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“Scouting, scienza di uomini che vogliono lasciare il mondo … · 2013-01-14 · del nostro...

Date post: 16-Feb-2019
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1 Carissimi Capi, ecco finalmente a Voi gli Atti del Convegno Metodologico vissuto nella nostra regione, il 13 e 14 marzo 2010, sul tema: “Scouting, scienza di uomini che vogliono lasciare il mondo migliore di come l’hanno trovato”. Il Convegno è stato il punto di arrivo di un lungo lavoro preparatorio e soprattutto la realizzazione del nostro primo ”sogno” del Progetto Regionale : “Scegliamo di essere esploratori del nostro tempo tornando a fare “scouting” nelle nostre attività con i ragazzi non dimenticando i valori della Legge e della Promessa” (dal Progetto Regionale 2009-2012). Nella lettera di convocazione all’evento che avete ricevuto, scrivevamo: “… siamo davvero felici di invitarvi per vivere insieme un momento di ascolto, confronto e sintesi …” ed è così che continuiamo a pensare a ciò che abbiamo vissuto, con entusiasmo. Più in alto vola il gabbiano e più vola lontano” ci ricorda il Gabbiano Jonathan … e questa volta abbiamo deciso di volare alto, e l’essere stati lì, in tanti, ci ha fatto pensare che forse era giunto il tempo, per Noi Capi pugliesi, di vivere un evento organizzato con questo stile, un evento che mettesse al centro del nostro interesse la riflessione metodologica e il tema educativo che più ci sta a cuore e ci caratterizza come persone e come educatori Scout: lo Scouting. Inoltre ci ha confermato che quando siamo chiamati ad occuparci di questioni di “metodo”, la risposta è sempre Si! Naturalmente non ci riferiamo solo agli alti numeri degli iscritti, ma alla modalità e allo stile con cui abbiamo partecipato e condiviso le due giornate di approfondimento: non è di certo sfuggito a nessuno l’essere stati sotto una tenda, l’aver camminato, l’aver giocato e osservato: tutti elementi caratterizzanti lo Scouting, forse un po’ scomodi, ma che di sicuro ci hanno permesso di sperimentare e tornare a casa dai nostri ragazzi e ragazze, alle nostre attività, con la voglia di riappropriarci dello spirito di ricerca e di esplorazione. E’ proprio questo che ci ha spinti a pubblicare questi “Atti”, l’idea che tutti Noi rileggendoli, magari tra qualche tempo, di sicuro troveremo nuove spinte, stimoli, pensieri. Questo Convegno è stato anche una bella prova di unione e sinergia per l’Area Metodo regionale, è stato la sintesi della collaborazione di molte menti e molte braccia, così come potrete leggere dai documenti che seguono, e permetteteci di voler sentitamente ringraziare tutti, ma proprio tutti coloro che in vario modo hanno contribuito, costruito, pensato, parlato, ascoltato. Nelle pagine che seguono troverete tutti gli interventi che abbiamo avuto il piacere e l’onore di ascoltare e, in qualche caso, di vivere nel corso del convegno. Buona lettura quindi, e idealmente passiamo a tutti voi il testimone affinché possiate continuare ad Osservare, Dedurre, Agire e Contemplare. Marica Pastore e Michele Mercurio (ICM Regionali)
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Carissimi Capi, ecco finalmente a Voi gli Atti del Convegno Metodologico vissuto nella nostra regione, il 13 e 14 marzo 2010, sul tema: “Scouting, scienza di uomini che vogliono lasciare il mondo migliore di come l’hanno trovato”. Il Convegno è stato il punto di arrivo di un lungo lavoro preparatorio e soprattutto la realizzazione del nostro primo ”sogno” del Progetto Regionale : “Scegliamo di essere esploratori del nostro tempo tornando a fare “scouting” nelle nostre attività con i ragazzi non dimenticando i valori della Legge e della Promessa” (dal Progetto Regionale 2009-2012). Nella lettera di convocazione all’evento che avete ricevuto, scrivevamo: “… siamo davvero felici di invitarvi per vivere insieme un momento di ascolto, confronto e sintesi …” ed è così che continuiamo a pensare a ciò che abbiamo vissuto, con entusiasmo. “Più in alto vola il gabbiano e più vola lontano” ci ricorda il Gabbiano Jonathan … e questa volta abbiamo deciso di volare alto, e l’essere stati lì, in tanti, ci ha fatto pensare che forse era giunto il tempo, per Noi Capi pugliesi, di vivere un evento organizzato con questo stile, un evento che mettesse al centro del nostro interesse la riflessione metodologica e il tema educativo che più ci sta a cuore e ci caratterizza come persone e come educatori Scout: lo Scouting. Inoltre ci ha confermato che quando siamo chiamati ad occuparci di questioni di “metodo”, la risposta è

sempre Si! Naturalmente non ci riferiamo solo agli alti numeri degli iscritti, ma alla modalità e allo stile con cui abbiamo partecipato e condiviso le due giornate di approfondimento: non è di certo sfuggito a nessuno l’essere stati sotto una tenda, l’aver camminato, l’aver giocato e osservato: tutti elementi caratterizzanti lo Scouting, forse un po’ scomodi, ma che di sicuro ci hanno permesso di sperimentare e tornare a casa dai nostri ragazzi e ragazze, alle nostre attività, con la voglia

di riappropriarci dello spirito di ricerca e di esplorazione. E’ proprio questo che ci ha spinti a pubblicare questi “Atti”, l’idea che tutti Noi rileggendoli, magari tra qualche tempo, di sicuro troveremo nuove spinte, stimoli, pensieri. Questo Convegno è stato anche una bella prova di unione e sinergia per l’Area Metodo regionale, è stato la sintesi della collaborazione di molte menti e molte braccia, così come potrete leggere dai documenti che seguono, e permetteteci di voler sentitamente ringraziare tutti, ma proprio tutti coloro che in vario modo hanno contribuito, costruito, pensato, parlato, ascoltato. Nelle pagine che seguono troverete tutti gli interventi che abbiamo avuto il piacere e l’onore di ascoltare e, in qualche caso, di vivere nel corso del convegno. Buona lettura quindi, e idealmente passiamo a tutti voi il testimone affinché possiate continuare ad Osservare, Dedurre, Agire e Contemplare.

Marica Pastore e Michele Mercurio

(ICM Regionali)

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Con il termine scouting si intendono l’opera e le qualità dell’uomo del bosco, dell’esploratore, … del pioniere, dell’uomo di frontiera”. Possono essere definite con un unico termine opera e qualità?

STILE Ha stile chi riesce a far trasparire un modo di essere e quel modo è interpretato come non formale o forzato ma autentico. Ai nostri ragazzi chiediamo questo: essere fedeli e coerenti ad un modo di essere che discende dalla Legge scout... ... che esprime uno stile che è un programma d’azione per uomini e donne di qualità che sanno operare nella società, ... ... perchè il buon cittadino è “lo scopo” dello scautismo, mentre l’uomo del bosco, l’uomo dello scouting è “il mezzo” dello scautismo. Ma quali sono le caratteristiche che possono definire nel nostro tempo lo stile dell’uomo del bosco, dell’uomo dello scouting? Vogliamo provare a scoprirlo e ad approfondirlo insieme? Termometro dello scouting. Facciamoci alcune domande sincere. Proponiamo attività che mettono alla prova, attività che costano, attività che seducono? Perchè facciamo campi dove è più importante il tema del campo che non la vita di campo, più importante la scenografia dell’avventura? Nelle nostre unità l’osservazione della natura è una pratica usuale di competenza o è un’esercitazione botanica da ricerca scolastica? I nostri ragazzi sanno vedere ed ascoltare? E noi capi? Le nostre attività sono esperienze vere o non piuttosto esperienze costruite e artificiali, dove niente si cerca di lasciare al caso? Riusciamo a far toccare il gusto dell’avventura o i timori dei pericoli superano la fiducia nel senso di responsabilità dei ragazzi?

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Tutto è iniziato così …

“… Cosa devo fare? – lo interruppe la signora Banks. Se io fossi in te – replicò il signor Banks – metterei un avviso sul giornale per dire che Giovanna e Michele Banks cercano con urgenza la migliore delle bambinaie possibili al

minor prezzo possibile. Poi aspetterei e starei a vedere… Da dove soffia il vento? Vento da Est, metterò due cappotti! Dopo cena Giovanna e Michele si misero di nuovo alla finestra. Eccolo - disse Michele puntando il ditino. Non è papà - disse lei- è qualcun altro. Si trattava di una donna, che con una mano teneva fermo il cappello e con l’altra portava una valigia. Sembrò che il vento la sollevasse portandola di volo alla casa. <<Scendiamo e andiamo a vedere chi è >>…” "… Mary Poppins tirava fuori una bottiglia con un'etichetta che diceva <<un cucchiaino prima di coricarsi>>. Al collo della bottiglia era attaccato un cucchiaino e Mary Poppins ci versò un liquido rosso scuro.(...) <<gelato di fragole>> disse Michele, <<liquore di mele>> esclamò Giovanna…quindi Mary Poppins versò un'altra dose, questa volta per sè, e la ingoiò solennemente. <<punch al rum>> disse schioccando la lingua …".

Così, la nostra “supertata” dopo un’accurata OSSERVAZIONE e conseguente DEDUZIONE, è passata all’AZIONE, tirando fuori dalla sua borsa lo strumento giusto al momento giusto! Spinti da quest’atmosfera fantastica e dalla voglia di incontrarsi e confrontarsi, 230 capi della branca L/C della regione Puglia si sono ritrovati a Cassano delle Murge (Ba). “Hanno incontrato Mary”… la stessa li ha coinvolti nel rivedere alcuni strumenti del metodo legati allo “SCOUTING” , seguendo le orme lasciate dal nostro B.P. nel suo “Manuale dei Lupetti”… “da lupetti imparerete a fare buon uso degli occhi, delle orecchie, del naso, delle mani e del cervello. Ce n’è di che! Avrete molto da fare... Fino a che diventi in voi un’ abitudine l’osservare ogni cosa”. B.P. aveva profondamente compreso e intuito che niente e’ più divertente e piacevole per un bambino che saper usare gli occhi e i sensi … abituandolo a guardare e poi ad osservare le cose, i fatti o le persone gli si insegna a vedere e quindi a ragionare, a capire ed infine a dedurre. Per meglio comprendere lo Scouting in branca L/C, utile e prezioso si è rivelato l’intervento di Gaetano Ladisa. Partendo dunque dall’ art. 25 del Reg. Met. Interb., abbiamo cercato di lavorare, come da programma di branca, sulla competenza metodologica dei capi, approfondendo gli strumenti del metodo nei quali lo SCOUTING si esprime. (Artt. 27-32 Reg. Met. L/C - Caccia Giungla e Volo Bosco, Caccia/Volo di Spiritualità Cristiana, Attività Manuali, Attività a Tema e Attività Natura) . I capi, dunque, divisi in 5 botteghe si sono sperimentati con lo strumento metodologico attraverso “l’imparare facendo”, al fine di creare una “carta d’identità dello strumento”. Senza la pretesa di riuscire a esporre per filo e per segno quanto vissuto in quest’esperienza, vi riproponiamo quanto progettato ed elaborato, nella speranza di essere “cosa buona” per tutti! Buona Caccia e Buon Volo! Angela De Gioia, Antonio Zecchini e Pattuglia regionale LC

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IL BAMBINO TRA REALITY E REALTÀ

Alcune riflessioni sullo Scouting in branca Lupetti e Coccinelle

a cura di Gaetano Ladisa Apprestandomi ad affrontare il tema dello scouting in branca Lupetti-Coccinelle, non ho potuto fare a meno di ripercorrere alcune riflessioni che, negli anni della mia permanenza in Pattuglia Nazionale, hanno toccato l’argomento. È significativo che ultimamente, a cominciare dalla scrittura del Manuale di Branca, ai recenti Cantieri del 2009 fino agli ultimi articoli apparsi sulla stampa associativa, si sia rimesso mano ad un argomento così caro al Fondatore. Aggiungo, per ultimo rispetto a tali illustri precedenti, il mio piccolo contributo sul tema dello scouting. Occupandomi di ambiente da più di vent’anni e in particolare di educazione ambientale in contesti anche molto diversi (in Italia e all’estero) mi sono spesso soffermato ad analizzare quale potesse essere l’obiettivo dell’attività educativa in questo campo. La risposta mi è giunta quasi per caso da una docente che ben poco ha a che fare con lo scoutismo ma che una volta mi disse che la mia capacità di lettura della realtà derivava dal fatto che come scout ero abituato ad osservare. Chi le abbia detto che gli scout siano osservatori lo ignoro davvero. La risposta mi ha così sorpreso da impedirmi di approfondire con lei l’argomento. Ripensandoci devo convenire che senza dubbio la capacità di osservare, di leggere dentro (intelligere) è una forma mentale che può aiutare gli educandi a farsi un’idea personale del mondo e a trovare una propria collocazione in esso. Parto da qui. La capacità di osservare, valutare ed agire è il requisito (un atteggiamento recita l’art. 25 del Regolamento Metodologico) per assumere una visione critica del mondo e la capacità (entro i propri limiti) di modificarlo. Se osservare- valutare- agire sono i pilastri sui quali si basa lo scouting nel pensiero del nostro Fondatore, dobbiamo necessariamente convenire che lo scouting stesso rappresenta un approccio alla realtà che, chi si pone in questo mondo con la volontà di esplorarlo, non può non avere. La nostra capacità di essere incisivi è la proposta di uno spirito critico. Lo scouting non è che la capacità di essere nel mondo con il cervello o, se preferite, come sale della terra. Partendo da questo assunto mi scuserete se accennerò solo di passaggio ed in chiusura a quegli strumenti che il metodo scout nella branca L/C attribuisce allo scouting, preferendo approfondire piuttosto questo argomento dal punto di vista di un educatore che voglia inculcare (termine che mi piace poco, preferisco stimolare, sviluppare) lo spirito di osservazione. Dico stimolare, sviluppare ma dovrei dire risvegliare uno spirito che è presente nei bambini anche molto piccoli e che progressivamente (purtroppo) disimparano ad usare. Maria Montessori (che conosceva B.P. per averlo incontrato, letto ed applicato i principi dello scouting in alcuni suoi istituti) in un suo scritto dice: “L'istinto di muoversi nell'ambiente, passando da una scoperta all'altra, fa parte della natura stessa dell'educazione: l'educazione deve considerare il bambino che cammina come un esploratore. Il principio dell'esplorare (scouting) che oggi costituisce una distrazione e un riposo dallo studio, dovrebbe invece far parte dell'educazione stessa e incominciare più presto nel corso della vita.” (La mente del bambino, M. Montessori) “Gli uomini per natura tendono al sapere” (Aristotele) e questa ricerca di senso è estremamente precoce manifestandosi in quella curiosità attiva che possiamo facilmente racchiudere nei tanti “Perché?” del bambino.

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Quali sono le risposte che lo scoutismo dà a tale bisogno dell’educando? Essenzialmente due, facenti entrambi riferimento all’interdipendenza tra pensiero ed azione: a) un primo percorso va dal Pensiero all'Azione: è lo scouting propriamente definito cioè il processo di "vedere, giudicare ed agire". Lo scouting, così inteso, è un modo naturale per rapportarsi con il mondo che va "imparato". Educare attraverso lo scouting significa educare a vedere cioè discernere, giudicare cioè pensare, agire cioè essere nel mondo (significa anche scegliere). In altre parole anche cercare, vedere, osservare, volere e fare il bene. b) il secondo va dall’Azione al Pensiero: è l'imparare facendo. Tale processo si contrappone al tradizionale sistema di apprendimento scolastico poiché parte dall’affrontare sul campo, direttamente l’oggetto della conoscenza permettendo di arrivare ad una conoscenza non direttamente attingibile con una formazione tradizionale. È, secondo Domenico Parisi, direttore dell' Istituto di Psicologia del CNR, il presupposto su cui si basano le tecnologie interattive e multimediali, strumenti molto potenti sul piano pedagogico (avete infatti mai visto un bambino iniziare a giocare ad un videogioco dopo aver diligentemente letto tutte le istruzioni del Manuale Utente?). Per i lupetti B.-P. dice: «Insegniamo ai lupetti con il gioco piccole cose che li renderanno capaci di compiere un giorno grandi cose per davvero». Lo strumento principale del metodo per educare all’interdipendenza tra pensiero ed azione è quindi lo scouting. Abituando i bambini a guardare e poi ad osservare le cose, i fatti o le persone si insegna loro a vedere e quindi a ragionare, a capire ed infine a dedurre. Osservare e ragionare, chiedersi il perché delle cose e verificarlo, provare sentimenti come la sorpresa e il timore, entusiasmarsi per l’avventura che si sta vivendo, scoprire il proprio corpo e le sue potenzialità; sono alcune delle esperienze che il lupetto e la coccinella fanno nell’incontro con la natura e nella comunità e che favoriscono lo sviluppo di una mente aperta ed acuta. Occorre pertanto rilanciare lo scouting in Branco/Cerchio come “uso coordinato di percezione e deduzione” considerando la percezione come un approccio globale alla realtà - per andare oltre la virtualità - attraverso l’interpretazione degli stimoli forniti dai sensi. Gli elementi fondanti lo scouting in età Lupetto/Coccinella sono: l’Osservazione: è indispensabile imparare ad osservare, affinché divenga un’abitudine ed il gioco è

la forma migliore d’insegnamento, quali giochi di Kim, percorsi da seguire disegni di luoghi, mappe ecc.

la Percezione intesa come l’approccio, la tensione, con la quale si entra in contatto con l’ambiente esterno.

la Conoscenza: anche attraverso giochi che facciano apprezzare l’utilità degli elementi naturali, la preziosità delle risorse come pure il funzionamento di un Comune o dei servizi pubblici della città.

