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Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

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Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 6 (GIUGNO 1993), pp. 2073/2074-2087/2088 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188134 . Accessed: 28/06/2014 14:05 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.223.28.130 on Sat, 28 Jun 2014 14:05:40 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Rivista di giurisprudenza costituzionale e civileSource: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 6 (GIUGNO 1993), pp. 2073/2074-2087/2088Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188134 .

Accessed: 28/06/2014 14:05

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

I

Corte costituzionale — Conflitto di attribuzioni tra poteri dello

Stato — Autorizzazione a procedere nei confronti di deputati — Competenze della procura della epubblica e della camera

dei deputati — Ammissibilità (Cost., art. 68, 112; 1. 11 marzo

1953 n. 87, costituzione e funzionamento della Corte costitu

zionale, art. 37).

È ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla procura della repubblica presso il Tribunale di Milano nei

confronti della camera dei deputati la quale, nel pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione a procedere ai sensi dell'art.

68, 2° comma, Cost., avrebbe invaso la competenza in ordine

all'iniziativa e all'esercizio dell'azione penale conferita dall'art. 112 Cost, al pubblico ministero. (1)

Corte costituzionale; ordinanza 1° giugno 1993, n. 265 (Gaz zetta ufficiale, la serie speciale, 9 giugno 1993, n. 24); Pres.

Casavola, Est. Mirabelli; Proc. rep. Trib. Milano c. Camera

dei deputati; Craxi. Conflitto di attribuzioni.

II

Corte costituzionale — Conflitto di attribuzioni tra poteri dello

Stato — Autorizzazione a procedere nei confronti di senatori — Competenze della procura della repubblica e del senato

della repubblica — Ammissibilità (Cost., art. 68, 112; 1. 11

marzo 1953 n. 87, art. 37).

È ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla procura della repubblica presso il Tribunale di Milano nei

confronti del senato della repubblica il quale, nel pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione a procedere ai sensi dell'art.

68, 2° comma, Cost., avrebbe invaso la competenza in ordine

all'iniziativa e all'esercizio dell'azione penale conferita dall'art.

112 Cost, al pubblico ministero. (2)

Corte costituzionale; ordinanza 1° giugno 1993, n. 264 (Gaz zetta ufficiale, la serie speciale, 9 giugno 1993, n. 24); Pres.

Casavola, Est. Baldassarre; Proc. rep. Trib. Milano c. Senato

della repubblica; Citaristi. Conflitto di attribuzioni.

Ili

Corte costituzionale — Conflitto di attribuzioni tra poteri dello

Stato — Autorizzazione a procedere nei confronti di deputati — Competenze della procura della repubblica e della camera

dei deputati — Ammissibilità (Cost., art. 68, 112; cod. proc.

pen., art. 344; 1. 11 marzo 1953 n. 87, art. 37).

È ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla procura della repubblica presso il Tribunale di Caltanis

setta nei confronti della camera dei deputati la quale, nel pro nunciarsi sulla richiesta di autorizzazione a procedere ai sensi

dell'art. 68, 2° comma, Cost., avrebbe invaso la competenza in ordine all'iniziativa e all'esercizio dell'azione penale conferi

ta dall'art. 112 Cost, al pubblico ministero. (3)

Corte costituzionale; ordinanza 1° giugno 1993, n. 263 (Gaz

zetta ufficiale, la serie speciale, 9 giugno 1993, n. 24); Pres.

Casavola, Est. Mirabelli; Proc. rep. Trib. Caltanissetta c. Ca

mera dei deputati; Occhipinti. Conflitto di attribuzioni.

(1-3) I ricorsi avanzati dalla procura della repubblica di Milano chie

dono in particolare alla Corte costituzionale di dichiarare che spettano al p.m. la ricostruzione dei fatti e le qualificazioni giuridiche degli stes

si, con conseguente formulazione della richiesta di autorizzazione a pro cedere per i reati in relazione ai quali si chiede di dover procedere, mentre spetta a ciascuna assemblea legislativa concedere o negare l'au

torizzazione senza poter modificare la ricostruzione dei fatti e le quali ficazioni giuridiche prospettate dal p.m. Il ricorso proposto dalla pro

li. Foro Italiano — 1993 — Parte I-38.

cura presso il Tribunale di Caltanissetta chiede invece alla corte di voler dichiarare che non spetta alla camera dei deputati restituire, per manca to rispetto del termine di cui all'art. 344, 1° comma, c.p.p., gli atti relativi alla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di un

deputato, senza adottare una decisione di merito, ancorché negativa o quantomeno una decisione interlocutoria.

In attesa della decisione della corte sulla ammissibilità del conflitto, era stata richiamata da varie parti, come precedente in senso negativo, l'ord. 10 maggio 1979, n. 16 (Foro it., 1979, I, 1334, con nota di richia

mi, commentata da Bellomia, in Giur. costit., 1979, I, 258), con cui era stato dichiarato inammissibile il conflitto di attribuzioni sollevato da un organo del p;m. nei confronti del ministro di grazia e giustizia con riguardo al potere conferito a quest'ultimo di differire l'esecuzione della pena. L'inammissibilità era stata dichiarata in quanto il p.m. ve niva a rivendicare un'attribuzione a giudizio della corte spettante agli organi costituzionalmente investiti di funzione giurisdizionale in senso

proprio, tra i quali non può annoverarsi il p.m. La Corte costituzionale, nelle tre decisioni sopra massimate, non fa

alcun riferimento a tale precedente, ritenendolo, a nostro avviso a ra

gione, non pertinente ai casi da decidere e motiva l'ammissibilità in maniera identica per tutti e tre i ricorsi rilevando che «ricorrono i re

quisiti di cui all'art. 37 1. 11 marzo 1953 n. 87 ai fini della configurabi lità di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, la cui risolu zione spetta a questa corte;

che, infatti, ciascuno degli organi fra i quali si assume essere insorto il conflitto è abilitato ad esercitare, nella materia, attribuzioni proprie ad esso conferite dalla Costituzione (art. 68 e 112 Cost.);

che, inoltre, è lamentata in concreto la lesione di un'attribuzione co stituzionalmente garantita, quale è quella conferita dall'art. 112 Cost, al pubblico ministero in tema di iniziativa ed esercizio dell'azione pena le, e che, nell'assolvimento di tale funzione, il pubblico ministero di chiara definitivamente la volontà del potere cui appartiene;

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato in questa sede ammis

sibile, mentre, atteso il carattere di mera delibazione, senza contraddit

torio, della presente pronuncia, resta impregiudicata, secondo la co stante giurisprudenza di questa corte, ogni ulteriore decisione anche in

punto di ammissibilità». In ordine a quest'ultima affermazione e sul valore «non definitivo»

delle ordinanze di ammissibilità dei ricorsi relativi ai conflitti di attribu zione tra poteri dello Stato, v. Bettinelli, in Foro it., 1993, I, 691.

Problema analogo a quello esaminato dalle tre pronunce della Corte costituzionale sopra massimate è stato affrontato qualche anno fa dal Trib. cost, spagnolo (sez. I 22 luglio 1985, n. 90, id., 1986, IV, 149, con nota di richiami e osservazioni di Pizzorusso), il quale ha afferma

to che le decisioni con cui le camere del parlamento accordano o nega no l'autorizzazione a procedere nei confronti dei loro componenti non

comportano un giudizio sulla fondatezza delle accuse mosse nei loro

confronti e debbono tendere esclusivamente a valutare se l'azione pena le abbia per scopo di turbare il funzionamento delle camere stesse o di alterare la composizione che ad esse ha dato la volontà degli elettori.

Sui limiti di applicabilità della garanzia di cui all'art. 68, 2° comma,

Cost., v. Cass. 24 aprile 1989, Mastrantuono, id., Rep. 1990, voce Se

questro penale, n. 46, commentata da Ri vello, in Cass. peri., 1990,

I, 908; App. Lecce 24 giugno 1987, Foro it., Rep. 1989, voce Autoriz zazione a procedere, n. 5, secondo cui, in deroga al principio della

officialità dell'azione penale, la notitia criminis nei confronti di un mem bro del parlamento genera una situazione di pendenza di tale azione

sino al momento in cui l'autorizzazione a procedere non sia stata con

cessa o non sia venuta a cessare la prerogativa che inscindibilmente

accede alla funzione di parlamentare; Proc. rep. Trib. Roma 14 aprile

1980, id., Rep. 1981, voce Comunità europee, n. 179. In dottrina, v., da ultimo, Midiri, Autorizzazione a procedere, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, 1988, IV; Ciaurro, Autorizzazione a procedere e

giudizio civile, in Quaderni costituzionali, 1989, 509; Rtvello, Spesso, confusa la garanzia co! privilegio nell'istituto dell'autorizzazione a pro cedere, in Cass, pen., 1990, I, 909.

Sull'istituto dell'autorizzazione a procedere previsto dalla nuova di

sciplina dei reati ministeriali, v. Corte cost. 25 maggio 1990, n. 265, Foro it., 1990, I, 3362, con nota di richiami.

Sulla irrilevanza della autorizzazione a procedere per il sequestro presso un parlamentare, da ultimo, Proc. rep. Pret. Napoli 28 ottobre 1992,

id., 1992, II, 727, con nota di richiami.

Per l'ammissibilità di conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato

in ordine al potere valutativo delle camere ex art. 68, 1° comma, Cost., cfr. Corte cost. 16 febbraio 1993, n. 68, in questo fascicolo, I, 1758, con nota di richiami.

Sull'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale, v. Russo, Le im munità parlamentari: eguaglianza dei cittadini e obbligatorietà dell'a

zione penale, in Arch, pen., 1984, 523; De Pietro, La discrizionalità del p.m. nell'esercizio dell'azione penale, in Questione giustizia, 1991,

141; Magliaro, Discrezionalità e obbligatorietà nell'esercizio dell'azio ne penale, ibid., 141. [R. Romboli]

* * *

I due ricorsi con i quali la procura della repubblica presso il Tribuna

le di Milano ha sollevato il conflitto di attribuzioni nei confronti del

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2075 PARTE PRIMA 2076

senato e della camera dei deputati hanno contenuto pressoché identico

a quello proposto dalla procura della repubblica presso il Tribunale

di Caltanissetta quanto ai profili di diritto relativi alla legittimazione ed all'amministrazione del conflitto. Differenti, invece, sono le vicende

processuali nelle quali il conflitto si è posto. Nei casi all'esame della procura milanese è contestata, infatti, la pos

sibilità delle camere di ingerirsi nella ricostruzione del fatto o della sua

qualificazione giuridica, mentre nella vicenda proposta dalla procura nissena si discute dell'incidenza del termine previsto dall'art. 344 c.p.p., in tema di richiesta di autorizzazione a procedere, sul potere-dovere della camera competente ad esaminare nel merito la richiesta.

