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Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

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Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 4 (APRILE 1996), pp. 1479/1480-1487/1488 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190330 . Accessed: 28/06/2014 10:23 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.121 on Sat, 28 Jun 2014 10:23:12 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Rivista di giurisprudenza costituzionale e civileSource: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 4 (APRILE 1996), pp. 1479/1480-1487/1488Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190330 .

Accessed: 28/06/2014 10:23

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

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1479 PARTE PRIMA 1480

suscettibile, come è noto, di essere «degradato» ad interesse le

gittimo dall'azione della pubblica amministrazione). In tal senso deve, incidentalmente, affermarsi la giurisdizione

del giudice ordinario perché l'emendando provvedimento non

è destinato ad incidere sui poteri discrezionali della pubblica amministrazione, bensì' su poteri a contenuto vincolato, a fron te dei quali vi è appunto un inviolabile diritto soggettivo perfet to (v., in tal senso, per fattispecie analoga a quella in esame, Pret. Genova 12 gennaio 1989, Foro it., 1989, I, 1767).

Per quanto riguarda il pericolo nel ritardo è sufficiente osser

vare che tenuto conto sia della patologia di cui è sofferente

la Arcaini sia dell'«assoluta necessità» cui il legislatore collega la dispensa gratuita del farmaco il pericolo potrebbe ritenersi

in re ipsa. Giova peraltro osservare che il trattamento è assolutamente

necessario proprio per tardare l'aggravarsi della patologia e le

condizioni economiche della ricorrente renderebbero ulteriormente

penosa la sua esistenza perché l'Arcaini dovrebbe vivere per pa garsi un farmaco il cui costo ammonterebbe a circa lire quattro milioni al mese ed i cui tempi di rimborso verrebbero inevitabil

mente ad incidere sulla prosecuzione del trattamento terapeutico. Deve conseguentemente ordinarsi alla Usi 3 «Genovese» di

consegnare gratuitamente ad Arcaini Rita il farmaco Interfero

ne Beta 1 B ovvero Interferone ricombinante Betaseron 1 B.

Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

Previdenza e assistenza sociale — Pensione di reversibilità colti

vatori diretti, mezzadri e coloni — Cumulo con pensione di

reversibilità dello Stato — Integrazione al minimo — Esclu

sione — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 38; 1. 9 gennaio 1963

n. 9, elevazione dei trattamenti minimi di pensione e riordi

namento delle norme in materia di previdenza dei coltivatori diretti e dei coloni e mezzadri, art. 1).

Previdenza e assistenza sociale — Pensione di reversibilità colti

vatori diretti, mezzadri e coloni — Cumulo con pensione di

retta del fondo trasporti — Integrazione al minimo — Esclu

sione — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 38; 1. 9 gennaio 1963

n. 9, art. 1).

È incostituzionale l'art. 1, 2° comma, 1. 9 gennaio 1963 n.

9, nella parte in cui preclude l'integrazione al minimo della pen sione di reversibilità a carico del fondo per coltivatori diretti, mezzadri e coloni in caso di cumulo con pensione di reversibili

tà dello Stato. (1) È incostituzionale l'art. 1, 2° comma, 1. 9 gennaio 1963 n.

9, nella parte in cui preclude l'integrazione al minimo della pen sione di reversibilità a carico del fondo per coltivatori diretti, mezzadri e coloni in caso di cumulo con pensione diretta a cari

co del fondo speciale addetti ai pubblici servizi di trasporto. (2)

Corte costituzionale; sentenza 4 aprile 1996, n. 104 (Gazzetta

ufficiale, la serie speciale, 10 aprile 1996, n. 15); Pres. Ferri, Est. Vari; Petrucci e altro c. Inps. Ord. Pret. Udine 21 febbraio 1995 (G.U., la s.s., n. 17 del 1995) e Pret. La Spezia 5 maggio 1995 (G.U., la s.s., n. 27 del 1995).

(1-2) La norma è stata già dichiarata illegittima per varie ipotesi di cumulo fra pensioni: cfr. Corte cost. 13 novembre 1992, n. 438, Foro it., 1994, I, 3581, con nota di richiami; 8 aprile 1992, n. 165, id., Rep. 1992, voce Previdenza sociale, n. 843; 19 dicembre 1990, n. 547, id., 1991, I, 384, con nota di richiami; 22 febbraio 1990, n. 70 e n. 69,

Il Foro Italiano — 1996.

ibid., 385, con nota di richiami; 29 dicembre 1988, n. 1144, id., 1989, I, 2054, con nota di richiami; 18 dicembre 1988, n. 184, ibid., 2055 con nota di richiami; 13 febbraio 1988, n. 184, ibid., 2055, con nota di richiami; 27 maggio 1982, n. 102, id., 1982, I, 1489, con nota di

richiami, e id., 1984, I, 41, con nota di Sorace. Sulla «cristallizzazione» delle pensioni integrate al minimo in caso

di cumulo, a decorrere dal 1° ottobre 1983, da ultimo, cfr. Cass. 21 ottobre 1995, n. 10952, id., 1996, I, 607, con nota di richiami; sempre in tema di cristallizzazione, cfr. Cass. 9 gennaio 1996, n. 95, ibid., 874, con nota di richiami di S.L. Gentile e in dottrina, M. Cinelli, Diritto della previdenza sociale, Giappichelli, Torino, 1996, cap. VI,

par. 8 e cap. XIV, par. 11

* » *

La sentenza è cosi motivata: Diritto. — 1. -1 giudici rimettenti pro spettano l'illegittimità dell'art. 1, 2° comma, 1. 9 gennaio 1963 n. 9

(elevazione dei trattamenti minimi di pensione e riordinamento delle norme in materia di previdenza dei coltivatori diretti e dei coloni e mez

zadri), con riguardo a due distinte ipotesi di preclusione dell'integrazio ne al minimo della pensione di reversibilità a carico del fondo per colti vatori diretti, mezzadri e coloni in caso di cumulo, rispettivamente, con

pensione di reversibilità dello Stato e con pensione diretta a carico del fondo speciale addetti ai pubblici servizi di trasporto.

2. - Le questioni, che possono essere trattate congiuntamente, sono entrambe fondate.

