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Rosalma Salina Borello - Aracne editrice · «Erano continue esplosioni di risate» Si fa in genere...

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Rosalma Salina Borello LA MASCHERA E IL VUOTO Saggi su Savinio, De Chirico, Breton, Pirandello, Nietzsche, Freud, Jung, Canetti, Takano, Ungaretti, Quasimodo, Luzi, Montale, Gozzano, Calvino e altri
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Rosalma Salina Borello

LA MASCHERA E IL VUOTO

Saggi su Savinio, De Chirico, Breton, Pirandello, Nietzsche, Freud, Jung, Canetti, Takano, Ungaretti,

Quasimodo, Luzi, Montale, Gozzano, Calvino e altri

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ISBN 88–548–0138–0

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,

di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

I edizione: maggio 2005

I ristampa aggiornata: settembre 2006

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LA «CONVERSIONE»

DELLO SGUARDO

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La visione plurale del Surrealismo

a Angelo Jacomuzzi

«Erano continue esplosioni di risate»

Si fa in genere risalire al 1924 la costituzione ufficiale

dell’avanguardia surrealista, in coincidenza con la pubblicazione del Primo Manifesto del Surrealismo stilato da André Breton. Ma il movimento surrealista, di cui darò qui una ridotta mappatura1, ha radici assai più lontane e ramificate, come cercherò di evidenziare in questo saggio mirato non certo alla ricostruzione delle varie fasi di un movimento su cui già esiste una sconfinata bibliografia, quanto piuttosto all’approfondi-mento di alcuni aspetti rimasti ancora in ombra. Primo tra tutti l’apporto del pensiero junghiano che fu, a mio parere, assai più sottilmente incisivo e pervasivo di quello di Freud nell’elaborazione di una visione plurale, anche attraverso l’approfondimento di tradizioni di pensiero orientali, fondamentali – come vedremo – ai fini della “conversione dello sguardo” preconizzata da Breton.

Un altro filone di ricerca di grande interesse e non ancora del tutto esplorato è quello dell’apporto dei compagnons de route

1 L’attuale configurazione del materiale qui raccolto è dovuta al fatto che si

tratta di una parte di alcuni corsi sulle avanguardie novecentesche tenuti in varie riprese, e nell’arco di trent’anni, tra Vienna e Regensburg, Lucca e Roma. Le lezioni, registrate e raccolte dagli studenti, costituiscono un cospicuo corpus che mi riprometto di riordinare e pubblicare, anche perché vi sono contenuti importanti contributi di critici, scrittori, compositori, registi, pittori, scrittori, da me invitati a parlare sull’argomento, tra cui l’amico fraterno Angelo Jacomuzzi, alla cui cara memoria è dedicato questo saggio.

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italiani, quali Savinio, De Chirico, Ungaretti, animati – come quest’ultimo scrive nel 1924 rievocando la figura di Apollinaire sulle pagine della rivista «L’Esprit Nouveau», – dalla stessa «volonté audacieuse qui renouvelait chaque matin le visage des chose et nous imposait la joie de tenter l’inconnu2». Per quanto riguarda quest’ultimo punto dirò subito, anticipando le conclusioni per chiarezza espositiva, che un proto-surrealismo italiano si viene delineando, già a partire dagli anni 1917-18, nei cenacoli di artisti e intellettuali che gravitano intorno a riviste come «Noi», «Procellaria», «Bleu», «Valori plastici». Lo stesso termine surrealismo entra assai precocemente in circolazione in Italia: nel numero 4 di «Procellaria», uscito nell’ottobre del 1917 e incentrato sul contributo musicale di Germane Albert-Birot a Les Mamelles de Tirésias di Apollinaire, da lui definito «drame surréaliste», andato in scena il 24 giugno di quello stesso anno al teatro Maubel di Parigi3. A parte la rapidità nella ricezione del

2 Cfr. G. Ungaretti, Le départ de notre jeunesse, in Saggi e interventi, (a

cura di Diacono e L. Rebay), Milano, Mondadori, 1974, p. 46. 3 A proposito del lavoro teatrale di Apollinaire è interessante la testi-

monianza di Giorgio de Chirico, che in una lettera da Ferrara del 7 aprile 1918, sostiene l’influenza di Savinio su Apollinaire: «In quanto alle Mammelle del buon Apollinaire, sono una farsa messa su da Savinio, quando Savinio era ancora a Parigi, e scriveva cose meno belle di quelle che fa ora. Il signor Apollinaire ha rifatto un po’ l’ordito saviniano, guastandoci naturalmente ciò che ci poteva essere di buono, e poi lancia il libro come una pura creazione». Sul rapporto simbiotico instauratosi tra Apollinaire e Savinio rimando a A. Tinterri, Savinio e l’”Altro”, Genova, Il nuovo melangolo, 1999, p. 27. Molti anni più tardi – è ancora Alessandro Tinterri a ricordarlo - Savinio, in un articolo intitolato Scambi, rileverà una forte somiglianza fra La jolie rousse di Apollinaire e i propri Chants de la Mi-Mort: «Ho fatto un calcolo mentale: ho determinato anche coi numeri degli anni la precedenza che su La jolie rousse hanno i Chants de la Mi-Mort. Tutto torna. Non rimane dubbio. Solo un animo sciocco, solo un animo volgare vedrà in queste parole il compiacimento per la somiglianza scoperta. È una gioia invece, profonda, profondissima. Gioia per un conchiuso patto di amicizia. Perché io ho pensato, ho sentito «come» la mia poesia, cioè a dire io stesso sono entrato per mezzo della mia poesia in lui, e come sono diventato lui, ossia «sua» poesia. Gioia di sentire questa reciprocità,

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termine, assai prima della sua istituzionalizzazione nel Primo Manifesto del Surrealismo, è storicamente accertato l’apporto di personaggi come Giorgio De Chirico, il fratello Savinio, Ungaretti, Severini, Soffici, Prampolini al clima culturale che favorirà l’avvento della nuova avanguardia. Il debito nei con-fronti dei primi due viene francamente riconosciuto dall’indi-scusso caposcuola del movimento, André Breton:

Tutto il mito moderno ancora in formazione poggia originariamente sulle due opere, quasi indiscernibili nello spirito, di Alberto Savinio e di suo fratello Giorgio De Chirico, opere che hanno raggiunto il loro apice alla vigilia della guerra del 19144.