Rinviando l'esame delle vicende di merito al momento della pronun cia definitiva della Corte costituzionale, sembra utile riportare, di se

guito, la parte in diritto di uno dei due ricorsi della procura milanese.

«Ai sensi dell'art. 37 1. 87/53, il conflitto tra poteri dello Stato è

risolto dalla Corte costituzionale, se insorto tra organi competenti a

dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono. Nel

caso di specie, ci si duole della decisione della camera dei deputati sulla

richiesta di autorizzazione a procedere avanzata nei confronti dell'on.

Craxi, in conseguenza della quale, ad avviso dell'organo ricorrente, vie

ne illegittimamente condizionato l'esercizio dell'azione penale, obbliga toria ai sensi dell'art. 112 Cost., e come tale soggetta solo alla legge, salvo il controllo del giudice. Nel vigente ordinamento, titolare del po tere dovere di esercitare l'azione penale è il pubblico ministero, con

l'unica eccezione, posta con legge costituzionale, del collegio inquirente

per i reati ministeriali. Ne consegue che organo competente a dichiarare

definitivamente la volontà dello stato in ordine all'esercizio dell'azione

penale è l'ufficio del pubblico ministero procedente, che, pertanto, de ve ritenersi legittimato a proporre conflitto di attribuzione. Non ignora l'ufficio ricorrente, che, in più occasioni, codesta corte ha escluso la

legittimazione del p.m. a sollevare conflitto di attribuzione (ord. 16/79, sent. 52/76). [Le due decisioni richiamate in ricorso riguardavano, ef

fettivamente fattispecie totalmente diverse: la prima, (n. 16/79, Foro

it., 1979, I, 1334) l'ipotesi del magistrato del p.m. che rivendicava a

sé la competenza, demandata al ministro della giustizia, anziché all'au torità giudiziaria, in ordine alla decisione sulle richieste di differimento

di pena (art. 589, 5° comma, c.p.p. abrogato); la seconda (n. 52/76,

id., 1976, I, 894), la questione di costituzionalità dell'art. 70 dell'ordi

namento giudiziario, per il quale i procuratori generali ed i procuratori della repubblica esercitano le loro funzioni personalmente o per mezzo

dei dipendenti magistrati addetti ai rispettivi uffici]. Va tuttavia osser

vato che, nel caso in esame, il pubblico ministero agisce a difesa di attribuzioni che gli sono riconosciute in via diretta ed esclusiva dalla

norma costituzionale (art. 112) e non dalla legge ordinaria. Quando dovesse escludersi la legittimazione del pubblico ministero, nessun altro

organo dell'ordine giudiziario, ancorché titolare di funzioni giurisdizio nali, sarebbe competente a sollevare conflitto di attribuzione in relazio

ne all'esercizio dell'azione penale. Non il g.i.p. il quale, ove non condi

vida le determinazioni del p.m. in ordine all'esercizio dell'azione penale (rectius: al mancato esercizio), può disporre la redazione coatta del ca

po d'imputazione, che è comunque atto proprio del pubblico ministero.

Non il giudice del dibattimento, la cui funzione giurisdizionale presup

pone l'esercizio dell'azione penale, atto genetico del processo. Del resto

la legittimazione del pubblico ministero a sollevare conflitto in ordine

al diniego di autorizzazione a procedere, lesivo delle attribuzioni riser

vategli dall'art. 112 della Costituzione, si coglie a contrario ove si con sideri l'ipotesi in cui l'organo d'accusa, malgrado il diniego dell'assem blea legislativa, proceda a indagini e, eventualmente, eserciti l'azione

penale. Non è dubitabile che, in siffatta ipotesi, l'assemblea sarebbe

legittimata a tutelare le proprie prerogative costituzionalmente rilevanti attraverso il procedimento previsto dagli art. 37 ss. 1. 11 marzo 1953 n. 87, già nei confronti dello stesso pubblico ministero procedente, e senza dover attendere l'intervento del giudice (si pensi ai casi di perqui sizioni personali o domiciliari disposte dal pubblico ministero). Ciò di mostra la legittimazione del pubblico ministero a sollevare conflitto in

questa materia.

3. - Profili relativi all'ammissibilità del conflitto. — Ai sensi dell'art.

68, 2° comma, Cost., senza autorizzazione della camera di appartenen za nessun mebro del parlamento può essere sottoposto a procedimento penale. Attrverso la deliberazione richiamata in premessa, la camera dei deputati ha, dunque, esercitato una potestà costituzionalmente pre vista. Ritiene tuttavia questo ufficio che l'esercizio di siffatto potere possa essere sindacato dalla Corte costituzionale, ai sensi degli art. 37 ss. 1. n. 87 del 1953, allorquando, mediante il suo uso non conforme ai principi della Costituzione, siano state lese le attribuzioni di altri

poteri dello Stato. E invero, la ragion d'essere dell'art. 68 Cost, non è quella di garantire una insindacabile area d'impunità ai membri del

parlamento, che non possono ritenersi legibus soluti, ma quella di ga rantire la libertà e l'autonomia delle camere. Ne consegue che il potere delle camere, pure amplissimo, non è arbitrario, ma è obiettivamente limitato dalla funzione per cui è previto e dalle attribuzioni costituzio nalmente riservate agli altri poteri dello Stato. In tal senso è significati vo il precedente costituito dalla sentenza n. 1150 del 1988 (id., 1989, I, 326) della Corte costituzionale, con la quale si è riconosciuta l'am missibilità del «conflitto da lesione menomazione» sollevata dalla Corte

d'appello di Roma in ordine a una deliberazione del senato secondo cui i fatti, per i quali pendeva giudizio civile presso gli uffici giudiziari

Il Foro Italiano — 1993.

di Roma, erano ricompresi nella prerogativa della insindacabilità, pre vista dall'art. 68, 1° comma Cost. In tale circostanza la corte, ammet

tendo conflitto di attribuzioni sollevato dalla Corte d'appello di Roma, ha enunciato il seguente principio:

«In quanto è attribuito nei limiti della fattispecie indicata nell'art.

68, 1° comma, e solo entro questi limiti legittimamente esercitato, il

potere valutativo delle camere non è arbitrario o soggetto soltanto a una regola interna di self-restraint. Nella nostra Costituzione, che rico

nosce i diritti inviolabili dell'uomo (tra cui il diritto all'onore e alla

reputazione) come valori fondamentali dell'ordinamento giuridico e pre vede un organo giurisdizionale di garanzia costituzionale, il detto pote re è soggetto a un controllo di legittimità, operante con lo strumento

del conflitto di attribuzione a norma degli art. 134 Cost, e 37 ss. 1.

87/53, e perciò circoscritto ai vizi che incidono, comprimendola, sulla

sfera di attribuzioni dell'autorità giudiziaria . . .». In ordine agli altri

requisiti d'ammissibilità del conflitto va rilevato che: — la camera dei deputati, nel momento del voto assembleare, è cer

tamente organo idoneo ad affermare definitivamente la volontà del po tere che rappresenta;

— il procuratore della repubblica presso il Tribunale ordinario di

Milano è, secondo le vigenti disposizioni, organo competente ad affer mare definitivamente, in questa fase, la volontà del pubblico ministero, nell'ambito del procedimento di cui si è detto.

4. - Profili di diritto. — Ai sensi degli art. 101, 102, 104 Cost, della

repubblica, l'ordine giudiziario è indipendente da ogni altro potere e

la funzione giurisdizionale, regolata legislativamente, è esercitata da ma

gistrati ordinari. Ai sensi dell'art. 112 Cost., il pubblico ministero, che dell'ordine giudiziario fa parte, ha l'obbligo di esercitare l'azione pena

le, nelle forme legislativamente previste, al fine di sottoporre alla deci

sione di un giudice soggetto soltanto alla legge le sue determinazioni

sulla fondatezza delle notizie di reato che gli pervengono e sui risultati

di eventuali indagini da lui compiute. Nel vigente modello processuale, l'atto di esercizio dell'azione penale si colloca al fine delle indagini pre liminari ed è costituito dall'attribuzione specifica a taluno, nelle forme indicate dall'art. 405 c.p.p., di un fatto storicamente determinato e giu ridicamente qualificato. L'art. 68 Cost, della repubblica, nel prevedere la necessità di autorizzazione per dar corso a procedimento penale nei

confronti di parlamentari, non individua esso stesso che cosa debba

intendersi per «procedimento penale», sicché, sul piano tecnico, il con

tenuto di tale disposizione va desunto dalla legislazione vigente, secon

do la quale il procedimento ha come atto genetico la notizia di reato, seguita, di regola, dalle indagini preliminari. Queste, dunque, si svolgo no in relazione a un fatto che appare essere penalmente rilevante, cui

sarà data una compiuta qualificazione giuridica nel momento di eserci

zio dell'azione penale, attraverso la formulazione della imputazione, atto proprio del p.m. Ne consegue che, nella fase delle indagini prelimi

nari, autorizzare l'autorità giudiziaria a sottoporre un membro del par lamento a procedimento penale significa autorizzare il pubblico mini stero a svolgere le indagini necessarie in relazione a un fatto per le

conseguenti determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale e

con la qualificazione giuridica necessaria ai soli fini dell'iscrizione nel

registro delle notizie di reato. In tale fase non vi è spazio per un'impu tazione in senso tecnico (si noti, al riguardo, che il termine «imputazio ne» compare solo nell'art. 405 c.p.p., mentre prima si parla di fatto

e di norme di legge che si assumono violate, cfr. art. 375, art. 343 e 111 disp. att., art. 292 c.p.p.). La camera alla quale appartiene la

persona sottoposta a indagini, investita della richiesta di autorizzazione a procedere in relazione a un determinato fatto che appare essere penal mente rilevante (avuto riguardo alla qualificazione giuridica attribuita al pubblico ministero richiedente) può deliberare di concedere o di ne

gare l'autorizzazione. Per contro non può ad avviso di questo ufficio,

ingerirsi nei profili della ricostruzione del fatto o della sua qualificazio ne giuridica, attribuzioni riservate dalla Costituzione e dalla legislazione vigente all'autorità giudiziaria e, nella fase di esercizio dell'azione pena le, al pubblico ministero. (Omissis)