La norma denunciata è stata già più volte dichiarata, sotto altri pro fili, illegittima in applicazione del principio che esclude — sino alla data del 1° ottobre 1983 — ogni preclusione dell'integrazione al mini mo in caso di titolarità di più trattamenti (cfr. sentenze nn. 547, 70, 69 del 1990, Foro it., 1991, I, 384, 385; 1144 e 184 del 1988, id., 1989, I, 2054, 2055, e 102 del 1982, id., 1982, I, 1489), anche con riguardo alla medesima pensione di reversibilità a carico del fondo per coltivato ri diretti, mezzadri e coloni (da ultimo con le sentenze nn. 438 del 1992, ibid., I, 3581; e 165 del 1992, id., Rep. 1982, voce Previdenza sociale, n. 843).

Sussistendo identiche ragioni, anche nei casi in esame va eliminata la residua area di operatività della norma.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, 2° comma, 1. 9

gennaio 1963 n. 9 (elevazione dei trattamenti minimi di pensione e rior dinamento delle norme in materia di previdenza dei coltivatori diretti e dei coloni e mezzadri), nella parte in cui preclude l'integrazione al minimo della pensione di reversibilità a carico del fondo per coltivatori

diretti, mezzadri e coloni in caso di cumulo con pensione di reversibilità dello Stato;

b) dichiara l'illegittimità costituzionale della norma suddetta nella parte in cui preclude l'integrazione al minimo del medesimo trattamento di reversibilità in caso di cumulo con pensione diretta erogata dal fondo

speciale addetti ai pubblici servizi di trasporto.

I

Assicurazione (contratto di) — Assicurazione obbligatoria della

responsabilità civile — Beneficiari — Carenza di legittimazio ne del giudice «a quo» — Questione manifestamente inam

missibile di costituzionalità (Cost., art. 2, 3; 1. 24 dicembre 1969 n. 990, assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei

natanti, art. 4; 1. 19 febbraio 1992 n. 142, disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'I

talia alle Comunità europee (legge comunitaria per il 1991)).

È manifestamente inammissibile, per carenza di legittimazio ne del giudice a quo (nella specie, giudice istruttore civile ri guardo a disposizione la cui applicabilità sia di competenza del collegio), la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, lett. a), 1. 24 dicembre 1969 n. 990, nel testo anteriore all'entra

ta in vigore della 1. 19 febbraio 1992 n. 142, nella parte in cui, escludendo dai benefici assicurativi tutti coloro la cui responsa bilità deve essere coperta dall'assicurazione, non consente di ri

conoscere i benefici stessi al proprietario del veicolo assicurato

coinvolto nell'incidente quale terzo trasportato dal veicolo me

desimo, in riferimento agli art. 2 e 3 Cost. (1)

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Corte costituzionale; ordinanza 11 dicembre 1995, n. 503 (Gaz zetta ufficiale, la serie speciale, 20 dicembre 1995, n. 52); Pres.

Ferri, Est. Mengoni; Sarti c. Bonzagni; interv. Pres. cons, mi

nistri. Ord. Trib. Crotone 21 marzo 1995 (G.U., la s.s., n.

35 del 1995).

II

Giustizia amministrativa — Provvedimenti di urgenza — Appli cabilità — Esclusione — Questioni manifestamente inammis

sibili di costituzionalità (Cost., art. 24, 113; cod. proc. civ., art. 700; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione dei tribunali amministrativi regionali, art. 21; 1. 11 marzo 1953 n. 87, nor me sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costitu

zionale, art. 23).

Sono manifestamente inammissibili, per difetto evidente di

giurisdizione del giudice a quo, le questioni di legittimità costi tuzionale:

a) degli art. 700 c.p.c. e 21, 7° comma, 1. 6 dicembre 1971

n. 1034, nella parte in cui non consentono al giudice ammini

strativo la emissione di un provvedimento inaudita altera parte o, comunque, nel brevissimo tempo e con la procedura sempli ficata di cui all'art. 700 c.p.c., in riferimento agli art. 24 e 113

Cost.;

b) dell'art. 700 c.p.c., nella parte in cui non consente al giu dice ordinario di assumere un provvedimento in via di urgenza a tutela di interessi legittimi in attesa che il giudice amministra

tivo emetta la sua pronuncia sulla istanza di sospensione, i cui

tempi sono necessariamente più lunghi, né di adottare, indipen dentemente dalla pronuncia di annullamento da parte del giudi ce amministrativo, provvedimenti cautelari diretti a sospendere l'efficacia di un atto amministrativo lesivo di un interesse legit

timo, che sia produttivo di un danno risarcibile, in riferimento

agli art. 24 e 113 Cost.;

c) dell'art. 23 1. 11 marzo 1953 n. 87, nella parte in cui non consente né al giudice comune, né alla Corte costituzionale l'a

dozione di un provvedimento d'urgenza durante la sospensione del processo nel quale sia stato sollevato l'incidente di costitu

zionalità, o durante la pendenza del giudizio di costituzionalità, in riferimento agli art. 24 e 113 Cost. (2)

Corte costituzionale; ordinanza 21 luglio 1995, n. 348 (Gaz zetta ufficiale, la serie speciale, 9 agosto 1995, n. 33); Pres.

Baldassarre, Est. Chieppa; Polisportiva Migliarinese Teli c. Co

mune La Spezia; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Trib. La Spezia 18 aprile 1994 (G.U., la s.s., n. 6 del 1995).

(1-2) I. - Con riferimento a Corte 503/95 in epigrafe costante è la

giurisprudenza costituzionale nell'escludere la legittimazione del giudice istruttore civile allorché si tratti di disposizione la cui applicazione ap partiene alla competenza del collegio, v., da ultimo, Corte cost., ord. 20 dicembre 1994, n. 436 e 14 dicembre 1994, n. 424, G.U., la s.s., n. 52 e n. 53 del 1994.

