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Satisfiction n° 1

Date post: 25-Mar-2016
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Il primo numero di Satisfiction online
24
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Ed eccoci finalmente ad inaugurare il primissimo numero di Satisfiction versione rivista online.

Ne è passato di tempo da quando abbiamo inaugurato il blog, vero? E‟ passato esattamente… un anno e noi ci occupavamo principalmente di fanfiction.

Tutto è nato per gioco, con la volontà di intervistare fanwriters famosi e alla fine siamo approdati agli scrittori esordienti, abbiamo perso vecchi amici (e soprattutto nemici) e acquistato nuovi valenti collaboratori, dando nuova vita e una ventata letteraria ad un blog nato quasi per caso e che ora si pone

l‟obiettivo di essere parte del mondo dell‟editoria.

Saremo quindi molto felici di accogliervi tutti come nuovi collaboratori, portate anche voi le vostre capacità a Satisfiction (che non è quello di Vasco Rossi! :D) e le vedrete pubblicate in questa nuova e scintillante veste!

Daniela Barisone

Due chiacchiere con Mario de Martino – di Debora Magini

Mario De Martino nasce nel 1993 a Torre del Greco (Napoli), attualmente vive a Portici dove frequenta il Liceo Scientifico. Ama disegnare e leggere, passione che lo ha portato a maturare la voglia di scrivere storie fantasy, ispirandosi ai grandi nomi che brillano nella letteratura di genere, dall‟intramontabile J.R.R. Tolkien a Terry Brooks, senza tralasciare Ursula K. Le Guin e il giovanissimo Christopher Paolini. Il pubblico ha avuto modo di notare il suo talento nel primo libro di questa serie, “L‟Erede, la spada del re” pubblicato da Runde

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Taarn edizioni nel 2009 e nel romanzo “Justin Dave e il ragazzo venuto dal futuro” pubblicato da 0111 edizioni sempre nel 2009. Il suo ultimo libro è stato pubblicato nel 2010 ed è un horror dal titolo “Con gli occhi dell‟innocenza”.

Intervista 07/06/2010;

D: Ciao Mario! Innanzitutto ben trovato su Sognando Leggendo e grazie per aver accettato di inaugurare questa nuova sezione del blog. Direi di iniziare subito con una domanda facile, facile… Perché non ci dici qualcosa di te, in generale?

R: Ciao Debora e grazie infinite per lo spazio che mi riservi sul tuo sito! Dunque… mi sento un po‟ come Pierino all‟esame, fiero di saper rispondere alla prima domanda del test (nome e cognome, appunto). Dunque, mi chiamo Mario De Martino e vivo nella provincia di Napoli. Frequento il Liceo Scientifico e adoro la lettura, la scrittura e il cinema.

D: Per quanto riguarda la tua passione per la scrittura quando è cominciata? E’ stata una conseguenza naturale del tuo amore per la lettura oppure è semplicemente qualcosa che ha sempre fatto parte di te?

R: Guarda, devo tanto al magnifico Walt. Eh, sì, proprio lui, Walt Disney. Ho cominciato a leggere Topolino in prima elementare (praticamente ho cominciato a leggere Topolino quando ho “imparato” a leggere) e a realizzare fumetti. Disegnavo di tutto e inventavo storie. Col tempo sono passato alla lettura dei classici. La folgorazione è arrivata con Dumas e il suo “I tre moschettieri.” Il tempo, le nuove letture e la vita stessa hanno fatto il resto.

D: Cosa significa per te “essere” uno scrittore e cosa rappresenta la scrittura per il tuo animo?

R: Io intendo “scrittore” non come un mestiere, ma come colui che inventa una storia. Essere padroni della stessa, stabilirne le dinamiche, riuscire a giostrare una vicenda secondo il proprio gusto ha dello straordinario. Essere uno scrittore significa avere una vicenda da raccontare e condividere con gli altri qualcosa di “proprio”. Per me rappresenta la totale estraneazione, come se si raggiungesse un mondo nuovo. Più bello.

D: Puoi dirci qualcosa del tuo processo creativo? Preferisci seguire l’istinto e poi revisionare i tuoi lavori o anche durante la prima stesura segui una traccia ben delineata e ti attieni attentamente ad essa?

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R: Comincio col buttare giù una scaletta. Una scaletta dettagliata, devo ammettere, con tanto di suddivisione in capitoli… poi, però, la scaletta finisce puntualmente nel cestino. La scrivo ma non la seguo. Lo so, è da matti, ma mi conforta sapere di avere tutto sotto controllo, anche se la storia si sviluppa indipendentemente da quei parametri. Dunque sì, scrivo d‟istinto. La maggior parte delle idee arriva al momento della stesura, alcune anche dopo. In questo preciso istante avrei voglia di aggiungere altre cose ai miei romanzi, già pubblicati. Una sorta di continuo perfezionamento che, credo, non terminerà tanto facilmente.

D: Hai un rituale specifico durante la stesura di un tuo romanzo?

R: Mi siedo al tavolo da lavoro, scrivo gran parte della storia, accendo una sigaretta, stappo una bottiglia di Dom Pérignon e vado a ultimare l‟opera in Colorado. No, aspetta… quello è Paul Sheldon in “Misery” (di Stephen King). Io scrivo per lo più in estate, quando il tempo libero è maggiore rispetto al resto dell‟anno. Di solito scrivo di sera, quando il silenzio è – quasi – totale. Per il resto non ho abitudini particolari.

D: Ormai, dopo quattro libri pubblicati e distribuiti su scala nazionale, possiamo dire che non sei più un semplice esordiente, no? Come è stata la tua scalata alla notorietà, una strada irta di ostacoli o un colpo di fortuna inaspettata?

R: Ecco, ora mi metti in difficoltà. Sì, è vero, dopo il primo romanzo, solitamente, si perde l‟etichettatura di “esordiente” e si acquista quella di “emergente”. Di conseguenza c‟è ancora molto da fare prima di raggiungere la notorietà. Anzitutto bisogna crescere, stilisticamente parlando, e il processo di crescita è lungo e difficile (anzi, forse non ha nemmeno una vera e propria fine).

Per il resto, a mio parere, non bisogna mai scrivere pensando già alla pubblicazione, all‟apprezzamento da parte del pubblico e cose così. Bisogna scrivere perché ci si sente bene con noi stessi e io ho fatto così. Tutto ciò che ne è seguito è venuto da sé. Sarà stata fortuna, sarà stata forza di volontà, non saprei dirlo. Forse per pubblicare occorrono entrambe le cose.

D: Il primo pensiero che ti è passato per la mente una volta scoperto che, sì, ce l’avevi fatta: presto saresti approdato in libreria.

R: «Un poveraccio che ha trascorso la sua intera esistenza sotto a un ponte, con stracci logori indosso e un pezzo di pane secco come unica fonte di sostentamento scopre di aver ricevuto l‟eredità di uno zio d‟America. Adesso è miliardario.»

Hai presente l‟espressione che potrebbe aver assunto? La mia era uguale. Pura felicità, il coronamento di un sogno.

D: Riferendoci alla tua ultima fatica, ossia “Con gli Occhi dell’Innocenza”, cosa ti ha spinto ad allontanarti dal tuo genere di riferimento (il Fantasy) ed avventurarti, oserei dire con un ottimo risultato, nel mondo dell’Horror?

