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Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

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Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 2013/2014-2031/2032 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192061 . Accessed: 25/06/2014 02:17 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.79.69 on Wed, 25 Jun 2014 02:17:31 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Rivista di giurisprudenza costituzionale e civileSource: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 2013/2014-2031/2032Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192061 .

Accessed: 25/06/2014 02:17

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Produceva la documentazione reperita in ordine alle conse

gne dette e corrispondenza intercorsa con la controparte.

(Omissis) Motivi della decisione. — Dalle pur contropposte prospetta

zioni di attore e convenuto emerge tuttavia un dato conforme.

Questo consiste nella prassi costante della consegna del vendito

re all'acquirente di casse e recipienti al momento della vendita

delle bevande e nel conseguente tendenziale ritiro di detti conte

nitori in occasione del successivo rifornimento.

Non emerge da alcuna acquisizione la pattuizione o il versa

mento di cauzione per il deposito dei vuoti. Sicché gli stessi, lungi dal poter essere acquistati dal compratore attraverso la

semplice ed automatica perdita della cauzione versata (come co

munemente si verifica nei casi in cui un simile versamento viene

praticato), erano destinati di regola alla restituzione al riforni

tore di bevande, sia pure attraverso la riconsegna di altri simila

ri contenitori fungibili. Ciò impedisce che il rapporto accessorio alla vendita di bibite

e relativo ai recipienti che le accompagnano sia qualificato alla

stregua di compravendita di cose fungibili, sottoposta alla con

dizione risolutiva potestativa ex parte emptoris, attuabile con

la restituzione di vuoti dello stesso tipo e numero, come altre

volte effettuato anche da quest'ufficio (per tutte sentenza n.

114 del 30 maggio 1992), sulla scia dell'orientamento maggiori

tario della giurisprudenza (v. Cass. 18 giugno 1986, n. 4066,

Foro it., 1987, I, 871; 29 gennaio 1964, n. 227, id., 1964, I, 495; 7 dicembre 1962, n. 3304, id., Rep. 1962, voce Vendita, n. 18; 6 marzo 1962, n. 423, ibid., n. 17; App. Perugia 16

maggio 1985, Fall. soc. Nocera Umbra c. Asia) e con il soste

gno di un significativo schieramento di autori.

Va poi considerato che la specie riguarda consegna tempora

nea di semplici casse e bottiglie, oltre a contenitori similari, vale

a dire recipienti privi di un particolare pregio intrinseco e per

di più non recanti impresso in modo indelebile il marchio della

ditta produttrice delle bevande, di solito riportato solo in verni

ce e nelle etichette, come avviene al contrario per particolari

imballaggi e bombole di gas, costituenti i contenitori c.d. «stan

dardizzati». Sicché non vi è ragione economica perché il produttore o il

grossista, con la vendita del contenuto, conservino la proprietà

dei recipienti, in difetto di contraria pattuizione, qui non provata.

Tanto vero che, in ipotesi di restituzione di essi, è oltremodo

improbabile che la stessa riguardi concretamente i medesimi esem

plari oggetto di precedente consegna. Ciò che rileva è infatti

che essa si riferisca ad un identico numero e tipo di recipienti,

stando alla pratica commerciale corrente, del tutto conforme

alla volontà degli stipulanti, pur se manifestata per facta con

cludenza.

Devono perciò ragionevolmente scartarsi anche le ipotesi del

la locazione (affermata in peculiari fattispecie da una certa giuris

prudenza di legittimità: v. Cass. 15 gennaio 1970, n. 87, id., 1970, I, 2531; 24 novembre 1959, n. 3463, id., Rep. 1959, voce

Competenza civile, n. 352) e del comodato (per la quale si sono

orientate altre decisioni: Cass. 22 ottobre 1963, n. 2800, id.,

1964, 496; 30 luglio 1963, n. 2163, id., 1963, I, 2281; Trib.

Napoli 12 maggio 1980, id., Rep. 1981, voce Comodato, n. 3).

Sembra invece più aderente al caso configurare il rapporto

alla stregua di un deposito irregolare (per la individuazione in

fattispecie analoga di un contratto atipico, a quest'ultima figu

ra assimilabile, si veda Cass. 6 giugno 1983, n. 3870, id., Rep.

1983, voce Competenza civile, n. 92).

Invero, un tal tipo di depositario, per espressa previsione del

l'art. 1782 c.c., acquista la proprietà delle cose fungibili conse

gnategli, con l'obbligo di restituire al depositante il tantundem

eiusdem generis. Con la conseguenza che la mancata restituzio

ne pone a carico del debitore l'obbligo di restituirne il valore,

siccome previsto in tema di mutuo di cose diverse dal denaro

dall'art. 1818 c.c., che le più persuasive opinioni reputano ap

plicabile alla specie in forza del generale richiamo operato dal

cennato art. 1782.

In questa prospettiva va perciò inquadrata la domanda prin

cipale. (Omissis)

Il Foro Italiano — 1997.

Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

Successioni e donazioni (imposta sulle) — Imponibile — Immo

bili venduti nei sei mesi antecedenti il decesso — Reinvesti

mento del ricavato in Bot — Assoggettamento ad imposta di successione — Questione infondata di costituzionalità (Cost.,

art. 3; d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 637, disciplina dell'imposta sulle successioni e donazioni, art. 9).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

9, 3° comma, lett. ti), d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 637, nella parte in cui prevede l'assoggettabilità all'imposta di successione delle

somme ricavate dalla vendita di immobili effettuata dal de cuius

nei sei mesi antecedenti il decesso nel caso in cui le stesse siano

state reinvestite nell'acquisto di Bot, in riferimento all'art. 3

Cost. (1)

Corte costituzionale; sentenza 16 maggio 1997, n. 137 (Gaz

zetta ufficiale, la serie speciale, 21 maggio 1997, n. 21); Pres. Granata, Est. Santosuosso; Ghinassi c. Ufficio del registro di

Ravenna; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Comm. trib. II gra

do Ravenna 15 giugno 1991 (G.U., la s.s., n. 25 del 1996).

(1) L'ordinanza di rimessione, Comm. trib. II grado Ravenna 15 giu

gno 1991, si legge in Dir. e pratica trib., 1996, II, 1078.

In motivazione la Consulta mostra di rifarsi a Cass. 28 novembre

1992, n. 12738, Foro it., Rep. 1992, voce Successioni e donazioni (im

posta), n. 34, ove si pone in rilievo che l'art. 9 d.p.r. 26 ottobre 1972

n. 637 non tocca l'esenzione contemplata per i titoli del debito pubbli

co, ma, fermo restando il godimento di essa, incide sul diverso atto

che ha preceduto l'acquisto dei titoli, considerandolo come inidoneo

alla decurtazione dell'imponibile presente all'epoca della sua stipulazio

ne; in tale sentenza si precisa anche che nel novero dei «beni soggetti a imposta» di cui all'art. 9, 3° comma, lett. b), d.p.r. 637/72 non pos sono rientrare i beni potenzialmente assoggettabili a tassazione, ma in

concreto non colpiti dall'imposta; conf., su quest'ultimo punto, in dot

trina, E. Natoli, È davvero norma antielusiva"!, in Riv. dir. fin., 1989,

II, 96; F. Rosati, Note minime in tema di imposta di successione, in

Vita not., 1983, 478; diversamente, in giurisprudenza, Comm. trib. I

grado Brescia 11 febbraio 1984, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 27, e Dir. e pratica trib., 1985, II, 97, con nota di R. Braccini, e Comm.

trib. I grado Firenze 23 settembre 1981, Foro it., Rep. 1982, voce cit.,

n. 14, per le quali i titoli di Stato (Bot, nel caso della commissione

bresciana, Btp nella fattispecie esaminata dal giudice tributario fiorenti

no) sono da considerarsi «beni soggetti ad imposta» agli effetti dell'ap

plicazione della disposizione citata; nello stesso senso, cfr. Bompani,

Vendite nei sei mesi anteriori alla apertura della successione: problemi

particolari, in Bollettino trib., 1982, 744; A. Fedele-P. Perugini, Rein

vestimento del prezzo di vendita effettuata negli ultimi sei mesi, in Giur.

bancaria, 1981/82, 403. Sull'art. 9 d.p.r. 637/72 (ora trasfuso nell'art. 10 d.p.r. 31 ottobre

1990 n. 346) e sulla costituzionalità dell'assoggettamento ad imposta dei beni trasferiti negli ultimi sei mesi di vita del de cuius, cfr. Corte

cost., ord. 19 ottobre 1988, n. 982, Foro it., 1989, I, 2344, che ha

dichiarato la manifesta infondatezza della questione sul rilievo che cor

risponde a concreti indici di verosimiglianza la presunzione che tali alie

nazioni siano intese a eludere l'imposta di successione.

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2015 PARTE PRIMA 2016

Pubblico ministero penale — Accertamenti su fatti e circostan

ze a favore della persona sottoposta alle indagini — Inottem

peranza — Sanzione di nullità o inutilizzabilità dell'attività

svolta — Omessa previsione — Questione manifestamente in

fondata di costituzionalità (Cost., art. 24, 27, 76; cod.'proc.

pen., art. 358).

È manifestamente infondata la questione di legittimità costi

tuzionale dell'art. 358 c.p.p., nella parte in cui non prevede alcuna sanzione processuale (nullità o inutilizzabilità) in caso

di inottemperanza da parte del pubblico ministero all'obbligo

di svolgere anche accertamenti su fatti e circostanze a favore

della persona sottoposta alle indagini, in riferimento agli art.

24, 2° comma, 27, 2° comma, e 76 Cost. (1)

Corte costituzionale; ordinanza 11 aprile 1997, n. 96 (Gazzet

ta ufficiale, la serie speciale, 16 aprile 1997, n. 16); Pres. Gra

nata, Est. Neppi Modona; Impellizzeri; interv. Pres. cons, mi

nistri. Ord. Pret. Messina-S. Teresa di Riva 20 aprile 1996 (G.U., la s.s., n. 27 del 1996).

(1) Il rilievo assunto dall'odierno decisum — che si innesta, in verità, su spaccati interpretativi non nuovi alla giurisprudenza costituzionale — deriva dalla sua contingente collocazione nel quadro del dibattito

in corso sulle riforme istituzionali (cfr., a tal proposito, G. Flandaca, La giustizia penale in Bicamerale, in questo fascicolo, V, 161) e, segna tamente, sui profili ordinamentali del pubblico ministero: la tesi, subito

sostenuta in sede politica, secondo cui la pronuncia avrebbe in via im

plicita avallato la prospettiva della separazione delle carriere (su cui

cfr., per una pluralità di indirizzi, tra gli altri, Di Federico, Il pubblico ministero: indipendenza, responsabilità, carriere «separate», in Indice

pen., 1995, 399 ss.; Grosso, Il dibattito sulla separazione delle carriere di giudice e di p.m.: fra preconcetti ideologici ed esigenze reali, in Cass.

pen., 1996, 3154 ss.; Illuminati, La separazione delle carriere come

presupposto per un riequilibrio dei poteri delle parti, in II pubblico ministero oggi, Atti del convegno di Saint Vincent, Milano, 1994, 215

ss.; Pecorella, Giudice-accusatore e accusatore-giudice. Crisi del pro cesso penale e separazione delle funzioni, in Difesa penale, 1994, fase.

44, 108 ss.; Pisani, Statuti e ruolo del pubblico ministero: spunti intro

duttivi, in Indice pen., 1993, 198 ss.; Turone, Riflessioni in tema di

separazione delle carriere inquirente e giudicante, in Questione giusti zia, 1994, 280) è stata immediatamente oggetto di una secca smentita

(per il comunicato dell'ufficio stampa della corte, cfr. Stasio, La Con sulta rettifica: «Mai parlato di carriere», in II Sole-24 Ore dell'8 maggio 1997, 2).

Sulla genesi dell'art. 358 c.p.p., e sui rapporti tra la previsione codi cistica e la direttiva n. 37 della legge delega cfr., oltre alla relazione al progetto preliminare, in Le leggi, 1988, 2517 ss., altresì Siracusano, Polivalenza delle indagini preliminari. I fatti e gli atti del procedimen to, in Introduzione allo studio del nuovo processo penale, Milano, 1989, 195 ss., nonché Salvi, in Commento al nuovo codice di procedura pe nale coordinato da Chiavario, Torino, 1990, IV, sub art. 358, 157 ss.