L’Azione: da ciò che si è appreso non può non scaturire la necessità della salvaguardia del creato così come l’impegno perchè il giardinetto di quartiere resti pulito; la “buona azione” è il naturale compimento dell’osservare e valutare.

Lo scouting si realizza in Branco/Cerchio attraverso le attività nella natura, la manualità, le attività a tema ed i lavori di gruppo, i momenti di spiritualità; tutte attività che offrono ai bambini la possibilità di sperimentare, ovvero di vivere esperienze. Valutiamo brevemente le caratteristiche di tali strumenti del metodo alla luce delle coordinate dell’osservare-giudicare-agire.

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Strumento metodo osservare giudicare agire

Caccia di Branco e Volo di Cerchio: appuntamento “regolare” con l’ambiente esterno come occasione per vivere l’esperienza dello scouting.

Appuntamento vissuto con regolarità per “esplorare” l’ambiente esterno.

Occasione per conoscere l’ambiente naturale e/o umano che ci ospita, attraverso strumenti di indagine (mappa del posto, indagine in paese, …) a portata dei bambini

L’uscire dalla tana rappresenta una opportunità di interazione con il territorio.

Caccia Giungla e Volo Bosco: vanno vissute come momento per vivere in maniera globale la proposta dell’Ambiente Fantastico.

Occasione per conoscere i personaggi, i luoghi, le parole maestre che caratterizzano la Giungla ed il Bosco

Il racconto Giungla/Bosco offre l’opportunità per incontrare personaggi e situazioni significative che permettono al L/C di fare esperienza della morale indiretta o per tipi.

L’AF viene vissuto collegando al racconto, giochi, attività manuali, canti e danze, momenti di spiritualità.

Caccia/Volo di spiritualità cristiana: presenta un carattere di “pregrinatio” di “cammino verso” che comporta l’incontrare altri per conoscere l’Altro e per riflettere sull’Io.

l’incontro con personaggi signficativi (Francesco ed i suoi amici, Maria, i Profeti…) e l’ascolto delle loro storie porta i bambini a riflettere sulla propria storia e sulla Storia del Regno. Si propone qui la dimensione profetica (ascolto-lectio).

Dall’ascolto delle storie nasce la necessità di raccontare la propria storia, nella preghiera di lode e di invocazione. è questa ala dimensione sacerdotale (proclamazione-oratio)

L’incontro con Gesù ed i suoi amici cambia la nostra vita e ci invita a cambiare la vita degli altri con una “buona azione”. È la dimensione regale (azione-actio).

Attività natura: luogo privilegiato per affinare la capacità di osservazione.

L’osservazione non dovrebbe indugiare in tecnicismi (schede botaniche troppo complesse) ma prediligere passeggiare e confrontare forme, funzioni, effetti dell’azione di animali e uomo…

Un utile strumento di giudizio applicabile alla fine delle VdB/C è la Valutazione di Impatto Ambientale, adattabile ai bambini. Lo stimolo è rivolto a valutare gli effetti delle attività umane sull’ambiente e i suoi equilibri.

L’azione dovrebbe rivolgersi a quelle “buone pratiche” che possiamo mettere in atto ogni giorno per salvaguardare la natura.

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Attività manuale: mai fine a se stessa. E’ necessaria per far riacquistare un minimo di capacità di progettazione, elaborazione e trasformazione della materia.

Importante partire da una necessità pratica che motivi l’apprendimento della tecnica di abilità manuale. Insegnare le tecniche di pionieristica come lingue morte non risponde assolutamente alla pedagogia del bambino che è essenzialmente utilitaristica (faccio qualcosa se serve a…).

Utili sono soprattutto quelle attività di reinterpretazione di materiali di riciclo perché ancora una volta osservo la forma, ne reinterpreto la possibile funzione, lo modifico in funzione del nuovo uso.

Occorre lasciare al bambino la possibilità di creare liberamente impiegando il corpo e la materia per prendere dimestichezza con l’uno e con l’altra.

Attività a tema: senza esagerare è un vero e proprio progetto che comprende: organizzazione, divisione in gruppi, prove intermedie, presentazione dei risultati, verifica finale. Nasce sempre da una esigenza reale percepita o suggerita dai/ai bambini, finalizzata alla realizzazione di un obiettivo concreto chiaramente conosciuto dal Branco/Cerchio.

Permettono ai bambini di organizzare comunitariamente un’attività scegliendo tempi e modi di realizzazione. Non poniamo limiti alla modalità con cui le informazioni vengono reperite: i nostri bambini usano già comunemente la Rete per fare le loro ricerche scolastiche. L’organizzazione resta nelle mani dell’adulto.

il riconoscimento della necessità da cui deriva l’AaT è un momento “pubblico”: il Consiglio della Rupe /Grande Quercia è il momento deputato all’identificazione dei mezzi per il raggiungimento dell’obiettivo finale e per la suddivisione dei compiti. In questa stessa sede, alla conclusione dell’attività si svolgerà la verifica comune di ciò che si è raggiunto e degli impegni presi dai singoli.

Occorre dare a tutti la possibilità, data la molteplicità dei ruoli, di partecipare e di esplicitare le proprie capacità, offrendo loro l’opportunità di imparare tecniche nuove. La suddivisione in gruppi avviene solitamente “per competenza”.

Lavori di gruppo: il branco e il cerchio possono suddividersi in piccoli gruppi formati con criteri di volta in volta modificabili (solitamente “per interesse”), per la realizzazione di lavori semplici e concreti, attività manuali…

Lo scopo è qui l’acquisizione di una tecnica o l’apprendimento di una nozione, non direttamente legati al raggiungimento di un obiettivo concreto e verificabile.

Il lavoro di gruppo mira a suscitare nuovi interessi, a promuovere nuove tecniche, ad abituare alla collaborazione in piccoli gruppi, ad assumere iniziative e mettere in evidenza nuovi leaders.

Come per il gioco non organizzato essi sono occasione privilegiata per osservare le dinamiche interne dell’Unità.

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Al Learning by doing caro a noi scout si affiancano/sostituiscono altri modelli di apprendimento (F. Silipo, Scout PE ottobre 2003): "Imparare facendo" (learning by doing), si tratta dell'acquisizione dell'abilità o della capacità di

compiere una azione, derivante dal fatto stesso che la si compie, magari anche più volte. "Imparare perché ci è stato detto" (learning by being told). Quando qualcuno o qualcosa fornisce

le informazioni necessarie, può ad esempio descrivere come e cosa fare o non fare per ottenere un certo risultato.

"Imparare per analogia" (learning by analogy): si tratta di essere in grado di risolvere un problema perché se ne è risolto uno analogo in precedenza e dunque si riesce ad astrarre, ad adattare i comportamenti e le procedure necessarie.

"Imparare analizzando le differenze" (learning by analizing differences): si tratta di imparare "il nuovo" (nuove informazioni) analizzando in cosa differisce dal 'vecchio" (informazioni già presenti). È indispensabile dunque avere la capacità di sapere distinguere il nuovo dal vecchio.

"Imparare utilizzando modelli multipli" (learning by managing multiple model): si tratta, per esempio, di definire un oggetto in positivo o in negativo, dicendo ad esempio cos'è e/o cosa non è quell'oggetto.

"Imparare perché qualcuno ci spiega un'esperienza" (learning by explaining experiences): si tratta di ricavare un insegnamento, di scoprire una nuova regola di comportamento, da una spiegazione fornita da un tutor, o dall'esercizio di una certa azione.

"Imparare correggendo errori" (learning by correcting errors): L'errore è visto come una risorsa di apprendimento, la sua correzione implica l'apprendimento di nuove informazioni o la modifica di informazioni già presenti, che potranno in seguito essere utili.

"Imparare riportando dei casi" (learning by reporting cases): si basa sull'osservazione di fenomeni ricorrenti, e sul tentativo di estrazione di possibili regole che potrebbero valere anche per i fenomeni futuri, la cosiddetta casistica che stabilisce una regola.

"Imparare costruendo alberi" (identification trees): si basa sulla costruzione di schemi in cui compaiono diversi elementi collegati tra di loro attraverso dei legami di causa-effetto o legami logici. Questo ricalca, a grandi linee, il tipo di organizzazione mentale che una persona inconsciamente usa per immagazzinare, catalogare ed integrare informazioni con altre già presenti.

L'elenco proposto non è certamente esaustivo; la mente umana ha innumerevoli potenzialità e complicati meccanismi che permettono di apprendere in diverse circostanze e con modalità sempre nuove e diverse l'una dall'altra. È dunque difficile stabilire dei confini netti tra le diverse modalità di apprendimento, in quanto esse sono spesso compresenti e tra di esse profondamente integrate ed interagenti. Tornando al nostro assunto iniziale il nostro compito, come educatori, è creare un ambiente, un clima in cui il bambino possa immergersi per poter interagire con gli elementi in esso contenuti, sperimentando in una dinamica di gioco, la libera associazione e libera sperimentazione per un apprendimento coinvolgente e fruttuoso. Qualcuno potrà obiettare che queste parole postulano una analogia tra videogioco o realtà virtuale ed attività educativa. Benché molto delle dinamiche dei videogiochi, soprattutto quelli improntati alla costruzione di mondi ed identità virtuali attingano a piene mani alle modalità di interazione ed apprendimento che ho illustrato precedentemente, il modello che essi propongono, proprio perché è una simulazione della realtà, comporta necessariamente una semplificazione delle dinamiche, dei rapporti, dei ruoli (stereotipi) rispetto al prototipo (la realtà

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stessa). La nostra proposta, invece, è straordinariamente reale: di quante storie un bambino oggi può cogliere appieno il senso? Quante storie lasciano al bambino la libertà di rielaborare le proprie esperienze in un mondo a sua dimensione? Di quante storie è protagonista? Di solito è spettatore. Spesso è passivo (come in alcuni videogiochi). Noi abbiamo l’opportunità di educare il bambino a cercare autonomamente il senso delle cose, a rileggere più situazioni, a trovare un modo di affrontare – nel suo piccolo - la complessità del presente. Per fare questo, bisogna utilizzare l’AF in maniera continuativa e coerente, aiutando il bambino a trovare il senso di una storia che si può vivere in comunità durante tutto l’anno. Le canzoni, le danze, i racconti aiutano a immergersi nell’atmosfera e a dare uno sfondo interpretativo ad ogni esperienza. Quale videogioco, trasmissione televisiva, strumento didattico multimediale può fare altrettanto? Il problema quindi non è solo limitarsi a proporre delle tecniche più o meno collegate all’AF per raggiungere un obiettivo educativo ma trasformare l’AF stesso in uno “sfondo integratore”, una trama di gioco in grado di stimolare il bambino a rileggere il senso intero della storia attraverso esperienze significative. In questo processo, la Giungla ed il Bosco non sono finti, ma rappresentano un’immagine del reale, è uno sfondo permanente in cui le attività prendono forma e si arricchiscono di significato. Compito dell’educatore è guidare ed accompagnare il bambino nella scoperta del mondo perché il mondo riveli innanzi tutto il suo aspetto di positività e di bellezza. Su questo punto uno dei principali errori nella pratica educativa scout è quello intendere in modo sbagliato il valore dell’immaginazione e della fantasia nella vita del fanciullo. Si dice: il bambino vive nella fantasia; dunque è solo assumendo gli strumenti della fantasia che possiamo mettere in moto un processo educativo. Con la pratica conseguenza della scarsa attenzione ad avviare il bambino alla scoperta del mondo reale; tanto più che rispetto al mondo reale le capacità del bambino appaiono assai scarse. Nell’acceso dibattito metodologico che, negli anni ‘70 ha accompagnato la maturazione del lupettismo e coccinellismo moderni, una scuola di capi si scagliava contro l’adozione strutturata e permanente degli Ambienti Fantastici considerandoli “una fuga dalla realtà” che, invece, nella società di allora richiamava continuamente l’attenzione dei pedagogisti (si ricordi Albino Bernardini.”Un anno a Pietralata”, 1968). Daniel Pennac nel suo romanzo “Signori bambini” mette in bocca ad un arcigno professore di lettere una grande verità: “l’immaginazione non è una menzogna, non è il sogno… è la realtà, la realtà nuova, quella mai sperimentata, la realtà possibile”.

Dare spazio alla capacità ideativa dei bambini, dei ragazzi, degli adolescenti, scatenare la loro immaginazione, significa dare dignità al loro punto di vista sulla realtà, renderli soggetti politici, capaci di giudizio, di proporre orientamenti per il futuro; significa dar voce ai loro bisogni disattesi.

L’immaginazione/fantasia non ha un ruolo ‘isolante’ rispetto al mondo, ma è la forma della prima appropriazione del mondo stesso. Come se il bambino, volendo scoprire il mondo, si dotasse di una struttura pre-concettuale – appunto l’immaginazione – che gli offre la possibilità di una prima decodificazione della realtà. Una decodificazione ancora incerta e provvisoria, ma già sufficiente per cogliere il senso globale della realtà stessa. Da qui l’importanza di affiancare all’uso dell’ambiente fantastico e in generale degli approcci di immaginazione (ambientazioni), il contatto ‘vero’ con il mondo fatto di treni da prendere per andare in caccia, di strade da attraversare, di boschi, di paesi. È solo in questo modo che si realizza un uso veramente pedagogico dell’ambiente fantastico e dell’immaginazione. Come è emerso al Convegno Nazionale Giungla del 2005, un errore diffuso è quello di progettare

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attività in cui la possibilità di sbagliare sia minima per i bambini, pensando che il clima di famiglia felice si regga sul fatto che non si presentino situazioni problematiche. Eppure, anche nei racconti, Mowgli e Cocci litigano, sbagliano, sfuggono alle regole. I problemi ci sono e vengono affrontati, mai negati o nascosti. È un problema molto serio, di cui anche le nuove tecnologie sono spesso vittime, spiegabile forse con il fatto che gli educatori, per essere più sicuri del risultato, sovente sostituiscono la complessità del mondo reale con uno strumento molto più controllabile. "Ma se il controllo è assoluto, il risultato è altrettanto povero. E quando ciò accade significa che l'educazione ha perso il rapporto con il piacere e si sente costretta a ricorrere al dovere". Limitando la possibilità dell’imprevisto, del percorso alternativo rispetto a quanto progettato si limita, di fatto, la possibilità che il bambino risponda alla nostra proposta, alla nostra “narrazione della realtà” con una sua interpretazione originale che in qualche modo completi e venga incontro alla nostra visione del reale. Il parlare di gesto interrotto consiste proprio in questo “salto nel buio” che compiamo nella relazione: noi incominciamo la narrazione della realtà (il bosco, la città, il mondo, la vita) e il bambino/ragazzo/adolescente la continua secondo una traiettoria che non necessariamente (anzi!) è quella che abbiamo previsto. Perciò piuttosto che creare attività super-controllate in cui tutto è calibrato e verificabile e ripetibile, come in un esperimento scientifico, dovremmo preoccuparci di creare esperienze “vere”, che lascino un residuo emozionale nel cuore dei nostri ragazzi.

In questa dinamica è necessario che il Vecchio Lupo/Coccinella Anziana, sia il primo a fare esperienza della nuova avventura che sta vivendo con i bambini, imparando a stupirsi con loro. Il rischio, altrimenti, è che si diventi sempre meno pratici, sempre più astratti. Di parlare molto di scoutismo, ma di farne solo virtualmente. Buona Caccia e Buon Volo!

Gaetano Ladisa

ATTIVITA’ A TEMA Animatori: Teresa Marulli, Roberto Cuppone, Cristina Pappadà

Lancio: Consiglio della Rupe/della Grande Quercia Nel consiglio, opportunamente richiamato con una canzone si inizia a far venir fuori dai capi il problema che inizia a farsi presente un po’ dappertutto, e cioè quello legato all’ambiente, all’inquinamento delle acque e dell’aria… ecc ecc. chiedendo la collaborazione dei fratellini/sorelline presenti affinché si faccia qualcosa per cercare di cambiare e migliorare il nostro ambiente. In parole povere si fa una simulazione di lancio dell’Attività a Tema in modo da avviare i capi presenti ai lavori di gruppo. Divisione in gruppi: I capi, all’arrivo, ricevono un pezzo di cartoncino di colore GIALLO che mettono nel proprio badge personale (che gli viene fornito sempre all’iscrizione). Quindi, dopo aver tirato fuori la tematica dell’ambiente, si procede alla divisione nei 4 sottogruppi assegnando a ciascuno di loro un fiorellino di colore diverso (sottolineando che ognuno di loro ha

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un cappello). Successivamente i 4 gruppi si allontanano e iniziano a lavorare. Lavori di gruppo: I 4 sottogruppi formati a seconda della tematica scaturita dal CdR/GQ, costruiscono nei minimi particolari un’attività a tema, specificando le fasi che ritengono necessarie, i materiali, il cambiamento che sperano di avere, la verifica, e tutto quello che ritengono opportuno puntualizzare. Il tutto, è sintetizzato nella carta d’identità. Ritorno in plenaria: Un volta ritornati tutti in plenaria, ogni gruppo espone (con l’aiuto di un cartellone) l’attività a tema creata, con le relative fasi e accortezze. Successivamente gli animatori del gruppo fanno il punto della situazione a seconda delle caratteristiche o emergenze. Segue poi la fase dello “stilare la carta d’identità” con un primo momento di condivisione delle carte fatte durante i lavori di gruppo e successivamente la stesura della carta ufficiale.

• Nome: Attività a Tema • Cos’è e a cosa serve: è un’attività che nasce dall’esigenza dei

bambini che, avendo osservato determinate problematiche o carenze, li porta a impegnarsi concretamente per portare un cambiamento nel territorio

• Cosa non è: non è un’impresa in senso E/G, non è il raggiungimento di specialità, non è imposta dai Vecchi Lupi / Coccinelle Anziane, non è interpretazione fantastica.

