nonché daldimensionamento delle future tra-sformazioni, un quadro di possi-bili alternative in cui le risorsevengano utilizzate per la costru-

zione dei processi di riqualifica-zione ambientale a cui riconnette-re l’attivazione di circuiti econo-mici. Da qui la necessità di defini-re attraverso il piano (e non soloattraverso politiche) le regole perconfigurare le strategie di valoriz-zazione sostenibile delle risorselocali. L’autore affronta quindi le proble-matiche relative all’attuale siste-ma di pianificazione in Italia eapprofondisce i temi relativi alleproposte per la riforma urbanisti-ca. Esaminando a fondo la rela-zione tra sostenibilità dello svi-luppo e articolazione della piani-ficazione in componenti struttura-li e componenti programmatiche,Dal Piaz sottolinea il carattereattivo delle invarianti del territo-rio. Un’adeguata impostazioneambientalista della pianificazionerichiede di individuare non sologli oggetti volti alla costruzionedella struttura di riferimento perle scelte nel piano, ma soprattuttole regole che hanno conformatogli stessi oggetti: il carattere pro-cessuale della pianificazione èindispensabile sia sul versanteprogettuale che su quello conosci-tivo.Nel libro si affronta inoltre la que-stione dei tempi del piano: la sfa-satura fra le indicazioni e le pre-scrizioni del piano e le dinamicheesigenze espresse dalle comunitàlocali rappresenta un punto dicrisi della pianificazione. Da que-sto punto di vista, l’articolazionedialettica del piano in componen-te strutturale e componente pro-grammatico-operativa può dare irisultati efficaci ma solo se asso-ciata ad un processo di attività

istituzionale permanente compo-sta dal lavoro di un ufficio di pia-nificazione e dal funzionamentodi meccanismi di partecipazione.In questo nuovo scenario è fonda-mentale che la normativa deipiani dimostri una rinnovataattenzione ai processi attuativo-gestionali. Nell’ultimo capitolo,l’autore sostiene che la normadiventa un elemento essenzialedella progettazione urbanisticacon il compito di articolare inmodo efficace le disposizioni delpiano fra la componente struttura-le e la componente operativa. Daqui l’invito a ridisegnare il ruolocentrale della normativa tanto nel-l’esercizio della disciplina quantonell’impegno per la formazione.(Paola Marotta)

Spirito Fabrizio, Tre traverse daMontagna a Marina, FalzeaEditore, Reggio Calabria, 2000.

Tre traverse da Montagna aMarina nasce nell’ambito dellavoro di ricerca condotto daFabrizio Spirito nella Scuola diReggio Calabria. Oggetto direcenti convegni, il libro affrontaquestioni centrali nell’ambitodisciplinare della progettazioneurbana, ponendosi in continuitàcon una tradizione viva in seno aldibattito italiano sulla specificitàe l’analiticità del progetto urbanonel più generale panorama delprogetto architettonico. La ricerca della continuità nellatradizione degli studi delle scuoleitaliane, a partire dalla loro for-mazione intorno agli anni ’20,porta Fabrizio Spirito a rielabora-

Recensioni

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in Folio 75n. 10, luglio 2000

recensioni

re le posizioni e i procedimentiche maggiormente hanno contrad-distinto il dibattito italiano degliultimi decenni sul rapporto trapiano e progetto. Alla ricerca distrumenti volti alla definizione diun linguaggio per la formulazionedella domanda in architettura, illibro, a cavallo tra l’urbanistica el’architettura, lavora su uno spa-zio di soglia, ritagliato nella pro-gettazione urbana e incentrato sulrapporto analisi-progetto, finaliz-zato a “traghettare il progettourbanistico nel progetto di archi-tettura”.Vengono così affrontati, sul terre-no di una fertile ricerca, le que-stioni della formulazione del lin-guaggio nella domanda di archi-tettura e della qualità delladomanda di architettura. In questaricerca, l’autore, attraverso l’usodi una tecnica descrittiva comeratio, ricostruisce una continuitàcon il luogo rinaturalizzandolo,volto alla ricerca di quei fattoriche gli consentono di far affiorareil “testo nascosto” delle cose, incui, le architetture latenti assurgo-no a ruolo di grandi e piccolefigure sintetiche. In esse si riflet-tono i tempi di ciò che perdura, diciò che si trasforma e di ciò chefinisce: nel flusso continuo dellariflessione di Spirito le permanen-ze acquistano in chiave geografi-ca una valenza “quasi monumen-tale”. Trascrizione e prescrizione:i due termini lavorano ad un pro-gressivo approfondimento dellapercezione nelle forme del pro-getto e alla definizione del reper-torio delle forme, il catalogo. Laspecificità del carattere della pre-scrizione si configura come un’o-perazione di riscrittura di un testoa partire dal contesto. In questacostruzione contesto-testo, l’auto-re affronta le questioni del PlanDesign, dell’ideogramma strate-gico e del planovolumetrico difigura, inteso come profilo rego-latore in grado di restituire figure