Nel senso che l'obbligo di svolgere accertamenti anche su fatti e cir costanze a favore della persona sottoposta alle indagini vada correlato con le doverose determinazioni del pubblico ministero inerenti all'eser cizio dell'azione penale e, dunque, con il principio di completezza delle

indagini (su cui cfr., soprattutto, Corte cost. 15 febbraio 1991, n. 88, Foro it., 1992, I, 1004), cfr., tra gli altri, Cordero, Codice di procedu ra penale commentato, 2" ed., Torino, 1992, sub art. 358, 430; Neppi

Modona, Indagini preliminari e udienza preliminare, in Profili del nuo vo codice di procedura penale a cura di Conso e Grevi, 3a ed., Pado

va, 1993, 330; Peroni, L'art. 358 c.p.p. tra antinomie codicistiche ed etica del contraddittorio, in Dir. pen. e proc., 1995, 965.

La tesi dell'onere di «canalizzazione» sul pubblico ministero dei dati a discarico individuati dalla difesa nel corso delle indagini difensive, elaborata — in epoca anteriore alla 1. 8 agosto 1995 n. 332, il cui art. 22 ha modificato l'art. 38 norme att. c.p.p. — da Cass. 18 agosto 1992, Burrafato, Foro it., 1993, II, 78, anche sulla scorta dell'art. 358 c.p.p., è stata severamente criticata in dottrina: cfr., per tutti, Nobili, Prove «a difesa» e investigazioni di parte nell'attuale assetto delle indagini preliminari, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, 403 ss.; in tema cfr.

altresì, tra gli altri, Giambruno, Il pubblico ministero: un assurdo in termediario tra la difesa e il giudice, in Cass. pen., 1994, 338 ss.

Per una prima valutazione, in chiave critica, della odierna pronuncia, cfr. Tranchina, Amministrare giustizia significa cercare le responsabi lità e pure gli elementi d'innocenza, in Giornale di Sicilia del 4 maggio 1997, 11; in senso favorevole, cfr., invece, Forlenza, Compatibile con il nostro sistema accusatorio la lettura della Corte costituzionale, in Guida al diritto, 1997, fase. 18, 62 s.

Il Foro Italiano — 1997.

* + *

L'ordinanza così motiva: Ritenuto che il Pretore di Messina ha solle

vato questione di legittimità costituzionale dell'art. 358 c.p.p., in riferi

mento agli art. 24, 2° comma, e 76 Cost.; che la norma è censurata dal pretore nella parte in cui non prevede

alcuna sanzione processuale — nullità ovvero inutilizzabilità — in caso

di inottemperanza da parte del pubblico ministero all'obbligo di svolge re anche «accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona

sottoposta alle indagini»; che in particolare il pretore rimettente lamenta che il pubblico mini

stero, nel disporre consulenza tecnica, avesse affidato al consulente l'in

carico di accertare l'entità dell'appropriazione contestata all'imputato, così escludendo dal campo delle indagini il caso in cui nessuna appro

priazione fosse stata realizzata; che ad avviso del rimettente la mancanza di sanzioni processuali per

la violazione di tale obbligo si porrebbe in contrasto: con l'art. 76 Cost., in riferimento alla direttiva di cui all'art. 2, n.

37, della legge-delega 16 febbraio 1987 n. 81, ove è appunto previsto il potere-dovere del pubblico ministero di compiere indagini in funzione

dell'esercizio dell'azione penale..., ivi compresi gli elementi favorevoli

all'imputato, nonché in riferimento alla direttiva di cui all'art. 2, n.

3, della medesima legge-delega in quanto la mancanza di qualsiasi san zione processuale in caso di omissione di tale dovere violerebbe il prin

cipio di eguaglianza tra accusa e difesa; con l'art. 24, 2° comma, Cost., in quanto il diritto di difesa dell'im

putato troverebbe «proprio nell'obbligo del pubblico ministero di rac

cogliere anche le prove a favore dell'imputato, la sua massima estrinse

cazione»; con l'art. 27, 2° comma, Cost., dal quale si desumerebbe l'obbligo

del pubblico ministero di «considerare l'imputato innocente fino a sen tenza definitiva, e dunque di assumere un comportamento di rigorosa neutralità per tutta la durata delle indagini»;

che è intervenuto in giudizio il presidente del consiglio dei ministri,

rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello Stato, che ha con

cluso, in via preliminare, per l'inammissibilità della questione e, nel

merito, per la sua infondatezza; che l'inammissibilità deriverebbe dal difetto di rilevanza, in quanto

il quesito posto al consulente tecnico dal pubblico ministero non preclu deva l'accertamento sull'an della appropriazione;

che la non fondatezza deriverebbe, con riferimento alla dedotta vio

lazione dell'art. 24, 2° comma, Cost., dalla constatazione che il diritto di difesa dell'imputato si estrinseca non tanto attraverso le attività del

pubblico ministero in favore della persona sottoposta alle indagini, quanto mediante l'esercizio del diritto alla controprova (nel caso di specie, me diante la richiesta di una perizia in dibattimento e la nomina di propri consulenti di parte); con riferimento alla supposta violazione dell'art.

27, 2° comma, Cost., dal fatto che la presunzione di non colpevolezza esprime uno status dell'imputato sino alla pronuncia della sentenza de

finitiva, e non un criterio cui debba attenersi il pubblico ministero nello

svolgimento delle indagini; per quanto concerne, infine, il dedotto con trasto con l'art. 76 Cost., dalla considerazione che la direttiva numero 37 della legge-delega non richiama, né esplicitamente, né implicitamen te, alcuna sanzione processuale in caso di mancato esercizio del potere dovere del pubblico ministero di accertare gli elementi favorevoli al

l'imputato; Considerato che l'eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza

dedotta dall'avvocatura dello Stato deve essere disattesa, in quanto la valutazione di non rilevanza della questione comporterebbe un giudizio ipotetico sulle modalità con cui il consulente tecnico avrebbe dovuto

svolgere l'incarico affidatogli dal pubblico ministero; che nel merito la questione di legittimità costituzionale si basa su

una interpretazione del potere-dovere del pubblico ministero di svolgere anche «accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sotto

posta alle indagini», previsto dall'art. 358 c.p.p., incompatibile con il modello tendenzialmente accusatorio del processo penale, qualificato come processo di parti proprio perché basato su una chiara distinzione dei ruoli dialetticamente contrapposti rispettivamente svolti dall'accusa e dalla difesa;

che, in particolare, il pretore rimettente vorrebbe attribuire al pubbli co ministero compiti e funzioni che nell'architettura del codice spettano piuttosto alla difesa, sino a sostenere che il diritto alla difesa trova «la sua massima estrinsecazione» proprio nell'obbligo del pubblico mi nistero di raccogliere anche prove a favore dell'imputato, e che la pre sunzione di non colpevolezza imporrebbe al pubblico ministero «un com

portamento di rigorosa neutralità per tutta la durata delle indagini»; che in realtà nella logica dell'attuale processo penale l'obbligo del

pubblico ministero di svolgere indagini anche in favore della persona sottoposta alle indagini non mira né a realizzare il principio di egua glianza tra accusa e difesa, né a dare attuazione al diritto di difesa, ma si innesta sulla natura di parte pubblica dell'organo dell'accusa (v. sentenza n. 190 del 1991, Foro it., Rep. 1991, voce Udienza prelimina re, nn. 35, 36) e sui compiti che il pubblico ministero è chiamato ad

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

assolvere nell'ambito delle determinazioni che, a norma del combinato

disposto dagli art. 358 e 326 c.p.p., deve assumere in ordine all'eserci zio dell'azione penale;

che il principio di obbligatorietà dell'azione penale non comporta, infatti, l'obbligo di esercitare l'azione ogni qualvolta il pubblico mini stero sia stato raggiunto da una notizia di reato, ma va razionalmente

contemperato con il fine di evitare l'instaurazione di un processo super fluo (v. sentenza n. 88 del 1991, id., 1992, I, 1004).

che tale fine si realizza anche mediante l'obbliigo di svolgere accerta menti a favore della persona sottoposta alle indagini, obbligo stretta mente correlato alla disciplina codicistica che pone al pubblico ministe ro l'alternativa, al termine delle indagini preliminari, tra la richiesta di archiviazione e l'esercizio dell'azione penale (art. 405, 1° comma,

c.p.p.), ferma restando comunque la sottoposizione della richiesta di archiviazione al vaglio giurisdizionale in funzione di controllo sull'ef fettività del principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale;

che tali considerazioni dimostrano l'infondatezza del collegamento operato dal pretore rimettente tra le direttive di cui ai punti nn. 3 e 37 della legge-delega, posto che l'obbligo di svolgere accertamenti an che a favore della persona sottoposta alle indagini è funzionale ad un corretto e razionale esercizio dell'azione penale, ma non rientra tra i meccanismi volti a realizzare il principio della «partecipazione dell'ac cusa e della difesa su basi di parità in ogni stato e grado del proce dimento»;

che il principio di parità tra accusa e difesa trova piuttosto esplicazio ne nei diversi meccanismi previsti nelle varie fasi del procedimento per dare piena attuazione al diritto di difesa, tra cui le investigazioni difen sive disciplinate dall'art. 38 disp. att. c.p.p., espressamente finalizzate all'esercizio del diritto alla prova (e alla controprova), e i poteri di ac

quisizione probatoria del giudice nel caso di inerzia o negligenza delle

parti (art. 422 e 507 c.p.p., rispettivamente in sede di udienza prelimi nare e di dibattimento), poteri qualificati da questa corte come sostitu

tivi, ma «non eccezionali» (sentenze n. 190 del 1991, cit., e n. Ili del

1993, id., 1993, I, 1356). che nel caso di specie la dedotta omissione dell'obbligo del pubblico

ministero di svolgere accertamenti in favore dell'imputato non avrebbe

neppure comportato il ricorso ai poteri suppletivi di acquisizione pro batoria del giudice, in quanto rientrava tra le facoltà del difensore della

persona sottoposta alle indagini nominate sino a due consulenti tecnici

a norma dell'art. 233, 1° comma, c.p.p., i quali possono esporre al

giudice il proprio parere, anche attraverso memorie, ovvero chiedere

l'ammissione in dibattimento dell'esame dei consulenti tecnici a norma

dell'art. 501 c.p.p., ovvero ancora presentare una richiesta di perizia in dibattimento (art. 508 c.p.p.);

che le considerazioni sinora svolte rendono evidente che non sussiste

alcuno dei profili di illegittimità che secondo il pretore rimettente deri

verebbero dall'omessa previsione di sanzioni processuali in caso di man

cato rispetto da parte del pubblico ministero dell'obbligo di svolgere accertamenti anche in favore della persona sottoposta alle indagini;

che, di conseguenza, la questione deve essere dichiarata manifesta

mente infondata; Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2° comma,

delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manifesta infon

datezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 358 c.p.p., sollevata, in riferimento agli art. 24, 2° comma, 27, 2° comma, e 76

Cost., dal Pretore di Messina, sezione distaccata di S. Teresa di Riva, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Brevetti per invenzioni industriali — Brevetto di farmaco —

Certificato complementare di protezione — Domanda di rila

scio — Modalità di presentazione — Questione infondata di

costituzionalità (Cost., art. 41; 1. 19 ottobre 1991 n. 349, di

sposizioni per il rilascio di un certificato complementare di

protezione per i medicamenti o i relativi componenti, oggetto

di brevetto, art. 2).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

2, 1° comma, 1. 19 ottobre 1991 n. 349, nella parte in cui preve

de che la domanda volta ad ottenere il rilascio del certificato

complementare di protezione per il brevetto di farmaco debba

essere presentata, direttamente o tramite servizio postale, solo

presso l'Ufficio centrale brevetti con sede in Roma e non anche

Il Foro Italiano — 1997 — Parte I-38.

presso l'Ufficio provinciale dell'industria, commercio ed arti

gianato territorialmente competente. (1)

Corte costituzionale; sentenza 4 luglio 1996, n. 236 (Gazzetta

ufficiale, V serie speciale, 17 luglio 1996, n. 29); Pers. Ferri, Est. Ruperto; Kirin-Amgen Inc. (Aw. Pellegrino, Fiammenghi); interv. Pres. cons, ministri (Aw. dello Stato Zotta). Ord. Comm.

ricorsi contro provv. dell'ufficio italiano brevetti e marchi 18

febbraio 1995 (G.U., la s.s., n. 3 del 1996).

(1) La Corte costituzionale osserva come la garanzia contenuta nel l'art. 41 Cost, non si estende certamente alle mere modalità di comuni cazione degli atti che hanno l'esclusiva funzione di portare gli stessi a conoscenza di terzi e la cui eventuale onerosità troverebbe comunque un suo più congruo bilanciamento nell'utilità sociale, individuabile, nel la specie, nel corretto funzionamento del mercato.