• Quando si fa e quanto dura:quando si è raggiunto un buon affiatamento; dura dalle 4 alle 6 settimane, non più di 2 mesi

• Struttura (fasi di svolgimento): analisi, lancio, divisione in gruppi, individuazione dei tempi, realizzazione, agire, verifica durante un C.d.R./C.d.G.Q., fiesta

• Cosa offre al bambino nella P.P.:offre la possibilità di sviluppare i propri talenti (specialità), la possibilità di responsabilizzarsi, lavorare in gruppo e sviluppare una propria coscienza critica

• Segni particolari: è possibile collaborare con altre realtà del territorio

CARTA D’IDENTITÀ

DELLO STRUMENTO

METODOLOGICO

“Da lupetti imparerete a fare buon uso degli occhi, delle orecchie, del naso, delle mani e del cervello. Ce n’è di che! Avrete molto da fare... Fino a che diventi in voi un’abitudine

l’osservare ogni cosa”. B.P. Manuale dei lupetti

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Racconto: Nel Formicaio Attività Manuale: Costruzione del Tamburello della gioia Alcuni animatori spiegano le varie fasi per la realizzazione del tamburello e poi con un piccolo gioco si dividono i partecipanti in gruppi per rendere più semplice il lavoro, lasciando spazio alla loro fantasia soprattutto nella decorazione del tamburello. Una volta terminato il tamburello, un altro animatore guida la discussione e il confronto rifacendosi al regolamento metodologico.

Canto: SIAMO LE FORMICHE! (testo e musica di Nicola Catellani -

Carpi 1) DO SOL7 Noi giochiamo insie-e-me DO e cantiamo insie-e-me SOL7 noi mangiamo insie-e-me DO e lavoriamo insie-e-me. DO7 FA Noi facciamo tu-tu-tu DO noi facciamo tu-tu-tu SOL7 noi facciamo tutto tutti insieme dentro al nostro formicaio da marzo a febbraio! DO RE7 SOL Siamo le formiche, sottoterra viviamo DO RE7 SOL le formiche, qui che ti aspettiamo DO MI LAle formiche con la regola sola FA DO RE7 SOL7 tutto tutti insieme è la nostra parola! Siamo le formiche, sottoterra viviamo le formiche, qui che ti aspettiamo le formiche, dicci cosa vuoi tutto tutti insieme, vuoi giocare con noi? Noi dormiamo insieme e ridiamo insieme

ATTIVITA’ MANUALE

Animatori: Dino Terragno, Marco Tarsi, Lorena Cairo.

“Da lupetti imparerete a fare buon uso degli occhi, delle orecchie, del naso, delle mani e del cervello. Ce n’è di che! Avrete molto da fare... Fino a che

diventi in voi un’abitudine l’osservare ogni cosa”. B.P. Manuale dei lupetti

• Nome:Attività Manuale • Cos’è e a cosa serve: è uno strumento metodologico che

serve a sviluppare competenza, essenzialità, creatività, fantasia e originalità. Educa al gusto per il lavoro ben fatto e alla semplicità

• Cosa non è: un’attività occasionale, improvvisata e fine a se stessa

• Quando si fa e quanto dura: durante le riunioni, la caccia o il volo, alle Vacanza di Branco/Cerchio, dura il tempo necessario per la realizzazione, deve essere un’attività continua senza pause

• Struttura (fasi di svolgimento): ideazione, progettazione, lancio, realizzazione, pulizia dell’ambiente dove si è svolta l’attività, verifica, fiesta.

• Cosa offre al bambino nella P.P.:occasione di scoprire i propri talenti, maggiore consapevolezza delle proprie capacità (gioco delle prede e degli impegni).

• Segni particolari:progettualità dell’attività manuale, maggiore ricorso al materiale povero e di riciclo, attenzione ai bisogni dei bambini e delle fasi di svolgimento. Trasmette ai bambini lo stile di essenzialità e gratuita che contraddistingue il metodo scout, stimolando in essi la ricerca di soluzioni creative con l’uso di mezzi semplici ed adeguati alla loro età. Attenzione particolare ai bambini meno abili nello svolgere l’attività manuale.

CARTA D’IDENTITÀ

DELLO STRUMENTO METODOLOGICO

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Dopo la discussione, divisi sempre nei gruppi, i capi stilano la carta d’identità dell’Attività Manuale che condono tutti insieme per redigerne una unica.

CACCIA GIUNGLA/VOLO BOSCO

Animatori: Teodoro de Marco, Angela De Gioia, Sergio Cici, Ivana Lioce, Paolo Paglionico, Donatella Fumai.

Obiettivo educativo: “Il lupetto/la coccinella pensa agli altri come a se stesso” Racconto: “Come venne la paura”, “La formica regina”. Momento: COMUNE INIZIALE Chiarimento metodologico da Regolamento Metodologico Art. 25 – Scouting Tipico della proposta scout è lo scouting, atteggiamento di proiezione verso l’ignoto, animato dal gusto di esplorare che spinge ad andare oltre la frontiera. I bambini, i ragazzi ed i giovani imparano facendo, privilegiando l’esperienza attraverso l’esercizio continuo dell’osservazione, della deduzione e dell’azione. Questo atteggiamento si realizza prevalentemente attraverso l’acquisizione di abilità e di tecniche scout. Art. 28 BRANCA L/C - CACCIA GIUNGLA E VOLO BOSCO La Caccia Giungla e il Volo Bosco sono attività in cui il Branco ed il Cerchio vivono una successione di esperienze armoniche, intensamente immerse nell’Ambiente Fantastico, i cui elementi caratterizzanti sono: � l’utilizzo del Racconto Giungla o Bosco, nella loro elaborazione pedagogica delle Storie di Mowgli

e Sette Punti Neri, tenendo conto delle esigenze educative che emergono durante la vita di Branco e di Cerchio;

� il fare esperienza per mezzo del gioco ed un ampio uso di danze, canti e simboli specifici dell’Ambiente Fantastico Giungla e Bosco;

� la vita all’aperto, vivendo l’esperienza fuori dalla tana e dalla sede, principalmente nella natura; � l’attenzione alla verifica, anche attraverso l’utilizzo del Consiglio della Rupe e della Grande

Quercia. Racconto “Giungla-Bosco” (ideato per questa occasione!) Ancora la Giungla risuonava del richiamo di Hathi, il grande elefante selvaggio, che vive cento anni e più, il quale non appena vide emergere la Roccia della Pace, asciutta dal centro della corrente della Waingunga, proclamò la “tregua dell’acqua”, come prima di lui suo padre l’aveva proclamata cinquant’anni avanti. Fratel Bigio, il maggiore dei quattro figli di Mamma Lupo e Babbo Lupo, stanco e assetato non pensava ad altro che a trovare il suo fratellino di tana, Mowgli il ranocchio; infatti erano ormai diverse ore che Fratel Bigio non lo vedeva più nella Giungla. Solitamente Mowgli aveva l’abitudine di vagare nella Giungla, non sempre accompagnato da Bagheera, alla ricerca di una nuova avventura per dimostrare a Baloo che lui era in grado di fare come e meglio degli altri lupi! E di questo Fratel Bigio si preoccupava perché proprio in questo momento di estrema difficoltà per la Giungla, Mowgli non era con lui ma chissà dove si era cacciato, tutto pelle e ossa! Per questo Fratel Bigio girava in lungo e in largo per la Giungla: dalla Rupe del Consiglio alle Tane Fredde, dalla sua tana alle rive della Waingunga.

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Nulla. Non c’era traccia del piccolo ranocchio. “Dove potrà mai essere andato a finire?” diceva tra se Fratel Bigio “Può mai essere che si sia spinto fin oltre le terre arate del villaggio degli uomini, fin in quel prato all’ombra della montagna?” Ma li non c’è acqua!!!! E mentre pensava tutto ciò Fratel Bigio si accorse, che le sue zampe avevano già preso il galoppo portandolo senza nemmeno riflettere un attimo sui pericoli a cui sarebbe andato incontro verso quel prato cosi tanto lontano dai propri territori di caccia, dalla propria giungla… cosi tanto lontano dal suo branco. In cuor suo sapeva bene che se Mowgli fosse realmente arrivato sin laggiù a quest’ora non avrebbe avuto PIU’ la forza per tornare indietro e rispondere al richiamo di Hathi. Fratel Bigio corse a perdifiato per tutta la Giungla, continuando a ripetere tra sé…. E proprio un testone…. Un testone… un testone lui non ha pelo e a quest’ora la sua sottile pelliccia sarà già bella arrostita… é un testone….” Oltrepassò cosi tutta la giungla, poi la radura e le paludi dove Jacala il coccodrillo viveva, gridando a perdifiato la parola maestra di chi caccia fuori dal proprio territorio di caccia (“chiedo il permesso di cacciare perché ho fame…”) per paura di essere scambiato per uno intruso. Arrivò cosi fino ai campi arati e da lì al villaggio degli uomini. Lo oltrepassò con grande abilità senza farsi vedere da nessuno malgrado fosse pieno giorno sino a spingersi giù per la collina e arrivando così sullo splendido e magnifico prato ai piedi della grande montagna dove mille fiori dai mille colori e dai mille profumi si alternavano a cespugli di erba di ogni tipo e razza che Fratel Bigio non aveva mai visto prima Qui tutto era diverso dalla sua tana. Sì c’era sempre il sole che riscaldava la terra, c’era sempre il vento che sferzava la nuda roccia, ma i profumi, i rumori e la luce erano diversi! Mentre Fratel Bigio pensava tutto questo tra sé, scopriva intanto un altro mondo! Si sentì chiamare: “E tu chi sei? Che ci fai qui?… attento dove poggi le tue zampacce…”. “Chi parla? Siamo di uno stesso sangue tu e io” pronto rispose Fratel Bigio .. “Ma che sangue e sangue … io non ho sangue” rispose la vocina “Sono Fratel Bigio e appartengo al branco dei lupi di Seeonee, sono del popolo libero. Stai tranquilla non ho cambiato territorio di caccia, il motivo per cui sono arrivato fin qui è un altro… ma… dove sei? vieni avanti, fatti vedere!” “Guarda giù, sono proprio davanti a te! Il mio mondo ha dimensioni differenti dal tuo, mi chiamo Mi e sono una formica; il mio formicaio é proprio più in là dietro quella roccia. Cosa ti spinge, allora, sul nostro prato? Ti piace???” Fratel Bigio guardò in basso e vide un piccolo puntino nero … “parlante” “Sono alla ricerca del mio fratellino di tana Mowgli, l’hai visto? Non è proprio un lupo come me ma è un cucciolo d’uomo e in questo momento potrebbe essere in pericolo di vita” disse Fratel Bigio. “Ma che storia strana mi dici “siamo fratelli ma non siamo uguali…” mai sentite simili sciocchezze… ma siete tutti cosi strani nella giungla??? Comunque no, mi dispiace” rispose Mi “sono in giro con le altre mie sorelle sin dal primo raggio di sole e non abbiamo visto nessuno arrivare oltre te. Sai, ogni giorno noi formiche usciamo dal nostro formicaio per raccogliere il cibo necessario per poter superare tutto l’inverno: niente più del necessario come la nostra Regina ci insegna! Ti posso assicurare che il tuo fratellino non è mai arrivato fin qui da noi, altrimenti io l’avrei saputo. Ma se per caso lo incontriamo stai tranquillo che lo aiuteremo noi. Abbiamo delle prelibatezze che tu non immagini nemmeno…” “Ti ringrazio formica Mi, ma queste tue parole non mi lasciano tranquillo. Sono stanco e assetato ma devo continuare a cercare Mowgli lui sarà certamente più stanco e assetato di me. Sono contento di averti conosciuta formichina ma riprendo la mia ricerca anche perché non voglio

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disturbare oltre il tuo lavoro. Ti saluto Mi. Devo trovare il cucciolo d’uomo per portarlo ad abbeverarsi alla Roccia della Pace. Ciao Mi, ti lascio alla ricerca dei tuoi semi e… buon volo” “Buona caccia a te” rispose Mi. E così Fratel Bigio riprese il cammino verso la Giungla e Mi ritornò dalle sue sorelline. Dopo il racconto/lancio ci si divide in 2 branchi e un cerchio (i branchi hanno come simbolo la goccia d’acqua di 2 colori, il cerchio ha come simbolo un seme. I capi ricevono questi simboli al momento dell’iscrizione). La divisione: 3 persone hanno in mano i tre simboli e cantando la canzone la “Formica Mi” per il bosco e “Danza della tregua dell’acqua” o “Canto della fraternità” per i due gruppi giungla, ci si sposta creando ognuno il proprio cerchio. Momento Singolo: VOLO BOSCO “Ascoltate…ma li sentite? Stanno festeggiando!! Nel bosco qualunque occasione è propizia per gioire insieme…” Danza: “Festa nel bosco” “Che sbadata Ratha la farfalla… ha lasciato qui alcune delle sue tele, ma non sembra proprio che siano complete, ha dimenticato i colori come quelli delle sue fantastiche ali, manca il verde, l’azzurro, il rosso”. Dicendo alternativamente i colori, si dividono in tre gruppi e si inizia con il momento dell’osservazione. Ogni gruppo ha un cartellone (la tela della farfalla) su cui è disegnato solo l’ingresso di un formicaio, che rappresenta il loro habitat. Devono riproporre il luogo fisico da noi indicato come ingresso del formicaio, sul cartellone, quello che vedono. “Ma è arrivato il momento che le formiche operaie si diano da fare per recuperare le provviste per l’inverno, ma tutto con estrema allegria.” Gioco/staffetta: Gli stessi tre gruppetti già formati si sfidano per verificare quali siano le formiche più laboriose e temibili. Partendo dal proprio ingresso all’UNICO formicaio, si muovono per il prato alla ricerca senza sosta dei semi sparsi, camminando a quattro zampe. Trovati i semi tentano di portarli all’ingresso del proprio formicaio. Ad ostacolare le formiche operaie durante il tragitto saranno gli agenti atmosferici , che di tanto in tanto escono e chi è colpito da questi agenti dovrà così comportarsi: Il caldo (si deve tornare indietro e togliersi un capo di abbigliamento) Il gelo (si deve tornare indietro e indossare un altro capo di abbigliamento) Il vento (si deve tornare indietro con i piedi uno dietro l’altro punta e tallone) La pioggia (si deve tornare indietro con il fazzolettone in testa) Il gioco termina quando il gruppo ha trasportato tutti i semi presenti sul prato (regola da non comunicare). “In realtà la gara fra le formiche è comunque fraterna infatti abbiamo portato i semi ai tre ingressi dello stesso formicaio e poi li portiamo nell’unico magazzino dove i semi di cartoncino, si trasformeranno magicamente in semi veri mettendo tutto in comune”. Racconto: “ La storia della Formica Regina” “il prato da fiorito (come era stato disegnato all’inizio) ora è diventato arido (sovrapponendo il cartellone con il solo disegno del formicaio come quello consegnato prima che fosse colorato) perché è vero che abbiamo messo a disposizione del formicaio quanto raccolto, ma dovremmo prendere solo quanto ci occorre e nulla di più”. (deduzione) Consiglio della Grande Quercia. Si da inizio al Consiglio con il canto “La lanterna” in cui emergono prima, cosa è giusto e cosa sbagliato dell’esperienza pratica, poi divisi in gruppi si abbozza la carta d’identità, che in seguito si mette in comune con tutti gli altri in plenaria della bottega CACCIA GIUNGLA/VOLO BOSCO. Alla fine del C.d.R./G.Q. ci congiungiamo con il resto del gruppo portando con noi i semi trovati cercando di fare in fretta perché abbiamo bisogno di loro per far fiorire questi semi per riportare alla vita questo prato. (azione) Momento Singolo: CACCIA GIUNGLA

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“Da lupetti imparerete a fare buon uso degli occhi, delle orecchie, del naso, delle mani e del cervello. Ce n’è di che! Avrete molto da fare... Fino a che diventi in voi un’abitudine l’osservare

ogni cosa”. B.P. Manuale dei lupetti

Canto: “Danza della tregua dell’acqua” o “Canto della fraternità” Davanti al Cerchio si fa trovare una bacinella d’acqua sporca. Fratel Bigio non appena è ritornato nella giungla si rende conto che l’acqua alla Roccia della Pace è tutta sporca, Shere Khan era appena andato via e l’aveva insozzata per lavarsi la pelliccia. Tutti sanno che in piena tregua dell’acqua il fiume serve per bere e non deve essere insozzato. Per questo dobbiamo aiutare Fratel Bigio a rendere pulita e bevibile l’acqua. Gioco/staffetta: con questo gioco i capi recuperano gli oggetti che ci servono per la potabilizzazione dell’acqua (paletti+cordino, carboni+sabbia, stoffa, pietre+ghiaia) Esperienza: potabilizzazione dell’acqua: si costruisce un tre piede coi paletti e si attaccano ad esso 4 triangoli di stoffa come filtro (ghiaia, pietrisco, sabbia e carbone) al di sotto dei 4 filtri una bacinella vuota, si prende l’acqua sporca e la si versa sopra. Consiglio della Rupe. Iniziamo con il canto “Attorno alla Rupe” e in cui facciamo prima emergere cosa è giusto e cosa sbagliato dell’esperienza pratica e poi la Carta di Identità solo abbozzata, che poi sarà messa in comune in plenaria della bottega Caccia Giungla/Volo Bosco. Alla fine del CdR ci si congiunge con il resto del gruppo portando l’acqua della vita.

Nome: Caccia Giungla – Volo Bosco • Cos’è e a cosa serve: è uno strumento metodologico che serve a far vivere ai

bambini più intensamente e in un ampio lasso di tempo (attraverso la concretezza di giochi, danze, attività, canti…) l’ambiente fantastico, possibilmente immersi nella natura per assaporarne i colori e gli odori; inoltre serve ad osservare il bambino in riferimento al suo cammino di P.P. e quanto abbia percepito dell’ambiente fantastico

• Cosa non è: una caccia/volo qualunque, nella quale si fanno anche attività slegate dal racconto giungla/bosco, infatti deve esserci armonia tra il racconto giungla/bosco e le attività proposte; inoltre non può essere avulsa dal programma di unità. Non è un momento solo per raccontare ma il racconto ci aiuta a vivere l’esperienza

• Quando si fa e quanto dura: quando il bambino ha cominciato a conoscere l’ambiente fantastico, così da poterlo vivere appieno; almeno 1 volta all’anno della durata di 1 giornata.