La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del l'art. 4, lett. b), 1. 990/69, nella parte in cui escludeva dal diritto ai benefici dell'assicurazione obbligatoria, per quanto riguarda i danni al le persone, il coniuge, gli ascendenti e i discendenti legittimi, naturali o adottivi delle persone indicate nella lett. a) dello stesso articolo, non ché gli affiliati e gli altri parenti e affini fino al terzo grado delle stesse

persone, quando convivano con esse o siano a loro carico (sent. 2 mag gio 1991, n. 188, Foro it., 1991, I, 1981, con nota di Di Paola e di E. Quadri), mentre ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità della lett. c) della stessa disposizione, nella parte in cui esclude, per il periodo compreso tra la data di entrata in vigore della 1. 990/69 ed il 31 dicembre 1977, i trasportati non familiari dal diritto ai benefici dell'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti,

per quanto riguarda i danni alle persone (ord. 8 luglio 1992, n. 323, id., Rep. 1992, voce Assicurazione (contratto), n. 157).

Sugli effetti della pronuncia di incostituzionalità contenuta nella sent. 188/91, v. Trib. Roma 31 ottobre 1992, Cons. Stato, sez. Ili, 28 gen naio 1992, n. 40, id., Rep. 1993, voce cit., nn. 117, 118; Trib. Milano 9 ottobre 1991 e 29 maggio 1991, id., Rep. 1992, voce cit., nn. 159, 160.

Nel senso che, in caso di sinistro prodotto dalla circolazione di veico lo concesso in leasing responsabile, in solido con il conducente, è l'im

presa conducente e non l'utilizzatore, v. Cass. 9 dicembre 1992, n. 13015,

id., 1994, I, 556, con nota di richiami e osservazione di De Marzo, commentata da Grisenti Bruna, in Resp. civ., 1993 , 953.

Il Foro Italiano — 1996.

II. - Con riferimento a Corte cost. 348/95 in epigrafe vedi, per la manifesta inammissibilità di questioni di legittimità costituzionale solle vate da un giudice privo, all'evidenza, di giurisdizione o di competenza, v. Corte cost., ord. 26 marzo 1993, n. 120, Foro it., 1995, I, 1709, con nota di richiami.

Nel senso che il giudice amministrativo non può pronunciare provve dimenti d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c., v. Cass. 1° dicembre 1994, n. 10240, id., Rep. 1994, voce Procedimenti cautelari, n. 52 e 5 marzo 1993, n. 2670, ibid., voce Provvedimenti di urgenza, n. 42.

Sicilia — Tasse sulle concessioni governative regionali — Ri

scossione — Uffici periferici statali — Esclusione — Conflit

to tra enti — Inammissibilità (Cost., art. 134; statuto della

regione siciliana, art. 20, 36; d.p.r. 26 luglio 1965 n. 1074, norme di attuazione dello statuto siciliano in materia finan

ziaria, art. 2, 8; 1. reg. sic. 24 agosto 1993 n. 24, nodifiche ed integrazioni alle leggi reg. 5 settembre 1990 n. 35 e 15

maggio 1991 n. 20, in materia di riscossione dei tributi e di

altre entrate e norme relative alle tasse sulle concessioni go vernative regionali).

È inammissibile, in quanto manca una invasione della sfera di competenza regionale, il conflitto di attribuzioni sollevato

dalla regione siciliana avverso il diniego del ministero delle fi

nanze di aprire un conto corrente postale a cura dell'ufficio

del registro di Roma per la riscossione delle tasse sulle conces

sioni governative regionali istituite con 1. reg. sic. 24 agosto 1993 n. 24. (1)

Corte costituzionale; sentenza 31 ottobre 1995, n. 471 (Gaz zetta ufficiale, la serie speciale, 8 novembre 1995, n. 46); Pres.

Caianiello, Est. Santosuosso; Regione Sicilia (Aw. Castaldi, Tor

re) c. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Fiumara), Conflitto di attribuzioni.

(1) La Corte costituzionale giunge alla dichiarazione di inammissibi lità sulla base della considerazione che la regione siciliana ha il potere di provvedere direttamente alla riscossione delle tasse sulle concessioni

regionali e può certamente anche decidere di avvalersi in ciò degli uffici

periferici dell'amministrazione statale, ma sempre a condizione che la richiesta sia dallo Stato ritenuta realizzabile.

Per questo «l'amministrazione statale, nel dichiarare di non poter consentire l'avvalimento, esercita una attività che non riguarda né pre giudica la competenza regionale di chiedere di avvalersi degli uffici sta tali e che pertanto non integra gli estremi di invasività necessari per il sorgere di un conflitto di attribuzioni».

In ordine ai rapporti tra lo Stato e la regione siciliana in tema di riscossione di tributi, v. Corte cost. 7 aprile 1994, n. 127, Foro it., 1994, I, 1306, con nota di richiami, la quale ha dichiarato che non

spetta allo Stato, in sede di disciplina delle modalità di riscossione tra mite delega agli uffici postali nel territorio della regione siciliana del l'imposta sul patrimonio netto delle imprese dovuto dalle società di per sone ai sensi del d.l. 30 settembre 1992 n. 394, convertito nella 1. 26 novembre 1992 n. 461, disporre l'acquisizione dell'87,40% del gettito della stessa ed ha annullato l'art. 5 d.m. finanze, di concerto con il min. tesoro e con il min. poste e telecomunicazioni, 17 dicembre 1992, nella parte in cui dispone l'acquisizione allo Stato dell'87,40% del getti to di tale imposta riscosso nel territorio della regione siciliana.

Sul principio per cui tutte le entrate erariali riscosse nell'ambito del suo territorio spettano alla regione siciliana, che si avvale, per la riscos

sione, degli uffici periferici dell'amministrazione statale, v. Cass. 22 ottobre 1991, n. 11189, id., Rep. 1992, voce Registro, n. 245.

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1483 PARTE PRIMA 1484

Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Lazio — Edi

lizia residenziale pubblica — Procedimento di assegnazione di alloggi — Presentazione delle domande — Modalità — In

costituzionalità (Cost., art. 97; 1. reg. Lazio 26 giugno 1987

n. 33, disciplina per l'assegnazione e la determinazione dei

canoni di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pub blica, art. 6).