In ordine alla legittimazione della commissione dei ricorsi contro i

provvedimenti dell'ufficio italiano brevetti e marchi a sollevare questio ne di legittimità costituzionale, v. Corte cost. 10 maggio 1995, n. 158, Foro it., 1995, I, 2387, con nota di richiami, la quale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 71, 2° comma, r.d. 29 giugno 1939 n. 1127, nella parte in cui disponeva che della commissione dei ricorsi contro

provvedimenti dell'ufficio italiano brevetti e marchi facesse parte, senza voto deliberativo, il direttore dell'ufficio stesso.

Nel senso che, in relazione ai brevetti concessi prima dell'abrogazio ne del divieto di brevettazione di farmaci, l'estensione della tutela bre vettuale all'uso del composto chimico come medicamento non può pro dursi per effetto della presentazione all'ufficio centrale brevetti (ora uf ficio italiano brevetti e marchi) di un'istanza di rettifica della portata del brevetto, v. Trib. Vicenza 6 settembre 1993, id., Rep. 1995, voce

Brevetti, n. 62. Per l'infondatezza della questione di costituzionalità degli art. 14 e

15 r.d. 1127/39, nella parte in cui non prevedono la tutela brevettuale

per i farmaci brevettati all'estero in costanza del divieto di brevettabili tà e, quindi, in Italia, ma dopo la scadenza del termine annuale per rivendicare la priorità unionista, v. Corte cost. 9 gennaio 1996, n. 3, id., 1997, I, 398, con nota di richiami ed osservazioni di Palmieri.

In dottrina, v. Frassi, L. 19 ottobre 1991 n. 349 relativa alle inven

zioni industriali farmaceutiche, in Riv. dir. ind., 1991, I, 399.

Amnistia, indulto e grazia — Reato tributario — Prescrizione — Sospensione fino alla risposta degli uffici finanziari sulla

regolarità del condono — Questione manifestamente infon

data di costituzionalità (Cost., art. 3; d.p.r. 20 gennaio 1992

n. 23, concessione di amnistia per reati tributari, art. 2).

È manifestamente infondata la questione di legittimità costi

tuzionale dell'art. 2, 3° comma, d.p.r. 20 gennaio 1992 n. 23,

posto che la prevista sospensione del procedimento' penale fino

a quando gli uffici fiscali non abbiano comunicato all'autorità

giudiziaria le proprie determinazioni in ordine alla sussistenza

delle condizioni per far luogo all'applicazione dell'amnistia non

appare di per sé irragionevole, e che ogni pretesa disparità di

trattamento appare risolversi in una mera circostanza di fatto

dovuta al pratico funzionamento di un servizio, in riferimento

all'art. 3 Cost. (1)

Corte costituzionale; ordinanza 17 giugno 1996, n. 204 (Gaz

zetta ufficiale, la serie speciale, 26 giugno 1996, n. 26); Pres. Ferri, Est. Santosuosso; imp. Tita. Ord. Trib. Torino 27 giu gno 1995 (G.U., la s.s., n. 40 del 1994).

(1) Con la presente decisione i giudici della Consulta hanno escluso

la sussistenza di un contrasto con l'art. 3 Cost., in relazione alla preci

pua disciplina con la quale il d.p.r. 20 gennaio 1992 n. 23 ha provvedu to a correlare la possibilità di applicazione dell'amnistia prevista per

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2019 PARTE PRIMA 2020

reati tributari al preventivo accertamento della regolarità del condono

tributario di volta in volta effettuato dai singoli interessati.

Sulla questione si segnala Cass. 1° dicembre 1994, Bellini, Foro it.,

Rep. 1995, voce Tributi in genere, n. 1791, con la quale si è ulterior

mente precisato che, «in tema di sanatoria ed amnistia per reati finan

ziari, il momento di cessazione della causa della sospensione (art. 159

c.p.) dei procedimenti penali non può essere fissato all'emissione del

decreto di citazione e tanto meno all'udienza, poiché si affiderebbe,

diversamente, alla maggiore o minore diligenza dell'ufficio giudiziario procedente l'allungamento della prescrizione stessa. In analogia con la

previsione di cui all'ultima parte dell'art. 159 c.p. — che in tema di

autorizzazione a procedere si riferisce alla data in cui l'autorità accoglie la richiesta — si deve avere riguardo alla risposta dell'ufficio finanziario».

La decisione avalla implicitamente l'orientamento interpretativo che

aveva portato la Corte di cassazione ad escludere l'applicabilità dell'a

mnistia di cui al citato d.p.r. 23/92 qualora l'ufficio finanziario non

ritenga congrua la dichiarazione integrativa di condono fiscale, riba

dendo perciò la già rilevata infondatezza di quelle pronunce, principal mente di merito, che avevano al contrario ritenuto applicabile l'amni

stia sulla sola scorta dell'avvenuta presentazione della domanda di con

dono, ed a prescindere dal successivo pagamento delle somme all'uopo necessarie: a favore di quest'ultima prospettiva, v., ad esempio, Trib.

Roma 1° dicembre 1994, ibid., voce Amnistia, n. 17, e Dir. pen. e

proc., 1995 , 606, con nota di Minniti; Corriere trib., 1995, 583, con

nota di Napolitano; contra, Cass. 17 gennaio 1995, Orsi, Foro it.,

Rep. 1995, voce cit., n. 11; 22 settembre 1992, Girombelli, id., 1993,

II, 287, con nota di ulteriori riferimenti. In relazione a quest'ultima sentenza, v. anche Soggla, Sulla spettanza dell'amnistia anche in caso

di mancalo versamento delle somme dovute per il condono, in Riv. dir. trib., 1993, II, 39; Spailarossa, in Dir. e pratica trib., 1993, II, 80.

Secondo quanto affermato da Trib. Roma 31 marzo 1995, Foro it.,

Rep. 1995, voce Tributi in genere, n. 1801, e Giust. pen., 1995, III, 315, con nota di Diddi, «la sospensione del processo penale prevista dall'art. 2, 3° comma, d.p.r. 23/92, in quanto effetto non automatico ed obbligatorio, non provoca la sospensione della prescrizione laddove, nel termine per la presentazione della dichiarazione integrativa o della istanza di cui all'art. 57, 6° comma, 1. 413/91, il corso del processo non abbia subito interruzioni». L'assunto risulta tuttavia recisamente contestato dalla Corte suprema, che in altra occasione ha esplicitato che l'affermata impossibilità di presentare istanza di definizione ai sensi della 1. 413/91 «non esclude la sospendibilità del relativo processo pe nale ex d.p.r. 23/92 ed il conseguente effetto interruttivo della prescri zione» (v. Cass. 7 ottobre 1994, F.N., Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 1799).

Tale disciplina ha invero suscitato notevoli perplessità anche con rife rimento alle complesse operazioni di calcolo che, a causa dei periodi di sospensione obbligatoria del procedimento penale previsti in penden za dei termini di usufruibilità del condono tributario, si è reso necessa rio effettuare ai fini del computo dei termini massimi di prescrizione. Dopo varie divergenze, sul punto si sono pronunciate anche le sezioni unite della Corte suprema 3 febbraio 1995, Squarcialupi ed altri, id., 1995, II, 413, con nota di richiami di Melchionda.

Successivamente, di un certo rilievo è tuttavia risultata anche l'ulte riore pronuncia Cass. 14 novembre 1995, Viceconti (pres. Corsaro, est.

Morgigni, p.m. Di Renzo (conci, parz. diff.), ric. Viceconti, inedita, che annulla Trib. Potenza 12 gennaio 1995), con la quale si è più speci ficamente affermato che; «ai fini del computo dei termini di prescrizio ne previsti per i reati tributari (e salve più specifiche distinzioni in ordi ne al tipo di illecito di volta in volta considerato), occorre in via genera le tener conto dei seguenti periodi di sospensione obbligatoria del

procedimento penale: primo periodo, dal 2 marzo 1989 al 31 dicembre

1989, e quindi pari a 274 giorni, previsto dall'art. 21, 7° comma, d.l. 69/89 (questa sospensione non opera per i reati di frode fiscale, ma solo per infrazioni minori definibili ai sensi del medesimo art. 21); se condo periodo, dal 16 gennaio 1991 al 31 luglio 1991, e quindi pari a 197 giorni, in base all'art. 8, 6° comma, d.l. 7/91 (si applica solo ai reati espressamente elencati da quest'ultima disposizione e con le spe cificazioni temporali ivi precisate); terzo periodo, dal 25 gennaio al 30

giugno 1992, e quindi pari a 160 giorni, in base al d.p.r. 23/92 ed ai successivi decreti di reiterazione (applicabile a tutti i reati tributari

amnistiabili); quarto periodo, dal 24 novembre 1992 al 20 giugno 1993, e quindi pari a 209 giorni, in base al d.l. 455/92, reiterato, ed alla 1. 75/93 (riguarda tutti i procedimenti relativi ai reati tributari e la data del 20 giugno 1993 è stabilita nell'allegato alla legge di conversione in G.U. n. 69 del 24 marzo 1993)». Il quadro complessivo dei conteggi formulati risulta sicuramente quanto mai chiaro e dettagliato, rivelan dosi perciò di indubbio ausilio. Sul punto occorre peraltro segnalare che, rispetto a quanto deciso dalle sezioni unite, la pronuncia si segnala soprattutto per la diversa determinazione del c.d. quarto periodo di

sospensione (quello cioè conseguente ai d.l. 455/92 e 16/93), con ri

guardo al quale, conformemente peraltro a quanto precisatosi nella ci tata nota di commento, la relativa durata è stata quantificata in mesi sei e giorni ventisette.

It Foro Italiano — 1997.

Nella vicenda che ha dato spunto a quest'ultima decisione della Corte

suprema il problema del calcolo del periodo di prescrizione era stato

affrontato con riferimento al reato di omessa regolarizzazione di acqui sti sensa fattura, originariamente previsto dall'art. 2, comma 26, d.l.

853/84. A tale riguardo, la decisione ha affermato un ulteriore princi

pio meritevole di autonoma considerazione, stabilendo, in particolare, che: «In base a quanto disposto dal d.l. 70/88 (convertito nella 1. 154/88), la punibilità del reato di omessa regolarizzazione di beni acquistati sen za fattura, previsto dall'art. 2, comma 26, d.l. 853/84 (convertito nella 1. 17/85), è stata estesa soltanto all'anno 1988 e non anche agli anni

1989 e 1990; con riferimento a questi ultimi anni il fatto risulta pertan to non previsto dalla legge come reato». Nella specie, la contestazione

era stata in effetti riferita ad acquisti realizzati in un arco di tempo compreso fra l'anno 1987 ed il 1990. Avverso la sentenza di condanna, indistintamente riferita a tutti i casi contestati, era stato presentato un

primo motivo di ricorso, con il quale era stata eccepita la erronea appli cazione del citato art. 2, comma 26, in relazione alle presunte violazioni commesse negli anni 1989 e 1990, in quanto tale disposizione «avrebbe sanzionato la condotta di cui al capo di imputazione soltanto per gli anni 1985, 1986 e 1987, ed anche per il 1988 in virtù della proroga di cui all'art. 6 d.l. 14 marzo 1988 n. 70, convertito con modificazioni in 1. 13 maggio 1988 n. 154». Nel confermare l'irrilevanza penale dei casi di omessa regolarizzazione verificatisi in epoca successiva al 31 di cembre 1988, la sentenza ha pertanto ribadito l'esatto periodo di vigen za della norma sanzionatoria in oggetto (giungendo così a conclusioni

analoghe a quelle già precedentemente avanzate in dottrina da Brighenti, A proposito del reato di omessa autofatturazione, in Bollettino trib., 1989, 1118), ed ha di fatto consentito di apprezzare l'attuale irrilevanza

penale di ogni ipotetico caso di omessa regolarizzazione allo stato anco ra oggetto di procedimento penale. Al riguardo occorre infatti conside rare che, per i fatti successivi alla data di cessata vigenza della discipli na incriminatrice, le relative condotte non sono più previste dalla legge come reato; per i fatti precedenti risultano viceversa ormai già ampia mente superati i termini massimi di prescrizione, posto che, con senten za 20 gennaio 1994, Sorbello, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 1782, la Corte suprema aveva già avuto modo di precisare che, non essendo

compreso fra i reati assoggettati allo specifico .regime dettato dall'art. 9 d.l. 429/82, il termine di prescrizione previsto per l'illecito di cui al citato art. 2, comma 26, coincide con il termine triennale (prorogabi le fino ad un massimo di anni quattro e mesi sei) stabilito dall'art. 16 1. 4/29. [A. Melchionda]

Vigili del fuoco (corpo dei) e servizi antincendi — Incendi — Servizio di prevenzione ed estinzione — Locali di pubblico spettacolo — Squadre antincendio private — Esclusione —

Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 41; 1. 13 maggio 1961 n. 469, ordinamento dei servizi antincendi e del corpo nazionale dei vigili del fuoco e stato giuridico e trattamento economico del personale dei sottufficiali, vigili scelti e vigili del corpo nazionale dei vigili del fuoco, art. 2; 1. 26 luglio 1965 n. 966, disciplina delle tariffe, delle modalità di pagamento e dei compensi al personale del corpo nazionale

dei vigili del fuoco per i servizi a pagamento, art. 2).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

2, lett. c), 1. 13 maggio 1961 n. 469, nella parte in cui non

prevede che i titolari di locali di pubblico spettacolo siano am messi a istituire un proprio servizio di prevenzione e di estinzio ne incendi a mezzo di squadre antincendio private, in riferimen to agli art. 3 e 41 Cost. (1)

Corte costituzionale; sentenza 3 aprile 1996, n. 97 (Gazzetta

ufficiale, la serie speciale, 10 aprile 1996, n. 15); Pres. Ferri, Est. Ruperto; Min. interno ed altri. Ord. Cons, giust. amm. sic. 16 febbraio 1995 (G.U., la s.s., n. 52 del 1995).