R: Ti ringrazio per “l‟ottimo risultato”!

Bé, io adoro l‟horror e sono un grande ammiratore di Stephen King. Adoro i film dell‟orrore, le storie gotiche… tutto ciò che ha a che fare con la “paura”, ma detesto lo splatter. Di conseguenza ho sempre desiderato cimentarmi in una vicenda dell‟orrore (ma che non fosse stata splatter, nella maniera più assoluta). Da ciò è nato “Con gli occhi dell‟Innocenza”.

D: Possiamo dire che “Con gli Occhi dell’Innocenza” è un horror molto particolare. Dotato di una grande capacità di affascinare ed influenzare il lettore senza servirsi delle solite tematiche splatter. Qual è stata la tua fonte di ispirazione?

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R: Appunto, come ho detto sopra, niente splatter. Io ritengo che l‟esempio tipico dell‟horror “senza splatter” sia “Rosemary‟s baby” di Ira Levin (da cui è stato tratto l‟omonimo film negli anni sessanta). Certo, il sangue alle volte c‟è comunque, ma non scorre a fiumi. Per intenderci, non ho mai apprezzato molto la saga cinematografica di “Saw” (e adesso i fan dell‟Enigmista saranno pronti al linciaggio eheh).

D: Data la tematica, esiste un messaggio che hai voluto trasmettere ai tuoi lettori?

R: In “Con gli occhi dell‟innocenza” il male affiora a poco a poco, facendosi strada a fatica, ma riuscendo a prevalere. È sempre difficile riconoscere la sua presenza e combatterla, ma essa c‟è ed è reale. Il male è ovunque e bisogna saper affrontarlo. Chi si ostina a restare chiuso nel suo guscio perderà la battaglia. In altre parole, la realtà va affrontata.

D: Quanto c’è di autobiografico nei tuoi lavori, e nello specifico in “Con gli occhi dell’Innocenza”? Tendi sempre a mettere qualcosa di te nelle tue opere oppure, diversamente, cerchi di mantenere un distacco assoluto?

R: C‟è un po‟ di me in tutti i miei personaggi. C‟è n‟è in Sindah, in Felthon, in Justin, in Cody, perfino in Thomas… ma nessuno di essi è la mia “trasposizione narrativa”. I personaggi devono essere liberi di agire indipendentemente dal loro autore, altrimenti risulterebbero creati con lo “stampino” e rallenterebbero il ritmo della storia, in quanto si somiglierebbero tutti.

C‟è molto di me nei miei personaggi, insomma, ma mai troppo.

D: Se potessi incontrare, domani, un autore che ammiri e potessi andarci a prendere un caffè insieme, chi sceglieresti? Puoi dirci qualcosa delle tue letture preferite?

R: Bere un caffè con Stephen King è il sogno della mia vita. Io ammiro moltissimo il Re, le sue opere e la magia che traspare dalle stesse. I suoi libri (non tutti, lo ammetto, ma la maggior parte) sono le pietre miliari della mia libreria.

Per il resto, apprezzo moltissimo il genere fantasy, avventura e i romanzi per ragazzi.

D: Il libro più bello che hai letto nell’ultimo anno e, par condicio, il più brutto?

R: Il più bello è senza dubbio “IT”, sempre di Stephen King, seguito da “Il bambino con il pigiama a righe” di John Boyne. Il più brutto non saprei dirlo, davvero!

D: Domanda molto cattiva: cosa ne pensi del panorama editoriale italiano? Da autore ormai integrato nel sistema trovi che le osservazioni fatte nei confronti dell’editoria italiane siano fondate?

R: L‟editoria attuale (italiana e non) si basa, a mio parere, sul principio della commerciabilità del prodotto libro. Si scrive e si pubblica di conseguenza e sono pochi gli autori (e gli Editori, ai quali va tutta la mia stima) che spezzano questo circolo vizioso. Ultimamente sono centinaia i libri pubblicati che trattano storie di vampiri, e tutti hanno fatto seguito al fenomeno “Twilight”. Credo dovremmo domandarci il perché.

D: Un’ultima domanda che interessa moltissimo a tutti noi: quali progetti hai per il futuro?

R: Bé, i progetti sono sempre tanti, alcuni solo abbozzati, altri tratteggiati decisamente meglio… altri ancora “ultimati”. Il mio prossimo romanzo, un thriller con sfumature fantastiche, sarà pubblicato nel 2011 dalla Casa Editrice Valter Casini di Roma. Al momento lo ritengo la cosa migliore che abbia mai scritto. Ne vedrete delle belle!

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D: Bene, l’intervista è finita. Ti ringrazio nuovamente infinitamente per la tua disponibilità e ti chiedo: vuoi aggiungere qualcosa prima di salutarci?

R: Grazie a te, Debora! Intanto ecco un piccolo consiglio a tutti gli aspiranti scrittori: credete in ciò che fate e non mollate MAI! Solo così raggiungerete i vostri traguardi!

Un caro saluto a tutti, alla prossima!

MDM

Debora Magini

Due chiacchiere con Paola Boni – di Debora Magini

Paola Boni;

Nata a Roma il 24 dicembre del 1986, Paola Boni ha da sempre coltivato un profondo amore per la scrittura. Dopo essersi dedicata a lungo al fantasy tradizionale, Paola, rimane affascinata dalla letteratura vampirica dimostrando poi una naturale predisposizione per la narrativa fantastica dove prevalgono suggestioni e atmosfere romantiche e dark.

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Terminato il corso di scrittura creativa presso la Scuola Internazionale di Comics di Roma è entrata a far parte del gruppo letterario degli Scrittori Sommersi con i quali ancora oggi collabora attivamente per creare una rete di promozione e collaborazione tra autori emergenti italiani. Amante dei pinguini e delle armi bianche, ha sempre vissuto nella capitale finché nel settembre del 2008 si è trasferita a Padova dove ha aperto il LUPO ROSSO, libreria specializzata in letteratura fantasy e horror diventata un punto di riferimento per autori emergenti e amanti del fantastico.

D: Ciao Paola, benvenuta su Sognando Leggendo e grazie per aver accettato di rispondere a qualche domanda. Iniziamo subito con la classica domanda facile, facile… Ti va di dirci qualcosa di te?

R: Ciao Debora, grazie mille a te per l‟opportunità concessami.

Di me posso dire che sono semplicemente una libraia, una lettrice e una ragazza che ha fatto della scrittura il grande amore della sua vita. Sono nata a Roma, ma vivo a Padova da quasi due anni ormai dove passo le mie giornate tra amici, libri e fumetti, con la testa sempre un po‟ fra le nuvole e tanta voglia di veder realizzati i miei sogni. Molti mi definirebbero un po‟ fuori di testa, in realtà sono una ragazza che non si prende troppo sul serio e ama vivere la vita a modo suo, in maniera, perché no, anche un po‟ selvatica a volte.

D: Sappiamo che sei proprietaria di una libreria, Il Lupo Rosso, a Padova. Dicci, come è iniziata la tua avventura in questo settore? Idea premeditata, sogno di una vita o colpo di testa?

R: La mia avventura con il Lupo Rosso è iniziata circa un anno e mezzo fa, dopo che mi ero trasferita a Padova. Fin da quando ho iniziato a scrivere ho sempre sognato un lavoro che fosse in qualche modo legato alla mia passione e pian piano è nata e cresciuta l‟idea del Lupo Rosso che ha poi preso vita una volta trasferitami a Padova grazie anche all‟aiuto di Alec, il mio socio.