È incostituzionale l'art. 6, 2° comma, 1. reg. Lazio 26 giugno 1987 n. 33, nella parte in cui prevede che la domanda di iscri

zione nella graduatoria degli aspiranti all'assegnazione di allog

gi popolari deve essere spedita al comune, a pena di inammissi

bilità, a mezzo di raccomandata postale senza cartolina di rice

vimento. (1)

Corte costituzionale; sentenza 6 luglio 1995, n. 299 (Gazzetta

ufficiale, la serie speciale, 12 luglio 1995, n. 29); Pres. Caia niello, Est. Santosuosso; Tasciotti c. Commissione assegnazio ne alloggi di edilizia residenziale pubblica per i comuni della provincia di Latina e altro. Ord. Tar Lazio, sez. Latina, 24

giugno 1994 (G.U., la s.s., n. 10 del 1995).

(1) Nella fattispecie esaminata dal giudice a quo l'aspirante assegna tario era stato escluso dalla graduatoria, avendo inviato la domanda a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno.

La Corte costituzionale osserva che «non si riesce a trovare alcuna

giustificazione logica e giuridica alla disposizione che prevede l'inam missibilità della domanda per avere l'aspirante unito alla raccomandata di spedizione anche la cartolina di ricevimento», gicché «se, per eviden

ti esigenze di certezza, la norma esige che la domanda sia inviata per raccomandata, il fatto che gli istanti abbiano voluto assicurarsi anche la prova dell'avvenuto recapito della stessa non menoma la situazione, ma vi aggiunge un elemento che, pur non rilevante per l'amministrazio

ne, non può determinare effetti negativi». Cass. 29 maggio 1993, n. 6046, Foro it., 1994, I, 822, sottolinea co

me, ai sensi dell'art. 97 Cost., «i pubblici uffici hanno il dovere genera le di assicurare il buon andamento (oltreché l'imparzialità) dell'ammini

strazione, concetto che implica anche quello di guidare e facilitare gli amministrati nell'adempimento dei loro doveri cosi come nell'esercizio dei loro diritti . . .». In argomento, v., da ultimo, in dottrina, P. Ca retti e C. Pinelli, in Commentario della Costituzione fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Bologna-Roma, 1994.

Appello civile — Interessi e svalutazione monetaria — Doman

da nuova — Inammissibilità — Estremi (Cod. proc. civ., art.

345).

La domanda, con la quale si chiede per la prima volta in

appello l'attribuzione degli interessi e della svalutazione mone taria a far tempo da epoca anteriore alla notifica dell'atto di

citazione di primo grado, è inammissibile per novità. (1)

Corte di cassazione; sezioni unite civili; sentenza 11 marzo

1996, n. 1955; Pres. V. Sgroi, Est. Carbone, P.M. Di Salvo

(conci, conf.); De Muro (Aw. Palmieri) c. Lavacca (Avv. Irti, Inguscio). Conferma App. Bari 5 aprile 1991.

(1) Le sezioni unite, per risolvere nel senso della massima la specifica questione controversa, precisano — occupandosi, ancora una volta, do po la emanazione della non remota e citata sent. 16 settembre 1992, n. 10597, Foro it., Rep. 1992, voce Appello civile, n. 28, della interpre tazione della seconda parte del 1° comma dell'art. 345 c.p.c. (su cui, in dottrina, di recente, Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, 1995, Giappichelli, Torino, II, 384-386) — che la deroga al divieto dei nova in appello, introdotta dalla norma, «condiziona l'ammissibilità della richiesta di interessi maturati e di danni sofferti dopo la sentenza di primo grado, alla previa richiesta delle stesse voci in primo grado, consentendo la (ridetta) disposizione derogatoria non la presentazione di una domanda totalmente muova, ma soltanto l'aggiornamento o la pro

li. Foro Italiano — 1996.

secuzione "dopo la sentenza impugnata" di interessi o danni, già fatti

valere in primo grado». In tal modo, le stesse sezioni unite conferma

no, con lineari argomentazioni non disgiunte dalla considerazione degli orientamenti dottrinali sul punto e delle modifiche introdotte nell'art.

345 c.p.c. dalla novella del 1990, l'avviso già espresso dalla ridetta sez. un. n. 10597 del 1992, secondo cui il ripetuto art. 345, 1° comma, ove deroga al divieto di domande nuove in appello con riferimento ai danni subiti dopo la sentenza impugnata, trova applicazione solo quan do nel giudizio di primo grado sia stato chiesto il risarcimento del dan no maturato in precedenza, posto che la indicata deroga si giustifica con il rilievo che l'istanza di ristoro del pregiudizio ulteriore configura 11 logico sviluppo di domanda già proposta.

* * *

La sentenza è cosi motivata: Motivi della decisione. (Omissis). 3. -

Con il terzo motivo del proposto ricorso, si critica l'impugnata senten za sostenendo, in via ancor più subordinata, che, anche a voler ritenere

sufficiente l'offerta del promissario acquirente ai fini dell'accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., i giu dici d'appello avrebbero dovuto riconoscere la costituzione in mora del

promissario acquirente, in relazione alla somma dovuta a saldo del prezzo. In ogni caso si deduce la violazione della disciplina sugli interessi legali o quanto meno compensativi (art. 1499 c.c.), in quanto i giudici avreb bero dovuto riconoscere, oltre al danno da svalutazione monetaria, gli interessi legali sulla somma pattuita, a partire dal 23 maggio 1971, epo ca della mancata stipula del contratto definitivo, tenuto conto che il versamento è avvenuto solo dopo la sentenza che ha disposto il trasferi mento dell'immobile, e che il promissario acquirente era già nel godi mento dell'immobile.

4. - L'esame del terzo motivo ripropone la questione, oggetto del

ricordato contrasto giurisprudenziale formatosi intorno alla seconda parte del 1° comma dell'art. 345 c.p.c. relativo all'ammissibilità della do

manda, proposta nel giudizio di secondo grado, in deroga al divieto dei nova in appello con riferimento agli interessi maturati dopo la sen tenza di primo grado, ovvero al risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa, in presenza o meno, di una analoga richiesta spiegata in prime cure.