(1) La questione era stata sollevata da Cons, giust. amm. sic. (la cui ordinanza di rinvio è massimata, con data 30 giugno 1995, n. 234, in Foro it., Rep. 1995, voce Vigili del fuoco, n. 6) con particolare rife rimento ad una presunta disparità di trattamento tra i titolari di locali

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

di pubblico spettacolo ed i titolari di stabilimenti industriali, ai quali ultimi soltanto è consentito di istituire un proprio servizio di prevenzio ne e di estinzione degli incendi. La Corte costituzionale dichiara l'in fondatezza della eccezione di costituzionalità, rilevando come l'attività di prevenzione ed estinzione degli incendi costituisca un compito di pub blico interesse, poiché volta prevalentemente ad assicurare l'incolumità delle persone e la tutela dei beni materiali e dell'ambiente ed esclude la denunciata disparità di trattamento sulla base della evidente disomo

geneità delle due situazioni poste a raffronto. Per la infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 2, 1°

comma, 1. 26 luglio 1965 n. 966, nella parte in cui pone a carico di enti e di privati l'obbligo di richiedere al corpo nazionale dei vigili del fuoco i servizi di vigilanza a pagamento per i locali di pubblico spetta colo, sotto il profilo che l'indicata norma porrebbe l'obbligo di con trarre con il monopolista ed escluderebbe la possibilità di avvalersi delle

prestazioni di altri soggetti, v. Corte cost. 15 marzo 1994, n. 90, id., Rep. 1994, voce cit., n. 4.

Nel senso invece che sono illegittime le circolari del ministero dell'in terno che riservano al personale del corpo dei vigili del fuoco l'espleta mento dei servizi di vigilanza antincendio presso i locali di pubblico spettacolo, v. Tar Sicilia, sez. Catania, 20 maggio 1994, n. 995, ibid., nn. 5, 6, secondo cui le commissioni provinciali di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo possono, sulla base delle situazioni concrete, con sentire l'effettuazione della vigilanza antincendio con squadre antincen dio private, in possesso dei requisiti necessari.

Sulla interpretazione della locuzione «locali di pubblico spettacolo» di cui all'art. 2, 1° comma, lett. b), 1. 966/65, v. Tar Abruzzo 5 maggio 1994, n. 262, ibid., n. 8, secondo cui essa va intesa non in senso limita to e restrittivo, ma tenendo conto della ratio della norma, con riferi mento a tutti i luoghi di pubblico intrattenimento, riunione o assembra mento di persone; pertanto, l'obbligo della richiesta dei servizi a paga mento del corpo nazionale dei vigili del fuoco previsto dalla suddetta

disposizione sussiste anche in relazione alle attività svolte in un com

plesso avente la superfice lorda superiore ai duemila mq. ed utilizzato

per mostre, fiere ed esposizioni; Tar Puglia, sez. I, 7 febbraio 1994, n. 184, ibid., n. 9, il quale ha ritenuto la stessa applicabile anche ai locali per pubblici trattenimenti, quali le sale da ballo e le discoteche.

In dottrina, v. Minetti, Incendi (prevenzione degli), voce del Digesto pubbl., Torino, 1993, Vili, 201; Franco, Vigili del fuoco, voce del

l'Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1994, XXXII. In ordine al riparto di competenze tra Stato e regioni in materia di

prevenzione degli incendi boschivi, v. Corte cost. 10 maggio 1995, n.

157, Foro it., 1996, I, 71, con nota di richiami. Sul servizio di prevenzione incendi, cfr. anche la nota di richiami

a Cass. 3 luglio 1996, P.m. c. Miraglia, ibid., II, 681.

Misure cautelari personali — Trasgressione — Sostituzione o

cumulo della misura con altra più grave — Provvedimento

— Preventiva audizione del difensore — Omessa previsione — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. pen., art. 276).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

276 c.p.p., nella parte in cui prevede che, in caso di trasgressio ne alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare, il giudice

può disporre la sostituzione o il cumulo con altra più grave senza dover sentire il difensore sulla richiesta del pubblico mini

stero, in riferimento agli art. 3, 1° comma, e 24, 2° comma,

Cost. (1)

Corte costituzionale; sentenza 8 marzo 1996, n. 63 (Gazzetta

ufficiale, la serie speciale, 13 marzo 1996, n. 11); Pres. Ferri, Est. Zagrebelsky; Santacroce; interv. Pres. cons, ministri. Ord.

Trib. Verbania 23 giugno 1995 (G.U., la s.s., n. 41 del 1995).

(1) Il principio (più volte ribadito: cfr. soprattutto Corte cost. 8 giu

gno 1994, n. 219, Foro it., 1994,1, 3367) che sorregge la giurisprudenza costituzionale in tema di modalità attuative del contraddittorio nei riti

de libertate è quello per cui «la garanzia della difesa e della parità tra

accusa e difesa comporta che il preventivo contraddittorio tra le ragioni

Il Foro Italiano — 1997.

dell'una e dell'altra debba essere garantito anche nel procedimento ap plicativo di misure cautelari personali coercitive, in tutti i casi in cui esso non contraddica le esigenze della loro concreta esecuzione»: alla luce di ciò il previo contraddittorio non sarebbe razionale in sede di

prima applicazione della misura, «per l'intrinseca contraddizione che ne deriverebbe rispetto all'esigenza di salvaguardare l'imprevedibilità» della stessa, mentre — ad esempio — nulla osta alla preventiva audizio ne del difensore dell'interessato nell'ipotesi di rinnovazione ex art. 301, 2° comma, c.p.p. poiché, essendo la misura già in corso di esecuzione, nessun pericolo per l'eseguibilità del provvedimento è in concreto pro spettabile (cfr. Corte cost. 8 giugno 1994, n. 219, cit., che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 301, 2° comma, c.p.p. nella parte in cui non prevede che, ai fini dell'adozione del provvedimento di rin novazione della misura cautelare personale, debba essere previamente sentito il difensore della persona da assoggettare alla misura; sui com

plessi rapporti tra rinnovazione e proroga, e sui divari procedimentali tra i due meccanismi in ordine alle garanzie del contraddittorio, cfr., tra gli altri, Baroi, Proroga della custodia cautelare, «proroga» della custodia in carcere disposta per esigenze probatorie e rinnovazione del ta misura, in Giur. it., 1996, II, 565 ss.; Della Marra, / limiti del contraddittorio nel procedimento di proroga della custodia cautelare, id., 1995, II, 371 ss.; Gaito, «Proroga» e «rinnovazione» delle misure cautelari: il problema dei modi e dei tempi del contraddittorio, in Giur.

costit., 1994, 1825 ss.; Grevi, Rinnovazione della misura e proroga del termine nel caso di custodia in carcere disposta per esigenze proba torie (a proposito del nuovo art. 301 c.p.p.), in Cass, pen., 1995, 2418

ss.). La pronuncia odierna si chiede, dunque, se possano in toto appli carsi al congegno di cui all'art. 276 c.p.p. le logiche — pur richiamate dal giudice a quo — che hanno condotto alla declaratoria di incostitu zionalità dell'art. 301, 2° comma, c.p.p.: se, in altri termini, per le misure più gravi che il giudice può disporre in sostituzione o in aggiun ta di altre, nel caso di trasgressione alle prescrizioni imposte, «il carat tere di imprevisto sia o non coessenziale alla realizzazione della loro finalità cautelare». Nel respingere il dubbio profilato dal giudice a quo, la corte dà, al quesito ora formulato, risposta positiva: nell'ipotesi di cui all'art. 276 c.p.p. l'«esigenza dell'imprevisto» si pone in termini

analoghi rispetto alle dinamiche dell'applicazione di nuova misura, sic ché il previo contraddittorio — oggetto del petitum del rimettente —

frustrerebbe le finalità del meccanismo; ed anzi, rimarca la corte, «l'in clinazione a sottrarsi alla misura 'più grave' è da presumersi ragione volmente persino più forte che non nel caso di prima applicazione o di aggravamento della misura determinato dal sopravvenire di più forti

ragioni cautelari».

Acque pubbliche e private — Tribunale superiore delle acque

pubbliche — Decisioni — Sindacato della Corte di cassazione — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 103, 111, 113; r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, t.u. delle dispo sizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici, art. 201).

È inammissibile, in quanto irrilevante nel giudizio a quo, la

questione di legittimità costituzionale dell'art. 201 r.d. 11 di

cembre 1933 n. 1775, nella parte in cui, al pari di quanto avvie

ne per le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, non limita il ricorso in Cassazione avverso le decisioni del Tri

bunale superiore delle acque pubbliche ai soli motivi inerenti

la giurisdizione, con esclusione di quelli relativi ai vizi di legitti

mità, in riferimento agli art. 3, 103, 111 e 113 Cost. (1)

Corte costituzionale; sentenza 16 giugno 1995, n. 247 (Gaz

zetta ufficiale, la serie speciale, 21 giugno 1995, n. 26); Pres. Baldassarre, Est. Caianiello; Comune di Fiumefreddo (Aw. Lo

rizzo), Fall. soc. Sasi (Avv. Conte), Comune di Palermo (Aw. Antonelli Camposarcuno, Compagno); interv. Pres. cons, mini

sri (Aw. dello Stato Russo). Ord. Trib. sup. acque 22 novem

bre, 13 dicembre 1993, 28 febbraio 1994 (G.U., la ss., nn. 44 e 49 del 1994).

(1) La Corte costituzionale richiama la propria giurisprudenza con solidata nel senso di ammettere la possibilità del giudice di rinvio di

sollevare questioni di costituzionalità relative anche alle disposizioni og

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2023 PARTE PRIMA 2024

getto dell'interpretazione nomofilattica della Corte di cassazione (v. sent. 24 febbraio 1995, n. 58, Foro it., 1995, I, 1757, con nota di richiami), purché le stesse risultino però necessariamente applicabili nel giudizio di rinvio (v. ord. 28 novembre 1994, n. 410, ibid., 473, con nota di richiami e osservazione di Pugiotto).

Nel senso che la questione di costituzionalità non può essere strumen talmente impiegata allo scopo di impugnare una decisione delle sezioni unite della Cassazione, v. Corte cost. 2 novembre 1996, n. 375, G.U., la s.s., 6 novembre 1996, n. 45.

In ordine alla legittimazione del giudice ad investire di una questione di costituzionalità la Corte costituzionale, v. Corte cost. 5 novembre

1996, n. 387, Foro it., 1997, I, 7, con nota di richiami, la quale ha dichiarato inammissibile una eccezione di costituzionalità sollevata in un procedimento davanti al collegio centrale di garanzia elettorale, in

quanto privo soggettivamente ed oggettivamente del carattere giuris dizionale.

Tributi in genere — Reato tributario — Ultrattività della legge penale finanziaria — Questione infondata di costituzionalità

(Cost., art. 25; 1. 7 gennaio 1929 n. 4, norme generali per la repressione delle leggi finanziarie, art. 20).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

201. 7 gennaio 1929 n. 4, che prevede il principio c.d. di ultrat

tività delle leggi penali finanziarie, in riferimento all'art. 25, 2° comma, Cost. (1)

Corte costituzionale; sentenza 6 marzo 1995, n. 80 (Gazzetta

ufficiale, la serie speciale, 15 marzo 1995, n. 11); Pres. Spa gnoli, Est. Santosuosso; Mouduch e altri Ord. Pret. Catania

29 marzo 1994 e 14 aprile 1994 (G.U., la s.s., nn. 25, 26 del

1994).