Per quanto gestire un negozio non sia mai un a cosa facile devo dire che il Lupo Rosso sta piano piano crescendo dandomi ogni giorno sempre nuove gioie e soddisfazioni. È un po‟ il mio frammento di sogno diventato realtà.

D: Dicci la verità: sei nata prima come autrice o come lettrice? Cosa significa per te “essere” una scrittrice? Cosa rappresenta per te la scrittura?

R: Assolutamente come lettrice anche perché credo fortemente che siano prima di tutto le nostre letture a formarci come autori, a indirizzarci verso un genere in particolare e ad aprirci la mente alla creazione di nuove storie. Spesso molti autori iniziano a scrivere proprio perché, dopo aver letto tante storie diverse, iniziano a desiderare di voler leggere di determinate vicende e personaggi e alla fine decidono di crearsi da soli la loro storia. Scrivere per me è un bisogno, qualcosa di cui non posso fare a meno. A volte quando non scrivo per troppo tempo mi capita di avere quelle che o definisco le mie “crisi d‟astinenza”, sensazioni di disagio che mi provocano un malessere quasi fisico. È un po‟ il mio vizio preferito che spero sinceramente possa continuare a far parte della mia vita per sempre.

D: Puoi dirci qualcosa sul tuo processo creativo? Hai qualche rituale o abitudine bizzarra ma che ti aiuta a focalizzarti sulla scrittura?

R: Io sono abituata a un tipo di scrittura molto istintiva. Non mi faccio scalette o programmi, scrivo le mie idee di getto, ovviamente dopo aver fatto le dovute ricerche sugli argomenti di cui tratto. Non ho

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particolari rituali, però amo molto scrivere sul letto, con il computer poggiato sulle gambe e possibilmente con un po‟ di cioccolata vicino. È una cosa che mi rilassa e mi fa sentire al massimo il piacere della scrittura al contrario dello stare su una scrivania che mi riporta ai tempi della scuola e degli immancabili compiti a casa, facendomi perdere gran parte del divertimento. Ultimamente poi, quando lavoro tanto ho preso l‟abitudine di mettermi a pensare a testa in giù…. Decisamente molto utile per schiarirsi le idee.

D: Hai mai dovuto affrontare il tanto temuto “blocco dello scrittore”? Come te la sei cavata?

R: Questo per fortuna ancora non mi è mai capitato. Fin da quando ho iniziato a scrivere, a tredici anni, ho sempre scritto almeno un po‟ tutti i giorni e fortunatamente le idee non sono mai mancate. Anche quando terminavo di scrivere un racconto o un romanzo c‟era sempre qualche nuova storia che mi ronzava nella testa, pronta per essere scritta.

D: Dopo Black Angel, in cui a far da patroni sono i vampiri, ora eccoci con La Saga di Amon in cui ci troviamo nel pericoloso mondo dei demoni. Quale di queste due figure di affascina di più?

R: Sicuramente mi sento molto più legata ai vampiri, per il semplice fatto che comunque sono stati loro il mio vero inizio, inoltre sono creature affascinanti e sensuali che io vedo come la rappresentazione stessa dei desideri, delle passioni e delle perversioni umane portata in un certo senso allo stremo. I demoni, però, per me hanno un significato e un attrattiva più profondi perché legati a studi sul misticismo e su tradizioni esoteriche che mi hanno sempre affascinata e incuriosita. Diciamo quindi che è una sorta di pareggio.

D: Soffermiamoci un attimo sulla tua prima opera, Black Angel, in che rapporti sei con la tua opera? Cosa ti ha ispirata?

R: Black Angel è un romanzo che ho scritto a diciotto anni e sebbene non sia il mio primo romanzo è quello a cui mi sento legata in modo speciale perché mi ha saputo infondere tanta forza in un momento della mia vita in cui ero particolarmente fragile e perché in fondo è stata la mia prima pubblicazione. A ispirarmi credo sia stata principalmente Roma, la mia città e alcune letture che avevo fatto a quel tempo e che mi avevano portata ad avvicinarmi notevolmente alla letteratura “vampirica”. Quando vivevo a Roma, tornando a casa, la sera, mi capitava spesso di immaginare di incontrare una di queste creature eterne perfette per una città magica e altrettanto eterna come Roma.

D: Quanto c’è di autobiografico, in Black Angel, a parte il fatto che l’eroina porta il tuo stesso nome?

R: In Black Angel ci sono diversi elementi autobiografici in effetti, anche perché è un romanzo nato un po‟ per gioco. All‟inizio non avrei mai osato sperare che il libro potesse essere pubblicato, quindi l‟ho scritto provando a immaginare cosa avrebbero pensato le persone a me vicine nel leggere una storia la cui protagonista avrei potuto essere tranquillamente io. Questo ovviamente ha fatto sì che in esso ci fossero molti elementi autobiografici sebbene alla fine la protagonista, più che essere io, è diventata l‟incarnazione di come io vorrei essere.

D: All’inizio del romanzo Paola si presenta come una ragazza un po’ fuori dal mondo. Ferma e convinta nei suoi propositi e nel suo modo di essere ma consapevolmente lontana anni luce dalle sue coetanee. È più matura o semplicemente si disinteressa della compagnia delle altre ragazza (a parte pochi elementi)? Dicci, in un certo senso possiamo interpretare questo suo aspetto caratteriale come una critica nei confronti della società giovanile che ci circonda?

R: No, non c‟era assolutamente nessuna critica da parte mia o almeno non una critica voluta. Paola all‟inizio è semplicemente una ragazza che in passato è stata più volte ferita da chi gli era accanto e che quindi cerca di difendersi in maniera istintiva, arrivando a legare solo con poche persone che

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sente a lei vicine. Il fatto poi di essere consapevole, seppur a livello inconscio, delle sue capacità la spaventa e la spinge così ad isolarsi e allontanarsi ancora di più da chi gli sta accanto. Per quanto negli atteggiamenti possa sembrare sicura e determinata, in fondo Paola è una ragazza che cerca solo di difendere se stessa e di evitare di essere nuovamente ferita.

D: Piccola indiscrezione: E’ vero che ci sarà un sequel? Puoi anticiparci qualcosa? Magari per quando è prevista la sua apparizione in libreria…

R: Sì, ci sarà un sequel dal titolo Beautiful Devil, ma per l‟uscita in libreria ancora non so dire quando avverrà. Vorrei aspettare un po‟ visto che comunque Amon è uscito da poco e vedere come vanno le cose con questa nuova saga. Quello che posso dire è che nel secondo volume verranno spiegate molte cose sul passato di Lucas, il vampiro protagonista, segreti che lo porteranno inevitabilmente ad allontanarsi da Paola e a mostrare il lato più violento e crudele del vampiro. Inoltre si capirà molto di più sulla realtà sovrannaturale in cui si muovono i protagonisti, sulle comunità di vampiri e sulle altre creature che popolano le notti di Roma.

D: Come è stata la tua esperienza editoriale? Una strada irta di ostacoli o un colpo di fortuna?