• Struttura (fasi di svolgimento): osservazione dei bambini - obiettivo educativo, lettura racconto - smontaggio e rimontaggio, ricerca del luogo più adatto, cura dei dettagli e nel fare le cose (lanci, giochi, tecniche espressive), realizzazione, verifica

• Cosa offre al bambino nella P.P.:occasione per vivere le prede/impegni, le specialità; occasione per scoprire le proprie capacità. Aiuta il bambino a far percepire che il gioco non è un artefatto ma è concreto. Sperimentare l’autonomia del bambino.

• Segni particolari:aiuta a scoprire nuove dinamiche nel branco/cerchio, rafforza il clima di Famiglia Felice, strumento per i capi per soffermarsi maggiormente su passaggi del racconto giungla/bosco solitamente poco sfruttati (il capo ci deve credere), utile per sondare l’interesse dei bambini verso altri strumenti. E’inserita nel programma annuale di unità per perseguire un obiettivo educativo.

CARTA D’IDENTITÀ

DELLO STRUMENTO

METODOLOGICO

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ATTIVITA’ NATURA

Animatori: Dora Intini, Marilita Gallo, Miria Leone, Antonella Pacucci, Lillo Palumbo.

LANCIO:

CANTO DI ATMOSFERA: “una foglia sola” BREVE RACCONTO dal libro: l’uomo che piantava gli alberi

DIVISIONE IN 4 GRUPPI DA 10 COMPONENTI

consegna di semi diversi. I capi si riuniscono per seme, pensano ad un grido e viene consegnata loro una mappa delle attività che si vivono con le torce

ATTIVITA’ DA VIVERE A TURNO LE ATTIVITA’ DURANO MAX 10’)

1)KIM VISTA: osservazione di un luogo definito con torcia e lente di ingrandimento e rilievo di fauna e flora

2)KIM TATTO-OLFATTO: bendati si deve toccare ed annusare un albero poi sbendati si deve riconoscerlo

3)CALCO CON IL DAS: devono realizzare il calco di una foglia e poi catalogarla

4)KIM UDITO: mappa sonora

CONCLUSIONE in cerchio si legge un passo della genesi e tutti scrivono su un cartoncino a forma i foglia un impegno che si prende nei confronti della natura e mettendoli su un cartellone a forma di albero ne compongono la chioma

VERIFICA GUIDATA a giro velocemente con un aggettivo positivo ed uno negativo si giudicherà l’attività vissuta

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“Da lupetti imparerete a fare buon uso degli occhi, delle orecchie, del naso, delle mani e del cervello. Ce n’è di che! Avrete molto da fare... Fino a che diventi in voi un’abitudine l’osservare ogni cosa”.

B.P. Manuale dei lupetti

Nome: Attività Natura

• Cos’è e a cosa serve: è uno strumento metodologico che ci da l’opportunità di conoscere, scoprire, meravigliarsi, rispettare, amare ed interagire con la natura; acquisire la consapevolezza all’interno dell’ambiente natura, comprendendo che il bambino ha un ruolo

• Quando si fa e quanto dura: in tutte le stagioni, se inserita all’interno del programma di unità; la durata può essere di una giornata, una riunione, una caccia/volo

• Struttura (fasi di svolgimento): lancio, divisione in piccoli gruppi caratterizzati, esperienza pratica ed individuale, dare input per nuovi impegni, verifica.

• Cosa offre al bambino nella P.P.:sviluppo dei sensi, la scoperta, crescita nel senso civico, maggiore deduzione e osservazione, consapevolezza di essere parte del creato come natura, occasione per prede/impegni, cogliere la consapevolezza che la natura dona e viceversa (reciprocità)

• Segni particolari: non è sempre la stessa, colori, forme, attività da non sottovalutare, offre la possibilità di contagiare anche in contesti diversi, apre riflessione sulle risorse naturali, offre l’occasione per rispettare le leggi.

CARTA D’IDENTITÀ

DELLO STRUMENTO

METODOLOGICO

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CACCIA/VOLO DI SPIRITUALITA’ CRISTIANA Animatori: Antonio Zecchini, Michele Fontana, Giuseppe Passantino e Decio Di

Franco.

Incontro col viandante:

Si avvicina un uomo con alcune fascine di legno, è completamente perso nei suoi pensieri e solo all’ultimo momento si accorge della presenza dei vari capi: “Oh, scusate, non mi ero reso conto di aver camminato così tanto e di essere giunto qui da

voi, è da un po’ di tempo che non faccio altro che pensare ad una bellissima storia che mi è stata raccontata! Mi spiace di essere piombato così in mezzo a voi…Ho un’idea, per farmi perdonare racconterò anche a voi questa splendida storia!” «Un uomo viaggiava, portando sulle spalle tante croci pesantissime. Era ansante, trafelato, oppresso e, passando un giorno davanti ad un croci f isso, se ne lamentò con i l s ignore così : "Ah, Signore, io ho imparato nel catechismo che Tu ci hai creato per conoscerTi, amarTi e servirTi... Ma invece mi sembra di essere stato creato soltanto per portare le croci! Me ne hai date tante e così pesanti che io non ho più forza per portarle...".

Il Signore però gli disse: "vieni qui, figlio mio, posa queste croci per terra ed esaminiamole un poco... Ecco, questa è la croce più grossa e la più pesante; guarda cosa c'è scritto sopra...". Quell'uomo guardò e lesse questa parola: sensualità.

"Lo vedi?", disse il Signore, "questa croce non te l'ho data io, ma te la sei fabbricata da solo. Hai avuto troppa smania di godere, sei andato in cerca di piaceri, di golosità, di divertimenti... E di conseguenza hai avuto malattie, povertà, rimorsi".

"Purtroppo è vero, soggiunse l'uomo, questa croce l'ho fabbricata io! E' giusto che io la porti!". Sollevò da terra quella croce e se la pose di nuovo sulle spalle.

Il Signore continuò: "Guarda quest' altra croce. C'è scritto sopra: ambizione. Anche questa l'hai fabbricata tu, non te l'ho data io. Hai avuto troppo desiderio di salire in alto, di occupare i primi posti, di stare al di sopra degli altri... E di conseguenza hai avuto odio, persecuzione, calunnie, disinganni".

"E' vero, è vero! Anche questa croce l'ho fabbricata io! E' giusto che io la porti!". Sollevò da terra quella seconda croce e se la mise sulle spalle.

Il Signore additò altre croci, e disse: "Leggi. Su questa è scritto gelosia, su quell'altra: avarizia, su quest'altra...".

“Ho capito, ho capito Signore, è troppo giusto quello che tu dici...".

E prima che il Signore avesse finito di parlare, il povero uomo aveva raccolto da terra tutte le sue croci e se le era poste sulle spalle.»

L’uomo interrompe il racconto: “Vi chiedo scusa, ma sono molto affaticato per il viaggio che ho intrapreso, ho bisogno di qualche minuto per riprendere fiato! Magari nell’attesa potreste incamminarvi lungo il sentiero da cui sono giunto, li incontrerete 4 persone che ho avuto la fortuna di conoscere durante il mio viaggio, ciascuna di loro vi racconterà la sua storia: sono sicuro che ascoltarla allieterà le vostre orecchie e il vostro cuore proprio come ha fatto col mio! Per non

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dimenticare ciò che vi ho raccontato finora, prendete due rami e del filo e realizzate ciascuno una croce. Vi accompagneranno nel vostro cammino e vi aiuterà a vedere le tante croci che ogni giorno ci costruiamo!”

(Costruzione di una croce utilizzando due rami e un cordino).

Incontro con Pietro

<<La sera in cui arrestarono il mio Signore lo condussero nel sinedrio. Tanta gente si radunò nel cortile dove avevano acceso un fuoco. Anch'io sedetti in mezzo a loro e attendevo notizie. Forse il bagliore della fiamma illuminò in quel momento il mio volto, ed una serva allora fissandomi esclamò: "Anche quest'uomo era con lui!" Quelle parole mi spaventarono tanto, e così immediatamente negai:"No, non è vero! Io non lo conosco!" Poco dopo un altro uomo mi guardò dicendo:"Anche tu sei di loro!" Ma anche questa volta risposi: "No, non lo sono!" Passò circa un'ora e un altro insisteva: "Anche questo era con lui, è anche lui un Galileo!" O uomo, non so quello che dici!" E in quell'istante un gallo cantò.

E mentre il Signore passava, il Suo sguardo mi costrinse a provare vergogna per me stesso: io , il discepolo cui aveva detto:"Tu sei Pietro, su questa pietra io edificherò la mia Chiesa", avevo rinnegato il mio Signore! Egli si offriva come agnello innocente per la salvezza di tutti noi, prendendo la croce su di sé, ed io non ero stato capace di seguirlo … anzi avevo pure negato di conoscerlo.>>

Quante volte nella nostra vita ci succede di allontanarci dalla sua croce per paura di non farcela, o per pigrizia, o per egoismo. Eppure Egli non ci abbandona mai , il suo sguardo ci costringe ad essere sinceri, come fu per me quella notte: Dobbiamo quindi avere il coraggio di dare testimonianza del nostro amore per Lui, senza paura di essere giudicati e derisi. Se è questa la strada che vogliamo seguire io so che la nostra croce ci sembrerà subito più leggera.

(Pietro invita tutti a spezzare un pezzetto della propria croce).

Incontro con Simone di Cirène

<<Quel giorno tornavo dalla campagna, come ogni giorno, ero stanco per il duro lavoro e già immaginavo il momento in cui sarei finalmente rientrato a casa, per riposare e rifocillarmi. Ma qualcosa stava avvenendo lungo la strada che portava al monte Calvario: un condannato avanzava sotto il peso della croce. Non era la prima volta che mi capitava di vedere quella scena, la strada che conduce a casa mia incrocia proprio quella che porta a quel luogo disgraziato, ma stavolta c'era qualcosa di diverso: dietro quell'uomo vi era una gran folla di popolo e donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ad un tratto mi sentii afferrare da un soldato e prima che me ne rendessi conto mi misero addosso la croce di quel tale. Non sapevo neanche il suo nome, ero già affaticato del mio lavoro eppure ..la portai. Inspiegabilmente sentii che questo mi veniva chiesto in quel momento e lo feci. Per un lungo tratto portai quindi sulle mie spalle la croce di Gesù, così si chiamava, capivo dal pianto della gente che doveva essere davvero un uomo speciale>>.

Succede a volte nella nostra vita che qualcuno ci chieda aiuto e che magari noi siamo già stanchi delle nostre fatiche quotidiane, dei nostri pensieri: non neghiamo il nostro conforto a chi ne ha bisogno. Qualche volta non ci accorgeremo neanche del bisogno del nostro vicino e qualcun altro ce lo farà notare, come è successo a me. Ma non importa, rendiamoci ugualmente disponibili a portare le croci gli uni degli altri e questo diventerà un buon allenamento per noi a diventare sempre più attenti a chi ha bisogno.

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(Il cireneo invita tutti a scambiarsi la croce).

Incontro con Maria

<<L'ho aspettato come un dono di Dio fin dal giorno in cui è stato concepito nel mio grembo. Come era piccolo e indifeso quel giorno, lì nell'umile grotta di Betlemme. Lo tenevo tra le mie braccia e lo stringevo a me: avrei voluto proteggerlo così per tutta la vita. Sapevo che non veniva per restare con me , ma avevo detto sì quel giorno all'Angelo che lo annunciava. Sapevo che Egli doveva compiere una missione, quella per cui lo aveva mandato il Padre e che non sarebbe stato facile per Lui farsi riconoscere come il Messia, l'atteso delle genti. Eppure ogni volta che compiva un prodigio, o spiegava le scritture quanta gente lo acclamava, lodava Dio, e sembrava non volerlo lasciare più. Ed io ero lì, nascosta tra la folla , anch'io stupita di quel che diceva e faceva ma sempre mi fidavo di Lui perché sapevo che il Padre suo non lo avrebbe abbandonato. Ma quei giorni... quei giorni no! Tutti lo abbandonarono, anche i suoi discepoli. Quelli con cui aveva mangiato e percorso le strade della Galilea: dov'erano? Non c'erano sulla strada che conduceva al Calvario, e quando lo crocifissero io ero lì, ai piedi della croce, con accanto Giovanni. Ed egli mi disse: Donna, ecco tuo figlio! Da quel giorno io non sono stata più solo la madre di Gesù, ed accolgo ogni giorno ognuno di voi: potete dirmi le vostre pene, le vostre gioie, i vostri sogni, proprio come si fa con una mamma. Io vi accolgo e vi stringo al mio cuore come ho fatto con Lui. Potete affidarmi le vostre vite e io le custodirò come quel giorno a Betlemme, vi consolerò come facevo con Lui, e condividerò con voi le vostre croci.>>

(Maria invita tutti a scrivere su un foglietto una loro “croce” e a lasciarlo ai suoi piedi).

Incontro con Giovanni

<<Io sono Giovanni, Gesù mi ha scelto mentre lavoravo. Egli camminava lungo il mare di Galilea e vide dapprima Simone chiamato Pietro e Andrea suo fratello che gettavano le reti in mare, disse: "seguitemi, vi farò pescatore di uomini" e loro obbedirono subito. Gesù poi andò oltre e vide me e mio fratello Giacomo, ci chiamò e noi accorremmo. Con lui abbiamo fatto cose grandi, ci sentivamo forti, lo abbiamo visto guarire i malati, mondare i lebbrosi, ridare la vita a chi l'aveva perduta. Senza di lui la nostra vita non serve a niente, saremmo persi: quando lui è attorno a noi, tutto è diverso, le sue parole sono così piene di vita. Ma lui ci ha detto che deve lasciarci, che non dobbiamo preoccuparci, che dobbiamo continuare noi a dire a tutti ciò che abbiamo visto e udito. Avevamo paura, ma lui ci darà la forza per superare le difficoltà. >>

Tante sono le piccole e grandi sofferenze che rendono amara la nostra esistenza. Solo al termine della vita, quando saremo per sempre con Dio, non ci sarà più dolore, ma grande gioia per gli amici del Signore. Non dobbiamo temere di affrontare le difficoltà di ogni giorno perché Gesù è sempre al nostro fianco! (Giovanni invita tutti a saltare un piccolo ostacolo gridando “Io non ho paura!” e consegna loro un lumino che farà accendere alla sua padella romana). Quando tutto il gruppo è nuovamente riunito, il viandante li accoglie e riprende a parlare:

«Per ultima era rimasta per terra una crocetta piccola piccola e quando l'uomo la sollevò per porsela sulle spalle, esclamò:

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"Oh! Come è piccola questa! E pesa poco!". Guardò quello che c'era scritto sopra e lesse queste parole: "La croce di Gesù".

Vivamente commosso, sollevò lo sguardo verso il Signore ed esclamò: "Quanto sei buono!". Poi baciò quella croce con grande affetto.

E il Signore gli disse: "Vedi, figlio mio, questa piccola croce te l'ho data io, ma te l'ho data con amore di padre; te l'ho data perché voglio farti acquistare merito con la pazienza; te l'ho data perché tu possa somigliare a me e starmi vicino per giungere al cielo, perché io l'ho detto: 'Chi vuole venire dietro a me prenda la sua croce ogni giorno e mi segua...', ma ho detto anche: 'il mio giogo è soave e il mio peso è leggerò'. L'uomo delle croci riprese silenzioso il cammino della vita; fece ogni sforzo per correggersi dei suoi vizi e si diede con ogni premura a conoscere, amare e servire Dio.

Le croci più grosse e più pesanti caddero, una dopo l'altra dalle sue spalle e gli rimase soltanto quella di Gesù.Questa se la tenne stretta al cuore fino all'ultimo giorno della sua vita, e quando arrivò al termine del viaggio, quella croce gli servì da chiave per aprire la porta del paradiso.»

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CARTA D’IDENTITÀ

DELLO STRUMENTO

METODOLOGICO

“Da lupetti imparerete a fare buon uso degli occhi, delle orecchie, del naso, delle mani e del cervello. Ce n’è di che! Avrete molto da fare... Fino a che diventi in voi un’abitudine l’osservare

ogni cosa”. B.P. Manuale dei lupetti

• Nome:… Caccia/Volo di Spiritualità Cristiana • Cos’è e a cosa serve:… è uno strumento metodologico che permette di far vivere

ai bambini un’esperienza di incontro con Gesù attraverso personaggi significativi, modelli di vita cristiana. È un’attività che, integrandosi col programma dell’anno e con l’itinerario di fede, permette al bambino di vivere e interiorizzare il messaggio cristiano e di riconoscere in Gesù un modello da seguire.

• Cosa non è: non è una rappresentazione teatrale né un’attività fine a se stessa (slegata dal programma di unità), non serve a risolvere direttamente problemi o lacune che si presentano.

• Quando si fa e quanto dura: si colloca all’interno di un percorso di catechesi ben definito; al fine di creare la giusta atmosfera, deve svolgersi di sera (preferibilmente durante una Caccia/Volo con pernotto o alle V.d.B/C) e per un durata massima di 50-60 minuti.