Una funzione catalizzatrice nel crogiolo delle avanguardie

parigine sarà assunta man mano da André Breton. Nato nel 1896, studente di medicina a Parigi, durante il primo conflitto mondiale viene mobilitato come infermiere all’ospedale di Nantes. È però spesso a Parigi dove entra in rapporto con Guillaume Apollinaire l’autore di Alcools (1913) Calligrammes (1914). Pubblica i primi versi di impronta tardo-simbolista sulla rivista «La Phalange»5 nel 1914. Intorno a quella rivista post (o neo) simbolista, gravitava una cospicua parte della società di intellettuali e di poeti presente a Parigi in quel momento: Larbaud, Léon Paul

questo legame; e che anche lui deve qualcosa a me, che a lui devo tanto». Cfr. A. Tinterri, op. cit., pp. 27-28.

4 Cfr. A. Breton, Antologia dello humour nero, Torino, Einaudi, 1996, p. 303. 5 Secondo Fontanella, Ungaretti e Breton non si incontrarono probabilmente

nell’ambito della «Phalange», ma piuttosto nei «luoghi deputati, per eccellenza, alla poesia, tra cui il celebre Caffè «Closerie des Lilas», dove ogni martedì sera Paul Fort, principe dei poeti, richiama una gran folla di ascoltatori. I due futuri amici stringono amicizia con scrittori e artisti che soltanto qualche anno dopo, col ritorno di Ungaretti a Parigi, avranno in comune: primo tra tutti, natural-mente, Guillaume Apollinaire, che Ungaretti conobbe di fatto nel ‘13». Cfr. L. Fontanella, Ungaretti a Parigi: la partecipazione al dada/surrealismo e i rapporti con André Breton, in La parola aleatoria. Avanguardia e sperimen-talismo nel Novecento italiano, Firenze, Le Lettere, 1992, pp. 15-16.

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Fargue, Salmon, Valéry, Apollinaire e Giuseppe Ungaretti la cui presenza nell’ambiente parigino è stata spesso sottovalutata dalla critica mentre invece dovrebbe essere posta accanto a quella di De Chirico e Savinio nella elaborazione di un immaginario che entrerà a far parte del “metodo” surrealista.

Proprio a De Chirico fa riferimento Breton il 22 gennaio 1919 scrivendo a Tzara la prima di una lunga serie di lettere in cui si presenta: «Ho vent’anni. Credo al genio di Rimbaud, Lau-tréamont e Jarry; ho infinitamente amato Guillaume Apollinai-re, provo una tenerezza profonda per Reverdy. I miei pittori preferiti sono Ingres, Derain; sono molto sensibile all’arte di De Chirico»6. Intanto nello stesso anno esce la rivista «Littérature» in cui viene anche annunciata la collaborazione di Cocteau. La rivista chiarisce immediatamente i programmi del movimento: nell’intento di opporsi alla cultura tradizionale e borghese indi-ca validi punti di riferimento in Baudelaire, Rimbaud, Lau-tréamont, Apollinaire, Mallarmé, Novalis e nelle teorie psico-analitiche. A fianco della rivista Breton lavora all’esperienza di scrittura automatica che sfocerà nelle prose e nei versi di Les champs magnétiques.

Nell’intento di uscire dai rigidi schemi della ragione e del-l’osservazione realistica dei fatti per cercare significati ulteriori e più autentici legami con la profondità dell’io, Breton e Soupault cercano di sondare il mondo del sogno e dell’inconscio, per registrare e trascriverne i dati. Ricorda Philippe Soupault:

Ci apparve evidente che la poesia era ancora paralizzata da certi divieti, che non esauriva le enormi possibilità dei sogni che André Breton ed io ci impegnavamo a studiare. Devo precisare che André sognava tutte le notti, intensamente, e che possedeva la capacità così rara di ricordare i propri sogni. Tutte le poesie sono, in qualche modo, ispirate e dominate da ricordi onirici. Certe opere di Freud, riservate nel 1918 a specialisti, ci avevano affascinato. Fummo colpiti dal-

6 La citazione è tratta da L. Binni, Il Surrealismo, Roma, Newton &

Compton Editori, 2003, p. 29.

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l’importanza eccezionale delle immagini, e confrontammo quelle di cui il linguaggio popolare è così ricco con quelle create da poeti degni di questo nome, e con quelle che illuminavano i nostri sogni. Proposi ad André di proseguire le nostre esperienze. Era più lucido di me. Queste esperienze ci portarono a considerare la poesia come una liberazione, come l’unica possibilità di accordare allo spirito una libertà che non avevamo conosciuto o voluto conoscere che nei nostri sogni, e di liberarci dell’intero apparato logico7.

André Breton, costata che «lo spirito liberato dall’insieme delle pressioni critiche e delle abitudini scolastiche offriva im-magini e non proposizioni logiche», per cui, se lui e Soupault avessero sperimentato un tipo di scrittura che lo psichiatra Pierre Janet aveva definito automatica, avrebbero potuto penetrare in un universo inesplorato.