6. - Conclusioni. — La camera dei deputati, autorizzando, quanto a ciascuna notizia di reato e fattispecie, in relazione ai capi 1/20, il

procedimento soltanto per taluno dei titoli di reato ipotizzati, ha scon finato dalle sue attribuzioni, invadendo quelle dell'autorità giudiziaria, sola competente a ricostruire i fatti e a qualificarli secondo diritto. Per

tanto, deve essere richiesto alla Corte costituzionale di dichiarare che

spetta all'autorità giudiziaria, e al pubblico ministero in sede di indagi ni preliminari e di esercizio dell'azione penale di fatto a deciderne la

qualificazione giuridica, mentre all'assemblea legislativa di appartenen za spetta concedere o negare l'autorizzazione a procedere in relazione a tale ricostruzione e a tale qualificazione giuridica, senza possibilità di modificarle ovvero di apporre condizione o termine alla concessa autorizzazione. Conseguentemente, del parziale diniego di autorizzazio ne a procedere di cui alla seduta in data 24 settembre 1993 della camera dei deputati, va richiesto l'annullamento con rinvio allo stesso organo per una nuova deliberazione. Si osserva, infine, sotto il profilo proces suale, che questo ufficio deve ritenersi legittimato a stare direttamente in giudizio a mezzo dei magistrati che ne hanno la rappresentanza sia ai sensi dell'art. 37 1. 11 marzo 1953 n. 87 e dell'art. 26 norme integrati ve adottate dalla Corte costituzionale il 16 marzo 1956, sia in applica zione dei principi generali dell'ordinamento giudiziario, per i quali il

pubblico ministero, quando è titolare della legittimazione sostanziale, lo è anche di quella processuale, come dello ius postulandi».

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Successione ereditaria — Diritto di rappresentazione — Figli naturali — Concorso con figli legittimi — Questione inam

missibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 30; cod. civ., art.

467; 1. 19 maggio 1975 n. 151, riforma del diritto di famiglia, art. 171).

È inammissibile la questione di legittimità costituzionale del

l'art. 467 c.c., nel testo anteriore alla riforma del diritto di fa

miglia, nella parte in cui esclude dal diritto di rappresentazione i figli naturali di chi, discendente o fratello o sorella del de

cuius, non potendo o non volendo accettare l'eredità^ lasci o

abbia discendenti legittimi, in riferimento agli art. 3 e 30 Cost. (1)

Corte costituzionale; sentenza 1° giugno 1993, n. 259 (Gaz

zetta ufficiale, la serie speciale, 9 giugno 1993, n. 24); Pres.

Casavola, Est. Mengoni; Re e altri c. Re. Ord. Trib. Genova

3 marzo 1992 (G.U., la s.s., n. 35 del 1992).

(1) Inutile far leva, come si era proposto il collegio rimettente, su

Corte cost. 14 aprile 1969, n. 79, Foro it., 1969, I, 1033. L'art. 467, nella formulazione precedente la novella del 1975, presupponeva la di

versità, sul piano successorio, dei figli naturali: di qui l'impossibilità di una vocazione ab intestato che s'indirizzasse congiuntamente a loro

e alla differente classe dei figli legittimi. Per superare l'impasse, occor

reva stabilire l'equiparazione: cosa che competeva comunque al legisla tore e che quest'ultimo ha appunto realizzato con la riforma del diritto

di famiglia.

* * #

La sentenza è cosi motivata: Diritto. — 1. - 11 Tribunale di Genova

ha sollevato, in riferimento agli art. 3 e 30, 3° comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 467 c.c., nel testo anteriore alla

riforma del diritto di famiglia (1. 19 maggio 1975 n. 151), nella parte in cui esclude dal diritto di rappresentazione i figli naturali di chi, di

scendente o fratello o sorella del de cuius, non potendo o non volendo

accettare l'eredità, lasci o abbia discendenti legittimi. Nella parte motiva l'ordinanza precisa che la questione non mira ad

ammettere, anche nell'ordinamento anteriore alla riforma, il diritto di

rappresentazione a pari titolo dei figli naturali insieme con i figli legitti

mi, ma ad ammetterlo nella misura ridotta del diritto di concorso con

i figli legittimi previsto dagli art. 541 e 574 (abrogati) nella successione

(legittima) diretta. 2. - La questione è inammissibile.

La limitazione dell'illegittimità costituzionale dell'art. 467 c.c., testo

del 1942, dichiarata dalla sentenza n. 79 del 1969 (Foro it., 1969, I,

1033) al caso di sopravvivenza al figlio premorto del de cuius di soli

figli naturali, non è legata, come pensa il tribunale rimettente, al peti tum formulato in quell'occasione dal giudice a quo in riferimento al

caso oggetto di quel giudizio. Indipendentemente dalla controversia con

creta che ha dato luogo all'incidente di costituzionalità, l'esclusione del

l'ipotesi di esistenza anche di figli legittimi dall'ambito normativo della

sentenza riflette un limite, derivante dal sistema successorio allora vi

gente, al potere della corte di incidere sulla disciplina della rappresenta zione ereditaria per accordarla con la tutela costituzionale dei figli na

turali. In tale sistema i figli legittimi e i figli naturali (riconosciuti o dichia

rati) appartenevano a classi, o categorie, diverse di successibili, gli uni

alla classe dei parenti legittimi, gli altri alla classe dei parenti naturali

(art. 565 c.c., testo del 1942). I figli naturali erano chiamati a concorre

re nella successione legittima con i figli legittimi in base a vocazioni

distinte, fondate su titoli successori diversi e in ragione di quote deter

minate dal concorso, ma contando ciascun legittimo per due: macando una vocazione congiunta in parti uguali, non poteva verificarsi nei loro

reciproci rapporti il fenomeno dell'accrescimento (art. 674 c.c.). Ne consegue che — essendo la vocazione (indiretta) per rappresenta

zione, in quanto determinata per relationem a una chiamata anteceden

te di cui sarebbe stato destinatario il rappresentato se avesse potuto o voluto venire all'eredità, essenzialmente una chiamata unica collettiva — nell'ordinamento del codice 1942 non era configurabile una vocazio

ne ab intestato di questa specie indirizzata congiuntamente a figli legit

timi e a figli naturali, appunto perché erano successibili di classi diver

se. Nell'ambito dell'istituto di cui agli art. 467 ss. c.c., in presenza di

figli legittimi, il criterio di differenziazione del trattamento dei figli na

turali — riconosciuto legittimo, di fronte all'art. 30 Cost., da una giuris

prudenza costante di questa corte fino alla recente sentenza n. 167 del

1992 (id., 1992, I, 2575) — non poteva operare se non come criterio

di esclusione dei figli naturali.

Sola alternativa possibile è l'attribuzione congiunta della quota del

rappresentato ai figli legittimi e ai figli naturali, con conseguente divi

sione in parti uguali. Ma questa soluzione presuppone l'equiparazione delle due categorie di figli, e quindi la costituzione di una nuova auto

noma classe di successibili formata dai discendenti del de cuius e identi

II Foro Italiano — 1993.

ficata dal rapporto di filiazione indipendentemente dalla fonte della di

scendenza (matrimonio o procreazione fuori del matrimonio). Una tale

innovazione, introdotta, senza efficacia retroattiva, dalla legge di rifor

ma del diritto di famiglia (art. 565, nuovo testo, c.c.), appartiene esclu

sivamente al potere legislativo. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissibile la

questione di legittimità costituzionale dell'art. 467 c.c., nel testo ante riore alla 1. 19 maggio 1975 n. 151 (riforma del diritto di famiglia), sollevata, in riferimento agli art. 3 e 30, 3° comma, Cost., dal Tribuna

le di Genova con l'ordinanza in epigrafe.

I

Procedimento penale davanti al pretore — Richiesta di archi

viazione — Ordinanza di indicazione di ulteriori indagini —

Rito in camera di consiglio — Omessa previsione — Questio

ne infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 76; cod. proc.

pen., art. 409, 554; 1. 16 febbraio 1987 n. 81, delega legislati va al governo della repubblica per l'emanazione del nuovo

codice di procedura penale, art. 2).

È infondata la questione di legittimità costituzionale del com

binato disposto degli art. 554, 2° comma, e 409 c.p.p., nella

parte in cui non consente, nel procedimento pretorile, al giudice

per le indagini preliminari che, dinanzi alla richiesta di archivia

zione del pubblico ministero, ritenga necessarie ulteriori indagi

ni, di indicarle con ordinanza senza la fissazione dell'udienza

prevista per i procedimenti di competenza del tribunale, in rife

rimento agli art. 3 e 77 (recte: 76) Cost. (1)

Corte costituzionale; sentenza 1° aprile 1993, n. 130 (Gazzet

ta ufficiale, la serie speciale, 7 aprile 1993, n. 15); Pres. Casa

vola, Est. Vassalli; imp. Nata, Maino; interv. Pres. cons, mini

stri. Ord. G.i.p. Pret. Torino 12 maggio 1992 (G.U., la s.s.,

n. 35 del 1992).

II

Procedimento penale davanti al pretore — Richiesta di archi

viazione — Opposizione della persona offesa dal reato — Prov

vedimenti del giudice — Rito in camera di consiglio — Omes

sa previsione — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3; norme att., coord, e trans, cod. proc. pen., art. 156).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

156, 2° comma, norme att. c.p.p., nella parte in cui dispone

che il giudice per le indagini preliminari presso la pretura, a

seguito di richiesta di archiviazione, provveda ai sensi dell'art.

554, 2° comma, c.p.p. e non ai sensi del combinato disposto

di cui agli art. 410, 3° comma, e 409, 2°, 3°, 4° e 5° comma,

c.p.p., in riferimento all'art. 3 Cost. (2)

Corte costituzionale; sentenza 29 marzo 1993, n. 123 (Gazzet

ta ufficiate, la serie speciale, 7 aprile 1993, n. 15); Pres. Casa

vola, Est. Cheli; imp. Del Commoda; interv. Pres. cons, mini

stri. Ord G.i.p. Pret. Perugia 12 giugno 1992 (G.U., la s.s.,

n. 40 del 1992).