R: Diciamo che se sono arrivata fino qui (a quello che io definisco un millesimo della strada che ancora dovrò percorrere) è stato grazie a un misto di fortuna, sostegno da parte chi mi stava accanto e determinazione nel non mollare nonostante le lettere di rifiuto e i numerosi ostacoli. La mia più grande fortuna è stata sicuramente quella di frequentare il corso di scrittura tenuto dalla Scuola Internazionale di Comics da Alda Teodorani che mi ha aiutato a conoscere e capire meglio la realtà editoriale italiana attraverso incontri con autori e visite a case editrici. Questo mi ha permesso di non trovarmi completamente impreparata, soprattutto all‟inizio, quando mi è arrivata la richiesta di pubblicazione da parte della 0111 e ancora prima, quando ho iniziato a muovere i primi passi con il gruppo letterario degli Scrittori Sommersi.

Inoltre è stata proprio Alda Teodorani a mettermi in contatto con la Casini editore con la quale ho poi pubblicato Amon.

D: Il primo pensiero che ti è passato per la mente una volta scoperto che finalmente saresti arrivata in libreria grazie alla Zero111.

R: Credo di non aver pensato assolutamente a niente in quel momento. È stato come se il mio cervello fosse entrato in standby. Continuavo a guardare e riguardare quel contratto e solo dopo parecchi minuti ho cominciato a chiedermi se fosse vero o se dovevo aspettami di svegliarmi da un momento all‟altro. È stata un‟emozione fortissima, così come fortissima è stata l‟emozione provata il giorno dell‟uscita di Amon. Due delle esperienze più belle e importanti della mia vita.

D: Per quanto riguarda La Saga di Amon, edita in maggio 2010, cosa puoi dirci? È un progetto che hai coltivato con calma nel tempo oppure è frutto di un improvviso colpo di genio che ti ha spinta a scrivere incessantemente giorno e notte?

R: La Saga di Amon è nata all‟improvviso su un autobus a Roma. Stavo passando accanto alla mia vecchia università quando pian piano nella mia mente sono nati l‟evocatore Daniel e il demone Baal, i due personaggi principali della storia, esattamente così come sono ancora oggi nel libro e allo stesso tempo è nato il primo capitolo del romanzo, ambientato appunto in una università. Poi ci sono stati gli studi e le ricerche sull‟antico paganesimo e su diverse tradizioni esoteriche, studi attraverso i quali è nata la realtà di Amon e tutto il suo mondo.

D: È passato ormai quasi un mese dall’uscita de “L’Evocatore”, il primo volume della Saga di Amon, che te ne pare? Come è stato accolto dai lettori?

R: Dai commenti positivi che ho ricevuto devo dire che il romanzo è stato accolto bene, almeno per ora, e il merito penso sia anche delle splendide illustrazioni di Sara Forlenza che è riuscita a

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catturare l‟essenza dei miei personaggi in maniera eccezionale arricchendo il libro con il suo straordinario talento.

D: Riguardo a L’Evocatore: hai avuto problemi con il processo di editing? Mi spiego: molti autori spesso sono costretti a ridimensionare molto il loro lavoro, oppure, addirittura a cambiare elementi importantissimi, per loro. Hai mai avuto di questi problemi?

R: No devo dire che non ho avuto problemi da questo punto di vista. Alcune cose sono state sistemate e corrette si, ma chi si è occupato dell‟editing devo dire che ha avuto molta cura della storia che non ha subito stravolgimenti o tagli di alcun genere e questo per me è la cosa che conta sicuramente di più.

D: Puoi dirci qualcosa delle tue letture preferite? Ci sono autori di riferimento, modelli che ti hanno influenzata o segnata?

R: A causa anche della mia libreria, cerco di sempre spaziare nelle mie letture che vanno dal fantasy tradizionale, all‟horror avvicinandomi ogni tanto anche ai gialli e ai romanzi sci-fi. Tra gli autori stranieri, però, i miei preferiti sono senza dubbio Laurell K. Hamilton, la cui scrittura mi ha influenzata maggiormente per Black Angel, Anne Rice e autori fantasy come Tolkien, Salvatore e George Martin. Per quanto riguarda gli scrittori italiani, invece, quelli che ho apprezzato di più sono stati Marco Davide, Claudio Vergnani e Alda Teodorani che con la sua scrittura e i suoi insegnamenti mi ha permesso di crescere e maturare sia come autrice che come persona. Ultimamente ho avuto poi il piacere di “scoprire” Francesco Dimitri attraverso il suo “Alice nel paese della vaporità” e devo dire che è un autore che mi ha letteralmente conquistata.

D: Un caffè con il tuo autore preferito: chi sceglieresti?

R: Direi Laurell Hamilton… giusto per vedere se riesce a sopportare la mia eccessiva curiosità o se finisce con l‟aver voglia di puntarmi una pistola addosso e premere il grilletto come farebbe la sua Anita Blake.

D: Domanda molto cattiva ma ormai assolutamente di rito in tutte le nostre interviste. Cosa ne pensi del panorama editoriale italiano?

R: Penso che nella nostra realtà editoriale sia molto difficile per uno scrittore esordiente riuscire a emergere e farsi notare. Come libraia ho avuto modo di leggere diversi romanzi di autori Italiani molto bravi che purtroppo, però, non riescono ad avere la giusta visibilità. Con questo non dico che sia impossibile emergere, ma o si ha la fortuna di entrare in contatto con un editore pronto a investire su di te e sul tuo lavoro o comunque è necessario darsi molto da fare anche attraverso l‟autopromozione e fare parecchia gavetta utile sia per farsi pian piano conoscere che per rendersi conto pienamente dell‟ambiente editoriale in cui ci si muove.

D: Qual è un consiglio che ti senti di dare agli altri scrittori esordienti?

R: L‟unico consiglio che mi sento di poter dare è quello di non arrendersi mai anche se si incontrano degli ostacoli o persone che magari tentano di demoralizzarti. Sono fortemente convinta che se una persona ama e crede fortemente nelle proprie storie e se si impegna con tutto se stesso, prima o poi l‟occasione di pubblicarle e veder realizzato il proprio sogno arriva. L‟importante è non rinunciare mai pur restando comunque con i piedi per terra, consapevoli della realtà editoriale in cui ci si muove.

D: Bene, l’intervista è finita. Ti ringrazio nuovamente infinitamente per la tua disponibilità e ti chiedo: vuoi aggiungere qualcosa prima di salutarci?

R: Volevo ringraziarti per avermi dato l‟occasione di parlare della mia scrittura sul tuo splendido blog e mandare un caloroso saluto a te e a tutti i lettori di Sognando Leggendo.

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Beh, Paola, siamo noi a ringraziarti di cuore per il tempo che ci hai concesso e, sì, anche per aver sopportato le idee strampalate della sottoscritta [che sarei io]

Grazie ancora.

Buone letture a tutti!

Debora Magini

Tagliategli la testa! - di Dorian Gray

Mi dispiace deludere chi sperava di trovare una recensione sul capolavoro di Carroll o sulla rivisitazione di Tim Burton ma questo articolo tratterà di un argomento per me molto importante in questo periodo *sarà per la voglia omicida??*: La Pena di Morte.

*sente i sospiri del pubblico* Eh sì, fateci l‟abitudine, sono un tipo moooolto pesante

Bando alle ciance (attiva il display del videoproiettore: 3…2…1…Start!)