André era inquieto, addirittura febbrile. Si interrogava. Perciò non avemmo alcuna difficoltà a rispettare il periodo di quindici giorni che ci eravamo fissati. Avevamo subito stabilito che questa esperienza sarebbe rimasta segreta. Abbiamo così scritto, fianco a fianco, quel centinaio di pagine che avrebbe provocato ciò che André Breton ha chiamato più tardi la rivoluzione surrealista. Quando rileggemmo ciò che avevamo scritto, rimanemmo sorpresi, anzi stupefatti. Questi testi erano diversi da quelli che ammiravamo. Ciò che sbalordiva André era, più che le immagini, l’humour involontario e insolito che emergeva ambigua-mente attorno a una frase. Erano continue esplosioni di risate8.

Un fortunato neologismo

Era stato Apollinaire – l’abbiamo già ricordato – a suggerire

il termine “surrealismo”. In realtà il neologismo si può far risalire a Gérard de Nerval che nella dedica delle Filles du Feu (1854) utilizza il termine supernaturalisme (non senza ricordarne

7 Cfr. F. Fortini, L. Binni, Il movimento surrealista, Milano, Garzanti, 1991,

pp. 62-63. 8 Ibid., pp. 63-64.

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l’ascendenza collocabile in ambito romantico tedesco) per indicare il processo di sublimazione del reale, attraverso l’arte, onde accedere a una superiore sfera emotiva e percettiva. Il fortunato neologismo, che in Apollinaire pare ancora sostan-zialmente legato all’idea romantica di “supernaturalismo”, riceve una nuova connotazione grazie ad André Breton, come sarà da lui stesso puntualizzato nel Primo Manifesto:

In omaggio a Guillaume Apollinaire […] Soupault e io designammo col nome di SURREALISMO il nuovo modo di espressione pura che avevamo a nostra disposizione, e che eravamo impazienti di trasmet-tere ai nostri amici. Credo che oggi non sia più necessario tornare su questa parola, e che l’accezione in cui l’abbiamo presa si sia gene-ralmente imposta sulla accezione apollinairiana. A maggior ragione, senza dubbio, avremmo potuto impadronirci della parola SUPER-NATURALISMO usata da Gérard de Nerval nella dedica delle Filles du Feu.[…] Ecco due frasi di Nerval che mi sembrano, a questo riguardo, molto significative: Cercherò di spiegarle, caro Dumas, il fenomeno di cui ha parlato prima.[…] Lei sa con quanta convinzione il nostro vecchio amico Nodier raccontava come avesse avuto la sventura di essere ghigliottinato all’epoca della Rivoluzione; si restava talmente convin-ti, che ci si chiedeva come fosse riuscito a farsi riappiccicare la testa. … E poiché lei ha avuto l’imprudenza di citare uno dei sonetti composti in quello stato di fantasticheria SUPERNATURALISTA, co-me direbbero i tedeschi, bisogna che li senta tutti. Li ritroverà alla fine del volume. Non sono per niente più oscuri della metafisica di Hegel o dei Memorabili di Swedenborg, e perderebbero il loro incan-to ad essere spiegati, se questo fosse possibile, mi conceda almeno il merito dell’espressione… . Bisognerebbe essere in mala fede per contestare il diritto che abbiamo di usare la parola SURREALISMO nel senso particolarissimo in cui l’intendiamo, perché è chiaro che prima di noi questa parola non aveva avuto fortuna9.

9 Si veda il primo Manifesto (1924) in A. Breton in Manifesti del

Surrealismo, Torino, Einaudi, 1966, pp. 29-30.

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Ma ben prima del ‘24 Breton era già pronto a catturare tutte le immagini emergenti dal sogno e dal profondo: almeno sin dal 1919, quando aveva fondato a Parigi, con Louis Aragon, Paul Éluard e Philippe Soupault, la rivista «Littérature», che prendeva le mosse dalla crisi in cui era entrato un altro dei movimenti artistici d’avanguardia dell’inizio del secolo, il dadaismo.

Proprio sulle pagine di «Littérature», nel novembre del 1922, Breton aveva dato una prima definizione del termine surrealismo in uno scritto intitolato Entrée des médiums:

Si sa, fino a un certo punto, si sa che cosa io e i miei amici intendia-mo con la parola surrealismo. Questa parola, che non è stata inventata da noi, e che avremmo anche potuto abbandonare al più vago vocabo-lario critico, è usata in un senso preciso. Abbiamo convenuto infatti di designare per mezzo suo un certo automatismo psichico che corri-sponde abbastanza bene allo stato di sogno, uno stato che oggi è mol-to difficile delimitare. Mi scuso di introdurre qui un’osservazione per-sonale. Nel 1919 la mia attenzione si era soffermata su frasi più o meno parziali, che, in piena solitudine, alla vicinanza del sonno, si fanno percettibili allo spirito, senza che sia possibile scoprire una loro determinazione anteriore. Tali frasi, notevolmente ricche di immagini e dotate di una sintassi perfettamente corretta, mi erano apparse come elementi poetici di prim’ordine10.

Un incontro all’Hôtel des Grands Hommes

Nella rievocazione del clima caotico ed effervescente della

Parigi dell’inizio degli anni venti e dell’importanza che ebbe, a dispetto della sua esilità, una delle più vivaci petites revues, la «Littérature» di Breton, Aragon e Soupault, possiamo avvalerci di un testimone d’ eccezione: Giuseppe Ungaretti. Come ricorda lo stesso poeta, appena ritornato, nel novembre 1918, dalle zone

10 Cfr. A. Breton, Entrée des médiums in «Littérature», n. 6, novembre

1922, pp. 1-2. La traduzione è nostra.