Ili

Procedimento penale davanti al pretore — Richiesta di archi

viazione — Opposizione della persona offesa dal reato — Prov

vedimenti del giudice — Rito in camera di consiglio — Omes

sa previsione — Questione infondata di costituzionalità (Cost.,

art. 3; norme att., coord, e trans, cod. proc. pen., art. 156).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

156, 2° comma, norme att. c.p.p., nella parte in cui non preve

de, nel procedimento pretorile, in caso di opposizione della per

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2079 PARTE PRIMA 2080

sona offesa alla richiesta di archiviazione, l'audizione delle par ti in camera di consiglio, in riferimento all'art. 3 Cost. (3)

Corte costituzionale; sentenza 9 marzo 1992, n. 94 (Gazzetta

ufficiale, la serie speciale, 18 marzo 1992, n. 12); Pres. Borzel

lino, Est. Spagnoli; imp. Gianforte ed altri; interv. Pres. cons,

ministri. Ord. G.i.p. Pret. Termini Imerese 20 maggio 1991

(G.U., la s.s., n. 36 del 1991).

(1-3) I. - Con la sentenza 123/93, la corte estende alle censure solle vate dal giudice a quo la ratio decidendi già posta a fondamento della decisione 94/92, pervenendo ancora ad una pronuncia di infondatezza.

Investita dì una questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., concernente l'art. 156, 2° comma, norme att. c.p.p., «nella parte in cui non prevede, nel procedimento pretorile, in caso di opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, l'au dizione delle parti in camera di consiglio», la corte aveva giustificato, con la sentenza 94/92, la divergenza di disciplina, in parte qua, tra il rito avanti al tribunale e il procedimento pretorile, facendo leva sul

principio di massima semplificazione (direttiva n. 103 della legge dele

ga) che avrebbe ispirato l'impugnata normativa, cosi «evitando l'appe santimento che l'adozione della complessa procedura camerale indub biamente comporta».

La corte si era, inoltre, fatta carico di chiarire come fosse «perlome no dubbio (...) che la mancanza della procedura camerale si risolva in un pregiudizio per la persona offesa idoneo a radicare il deteriore trattamento» denunciato dal giudice a quo rispetto alla persona offesa che abbia proposto opposizione nel procedimento avanti al tribunale: infatti «la procedura camerale appare (...) tesa non tanto a garantire la persona offesa — che ha già esposto le proprie ragioni nell'atto di

opposizione — quanto, piuttosto, a consentire al pubblico ministero ed alla persona sottoposta alle indagini di interloquire sul merito del l'opposizione», come, peraltro, è dimostrato dalla previsione della noti fica dell'avviso dell'udienza solo all'opponente (art. 410, 3° comma, c.p.p.) e non anche agli altri eventuali offesi dal reato.

Il medesimo canone della «massima semplificazione» consente alla corte di respingere, con la sentenza 123/93, il dubbio di costituzionalità

sollevato, ancora in riferimento al principio di eguaglianza, in ordine al medesimo art. 156, 2° comma, norme att. c.p.p., per (asserita) ingiu stificata disparità di trattamento: a) tra i soggetti che intervengono nel

procedimento pretorile e, in particolare, tra la persona offesa dal reato e la persona sottoposta alle indagini, dal momento che, in assenza della

procedura camerale, soltanto alla prima e non alla seconda sarebbe con sentito l'«accesso» al giudice mediante l'atto di opposizione all'archi

viazione; b) tra le persone indagate nell'ambito di un procedimento pre torile e quelle perseguite per i reati compresi nella competenza del tribu nale. Secondo la corte, la particolare fisionomia del procedimento pretorile, connotato — in ossequio alla direttiva n. 103 della legge dele

ga — da forme assai più celeri rispetto a quelle proprie del rito avanti

agli organi collegiali, giustifica le scelte del legislatore del 1988, che

appaiono conformi a generali criteri di ragionevolezza, sottraendosi, in tal modo, ad apprezzabili censure di costituzionalità.

II. - Altra è, invece, la questione affrontata dalla sentenza 130/93, che investe la controversa tematica delle «indagini coatte» (per questa terminologia, cfr. l'ormai classico studio di Turone, li pubblico mini stero nel nuovo processo penale: criteri guida per la gestione delle inda

gini preliminari in funzione delle determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale, in Quaderni Cons. sup. magistratura, 1989, fase. 28, 234) in sede pretorile.

Con la sentenza 12 ottobre 1990, n. 445 (Foro it., 1992, I, 1009), la corte aveva dichiarato illegittimo, per violazione dell'art. 3, 1° com ma, Cost., tanto l'art. 157 norme att. c.p.p. (che la dottrina aveva definito «complesso e tortuoso», oltre che «sterile e superfluo»: cosi Coppetta, Osservazioni sull'archiviazione del pretore, in Difesa pen., 1990, fase. 26, 21, nota 4) quanto l'art. 554, 2° comma, c.p.p., que st'ultimo nella parte in cui non prevede — cosi come disposto, invece, dall'art. 409, 4° comma, c.p.p. per il procedimento davanti al tribunale — che, di fronte ad una richiesta di archiviazione presentata per infon datezza della notizia di reato, il giudice per le indagini preliminari pres so la pretura circondariale, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indichi con ordinanza al pubblico ministero, fissando il termine indi

spensabile per il loro compimento (per ulteriori richiami, cfr., sul pun to, Di Chiara, Il nuovo codice di procedura penale alla vigilia del pri mo triennio: gli itinerari della giurisprudenza costituzionale, in Foro it., 1992, I, 1676 s., § 9.6).

Il meccanismo delle «indagini coatte» acquisiva, in tal modo, pieno diritto di cittadinanza anche in sede pretorile. Ciò provocava, tuttavia, taluni contrasti ermeneutici: all'indirizzo — invero minoritario — se condo cui l'ordinanza contenente l'indicazione delle ulteriori indagini presupponesse, pur in assenza di un esplicito richiamo, la celebrazione di un'udienza camerale ex art. 127 c.p.p. (Cass. 26 settembre 1991, Soc. Sip, Arch, nuova proc. pen., 1992, 69) si era contrapposta la tesi secondo la quale non fosse richiesta, per i reati di competenza del pre tore, l'osservanza della procedura camerale di cui all'art. 127, espressa

li Foro Italiano — 1993.

mente prevista dall'art. 409, 2° comma, c.p.p. solo per i procedimenti concernenti reati di competenza degli organi collegiali (Cass. 6 maggio 1991, Serino, Foro it., Rep. 1991, voce Procedimento penale davanti al pretore, n. 30; 6 marzo 1992, P.m. c. ignoti, Arch, nuova proc. pen., 1992, 539). L'intervento chiarificatore delle sezioni unite (Cass. 29 maggio 1992, P.m. in c. Soc. Pirelli, Foro it., 1993, II, 145, con osservazioni di L. Russo) ha risolto il contrasto sancendo l'inapplicabi lità, al rito pretorile dell'archiviazione, del procedimento camerale di

sciplinato dall'art. 127: anche laddove il giudice per le indagini prelimi nari presso la pretura intendesse indicare al pubblico ministero ulteriori

indagini da compiere, dovrebbe pronunciare ordinanza de plano, senza alcun previo filtro camerale, in conformità alla scelta semplificatrice che caratterizza l'intero iter procedimentale per i reati di competenza del pretore.

Con la sentenza 130/93, la Corte costituzionale conferma il suo rin

vio, sul punto, al diritto vivente, ormai, peraltro, dopo l'intervento del le sezioni unite, da ritenersi consolidato. La corte si è, peraltro, preoc cupata di precisare che «nessuna delle possibili scelte del legislatore (udien za camerale o procedura de plano) può ritenersi (...) costituzionalmente

obbligata»: il «compito di effettuare, in via interpretativa, la scelta tra le due possibili conclusioni» è, pertanto, «lasciato al giudice della no

mofilachia», non potendo, in alcun caso, profilarsi alcun apprezzabile contrasto con la normativa costituzionale.

Società — Fusione — Incorporazione di società di persone in

società di capitali — Effetti — Soci illimitatamente responsa bili — Opposizione dei creditori — Carente motivazione della

rilevanza — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod. civ., art. 2503, 2504).

È inammissibile, in quanto carente di motivazione in ordine

alla rilevanza, la questione di legittimità costituzionale degli art.

2503 e 2504 c.c., nella parte in cui prevedono che il termine

di tre mesi, entro il quale il creditore può proporre opposizione alla fusione di una società di persone in una società di capitali, decorra dall'iscrizione delle relative delibere nel registro delle

imprese e non già dall'effettiva conoscenza delle stesse, in rife

rimento agli art. 3 e 24 Cost. (1)

Corte costituzionale; sentenza 29 ottobre 1992, n. 409 (Gaz zetta ufficiale, la serie speciale, 4 novembre 1992, n. 46); Pres.

Corasaniti, Est. Granata; Soc. Tae-Aereoservizi consorziati c. Baldassarri (Avv. Marcangeli); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato D'Amato). Ord. Trib. Genova 6 giugno 1991 (G.U., la s.s., n. 16 del 1992).

(1) L'ordinanza di rimessione del Tribunale di Genova è riportata (con data 13 luglio 1991) in Foro it., 1991, I, 2884, con nota di richiami e osservazioni di Marziale.

La Corte costituzionale dichiara la questione inammissibile in quanto il giudice a quo avrebbe mancato di motivare adeguatamente la rilevan

za, prendendo in particolare posizione sulle diverse possibili interpreta zioni della disposizione impugnata. Per la dichiarazione di inammissibi lità (semplice o manifesta) di questioni di costituzionalità per mancata motivazione della rilevanza, v. Corte cost. 29 ottobre 1992, n. 409, G.U., la s.s., n. 46 del 1992; 19 ottobre 1992, n. 395, Foro it., 1993, I, 4, con nota di richiami ed osservazioni di Pietrosanti.

In ordine al termine di tre mesi previsto dall'art. 2503 c.c., si vedano Trib. Torino 10 dicembre 1990, id., Rep. 1991, voce Società, n. 455, secondo cui esso decorre dalla data di iscrizione nel registro d'ordine presso la cancelleria e non da quella di iscrizione nel registro delle so cietà; Giud. reg. Trib. Torino 11 giugno 1990, ibid., n. 784, per il quale l'atto di fusione fra due o più società non può essere iscritto nel regi stro delle imprese prima della scadenza del termine di cui all'art. 2503

c.c., anche se sia previsto il successivo deposito di un atto pubblico attestante il predetto decorso senza che sia fatta opposizione alla fusio

ne; Tar Campania, sez. I, 19 gennaio 1989, n. 1, id., Rep. 1989, voce Giustizia amministrativa, n. 481 e Trib. Prato 23 dicembre 1988, ibid., voce Società, n. 819, circa l'abbreviazione o la deroga al termine di

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

cui all'art. 2503 c.c.; Trib. Monza, decr. 21 febbraio 1987, id., 1987, I, 2593, con nota di richiami.