Di fronte alla testuale disposizione secondo cui «possono però do mandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza

impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa», la giurisprudenza di illegittimità non ha assunto una posizione univoca per quanto concerne i presupposti e le condizioni che debbono ricorrere per l'applicazione della disposizione derogatoria della seconda

parte del 1° comma dell'art. 345 c.p.c. Secondo un indizio maggiorita rio, la domanda proposta in appello dal creditore intesa ad ottenere

gli interessi, i frutti e gli accessori in generale, maturati dopo l'impu gnata sentenza di primo grado, ovvero il risarcimento dei danni sofferti

dopo la sentenza stessa, è ammissibile soltanto se nel giudizio di primo grado sia stata dal creditore spiegata una domanda analoga per interes

si, frutti ed accessori, maturati in precedenza, ovvero per i danni sof ferti anteriormente alla sentenza di primo grado (Cass. 16 settembre

1992, n. 10597, Foro it., Rep. 1992, voce Appello civile, n. 28; 26 giu gno 1990, n. 6466, id., Rep. 1990, voce cit., n. 19; 5 aprile 1990, n.

2801, ibid., n. 20; 13 luglio 1988, n. 6775, id., Rep. 1988, voce cit., n. 47, relativamente agli interessi tra deliberazione e deposito della sen tenza di primo grado; 27 giugno 1985, n. 3853, id., Rep. 1985, voce

cit., n. 92; 28 luglio 1983, n. 5205, id., Rep. 1983, voce cit., n. 32; 18 gennaio 1982, n. 329, id., Rep. 1982, voce Procedimento civile, n.

107; 26 marzo 1981, n. 1772, id., 1981, I, 1928; 3 ottobre 1979, n.

5070, id., Rep. 1979, voce Appello civile, n. 76). Un secondo indirizzo, già latente, ma emerso in particolare intorno

agli anni novanta, facendo leva sul carattere derogatorio della disposi zione, sostiene che la domanda di interessi, frutti ed accessori maturati

dopo l'impugnata sentenza di prime cure, ovvero di risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa, è ammissibile anche nel caso in cui nel giudizio di primo grado non sia stata dal creditore spiegata una analoga domanda per gli interessi o i danni sofferti in precedenza (Cass. 18 novembre 1994, n. 9763, id., Rep. 1994, voce cit., n. 36; 12 maggio 1992, n. 5641, id., Rep. 1992, voce cit., n. 22; 26 aprile 1990, n. 3483, id., Rep. 1990, voce cit., n. 21; 29 giugno 1989, n. 3154, id., Rep. 1989, voce Interessi, n. 6).

5. - Il testo dell'art. 345, 1° comma, ultima parte, c.p.c., novellato in base all'art. 53 1. n. 353 del 1990 non presenta sostanziali differenze

rispetto a quello adottato dal codice di rito del 1942, in quanto la nor ma è sostanzialmente identica, al di là della sottolineatura del carattere derogatorio della disposizione, oggi indicato da un «tuttavia» e in pre cedenza introdotto da «però», e cioè da una diversa congiunzione av versativa.

La disposizione con la quale l'ordinamento ha inteso dichiarare inam

missibili, anche di ufficio, le domande nuove, proposte in sede di ap pello, perfezionando il precedente testo che impropriamente utilizzava

l'espressione rigetto, tipica dei giudizi di merito, è stata sempre accom pagnata sia nel codice di rito del 1865 (art. 490), sia in quello attuale, da una deroga, che attenua la disciplina del divieto dei nova. Deroga per lo più basata sull'accessorietà delle domande che possono essere

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

proposte dopo la sentenza impugnata, in quanto costituiscono lo svi

luppo logico e cronologico, la continuazione anche implicita delle do mande originariamente proposte. La ratio, peraltro evidente, si basa su profili equitativi e di economia dei giudizi, in quanto offre al credi tore la possibilità di evitare ulteriori spese per la proposizione di una nuova causa per gli interessi ed i danni sorti dopo la sentenza di primo grado.

Il tessuto normativo in argomento non è certo felice: accomuna, in fatti, da un lato, i frutti e gli interessi, maturati dopo la sentenza impu gnata, con ovvia natura accessoria, tali da ritenersi implicitamente già richiesti con la domanda iniziale, dall'altro, «il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa», che non sempre possono considerarsi accessori, perché la lettera della legge non precisa se si tratti del «mag gior danno», rispetto a quello richiesto in primo grado, ovvero di nuovi danni, dipendenti o meno dallo stesso titolo, alla base del risarcimento, oggetto del giudizio di primo grado. Inoltre, per «interessi . . . matura ti dopo la sentenza impugnata» possono intendersi, da un lato, solo

gli interessi ulteriori o incrementativi — cosi da escluderli, quante volte e per qualsiasi ragione non siano altresì' dovuti quelli anteriori — dal l'altro qualunque altro tipo di interessi, moratori, corrispettivi, com

pensativi, diversi rispetto a quelli precedentemente richiesti. Non deve quindi meravigliare l'incertezza giurisprudenziale sull'effet

tiva portata della disposizione che si è sviluppata principalmente in que sti ultimi anni, e con particolari angolazioni, quali la richiesta, formu lata solo in appello, del maggior danno, ex art. 1224, 2° comma, c.c., prospettato come danno da svalutazione, ovvero l'applicazione della

disposizione dell'art. 1283 c.c. sugli interessi anatocistici. 6. - Per un corretto approccio al contrasto interpretativo la cui com

posizione è rimessa alle sezioni unite, in attuazione della funzione di nomofilachia assegnata al giudice di legittimità dagli art. 374 c.p.c. e 65 ord. giud. r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, devono essere tenuti ben pre senti alcuni elementi determinanti. In primo luogo, la natura ecceziona le e derogatoria della disposizione, rispetto al divieto di proposizione di domande nuove in appello, limitatamente a domande strettamente accessorie rispetto all'oggetto principale del giudizio, insorte dopo la sentenza di primo grado; si tratta, infatti, di interessi maturati dopo la predetta sentenza, ovvero di danni sofferti dopo l'intervenuta deci sione di primo grado. Inoltre, non va trascurata la peculiarità dello strumento normativo adoperato, che consente, sulla base di esigenze di economia processuale, in un giudizio di merito — che per lo pili si sviluppa su due gradi, senza tuttavia il vincolo d'ordine costituziona le del doppio grado di giurisdizione, previsto per i soli giudizi ammini strativi (Corte cost. 31 dicembre 1986, n. 301, id., 1987, I, 2962) —

l'introduzionne immediata, nel giudizio di appello, di domande integra tive purché relative ad interessi, frutti o danni venuti ad esistenza dopo la sentenza impugnata. In particolare, queste domande accessorie, rela tive ad interessi maturati, ovvero a danni sofferti dopo la sentenza di

primo grado, potranno farsi valere, nel giudizio di appello, inteso come la prosecuzione di quello di primo grado, in quanto la sentenza di se condo grado è destinata a sovrapporsi a quella di prime cure.