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montuose di Reims – dove si sarebbero combattute le ultime battaglie e dove gli era stato affidato il compito di curare la redazione di «Sempre Avanti!», un periodico destinato alle nostre truppe distaccate sul fronte francese – Ungaretti inizia la sua collaborazione a «Littérature»:

Nel 1919 o nel 1920, non ricordo bene, tre giovani che avevano sì e no 20 anni, Breton, Aragon e Soupault fondavano una rivista patrocinata da Paul Valéry. Era una rivistina, composta d’una trentina di paginette oblunghe, e sulla copertina gialla non portava che il titolo in minuscole grasse, sottolineato con durezza: littérature. Il titolo era stato scelto da Valéry, e voleva essere un titolo ironico. Se ricordo questa rivista e quegli anni, è perché spesso gli avveni-menti che passano alla storia sono quelli dei quali il pubblico fa meno caso. E difatti littérature non solo rese palese lo stato d’animo di quel momento; ma dalle discussioni ch’essa promosse, ebbe origine una scuola, il surrealismo, la quale, sia per le reazioni che andò e va determinando, sia per le opere che produsse e promette di produrre, già gode di largo credito11.

Una svolta fondamentale nel percorso letterario di Ungaretti è segnata quindi proprio dal suo incontro con Breton, avvenuto probabilmente già nel gennaio del ‘19, all’Hôtel des Grands Hommes, porto di mare per scrittori e artisti di tutte le nazio-nalità, come lui stesso ricorda:

In quegli anni, ‘19, ‘20, ‘21, strinsi amicizia con Breton. Non so come avvenne. Abitava allora l’Hôtel des Grands Hommes, un albergo per studenti in Place du Panthéon. Lo incontravo quasi ogni giorno nella sua cameretta, e un giorno ve lo incontrai che tentava di mettere insieme dei pezzettini di carta, e tutt’intorno c’era una grande con-fusione. Un’amica gelosa gli aveva, nella sua rabbia, strappato i disegni di Modiglioni che, fissati accuratamente con chiodini alle pareti, gli avevano per tanto tempo tenuto compagnia. Ecco un’altra delle sue passioni, oltre all’amore della scrittura, l’amore per le arti figurative. Ci entrò dentro fino al collo, dette loro un nuovo sostegno

11 Cfr. G. Ungaretti, Idee e lettere della Francia d’oggi, Saggi e interventi,

op. cit., p. 229.

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teorico, e certo la corrente delle arti figurative, della quale fu sprone, guida e illustratore, è forse, e senza forse, tra le due guerre, la corrente più energica e quella che lascia il numero maggiore di opere valide.12

Da quel momento Ungaretti entrerà stabilmente in un gruppo

di amicizie e conoscenze che si allargherà fino a abbracciare la totalità degli autori che partecipano agli esordi del movimento surrealista. Breton gli fa conoscere Soupault, l’allora «insepara-bile13» Aragon, Tzara. Ungaretti mette in contatto Breton e Robert Desnos. Ben presto si aggregano altri compagnons de route, tra cui Paul Éluard, Benjamin Péret, Blaise Cendras, André Salmon.

L’esordio ungarettiano sulle pagine di «Littérature» avviene in coincidenza con la pubblicazione di una nota sulla raccolta di poesie di Papini Giorni di Festa (1918). Più che di una vera e propria critica, si tratta di un testo proto-surrealista, che invece di esporre e commentare il libro papiniano, gli si affianca sullo stesso piano creativo, in un flusso ininterrotto di immagini, assai simile a quello che Breton e Soupault stavano mettendo in atto con Les Champs magnétiques.

La collaborazione di Ungaretti a «Littérature» è accolta su-bito con favore e Aragon stesso gli dedica un’attenzione par-ticolare con un breve articolo che mette in rilievo i motivi pro-priamente ungarettiani: quelli dell’isolamento e del dolore. Tra le tante iniziative della rivista «ce ne fu una specialmente sintomatica», con le parole di Ungaretti:

Agli scrittori d’ogni scuola, e specialmente agli anziani, fu rivolta una domanda impertinente: «Perché scrivete voi?».

12 Cfr. G. Ungaretti, André Breton, in Saggi e interventi, op. cit., p. 657. 13 Un importante saggio del ‘47, intitolato Missione del letterato, (ora in

Saggi e interventi, cit., pp. 847-854) inizia con queste parole: «Nel 1919 conobbi André Breton e Louis Aragon allora amici inseparabili, l’uno e l’altro medici, sottotenenti di complemento di prima nomina; ma terminato il servizio militare non esercitarono che la professione di scrittore.»

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Tra le tante risposte, un buontempone disse, e mi pare fosse Max Jacob: «Per scrivere sempre meglio»; ma in maggioranza, fiore di firme, ammise che scriveva per disperazione, oppure per debolezza, altri parlò di dovere, e non mancò gente di faccia tosta che dissero di farlo per mangiare.