Sulla determinazione del giudice competente a pronunciarsi sulla op posizione dei creditori alla fusione, v. Cass. 5 marzo 1991, n. 2321, id., 1991, I, 1801, con nota di Niccolini.

In tema di opposizione alla delibera di fusione, ai sensi dell'art. 2503

c.c., v., da ultimo, Trib. Verona 10 ottobre 1991, id., 1993, I, 275, con nota di richiami.

In dottrina, v. Massa Felsani, Opposizione e mancato consenso dei creditori sociali nella fusione c.d. eterogenea, in Riv. dir. comm., 1991, II, 267.

Il d. leg. 16 gennaio 1991 n. 22 ha modificato il testo degli art. 2503 e 2504 c.c., riducendo, tra l'altro, il termine a due mesi e prevedendo che lo stesso possa decorrere in alcune ipotesi dalla pubblicazione delle delibere per estratto nella Gazzetta ufficiale.

Sul registro delle imprese, cfr. il comma 2 bis dell'art. 1 d.l. n. 6

del 1993, convertito, con modificazioni, nella I. n. 63 del 1993 e in

dottrina, da ultimo, S. Tondo, Per un registro delle imprese, in Foro

it., 1993, V, 128.

Responsabilità contabile e amministrativa — Nuovo ordinamento

delle autonomie locali — Responsabilità degli amministratori

e dipendenti di enti locali — Intrasmissibilità agli eredi —

Retroattività — Esclusione — Questione manifestamente inam

missibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 97; 1. 8 giugno 1990

n. 142, ordinamento delle autonomie locali, art. 58).

È manifestamente inammissibile, in quanto priva di rilevanza

e sollevata in maniera contraddittoria, la questione di legittimi tà costituzionale dell'art. 58, 4° comma, 1. 8 giugno 1990 n.

142, nella parte in cui dispone l'intrasmissibilità agli eredi della

responsabilità nei confronti degli amministratori e dei dipen

denti dei comuni e delle province, senza prevedere la retroattivi

tà del beneficio, in riferimento agli art. 3 e 97 Cost, e, in via

subordinata al suo accoglimento, della stessa disposizione, nella

parte in cui riserva il beneficio ivi previsto ai soli amministrato

ri e dipendenti dei comuni e delle province e porta una deroga

ingiustificata al principio della successione degli eredi nei rap

porti di debito del defunto, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)

Corte costituzionale; ordinanza 12 novembre 1991, n. 407

(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 20 novembre 1991, n. 46);

Pres. Corasaniti, Est. Mengoni; Zandonella Gorgolon. Ord. Cor

te conti, sez. I, 23 ottobre 1990 (G.U., la s.s., n. 21 del 1991).

(1) La corte rileva come la questione si articoli in due capi tra loro

contraddittori che rendono altresì irrilevante la questione, dal momento che l'accoglimento di essa, con conseguente caducazione della disposi zione impugnata comporterebbe che il giudizio a quo verrebbe risolto, in punto di successione degli eredi nella responsabilità dell'amministra

tore deceduto, in maniera non diversa da quella cui il giudice rimettente

perverrebbe applicando de plano il diritto vigente. In ordine alla possibilità di proseguire, dopo l'entrata in vigore della

1. 142/90, l'azione nei confronti degli eredi di amministratori e dipen denti comunali deceduti anteriormente, per i danni arrecati all'ente di

appartenenza, v. Corte conti, sez. I, 26 novembre 1990, n. 245 e 19

novembre 1990, n. 236, Foro it., 1991, III, 406, con nota di richiami, le quali sono giunte in proposito a soluzioni opposte.

Sulla nuova disciplina della responsabilità degli amministratori e del

personale degli enti locali, introdotta dall'art. 58 1. 142/90, v. pure Corte

conti, sez. I, 16 gennaio 1991, n. 27, 7 dicembre 1990, n. 258 e 26

novembre 1990, n. 238, ibid., 425, con nota di richiami, cui adde Cass.

26 novembre 1990, n. 11366, id., Rep. 1990, voce Contabilità dello

Stato, n. 29 e 15 novembre 1990, n. 11033, ibid., voce Responsabilità

contabile, n. 376.

Il Foro Italiano — 1993.

Regione — Lazio — Cooperativa teatrale — Erogazione di som

ma — Assessore al turismo — Precedente attribuzione di mag

giore importo — Ratifica — Esclusione — Estremi (Cost., art. 121; cod. civ., art. 1398, 1399; 1. 22 maggio 1971 n. 346,

approvazione, ai sensi dell'art. 123, 2° comma, Cost, dello

statuto della regione Lazio art. 5, 20).

La erogazione, da parte della regione Lazio, di somma di

denaro a cooperativa teatrale, destinataria di contributo di mag

giore importo assegnatole dall'assessore al turismo, è inidonea

a configurarne la ratifica dell'operato, in presenza dell'accerta

mento della mancata dimostrazione, ad opera della medesima

cooperativa, della connessione oggettiva e della coincidenza vin

colante delle due attribuzioni. (1)

Corte di cassazione; sezione I civile; sentenza 5 marzo 1993, n. 2681; Pres. Rossi, Est. Bibolini, P.M. Romagnoli (conci,

conf.); Cooperativa teatrale «L'Alternativa» (Avv. De Martini) c. Regione Lazio. Conferma App. Roma 30 marzo 1988.

(1) Delineata la nozione di ratifica, intesa come negozio unilaterale recettizio con il quale il dominus esprime la chiara volontà di fare pro pri gli effetti del contratto concluso dal falsus procurator, uniforman

dosi cosi alla prevalente giurisprudenza (da ultimo, Cass. 11 ottobre

1991, n. 10709, Foro it., 1992, I, 1833, con nota di richiami; cui adde, in dottrina, Furgiuele, nella corrispondente voce dell' Enciclopedia giu ridica Treccani, 1991, XXVI, 4-5) e ricordata la direttiva della richia

mata Cass. 12 febbraio 1979, n. 937, Foro it., 1979, I, 2406, con osser vazioni di C. M. Barone, per la quale, secondo il principio privatistico della conservazione degli atti, è possibile la ratifica del contratto di

ente pubblico stipulato da organo incompetente (assessore comunale privo di delega anziché sindaco; sulla posizione degli assessori della regione Lazio, nel senso che essi possono solo ritenersi, in base all'art. 20 dello

statuto, promotori ed esecutori delle determinazioni collegiali, Pala

din, Diritto regionale, Cedam, Padova, 274), attraverso la dichiarazio

ne dell'organo competente che afferma di far proprio il comportamen to di chi ha operato in sua vece, la corte ha prospettato, con riferimen

to alla risalente Cass. 12 maggio 1967, n. 992, Foro it., Rep. 1967, voce Obbligazioni e contratti, n. 293, in termini dubitativi la configura bilità di una ratifica parziale, cui anche le più recenti Cass. 22 gennaio 1986, n. 400, id., Rep. 1986, voce Rappresentanza nei contratti, n. 14

e 23 aprile 1990, n. 3358, id., Rep. 1990, voce cit., n. 9, stando almeno

alle massime, non hanno avuto riguardo, ravvisando nella esecuzione, sia pure parziale, del contratto una forma di ratifica dello stesso. (Sul

punto non è, comunque, inopportuno aggiungere che per Cass. 14 mag

gio 1990, n. 4118, id., 1991, I, 1191, con richiami di F. Caso, il rilascio

di assegni, identificandosi con la emissione di titoli di credito, e cioè

con il compimento di atti unilaterali svincolati dalla causa sottostante, non è indicativo di una chiara ed univoca manifestazione di volontà

dell'autore di far proprio il contenuto di un precedente contratto stipu lato in nome e per conto di lui da un soggetto privo del potere di

rappresentanza). I superiori rilievi sono stati, tuttavia, svolti dalla corte nell'ambito

di una più generale valutazione della ratifica e delle sue implicazioni, dal momento che la ratio decidendi della pronuncia si è, esattamente, colta nella incensurabilità del congruo, coerente e motivato accertamen

to di merito circa la mancata dimostrazione, da parte del soggetto tenu to a fornirla, della esistenza della dedotta ratifica. [C. M. Barone]

* * *

La sentenza è cosi motivata: Svolgimento del processo. — La coope rativa teatrale «L'Alternativa», otteneva dal presidente del Tribunale

di Roma un decreto con cui era ingiunto alla regione Lazio il pagamen to della somma di lire 2.050.000, somma assertivamente dovuta quale residuo di un contributo di lire 11.200.000 che la regione Lazio, a mez

zo dell'assessore al turismo, con lettera 14 maggio 1975 si era obbligata a corrispondere a fronte di quindici rappresentazioni dello spettacolo

«Oggi non domani» che detta cooperativa si era impegnata a effettuare

nel territorio della regione e che, in effetti, aveva eseguito. Secondo

la tesi della cooperativa ricorrente, la regione Lazio aveva versato solo

acconti sul predetto contributo, per complessive lire 9.200.000.

Con atto notificato il 23 gennaio 1980 la regione Lazio proponeva

opposizione all'ingiunzione di pagamento sostenendo, tra l'altro, che

l'assessore al turismo, non essendo organo esterno della regione, non

aveva il potere di vincolare efficacemente la volontà dell'ente né, quin

di, di fare sorgere alcuna obbligazione a carico della regione stessa.

Radicato il contraddittorio e costituitasi la cooperativa opposta, la

quale sosteneva l'avvenuta ratifica dell'impegno assunto dall'assessore,

il Tribunale di Roma con sentenza 15 novembre 1985 dava accoglimen to all'opposizione dichiarando inefficace il decreto presidenziale.

Su appello della citata cooperativa e nel contraddittorio della regione

Lazio, provvedeva la Corte d'appello di Roma con sentenza in data

30 marzo 1988 dando piena conferma alla pronuncia di primo grado.