Ammetto che in diciassette anni di vita ho cambiato parere a riguardo molto spesso. Fino a qualche anno fa ero un contro-la-pena-capitale convinto, poi sono diventato a favore della stessa solo per reati molto gravi e adesso… adesso cosa sono? Non ne sono molto certo.

Trovo assurdo, comunque, che l‟uomo si dica tanto civilizzato quando poi sceglie un simile mezzo per fare giustizia. Davvero il vecchio detto Occhio per Occhio, Dente per Dente funziona in questi casi? Io credo sia solo un modo per affermare – in primo luogo a se stessi – il proprio potere.

Il discorso di molti, invece, è quello di adottare questa “legge” per scopi più pragmatici. Tutti sappiamo che – almeno in Italia – il sistema carcerario così come la legge in genere non funziona come dovrebbe e che mantenere attive le prigioni e seguire i carcerati sia non solo molto costoso ma anche difficoltoso. Pensiero dei favorevoli, quindi, era quello di porre fine alla vita del colpevole in modo da evitare i costi eccessivi e, soprattutto, leggi come l‟Indulto.

Primo tra queste persone era il fervido animo di mio padre che, dopo anni e anni di scontri,

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riuscì a convincere anche me. Ma, se ci rifletto attentamente, la mia conclusione è: possiamo davvero gettare nel fuoco i diritti umani per motivi economici? Ebbene, a costo di sembrarvi assurdo, vi rispondo che non lo so. Adesso, da diciassettenne che studia al liceo e che vive a casa di genitori benestanti, vi dico che i diritti di un uomo (qualunque uomo) sono più importanti di ogni altra cosa; una volta adulto, però, non sono sicuro di riuscire a mantenere questo pensiero.

Altro punto davvero importante è quello del concetto di uomo relativo ai suoi diritti: un uomo che ne uccide un altro, smette di essere uomo? *scusate il gioco di parole* I diritti valgono solo se si rispettano quelli altrui? Non parlo del diritto di libertà, per me un colpevole d‟omicidio deve marcire in galera costretto ai lavori forzati, ma del diritto alla vita.

Tralasciando l‟aspetto religioso e il pessimo esempio di contraddizione – a mio parere – che dà lo stato favorevole alla pdm, non credo che ripagare qualcuno con la stessa moneta serva a qualcosa.

« Parmi un assurdo che le leggi, che sono l‟espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l‟omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall‟assassinio, ordinino un pubblico assassinio. » Cesare Beccaria.

Ecco, questa è la mia opinione.

Di contro, abbiamo:

« Come è lecito, anzi doveroso, estirpare un membro malato per salvare tutto il corpo, così quando una persona è divenuta un pericolo per la comunità o è causa di corruzione degli altri, essa viene eliminata per garantire la salvezza della comunità » (Summa theologiae II-II, q. 29, artt. 37-42.)

Prima di continuare, mi piacerebbe esporvi le motivazioni favorevoli e contrarie alla pena di morte (prese da Wikipedia):

FAVOREVOLI

1. La pena di morte sarebbe un efficace deterrente e un definitivo impedimento al reiterarsi di omicidi (serial killer).

2. La necessità di punizioni esemplari per i delitti più efferati.

3. Il non-funzionamento del sistema carcerario.

4. Le spese eccessive per il mantenimento dei detenuti.

5. Carceri troppo affollate. 6. Punizione contro il Terrorismo.

CONTRARIE

1. L‟inumanità della procedura. 2. La possibilità dell‟errore (cioè

l‟impossibilità di ridare la vita nel caso in cui un uomo, condannato alla morte, fosse ritenuto innocente in seguito ad un successivo processo).

3. Il non-funzionamento della pena di morte come deterrente per i delitti più efferati. Piuttosto, si pensa che la sua introduzione potrebbe avere un effetto contrario.

4. La possibilità che bisogna dare al reo di redimersi e di rendersi in qualche modo utile alla comunità cui ha arrecato danno.

5. L‟esecuzione di una sentenza di morte può avvenire dopo anche decenni dal giudizio. Nel frattempo vengono celebrate numerosissime sedute di appello e di riesame con un coinvolgimento di uomini e mezzi che comportano anch‟essi costi eccessivi.

6. Al momento dell‟esecuzione pochissimi possono ricordarsi del condannato e del crimine commesso, ad eccezione delle persone legate alla vittima. La condanna diviene un deterrente inefficace e si riduce da pena d‟esempio alla collettività ad una pura vendetta in favore dei congiunti delle vittime.

7. La mancanza di diritto da parte dello Stato di decidere per la vita umana, che non gli appartiene. Il controverso filosofo francese Marchese De Sade considerava ipocrita tale diritto quando lo Stato stesso condanna a morte l‟omicidio da parte dei cittadini.

8. Lo Stato, togliendo la vita al colpevole egli stesso commette un omicidio.

9. L‟impossibilità per il reo che abbia commesso reati gravi di ottenere la riabilitazione sociale.

Come si può vedere, pur volendo adottare la pena di morte, i cambiamenti in ambito

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legislativo sono necessari (motivazione contraria 5). A questo punto mi chiedo: una volta affermati i costi eccessivi da ambo le parti, perché non rispettare quel po‟ di umanità che ci resta?

Altro discorso – molto importante, secondo me – è quello dell‟importanza del reato. Non so voi, ma io farei una bella differenza tra un malato serial killer e un cosiddetto delitto d‟onore. Sono entrambi omicidi, questo è ovvio, ma vale allo stesso modo la condanna tra questi due esempi?

Per chiudere *tutti esultano: finalmente! xD* non trovate del tutto rozza e primitiva l‟esecuzione pubblica? Insomma, quanta soddisfazione può dare la scena di un omicida morire sdraiato su un lettino o, peggio, tra gli spasmi con l‟impiccagione?

Bene, detto ciò, scappo via prima che l‟admin mi banni u.u

Alla prossima, ehm… volevo dire, adieu!

Sinceramente vostro, Dorian Gray

E‟ possibile rispondere all‟articolo con un commento:

http://eveninglake.0fees.net/satisfiction/?p=79

Pubblicare romanzi online – di Daniela Barisone

Il nostro nuovo articolo non parlerà del fenomeno della diffusione degli ebook (libri digitali), bensì di un‟altra opportunità che la rete internet offre.

Sto parlando dei romanzi online, ovvero autori che aprono un proprio sito o blog e lo dedicano alla pubblicazione di capitoli di un loro romanzo, ma che pro ha tutto questo?

Sul Writer‟s Dream ho seguito con interesse una discussione in merito. I partecipanti alla discussione avevano

opinioni contrastanti, c‟è chi è a favore, chi no.

Personalmente io sono una sostenitrice di questo genere di attività, in particolar modo lo trovo un metodo eccellente per farsi conoscere.

Oltretutto sappiamo tutti quanto sia difficile oggigiorno trovare un editore, cercando di sopravvivere all‟insidia degli editori a pagamento, inoltre se si è esordienti è davvero difficile “sfondare”. Farsi conoscere prima può essere un buon metodo per farsi notare e quale

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maniera migliore se non “offrire in pasto” ai lettori un proprio scritto? Nessuno compra a scatola chiusa, in pochi comprano il libro di un esordiente (in compenso siamo sommersi da libri spazzatura sull‟Isola dei Famosi che vendono un sacco), spargere a macchia d‟olio il proprio stile fa riconoscere.