La risposta14 di Ungaretti alla domanda: Pourquoi écrivez

vous? viene inserita come seconda, dopo quella di Valéry. A distanza d’anni, nel 1947, commenterà quel suo breve scritto con queste parole:

Quando l’altra guerra fu terminata e «Littérature» che allora avevano fondata Breton, Aragon, e Soupault mi chiese, come ad altri, perché scrivessi, risposi amaramente ch’era un modo di fare almeno ideal-mente ciò che nella realtà m’era impossibile. Il segno d’un’impo-tenza, il desiderio d’una potenza che uomini fatti finalmente liberi e fraterni sopra ogni cosa pensosi d’ essere civili, avrebbero ottenuto dalla loro buona volontà. Non si è spenta in me quella speranza…15

Tra le manifestazioni surrealiste cui Ungaretti partecipa, la più clamorosa è quella che lo vede “testimone-chiave” nel “processo” inscenato il 13 maggio 1921 nella Salle des Sociétés savantes: L’Affair Barrès. Il tribunale era presieduto da Breton, assistito da Thedore Fraenkel e Paul Deval, in veste di giudici. Il Pubblico Ministero era rappresentato da Georges Ribémont-Dessaignes; difensori: Aragon e Soupault. Fra i testimoni figura-vano Ungaretti, Tzara, Rigaut, Péret, Drieu La Rochelle, Renée Dunan, Margherite Buffet, Serge Romoff. Tzara e Péret si assun-sero il compito di incarnare i due estremi divergenti, non tanto nell’accusare o assolvere Barrès, quanto invece nel prendere,

14 La risposta di Ungaretti all’inchiesta lanciata da «Littérature» nel

novembre del 1919 fu pubblicata nel gennaio 1920, come penultima, subito prima di quella di Valéry. Tenendo conto che le risposte di autori celebri o sconosciuti venivano pubblicate nell’ordine inverso al giudizio formulato dai redattori della rivista, Ungaretti fu secondo in classifica.

15 Cfr. G. Ungaretti, Missione del letterato, Saggi e interventi, op. cit., p. 847.

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l’uno il processo sul serio (Péret), l’altro nel deriderlo (Tzara). Più tardi Breton avrebbe elogiato Péret e criticato aspramente il comportamento di Tzara che si era perso ancora una volta in buffonerie dadaistiche, segnando con questo la sua avversione a ogni atteggiamento di pura provocazione e di ribellismo dada. La testimonianza ungarettiana, oltre a rappresentare un’ulteriore controprova dell’adesione “provvisoria” del poeta italiano al na-scente movimento surrealista, ne rivela le più profonde motiva-zioni, ascrivibili a un atteggiamento empatico verso tutto ciò che costituiva ai suoi occhi segno di audacia nel tenter l’inconnu, nella sua carica dirompente di vitalismo, gioco, azzardo, ironia.

Rievocando i primordi del surrealismo Ungaretti sottolinea il fatto che «Littérature» rimase «una rivista dove la preoc-cupazione di scrivere bene permaneva». Finché fu però anche «l’organo di Dada» si propose di ribellarsi «a ogni ordine costituito», «di discreditare l’arte e di scoraggiare dall’arte», cosa che «da parte di Breton e Aragon poteva sembrare un paradosso» e certo non poteva riscuotere le simpatie di Ungaretti, il cui sperimentalismo fu sempre scevro da ogni eccesso iconoclasta e improntato a un “pudore” che lo portava a rifiutare atteggiamenti provocatori e plateali. La svolta decisiva avvenne, secondo Ungaretti, proprio in coincidenza con l’allontanamento di Tzara:

Un giorno ci fu la scissura con Tristan Tzara, e nacque il Surrealismo. Il Surrealismo non dimenticava di dichiararsi insofferente di quanto si conformava alla Società di oggi; ma si rese conto che della negazione, non poteva l’espressione poetica fasi l’unico proprio motivo d’essere. L’atteggiamento in sé paradossale di Breton dadaista si scioglieva e, senza negare l’apporto di Dada, la necessità della negazione finiva dialettica, e rendeva positive le ricerche e le soluzioni del Sur-realismo16.

Nel clima arroventato di quegli anni la partecipazione di un

poeta del calibro di Ungaretti non è certo da sottovalutare, tanto

16 Cfr. G. Ungaretti, André Breton, in Saggi e interventi, op. cit., p. 658

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più che intorno al 1918-’20 gli avanguardisti parigini non hanno definito ancora i loro programmi. Si sta già delineando la pole-mica con Paul Dermée e Ivan Goll che rivendicheranno più tardi una sorta di primogenitura nell’invenzione di un “metodo” sur-realista. Paul Dermée insisterà sul fatto di aver ampiamente uti-lizzato, proprio sin dal 1919-20, soprattutto sulle pagine della rivista «L’Esprit Nouveau» (da lui diretta insieme a Le Corbu-sier e Ozenfant), il termine surrealismo, come ricorderà in una lettera aperta a Breton, citando i suoi articoli su Baudelaire, Lautréamont, Poe, «annunciatori della nuova poesia»17. Yvan Goll farà uscire nel ‘24 un Manifeste du Surréalisme seguito da testi di Reverdy, Crevel, Albert-Birot, Dermée ed altri su un numero unico di una rivista intitolata «Surréalisme».

Tanto Dermée quanto Goll faranno riferimento ad articoli pub-blicati già nel 1919-20 e improntati a una nozione di «surreali-smo» completamente diversa da quella che, a loro parere, sarebbe propria di Breton e Tzara, non nominati se non come ex-dada, in-fatuati di teorie para-freudiane e pronti ad ogni provocazione pur di continuare a far parlare di sé. La bagarre si farà rovente quan-do Yvan Goll organizzerà nel ‘24 al Théâtre des Champs Elysées uno spettacolo di «danze surrealiste» della ballerina tedesca Vale-ska Gert. La serata si conclude in una rissa con insulti e schiaffi tra le opposte fazioni. Di qui verrà a Breton l’impulso a definire le linee programmatiche del movimento per rivendicarne la novità rispetto alle manifestazioni di un diffuso “spirito surrealista”, tant’è vero che Breton trasformerà in un vero e proprio manifesto quella che era inizialmente l’introduzione al Poisson soluble.

Al vivacissimo e caotico clima culturale della Parigi degli anni ‘19-’20 Ungaretti partecipa pienamente, animato dalla sua «volonté audacieuse […] de tenter l’inconnu». Sembrano parole

17 La lettera di Dermée a Breton fu stampata con il titolo Pour en finir avec

le surréalisme sulla rivista «Le Mouvement accéléré», da lui diretta nel novembre 1924.