(1) Con la odierna sentenza, che ampia eco ha subito avuto nell'am bito delle principali riviste giuridiche del settore tributario, la Corte costituzionale ha nuovamente ribadito la legittimità costituzionale del l'art. 20 1. 7 gennaio 1929 n. 4, e del relativo principio c.d. di ultrattivi tà della legge penale finanziaria. In relazione a questa nuova pronuncia v., in particolare, Cerqua, Sempre ultrattive le disposizioni penali fi nanziarie, in Dir. pen. e proc., 1995, 852 ss.; Esposito, L'art. 20 l. 7 gennaio 1929 n. 4. Un vincolo, tuttora costituzionalmente valido, alla «vis abrogans» della legge ordinaria?, in Giur. costit., 1995, 1180 ss.; Ferro, Successione di leggi penali finanziarie: problemi di costituziona lità, in Riv. giur. trib., 1995, 946 ss.; Fortuna, in Riv. dir. trib., 1995, II, 641; Messina, L'art. 20 I. 7 gennaio 1929 n. 4 è sempre vivo nono stante i numerosi attentati, in Fisco, 1995, 2576 ss.; M. Nunziata, È costituzionalmente legittimo l'art. 20 I. n. 4 del 1929, relativo alla c.d. ultrattività delle leggi penali tributarie, in Nuovo dir., 1995, 582 ss.; Rapisarda, Retroattività, legalità, uguaglianza e leggi penali finanzia rie, in Cass, pen., 1995, 2073 ss.

In questo frangente, l'eccezione di legittimità ha interessato i rappor ti con l'art. 25, 2° comma, Cost., sotto il profilo di una ritenuta costi tuzionalizzazione dello stesso principio di retroattività delle disposizioni penali più favorevoli al reo, e di un conseguente contrasto di quanto diversamente stabilito dall'art. 20 cit. (per il testo integrale di una delle due ordinanze che hanno sollevato la questione, cfr. Pret. Catania 29 marzo 1994, Giur. costit., 1995, 728 ss.). In senso analogo, nella giuri sprudenza di merito, v. già App. Milano 19 settembre 1989, Foro it., Rep. 1990, voce Tributi in genere, n. 2794. Sulla più circoscritta porta ta della norma costituzionale invocata, la conclusione oggi affermata dalla Corte costituzionale aveva già trovato ampi consensi anche nel l'ambito della dottrina prevalente: sull'irrilevanza costituzionale del prin cipio della retroattività della legge penale più favorevole, v. Bricola, Commento all'art. 25, 2° comma, Cost., in Commentario della Costi tuzione a cura di Branca, Bologna-Roma, 1981, 286; Podo, Successio ne dì leggi penali, voce del Novissimo digesto, Torino, 1974, XVIII, 643; Siniscalco, Irretroattività delle leggi in materia penale, Milano, 1969, 97; Vassalli, «Abolitio criminis» e principi costituzionali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1983, 377; nello stesso senso, con più specifico

Il Foro Italiano — 1997.

riferimento alla disciplina penale tributaria, v. altresì Cerquetti, Reati

tributari, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1987, XXXVIII, 1057. Contra, Flora, Profili penali in materia di imposte dirette ed

Iva, Padova, 1979, 103 ss., nonché Spasari, Diritto penale e Costitu

zione, Milano, 1966, 44, ma sulla scorta di una valorizzazione generale dell'art. 73 Cost. Per una illegittimità dell'art. 20, cit., ma solo in rela zione alla deroga al principio dell'applicazione retroattiva di una nuova

disposizione meramente modificativa più favorevole al reo, v. inoltre

Padovani, Tipicità e successione di leggi penali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1982, 1381. Per un ampio quadro sulla problematica, v. Picotti, La legge penale, in Giur. sist. dir. pen. a cura di Bricola e Zagrebel

sky, Torino, 1996, I, 87 ss. In precedenti occasioni la Corte costituzionale aveva invece ripetuta

mente escluso l'illegittimità dell'art. 20, cit., sotto il profilo di un prete so contrasto con l'art. 3 Cost., reputando al contrario giustificata la relativa disciplina speciale in ragione del rilievo costituzionale dell'«in teresse primario alla riscossione dei tributi» da parte dello Stato: a que sto riguardo, v. infatti Corte cost. 6 giugno 1974, n. 164, Foro it., 1975, I, 27, con nota di Padovani, La cosiddetta ultrattività delle leggi penali finanziarie ed il principio costituzionale di eguaglianza, in segui to ripresa e ribadita con sent. 6 marzo 1975, n. 43, id., Rep. 1975, voce cit., n. 681 (in relazione alla quale, v. la nota di Antonini, La ultrattività delle leggi penali finanziarie: una questione senza proble mi?, in Giur. costit., 1975, 2068 ss.); con sent. 16 gennaio 1978, n.

6, Foro it., 1978, I, 278, e da varie altre ordinanze (in particolare, 4 novembre 1985, n. 256, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1115; 15 dicem bre 1980, n. 166, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1138, e le ulteriori risalen ti ordinanze 5 dicembre 1974, n. 279, id., Rep. 1975, voce cit., n. 682; 16 aprile 1975, n. 89, ibid., n. 680; 3 luglio 1975, n. 182, ibid., n.

679; 17 dicembre 1975, n. 245, id., Rep. 1976, voce cit., n. 851; 25 marzo 1976, nn. 62, id., 1976, I, 1120; 24 novembre 1976, n. 231, id., Rep. 1977, voce cit., n. 1040; 14 luglio 1977, n. 134, id., Rep. 1978, voce cit., n. 955; 22 dicembre 1977, n. 158, ibid., n. 954.

In senso analogo si è altresì pronunciata in varie occasioni la stessa Corte di cassazione: in generale, v. sent. 27 febbraio 1989, C., id., Rep. 1990, voce cit., n. 2792; 18 aprile 1989, M., ibid., n. 2791; 2 marzo 1988, F., id., Rep. 1988, voce cit., n. 1181; 26 giugno 1981, Cora, id., Rep. 1982, voce cit., n. 984. Opinione conforme è stata infi ne manifestata in dottrina, fra gli altri, anche da Caraccioli, Legalità ed irretroattività in tema di leggi tributarie, in Dir. e pratica trib., 1973, 205; Romano, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 1995, I, 62; Trapani, L'art. 20 l. 7 gennaio 1929 n. 4 e la c.d. ultrattività delle norme penali tributarie, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1982, 230.

Nella vicenda che ha dato origine alla questione di legittimità ora

rigettata la rilevanza del principio di ultrattività della norma penale fi nanziaria è stata riscontrata con riferimento alla possibilità di apprezza re retroattivamente, con riguardo alla disciplina in materia di contrab

bando, gli effetti dell'art. 2 1. 562/93, che, modificando il disposto dal l'art. 39 1. 689/81, ha esteso la portata della relativa depenalizzazione anche ai reati finanziari puniti con la sola multa. Sul punto, nel senso della non applicabilità retroattiva degli effetti conseguenti a tali disposi zione, v., in particolare, Cass. 17 gennaio 1994, Crociani, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 1894, e soprattutto Cass. 19 gennaio 1994, Antoci, id., 1994, II, 408, con nota di ulteriori riferimenti di Cascia

(ed anche in Società e dir., 1994, 394, con nota di Cerqua); 13 luglio 1994, Militello, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 1638, in relazione alla quale, v. anche la nota di Dell'Anno, Depenalizzazione e violazio ne di leggi finanziarie, in Cass. pen., 1995, 1644; contra, Cass. 30 mar zo 1994, Cola, Foro it., 1994, II, 627; App. Genova 6 luglio 1995, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1651. Sulla efficacia retroattiva della depe nalizzazione, operata con 1. 561/93, del reato di detenzione di accendini per la vendita senza il prescritto contrassegno di Stato, v. inoltre Cass. 5 dicembre 1994, D.H., ibid., voce Sanzioni amministrative e depena lizzazione, n. 27.

Sulla portata generale della regola fissata dall'art. 20, cit., nel senso della sua riferibilità tanto alla parte precettiva della norma, quanto alla sanzione, v., in particolare, Cass. 24 novembre 1994, G.R., ibid., voce Tributi in genere, n. 1637. Sugli aspetti connessi ad eventuali deroghe all'applicabilità dei principi conseguenti all'art. 20 1. 4/29, ed al relati vo margine di legittimità costituzionale, v. i riferimenti in nota a Cass. 6 marzo 1996, Rizzo, che sarà riportata su un prossimo fascicolo.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Giurisdizione civile — Chiesa di San Pietro in Montorio — Ap

partenenza — Controversia tra ente ecclesiastico e governo

spagnolo — Giurisdizione del giudice italiano.

La cognizione della domanda, con la quale un ente ecclesia

stico civilmente riconosciuto, invocando l'atto transattivo per

rogito notarile stipulato nel 1876 a Roma fra la corona di Spa

gna e il governo del re d'Italia, chiede, nei confronti dello Stato

spagnolo, l'accertamento dell'appartenenza in proprietà ad esso

istante o, in subordine, al fondo edifici di culto, della Chiesa di S. Pietro in Montorio di Roma (intesa come manufatto) e

dell'annesso tempietto del Bramante, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario italiano. (1)

Corte di cassazione; sezioni unite civili; sentenza 6 maggio

1997, n. 3957; Pres. Bile, Est. Bibolini, P.M. Morozzo Della Rocca (conci, conf.); Governo di Spagna (Aw. D'Ercole) c.

Chiesa di S. Pietro in Montorio (Aw. Petronio), Fondo edifici di culto (Aw. dello Stato Palmieri). Regolamento di giuri sdizione.

(1) Le sezioni unite risolvono l'esaminata questione di giurisdizione, ribadendo il principio (enunciato dalle pronunzie richiamate in motiva

zione e condiviso anche dalla dottrina: di recente, sulla stessa linea del

la corte, Campeis-De Pauli, La procedura civile internazionale, Cedam,

Padova, 1996, 142-143, testo e note) secondo cui lo Stato straniero,

quando si avvale, per sua scelta, degli strumenti privatistici dell'ordina

mento interno italiano, si pone nella medesima posizione dei cittadini

italiani ed è quindi, soggetto, al pari di questi, alla giurisdizione del

giudice nazionale. Per giustificare la soluzione attinta, la corte sottolinea che i vari ele

menti della fattispecie, compiutamente esaminati nella parte motiva del

la pronuncia, convergevano verso la configurazione di una situazione

di diritto interno italiano, incompatibile tanto con la posizione di dirit

to internazionale invocata in giudizio dal governo spagnolo, quanto con

la pretesa di immunità giurisdizionale dallo stesso dedotta.

♦ * *

La sentenza è così motivata: Svolgimento del processo. — Con atto

di citazione datato 15 gennaio 1992 l'ente ecclesiastico civilmente rico

nosciuto denominato «Chiesa di San Pietro in Montorio», conveniva

davanti al Tribunale di Roma il Regno di Spagna, nei confronti del

quale chiedeva che si accertasse l'appartenenza in proprietà all'ente mo

rale attore, o in subordine al fondo edifici di culto, della Chiesa di

San Pietro in Montorio (intesa come edificio) e dell'annesso tempietto del Bramante.

Nell'esposizione in fatto l'attore svolgeva la lunga storia della chiesa

predetta, del tempietto e dell'adiacente convento dall'epoca della co

struzione nel 1400 fino al 1876, allorché con atto di transazione in data

21 agosto 1876 la giunta liquidatrice dell'asse ecclesiastico, entrata in

possesso del complesso costituito dalla chiesa, dal tempietto e dal con

vento predetti in forza della 1. 19 giugno 1873 n. 1402, serie 2, aveva

dato e ceduto in proprietà e consegnato alla legazione del governo del

re di Spagna il convento predetto . . . chiesa ed annessi risultanti dai

dati catastali che venivano indicati specificamente, prevedendo espres samente come condizione che il diritto di patronato alla corona di Spa

gna fosse unicamente ristretto alla chiesa ed al tempietto del Bramante

e che la rimanente parte del convento venisse destinata a sede dell'acca

demia spagnola di belle arti in Roma.