Ci sono vantaggi e svantaggi questo è certo, ma vediamo di analizzarli:

VANTAGGI

- Pubblicazione a capitoli, crea attesa; - Ci si crea un circolo di lettori che saranno più invogliati, in futuro, a comprare eventualmente un nostro libro; - Se è gratuito, il lettore è invogliato a leggerlo; - Una grafica accattivante è certo meglio del bianco di una pagina; - Se sai pubblicizzarti (“venderti bene”) chiedendo recensioni, interviste, etc, il tuo nome girerà più in fretta.

SVANTAGGI

- Nessun editing e correzione (svantaggio che si annulla se si ha un correttore alle spalle); - Nessun guadagno “monetario” immediato; - Se è un pessimo romanzo si intasa la Rete.

Resta il fatto che se si ha scritto un solo romanzo, pubblicarlo online è un vero e proprio suicidio. La soluzione migliore sarebbe quella di avere due o più progetti in piedi e “sacrificarne” uno all‟uso. Forse non si avrà un ritorno monetario, ma sicuramente è utile per farsi conoscere!

Se invece si ha già pubblicato in modo tradizionale, un modo utile per convincere il lettore a comprare il frutto del proprio lavoro potrebbe essere quello di rendere disponibile sul proprio sito un “assaggino”, magari un paio di capitoli da poter leggere online.

ALCUNI WEB-BOOK

Breach of Security di Daniele Chiuri Marstenheim di Angra La Figlia del vento di MariaGrazia Transunto Automatismo Meccanico di Daniela Barisone Giona di Peter Patti

Lasciate un commento per dire la vostra opinione: http://eveninglake.0fees.net/satisfiction/?p=62

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Oggi inauguriamo la rubrica “Il punto Lessicale”, dove troverete utili informazioni riguardanti la grammatica e la linguistica.

Oggi iniziamo con la…

Congiunzione

Parte del discorso che serve a collegare fra loro due parole o due proposizioni. La congiunzione esiste in tutte le lingue, anche se in forme diverse, ed è sempre invariabile. Nell‟italiano, le uniche variazioni che subisce sono legate a ragioni eufoniche („ed‟, „ad‟ e „od‟ davanti a parole che iniziano con la stessa vocale).

A seconda del rapporto che intercorre tra i termini (parole o proposizioni) collegati, le congiunzioni si dividono in coordinanti, quando il rapporto è paritario, e subordinanti, quando uno dei due termini dipende dall‟altro. Le congiunzioni coordinanti si dividono a loro volta in: copulative („e‟, „né‟, „anche‟), disgiuntive („o‟, „oppure‟), avversative („ma‟, „però‟), dimostrative („cioè‟, „infatti‟), conclusive („dunque‟, „perciò‟), aggiuntive („inoltre‟, „pure‟), correlative („e… e‟, ‟sia… sia‟).

A seconda della proposizione subordinata che introducono, le congiunzioni subordinanti si dividono in: dichiarative („che‟, „come‟), temporali („quando‟, „finché‟), finali („perché‟, „affinché‟), causali („dato che‟, „poiché‟), concessive („benché‟, ‟sebbene‟), condizionali (‟se‟, „purché‟), modali („come‟, ‟senza che‟), consecutive („tanto… che‟), interrogative indirette („come‟, „quanto‟), eccettuative („fuorché‟, „tranne‟).

In base alla forma, si hanno congiunzioni semplici (‟se‟, „che‟, „mentre‟); composte, quando sono formate dall‟unione di due o più parole („perché‟: „per‟ + „che‟) e locuzioni congiuntivali, composte da più parole („anche se‟, „dal momento che‟).

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Kitsune. di Fabio Piras (Arussil)

L‟alba del dodicesimo giorno si posò sulle sue palpebre socchiuse.

L‟ora era giunta.

Il ragazzo era appeso a una certa altezza: i suoi piedi strascicavano a malapena sul pavimento, le

sue braccia aperte, a formare una V, e bloccate da lunghe catene d‟acciaio.

Alzò la testa per l‟ultima volta e osservò il sole far capolino dall‟orizzonte attraverso la minuscola

finestra di fronte a se, un‟alba a strisce.

Catturato, torturato, picchiato, dodici giorni scorsi velocemente uno identico all‟altro.

L‟ora era giunta.

Osservando la sua ultima alba in quella cella il ragazzo non poté fare a meno di sorridere: era proprio

così che aveva pensato sarebbe finita.

I lunghi capelli neri, lasciati a se stessi da mesi, erano una massa informe e sudicia, una barba

scialba era cresciuta sulle guancie forti e le sue iridi rosso sangue ancora osservavano l‟alba, l‟ultima

alba.

Era contento di non essere un vampiro.

I Monaci entrarono in quel momento, come tutte le mattine, per l‟ultima volta.

«Ti sei pentito Abominio?», disse il capo del terzetto di fronte a lui.

Il ragazzo non rispose, si limitò a sorridere e annuire.

«E sia. E‟ ora.»

«Oh si», la voce del ragazzo era chiara e limpida, come se i giorni trascorsi la dentro non avessero

significato nulla per lui, «E‟ certamente l‟ora».

Con un colpo di reni afferrò l‟uomo di fronte a se con le gambe, rompendogli l‟osso del collo con un

unico movimento.

Afferrò le catene che gli bloccavano le braccia e tirò con tutta la sua forza: i muscoli si tesero quasi

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impercettibilmente.

Lanciò in avanti le sue nuove armi sulle guardie allibite: la prima catena si arrotolò attorno al collo del

primo mentre l‟altra colpì come una frusta, il ragazzo percepì la carne che si lacerava.

Prima ancora che i cadaveri toccassero terra si era già liberato i polsi ed era uscito dalla cella.

Si fermò un attimo per riflettere sulla sua successiva mossa. Prima cosa, recuperarla. Seconda cosa,

massacrare qualche altro di quei folli Monaci. Terza cosa… beh ci avrebbe pensato dopo che avesse

smantellato quella fortezza mattone dopo mattone.

La percepiva. Non era tanto lontana da lui… beh non in linea d‟aria.

Sfondò il muro di fronte a sé con una spallata e distrattamente attraversò il petto di un basito Monaco

che si trovava nella latrina.

Doveva ammettere che quei tizi non avevano un gran gusto per l‟arredamento: brande, tavolini di

legno di pessima qualità, qualche candela qui e li. Una volta era stato nella prigione di un nobile e

quella si che era di gran qualità!

A ogni muro che sfondava il suo richiamo si faceva sempre più forte. Quei dementi pensavano

veramente che separarli avrebbe ridotto il potere che gli scorreva nelle vene: ovviamente si

sbagliavano.

Una volta quel potere gli pesava, era una maledizione per lui, una punizione.

Il solo pensare a come l‟avesse ottenuto gli provocava ancora conati di vomito e incubi nelle poche

notti in cui riusciva a dormire.

Poi ricordava.

Lui non aveva mai avuto scelta.

Oh sì, era un grande idealista quando si unì a chi gli prometteva potere e la capacità di difendere i

deboli. Prima lezione: il potere non è mai gratis.

Finalmente l‟ultimo muro cedette sotto i suoi colpi, dietro di se aveva lasciato una scia di distruzione

e morte… forse qualche ferito grave che era stato fortunato.