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di Breton e invece sono di Ungaretti che le scrive, come abbiamo detto nel ‘24, in un fascicolo dedicato a Apollinaire della rivista «L’Esprit Nouveau», diretta da Paul Dermée. La sua collaborazione a «Littérature» non è quindi certo quella di un neofita che è «influenzato da maestri», ma è «convita partecipazione di un poeta autonomo nella consapevolezza di contribuire alla creazione di un modo nuovo di fare lettera-tura.»18. La traduzione della sua lirica dedicata alla memoria di Moammed Sceab ad opera di Apollinaire, ma anche e soprat-tutto il carattere audacemente sperimentale della scrittura poe-tica di Derniers jours, lo immettono nello stesso «programma di rinnovamento della poesia francese di quegli anni, rinnova-mento cui contribuirono in modo decisivo soprattutto i poeti surrealisti»19.

Un viaggio in un cielo umoristico

Il legame tra Breton e il poeta italiano è molto più profondo e

viscerale di quanto si immagini. La ricerca surrealista che si

18 Cfr. L. Fontanella, op. cit., p. 17. 19 Cfr. L. Fontanella, Ungaretti a Parigi: la partecipazione al dada/surrea-

lismo e i rapporti con André Breton, in La parola aleatoria, avanguardia e spe-rimentalismo nel Novecento Italiano, Firenze, Le Lettere, 1992, pp. 16-17. Non sarà superfluo ricordare che Ungaretti aveva già stabilito nel suo primo soggiorno a Parigi collaborazioni e amicizie che saranno tramite per entrare, nel suo secondo periodo francese,in contatto con Breton. Grazie alla rivista «La Phalange» Ungaretti aveva conosciuto vari letterati e poeti francesi, tra cui Léon-Paul Fargue, Salmon, Valéry, Apollinaire. Ed è proprio sulla rivista di Royère che Breton aveva fatto il suo debutto letterario con la pubblicazione di alcuni testi inseriti nel numero 93 (20 marzo 1914). Si può quindi concludere – come suggerisce Fontanella – che il primo “incontro poetico” tra Breton e Ungaretti avviene proprio sulle pagine della «Falange», anche se i due si conosceranno di persona solo durante il secondo soggiorno parigino del poeta italiano, ossia nel 1918.

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propone di giungere a una fonte a cui bere acqua nuova dal potere sovversivo e – nonostante questo, anzi proprio per questo – taumaturgico si trova sulla stessa lunghezza d’onda di quella di Ungaretti, come egli stesso riconosce. La parola libera da costrizioni comunicative, spaesante e ironica, che può acquistare odore d’incenso o di bruciato ma sfugge pur sempre alla desa-cralizzazione della consuetudine e della banalità (al valore mer-cantile, prostituito, che prende oggi ogni cosa), la parola che può «avere il suo senso e il suo opposto» è, per Ungaretti, quella cui attingono, da buon romantico, Lautréamont ma anche i surrealisti

Di eccezionale interesse è una lettera (non datata, ma as-segnata dallo stesso Ungaretti agli anni 1929-30), scritta da Ma-rino ad Andrea Caffi, che allora soggiornava per lunghi periodi in casa Caetani.

Non so se hai mai visto un mio articolo su Lautréamont, in un numero dedicato precisamente a questo poeta dal «Disque vert», rivista che alcuni anni fa pubblicava Hellens a Bruxelles. Cercavo, in un modo che oggi può parermi ingenuo, ma che allora toccava nel vivo un problema, in che modo potesse scoprirsi l’originalità di Lautréamont. E vedevo, mettendo in contrasto le Poésies con i Chants de Maldoror, un uomo spinto alle ultime conseguenze. Un’ironia in funzione di rivolta. Insomma Lautréamont dimostrava non solo che la parola può avere il suo senso e il suo opposto, che un detto sacro, come può es-sere un proverbio o una massima di Pascal, può diventare detto altret-tanto sacro mutando una parola, e mettendocene una che dica preci-samente l’opposto, letteralmente, di quella che c’era, e la stessa cosa di prima, con l’aiuto dell’ironia; ma dimostrava anche che l’uso di questa ironia poteva essere un’arma di disorientamento, e accelerare il finimondo, tanto che egli aveva terrore dell’uomo. Poiché nella potenza della parola, da buon romantico, egli continuava a credere. In un Breton e in un Aragon il surrealismo mi pare sia andato prendendo questo valore.20

20 La lettera rinvenuta tra le carte della principessa Marguerite Caetani,

animatrice della rivista «Commerce», è stata inclusa da Iris Origo nel suo Ritratto di Marguerite, pubblicato su «Tempo presente», n. 3, marzo 1965, pp. 20-32, ora in G. Ungaretti, Saggi e interventi, op. cit., pp. 899-900.