• Struttura (fasi di svolgimento): individuazione del tema, dei personaggi significativi che interagiscano con i bambini e del percorso con le relative postazioni per i personaggi. Momento iniziale di Famiglia Felice per dividere i bambini in piccoli gruppi. Incontro con un personaggio che “interrompe” il momento di F.F., e crea l’atmosfera adatta. Si articola in 4-5 tappe, per ciascuna delle quali c’è un personaggio diverso che accoglie un piccolo gruppo di bambini per volta per non più di 10 minuti … questo è rigoroso … dal rispetto dei tempi si garantisce l’esito della Caccia/Volo di Spiritualità. In ogni tappa il personaggio racconta la sua storia e propone un’attività e un simbolo. Lo spostamento fra una postazione e l’altra è accompagnato da canti appropriati che aiutano a mantenere l’atmosfera; altrettanto importante è il momento conclusivo con tutto il B/C nuovamente riunito.

• Cosa offre al bambino nella P.P.: stimola la capacità di ascolto del bambino e sviluppa la sua dimensione spirituale, da l’opportunità di vivere un forte momento di spiritualità e di riflettere sulla propria esperienza personale

• Segni particolari: occorre scegliere con attenzione il luogo dove si svolge (all’aperto, in un ambiente suggestivo e sicuro per i bambini), La Caccia/Volo di Spiritualità è un momento di preghiera, di ascolto e riflessione per i bambini;deve esserlo anche per i capi. Le parole non siano affrettate … pur nella semplicità siano il riflesso di una preghiera personale.

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Gioco serale Mary Poppins arrivando in volo col suo ombrello è sta colpita da una forte raffica di vento che le ha rotto la borsa facendone cadere tutto il contenuto... Quasi tutte le cose perse da Mary sono finite nel parco che la sera sembra sia infestato da spiritelli dispettosi che spaventano i passanti e che difficilmente restituiranno a Mary le sue cose, per questo motivo lei ha deciso di chiedere aiuto ai presenti. L'ingresso del parco è sbarrato da due spiritelli guardiani, e per poter entrare è necessario portare loro un'offerta, Mary invita pertanto i capi presenti a raccogliere dei fiorellini di campo: i capi cercano nella zona circostante i fiori (in carta crespa di vario colore) e ne prendono solo 1 a testa per poi dividersi in gruppi (che sono di numero fisso, così possono capire quando si sono trovati tutti) in base al colore dei fiori. Una volta trovati tutti i fiori di un colore i membri di quel gruppo possono consegnarli al guardiano per entrare nel parco dove ritrovano i vari oggetti di Mary facendo attenzione agli spiritelli. Prima di autorizzare il gruppo ad entrare nel parco, gli spiritelli guardiani consegnano loro una lista degli oggetti da ritrovare, uno scalpo a squadra e spiegano loro come fare per ritrovare gli oggetti senza essere attaccati dagli spiritelli:

• ogni squadra cammina in fila indiana mano per mano, e avrà 1 scalpo che deve proteggere dall’attacco degli spiritelli chiudendosi in cerchio con le schiene all’interno non appena vedono avvicinarsi uno spiritello (che sarà visibile perché avrà uno starlight).

• il gruppo che viene scalpato ritorna tutto insieme da Mary Poppins (che gira canticchiando la canzone del film) per essere guarito con la pozione magica (pizzico di zucchero)

• 5 oggetti (cappello, ombrello, pianta, gomitolo, bugia) si trovano in giro per il parco e ogni squadra deve prendere SOLO gli oggetti del suo colore.

• 3 oggetti (libro, scarpe, aquilone) devono essere recuperati presso le postazioni di alcuni spiritelli anziani superando una prova squadra vs squadra: chi vince la sfida riceve l’oggetto perduto, chi perde può riprovare a prendere l’oggetto se trova un altro sfidante.

Le 3 prove: realizzare una piramide umana, tiro alla fune, staffetta passandosi un’arancia utilizzando il collo.

Il gioco si conclude quando una squadra riesce a ritrovare tutti gli oggetti e a riportarli a Mary.

Ma anche se siamo adulti non dimentichiamo che il gioco ha un posto importante in tutto ciò che facciamo …

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1 Il SIGNORE disse a Mosè: 2 «Manda degli uomini a esplorare il paese di Canaan che io do ai figli d'Israele. Mandate un uomo per ogni tribù dei loro padri; siano tutti loro capi». 3 E Mosè li mandò dal deserto di Paran, secondo l'ordine del SIGNORE; quegli uomini erano tutti capi dei figli d'Israele. 4 Questi erano i loro nomi: per la tribù di Ruben: Sammua, figlio di Zaccur; 5 per la tribù di Simeone: Safat, figlio di Cori; 6 per la tribù di Giuda: Caleb, figlio di Gefunne; 7 per la tribù d'Issacar: Igal, figlio di Giuseppe; 8 per la tribù di Efraim: Osea, figlio di Nun; 9 per la tribù di Beniamino: Palti, figlio di Rafu; 10 per la tribù di Zabulon: Gaddiel, figlio di Sodi; 11 per la tribù di Giuseppe, cioè, per la tribù di Manasse: Gaddi, figlio di Susi; 12 per la tribù di Dan: Ammiel, figlio di Ghemalli; 13 per la tribù di Ascer: Setur, figlio di Micael; 14 per la tribù di Neftali: Nabi, figlio di Vofsi; 15 per la tribù di Gad: Gheual, figlio di Machi. 16 Questi sono i nomi degli uomini che Mosè mandò a esplorare il paese. E Mosè diede a Osea, figlio di Nun, il nome di Giosuè. 17 Mosè dunque li mandò a esplorare il paese di Canaan, e disse loro: «Andate su di qua per il mezzogiorno; poi salirete sui monti 18 e vedrete che paese è, che popolo lo abita, se è forte o debole, se è poco o molto numeroso; 19 come è il paese che abita, se è buono o cattivo, e come sono le città dove abita, se sono degli accampamenti o dei luoghi fortificati; 20 e come è il terreno, se è grasso o magro, se vi sono alberi o no. Abbiate coraggio e portate dei frutti del paese». […] 21 Quelli dunque salirono a esplorare il paese dal deserto di Sin fino a Reob, sulla via di Amat. […] 25 Dopo quaranta giorni tornarono dall'esplorazione del paese 26 e andarono a trovare Mosè e Aaronne e tutta la comunità dei figli d'Israele nel deserto di Paran, a Cades: riferirono ogni cosa a loro e a tutta la comunità e mostrarono loro i frutti del paese. 27 Fecero il loro racconto, e dissero: «Noi arrivammo nel paese dove tu ci mandasti, ed è davvero un paese dove scorre il latte e il miele, ed ecco alcuni suoi frutti. 28 Però, il popolo che abita il paese è potente, le città sono fortificate e grandissime, e vi abbiamo anche visto dei figli di Anac. 29 Gli Amalechiti abitano la parte meridionale del paese; gli Ittiti, i Gebusei e gli Amorei, la regione montuosa; e i Cananei abitano presso il mare e lungo il Giordano».

(Numeri 13,1-21.25-29)

ASSOCIAZIONE GUIDE E SCOUTS CATTOLICI ITALIANI

branca e/g puglia

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Carissimi capi, qualche anno fa abbiamo festeggiato insieme il centenario dello scoutismo, abbiamo rivissuto insieme quel grande sogno di BP di cui tutt’oggi noi siamo la realizzazione, ma quanti di noi in realtà avevano mai riflettuto sul fatto che la nostra chiamata ha origini ben più antiche? Attraverso il brano dei Numeri, che vi invitiamo a gustare, personalmente o magari di staff, già prima del Convegno, cercheremo di ripercorrere le tracce di quei primi “esploratori”, tutti “capi”, che risposero alla chiamata di osservare, conoscere e scoprire tutte le meraviglie di una nuova terra, la Terra Promessa, quella Terra che Dio stesso aveva deciso di affidare al Suo popolo. Quanto vicina alla nostra chiamata: “Scegliamo di essere esploratori del nostro tempo: “Stare nelle cose” comporta la fatica del capire, lo sforzo della conoscenza, che va ben oltre l’informazione. Scegliamo perciò di educarci alla conoscenza e alla fatica della conoscenza, per essere uomini dei boschi capaci di praticare lo scouting, avventurarsi nella Giungla Urbana, leggerne la realtà, comprenderla a fondo, sapersi orientare nel fitto intrico di messaggi e proposte del mondo di oggi” (dal Progetto Regionale 2009-2012). Vi invitiamo, quindi, a vivere insieme a noi questa nuova avventura che ci aiuterà a comprendere in modo più approfondito la sfida dell’essere Esploratori del nostro tempo, la sfida dello scouting e sarà per tutti noi preziosa occasione di confronto. In allegato trovate un’edizione speciale di EGnews con alcuni documenti che potranno aiutarvi ad arrivare preparati all’incontro. Vi aspettiamo SABATO 13 MARZO 2010 AD ALTAMURA (BA) ALLE ORE 15.30 presso il PARCHEGGIO dello STADIO (sito in via Mura Megalitiche) dove potrete lasciare le vostre macchine e recuperarle la mattina seguente entro le ore 8.00. Vi chiediamo la massima puntualità circa l’orario di arrivo perché il convegno non si svolgerà nel luogo dell’appuntamento, potrebbe essere complesso raggiungerci successivamente; vi chiediamo anche un equipaggiamento essenziale in quanto sarà necessario sin da subito “muoversi” in città con lo zaino in spalla. Al convegno si partecipa in uniforme. La cena è al sacco. L’attrezzatura necessaria è quella di un pernotto in accantonamento, inoltre, potrebbero esservi utili: una bussola, il poncho, un po’ di cancelleria (pennarelli, carta crespa, scotch, forbici), la Bibbia. Non necessariamente avrete la possibilità di dormire con i membri del vostro staff di provenienza, pertanto, sarebbe opportuno che ciascuno sia autonomo nel materiale personale (cena compresa!). La mattina seguente dovremo raggiungere l’azienda agrituristica L’Amicizia a Cassano delle Murge entro le ore 8.00. Troveremo lì la colazione per tutti, comprese le altre branche (ricordate di portare con voi la vostra tazza o il vostro bicchiere personali). Certi della vostra collaborazione per riuscire a stare nei tempi (qui di seguito trovate la cartina con la strada per andare da Altamura all’agriturismo, vi consigliamo di stamparla e di portarla con voi al convegno), vi chiediamo sin da ora, per la domenica mattina, di essere celeri ed essenziali nelle operazioni di riordino delle strutture che ci ospiteranno ed altrettanto celeri nel recupero delle auto e del raggiungimento di Cassano. Il convegno avrà termine per tutte le branche alle ore 13.30 presso l’azienda agrituristica L’Amicizia di Cassano Murge. In attesa di incontrarvi tutti, vi salutiamo fraternamente Bari, 24 febbraio 2010 Gli Incaricati Regionali di Branca E/G Marcella e Marco e quelli che…la Pattuglia!

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atti preparatori al convegno branca e/g puglia

SPECIALE CONVEGNO: “SCOUTING 2010”

L’assassino di Eldson

(Questo racconto, che è vero nelle sue linee generali, illustra generalmente i doveri di uno Scout)

Molti anni fa, ebbe luogo nell’Inghilterra settentrionale un brutale delitto. L’assassino fu preso, recluso e giustiziato principalmente per le doti scout di un pastorello. SCIENZA DEI BOSCHI Il ragazzo - Robert Hindmarsh - era stato sugli alti pascoli ad accudire alle sue pecore, e stava tornando verso casa attraversando una zona selvaggia e remota delle montagne, quando passò dinanzi a un vagabondo che mangiava seduto a terra con le gambe stese in avanti. OSSERVAZIONE Il ragazzo passando osservò l’aspetto del vagabondo e particolarmente i chiodi speciali che questi aveva nelle suole delle scarpe. DISSIMULAZIONE Non si fermò a guardarlo fisso, ma afferrò quei dettagli d’un solo sguardo e proseguì senza molto attirare l’attenzione dell’uomo, che lo considerò come un ragazzo qualunque.

DEDUZIONE Quando il ragazzo giunse vicino a casa sua, ad otto o dieci chilometri di lì, incontrò una folla radunata intorno ad un villino. La vecchia signora che vi abitava (Margaret Crozier) era stata trovata uccisa. Si facevano molte, diverse supposizioni circa l’autore del delitto, ed i sospetti sembravano che gravassero principalmente su un piccolo gruppetto di tre o quattro vagabondi che si aggiravano nella contrada rubando e minacciando di morte chiunque avesse denunciato i loro misfatti. Il ragazzo udì tutte queste cose. Quindi egli notò alcune impronte caratteristiche sul piccolo giardino del villino. I segni dei chiodi coincidevano con quelli che egli aveva visto nelle scarpe dell’uomo ai pascoli e naturalmente dedusse che quell’uomo non poteva essere estraneo al delitto. CAVALLERIA Il fatto che l’uccisa fosse stata una povera vecchia signora indifesa suscitò lo spirito cavalleresco del ragazzo contro l’uccisore, chiunque questi potesse essere.

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CORAGGIO E AUTODISCIPLINA Così, per quanto sapesse che gli amici dell’assassino avrebbero potuto ucciderlo se avesse fornito indicazioni, mise da parte ogni paura. Si recò immediatamente alla polizia e la mise al corrente delle impronte nel giardino, e di dove avrebbero potuto trovare chi le aveva lasciate, se andavano immediatamente. SALUTE E FORZA L’uomo sù, ai pascoli, era arrivato tanto lontano dal luogo del delitto, senza essere visto, tranne dal ragazzo, che si reputava al sicuro e mai pensava che il ragazzo fosse capace di fare tutta la strada fino al luogo del delitto e quindi ritornare indietro, come fece, con la polizia. E pertanto non prese alcuna precauzione. Ma il ragazzo era un montanaro forte e pieno di salute, e fece il viaggio rapidamente e bene, e così trovarono l’uomo e lo catturarono senza difficoltà. L’uomo si chiamava Willie Winter. Fu processato, riconosciuto colpevole ed impiccato a Newcastle. Il suo corpo fu quindi trasportato ed appeso ad una forca vicino al luogo del delitto, secondo l’uso del tempo. Due degli altri vagabondi che erano suoi complici furono acciuffati e trovati in possesso di alcuni oggetti rubati e furono anch’essi giustiziati a Newcastle. GENTILEZZA D’ANIMO Ma quando il ragazzo vide il corpo dell’assassino appeso alla forca fu sopraffatto dal rimorso di aver causato la morte di un suo simile. VITE SALVATE Invece il magistrato Io mandò a chiamare e si congratulò con lui per il gran bene che aveva fatto ai suoi compaesani, salvando probabilmente altre vite e liberando il mondo da un così pericoloso criminale.

DOVERE Gli disse: «Hai fatto il tuo dovere, sebbene questo ti abbia causato personalmente un certo rischio e molti fastidi. Pure ciò non ti deve importare. Era tuo dovere aiutare la polizia perché fosse fatta giustizia, e si deve sempre compiere il proprio dovere senza tener conto di quanto ci costi, anche se dovessimo sacrificare la vita”. ESEMPIO Così il ragazzo compì ogni parte del dovere di uno Scout. Applicò la scienza dei boschi, l’osservazione senza essere notato, la deduzione, la cavalleria, il senso del dovere, la resistenza, la bontà d’animo. Certamente egli non pensò che l’atto da lui compiuto di sua propria e completa iniziativa sarebbe stato portato ad esempio, dopo tanti anni, a voialtri ragazzi per insegnarvi a compiere il vostro dovere. Allo stesso modo dovreste pensare che i vostri atti possono essere osservati da qualcuno ed essere anch’essi presi ad esempio. Cercate, dunque, di compiere secondo giustizia il vostro dovere in ogni circostanza.