In realtà, il contrasto interpretativo non concerne né la tipologia del le domande accessorie, né l'insorgenza delle stesse dopo la sentenza di primo grado, ma investe soltanto l'ammissibiità delle c.d. domande

accessorie, in grado di appello, sotto il profilo della necessaria continui tà tra domande di primo e di secondo grado. Ed infatti, mentre per alcune decisioni, i frutti e gli interessi maturati dopo la sentenza di primo grado ovvero i danni sofferti successivamente alla stessa possono sempre essere richiesti, anche in carenza di analoga domanda in primo grado, l'indirizzo interpretativo maggioritario, evita di ammettere do mande del tutto ex novo e, pur dando atto che si tratti di domande accessorie per fatti insorti dopo la sentenza di primo grado, ritiene pos sano ammettersi solo se costituiscano la continuazione di analoghe do mande già spiegate in primo grado.

7. - Nella fattispecie, come si evince dalle conclusioni riportate in

epigrafe alla sentenza impugnata, l'attuale ricorrente, che aveva visto

respinte sia la domanda di annullamento per dolo dell'impugnato con tratto preliminare, sia quella subordinata di rescissione per lesione, ed

accolta, invece, la riconvenzionale di esecuzione in forma specifica del

predetto preliminare, con ordinanze di trasferimento dell'immobile pre vio pagamento del residuo prezzo, ha chiesto dopo la sentenza di primo grado del 17 marzo 1986, «la svalutazione monetaria e gli interessi mo

ratori, corrispettivi o quanto meno compensativi a partire dal 10 mag gio 1971».

Appare evidente che nel processo di appello, iniziato nello stesso an no 1986, avrebbe potuto trovare ingresso la richiesta di svalutazione ed il pagamento degli interessi non dal 10 maggio 1971 al 17 marzo

1986, ma solo con riguardo agli interessi maturati dopo la sentenza di primo grado, ovvero alla svalutazione successivamente sofferta, cioè

dopo il 17 marzo 1986. Appare altresì evidente dal tenore stesso della domanda e dal contesto dell'atto impugnato che né la svalutazione, né gli interessi erano stati richiesti in primo grado, con la citazione del 25 maggio 1972, o nel corso del giudizio di primo grado.

8. - Si tratta quindi di una domanda di interessi e di risarcimento del maggior danno, sotto forma di svalutazione monetaria, avanzata

per la prima volta in appello, sia per «gli interessi maturati» che per «i danni sofferti dopo la sentenza di primo grado» (successivamente

Il Foro Italiano — 1996.

al marzo del 1986), sia per quelli precedenti, relativi ai tre lustri della durata del processo di primo grado (dal maggio 1971 al marzo del 1986), anteriori alla sentenza impugnata e che ben potevano essere fatti valere, ma non sono stati richiesti, in prime cure.

Una siffatta domanda non rientra nell'ambito di operatività della de roga al divieto di domande nuove in appello di cui al 1° comma, ultima parte, art. 345 c.p.c. che condiziona l'ammissibilità della richiesta di interessi maturati e di danni sofferti dopo la sentenza di primo grado, alla previa richiesta delle stesse voci in primo grado, consentendo la

disposizione derogatoria non la presentazione di una domanda total mente nuova, come quella di specie, ma soltanto l'aggiornamento o la prosecuzione «dopo la sentenza impugnata» di interessi o danni, già fatti valere in primo grado.

La soluzione accolta privilegia l'interpretazione logico-sistematica, già seguita dall'indirizzo giurisprudenziale prevalente che si richiama alla ratio della disposizione, in base alla quale, in tanto si consente una

deroga ai nova in appello per ragioni di economia processuale — al fine di evitare di proporre un nuovo giudizio per l'aggiornamento o la prosecuzione del calcolo degli interessi maturati e dei danni sofferti, dopo la sentenza impugnata — in quanto non si tratti di una domanda totalmente nuova, sebbene di una domanda relativa a fatti sopravvenu ti che si verificano dopo la sentenza impugnata e che trovano ingresso in appello quale naturale sviluppo logico e cronologico di richieste già proposte in primo grado.

In altri termini, in tanto ha senso derogare al divieto generale di do mande nuove in appello, in quanto si eviti al creditore di chiedere, in un autonomo successivo processo, interessi maturati — ovvero danni sofferti — successivamente a quelli fatti valere in primo grado, con una richiesta quindi che non abbia lo spessore di una domanda total mente nuova. La ratio dell'economia dei giudizi a fondamento della

deroga risulterebbe completamente frustrata, se fosse consentito chiede re in appello ciò che è maturato dopo la sentenza di primo grado (nella specie, gli interessi e la rivalutazione posteriormente al 1986) ed in un

successivo, autonomo giudizio tutto ciò che è maturato a titolo di danni o di interessi prima della sentenza di primo grado.

Il legisatore appare chiaramente ispirato al rispetto del principio, se condo cui la durata del processo non deve andare a detrimento della

parte vittoriosa, per cui, in deroga al divieto di domande nuove in sede di gravame, considera ammissibili in appello le domande relative agli interessi successivamente maturati o ai danni sofferti posteriormente al la sentenza di primo grado, che solo parzialmente sono nuovi, sotto il profilo cronologico. Ed infatti si tratta di interessi o danni che si verificano «dopo la sentenza impugnata», ossia nel corso del processo di appello, come il naturale sviluppo e la logica prosecuzione di altri, già dedotti in primo grado. Di fronte a questi eventi, successivi alla sentenza impugnata, l'ordinamento non può imputare al creditore di non averli precedentemente richiesti, per cui introduce una deroga ai nova in sede di gravame. E l'eccezione alla regola trova una sua ontolo

gica giustificazione, perché realizza una diversità quantitativa e non qua litativa dell'oggetto del giudizio di gravame, con riferimento al segmen to cronologico posteriore all'emanazione della sentenza appellata, che non intacca il principio dell'immutabilità del petitum in appello, nel senso che si tratta di ulteriori elementi accessori che si sono venuti ag giungendo nella pendenza del processo, e cioè, in definitiva, di un ag giornamento, di una prosecuzione, di un'attualizzazione di richieste già formulate in precedenza.