Specificava l'attore che a detta transazione si era addivenuti attraver

so una lunga trattativa di cui delineava i tratti salienti e, in particolare:

A) la Spagna cercò di fare valere i diritti di reversibilità sulla fonda

zione di patronato di S. Pietro in Montorio, cercando di diventare pro

prietaria di tutto il complesso; B) la giunta liquidatrice dell'asse ecclesiastico non diede accoglimento

alla richiesta;

C) la Spagna avanzò allora la proposta di fare del convento, se otte

nuto in proprietà, un'accademia di belle arti, chiedendo il riconosci

mento del solo diritto di patronato sulla chiesa;

D) il ministero italiano competente delineò l'ipotesi di un accordo

distinguendo la posizione giuridica della chiesa e dei locali destinati ad

abitazione degli officianti, da quella del convenuto, con la concessione

di quest'ultimo in proprietà a condizione che venisse destinato ad acca

demia di belle arti, mentre per la chiesa sarebbe stato riconosciuto il

diritto di patronato della corona di Spagna, diritto di patronato che,

secondo la tesi svolta dall'attrice, costituiva istituto di diritto canonico

in allora vigente ben distinto da diritto di proprietà, ma del quale si

perse memoria e non è più riconosciuto né ricordato nel vigente codice

di diritto canonico.

Il Foro Italiano — 1997.

Su tale base si sarebbe addivenuti all'atto transattivo redatto davanti ad un notaio.

Illustrava l'attore come tra l'ente ecclesiastico ed il Regno di Spagna si fosse sviluppata nel tempo una disputa sul diritto di proprietà del

complesso, nel senso che il Regno di Spagna riteneva che tutto il com

plesso fosse ceduto in proprietà dello Stato spagnolo in virtù della tran sazione 21 agosto 1876; ritenendo, per contro, l'ente che la proprietà coinvolgesse solo il convento, mentre la chiesa ed il tempietto non fos sero divenuti proprietà dello Stato spagnolo.

Tempestivamente costituitosi in giudizio il Regno di Spagna, nel con testare in fatto e diritto le pretese avverse, eccepiva in via pregiudiziale il difetto assoluto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana.

Con ricorso 15 gennaio 1992 il Regno di Spaga proponeva regola mento preventivo di giurisdizione, articolato sulla base di due motivi.

Si costituiva il fondo edifici di culto che si riservava di svolgere argo mentazioni orali; depositava controricorso l'ente ecclesiastico civilmen te riconosciuto «Chiesa di S. Pietro in Montorio». Il ricorrente ed il

controricorrente depositavano memoria. Motivi della decisione. — I) Con il primo mezzo di regolamento di

giurisdizione il ricorrente deduce il difetto di giurisdizione dell'autorità

giudiziaria italiana nei confronti dello Stato spagnolo, quale Stato so

vrano non subordinabile all'ordinamento di altro Stato.

Sostiene il ricorrente che la controversia pendente davanti al Tribu

nale di Roma riguardava l'accordo intervenuto tra il governo di S.M.

il re d'Italia e la corona di Spagna il 21 agosto 1876, relativo alla defi

nizione del contenzioso diplomatico tra i due Stati in materia.

Ritiene al fine il ricorrente che l'accordo predetto costituiva atto di

diritto internazionale sia sotto il profilo soggettivo, sia sotto il profilo funzionale, sia per il contenuto precettivo internazionale. Sotto il profi lo soggettivo perché l'atto costituiva a tutti gli effetti un accordo inter

nazionale con il quale i due Stati sovrani, nell'esercizio della loro auto

nomia quali soggetti dell'ordinamento internazionale, hanno consacrato

il mutuo consenso sopra un determinato modo di disciplinare i rispetti vi rapporti. Ed invero, parti degli accordi erano i vertici istituzionali dei due Stati dotati della piena legittimazione ad esprimere la volontà

dell'ente collettivo statale, quale soggetto di diritto internazionale. Nel

corso dell'atto si dà atto del negoziato internazionale svolto tra soggetti investiti di pieni poteri negoziali in campo internazionale, quali l'invia

to straordinario e ministro plenipotenziario del governo di Spagna ed

il guardasigilli italiano.

Sotto il profilo funzionale, in quanto nel contesto letterale dell'atto

si dà conto dell'esistenza di un annoso contenzioso diplomatico, per cui la funzione dell'accordo era proprio quello di porre fine a detto

contenzioso.

Sotto il profilo precettivo-contenutistico, in quanto con l'atto in que stione i due Stati disponevano di diritti patrimoniali relativi ai beni og

getto del contenzioso diplomatico.

II) Sostiene, in subordine, lo Stato ricorrente che l'atto in questione, oltre a costituire accordo tra Stati sovrani, conteneva anche l'esercizio

del potere della giunta liquidatrice dell'asse ecclesiastico di Roma di

attribuire allo Stato spagnolo dei beni di cui era entrata in possesso in forza della 1. 19 giugno 1873 n. 1402. L'atto, quindi, era finalizzato

all'esercizio di un potere pubblico, nell'ambito di una tipica potestà di imperio.

L'ente ecclesiastico riconosciuto agente, nella specie, tenterebbe una

vera e propria impugnativa di detto atto, per cui portare detta questio ne davanti al giudice ordinario costituirebbe il travolgimento di tutti

i principi che regolano la competenza giurisdizionale nel nostro ordi

namento. La questione, quale emerge dal dibattito tra le parti, trova soluzione,

sotto la prima prospettazione proposta, in base al collegamento fra tre

rilievi fondamentali, e cioè: la situazione giuridica dedotta in controver

sia, il titolo donde detta situazione troverebbe fonte, i soggetti che del

titolo furono parti. La situazione giuridica è un diritto su un bene immobile sito nel terri

torio dello Stato italiano e come tale, in linea di normalità, assoggettato all'ordinamento interno italiano come oggetto di diritti reali.

La fonte è un atto pubblico rogato il 21 agosto 1876 in Italia (in

Roma) da un notaio italiano. Parte di detto atto notarile fu la corona di Spagna. Si tratta, ora, di valutare in quale veste la corona di Spagna interven

ne nell'atto predetto. È, infatti, linea giurisprudenziale di questa corte

riconoscere l'immunità giurisdizionale degli Stati e degli enti pubblici

stranieri, fissata dal diritto internazionale consuetudinario cui rinvia l'art.

10 Cost., quando essi agiscano nella veste di soggetti di diritto interna

zionale o comunque come titolari di una potestà di imperio. Peraltro, non ogni manifestazione giuridica di uno Stato è necessariamente mani

festazione di sovranità, di soggettività di diritto internazionale o di po testà di imperio. Nella personalità giuridica dei soggetti di diritto inter

nazionale è insita anche una soggettività giuridica ed una capacità di

diritto comune, mediante la quale uno Stato, nell'ambito del proprio stesso ordinamento o in quello di altri Stati, può operare come ordina

rio soggetto di diritto, avvalendosi delle situazioni giuridiche che il sin

golo ordinamento riconosce a qualsiasi persona, e ad esse soggiacendo.

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2027 PARTE PRIMA 2028

In tale caso, quando uno Stato straniero per sua scelta si avvalga degli strumenti privatistici dell'ordinamento interno italiano, si pone nella

medesima posizione dei cittadini italiani e sfugge, in quanto tale, al

l'immunità giurisdizionale nei confronti dell'ordinamento italiano, cui

viene invece ad essere assoggettato (Cass. 12 gennaio 1996, n. 173, Foro

it., 1996,1, 1487; 30 maggio 1990, n. 5091, id., Rep. 1990, voce Giuris

dizione civile, n. 71; 15 luglio 1987, n. 6171, id., Rep. 1987, voce cit., n. 40).

Esaminando in quale posizione la corona di Spagna avviò la pratica, conclusa poi con l'atto notarile in data 21 agosto 1876, rep. n. 2344/408

(registrato in Roma, atti pubblici, il 9 settembre 1876 n. 443 del reg.

31), secondo quanto emerge dallo stesso rogito nei settori richiamati

dalle parti in causa, si rileva innanzi tutto che la legazione di Spagna aveva chiesto (nella vigenza della 1. 19 giugno 1873 n. 1402 estensiva

alla città ed alla provincia di Roma delle leggi di soppressione delle

corporazioni religiose), che si riconoscesse nel convento di S. Pietro

in Montorio una fondazione di patronato della corona di Spagna e si

ammettesse a favore della nazione spagnola la reversibilità di tutti i

diritti al medesimo inerenti. La domanda, esaminata dalla giunta liqui datrice dell'asse ecclesiastico di Roma, e dal governo del re, non venne

accolta sul presupposto che gli immobili dovevano ritenersi una casa

religiosa di Roma, in base ad un principio di diritto pubblico secondo

cui un ente morale non può avere vita che dal sovrano del territorio

in cui sorge. Alle osservazioni della corona di Spagna rispose la giunta

liquidatrice dell'asse ecclesiastico riconoscendo senza difficoltà alla co

rona di Spagna il diritto di patronato sulla chiesa di S. Pietro in Mon

torio e sull'annesso tempietto, mentre per la parte del convento non

necessario per collocare gli incaricati dell'ufficiatura nelle predette chie

se, la giunta non ravvisava con chiarezza i presupposti diritti di patro nato della corona di Spagna, rimettendo detta questione al governo del re.

In definitiva, lo Stato spagnolo, quanto meno con riferimento alla

chiesa ed al tempietto del Bramante, aveva chiesto di conseguire un

beneficio previsto dalla c.d. legislazione eversiva dell'asse ecclesiastico, e cioè il riconoscimento di un diritto atto a distrarre il bene dai poteri

liquidatori della giunta liquidatrice dell'Asse ecclesiastico, e ciò in base

ad una legge dello Stato italiano.

La posizione dello Stato spagnolo, in quel momento, fu quella di

un soggetto che richiedeva il riconoscimento di un preteso diritto in

base ad una legge dello Stato italiano, e che lo Stato italiano non gli riconobbe in una prima fase.

Dopo una serie di proposte reciproche si addivenne alla stipulazione del rogito qualificato espressamente come atto di «transazione», tra la

corona di Spagna, e per essa la legazione, ed il governo di S.M.il re

d'Italia e per esso la giunta liquidatrice. Intendendo chiarire quali posizioni difformi divennero oggetto di tran

sizione, non può che farsi riferimento alle posizioni iniziali, e contrap poste, espressamente richiamate nella premessa dell'atto.

Se, quindi, nella posizione iniziale lo Stato spagnolo si poneva come

soggetto di diritto privato nell'ambito dell'ordinamento interno italia

no, la stessa posizione è coerente alla soluzione transattiva che da quel le posizioni iniziali contrapposte è sorta. Non per nulla il governo dello

Stato italiano, che della trattativa era stato partecipe, era intervenuto all'atto conclusivo non mediante gli organi che solitamente rappresenta no uno Stato nei rapporti internazionali, ma proprio a mezzo di quel l'organo interno (la giunta liquidatrice) avente una funzione del tutto interna all'ordinamento italiano in base alla 1. 19 giugno 1873 n. 1402, ciò a significare che proprio in relazione alla disciplina di quella legge la transazione era avvenuta e le situazioni giuridiche oggetto (qualun que esse fossero e qualunque oggetto esse avessero) dell'intesa erano riconosciute. Con questa impostazione essenzialmente interna all'ordi namento italiano è coerente il mezzo adoperato per addivenire alla tran sazione: un atto notarile redatto in Italia da un notaio italiano e le cui spese, per espressa previsione, erano poste a carico della legazione

spagnola cui era inerente un'accettazione esplicita delle norme dell'ordi namento italiano.

È pur vero che le proposte intermedie che portarono poi all'atto fina le vennero avanzate dal ministro plenipotenziario del governo di Spa gna e dal ministero italiano di grazia e giustizia e dei culti; è altresì

vero, però, che il progetto di transazione venne sottoposto alla giunta liquidatrice dell'asse ecclesiastico (e da essa accolto), il cui segretario capo intervenne poi al rogito previa delega della giunta liquidatrice stes

sa, esprimendo la volontà negoziale con un mezzo che, anche se non in via esclusiva, è pur tipico di una normativa interna italiana, e per di più concerneva un bene immobile sito nell'ambito territoriale dello Stato italiano e come tale soggetto all'ordinamento interno italiano. Il necessario passaggio dell'esito della trattativa attraverso l'approvazione della predetta giunta, era significativo del fatto che la definizione del contenzioso pregresso doveva comunque pur sempre inerire all'attività di tale organo interno, in base ad una legge interna italiana che ne definiva le funzioni.

Né, quanto meno limitatamente alla chiesa in contesa ed al tempietto

Il Foro Italiano — 1997.

del Bramante (è fuori discussione, dalla controversia in atto, la parte del convento non interessante la chiesa), può individuarsi, nel diritto

controverso e sotto il profilo funzionale, una situazione inerente alla

personalità internazionale dello Stato spagnolo o ad una sua potestà di imperio.