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Dal documento degli Incaricati e dell’AE Nazionali di Branca E/G

“Lo Scouting… semplicemente” […] Come prima cosa, è bene che a tutti sia chiaro che lo Scouting non sono le tecniche, né tanto meno la vita all'aria aperta. Un/a esploratore/guida per quanto conosca le tecniche non fa scouting, fare un’uscita non è in sé un esercizio di scouting, realizzare un’impresa non è un occasione di scouting. Tutto questo non è Scouting se non risponde al perché siamo qui, se non chiarisce con quale scopo stiamo agendo. Scouting è osservare, dedurre, agire e contemplare: questa è la declinazione dello scouting verso la quale vogliamo rivolgere l’attenzione. Esplorare, quindi, non significa recarsi in luoghi nuovi ma è la capacità di comprendere tutto ciò che accade dentro e fuori di noi. Si tratta di un processo in divenire che deve scattare nella mente del ragazzo e della ragazza, un processo che va educato, compreso e vissuto nella sua interezza. Prima ancora dell’Uomo dei Boschi e del Buon Cittadino ci sono l’uomo e la donna che ragionano con la propria testa. Serve consapevolezza di quello che si fa, del perché lo si fa, del perché in quel posto e non in un altro: osservare è guardare con occhi attenti ovvero volgere e posare intenzionalmente lo sguardo, andare oltre la superficialità e osservare il dettaglio. L'osservazione è una capacità che richiede esercizio: si possono organizzare delle bellissime uscite e attraversare luoghi meravigliosi, limitandosi a vedere senza percepire la grandezza di quei luoghi, i particolari, le forme di vita che esso contiene. Serve la capacità di ascoltare, di cogliere, di raccogliere, di curiosare, ma soprattutto di fare sintesi: dedurre e trarre da una o più premesse di carattere generale una conclusione particolare, di non farsi ingannare da facili conclusioni, ma di voler andare a fondo, di voler capire a pieno per cosa ci stiamo operando. Oggi più che mai i ragazzi hanno bisogno di un reale esercizio di deduzione che faccia superare le risposte confezionate ricevute dai media e l’esperienza virtuale della TV. Serve sporcarsi le mani, non aspettare che sia qualcun altro a muoversi e fare qualcosa, serve darsi da fare, serve agire, ovvero compiere delle azioni con l'obiettivo di ottenere un risultato. Agire non tanto per fare o per consumare energia, agire perché si vuole essere, nel nostro piccolo, gli artefici della costruzione del Regno. Serve non farsi prendere dalla frenesia, bisogna sapersi fermare e rileggere il risultato del proprio agire, bisogna trovare il tempo di guardare a lungo e attentamente per ammirazione, stupore o per curiosità: contemplare. Nel tempo frenetico di oggi, serve sapersi fermare e guardare il frutto della propria opera, per rileggere il percorso svolto. Inoltre, ci dà il coraggio per l’agire futuro e ci suggerisce dove fare più attenzione perché, con competenza accresciuta, la nostra azione riesca meglio. Noi lo scouting lo pensiamo così: un agire che “lascia il mondo un po' migliore di come l'abbiamo trovato”, un agire consapevole per cui non è sufficiente vivere gli ambienti educativi, fare uscite e dimostrare di avere appreso delle tecniche se non si è “costruttori del Regno di Dio”. Con la pretesa di pensare che se avremo educato i nostri ragazzi a farlo da piccoli, saranno poi da adulti dei grandi artefici del Progetto di Dio. […] Roma, 23 febbraio 2009 Ilaria Baudone, Carmelo Di Mauro e don Luca Meacci

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AGESCI - Convegno Capi Branca E/G Sicilia Bagheria 1-2 marzo 2008 DON LUCA MEACCI (A.E. NAZ. di BRANCA E/G) Non ho certo la pretesa di svelarvi segreti nascosti, cercherò solo di condividere con voi quello che anche io ho scoperto un bel giorno quando è iniziata la mia avventura con lo scautismo. Vorrei potervi comunicare quella bramosia di scoprire cose nuove che hanno i ragazzi, quando ricevono un regalo da scartare. Vorrei potervi trasmettere quel senso di meraviglia e stupore che ognuno di noi ha potuto sperimentare quando, nel cammino della propria vita, ha ricevuto un bellissimo regalo. In fondo il metodo educativo scout, gli strumenti della Branca E/G, il Sentiero, sono per noi capi educatori come un bellissimo regalo che possiamo fare ai ragazzi, ma per poterglielo donare è necessario che in noi non manchi il desiderio di scoprire, di andare alla ricerca; non deve mancare la capacità di stupirsi e di meravigliarsi dinanzi alle ricchezze che in essi sono contenute. In questa premessa c’è un desiderio ed è quello di cercare di aiutarvi a scoprire la valenza cristiana che hanno gli strumenti del metodo educativo della Branca E/G: - comprendere come attraverso il bellissimo gioco dello scautismo, noi possiamo educare alla fede i ragazzi che ci sono stati affidati; - comprendere che l’educare alla fede, non richiede necessariamente un momento particolare, staccato dal resto delle attività; - comprendere che noi educhiamo alla fede attraverso il metodo scout che è facile. Sicuramente la meta più ambiziosa dell’educare alla Fede è quella di riuscire nel realizzare una integrazione tra vita e fede: questa è la meta di ogni percorso di educazione cristiana. Senza dubbio questa meta è un traguardo arduo da raggiungere e lo sperimentiamo sia nell’azione verso i ragazzi, sia nella nostra vita personale. Diventa allora fondamentale, evitare nella Branca E/G una catechesi che ripropone lo scollamento tra “attività” e “catechesi”; i ragazzi devono essere messi in grado di collegare il proprio vissuto umano ad un significato religioso profondo. Perché questo abbia un valore educativo nel senso sopra indicato, bisogna conoscere il valore umano degli strumenti che abbiamo a disposizione e saperli connettere in maniera appropriata al valore religioso e cristiano. Si tratta di fare in modo che tutti gli strumenti del nostro metodo siano vissuti dai nostri ragazzi in maniera forte, vera e autentica (livello umano). Capire, ad esempio, che la costruzione del regno di Dio passa attraverso l'impegno del singolo (il posto d'azione nell'impresa Campo); che l'apertura al progetto che Dio ha su di noi passa attraverso la nostra capacità di accettare le sfide, le “missioni” che ci vengono assegnate, o “gli incarichi” che scegliamo o riceviamo. Provate a pensare come sono belli e avventurosi i nostri Campi estivi, quante attività riusciamo a fare all’interno dell’Impresa per eccellenza che è il Campo estivo; ma poi ci capita di proporre momenti di catechesi staccati dal resto delle attività.

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Questo genera nei ragazzi l’impressione che il messaggio cristiano sia un qualcosa che si aggiunge, a quello che stiamo facendo, anzi…siccome ci interrompe nelle cose che ci appassionano, viene percepito come un qualcosa che viene imposto, o comunque che deve essere fatto “per dovere”. Allo stesso tempo, passiamo l’idea che tutte le cose che facciamo non hanno nulla a che vedere con la dimensione di fede e con la crescita della nostra esperienza cristiana e ingeneriamo quel senso di distacco tra la fede e la vita, tra l’esperienza cristiana e quello che vivono al Campo. Invece, un ragazzo o una ragazza, quando fanno la loro Promessa, entrano nel grande gioco dello scautismo, cioè entrano nel gioco di Dio, entrano nella squadra di Dio dove giocano da protagonisti sempre. Tutto ciò che vivranno gli parlerà di Dio e accanto a loro avranno capi educatori e testimoni della loro fede cristiana, che costantemente sapranno annunciare il Vangelo di Gesù e gli racconteranno le Imprese che Gesù ha fatto. Proporre ai ragazzi un cammino di fede, utilizzando un linguaggio a loro adatto: cioè mediato attraverso le Imprese, gli incarichi, i posti d’azione, le Specialità……. non vuol dire necessariamente banalizzare l'annuncio del Vangelo, ma studiare modalità per rendere il messaggio cristiano più avventuroso e “vicino” possibile a quella che è l’esperienza di vita dei ragazzi. […] Il nostro metodo già contiene in sé gli elementi che permettono al ragazzo di incontrare Cristo, e di maturare una spiritualità scout che costituisce una originale forma di spiritualità cristiana. Per questo non esiste un altro metodo per proporre la fede in AGESCI se non il metodo scout. IL METODO, TUTTAVIA, PER QUANTO INTRINSECAMENTE FORTE DA SOLO NON DÀ RISULTATI: HA BISOGNO DI CAPI CHE LO SAPPIANO UTILIZZARE CON INTENZIONALITÀ, CONSAPEVOLEZZA E COMPETENZA. […] Scouting ed esperienza di fede Giustamente il Regolamento Metodologico di Branca (art. 7), sottolinea che lo scouting “non è solo un insieme di tecniche, ma di modo di affrontare l’esistenza”. L’avventura scout deve essere vissuta, sia dai capi che dai ragazzi, come l’avventura con Gesù, un’esperienza che ha nella vita all’aria aperta il suo scenario privilegiato. Alcuni esempi: Valenza spirituale “Impresa” Il Signore chiama ognuno di noi alla concretezza della vita. Scopriamo che Gesù chiama ogni ragazzo, perché ciascuno di loro è importante, perché quello che può fare incide non solo sulla sua vita, ma anche sugli altri e sulla storia. Oggi giorno, avere un progetto nella vita e impegnarsi per realizzarlo è segno di forte responsabilità. Ecco che l’Impresa corrisponde a questo obiettivo: porta il ragazzo ad essere concreto nelle scelte e negli obiettivi che si propone. Quando sei chiamato a realizzare qualcosa, è segno che sei competente e che le persone ti ritengono preparato. Pensiamo a cosa avrà sperimentato Mose (Es 3,1-20) quando Dio gli ha chiesto dal roveto ardente di tornare in Egitto e liberare il suo popolo dalla schiavitù; sembrava un’impresa impossibile, eppure Mosè ci è riuscito. Un altro episodio biblico significativo è quando Mosè (Es 17,8-16) con Aronne combatte contro

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Amalek: anche se è una impresa di guerra, è da sottolineare come la riuscita viene accompagnata dalla preghiera di Mosé, dalla sua intercessione. Ogni nostra impresa non può prescindere dalla preghiera che accompagna e invoca da Dio il suo aiuto. Anche la costruzione della Torre di Babele (Gn 11,1-9) seppur appare come una impresa negativa, mette in evidenza come se non c’è l’aiuto di Dio e la coesione del gruppo, ecco che l’impresa fallisce. Inoltre il nostro fare non è “contro” qualcuno, ma è sempre per il bene nostro e degli altri. Immaginiamoci cosa sarà stato la costruzione del grandioso tempio di Gerusalemme (Es 25 e capitoli seguenti e cap. 35), la grande impresa del popolo d’Israele, dove ogni cosa era pensata, programmata e preparata. La costruzione del tempio e delle varie parti vide la partecipazione di tutto il popolo, ognuno mise a disposizione quello che aveva o sapeva fare. La riuscita di un’impresa dipende molto dalla collaborazione e dal contributo di ognuno, i posti d’azione sono fondamentali ed esprimono l’immagine della Chiesa così come viene raffigurata da San Paolo in I Cor 12, dove viene descritta sull’esempio del corpo di Gesù. Il celebrare una festa alla fine di ogni impresa, al di là del risultato, non è una forzatura, ma è un sottolineare l’importanza di aver contribuito, di aver dato o fatto qualcosa per il ben degli altri, quindi è giusto festeggiare come fece il popolo d’Israele dove aver passato il Mar Rosso (Es 15) dove esprime tutta la sua gioia per l’impresa riuscita. A suggellare che Dio apprezza il nostro impegno, ecco la celebrazione di consacrazione del tempio in Esodo 40, dove Dio prende dimora all’interno del tempio che il popolo aveva costruito: Dio si compiace dell’Impresa che abbiamo realizzato, la fa sua. Dio stesso, alla fine della sua primissima impresa, la Creazione del mondo, ha terminato celebrando il giorno della festa e ha chiesto a tutti di parteciparvi. Valenza spirituale “Missione di Squadriglia” Le missioni importanti non si affidano a chiunque, ma a gruppi ben preparati, sicuri, garantiti. Alla Squadriglia che viene affidata una particolare missione, viene richiesto di mettere a frutto, quindi sperimentare quelle capacità e competenze che hanno acquisito, corrispondendo a quella pagina del Vangelo (Mt 25,14-30) dove ciò che ricevi, ti viene donato perché tu lo condivida per il bene degli altri e il giudizio severo viene rivolto al servo “infingardo” che non ha fatto nulla per mettere a frutto le sue competenze. Gesù ha una missione (Mt 10,1-15): Dio Padre affida a lui e alla sua “Squadriglia” la missione di annunciare la Buona Notizia, di andare per la Palestina per dire a tutti che il Regno dei cieli è vicino. Affidare una missione è dimostrare che si ha fiducia in quelle persone, che le si ritengono pronte, competenti per quello scopo e per le difficoltà che questi potranno incontrare. Così ha fatto Dio con Abramo, Mosè o altre figure bibliche che hanno scandito la storia del popolo d’Israele. Sarà poi lo Spirito Santo (At 1,8) che affiderà agli apostoli la medesima missione, ma questa volta non per un territorio circoscritto, ma il mondo intero: “mi sarete testimoni, sino agli estremi confini del mondo”. Gesù da fiducia ai suoi apostoli, sa che adesso sono competenti, su di loro è sceso lo Spirito Santo. Molti dei nostri ragazzi durante la permanenza in Reparto, ricevono il sacramento della Confermazione, quindi da un punto di vista sacramentale sono “competenti”. Perché allora non

atti preparatori al convegno

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collaborare alla preparazione che fanno in Parrocchia, offrire ulteriori spunti. Oppure inserire questa preparazione nel loro cammino verso la Competenza. Gesù ha fiducia in loro, conosce il loro coraggio e la voglia di fare; anche noi dobbiamo dare loro fiducia, dobbiamo dimostrare che ci fidiamo di loro, che quello che gli chiediamo lo possono fare. In un altro episodio Gesù dice ai suoi (Mt 15,32-39): “Date voi stessi da mangiare…” Se non fossero stati capaci non gli avrebbe chiesto questo. Hanno accettato la missione che Gesù gli ha affidato: ciò che sembrava impossibile, è stato portato a termine. Se ricevi un incarico da svolgere, una missione da portare a termine, non puoi negoziare, ma “obbedire”, ma l’obbedienza non è da sottolineare nel comando, quanto piuttosto nella risposta: essere pronti a fare quello che ci viene richiesto. Pensiamo al motto: “Estote parati!”. Se il Signore chiama (Lc 5 e altri racconti di vocazione) dobbiamo essere pronti a rispondere alla vocazione, pronti a partire per una missione unica, che è stata affidata a me e ai miei amici e non ad altri. Valenza spirituale “Uscita di Squadriglia” Sicuramente è un momento importante quando gli altri ti riconoscono capace di cavartela da solo e ti affidano anche delle responsabilità o ti mettono in grado di fare da solo o da soli se siamo in gruppo. Nel libro dei Numeri, al capitolo 13 un gruppo parte ad esplorare un nuovo territorio e questi esploratori vengono scelti perché “capi”, cioè persone preparate per affrontare l’esplorazione di una zona che poteva riservare delle sorprese. Anche Gesù ha saputo valorizzare l’autonomia dei suoi discepoli e degli apostoli stessi, potremmo dire che li ha fatti sentire “grandi”, pronti ad affrontare quello che c’era da fare. Possono aiutarci alcuni episodi dove Gesù riconosce che i suoi sono pronti; (l’aver trascorso un cammino con lui, li ha resi abili, autonomi): Lc 10,1-9 con l’invio dei 72 discepoli; in Mt 10,1-15 qui l’invio è riservato agli apostoli, mentre in Mt 28,19-20 Gesù riconosce una piena autonomia perché il compito si apre al mondo intero. Anche se il Vangelo ci parla della partenza di singoli o di coppie, vale sottolineare prima di tutto l’atteggiamento che Gesù ha verso di loro: “forza, siete pronti per andare e fare quello che vi siete preposti”; impariamo a dare fiducia ai nostri ragazzi. Ad una Squadriglia che si appresta a vivere la sua uscita è importante far sentire la nostra fiducia; inoltre, come ha fatto Gesù, renderli autonomi, affidando responsabilità e competenze adatte per ogni esperienza. Come Gesù affida a Pietro (Mt 16,18) un ruolo particolare, anche nel nostro servizio dobbiamo saper riconoscere quei ruoli che fanno di un gruppo di ragazzi o ragazze, una Squadriglia, per questo dovremo valorizzare il ruolo del capo Squadriglia e del suo vice, ma anche tutti gli altri incarichi perché è grazie al contributo e alla competenza di ognuno che l’uscita segnerà una crescita per tutti. Sia nella preparazione che nel vivere l’uscita, ogni squadrigliere deve sentirsi come il giovane Davide (I Sam 17,32-51) che dinanzi al grande guerriero Golia, non si spaventa, non torna a casa, ma esce dall’accampamento e forte delle sue competenze e sicuro della sua preparazione, usa la fionda meglio dell’intera armatura.

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BRANCA EG: SIMPLY SCOUTING! Il convegno sullo scouting di Branca EG si è svolto nella città di Altamura il 13 marzo 2010; e un convegno sullo scouting non poteva che essere vissuto sperimentandosi concretamente attraverso l’uso degli stessi strumenti del metodo che utilizziamo con i ragazzi e nel cui valore educativo crediamo profondamente. Essenzialmente il tempo di branca si è suddiviso in due momenti fondamentali. Nel pomeriggio del sabato i capi EG partecipanti hanno vissuto un grande gioco in città attraverso cui focalizzare l’attenzione sull'osservazione della realtà in cui ci si muoveva. Attraverso foto significative, mappe e indizi sparsi nella città bisognava effettuare la deduzione giusta per poter rintracciare il cammino da seguire, sino ad intuire che il tragitto percorso da ciascuna squadra stava disegnando, tappa dopo tappa, sulla mappa della città una costellazione, la cui stella finale mancante segnava il luogo di ritrovo di ciascuna squadra per la notte.

La sfida lanciata è stata quella dello SCOUTING IN CITTA’: come rendere avvincente ed avventurosa la realtà che quotidianamente i ragazzi vivono, come trasformare tragitti e particolari dell’abitudinarietà in indizi da scovare e realtà da osservare, come rendere dettagli apparentemente insignificanti la chiave di intuizione di importanti e fondamentali deduzioni, come procedere a piccoli passi ma rinnovando continuamente il meccanismo della tripletta dell’osservo-deduco-agisco. Nascosto tra le strade di Altamura e in un solo apparente semplice grande gioco i capi EG di Puglia hanno scoperto un profondo messaggio: non è la tecnica a fare lo scouting, ma lo scouting è una mentalità, un modo di guardare alla realtà e di interagire con essa! Il segreto e la chiave di successo per lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato! Anche i Master e gli Iabz, preziosi aiuti per la

realizzazione del convegno, a cui è stato chiesto di seguire i lavori di gruppo per il recupero dell’esperienza, vi hanno preso parte del tutto ignari di come si sarebbe strutturato il grande gioco. Questo perché anche loro potessero viverlo sperimentando lo stesso effetto sorpresa di tutti gli altri capi partecipanti e perché potessero fornire il loro contributo sulla base della loro esperienza diretta. Da questa prima fase è emerso come non sempre sia stato facile individuare gli indizi, metterli insieme e dedurre le successive azioni da compiere, ma ciò che ha ampliato la riflessione è stato passare dal livello del gioco in sé all’esperienza del gioco all’interno di una ben precisa realtà: quanto siamo abituati ad osservare ciò che ci circonda? Quanto educhiamo i ragazzi ad osservare e conoscere il proprio territorio? Quanto riusciamo a leggere ciò che è nascosto dietro l’apparenza delle cose e degli eventi? Dal confronto nei vari sottogruppi, in uno spirito di condivisione e di racconto di esperienze, sono emersi i seguenti aspetti: 1. Lo scouting non è questa o quella tecnica, ma il modo con cui ci serviamo di questa o quella tecnica per mettere mano al mondo, cercandone i segreti nascosti all'occhio poco attento, al

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fine di lasciare la nostra impronta per "lasciarlo migliore di come l'abbiamo trovato". Lo scouting è una mentalità! 2. La scelta di fare scouting in città è stata una provocazione, è un invito a rompere le mura confortevoli della sede e ad uscire, in esplorazione, sempre, con l'occhio attento, affinato dalla consuetudine tecnica, dalla costante frequentazione degli ambienti dell'uomo dei boschi, dell'uomo di frontiera, della guida indiana, del giovane guerriero Zulù. Il meccanismo della lettura delle tracce, il tentativo di ricostruire movimenti e situazioni dall'osservazione degli indizi, l'abilità nel dedurre tipica dell'esploratore, che da una foglia trovata fuori luogo è capace di risalire al passaggio di una donna, occupa una parte significativa degli scritti di B.P., è quindi uno dei modi privilegiati di educare che il nostro fondatore aveva in mente quando ha sognato ed inventato “la squadriglia!”.