La soluzione accolta, ispirata a criteri logico-sistematici, di fronte alla rilevata infelice formulazione della disposizione dell'ultima parte del 1° comma dell'art. 345 c.p.c., appare in linea con i motivi-guida della riforma del 1990, sia in relazione alla mutata concezione dell'ap pello considerato come revisio prioris instantiae e non come novum

iudicium, sia con la nuova sensibilità dimostrata per la più rigorosa trattazione del giudizio di primo grado, con le preclusioni introdotte che hanno resistito anche all'ultima novella della riforma rappresentata dalla 1. 20 dicembre 1995 n. 534.

Alla stregua delle esposte argomentazioni il ricorso va respinto.

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1487 PARTE PRIMA 1488

Esecuzione forzata in genere — Denaro appartenente a organiz

zazione governativa statunitense — Pignoramento presso ter

zi — Difetto di giurisdizione del giudice italiano — Estremi

(Cost., art. 10; r.d.l. 30 agosto 1925 n. 1621, atti esecutivi

sopra i beni di Stati esteri nel regno, art. 1).

Il giudice italiano difetta di giurisdizione in ordine all'azione esecutiva promossa mediante pignoramento presso terzi di som

me di denaro (esistenti su conto corrente intestato ad una orga nizzazione governativa Usa ed alimentato in prevalenza da fon

di governativi stanziati direttamente dal congresso statunitense) utilizzabili dalla menzionata organizzazione anche per il perse

guimento dei propri compiti istituzionali e primari. (1)

Corte di cassazione; sezioni unite civili; sentenza 12 gennaio

1996, n. 173; Pres. La Torre, Est. Baldassarre, P.M. Amirante

(conci, conf.); Montefusco (Avv. De Sangro) c. Stati uniti d'A

merica (Avv. Cosmelli, Buglielli). Conferma Trib. Napoli 25 novembre 1993.

(1) La corte attinge la soluzione riassunta in massima, ribadendo l'o rientamento espresso, fra le altre, dalla richiamata sez. un. 13 maggio 1993, n. 5425, Foro it., 1993, I, 2786, con nota di M. Monnini, che si sofferma anche sulle possibili implicazioni del principio della c.d. immunità ristretta in executivi, consolidatosi nel diritto internazionale

consuetudinario, ed ampiamente considerato da Corte cost. 15 luglio 1992, n. 329, ibid., 2785, del pari citata in motivazione.

A seguito di tale pronunzia (dichiarativa della illegittimità, per viola zione degli art. 3 e 24 Cost., dell'art, unico r.d.l. 30 agosto 1925 n. 1621, convertito nella 1. 15 luglio 1926 n. 1263, nella parte in cui subor dina all'autorizzazione del ministro di grazia e giustizia il compimento di atti conservativi o esecutivi su beni appartenenti a uno Stato estero diversi da quelli che, secondo le norme di diritto internazionale general mente riconosciute, non sono assoggettabili a misure coercitive), Tar

Lazio, sez. I, 19 gennaio 1994, n. 59, id., 1995, III, 41, con nota di

richiami, ha annullato il decreto ministeriale di diniego dell'autorizza zione alla esecuzione del sequestro conservativo di nave della compa gnia di Stato della Nigeria, invocato da società private italiane a garan zia di crediti nei confronti di società private nigeriane, per avere il go verno e le autorità valutarie della Nigeria bloccato i pagamenti verso

l'estero, predisponendo un piano di copertura dei debiti contratti dagli operatori economici poi non eseguito.

♦ * *

La sentenza è cosi motivata: Svolgimento del processo. — Anthony Montefusco — in virtù di sentenza in data 22 giugno 1990, con la quale il Pretore-giudice del lavoro di Napoli, avendo condannato gli Stati uniti d'America a reintegrare l'istante nel posto di lavoro, aveva anche accolto le conseguenziali domande di ordine pecuniario — intimava pre cetti di pagamento delle somme dovutegli a titolo di danno da illegitti mo licenziamento e di retribuzioni a questo successive e notificava, quindi, due atti di pignoramento presso terzi.

Produceva opposizioni all'esecuzione la parte intimata, deducendo il difetto di giurisdizione del giudice italiano ed il difetto di autorizza zione nell'azione esecutiva di cui al r.d.l. 30 agosto 1925 n. 1621 e chiedendo la sospensione dell'esecuzione.

Quest'ultima richiesta era accolta dal giudice dell'esecuzione; mentre il pretore del lavoro, al quale le parti erano state rimesse, accoglieva le riunite opposizioni all'esecuzione con sentenza pronunciata il 22 feb braio 1992, che, appellata dal Montefusco, ha trovato conferma in quella indicata in epigrafe, qui gravata.

Il Tribunale di Napoli ha considerato che il pignoramento aveva avu to ad oggetto somme di denaro proprie di un conto intestato alla Navy Reseace and Service Support, alimentato solo in minima parte da ri messe provenienti da attività economiche, data la prevalente confluenza in esso di fondi governativi stanziati direttamente dal congresso Usa.

In conseguenza, non potendo escludersi l'impiego dei depositi per soddisfare esigenze connesse allo svolgimento dei compiti istituzionali, primari e pubblici della Navy Reseace, ha ritenuto inammissibile ogni discriminazione, da parte dell'autorità giudiziaria italiana, che avrebbe interferito con l'esercizio di poteri discrezionali dell'ente svolgente atti vità militare e partecipe della sovranità dello Stato di appartenenza. Ha affermato, quindi, la sussistenza dell'invocata immunità, implicante il difetto di giurisdizione del giudice italiano in ordine al procedimento di esecuzione.

Il Montefusco affida il ricorso per cassazione a tre mezzi, che pongo no questioni afferenti la giurisdizione e sono, quindi, di competenza di queste sezioni unite. Resistono gli Stati uniti con controricorso. V'è memoria del ricorrente.