Eccola, di fronte a sé.

Le linee sinuose, quel suo aspetto affilato ed esotico. Ripensando al primo giorno che l‟aveva avuta

tra le mani gli fece tornare alla mente quanto l‟avesse odiata.

Fece scorrere le dita sulla lama, sensualmente, e poi strinse con forza l‟elsa, immediatamente la

gemma posta al centro della guardia iniziò debolmente a pulsare… un battito.

«Ti sono mancata?», quella voce sexy e calda era apparsa nella sua mente e fu come se non se ne

fosse mai andata.

«Si piccola», rispose lui «Mi sei mancata tanto».

La lama era enorme, lunga quanto lui e larga quanto il suo braccio, doppia affilatura, e si univa

all‟elsa proprio dove la gemma pulsava sempre più forte. Un‟impugnatura che permetteva una

perfetta presa a due mani completava quell‟arma fantastica.

«Mi hai lasciata da sola per dodici giorni. Mi annoiavo».

Lo disse con quella voce da gattina che tanto gli faceva ribollire il sangue nelle vene.

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«Suvvia. Te l‟ho detto che sarei tornato no?».

«Mi devi un tributo», disse stizzita.

«Lo avrai mia piccola. Molti tributi».

Prima di avere tra le mani lei non avrebbe mai pensato che una spada potesse fare le fusa.

Kitsune, un demone della lussuria, comunemente chiamate Succubi.

Ogni tanto il ragazzo si chiede: cosa sarebbe successo se durante il rituale non fossi stato nel pieno

della pubertà? Ora mi ritroverei a brandire uno di quegli stramaledetti demoni cornuti?

Ripensando al rituale dell‟Imprigionamento non poteva fare a meno anche di ricordare che cosa fu

necessario per evocare un demone.

Sin da piccolo fu addestrato, temprato, solo per quel momento, senza che gli venisse mai spiegato

come sarebbe avvenuto il tutto.

Un massacro. Ecco quello che ci voleva per evocare un demone: macellarono un piccolo villaggio ed

eseguirono il rituale di richiamo… e lei apparse.

«A cosa diavolo pensavi?» il suo maestro lo afferrò per il collo e gli assestò un violento ceffone

«Maledetto idiota sai quanto tempo serve per addestrare uno come te?».

Kitsune era stordita, pronta per l‟Imprigionamento. Fu portato di fronte a lei e gli fu messa in mano la

spada.

«Fallo», gli disse il maestro, «O giuro che ti ammazzo».

Esitò.

Allora Kistune lo guardò e con fare materno afferrò le mani del ragazzo e si trafisse con la sua spada.

«Bevi». Ordinò il maestro. E lui bevve, si chinò sulla ferita e ne succhio il sangue, le vene iniziarono a

ribollirgli e subito il dolore pervase ogni sua cellula.

«Finisci ora». Quella voce era distante, il modo andava dissolvendosi in nebbia.

«Stai tranquillo», la sua testa fu inondata da una sensazione di calore, «Ora sono tua».

Il ragazzino si chino e strappò il cuore del demone. Lo stesso cuore che orna la sua spada.

Poi uccise il maestro e tutti gli apprendisti che avevano distrutto il villaggio, gli avevano mentito,

l‟avevano fatto diventare qualcosa di abominevole sfruttando delle vite innocenti.

Non ne avrebbe lasciato uno solo in vita di quei bastardi.

Ora i monaci sciamavano da tutte la parti, intonando cori di salmi religiosi e appellandosi a poteri

divini per scacciare l‟Abominio.

Il ragazzo rise e, sollevando Kitsune con una sola mano, ne falciò due all‟altezza del busto.

Non aveva neanche idea di dove stava andando, stanze spoglie si susseguivano una dietro l‟altra, e i

Monaci diventavano sempre più rari.

Uno gli si parò di fronte imponendogli uno dei suoi simboli religiosi davanti al volto. Il ragazzo gli pose

una mano sul capo quasi con fare fraterno.

Poi la strinse e il cranio gli esplose in mille pezzi.

«Abominio». Finalmente un degno avversario gli si parò davanti: era più grosso del resto dei suoi

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fratelli e portava una spada in ogni mano «Come osi».

«Non sono io che brucio i villaggi giustificandomi che è stato dio a ordinarmi di farlo».

«Tu sei lo sposo di un demone! Abominio.»

«Beh…» il ragazzo sorrise di gusto «Ci sono certi vantaggi, se la tua spada è una Succube».

Si lanciò in avanti lanciando Kitsune in un devastante affondo, il Monaco incrociò le spade e deviò

l‟enorme arma verso l‟alto, poi alzò un piede e assestò un calcio al costato del ragazzo.

«Mi annoio!», urlò Kitsune nella sua mente, graffiante, «Facciamola finita», la sua voce grondava

piacere.

«Non è divertente così», rispose il suo compagno portando un fendente a due mani che il Monaco

parò con entrambe le spade.

«Finiscilo!», ordinò lei, «E ti ricompenserò». Conosceva quel tono, sarebbe stata un‟ottima

ricompensa.

«Scusami amico», disse con un sorriso al suo avversario «La mia signora è stanca di giocare».

«Giocare?», lo stupito Monaco non si accorse che l‟enorme lama aveva appena tranciato le sue due

piccole armi e si era conficcata nel suo costato.

«Kitsune?», disse ad alta voce il combattente dagli occhi cremisi «Libera».

La lama avvampò immediatamente ed il Monaco si ritrovò praticamente vaporizzato da un lato del

corpo.

«Contenta?», chiese alla sua arma.

«Contenta si. Soddisfatta non ancora».

Il ragazzo piantò per terra la spada, poi s‟inginocchiò.

La gemma prese a battere sempre più forte, più rossa, più intensa.

Il falò della fortezza dei Monaci era visibile per chilometri in tutte le direzioni. Il popolo sapeva che

finalmente sarebbero stati al sicuro da quel male. Molti altri, però, imperversavano ancora su quelle

terre.

L‟alba del tredicesimo giorno si posò sulle sue palpebre socchiuse.

Lui le aprì, e sentì un movimento vicino a se. Anche quella notte Kitsune aveva avuto ciò che voleva

e il loro sodalizio restava immutato.

Lui aveva il potere.

Lei aveva lui.

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La casa che casa non era di Linda Rando (Ayame)

C‟era una volta una casa abbandonata che abbandonata non era, né era casa, perché non c‟era

nessuno che la chiamasse in quel modo; in quella casa che non era abbandonata ma era deserta

non c‟era mai stato nessuno, nessuno vi aveva mai vissuto, nessuno l‟aveva mai costruita.

La casa esisteva, semplicemente. Vuota, da sempre, esisteva.

L‟esistenza di questa casa, che casa non era, e non era abitazione, perché nessuno l‟abitava, era

triste, grigia, forse nera. Era cupa, la sua esistenza solitaria, era poco lusinghiera.

E il tempo passava, intanto, lasciando i suoi segni sulle mura di quella casa che casa non era, sul

suo tetto, sulle sue imposte, sulle sue porte.

E mentre la casa invecchiava, senza che nessuno mai l‟avesse potuta chiamare casa, la vita del

mondo continuava, incurante dell‟esistenza di quella casa ai confini del tempo che invecchiava,

lentamente.