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Del disorientamento verbale, di un’ironia in funzione di ri-volta potremmo trovare innumerevoli riscontri nei Manifesti e negli scritti teorici di Breton. Di quest’ironia, che può portare ad esaltare l’arte magica delle fattucchiere i surrealisti, in modo un po’ puerile, un po’ sornione, hanno saputo farsi un’arma più di difesa che di offesa:

Insomma nei surrealisti, l’ironia li porta a vantare l’arte magica delle fattucchiere; ma è un modo puerile e in un certo senso civet-tone e che, difatti, - ciò che dimostra la potenza della parola – fa effetto; è un modo che in qualche modo protegge la loro dignità, di fronte al valore mercantile, prostituito, che prende oggi ogni cosa compresa l’arte.»21

Dall’ironia i surrealisti traggono la forza per sostenere la libertà come raccomandava Goethe, ma anche la visione stra-ziante del vero di un Leopardi e l’annuncio di una nuova verità fatto da Nietzsche:

“Ricordi l’aforisma di Nietzsche? Più nulla è vero, tutto è per-messo, che capovolge il pensiero di Leopardi: L’uomo ha tolto alla realtà il mistero, non resta che la visione straziante del vero. E infi-ne quel pensiero di Goethe: Prima di liberare lo spirito dategli la forza per sostenere la libertà. L’ironia sarebbe questa forza (Goe-the), questa nuova verità (Nietzsche) o questo nuovo illusorio mi-stero (Leopardi)? Anche in questo senso va interpretato Lautréa-mont, e il surrealismo”22.

21 Ibid., p. 900. Ungaretti prosegue discutendo con l’amico sulla possi-

bilità di ascrivere agli imaginisti autori come Claudel («caotico teologante», cultore di un’«arte-poltrona divina», «uomo delle cattedrali gotiche, accomo-date un po’ da Budda»), Perse («un umanista che evoca un mondo arcaico»), Fargue («l’uomo più sensibile oggi vivente», «tutto pieno di stupore e interamente consolato davanti alle immagini che teneramente accoglie dalla sua sensibilità»).

22 Ibid., p. 901.

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Il sodalizio tra Ungaretti e Breton non fu solo cementato dall’impetuosa ricerca di sempre nuove forme di linguaggio, dalla sincera, reciproca ammirazione (che non venne mai meno, anche quando vi furono dissensi sul piano letterario e politico). I continui interscambi, diretti o mediati, nell’ambiente letterario quanto mai effervescente e ricettivo che si era formato nella ca-pitale francese in quegli anni ruggenti, si intensificarono e pro-lungarono ben oltre i due soggiorni parigini di Ungaretti, soprat-tutto in virtù della collaborazione alle stesse riviste. Oltre a quelle nettamente schierate sul versante surrealista, cui abbiamo accennato, possiamo ricordare, tra le rassegne letterarie più importanti di quel periodo, la già citata «Commerce», operante dal 1924 al dicembre del 1932, sotto la direzione di Paul Valéry, Léon Paul Fargue e Valéry Larbaud, di cui fu animatrice la principessa Marguerite Caetani, e «Mesures», attiva tra il gennaio del 1935 e l’aprile del 1940, finanziata Henry Church e curata dallo stesso, insieme a Ungaretti, Michaux, Paulhan, Groethuysen.

Dalle pagine di «Commerce» si diffuse la conoscenza di Lorca, Eliot, Joyce, Kafka, Virginia Woolf e di tanti altri che, come ricorda Ungaretti, rappresentavano «i risultati più persua-sivi di quel momento», mai avulsi però da un’attenta «ricerca di tradizioni». Da quelle pagine prese nuovo vigore anche l’inte-resse per le filosofie orientali in generale e in particolare per la scuola buddhista Zen, ben nota a Ungaretti (che proprio al-l’influenza di «Commerce» fa risalire la sua diffusione tra i let-terati e gli artisti operanti a Parigi in quegli anni) e, più a mon-te, per il taoismo che, a mio avviso, ha una parte non marginale nel pensiero surrealista.

Di Ungaretti furono pubblicate, soprattutto tra il 1925 e il 1927 molte poesie (tra cui l’Inno alla morte, la Nascita d’auro-ra, Sera, Roma, Usignuolo, Inno alla morte, La fine di Crono, L’isola, Il capitano, Aura e questo cantilenante Sogno: «O navicella accesa, / corolla celestiale / che popoli d’un’eco / il

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vuoto universale…») insieme a numerosi scritti di Breton, Aragon, Ponge, Michaux, di Franz Hellens (che dirigeva la rivista belga «Disque vert» cui collabò sporadicamente anche Ungaretti). A introdurre la cultura e la filosofia tedesca prov-vedeva Bernard Groethuysen, professore di filosofia a Berlino, marxista (faceva parte del comitato che preparava per l’Unione Sovietica l’edizione delle opere di Marx ed Engels).

Il sodalizio tra Ungaretti e Breton trova una consacrazione in due poesie che l’uno dedica all’altro. Quella di Ungaretti è la celeberrima Perfections du Noir23, che rappresenta già di per sé una inequivocabile testimonianza di adesione alle “tecniche” messe in atto in ambiente dada-surrealista, quali la conversione ironica e paradossale in opere d’arte di oggetti, ritagli di giornali, materiali di scarto (si pensi ai primi ready-made di Duchamp). Lo stesso titolo è una spiritosa trouvaille carpita all’antica arte dei tintori:

Durante la guerra, sostando in un castello sventrato nei pressi di Épernay, raccolsi un manuale seicentesco, nel quale la Corporazione dei tintori dava ai suoi membri istruzioni rigorose affinché la tintura delle stoffe risultasse sempre pienamente soddisfacente. Uno dei capitoli si intitolava Perfections du noir.24

Rileggiamo alcuni brani di quella che è certamente la più

riuscita prova ungarettiana di poesia visiva e surreale25.

23 Cfr. G. Ungaretti, Perfections du noir in Vita d’un uomo. Tutte le poesie

(a cura di L. Piccioni), Milano, Mondadori, 1969, p. 353-359. 24 Quest’episodio è ricordato in una nota di Ungaretti a Perfections du noir,

in Tutte le poesie, cit., p. 579. 25 Perfections du noir faceva parte della raccolta Derniers jour, inserita

nell’edizione Vallecchi dell’Allegria (1919), ora in Tutte le poesie, op. cit., pp. 353-357.