Conclusivamente sul punto, quindi, dalla corrispondenza tra la natu

ra del diritto controverso in relazione all'oggetto ed alla sua ubicazione, lo strumento tipicamente privatistico utilizzato come fonte delle situa

zioni giuridiche controverse (l'atto notarile comprendente una transa

zione), la posizione inizialmente assunta dallo Stato spagnolo richieden

te il riconoscimento di un diritto in base alla legge italiana, si individua

la posizione dello Stato spagnolo in relazione alla situazione giuridica controversa, situazione di diritto interno italiano cui è estranea la posi zione di diritto internazionale vantata e la situazione di immunità giuris dizionale richiesta.

Sotto il secondo profilo, non par dubbio che, nell'ambito della giuris dizione italiana, la questione rientri in quella del giudice ordinario, e

non del giudice amministrativo.

Qualunque sia la situazione giuridica che abbia fonte nel rogito più volte ricordato, esso non è qualificabile come interesse legittimo, ma, nella prospettazione delle parti, è individuata come diritto (qualunque ne sia il contenuto). Né assume rilievo particolare il fatto che l'atto

in discussione è espressione di un potere pubblico nell'ambito del pote re di imperio riconosciuto alla pubblica amministrazione. Ancorché ciò

sia vero, resta il fatto che davanti al giudice ordinario non è stata por tata alcuna impugnazione di quell'atto, ma solo la sua interpretazione quale fonte eventuale di situazioni giuridiche soggettive; ed in tale am

bito l'analisi non può non essere ristretta.

Ciò è sufficiente per affermare la giurisdizione dell'a.g.o.

Giurisdizione civile — Saclantcen — Dipendente a statuto inter

nazionale — Differenze retributive — Domanda di correspon sione — Difetto di giurisdizione del giudice italiano (Cod. proc. civ., art. 4, 386, 409; 1. 30 novembre 1955 n. 1335, ratifica ed esecuzione della convenzione tra gli Stati parteci

panti al trattato Nord Atlantico sullo statuto delle loro forze

armate, firmata a Londra il 19 giugno 1951, art. 1; 1. 30 no

vembre 1955 n. 1338, ratifica ed esecuzione del protocollo sullo statuto dei quartieri generali militari internazionali crea

ti in virtù del trattato Nord Atlantico, firmato a Parigi il 28

agosto 1952, art. Ili; d.p.r. 18 settembre 1962 n. 2083, esecu zione dell'accordo tra il governo italiano e il comando supre mo alleato in Europa degli Stati membri del trattato dell'A

tlantico del Nord sulle particolari condizioni di installazione e di funzionamento nel territorio italiano dei quartieri gene rali militari internazionali che vi sono o che potranno essere

installati, firmato a Parigi il 26 luglio 1961, art. 8).

La cognizione della domanda con la quale il dipendente «a statuto internazionale» del Saclantcen (organismo costituito nel

l'ambito delle strutture della Nato), chiede la condanna del da

tore di lavoro al pagamento di differenze retributive, calcolate

secondo il contratto Nato regolante il rapporto, è sottratta alla

giurisdizione del giudice italiano. (1)

Corte di cassazione; sezioni unite civili; sentenza 2 maggio 1997, n. 3828; Pres. La Torre, Est. Evangelista, P.M. Morozzo

Della Rocca (conci, conf.); Saclantcen (Nato)-Centro di ricerca

sottomarina di Saclant (Àw. De Luca Tamajo, Corbellini) c. Failla (Avv. Merlino, Lucchini). Cassa senza rinvio Trib. La Spezia 13 marzo 1995.

(1) In senso conforme, con riferimento a controversia con il quartie re generale delle forze alleate del Sud Europa, Cass., sez. un., 20 aprile 1990, n. 3336, Foro it., 1990, I, 1506, con nota di richiami, nella cui motivazione è chiaramente delineata la differenza tra «personale a sta

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

tuto internazionale» e «personale a statuto locale o civile». Con parti colare riferimento alla posizione di dipendente a «statuto locale» della

Nato, si possono inoltre consultare sez. un. 3 maggio 1991, n. 4877, id., 1991, I, 2041, con osservazioni di C. M. Barone e sez. lav. 19

giugno 1991, n. 6929, id., 1992, I, 372, con nota di richiami. Per quanto riguarda, invece, la più generale affermazione del difetto

di giurisdizione del giudice italiano in ordine alle controversie di lavoro con enti e/o istituzioni esteri, costituiti per il perfezionamento di pub bliche finalità dello Stato di cui sono emanazione, allorché le domande

proposte, implicando indagini sulla legittimità dei licenziamenti intima

ti, investono in modo diretto i poteri pubblicistici dei menzionati enti

e/o istituzioni circa l'organizzazione dei propri uffici e servizi, cons, sez. un. 26 maggio 1994, n. 5126, id., 1994, I, 2074, con nota di richiami.

Della diversa questione del tipo di statuizioni emanabili dal giudice italiano con riguardo a controversie di lavoro con entità straniere, si sono occupate di recente le sezioni unite con la sentenza 1° ottobre

1996, n. 8588, id., 1996, I, 3698, con ulteriori indicazioni, secondo la

quale, per poter escludere la reintegrazione nel posto di lavoro del li

cenziato dipendente della organizzazione statunitense Navy Exchange operante a Napoli occorre accertare non soltanto il carattere non im

prenditoriale della menzionata organizzazione, ma anche il mancato per

seguimento, da parte sua, di scopi di lucro, e il disimpegno, ad opera di questa, di attività politica, valutando all'uopo «la destinazione inter na ed a fini istituzionali e pubblicistici dell'ente» e il suo «inserimento

in un organismo di natura politica quale la marina degli Stati uniti

d'America».

* * *

La sentenza è così motivata: Svolgimento del processo. — Con ricor

so del 28 febbraio 1992, Failla Vito conveniva in giudizio davanti al

Pretore di La Spezia, in funzione di giudice del lavoro, il Saclantcen

e, deducendo di avere prestato la sua opera alle dipendenze di quest'or

ganismo, costituito nell'ambito delle strutture della Nato, ne chiedeva

la condanna al pagamento della somma di lire 480.646.489, oltre inte

ressi a rivalutazione, che assumeva dovutagli a titolo di differenze retri

butive, relativamente al periodo dal 1° luglio 1963 al 31 gennaio 1992

(data di cessazione del rapporto di lavoro), sulla base del contratto A4/1

Nato, approvato dal consiglio Atlantico e per le specifiche mansioni

svolte quale «Head of Shops Section».

Il Saclantcen, costituendosi in giudizio, resisteva alla domanda e pre

giudizialmente eccepiva il difetto della giurisdizione italiana in ordine

al rapporto controverso. Il pretore accoglieva l'eccezione, ritenendo che il detto rapporto rien

trasse nel novero di quelli sottratti alla giurisdizione nazionale per effet

to di quanto disposto dal d.p.r. 18 settembre 1962 n. 2083, recante

«esecuzione dell'accordo tra il governo italiano ed il comando supremo alleato in Europa degli Stati membri del trattato dell'Atlantico del Nord

sulle particolari condizioni di installazione e di funzionamento nel terri

torio italiano dei quartieri generali militari che vi sono o che vi potran no essere installati, firmato a Parigi il 26 luglio 1961».

Il successivo appello del Failla veniva accolto dal Tribunale di La

Spezia, che, con sentenza depositata in cancelleria il 13 marzo 1995

e notificata al Saclantcen il 31 marzo 1995, rimetteva, conseguentemen

te, ai sensi dell'art. 353 c.p.c., le parti davanti al primo giudice.

Osservava, in particolare, il tribunale che, alla stregua della normati

va internazionale applicabile al rapporto in esame, e segnatamente del

l'art. 8, lett. a), n. 2, del succitato accordo di Parigi, considerata, inol

tre, l'evoluzione della più recente giurisprudenza di questa corte in or

dine alla questione dell'immunità giurisdizionale degli Stati e, in genere, dei soggetti di diritto internazionale, la giurisdizione del giudice italiano

doveva affermarsi anche rispetto alle controversie promosse da dipen denti di codesti enti addetti a mansioni inerenti a fini istituzionali degli enti stessi, ove la decisione richiesta fosse attinente ad aspetti solo patri moniali del rapporto di lavoro, tale, cioè da non incidere o interferire

nell'attività di realizzazione di quei fini: requsiti entrambi presenti nella

specie, atteso che la domanda del Failla postulava la mera ricognizione delle mansioni dal medesimo espletate e l'identificazione del livello re

tributivo ad esse pertinente, con la qualificazione delle eventuali diffe

renze di retribuzione attraverso un semplice calcolo aritmetico.

Per la cassazione di questa sentenza ricorre il Saclantcen, sulla base

di due motivi, cui resiste il Failla con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.

Motivi della decisione. — Col primo motivo di ricorso il Saclantcen

lamenta l'erronea applicazione del principio consuetudinario internazio

nale in materia di immunità degli Stati esteri, in luogo delle specifiche convenzioni stipulate tra gli Stati membri del patto Atlantico e, partico

larmente, dell'art. 8, lett. a), n. 1, dell'accordo di Parigi del 26 luglio

1961, richiamato dall'art. 32 dello statuto di esso Saclantcen al fine

dell'identificazione della posizione dei dipendenti a «statuto internazio

nale», i cui rapporti di lavoro, essendo costituiti, come quello del Fail

la, per lo svolgimento di incarichi amministrativi a carattere permanen

te, nell'ambito dell'attività istituzionale dell'ente, ed essendo disciplina

li, Foro Italiano — 1997.

ti da appositi contratti Nato, soggiacciono, non alla giurisdizione nazionale, prevista dalle suddette convenzioni, per le sole controversie relative ai rapporti di lavoro a «statuto locale» — ossia, per quelli ri

spetto ai quali difettino l'una o l'altra ovvero entrambe le descritte con dizioni dello «statuto internazionale» —, ma alla speciale giurisdizione della Nato Appeals Board.

Col secondo motivo si propone, poi, una duplice censura.

Invero, da un primo angolo visuale si osserva come il tribunale abbia fatto malgoverno anche della norma di diritto consuetudinario sull'as

soggettamento alla giurisdizione nazionale dell'attività svolta dai sog getti di diritto internazionale iure gestionis, avendola applicata sebbene le mansioni del Failla, per la loro stretta inerenza ai fini istituzionali

dell'organizzazione datrice di lavoro, non potessero considerarsi estra nee alla sfera delle potestà pubblicistiche della medesima nell'ambito dell'ordinamento internazionale.

Sotto altro aspetto, poi, premesso che il fine istituzionale della Nato e la difesa degli Stati membri, finanziata con contributi vincolati a tale

finalità, si rileva, dall'organizzazione ricorrente, che ove si negasse la

pretesa immunità giurisdizionale, una eventuale condanna comporte rebbe un'inammissibile distrazione da quei fini dei mezzi finanziari per i medesimi erogati dai vari Stati, compreso quello italiano.

Il resistente, dal canto suo, oppone che gli assunti della controparte sono erronei in quanto: a) l'accordo di Parigi del 26 luglio 1961 non è autonomamente applicabile alla fattispecie, siccome stipulato col go verno italiano da Saceur e concernente i rapporti di lavoro costituiti nell'ambito dell'attività dei quartieri generali militari internazionali, lad

dove il Saclantcen è organismo costituito per la gestione di un centro

di ricerca sottomarina, nell'ambito dell'attività del Saclant, diversa da

quella propria dei detti quartieri generali; b) ben vero, l'art. 32 dello

statuto Saclantcen prevede che in attesa di accordi fra governo italiano e Saclant, il primo si impegna ad applicare al «centro» le condizioni

del succitato accordo di Parigi, ma non è men vero che siffatto impe

gno è contenuto «nei limiti del presente statuto», cioè escludendosi che

l'applicazione dell'uso possa determianre deroghe alle disposizioni reca

te dall'altro; c) fra tali disposizioni inderogabili v'è quella dell'art. 19, secondo cui i cittadini italiani residenti non possono essere assunti con

contratto internazionale, ma bensì a «statuto locale» in conformità alla

legislazione italiana; d) di qui la duplice conseguenza che il contratto

di lavoro sottoscritto da esso resistente, essendo formalmente collocabi

le nell'ambito del regime «internazionale», è da considerare nullo in

parte qua, ex art. 1418 c.c., per contrasto con la teste citata norma

imperativa; e che rispetto ad esso non risulta invocabile, nella stessa

logica del'accordo di Parigi, la deroga alla giurisdizione italiana.