Motivi della decisione. — (Omissis). 5. - La seconda censura del pri mo mezzo si basa sulla mera affermazione che dalla documentazione

prodotta risulta che il Navy Exchange è una organizzazione governativa volta a generare un profitto da utilizzarsi per servizi e utilità personali

Il Foro Italiano — 1996.

in favore del personale e che «detti fondi non sono iscritti nel bilancio del tesoro» degli Stati uniti.

La doglianza cosi sommariamente formulata non esamina gli aspetti fondamentali della vertenza, sui quali si è soffermato con esauriente

argomentazione il tribunale, vagliando proprio i documenti citati dal ricorrente e sottolineando sia la commistione (giudicata inscindibile), nelle somme oggetto del pignoramento, dei ricavi delle vendite («in mi nima parte») e di fondi governativi «appropriati, cioè stanziati diretta mente dal congresso degli Stati uniti», sia la conseguenziale, prevedibile destinazione delle somme medesime, soprattutto, allo svolgimento dei

compiti istituzionali e primari del Navy Reseace. Ne deriva, con il rigetto della censura, il definitivo accertamento del

presupposto di fatto per ricondurre gli atti esecutivi posti in essere dal Montefusco all'ambito dei rapporti di imperio ed a situazioni implican ti l'esercizio dei poteri sovrani dello Stato ospite (i debitori opponenti Stati uniti d'America).

6. - Quanto alle residue censure in diritto, relative alla portata del

principio d'immunità giurisdizionale, va rilevato che, secondo consoli data giurisprudenza di queste sezioni unite (sent. 13 maggio 1993, n.

5425, Foro it., 1993, I, 2785; 25 maggio 1989, n. 2502, id., Rep. 1989, voce Giurisdizione civile, n. 54; 4 maggio 1989, n. 2085, id., 1989, I, 2804; 4 aprile 1986, n. 2316, id., 1986, I, 2507) deve essere negata la

giurisdizione del giudice italiano in ordine all'azione esecutiva (o caute

lare) su beni appartenenti a Stati stranieri o loro enti pubblici, per ef fetto dei principi di immunità giurisdizionale di detti Stati, fissati dal diritto internazionale consuetudinario (a cui rinvia la norma dell'art. 10 Cost.), ove si tratti di beni destinati all'esercizio delle loro funzioni sovrane o, comunque, dei loro fini pubblicistici; mentre deve essere affermata ove i beni medesimi siano destinati ad attività commerciali

o, in genere, privatistiche (il che nella specie è definitivamente escluso dall'accertamento di merito di cui innanzi).

Il principio cosi definito resiste agli ulteriori rilievi del ricorrente. 7. - Non appare innanzitutto pertinente il richiamo dell'art. 2, n.

7, dello statuto delle Nazioni unite firmato a S. Francisco il 26 giugno 1945 e ratificato con la 1. 17 agosto 1957 n. 848, trattandosi di norma che riguarda i rapporti tra le Nazioni unite e i singoli Stati membri, non quelli tra Stati (e ancora cittadini e Stati esteri); mentre il principio di non ingerenza che se ne ricava, lungi dal consentire l'aggressione dei beni destinati a sopperire bisogni pubblicistici di uno Stato sovrano, induce a ritenerla vietata per contrasto con la riaffermazione delle so vranità nazionali.

8. - Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, la limitazione della giurisdizione non è imposta dallo Stato estero (nel caso in esame

dagli Stati uniti d'America), ma trova la sua fonte normativa nel princi pio costituzionale dell'art. 10 cit., che recepisce la consuetudine inter nazionale.

Né si può condividere l'assunto del ricorso, secondo cui tale principio non comprenderebbe la tutela della sovranità dello Stato estero rispetto alle azioni dei singoli cittadini, riguardando solo i rapporti tra Stati, là dove l'esercizio della giurisdizione e i limiti ad essa imposti dalla consuetudine internazionale attengono proprio e soprattutto alle azioni

giudiziarie dei privati, essendo destinate ad altre sedi le controversie tra Stati nelle reciproche posizioni pubblicistiche e sovrane.

A conferma poi dell'esistenza della consuetudine internazionale, con testata da parte ricorrente, va rilevato che proprio la convenzione di

Londra, qui in esame, ne fornisce riprova, se è vero che per assoggetta re alla giurisdizione degli Stati ospitanti i rapporti di lavoro dei cittadini di questi con lo Stato ospite si è resa necessaria una apposita (derogatri ce) normativa pattizia; normativa che, come innanzi chiarito, non estende 11 principio d'immunità ai giudizi di esecuzione e cautelari promossi dai lavoratori assunti localmente, come il Montefusco.

Per tali giudizi rivive la regola generale dell'esenzione, ogni volta che

compromettano la sovranità dello Stato estero. 9. - La sentenza della Corte costituzionale 15 luglio 1992, n. 329

(id., 1993, I, 2785) — che ha dichiarato illegittimo, per violazione degli art. 3 e 24 Cost., l'art, unico r.d.l. 30 agosto 1925 n. 1621, convertito nella 1. 15 luglio 1926 n. 1263, nella parte in cui subordina all'autoriz zazione del ministro di grazia e giustizia il compimento di atti conserva tivi ed esecutivi su beni appartenenti a uno Stato estero diversi da quelli che, secondo le norme di diritto internazionale generalmente ricono sciute, non sono assoggettabili a misure coercitive — non trova diretta

applicazione, non essendo posta in questa sede la questione relativa alla necessità della suddetta autorizzazione.

Essa rileva però per il riconoscimento, finanche nel trascritto disposi tivo, del «principio dell'immunità ristretta», il quale, in conformità del la norma generale di diritto internazionale, opera nel diritto interno

grazie alla «norma di adattamento» dell'art. 10 Cost., e che comporta che «i beni di Stati esteri destinati all'esercizio di funzioni pubbliche sono immuni ex se da misure coercitive, indipendentemente dalla condi zione di reciprocità, la quale non è prevista dall'art. 10 Cost, (a diffe renza dell'art. 11), né dalla consuetudine internazionale . . .»; principio violato invece dalla previsione di un'autorizzazione, che sottraeva al

giudice naturale la valutazione delle condizioni di sussistenza della pro pria giurisdizione.

Nella specie, siffatta valutazione vi è stata e — si ripete — resiste alle censure di parte ricorrente.

Consegue l'integrale rigetto dei primi due mezzi. (Omissis)

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