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2083 PARTE PRIMA 2084

In particolare, la corte del merito, relativamente alla censura con cui

la cooperativa sosteneva che la regione, mediante gli effettuati versa

menti, aveva assunto atteggiamento concludente nel senso del riconosci

mento del maggior debito assunto dall'assessore, riteneva l'illegittimità del provvedimento dell'assessore al turismo della regione Lazio, perché emesso da organo non autorizzato dalla legge (art. 5 dello statuto della

regione ed art. 121 Cost.) ad esprimere la volontà dell'ente regione. Poiché nell'erogare le somme effettivamente corrisposte la regione non

aveva fatto alcun riferimento al provvedimento dell'assessore, non era

consentito considerare le erogazioni stesse come acconti, dovendosi esse

qualificare come autonome elargizioni discrezionali. Non esisteva, quindi, atto o comportamento che potesse essere interpretato come diretto a

sanare il provvedimento dell'assessore indicato, né la cooperativa aveva

fornito alcuna prova al riguardo. Del tutto irrilevanti, poi, venivano considerati, ai fini della dedotta

ratifica, gli impegni di spesa deliberati dal consiglio regionale con fina

lità promozionale per l'anno giubilare 1975, in considerazione del ca

rattere generale di dette delibere. Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la coopera

tiva teatrale «L'Alternativa», deducendo due motivi; non si costituiva

con controricorso l'ente regione Lazio. Motivi della decisione. — Con il primo mezzo di cassazione la ricor

rente deduce la violazione e la falsa applicazione degli art. 1398 e 1399

c.c., nonché delle norme e dei principi in materia di gestione e di ammi

nistrazione degli enti pubblici, oltre ad omessa, insufficiente e contrad

dittoria motivazione ex art. 360, n. 5, c.p.c. Seguendo la ricostruzione del caso di specie operata dalla corte di

Roma, sostiene la ricorrente, si individua nell'assessore un falsus pro curator, la cui attività non obbliga l'ente, se non in caso di ratifica.

Nella specie, la ratifica deriverebbe dalla corresponsione del contributo, ancorché in misura inferiore all'impegno dell'assessore, non essendo pen sabile che la regione, al di fuori di quell'impegno, potesse compiere atti di liberalità.

In sostanza, la ricorrente sostiene la doglianza formulata sulla «evi

denza», fondata su due situazioni:

a) l'inammissibilità di atti liberali da parte dell'ente pubblico terri

toriale;

b) la coincidenza, ancorché non quantitativa, tra l'impegno assunto dall'assessore quale falso procuratore, e l'erogazione da parte della re

gione Lazio. Tale essendo il tema dedotto in controversia dalla cooperativa ricor

rente, deve da un lato rilevarsi che l'impostazione formulata è coerente con l'insegnamento di questa corte, secondo cui la disciplina dell'art. 1399 c.c. trova applicazione anche nella sfera della rappresentanza or

ganica di enti pubblici, e specificamente nel settore dei contratti stipula ti da un assessore eccedendo i limiti della delega (v. Cass. 12 febbraio

1979, n. 937, Foro it., 1979, n. 2406, con riferimento all'attività di un assessore comunale); deve, d'altro verso, ritenersi che l'accertamen to del giudice del merito sulla sussistenza, o no, della ratifica di un

negozio concluso da un rappresentante senza poteri, involge un apprez zamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici (v. Cass. 6454/79, ibid., 2828; 6 gennaio 1981, n. 61, id., 1981, I, 2246; 501/84, id., Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 2193; 27 febbraio 1986, n. 1275, id., Rep. 1986, voce Rappresentanza nei contratti, n. 13).

Nell'ambito, cosi delineato, riesce difficile comprendere quale sia il vizio di diritto dedotto in sede di legittimità, con riferimento agli art. 1398 e 1399 c.c., poiché la corte del merito non ha negato, in linea di principio che l'assessore, il quale assuma un obbligo verso terzi senza essere munito dei poteri, possa integrare la figura del falsus procurator, la cui attività sia suscettiva di ratifica da parte dell'ente indicato ad

opera dei suoi organi di rappresentanza esterna. Ciò che la corte di Roma ha negato, a seguito di un accertamento

di fatto, è che in concreto, nel caso esaminato, sussistesse la prova di un atto di ratifica, prova il cui onere, in tutte le componenti della

fattispecie, grava sull'attore-attuale ricorrente (v. Cass. 9 dicembre 1976, n. 45, id., Rep. 1976, voce cit., n. 7).

L'accertamento di fatto, inoltre, è stato svolto dalla corte del merito

seguendo un iter logico che non denuncia i travisamenti, le contraddit torietà e le conseguenze dedotte.

Ed invero la ratifica, quale negozio giuridico caratterizzato dall'uni lateralità e dalla ricettività, per essere tale deve avere un contenuto con nesso all'oggetto del negozio stipulato dal falsus procurator, esprimen do la chiara volontà del falso rappresentato di fare propri gli effetti, anche passivi, del negozio posto in essere dal falso rappresentante.

Nella specie la mancanza, sul piano della prova, di connessione og gettiva tra l'erogazione effettuata dalla regione Lazio e quella promessa dall'assessore, non consentiva, secondo l'apprezzamento della corte del

merito, di riportare il versamento nell'ambito del contenuto del negozio inefficace né, di conseguenza, permetteva di valutare la condotta assun ta dall'ente territoriale quale parziale esecuzione di quel negozio.

È pur vero, infatti, come ritenuto da questa corte in precedenti pro nunce, che l'adempimento parziale, da parte del falso rappresentato, del negozio concluso dal falso rappresentante, assume il valore di ratifi ca. Perché, peraltro, una condotta operativa dell'ente possa essere qua lificata come «adempimento», occorre l'inequivocità della volontà del

Il Foro Italiano — 1993.

falso rappresentato di farsi parte dei rapporto instaurato da! falso rap

presentante, assumendo nella totalità le situazioni giuridiche passive che

detto rapporto delineano. Inequivocità inevitabile ed essenziale, sia che

la ratifica sia espressa, sia che essa si evidenzi con condotte costituenti

non dubbia manifestazione di detta volontà, del suo oggetto e della

sua estensione. Nella specie, la possibilità di imputare l'erogazione effettuata, non

ad atti liberali inammissibili per una ente pubblico, ma ad una finalità

promozionale di attività culturali per la soddisfazione di interessi gene rali di cui la regione costituisca ente esponenziale nel territorio, di per sé è idonea a scindere la linea logica tra il negozio concluso dall'asses

sore e la condotta successiva dell'ente territoriale, facendo cadere quel carattere di «evidenza», dalla ricorrente enunciato.

Quand'anche, inoltre, tra negozio concluso e condotta realizzata vi fosse coincidenza causale e di finalità non per questo, in carenza di

altri elementi di maggior precisione significativa sull'oggetto e sull'e

stensione della volontà dell'ente, potrebbe assumersi anche la coinci

denza vincolante di prestazioni. Non può escludersi, infatti, che il falso

rappresentato intendesse fare propri gli effetti passivi del negozio stipu lato dal falso rappresentante, solo entro determinati limiti (anche quan

titativi) determinando con ciò, se non una ratifica parziale di dubbia

configurabilità del nostro ordinamento (v. Cass. 992/67, id., Rep. 1967, voce Obbligazioni e contratti, n. 186) una fase negoziale propositiva, ben configurabile in un settore (quale quello dei contributi incentivanti) alla cui base sussiste la discrezionalità della pubblica amministrazione.

Poiché il falso rappresentato non è vincolato dal negozio del falso

rappresentante, quegli è libero di accettare, o no, l'attività giuridica del secondo che di per sé è inefficace o condizionatamente efficace, cosi come è libero di sottoporre l'intero rapporto inefficace ad una nuova

ed autonoma valutazione, di cui l'attività in concreto svolta costituisca

un'autonoma funzione propositiva, anziché meramente ratificativa. In questa linea logica la sentenza della corte del merito, ravvisando

la carenza probatoria in ordine alla sussistenza di un atto di ratifica

integrale dell'operato dell'assessore, ha svolto una valutazione di fatto

che, in quanto immune da vizi logici, non è soggetta alle censure pro poste. (Omissis)

Invalidi civili e di guerra — Minorato fisico — Capacità di deam

bulazione sensibilmente ridotte — Centri abitati — Circola

zione e sosta con veicolo — Contrassegno — Azione per il

rilascio — Giurisdizione ordinaria (D.p.r. 27 aprile 1978 n.

384, regolamento di attuazione dell'art. 27 1. 30 marzo 1971

n. 118, a favore dei mutilati ed invalidi civili, in materia di barriere architettoniche e trasporti pubblici, art. 5, 6).

Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della domanda con la quale il minorato fisico con capacità di

deambulazione sensibilmente ridotte chiede la condanna del com

petente comune al rilascio dello speciale contrassegno per l'eser cizio della facoltà, prevista dall'art. 5 d.p.r. 27 aprile 1978 n.

384, di circolare e sostare nei centri abitati con il veicolo uti

lizzato. (1)

Corte di cassazione; sezioni unite civili; sentenza 26 febbraio

1993, n. 2412; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Anglani, P.M.

Grossi (conci, conf.); Maldina (Avv. Palatta) c. Comune di Bo

logna (Avv. G. Stella Richter, Ferrerio). Regolamento di giuris dizione.

(1) Con sentenza 6 ottobre 1988, n. 5395, Foro it., Rep. 1988, voce Invalidi di guerra e del lavoro e per servizio, n. 15, la corte ha ritenuto che gli art. 27 1. 30 marzo 1971 n. 118 e 19 d.p.r. 27 aprile 1978 n. 384 (concernenti l'accessibilità dei servizi di trasporti pubblici agli inva lidi non deambulanti e la riserva di posti in loro favore nonché l'ado zione delle misure necessarie per agevolare l'accesso e lo stazionamento delle relative carrozzine) si configurano non come norme di relazione, fonte di diritti soggettivi perfetti, ma come norme di azione (la cui at tuazione è affidata alla valutazione discrezionale dell'autorità ammini

strativa) generatrici di interessi legittimi; pertanto, la violazione di esse va fatta valere con l'impugnazione, restando al riguardo esclusa la giu risdizione del giudice ordinario, anche per ciò che concerne il potere di provvedere in via cautelare ed urgente ai sensi dell'art. 700 c.p.c., non potendo tale potere esercitarsi in relazione a posizioni soggettive devolute alla cognizione del giudice amministrativo.

La pronuncia dianzi ricordata ha ribaltato l'impostazione dell'ordi nanza 21 agosto 1984 del Pretore di Milano, id., 1985, I, 1865, con richiami di N. Sinisi, accogliendo il ricorso per regolamento di giurisdi

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

zione proposto in relazione a tale provvedimento, secondo il quale, po sto che: a) dalla vigente normativa, costituzionale e speciale, discende

per i portatori di handicap un diritto soggettivo alla utilizzazione del

mezzo pubblico (nella specie, metropolitana); b) tale diritto viene leso

in modo irreparabile da un ordine di servizio interno all'azienda di tra

sporto, inteso a limitare l'accesso degli invalidi non deambulanti, fos

s'anche per motivi di sicurezza, va accolta, in sede cautelare, la doman da volta ad ottenere la disapplicazione del predetto ordine di servizio.