Il secondo momento, invece, ha introdotto un nuovo argomento su cui si sono confrontati i capi e sul quale sono stati chiamati a fornire un proprio contributo: scouting e percorso di fede. Anche il grande gioco è stato un’occasione per vivere questo connubio inscindibile; la convoca che tutti i capi hanno ricevuto aveva come brano di fondo il capitolo 13 del Libro dei Numeri: l’invio degli esploratori nella Terra Promessa per osservare e conoscere la nuova terra che avrebbe accolto il popolo d’Israele; allo stesso modo i capi convenuti al convegno sono partiti alla volta della scoperta e conoscenza della città di Altamura. Ancora una volta, l’apparente semplice grande gioco si è rivelato, in realtà, una ghiotta occasione di sperimentare come la stessa Scrittura ci offra occasioni “avventurose” di vivere lo scouting, di crescere nella propria dimensione spirituale e di educare la fede. Nei lavori serali, in particolare, i capi hanno potuto confrontarsi e condividere le proprie esperienze in merito alla relazione tra fede e sei degli strumenti fondamentali della branca: 1. fede e impresa 2. fede e uscita o missione di squadriglia 3. fede e consiglio capi 4. fede e gioco 5. fede e vita da campo 6. fede e alta squadriglia Per ciascun punto di riflessione è stato chiesto a piccoli gruppi di capi di realizzare degli spot pubblicitari in cui fosse evidente il meccanismo: osservo i ragazzi, osservo la situazione in cui si trovano, deduco ciò che risponde alle loro esigenze, ai loro bisogni, alla realtà che ci circonda, agisco, colgo l’attimo, uso il giusto strumento, sfrutto ciò che la Provvidenza mi offre per… educare, per tirar fuori…. Ciascuno spot partiva da una esperienza reale individuata dai capi come input per occasionare la catechesi o programmarne un percorso strutturato, in ciascun gruppo di lavoro si è utilizzato lo stile d’impresa, ognuno ha individuato il proprio ruolo-posto d'azione: Strategic planner (sceglie la strategia pubblicitaria, è un po' il regista dello spot), Media planner (sceglie il mezzo espressivo con cui realizzare lo spot), Copywriter (si occupa dei testi), Art Director (si occupa dei disegni e della grafica), Reparto Produzione (realizzano praticamente la pubblicità) e quant’altro la fantasia di ciascun gruppo è stata capace di inventare. Dopo la produzione e la presentazione degli spot c’è stato un momento in cui ciascun sottogruppo ha evidenziato le proprie riflessioni e si è dibattuto per raggiungere un pensiero condiviso. Due sono i punti essenziali che sono emersi in maniera forte e chiara dai lavori:

1. Tutti gli strumenti del metodo educano di per sé a dei valori e sono di per sé ottime occasioni di educazione della fede, ottime occasioni di catechesi;

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2. Qualsiasi esperienza della vita quotidiana di reparto (e non solo) può fornirci la possibilità di educare la fede, di crescere nella fede secondo la tripletta famosa “esperienza-simbolo-concetto”, può favorire l’incontro con Gesù Cristo.

Per concludere ecco alcune testimonianze e riflessioni di alcuni dei partecipanti al convegno:

Il pericolo a cui andiamo incontro nelle nostre attività è il fatto di avere fretta di raggiungere un risultato, senza poi effettivamente porre attenzione al cammino per arrivarci. Mentre è proprio il sentiero stesso che diventa una delle più importanti occasioni per fare scouting. Aiutare i ragazzi ad osservarsi e ad osservare la realtà che li circonda, dedurre i cambiamenti che vorrebbero realizzare nel proprio modo di essere e nell’ambiente in cui vivono, agire: essere protagonisti della propria crescita e lasciare il mondo un po’ migliore di come l’hanno trovato! Questo è scouting!

Il mio gruppo era composto per la quasi totalità da capi giovani o di poca esperienza,

pertanto, il convegno è stato vissuto come un importante ed arricchente momento di confronto sugli stimoli che il gioco, il materiale a disposizione e gli spunti di riflessione ci hanno fornito.

Ho notato come durante il gioco, anche se eravamo concentrati nella ricerca degli indizi

per raggiungere la nuova postazione, abbiamo potuto osservare la realtà che ci circondava: le persone per strada, i negozi presenti, i monumenti, gli spazi verdi.

E’ stata un’esperienza, innanzitutto, molto divertente e piacevole. Ho aggiunto

“innanzitutto”, perché una delle cose emerse durante la fase di gioco è che i reparti giocano molto poco e le co.ca. ancor meno, quindi, non può che aver fatto bene. L’organizzazione era buona (considerate le difficoltà dei grandi numeri e quella delle impreviste defezioni) e soprattutto era mirato a stimolare la “tripletta dello scouting” (come l’ha simpaticamente soprannominata un capo del mio gruppo): osservo-deduco-agisco.

Io credo che il gioco sia stato sensazionale, ha colpito perfettamente nel segno, dandoci

inizialmente il gusto della scoperta degli indizi e poi via via il gusto dell'osservazione della città. La gioia della deduzione credo sia stata grande mentre eravamo ancora a caccia di indizi, il gruppo ha capito perchè "le stelle", perchè "in quelle posizioni", perchè ne mancava una alla fine....

Perché un gioco, mi sono chiesta? Man mano che il convegno andava avanti ho capito! Ho

riscoperto quanto si possa nascondere dietro un “semplice” gioco in città, quanti valori… ho gustato la bellezza della valenza spirituale del gioco.... proprio come Gesù che ne scelse 12 per giocare con lui...

Lo “scouting in città” è stato una sfida. Banale apparentemente? No! Ci ha permesso di

cogliere sfumature differenti e nascoste dei luoghi che attraversavamo e ci ha aiutato a guardare con occhi diversi le persone che incontravamo. Abbiamo sperimentato come si possa trovare l’avventura anche nella nostra realtà quotidiana.

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La fede non può essere vissuta come qualcosa di separato da tutto il resto delle attività di reparto e non può essere un momento teorico. Deve entrare nella vita dei ragazzi. Ciò che loro vivono, l’impresa, l’uscita, la squadriglia, la promessa, tutto deve iniziare a parlar loro di Dio: un Dio che li chiama a partecipare alla sua grande impresa: la costruzione del suo Regno! La sfida è per noi capi, quanto siamo in grado di fare tutto questo?

È stata un’importante esperienza di confronto. Mi sono reso conto che per poter essere in

grado di sfruttare tutte le occasioni della vita di reparto per “trasmettere” ai ragazzi i contenuti della fede cristiana, dovrei essere io il primo ad approfondire la conoscenza delle Sacre Scritture.

Forse ero venuto con l’idea che avrei ascoltato degli esperti raccontarmi come dovrebbero

funzionare le cose nella vita di reparto perché siano metodologicamente corrette, mi sono invece ritrovato a dover esprimere la mia idea, a dover condividere la mia esperienza. Mi sono sentito parte attiva.

Mi sono trovato un po’ in difficoltà nel confronto su fede e scouting perché non mi era mai

capitato di fermarmi a riflettere su come per fare catechesi non fossero necessari chissà quali grandi momenti strutturati: nel mio cammino di capo mi piacerebbe imparare a cogliere le occasioni quotidiane, i piccoli gesti e le piccole situazioni di ogni giorno per trasmettere ai ragazzi la fratellanza, il perdono, la solidarietà, l’impegno. Riparto da questa esperienza con nuovi spunti e suggerimenti su cui lavorare con il mio staff.

Una cosa che mi ha colpito, sin dagli atti preparatori ricevuti prima del convegno, è stato

scoprire come scouting non sia sinonimo di “tecniche”. Saper fare un nodo in modo eccellente non ha senso se poi non so osservare e dedurre la situazione giusta in cui utilizzarlo in modo che sia utile a me e agli altri. Forse sono io a non averci mai riflettuto, ma per me è stata una bella scoperta.

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“ Scegliamo di essere esploratori del nostro tempo: ”stare nelle cose” comporta la fatica di capire, lo sforzo della conoscenza, che va ben oltre l’informazione. Scegliamo perciò di educarci alla conoscenza e alla fatica della conoscenza, per essere uomini dei boschi capaci di praticare lo scouting, avventurarsi nella Giungla Urbana, leggere la realtà, comprenderla a fondo, sapersi orientare nel fitto intrigo di messaggi e proposte del mondo di oggi>> (dal progetto Regionale 2009-2012)

Ai Capi e alle Capo Pugliesi della Branca RS Caro/a fratello/sorella scout,

Nel rinnovarti l’invito al 1° Convegno Metodologico Regionale sul Tema “SCOUTING:SCIENZA DI UOMINI CHE VOGLIONO LASCIARE IL MONDO MIGLIORE DI COME L’HANNO TROVATO”, espresso nella convocazione inviata dagli incaricati al coordinamento metodologico, ti comunichiamo le notizie logistiche inerenti la branca: Ci ritroveremo in uniforme alle 15:30 del 13 marzo 2009 all’Agriturismo dell’Amicizia di Cassano S.P. Per Santeramo-C.da Fasano. Dopo aver parcheggiato le autovetture, ci muoveremo verso l'Oratorio della Chiesa SS. Assunta di Cassano Murge, sita in Via Giacomo Matteotti, dove vivremo un momento formativo con l’aiuto di alcuni esperti...che non vi sveliamo per lasciarvi la suspense!. Sarà anche l’occasione per trascorrere una mezza giornata con pernotto in stile branca RS, quindi vi preghiamo di portare:

- il necessario per fare strada di sera (torci e giubbotto catarifrangente); - La tenda per trascorrere la notte (per chi non volesse dormire in accantonamento); - fornellino, gavetta e quanto necessario per cucinare e lavare (compreso i condimenti e gli alimenti, nel

rispetto del menù comunicato in precedenza dai vs. IABZ - rigatoni con pomodorini e mozzarella, salsiccia, insalata verde e frutta);

Tanto entusiasmo ed allegria!.

Il giorno successivo ritorneremo all’Agriturismo dell’Amicizia dove vivremo un momento di plenaria con tutti capi delle altre due branca.

Il convegno si concluderà alle 13:30 di domenica 14 Marzo .

Ti aspettiamo! Buona Strada.

Angelo, Tea, Don Michele e La pattuglia regionale RS

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Il nostro Programma 13/03/2010

15:30 Arrivo all’Agriturismo dell’Amicizia (dove si lasceranno le auto e si proseguirà facendo

Strada fino alla Base di Cassano) ; 16:00 In cammino verso l'Oratorio della Chiesa di Cassano Murge (circa 4,5 km). Durante la

strada ci sarà l’intervento sulla “ spiritualità delle strada” curato da Don Salvatore Grandioso (difronte alla Masseria Ruotolo)

17:00 Arrivo e sistemazione logistica 17:30 Inizio dei lavori in plenaria con:

Interventi sul coraggio e sullo strumento Veglia curati da Flavio e Jan Paul rispettivamente IAB nazionale e AE nazionale alla branca R/S; Intervento sulla pedagogia dell’esperienza a cura del pedagogo Gerardo Magro (gli interventi saranno di circa 20 minuti seguiti da 20 minuti di dibattito e saranno intervallati da giochi e bans);

20:30 Cena con menù fisso Menù: Rigatoni con pomodorini e mozzarella - Salsiccia e insalata verde - frutta a scelta. Ogni partecipante dovrà provvedere a portare tutto il necessario per se stesso compreso gavetta e fornellino, in modo tale da poter poi creare le coppie al momento della cena);

21:30 Presentazione veglia concorso; Momento di analisi conclusivo

14/03/2010

07:00 Smontaggio campo e consegna del materiale per la verifica dell’attività di branca da parte degli IABZ (ANNARITA, LUIGI E GIACOMO) e ritorno all’Agriturismo con le auto recuperate la sera precedente durante prima della cena;

08:00 Colazione in comune.

09:00 Messa in comune dei lavori di branca tramite un filmato-articolo redatto per branca durante la giornata del 13

Intervento di Pietro Gavinelli

12:00 MESSA

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I DOCUMENTI PREPARATORI

Carissimi Capi, Il documento di lavoro che vi presentiamo raccoglie le riflessioni pedagogiche e le linee guida individuate come principi ispiratori del lavoro della Branca. Il rilancio della pedagogia dell’esperienza e la virtù del coraggio sono i concetti fondamentali che troverete declinati in questo scritto. I PASSI DELLA BRANCA: DALLA REVISIONE DEL REGOLAMENTO AL PROGETTO PER IL FUTURO Introduzione: mandati dell’associazione e loro attuazione L’associazione chiede di riprendere in mano la metodologia di Branca R/S. Il consiglio generale 2008, con la mozione 1/2008, dà mandato agli Incaricati e all’Assistente Ecclesiastico nazionali di rivedere integralmente il Regolamento Metodologico in tutti i suoi aspetti. La mozione 18/2008 “Riflessioni pedagogiche per la branca”, accompagna la precedente mozione, con la richiesta di attivare una riflessione pedagogica educativa intorno ai temi: • Identità individuale e dimensione sociale, • Responsabilità personale e civica, • Partecipazione e protagonismo giovanile. Temi cari alla Branca, che fanno riferimento al cuore della proposta R/S: identità, responsabilità e partecipazione, sono dimensioni che caratterizzano l’essere adulti. Inoltre la stessa mozione sottolinea come le elaborazioni effettuate possano rappresentare un’opportunità per sostenere i capi: • nell’acquisire maggiori competenze di ascolto dei ragazzi, • nell’accompagnarli nella attuazione di esperienze significative e nell’assunzione di responsabilità dirette negli ambiti già previsti dal metodo (ad esempio nel servizio associativo, nella cogestione della comunità R/S e nei rapporti con la Comunità Capi). “Queste riflessione, con opportune modalità e strumenti, dovranno diventare linee d’azione per la branca stessa e ricchezza per tutta l’Associazione.” Lo scopo di questi mandati nasce in particolare dalla necessità di riportare l’attenzione di tutti sulla Branca R/S, riconsiderando l’importanza di questa fase finale del percorso educativo, come fase finale dell’intero processo, e che, come tale, mette in discussione tutto il percorso stesso (dalla definizione degli obiettivi al loro raggiungimento: l’uomo e la donna della Partenza). Il sentire dell’associazione nei confronti della Branca R/S va spesso nella direzione della consapevolezza della sua importanza, ma anche contemporaneamente, di una sorta di insoddisfazione. Alcune questioni, sottolineate in parte anche nel documento “stato della Branca R/S e prospettive” (documenti preparatori al Consiglio Generale 2008) evidenziano maggiormente l’importanza e la necessità di questo lavoro: 1. La consapevolezza che i capi R/S spesso non compiono la formazione di Branca ma provengono

da Branche diverse e “approdano” a questa. 2. L’assenza quasi totale di trapasso delle nozioni come “arte del capo” . 3. La sensazione diffusa che la metodologia di Branca R/S sia fragile ed affidata prevalentemente

ai capi perché poco strutturata. Questa concezione contiene in sé aspetti veri e falsi. 4. Il non utilizzo di alcuni strumenti obbliga ad una riflessione per chiarirne le motivazioni

educative ed anche la loro forza intrinseca.

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5. La consapevolezza che vi sono nuovi strumenti in uso in molte comunità R/S impone che questi vengano valutati e se ritenuti positivi, fatti circolare.