adimensionali, anticipatrici emisura dei temi di progetto.Nella lettura delle traverse “cheda montagna portano a marina”Fabrizio Spirito individua unascansione del territorio di Reggioche definisce un’organizzazionegià grafica, una matrice geografi-ca, ripetuta dall’arco delle trasfor-mazioni della città. Una lettura, incui si vanno progressivamenteprecisando le tecniche delladescrizione, le ricostruzioni ico-nologiche e l’individuazione, inchiave geografica, del carattere“premonumentale” dei luoghi,attraverso la costruzione di unrepertorio di forme in cui di voltain volta riaffiorano misure e mate-riali del progetto sotto forma dicondizione di esistenza e dunquedi realisticità. Vengono così indi-viduate e confrontate, per analo-gia e sequenza, sedici aree-pro-getto con cinque figure emergentinella storia urbana di Reggio (lamarina, la palazzina, i marginiterrazzati, le porte e le fontane), inuna successione di spazi pubblici,strategici per l’espansione delcentro storico, che ridisegnano tretraverse da montagna a marina.(Carmine Piscopo)

Mondada Lorenza, Décrire laVille. La construction del Savoirsurbains dans l’interaction et dansle texte, anthropos, Parigi, 2000.

I discorsi che danno forma allacittà sono moltissimi. Ognidescrizione ha un suo potere strut-turante, e ogni discorso sulla cittàè a suo modo descrittivo. Lanonna racconta la sua città alnipote, il promotore immobiliareinsiste sui vantaggi di un quartie-re con il potenziale cliente, l’ur-banista, il poliziotto, lo studente,producono ciascuno una descri-zione della città coerente con gliobiettivi del proprio discorso, cosìcome l’abitante, il viaggiatore, il

sociologo urbano o l’operatoresociale, produrranno altrettantidiscorsi sulla città dal loro puntodi vista. È l’insieme di questi testia dare forma a quell’entità com-plessa, mobile, eterogenea, plura-le che è la città. Essa è irriducibi-le alla sua materialità, il suocarattere urbano si elabora sim-bolicamente, in particolare neinumerosi discorsi, pubblici e pri-vati, che l’attraversano e che, neldirla, la configurano. Qui è ilpunto di partenza del lavoro diLorenza Mondada e in quel pub-blici e privati, una delle chiavi dilettura dell’approccio interdisci-plinare, che la linguista svizzerapropone. Tutti i discorsi quindihanno il potere di configurare lacittà, pubblici e privati, professio-nali e non, scientifici e ordinari,scritti e orali. La prospettiva quisuggerita è un approccio procedu-rale alla descrizione, che l’inter-preta come descrizioni localizzate(situé) degli attori, e individuaalcune dimensioni specifichedella descrizione della città. È unamolteplicità di attori situati incontesti eterocliti e impegnati indiverse attività ad essere suscetti-bile di descrivere la città. Ed èuna descrizione molteplice e loca-lizzata nei contesti, quella chel’autrice ci offre, ma essa soprat-tutto è radicata e incastrata(imbriquée) nell’azione per cui èstata prodotta. Non è data descri-zione neutra, ma sempre e soloprodotta ad hoc e a fini pratici,tanto che essa rinvia alle procedu-re che permettono il suo funziona-mento e garantiscono il suo carat-tere fattuale, prima che ad unreferente esterno. La sua organiz-zazione è specificata dalla mate-rialità della mediazione simbolicaattraverso cui si esprime, orale oscritta, dialogica o monologica,testuale o visuale. (AlessandraSpada)

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iinnFFoolliiooRIVISTA DEL DOTTORATO IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALEwww.unipa.it/infolio

Comitato di Direzione

Bruno Jaforte (Coordinatore), Giuseppe Albanese, Piera Busacca, Nicola Giuliano Leone

Redazione

Flavia Schiavo, Francesca Starrabba, Ignazio Vinci (Segretario), Chiara Barattucci, Fabio Naselli, Giusy Santapaola,Paola Marotta, Gabriella Musarra.

Progetto grafico e impaginazione

Ignazio Vinci

Sede

Dipartimento Città e Territoriopiazza Bologni 13, 90134 Palermotel. +39 091 6079230 - fax +39 091/6079244www.unipa.it/dct

DOTTORATO IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE

Sede amministrativa

Università di Palermo (Dipartimento Città e Territorio)Sedi consorziate

Università di Catania (Dipartimento di Architettura ed Urbanistica)Università di Palermo (Dipartimento di Storia e Progetto nell’Architettura)Università di Reggio Calabria (Dipartimento di Scienze dell'Ambiente del Territorio)Inizio attività: 1992Cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo dal 1996