* * *

La sentenza è cosi motivata: Svolgimento del processo. — Con ricor

so depositato il 18 maggio 1990, Giorgio Maldina — premesso di essere

affetto da handicap incidente sulla deambulazione, di essere munito di

patente di guida F e di aver sempre fruito, anteriormente alla emana

zione della nuova regolamentazione comunale, di autorizzazione al par

cheggio della propria auto nelle apposite aree nelle città di Bologna — espose che le competenti autorità comunali avevano reiteramente ne

gato il rilascio del contrassegno indispensabile per la circolazione ed

il parcheggio in dette aree. Tanto premesso ed assumendo che il diniego — fondato sul parere

espresso da un sanitario (peraltro contrastato dai certificati di tre unità

sanitarie locali) secondo il quale l'affezione riscontrata è tale da non

impedire l'uso dei mezzi pubblici — aveva leso un diritto di esso istante

riconosciuto dall'art. 6 d.p.r. 27 aprile 1978 n. 384, il quale prevede, come unico presupposto per il rilascio del contrassegno, una capacità di deambulazione sensibilmente ridotta, chiese al Pretore di Bologna, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., di ordinare al comune di Bologna il rilascio

del suindicato contrassegno.

Rigettata l'istanza dal pretore con decreto del 21 maggio 1990 sulla

premessa della improponibilità per difetto di giurisdizione del giudice

ordinario, il -Maldina ha successivamente proposto ricorso per regola

mento preventivo di giurisdizione. Il comune ha resistito con contro

ricorso. Motivi della decisione. — Il ricorrente deduce, a sostegno della tesi

dell'appartenenza della controversia alla giurisdizione ordinaria, che la

posizione soggettiva tutelanda — avuto riguardo all'art. 32 Cost, che

considera fondamentale «il diritto alla salute»; alla 1. 30 marzo 1971

n. 118 ed al regolamento di attuazione dell'art. 27 di detta legge (d.p.r.

27 aprile 1978 n. 384) — ha consistenza di diritto soggettivo e non

è perciò suscettibile di menomazione in conseguenza di esercizio di po tere discrezionale della pubblica amministrazione.

Il resistente replica sostenendo che è fuor di luogo il richiamo del

l'art. 32 Cost, (non essendo ipotizzabile, nemmeno astrattamente, un

collegamento causale tra il mancato rilascio del contrassegno ed il peri

colo di menomazione della salute) e che le disposizioni di cui al d.p.r.

384/78, in particolare gli art. 5 e 6, hanno natura di norme di azione

e tutelano solo indirettamente i soggetti indicati nella legge stessa.

L'istanza di regolamento è fondata, pur essendo suscettibili di preci

sazione le deduzioni del ricorrente.

Deve anzitutto rilevarsi che l'art. 32 Cost. — che è, per un verso,

norma precettiva in quanto considera fondamentale il diritto alla salute

e, per altro verso, programmatica in quanto impone al potere legislati

vo di emanare leggi per l'attuazione concreta di tale diritto ed alla pub

blica amministrazione di predisporre i mezzi occorrenti — viene in con

siderazione, solo indirettamente, sotto il secondo profilo in relazione

all'esame della portata degli art. 5 e 6 del citato regolamento 384/78

di attuazione dell'art. 27 1. 118/71, emanata in esecuzione del dettato

costituzionale. Tanto premesso, e rilevato altresì che i due citati articoli devono esse

re interpretati congiuntamente, si osserva che l'art. 5 dispone: «Nei centri

abitati, nel caso di sospensione della circolazione per motivi di sicurez

za pubblica o di pubblico interesse o per esigenze di carattere militare

ovvero, laddove siano stati stabiliti obblighi, divieti o limitazioni di ca

rattere permanente, può essere consentito dalle autorità rispettivamente

competenti ai minorati fisici con capacità di deambulazione sensibil

mente ridotte, subordinatamente all'osservanza di eventuali prescrizioni

stabilite dal sindaco interessato, di circolare e sostare con il veicolo

da essi utilizzato. La circolazione e la sosta sono in ogni caso vietate

sui percorsi preferenziali destinati al trasporto pubblico collettivo. Nei

parcheggi con custodia dei veicoli dovranno essere riservati gratuita

mente ai minorati suddetti almeno due posti per ogni cento disponibili».

L'art. 6 dispone: «Ai minorati fisici con capacità di deambulazione

sensibilmente ridotte è rilasciato dai comuni, a seguito di apposita do

cumentata istanza (anche tramite le associazioni di categoria legalmente

riconosciute) uno speciale contrassegno per poter esercitare le facoltà

di cui al precedente articolo. Il prototipo di tale contrassegno, che deve

contenere appositi spazi per l'indicazione a caratteri indelebili delle ge

neralità e del domicilio del minorato sarà predisposto ed approvato dal

ministro dei lavori pubblici . . ., che ... il contrassegno è valido per

tutto il territorio nazionale».

Dalle su riportate disposizioni si evince in primo luogo che il soggetto

beneficiario s'identifica col «minorato fisico con capacità di deambula

zione sensibilmente ridotte». In sostanza, è necessario e sufficiente che

«la sensibile riduzione» della capacità deambulatoria sia dipendente da

li Foro Italiano — 1993.

«minorazioni fisiche congenite o acquisite», mentre non rileva (man cando al riguardo qualsiasi accenno nella norma) che la riduzione stessa

non impedisca l'uso di un mezzo di trasporto pubblico. Ciò posto, deve disattendersi il rilievo del resistente (che, in realtà,

si riferisce soltanto all'art. 5) secondo cui quelle in esame sarebbero

norme di azione sicché la posizione soggettiva del beneficiario, valuta

bile dalla pubblica amministrazione mediante comparazione con l'inte resse pubblico avrebbe consistenza d'interesse legittimo.

La valutazione della consistenza della posizione soggettiva dev'essere

invero effettuata non già in relazione alla fruizione in concreto delle

agevolazioni nella circolazione e nella sosta del veicolo previste dall'art.

5 (le quali non costituiscono oggetto della controversia de qua) bensì

in relazione al conseguimento del contrassegno speciale previsto dal

l'art. 6, costituente presupposto necessario per la fruizione delle agevo lazioni stesse.

Orbene, che il rilascio di detto contrassegno da parte del comune

sia un atto dovuto, in presenza di una documentazione (presentata dal

l'interessato) attestante lo stato di minorazione fisica con capacità di

deambulazione, si evince chiaramente dalla espressione «è rilasciato»

(e non già «può essere», come sostenuto nel controricorso). Ne conse

gue che la posizione del minorato che chieda il rilascio del contrasse

gno, che peraltro «è valido per tutto il territorio nazionale» e «deve

essere apposto sulla parte anteriore del veicolo per poter esercitare le

facoltà di cui al precedente art. 5», ha consistenza di diritto soggettivo. Ed è del tutto irrilevante, al fine di escludere tale natura il fatto

(che è un posterius logico-giuridico) che l'esercizio di una delle facoltà

previste dall'art. 5 (circolazione su percorsi stradali chiusi al traffico

per motivi di sicurezza o interesse pubblico o per divieti o limitazioni

di carattere, ovvero sosta in zona vietata) sia subordinata a valutazione

comparativa da parte della pubblica amministrazione.

Deve perciò concludersi per l'appartenenza della controversia in esa

me alla giurisdizione del giudice ordinario.

Giurisdizione civile — Controversia tra privati — Improponibi

lità della domanda — Regolamento di giurisdizione — Inam

missibilità — Estremi — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 37,

41, 382).

È inammissibile, poiché proposto in controversia tra privati

con riguardo a questione estranea alle previsioni dell'art. 37

c.p.c., il regolamento di giurisdizione con il quale loggia masso

nica deduce l'improponibilità assoluta della domanda di alcuni

associati diretta ad ottenere l'annullamento dei provvedimenti

di radiazione e di sospensione adottati nei confronti degli attori

dai competenti organi della medesima loggia. (1)

Corte di cassazione; sezioni unite civili; sentenza 9 novembre

1992, n. 12079; Pres. Brancaccio, Est. Taddeucci, P.M. Caristo

(conci, conf.); Gran loggia d'Italia antichi liberi accettati mura

tori (Avv. Palombi) c. Martella ed altri (Avv. Schwarzenberg,

Fanzini), Proc. rep. Trib. Roma. Regolamento di giurisdizione.

(1) Nello stesso senso, relativa ad analoga controversia, la coeva Cass.

9 novembre 1992, n. 12078, Foro it., Mass., 1061.

Dopo la richamata Cass. 15 giugno 1987, n. 5256, id., 1987, I, 2015,

con osservazioni di Cipriani (annotata pure da Iannicelli, id., 1988,

I, 3394 e da Garbagnati, in Riv. dir. proc., 1988, 528), che, discostan

dosi dal precedente orientamento, aveva escluso l'utilizzabilità del rego

lamento preventivo di giurisdizione per dedurre la c.d. improponibilità

assoluta della domanda fra privati, la corte ha reiteramente ribadito

l'enunciazione, come si evince, ad esempio, da Cass. 2 giugno 1992,

n. 6667, Foro it., Mass., 580; ord. 19 febbraio 1990, n. 112, sent. 19

aprile 1990, nn. 3269 e 3270, id., Rep. 1990, voce Giurisdizione civile,

nn. 214-216; 11 aprile 1990, n. 3070, ibid., n. 226; 17 marzo 1989,

n. 1353 e ord. 27 gennaio 1989, n. 25, id., Rep. 1989, voce cit., nn.

149, 150; sent. 22 aprile 1988, n. 3131, id., Rep. 1988, voce cit., n. 124.

Per qualche riferimento, a proposito dei rapporti fra il vigente testo

dell'art. 367, 1° comma, c.p.c. (cosi come introdotto dall'art. 61 1. 25

novembre 1990 n. 353) e il principio ora ribadito dalle sezioni unite,

cons., fra gli altri, A. Proto Pisani, La nuova disciplina del processo

civile, Jovene, Napoli, 1991, 42-45; Tarzia, Lineamenti del nuovo pro

cesso di cognizione, Giuffrè, Milano, 1991, 11-12.