Ma anche il tempo doveva essersi scordato di quella casa, perché a un certo punto smise di toccarla

e di lasciarci i segni del suo passaggio; cessò di abbracciarla, di cingerla col suo abbraccio mortale, e

la lasciò in pace, a continuare a vivere sola.

Né la pioggia né il vento scalfivano quella casa che casa non era, né le tempeste né gli incendi

l‟abbatterono; la casa rimaneva immutata, triste e sola, ma immutata.

Finché un giorno la Morte decise di far visita a quella casa abbandonata che non era casa e non era

abbandonata.

Le si avvicinò, silenziosa, col suo rapido e felpato passo, e la fissò, meditabonda.

“Dimmi, casa, da quanto tempo sei qui?”

La casa sussultò nel sentirsi rivolgere la parola, e dal suo tetto una tegola cadde, frantumandosi.

“Io non sono casa, nessuno mi ha mai abitato” si scusò timidamente la casa che casa non era. “Ed

esisto da sempre”.

La Morte si rabbuiò in volto e si corrucciò, lambiccandosi il cervello. Era un enigma, quella casa, e

che la Morte non fosse in grado di risolvere un enigma non era certo cosa da tutti i giorni.

“Come ti sei accorta di me?” mormorò la casa, interrompendo il flusso di complicati pensieri che la

Morte stava vagliando.

“Mi ha incuriosita il fatto che il Tempo non ti toccasse più” spiegò la Morte. “E‟ un raro evento, che il

Tempo si disinteressi di qualcosa. Tutto è del Tempo e della Morte, e noi non rinunciamo mai a ciò

che di diritto ci spetta. Perciò ero curiosa, curiosa d‟apprendere l‟arcano motivo per cui il mio

compagno Tempo ti abbia liberata dal suo possesso”.

“E‟ presto detto, Morte mia cara; il Tempo non trae giovamento dal possedere un simile oggetto, non

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ha alcun tornaconto nell‟avermi tra i suoi averi; il Tempo è crudele e tiranno, e se non può trastullarsi

con la sofferenza di qualcuno non ha alcun interesse nel possedere qualcosa. Nei millenni, ogni cosa

ha avuto un proprietario o qualcuno che tenesse a lui. Io sono nata col mondo, e nessuno mi ha mai

abitata, nessuno ha mai avuto cura di me, né si è preoccupato per me. Il Tempo ha atteso, poi s‟è

stancato di sprecarsi con una cosa tanto inutile” raccontò la casa che casa non era, con voce mesta

e triste, dondolandosi sulle fondamenta.

La Morte annuì, meditabonda, e dovette convenire con la casa che quanto aveva appena detto non

solo non era falso, ma era addirittura vero.

“E dimmi, casa che casa non sei, non sei triste?”

“Certo che lo sono”

“Non hai fatto l‟abitudine alla tristezza?”

“Ahimè, Morte mia cara, anche l‟Abitudine ha pensato bene di non sprecare il suo tempo con me, e

s‟è guardata bene dal lambire le mie ferite con le sue carezzevoli dita” rispose tristemente la casa

abbandonata, che non era casa e non era abbandonata.

“Ma quindi la Tristezza ti è compagna” osservò la Morte, trionfante.

“Sì, la Tristezza è la mia odiosa compagna, l‟unica che nei millenni mi è stata a fianco e ha avuto un

tornaconto nell‟avere a che fare con me, Morte mia cara. Solo la più meschina delle emozioni mi è

potuta stare accanto, solo a lei ho dato beneficio.”

La Morte guardò tristemente quella casa che casa non era, e per la prima volta da quando era nata,

all‟inizio dei tempi, sentì fiorire in sé un calore nel petto. Se lo massaggiò, cercando di capire cosa

fosse.

“Ah, ho capito! È pietà!” pensò. E quindi comprese.

“Casa che casa non sei, tu, nel tuo vuoto, nella tua incompletezza, nella tua desolazione ti credi

inutile; ma sappi che, in innumerevoli millenni da quando il Tempo è iniziato, sei stata l‟unica a far

fiorire in me la Pietà. E per questo sarai ricompensata”.

E, finalmente, la casa che casa non era trovò la sua pace, scomparendo nel nulla, per sempre.

Commenta il racconto: http://eveninglake.0fees.net/satisfiction/?p=99

Page 22: Satisfiction n° 1

Perché – di Debora Magini

Rincorro la fantasia di esistere oltre la fredda patina di un‟illusione predetta.

Mai, mai chinerò lo sguardo di fronte a voi. Mai.

Chi son io, se non il frutto di ogni vostra folle apparenza?

Eppure signori, eccomi qua.

Una perfetta bambola di plastica trasparente per tutti voi.

Atrocemente inutile.

Eccomi volgere lo sguardo verso un passato ferito e mai del tutto guarito.

Sguardo opaco dalle mille lacrime ancora seppellite dietro maschere di cera,

ancora osservo e spero di poter scorgere un vero sorriso fra le maree dei miei giorni passati.

Scruto ancora, ancora e ancora.

E mi danno nella vana speranza di veder brillare la vita nel mio sguardo.

Provo, non mi arrendo, ma non trovo risposte.

Nuove ferite s‟aprono sanguinanti,

lacrimando quel che occhi non osano lasciar cadere.

Lacrime di sangue, disperazione, dolore… Fragile cristallo.

E sono di nuovo qua, a chiedermi “perché”.

Sola.

Commenta la poesia: http://eveninglake.0fees.net/satisfiction/?p=108

Page 23: Satisfiction n° 1

Il sito internet Satisfiction, gestito da Daniela Barisone, organizza la prima edizione

del Concorso Satisfiction, con a tema vincolante i VAMPIRI.

Lunghezza dei racconti: tra le 2.000 e le 8.000 parole.

Tipo di racconto: Vampiri, di qualsiasi genere e tipo.

Vincoli: di nessun tipo se non quello di seguire la traccia.

Generi ammessi: tutti, racconti comici/parodistici o erotici inclusi.

Ci sono costi di iscrizione? No.

Consegna racconti: entro e non oltre domenica 26 Settembre 2010.

Numero di racconti per partecipante: da uno ad un massimo di 4 (quattro)

Dove inviare: mandare i racconti a [email protected]

Page 24: Satisfiction n° 1

Formato del file: DOC o DOCX.

Inserire nella mail: nome e cognome. Se non volete apparire con il vostro vero

nome, siete pregati di fornire un nickname.

Chi decide i vincitori: Daniela Barisone, Linda Rando (Writer‟s Dream), Debora

Magini (Sognando Leggendo), Letizia Loi e Maka Davoli.

Quando verrà comunicato il vincitore: in base al numero e alla lunghezza delle

opere, tra Ottobre e Novembre.

Premio: I dieci migliori racconti selezionati tra le opere inviate verranno raccolte in un

ebook-antologia che verrà distribuito gratuitamente sul sito di Satisfiction

http://eveninglake.0fees.net/satisfiction/

Inoltre verrà decretato un vincitore assoluto, il cui racconto verrà pubblicato sulla rivista

gratuita online di Satisfiction.

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(dove per non uso commerciale si esclude l‟autore stesso, che rimane pienamente

proprietario di tutti i diritti sulla propria opera).

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che hanno avuto la fortuna di diventare autori esordienti!

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