Coordinatore

Bruno JaforteCollegio dei docenti

(DCT) Vincenzo Cabianca, Teresa Cannarozzo, Giuseppe Carta, Gustavo Cecchini, Domenico Costantino, BrunoJaforte, Ignazia Pinzello, Bernardo Rossi-Doria, Giuseppe Trombino(DAU) Piera Busacca, Paolo La Greca(DSPA) Giuseppe Gangemi, Nicola Giuliano Leone, Carla Quartarone, Leonardo Urbani(DSAT) Giuseppe Albanese, Giuseppe FeraSegreteria

Maurizio Carta (DCT)

Partecipanti

XII Ciclo (1997): Flavia Schiavo, Francesca Starrabba, Ignazio VinciXIII Ciclo (1998): Chiara Barattucci, Fabio Naselli, Giuliana Panzica La Manna, Giuseppa SantapaolaXIV Ciclo (1999): Ignazio Alessi, Rossella Amato, Biagio Bisignani, Melita Brancati, Paola Marotta, Gabriella Musarra

Supplemento ai Quaderni del Dipartimento Città e Territorio© Dipartimento Città e Territorio, piazza Bologni, 13 - PalermoAutorizzazione del Tribunale di Palermo n. 3/1980, registrata il 7.3.1980

Stampa: Priulla, via Agrigento 13 - Palermo

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Interrogarsi sull’innovazione vuol dire chiedersi su quali strumenti, su quali teorie, su qualiazioni può strutturarsi un sapere disciplinare efficace e mirato a prefigurare e governare nuovecittà e nuovi territori; per tale ragione Infolio n. 10 affronta – come il precedente numero dellarivista – il tema dell’innovazione. L’esigenza di trattare l’argomento in maniera più ampia, desti-nandovi due numeri, nasce dalla convinzione che la disciplina, in questi anni, come durantequelli immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, si trovi ad un punto critico disvolta che può definirsi epocale; come in quegli anni, infatti, si ristrutturano conoscenza e teo-ria, metodologia competenze e strumentazione. Abbiamo, dunque, cercato di cogliere e di riflettere – avvalendoci anche di contributi esterni –sulla trasformazione dei contesti e degli scenari contemporanei e sul processo di ininterrottarevisione dell’apparato teorico, teso alla ricerca di nuove unità, di nuovi paradigmi, di nuoviconfini, di innovative figure professionali, di rinnovate intersezioni disciplinari.

EDITORIALEGiuseppe Albanese

UN PROGETTO PER IL TERRITORIO LIBERO DELL’AREA ROMANAFrancesca Starrabba

LO “STUDIO DI CASO” COME STRATEGIA DI RICERCA. IL MUDULO DIDATTICO INTERDOTTORATI SULLA METODOLO-GIA DI RICERCAMelita Brancati

TERRITORI E TERRITORIALITÀ. SISTEMI LOCALI E SVILUPPO SOSTENIBILE TRA GLOBALIZZAZIONE E IDENTITÀ Marco Santangelo

URBANIZZAZIONE DISPERSA AL DI LÀ DELLA CITTÀ DENSA: STRATEGIE COGNITIVE E STRATEGIE DI INTERVENTO.FRANCIA E ITALIA 1970-2000Chiara Barattucci

EVOLUZIONI DEL CONCETTO DI RIQUALIFICAZIONE URBANA E TRASFORMAZIONE DEI MODI DI INTERPRETAZIONEDELLA CITTÀ Fabio Naselli

LE AREE URBANE DISMESSE: SPUNTI DI RIFLESSIONE IN RELAZIONE AGLI STRUMENTI DI PIANIFICAZIONE ED ALLESOCIETÀ MISTE PER LA LORO GESTIONE Giuliana Panzica La Manna

PAESAGGI DELLA NATURA - PAESAGGI DELL’UOMO. TIPIZZAZIONE E PROFILI DI TUTELAGiuseppa Santapaola

LE CONSEGUENZE TERRITORIALI DELLE EVOLUZIONI DEL SISTEMA DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALEFrancesco Martinico

PIANIFICARE NELLA RETE: LO EUROPEAN SPATIAL PLANNING OBSERVATORY NETWORK Ignazio Vinci

ORIENTAMENTI, STRUMENTI, COMUNICAZIONE NELL'INNOVAZIONE URBANISTICA. L'OPINIONE DI EDOARDO SALZANO Biagio Bisignani

INNOVAZIONE NELLE POLITICHE URBANE (Intervista con Bruno Gabrielli)Francesco Gastaldi

AMBIENTE PIÙ UN’ELEVATA CIVILTÀ URBANA. RIFLESSIONI SULL’USO MODERNO DELLA TECNOLOGIAEnzo Scandurra

INNOVAZIONE: BREVI NOTE A MARGINE Flavia Schiavo

LA CITTÀ, L’UOMO, IL PIANO E LA METAFORA DEL GATTO. DIALOGO IMMAGINARIO TRA AUTORI CLASSICI SULLERELAZIONI SOCIALI DELLA CITTÀ MODERNA.(Introduzione di Giuseppa Santapaola)

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