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2087 PARTE PRIMA 2088

* * *

La sentenza è cosi motivata: Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 5 dicembre 1989 Antonio Martella, Luigi Cardarelli, Enri co Califano, Pietro Giannone, Aldo Damilano, Gianni Pinzello, Anto nio Carbotti e Lydia Genzardi convenivano in giudizio davanti al Tri bunale di Roma l'associazione denominata Gran loggia d'Italia degli antichi liberi accettati muratori - Obbedienza di piazza del Gesù, con sede in Roma, unitamente al suo legale rappresentante il sovrano gran commendatore gran maestro Renzo Canova ed al vicario di quest'ulti mo, Giuseppe Riservato, per sentire: a) annullare i provvedimenti di

radiazione, dal «rito» e dall'«ordine», del Martella e del Cardarelli, membri effettivi del supremo consiglio dell'associazione, adottati con decreti del sovrano e gran maestro del 31 luglio 1989 e ratificati con deliberazioni del 16 e del 17 settembre successivo; b) annullare i provve dimenti adottati in quest'ultima data dal sovrano gran maestro, me diante i quali gli altri attori, membri effettivi od aggiunti da detto su

premo consiglio, erano stati sospesi da ogni loro attività, carica e fun zione nell'ambito dell'associazione, per preannunciata richiesta di apertura di processo massonico nei loro confronti; c) ordinare la reintegrazione di tutti gli istanti, radiati o sospesi, nella pienezza delle posizioni e man sioni associative loro rispettivamente spettanti.

Esponevano: di avere assunto atteggiamento di dissenso rispetto alla

politica gestionale seguita, in senso accentratore, autoritario e non tra

sparente, dal gran maestro dr. Canova; di avere reagito criticamente a fronte delle iniziative dal predetto adottate per la espulsione di altro dissenziente membro del supremo consiglio, Vincenzo Santoro, e per la celebrazione a carico di quest'ultimo di un «processo massonico» irritualmente istruito ed inficiato da illegittima composizione dell'orga no giudicante; di essere stati perciò strumentalmente colpiti dai provve dimenti portati all'esame del tribunale.

I convenuti costituitisi contestavano le domande. Previo intervento nel giudizio del p.m. — che concludeva per l'acco

glimento delle istanze degli attori — rinviata la causa all'udienza colle

giale del 10 dicembre 1990 per la decisione, la Gran loggia d'Italia degli antichi liberi accettati muratori ha proposto, con ricorso notificato il 15 novembre 1990, istanza per regolamento preventivo ex art. 41 c.p.c. al fine di sentir dichiarare da queste sezioni unite l'assoluto difetto di

giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della controversia pro mossa nei confronti propri, del Canova e del Riservato.

Gli intimati mediante unico controricorso hanno chiesto che sia di chiarata la giurisdizione dell'a.g.o. con la condanna del ricorrente al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c.

Su rilievo del procuratore generale, questa corte ha disposto che si

provvedesse ad integrare il contraddittorio nei confronti del p.m., per ché intervenuto nel giudizio dinanzi al tribunale, nonché del Canova e del Riservato, quali parti convenute in quel giudizio. A tanto provve dutosi entro il termine assegnato, la causa è stata rimessa per la discus sione davanti a queste sezioni unite.

Motivi della decisione. — 1. - La ricorrente associazione deduce che, in applicazione di norme statutarie liberamente accettate da ogni «ini ziato» al momento dell'ingresso in massoneria ed in esito al procedi mento disciplinare interno da quelle norme previsto, la espulsione era stata decretata nei confronti di chi si era dimostrato non più meritevole di appartenere alla istituzione massonica.

Sulla base di tali — incontroverse — premesse la ricorrente sostiene che la assoluta obbligatorietà per l'associato delle regole, nei suoi con fronti applicate, lo priverebbero della potestà di ricorrere all'autorità giudiziaria ordinaria per la invalidazione del provvedimento di espulsio ne; che a detta autorità sarebbe inibito sia di sindacare la corretta, o meno, applicazione da parte degli organi della giustizia massonica delle norme «tecniche» di rilevanza procedimentali, sia di riesaminare il giu dizio da detti organi espresso circa la portata delle violazioni commesse dall'associato, la gravità della sua colpevolezza e la scelta delle sanzioni da irrogare.

Soggiunge la ricorrente che non intende contestare la potestà del l'a.g.o. di sindacare, sul piano della legittimità, la sostanziale armonia con l'ordinamento statuale delle regole associative proprie di un ordina mento «separato» quale la massoneria; ma che nell'ambito di quest'ul timo ordinamento deve riconoscersi la libertà di emanazione e di appli cazione di norme interne di comportamento la cui osservanza o meno da parte dei destinatari è assolutamente irrilevante per l'ordinamento dello Stato perché in esso non suscettive di un inquadramento giuridi co; e perché basate su valutazioni discrezionali o tecniche.

Controdeduce il resistente richiamandosi ai principi posti a tutela del

singolo all'interno delle associazioni — siano esse riconosciute o meno — dagli art. 2 e 18 Cost, e dall'art. 24 c.c.

2. - La corte osserva che dagli stessi assunti della ricorrente è dato evincere la non configurabilità, nella specie, di una questione di giuris dizione risolvibile attraverso lo strumento del regolamento preventivo.

Detta l'art. 41 c.p.c. che questo procedimento incidentale è esperibile esclusivamente per risolvere le questioni di giurisdizione di cui all'art. 37: ed esse insorgono soltanto allorché il ricorrente segnali come dubbia l'esistenza od indubbia la inesistenza di una potestas iudicandi nel giu dice adito, vuoi nei confronti dello straniero, vuoi nei confronti di un giudice speciale, vuoi nei confronti della pubblica amministrazione; va

II Foro Italiano — 1993.

le a dire nei casi di invasione del giudice ordinario nella sfera delle

prerogative della c.d. amministrazione attiva e nei casi di usurpazione dei poteri attribuiti ai giudici speciali o riconosciuti ai giudici stranieri.

Ed una volta tenute presenti per un lato la natura straordinaria ed eccezionale dell'istituto del regolamento preventivo e per altro verso la impossibilità di rimettere alla volontà pattizia dei privati la capacità di derogare alle norme regolatrici della competenza del giudice patrio — al di là dai limiti fissati dall'art. 2 c.p.c. — si perviene necessaria mente alla conclusione, già da tempo affermata da questa corte regola trice (cfr. in senso innovativo, la sentenza n. 5256 del 1987, Foro it., 1987, I, 2015, delle sezioni unite) secondo cui non può essere denuncia ta con istanza di regolamento preventivo di giurisdizione la cosi detta

improponibilità assoluta della domanda tra privati, per asserita man canza di una norma che tuteli la situazione dedotta in giudizio, in quanto tale preteso difetto di tutela giuridica fra privati attiene al merito della

lite, non alla giurisdizione, e concreta una questione destinata a diveni re oggetto — o parte dell'oggetto — della pronuncia, negativa o positi va, circa la fondatezza della domanda.

Esaminando alla stregua dei principi sin qui ricordati la istanza del l'associazione ricorrente preme pertanto considerare che essa non ha rivendicato a sé, a fronte dell'ordinamento dello Stato, una posizione di assoluta indipendenza, autonomia ed estraneità, od in sintesi una

posizione di sovranità quale sarebbe occorrente per ipotizzare la usur

pazione, da parte del giudice italiano di poteri cognitivi riservati a pro pri organi di giustizia interna; e nemmeno ha attribuito a questi ultimi natura o funzione di arbitri rituali od irrituali. Tesi queste che la ricor

rente, convenuta costituitasi davanti al tribunale, con la stessa accetta zione del contraddittorio, ha manifestato essere inconciliabili ed estra nee ai suoi assunti difensivi.

Nel ricorso si riconosce altresì che la massoneria costituisce un ordi namento separato ma comunque soggetto, secondo l'ordinamento dello

Stato, alla disciplina prevista per le associazioni non riconosciute, ed in quanto tale sottoposto al controllo circa la rispondenza delle regole associative ai principi del predetto ordinamento generale. E data per incontroversa tale rispondenza gli assunti difensivi della ricorrente si aggregano attorno al concetto che le normative attinenti alla espulsione od alla sospensione dalla associazione, di propri membri rivestirebbero un carattere «interno» e sarebbero del tutto irrilevanti per l'ordinamen to dello Stato anche perché la applicazione delle regole in questione implicherebbe, come necessarie, valutazioni di natura discrezionale e tecnica.

Ora, attraverso siffatta tale prospettazione si dà per acquisito e di mostrato il nucleo di ciò che costituisce invece materia di contrasto, in sede giudiziale, tra le parti: se cioè le norme della associazione attri

ce, relative alla esclusione dell'associato, siano o meno conformi ai prin cipi dell'ordinamento italiano in tema di protezione della posizione del

singolo in seno alle cosi dette «formazioni intermedie» o comunità mi nori (riconosciute o meno dello Stato); se e sino a quale livello — di

legittimità o di merito — la tutela invocata in sede giurisdizionale possa essere sospinta; se la cognizione in detta sede espletanda possa appro dare al rinvenimento di regole statutarie non suscettive di inquadramen to giuridico nell'ordinamento dello Stato italiano e quindi per esso irri

levanti, oppure possa mettere capo al riscontro di norme e procedure associative configgenti con quelle dettate per le associazioni non rico nosciute dall'ordinamento generale e per esso rilevanti perché incisive su diritti soggettivi.

Ma, una volta postulata la esigenza di un giudizio di «irrilevanza» o di «indifferenza» per l'ordinamento dello Stato di norme interne dal la formazione minore, non corre dubbio che siffatto giudizio non possa che essere demandato al giudice ordinario, in quanto appunto da quello scrutinio dipende il riconoscimento o negazione del diritto di azione davanti a lui giudice fatto valere.

Se è certo, infatti, che si controverte tra privati e se è altrettanto certo che l'oggetto della lite attiene all'essere la deliberazione di esclu sione dell'associato passibile di un vaglio giudiziale esclusivamente alla

stregua delle norme statutarie di autoregolamentazione del gruppo, op pure anche alla stregua dei principi sanciti in ordine alle associazioni non riconosciute dall'ordinamento giuridico italiano, emerge di tutta evidenza la conclusione che il Tribunale di Roma è stato chiamato a risolvere un problema di diritto sostanziale applicabile, senza inframet tenza alcuna di questione di giurisdizione.

Della potestas ìudicandi di cui, nella fattispecie, è legittimamente in vestito il giudice del merito farà infatti esercizio sia nel caso in cui dovesse ritenere che l'associato espulso dal gruppo è privo di azione in quanto la sua posizione soggettiva non riceve tutela dalle norme e dai principi di cui ha chiesto la applicazione (art. 2 Cost., art. 24 c.c.) sia nella ipotesi in cui ritenesse di pervenire ad opposto convincimento. (Omissis)

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