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PERFECTIONS DU NOIR

à André Breton pour le Mont de Piété

des échos de bruits

nous arrivent parfois

nous sommes si loin de tout

L’impostazione grafica suggerisce l’idea di una pagina come

campitura vuota in cui oscillano diafani, sfatti, grumi di ricordi, frammenti di paesaggi africani. Sui tappeti volanti di un’im-maginazione che, come il deserto, è senza limiti, si sollevano in aria case e minareti:

des maisons surgissent et voguent

on les a perdues de vue aucun ne sait l’itinéraire

l’albâtre des minarets leurs corps s’écoulaient

laisse à l’air comme une huile

un reucoulement ils laissent leurs formes

de jasmins à des caveaux de verre

un troupeau avec mes dents

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d’hommes j’ai déchiré

débarqué tes artères

ronfle parmi d’autres

colis une forte odeur nous

avons tant bu de cordages

et tant ri

quelqu’un est étendu le ciel se couvrait

dans un fauteuil de corbeaux

d’air damasquiné

sur un corne de la lune un corbeau

l’air a des coins perché

de gazon

ce n’est que l’effet frais

d’un bout de nuage

et le désert sonnait comme l’airain

Il tocco orientale di quell’air damasquiné, rende ancora più

favolosa l’apparizione di corvi appollaiati su un corno di luna, strettamente imparentati ai volatili che popolano le poesie di

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Breton e tante tele di surrealisti. Ne è punteggiata tutta di nero l’ondosa nuvolaglia d’immagini che, a sinistra del foglio, s’inclinano – corsive, recursive – a tutto campo. Nel profluvio di odori e profumi, nel transito incessante di uccelli e antilopi, di case, piazze e minareti pullula di vita – di vibrazioni, riverberi, soffi – persino il gouffre di baudelairiana memoria:

il ne reste

d’immobile que des rangées de lumières

au fond du gouffre

et des sifflements qui reviennent

Ma già, partendo da sinistra, si schierano in battaglia le

lettere, ergendosi rigide, ripetitive, uniformate all’arido paesag-gio urbano fatto di ferro e d’acciaio; già come frecce vanno in puntuta formazione a invadere tutto il campo, non più damascato e cangiante, ma desolato d’assenza:

sans maison sans famille sans famille sans amours sans amis sans souvenirs sans espoir que vient-il faire ici

L’alternanza tra ordine e disordine, vuoto e pieno, realtà e

sogno, speranza e disillusione, che pareva, in questo caso, portare a una cosificazione del soggetto (mettez donc de côté / cet objet / perdu) pare acquietarsi in un diffuso réverbère (che potrebbe celare una virata onirico-surreale in direzione del rêve).

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Ma poi subito riprende quota il desiderio, l’attitude svagata e nomade che trasmuta nella première lueur du matin questa piccola, perfetta “opera al nero”.

il est nu

comme la nuit comme une pierre

au lit d’un fleuve polie

comme une pierre où suis-je tombé

de volcan

rongée quelqu’un l’à cueillie

dans sa fronde mettez donc de côté

cet objet perdu

Ah je voudrais m’éteindre comme un réverbère à la première lueur

du matin

Chiusa, catafratta in un imbozzolarsi parossistico di imma-gini, che s’incalzano e sovrappongono nel tumultuoso affastel-larsi delle metafore, è la risposta che Breton dà nella sue Cartes sur les dunes, già raccolta nell’edizione del ‘23 di Clair de terre, all’autore di Perfections du noir. L’idea di uno spaesamento sistematico propugnato da Breton (sulla scorta di quello perseguito da Lautréamont «nell’incontro fortuito, sul tavolo operatorio, di una macchina da cucire e d’un ombrello») impre-

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gna queste Cartes combustibili e incendiarie in un pullulare nonsensico di metafore e analogie:

CARTES SUR LES DUNES

A Giuseppe Ungaretti

L’horaire des fleurs creuses et des pommettes saillantes nous invite à quitter les salières volcaniques pour les baignoires d’oiseaux. Sur une serviette damée rouge sont disposés les jours de l’année. L’air n’est plus si pur, la route n’est plus si large que le célèbre clairon. Dans une valise peinte de gros vers on emporte les soirs périssables qui sont la dedicato a Apollinaireplace des genoux sur un prie-Drieu. De petites bicyclettes côtelées tournent sur le comptoir. L’oreille des poissons, plus fourchue que le chèvrefeuille, écoute descendre les huiles bleues. Parmi les burnous éclatants dont la charge se perd dans les rideaux, je reconnais un homme issu de mon sang26.

Sarà proprio Ungaretti a ricordare come Breton, nonostante i

loro “dissensi”, poco prima della sua morte, mettendo insieme per l’edizione tascabile di Gallimard una raccolta di poesie «con il titolo già usato di Clair de terre», pur eliminando molte poesie con dedica, abbia conservato Cartes sur les dunes, «dove ripren-deva con gentilezza e squisitezza d’intenzioni e d’immagini la mia ispirazione d’uomo nato in una città di mare dell’Africa settentrionale confinante col deserto27».

Nella commemorazione del poeta francese fatta presso il Centre Culturel Français di Roma del 16 febbraio del 1967 Ungaretti riconosce in Breton non solo il rinnovatore più risoluto e più singolare degli ultimi cinquant’anni, ma anche l’altissima qualità poetica delle sue opere (soprattutto quello in prosa, si direbbe). Alquanto ironica è l’immagine finale di Breton, rappresentato come una specie di castigamatti, sempre

26 Cartes sur les dunes è citata integralmente da Ungaretti nella nota a Per-

fections du noir, in op. cit., p. 580. 27 G. Ungaretti, André Breton, Saggi e interventi, op. cit. p. 660.


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