Il primo motivo di ricorso è fondato. Sul piano strategico ed operati vo la struttura militare della Nato, delineata dal trattato dell'Atlantico

del Nord, firmato a Washington il 4 aprile 1949, si articola in diversi

organismi, fra i quali il comando supremo alleato in Europa (Saceur), che esplica la sua attività sul territorio delle potenze firmatarie, ed il

comando supremo alleato dell'Atlantico, che abbraccia le zone marine

che vanno dall'Artico al Tropico del Cancro e dal limite delle acque territoriali americane alle coste europee ed africane.

I compiti affidati ai due comandi supremi possono considerarsi so

stanzialmente analoghi, rientrando nella competenza di ciascuno di essi

di elaborare i piani necessari alla difesa della zona loro affidata, di

curare l'addestramento delle forze armate poste sotto il loro comando

ed il coordinamento tra le unità chiamate a collaborare in caso di con

flitto. Alle forze armate dei paesi membri impiegate nel quadro dell'Allean

za atlantica, agli organismi militari ed ai comandi supremi o subordina

ti della Nato si applicano la convenzione firmata a Londra il 19 giugno

1951, ratificata e resa esecutiva in Italia con 1. 30 novembre 1955 n.

1335, ed il protocollo della medesima convenzione firmato a Parigi il

28 agosto 1952, ratificato e reso esecutivo con 1. 30 novembre 1955

n. 1338.

Queste fonti dettano disposizioni anche in materia di rapporto di la

voro instaurati dai suddetti paesi, organismi militari e comandi supremi con cittadini dello Stato nel quale essi si trovino ad operare per lo svol

gimento dei propri compiti. Al riguardo, questa corte ha avuto occasione di stabilire che il pro

blema della giurisdizione su tali rapporti va risolto in base alla conven

zione di Londra, la quale distingue in due categorie il personale civile

impiegato presso una forza armata. La prima, prevista dall'art. 1, par.

1, lett. b), è designata con il termine «elemento civile» ed è formata

da chi sia «al seguito di una forza di una parte contraente e sia impie

gato da una forza armata di tale parte contraente e non sia né apolide, né cittadino dello Stato sul cui territorio la forza è in servizio, né sia

in esso abitualmente residente»: si tratta, cioè, di persone che, mentre

non hanno nessun legame con lo Stato ospitante, ne hanno invece di

stabili con lo Stato ospitato, in virtù dell'inserimento nella sua organiz

zazione, e che, pertanto, sono soggette alle sue leggi sostanziali e, di

regola, alla sua giurisdizione. La seconda categoria di cui all'art. 9 par.

4, della citata convenzione, è, invece, costituita da personale non al

seguito di una forza armata, ma destinato a soddisfare soltanto necessi

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2031 PARTE PRIMA 2032

tà locali di mano d'opera, ossia da dipedenti che sono soggetti di diritto

privato locale e, conseguentemente, sono sottoposti, in Italia, alla giuris dizione italiana (Cass., sez. un., 29 aprile 1981, n. 2607, Foro it., Rep.

1981, voce Giurisdizione civile, n. 41). Accanto a queste due categorie, identificabili sulla base di quanto

previsto dalla convenzione, una terza categoria di dipendenti è stata

enucleata, in appicazione di quanto previsto dal par. 2 dell'art. 7 del

protocollo e della correlativa decisione del consiglio Nord Atlantico del

10 febbraio 1954, vale a dire il complesso degli impiegati con così detto

«statuto internazionale», remunerati in base alle tariffe salariali della

Nato e destinati a ricoprire incarichi amministrativi a carattere perma nente nell'ambito dell'attività istituzionale dei quartieri generali alleati.

La necessità di tenere distinta quest'ultima categoria di dipendenti da quella riconducibile all'«elemento civile» definito dalla convenzione

è stata, a sua volta, sottolineata dalla giurisprudenza (cfr., fra le altre,

Cass., sez. un., 1° marzo 1989, n. 1109, id., Rep. 1989, voce cit., n.

67; 13 luglio 1987, n. 6100, id., 1988, I, 1935), allorché ha posto in

luce che non è richiesto, per l'inquadramento dei dipendenti civili nella

categoria del personale a statuto internazionale, l'ulteriore requisito del

difetto, nel dipendente, della cittadinanza italiana; e ciò in quanto, a

norma dell'art. 1, par. 1, lett. a), della convenzione di Londra tra gli Stati partecipanti al trattato del Nord Atlantico sullo statuto delle loro

forze armate, nonché dell'art. 3, par. 1, lett. b), del protocollo di Pari

gi sullo statuto dei quartieri generali internazionali istituiti in virtù del

trattato del Nord Atlantico, il suddetto requisito (unitamente agli altri

previsti dalle stesse norme) deve sussistere unicamente per P«elemento

civile», inteso nel senso, sopra riferito, di insieme di persone legate allo Stato ospitato in virtù dell'assunzione in un apposito apparato or

ganizzato o costituito presso le forze armate di quest'ultimo, oltre che

dotate — per lo più — della cittadinanza del medesimo, e che perciò

seguono la forza ovunque essa fissi la propria residenza e sono sottopo ste alle leggi sostanziali e, di regola, alla giurisdizione dello Stato cui

appartiene la forza (Stato di origine), essendo previsti i casi eccezionali

in cui vige la giurisdizione dello Stato di soggiorno (così Cass., sez.

un., 25 gennaio 1977, n. 355, id., 1977, I, 1183). Una diversa interpretazione delle disposizioni sopra menzionate sa

rebbe in contrasto con la lettera e, soprattutto, con la ratio dell'art. 3 del protocollo di Parigi «che è evidentemente quella di confermare l'immunità della giurisdizione dello Stato ospitante per i rapporti con

11 personale stabilmente inserito nell'organizzazione dell'ente internazio

nale adibita al perseguimento dei fini istituzionali», fra i quali vanno

compresi «anche l'organizzazione degli uffici e l'assunzione del relativo

personale» (sent. n. 6100 del 1987, cit.). D'altra parte, secondo la riferita giurisprudenza, questa distinzione

non esclude che, alla stregua dell'esposta normativa internazionale, le controversie in ordine ai rapporti di lavoro del personale «a statuto internazionale» siano sottratte alla giurisdizione italiana, ma comporta soltanto, come si è detto dianzi, che, ai fini di siffatta esclusione, rilevi di per sé tale «statuto», senza, tuttavia che il difetto di cittadinanza del paese ospitante sia da sommare al complesso dei requisiti in cui

esso si concreta ed in cui si individua la ratio di quella sottrazione,

compendiandosi essi nella stretta attinenza dei relativi rapporti all'eser cizio dei compiti istituzionali propri degli organismi internazionali inte

ressati, scilicet al momento della sovranità, nel contesto di una struttu rale compenetrazione esistente fra questi e la posizione del dipendente di cui trattasi.

Né questa situazione comporta carenza di tutela giurisdizionale per il cittadino interessato, in quanto le controversie sottratte per le esposte ragioni alla giurisdizione italiana appartengono a quella della Nato Ap peals Board ex art. 62 ed art. 1, 2, 4, annesso IX del regolamento del personale civile della Nato.

Ciò posto, è agevole rilevare che può bensì convenirsi col resistente circa l'impossibilità di applicare alla fattispecie le disposizioni dell'Ac cordo fra il governo italiano ed il comando supremo alleato in Europa degli Stati membri del trattato dell'Atlantico del Nord sulle particolari condizioni di installazione e di funzionamento nel territorio italiano dei

quartieri generali militari internazionali, firmato a Parigi il 26 luglio 1961 e reso esecutivo con d.p.r. 18 settembre 1962 n. 2083, trattandosi di fonte normativa negoziata con Saceur, che, come si è dianzi riferito, costituisce, nella struttura dell'alleanza, un organismo con soggettività ed attribuzioni diverse da quelle proprie di Sclant, nell'ambito delle

quali ultime è stato istituito il centro di ricerca Saclantcen; ma da ciò non derivano le conseguenze pretese dallo stesso resistente in ordine alla giurisdizione.

Invero, l'art. 8 dell'accordo bilaterale di Parigi 26 luglio 1961, nel

prevedere la soggezione alla giurisdizione del paese ospitante dei soli

rapporti «a statuto locale» è pienamente conforme alla disciplina del

protocollo di Parigi 26 agosto 1952 e non introduce, in parte qua, nes suna disciplina innovativa, ma si limita a dare applicazione specifica a principi già pienamente desumibili dagli anteriori accordi plurilaterali, in esecuzione di quanto previsto dall'art. 16, n. 2, del protocollo stesso

Il Foro Italiano — 1997.

con particolare riferimento alla condizione di detti quartieri generali nel territorio dello Stato italiano, sicché la sua inapplicabilità al caso di specie non impedisce la soggezione di questo all'esposto principio

giurisprudenziale che vuole sottratte alla giurisdizione italiana le con

troversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti «a statuto interna

zionale».

Orbene, il resistente, per il periodo in contestazione, è stato titolare, come non è controverso e come emerge dalla documentazione in atti, di un rapporto di lavoro disciplinato da contratto Nato, è stato retri

buito in base alle tariffe salariali della stessa organizzazione e, infine, è stato addetto a mansioni amministrative stabilmente inerenti ai com

piti istituzionali dell'ente, sì da comportare la durata a tempo indeter

minato del rapporto stesso, espressamente pattuita col detto contratto. Erano presenti, dunque, nella sua posizione tutti i requisiti che, ai sensi

degli articoli del combinato disposto dell'art. 7, par. 2, del protocollo di Parigi 28 agosto 1952 e della decisione del consiglio Nord Atlantico

del 10 febbraio 1954, identificano la categoria del personale dipendente «a statuto internazionale», rispetto al quale opera, in applicazione del

ricordato principio l'esenzione dalla giurisdizione italiana.

Né giova al resistente il richiamo all'art. 19 dello statuto Saclantcen,

per inferirne la nullità delle suddette pattuizioni, posto che la disposi zione richiamata, lungi dal vietare che i cittadini dello Stato ospitante siano assunti alle dipendenze dell'ente con contratto a «statuto interna

zionale», si limita a prevedere, nell'ambito delle coordinate poste dalla

convenzione di Londra e dal relativo protocollo di Parigi che il perso nale da impiegarsi presso il centro si suddivide in due categorie: a) quel la dei dipendenti destinati ad occupare posti permanenti e retribuiti se

condo le tariffe salariali della Nato; ti) quella dei dipendenti reclutati

localmente, ai sensi dell'art. 9, par. 4, della suddetta convenzione, con

assoggettamento dei relativi rapporti alla legge italiana.

Si ribadisce, all'evidenza, la consueta distinzione fra «statuto interna zionale» e «statuto locale» e semplicemente si soggiunge, con riguardo alla prima categoria, che i dipendenti alla medesima appartenenti, qua lora siano apolidi o, comunque, non abbiano la cittadinanza del paese

ospitante, né quivi risiedano, vanno considerati come appartenenti al così detto «elemento civile», che, come si è dianzi ricordato, si distin

gue dal personale «a statuto internazionale», anche se, per l'uno come

per l'altro, vale il principio per cui, di regola, le controversie relative ai rapporti di lavoro con l'organismo internazionale di appartenenza sono sottratte alla giurisdizione italiana.

Mette conto, del resto, ricordare che il 21 febbraio 1992 si è perfezio nato lo scambio delle notifiche previsto per l'entrata in vigore dell'ac cordo fra il governo della repubblica italiana ed il comandante supremo alleato dell'Atlantico in merito alle condizioni speciali applicabili all'in stallazione e attività, nel territorio italiano del centro di ricerca di Sclant

(Saclantcen), firmato a Bruxelles il 2 dicembre 1988, la cui ratifica è stata autorizzata con 1. 7 gennaio 1992 n. 28. E, sebbene si tratti di atto normativo posteriore alla cessazione del rapporto di lavoro de quo, se ne trae indiscutibile conferma (tanto più rilevante, quanto si conside ri che l'accordo era stato stipulato già durante il suddetto rapporto e che la posteriorità della sua entrata in vigore deriva esclusivamente dalle more del procedimento di ratifica) della esattezza della esposta ricostruzione del sistema, già consentita dalle fonti previgenti, in quan to l'art. 8 dell'accordo, alla lett. a), espressamente delinea e ribadisce, sulla base dei noti tratti differenziali, la consueta distinzione fra «statu to locale» e «statuto internazionale», per trarne la conseguenza (lett. ti) dell'estraneità di quest'ultimo all'apparato normativo del paese ospitante.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con declaratoria del difetto della giurisdizione italiana e con conseguente cassazione senza

rinvio, ai sensi dell'art. 383 c.p.c., della sentenza impugnata.

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