Questo attento richiamo ci motiva ad esplicitare l’interpretazione dei mandati del Consiglio genrale 2008 e la proposta di lavoro che stiamo costruendo insieme alle Regioni. Il lavoro sul regolamento metodologico è un lavoro sostanziale, che mira a verificare la qualità della proposta e non può esistere se non nella logica di un processo in atto nella Branca. In particolare le attenzioni che stiamo sviluppando sono due: verso i ragazzi, nel tentativo di porre obiettivi educativi chiari di aiuto ai giovani per spingerli a diventare cittadini responsabili; verso i capi fornendo supporti e strumenti, per sostenerli nell’esperienza educativa, senza timore di sostituirsi a loro. La Branca perciò vuole cogliere questa richiesta dell’associazione come l’opportunità per ripensare alla pedagogia di Branca R/S, salvaguardandone le caratteristiche determinanti ma anche, se necessario, ipotizzando percorsi nuovi. Vorremmo che tutta l’associazione ci fosse vicina in questo processo sapendo che ciò che conta non sarà solo il risultato ma la strada che compiremo per raggiungerlo. Speriamo in un coinvolgimento di molti capi, delle loro idee e delle loro critiche. Per questo la riflessione generale sul regolamento metterà in evidenza: • ciò che è necessario chiarire meglio, • ciò che desideriamo cambiare nella sostanza perché si sono delineati nuovi scenari, • ciò che riteniamo meritevole di formazione diffusa perché metodologicamente o non si conosce

abbastanza, o non si sa applicare. Su cosa puntare, chiave di lettura che guida la revisione: la Pedagogia dell’Esperienza

Pensiamo oggi che, provenendo da anni in cui la pedagogia potrebbe essere considerata “permissivista e giustificazionista”, ci stiamo avviando nella direzione di una pedagogia giustizialista. Chiare appaiono le motivazioni in entrambe le linee. Da una parte la necessità di capire da quale radice giungano i malesseri che i giovani manifestano e tra questi, inutile negare che gli adulti restano la maggiore causa di disagio. Dall’altra, la necessità, altrettanto valida, che ogni ragazzo sia responsabile delle proprie azioni e non giustificato per la condizione sociale. In altri termini potremmo porre la contrapposizione tra una pedagogia che dà peso al contesto sociale e una che dà peso alle scelte individuali. La pedagogia giustificazionista è, più banalmente, la difesa d’ ufficio dei giovani in quanto tali, con una sostanziale rinuncia dell’educatore alla sua funzione insieme alla svalutazione del merito, dell'impegno, della responsabilità individuale. La pedagogia giustizialista è al contrario, intrisa di moralismo, e si basa su categorie aprioristiche e manichee come giusto/sbagliato, vero/falso, a prescindere dal contesto in cui gli eventi si sviluppano, a prescindere dalle storie individuali e senza porsi in un confronto dialettico con i giovani, che al contrario, hanno bisogno di compiere il loro percorso, sperimentando anche errori o fallimenti. Per semplificare: “APPROCCIO GIUSTIZIALISTA” MAGGIORE ADEGUAMENTO ALLE ASPETTATIVE DELL’EDUCATORE VALORI INSEGNATI ESPERIENZA

MINORE COMPRENSIONE

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“APPROCCIO GIUSTIFICAZIONISTA”

MAGGIORE ADEGUAMENTO ALLE ASPETTATIVE DELL’EDUCATORE

VALORI INSEGNATI ESPERIENZA MINORE PUNIZIONE Come educatori Scout dove ci poniamo? Il metodo scout e le intuizioni di BP ci spingono a considerare una terza via, che chiameremo la Pedagogia dell’esperienza. Questa è la tensione educativa che vorremmo utilizzare per la revisione del regolamento, la chiave di lettura attraverso cui rivedere la proposta della branca R/S. Premessa sull’esperienza L’etimologia della parola Esperienza ci offre utili spunti introduttivi. Esperienza deriva da experior, che significa sperimentare, provare, porre in gioco, che a sua volta si compone di due preposizioni: «ex» (= da), che significa la partenza, l’allontanamento, il distacco più o meno volontario dall’ambiente familiare, usuale o iniziale e «per» che condivide la stessa radice di pericolo e che designa il viaggio attraverso un ambiente nuovo. L’esperienza dunque significativa scaturisce da questo movimento duplice - intreccio di distacco e di peregrinazione – contiene in sé l’idea della partenza e della peregrinazione e comporta sempre dei rischi. L'esperienza comprende la conoscenza di una cosa o di un evento, ottenuta tramite il coinvolgimento, l'esposizione e l'osservazione di quella cosa o quell'evento. Si tratta di "conoscenza a posteriori". In essa si costruisce il rapporto tra uomo ed ambiente, dove l'uomo non è uno spettatore involontario ma interagisce con ciò che lo circonda. L'educazione deve aprire la via a nuove esperienze ed al potenziamento di tutte le opportunità per uno sviluppo ulteriore, in cui i ragazzi siano in constante interazione con l’ambiente, reagendo ed agendo su di esso. Le linee guida della Pedagogia dell’esperienza

1. Educazione come pratica di libertà: l’educatore non è quello che trasmette modelli, ma è quello

che produce esperienze da fare con i ragazzi 2. Esperienza come luogo di incontro tra ragazzo, realtà, ed educatore. 3. Educazione come processo attivo in cui il protagonista è l’individuo, colui che capisce, che

comprende, e che costruisce la sua storia a partire dalle sue esperienze. 4. L’esperienza educativa è un’esperienza che si pone in continuità con la storia dei ragazzi, ma allo

stesso tempo propone una sostanziale discontinuità con la fase precedente. 5. Le comunità R/S sono luoghi aperti, che insegnano a partire e non a restare, attraverso la

sollecitazione a percorrere esperienze dentro e fuori l’associazione, proponendosi come spazi di raccolta e di sintesi.

6. La pratica delle virtù come passaggio dall’esperienza all’interiorizzazione dei valori 1.Educazione come pratica di libertà

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“Io ti metto al mondo ad un patto: sei libero di fare tutto quello che io voglio che tu faccia”. Questo è un problema determinante nell’educazione perché noi pensiamo che, per il bene dei ragazzi, è bene che loro facciano quello che noi pensiamo sia bene che loro facciano. Questa frase nasconde una grande contraddizione: è faticoso pensare che è bene che siano liberi, che possiamo volergli bene per come sono. Se non diventano come noi, se non rispondono alle nostre aspettative, se non amano le cose che amiamo noi, sono perduti. Possiamo immaginare di fare educazione come pratica di libertà? Il percorso verso la liberazione implica l’uscire dal mito della fabbricazione delle persone, implica l’uscire da schemi precostituiti. Possiamo immaginare che esista la possibilità di capire i giovani senza giustificarli né giudicarli e di responsabilizzarli senza schiacciarli. Crediamo sia possibile, poiché lo abbiamo sperimentato: educare buoni cittadini che diventino persone responsabili e attive, capaci di rendere migliori i gruppi sociali nei quali operano. Innanzi tutto è necessario aprirsi, ed immaginare un’educazione basata sull’esperienza in cui l’educatore non è più colui che trasmette i suoi modelli, i suoi valori, ma è quello che produce esperienze da fare per i ragazzi. Non comunica più direttamente, non parla di teoria, ma crea condizioni per cui i ragazzi possano fare esperienze. Abbandonare l’idea di modelli di uomini permette di costruire un’idea di processi educativi attivi, in cui il protagonista è il ragazzo, colui che sperimenta, che capisce, che comprende, secondo l’intuizione originaria di BP. L’idea di processo ci permette di stare al fianco dei ragazzi, di notare, osservare e registrare cambiamenti nel momento in cui offriamo una proposta. L’idea di processo ci permette di valutare, nella situazione e volta per volta quali concetti applicare alla realtà. È l’osservazione che orienta la nostra azione. Noi stessi siamo dentro questo processo, dentro questa esperienza fertile.

2.Esperienza come luogo di incontro della realtà, luogo di incontro tra ragazzo, educatore e realtà. Ognuno costruisce la sua storia a partire dalla sua esperienza.

3.Educazione come processo attivo, in cui il protagonista è l’individuo. La storia di ciascuno si snoda di incontro in incontro, di esperienza in esperienza ed è, in qualche misura, la strada delle persone. Ogni persona rilegge l’esperienza e ne costruisce significato a partire dalla sua storia, e costruisce la sua storia a partire dalla sua esperienza. L’esperienza è il luogo in cui si incontra la realtà e ci si confronta con essa, in cui si costruisce la propria vicenda. Per questo è necessario far fare esperienze e lasciare che le tante esperienze siano interpretate da ciascuno liberamente, partendo dalla propria storia, perché ciascuno deve trovare la sua interpretazione, diversa da quella di tutti gli altri. Il rapporto con noi educatori e con la comunità, che si snoda nell’esperienza, può offrire occasioni e strumenti per la rilettura dell’esperienza stessa, e, soltanto a posteriori, per l’interiorizzazione dei valori.

4.Continuità e discontinuità dell’esperienza

ESPERIENZA RILETTURA VALORI INTERIORIZZATI

I capi educano offrendo esperienze da far fare ai ragazzi

I capi e la comunità R/S educano offrendo occasioni (individuali e di gruppo) e strumenti per la rilettura delle esperienze

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Quali sono i criteri che ci consentono di distinguere un’esperienza educativa da un’esperienza negativa o non educativa? Non è il successo o l’insuccesso: si può incorrere in un insucesso che diventa utile per il resto della vita. Ci sono piuttosto esperienze che interrompono la continuità dell’esperienza, e che fanno male. Il lavoro del capo è costruire esperienze, per il possibile, fatte a misura dei ragazzi e cioè che siano fortemente impegnative, altrimenti non sono divertenti e stimolanti, ma che siano in continuità con le esperienze precedenti. L’esperienza se non è impegnativa e avventurosa, se non permette di scoprire novità, se non ti chiama in causa, se non ti mette in difficoltà, non è una cosa importante. In continuità con le esperienze vissute, significa che “non si apprende se non ciò che si è in grado di conoscere”. L’esempio della montagna ci aiuta a capire: se sono un esperto montanaro (e quindi ho già vissuto esperienze di percorsi impegnativi) potrò affrontare una ferrata che non ho mai fatto, con un grado di difficoltà maggiore rispetto a quelle percorse in precedenza. Sarò in grado di prepararmi, perché so cosa occorre o lo farò con disciplina, perché avrò la pazienza di curare il mio equipaggiamento e il mio allentamento fisico, poiché ho sperimentato la soddisfazione e l’emozione di riuscire. Ma se sono abituato a passeggiare in collina, se non ho mai curato l’attrezzatura per arrampicare, difficilmente riuscirò ad affrontare tout cour la ferrata, e messo di fronte a quella situazione, a queste condizioni, difficilmente ripeterò quest’esperienza, e mi chiuderò ad essa. Le esperienze vanno preparate: non si può essere messi di fronte ad una cosa troppo nuova perché può risultare traumatica poiché non interpretabile. È il problema del rapporto facilità-difficoltà. Questo permette di avvicinarsi alla disciplina, perché se ne scopre il senso e l’utilità. La discontinuità è l’altro criterio fondamentale perché un’esperienza sia educativa. Il ricominciare daccapo è un momento liberatorio nella vita, perché apre a mondi nuovi, sancendo la rottura con le condizioni che legano al passato, pur facendone tesoro. Pensiamo ai ragazzi che escono temporaneamente dalle loro comunità R/S, per entrare in altre, come ad esempio in occasioni degli EPPPI. L’ingresso in una nuova comunità, permette di uscire dai ruoli stereotipati che la comunità cuce addosso a ciascuno e di sperimentare altri modi di stare con gli altri, altre competenze, magari interdette, nelle comunità di appartenenza. Questo offre la possibilità di rientrare con una nuova consapevolezza di se stessi e delle proprie capacità. La Partenza è il momento culminante dell’esperienza discontinua, in cui i ragazzi hanno concluso il cammino nella comunità educativa e si avviano e vivono lo scoutismo da grandi nel mondo, camminando sulle proprie gambe.

5.Le comunità R/S sono luoghi aperti Bisognerebbe cominciare ad immaginare la comunità R/S come uno spazio aperto e non il luogo in cui ci si rifugia. Bisognerebbe muoversi verso un’idea di un’associazione che produce una quantità di esperienze da fare e che stimola i ragazzi a trovarne altre fuori. Uscire dai clan per abituare i ragazzi a fare gli scout, cioè a prendere ed esplorare per poi ritrovarsi con delle cose da dire, proprio a partire dalle esperienze vissute. Se si rimane seduti intorno al tavolo, di che cosa si può parlare? Rompere la dinamica del clan, mandando i ragazzi continuamente in altri posti e farli rientrare, e pensare il clan come luogo che prepara la partenza attraverso una quantità di partenze, perché l’unico modo per imparare la partenza è partire continuamente, altrimenti, se si impara a stare, poi si è preparati a stare.

6.La pratica delle virtù come passaggio dall’esperienza all’interiorizzazione dei valori. L’equilibrio all’interno della dialettica tra soggetto e realtà sociale si fonda dunque sull’esperienza. La relazione mediata dall’esperienza costruisce la sintesi tra l’individuo (e la sua individualità) e la realtà (e la socialità). In altri termini: superiamo le pulsioni individuali ed andiamo verso l’altro (gli altri) attraverso la condivisione dell’esperienza. Come branca R/S possediamo un chiaro patrimonio in questa direzione, la strada, l’hike e il deserto sono solo tre esempi di superamento responsabile delle pulsioni per incontrare l’altro. È sull’esperienza che si fonda la costruzione di individui solidi. Quale tenuta sarebbe sicura se non provata? Ci fideremmo di corde non testate? Contiamo su un

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amico solo dopo aver superato con lui fatiche e prove. L’immagine del cavaliere medievale che tanto sollecita la nostra fantasia di branca poggia la sua esistenza non sull’enunciazione di valori ma sullo stile concreto del dono. Superare l’individualismo che tanto spaventa le generazioni che vengono da esperienze di forte socializzazione è possibile forse con forti proposte di esperienze, non con discussioni sull’importanza della socialità, per imparare ad agire in modo autonomo e responsabile. In questo senso, spostare il focus dalla declamazione dei valori alla pratica delle virtù, riteniamo rappresenti il passaggio necessario per la costruzione della solidità della persona. Per virtù si intende l’attitudine e la disposizione dell’animo a seguire il bene. In essa è contenuto anche il significato di proprietà attiva, di facoltà, di capacità di produrre un effetto (il virtuoso del violino è colui che possiede una maestria inusuale nel suonarlo, frutto della pratica e dell’esercizio). Le virtù quindi non sono un esercizio astratto, piuttosto un pratica positiva di buone qualità, competenze, che si accrescono con il tempo e l'impegno. Un esempio concreto: spostare il focus dall’enunciare il valore dell’accoglienza, alla richiesta concreta fatta ad un ragazzo di esercitare la virtù della pazienza verso il compagno di clan a cui si mostra insofferente, nei modi e negli atteggiamenti. Proporremo in questo modo un’esperienza e attraverso la sua rilettura, ossia attraverso l’osservazione di ciò che ne consegue per sé e per gli altri, sarà possibile interiorizzare un valore, renderlo proprio, trovandone la propria singolare ed unica applicazione nella propria storia.

Vorremmo dunque rilanciare nei capi, attraverso questa “rivisitazione metodologica” una pedagogia dell’azione che permetta di combattere l’astrattezza di molti valori gridati o ripetuti in sede, UNA PEDAGOGIA DELL’ESPERIENZA, per recuperare la dimensione del fare le cose, in cui ci si mette alla prova, convinti che non manchino nei giovani i valori, ma la loro capacità di declinarli e di renderli coerenti. Proporre esperienze e rileggerle criticamente, correre il rischio dell’errore come occasione di autoapprendimento, sono i pilastri di un’educazione per sua natura empirica. Vorremmo chiedere a tutti noi capi di PROPORRE (porre davanti) ai ragazzi l’occasione. Non la dichiarazione facile ma l’esperienza faticosa. Vorremmo dare a tutti noi capi i motivi per cui PREPARARSI e studiare il metodo. Ed il motivo non può che essere fare felici i ragazzi. Pensiamo che l’educazione non sia la fabbricazione di individui, ma la formazione di persone capaci di essere libere. Un’educazione scout tutta basata sull’esperienza è il luogo di costruzione di una libertà di pensiero.

Modalità e tempi Compiere una revisione del regolamento di Branca RS, dopo aver individuato i nodi metodologici più controversi e l’esperienza che se ne fa nella comunità (grazie all’analisi delle regioni). Proporre una lettura della condizione giovanile, uno stato dell'arte dell'applicazione del metodo, arrivando e delineare con chiarezza: - ciò che è necessario chiarire meglio nel regolamento; - ciò che riteniamo utile cambiare nella sostanza perché si sono delineati nuovi scenari; - ciò che riteniamo meritevole di formazione diffusa perché metodologicamente o non si conosce

abbastanza o non si sa applicare; ciò che è necessario chiarire meglio nel regolamento.

I Nodi evidenziati nel lavoro con le regioni sui quali stiamo lavorando sono: - Noviziato - Progressione personale - Partenza - Coinvolgimento degli R/S nel governo dell’Associazione - Itinerario di Fede - La firma dell'impegno

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La revisione dunque si compone di tre passaggi fondamentali: - chiarire ai vari livelli associativi la filosofia di fondo che muove la nostra revisione - presentare al consiglio generale 2010 le linee guida che saranno il terreno sul quale l'articolato

sarà rivisto - costruire l'articolato relativo alle modifiche evidenziate, e/o effettuare quelle azioni formative in

collaborazione con la Fo.Ca.

Progetto per il futuro: orientati al coraggio

Nell’incontro con gli incaricati regionali del 31 gennaio 2008, condividiamo la lettura della fase storica attuale e della condizione dei giovani, evidenziandone alcune questioni e individuando priorità su cui lavorare come Branca. In sintesi siamo concordi nell’evidenziare: - il famoso prolungamento dell’adolescenza – difficoltà di costruirsi una vita autonoma - la difficoltà progettuale (le esperienze sono fruite e non costruite - relativismo) - vissuto di disorientamento e precarietà - vissuto di sfiducia verso il futuro - rischio di individualismo-chiusura in se stessi

L’emergenza educativa principale è la difficoltà nel costruire “un’identità complessiva” che permetta l’orientamento nella realtà attraverso la costruzione di un senso dell’esperienza. L’incontro con i “vecchi della branca” ha messo in evidenza come all’inizio degli anni ottanta uno degli obiettivi fosse quello di portare “il mondo nella branca R/S” accogliendo l’istanza di partecipazione e coinvolgimento che i giovani portavano. Si puntò molto sul tema della Scelta. Oggi l’obiettivo educativo su cui puntare è il processo che precede la scelta, il percorso attraverso il quale i ragazzi possono orientarsi nell’esperienza costruendone il senso. “Portare la branca R/S nel mondo”. La pedagogia dell’esperienza, con il rilancio della pedagogia scout come pedagogia attiva, che pone al centro il ragazzo e la sua esperienza, si offre come base concettuale su cui lavorare per il raggiungimento di questo obiettivo (facilitare il percorso di orientamento alle scelte).

Possiamo strutturare percorsi che aiutino i ragazzi ad orientarsi nella realtà e a comprenderla per poter agire in essa, sperimentando il senso di efficacia e vincendo la sfiducia e la paura che fa chiudere in se stessi. Possiamo pensare in questa ottica di lavorare su temi che riguardano la nostra vita (ad esempio il bene comune, l’ambiente, la professione).

Per questo possiamo pensare al coraggio come ad una virtù da esercitare, nell’incontro con una realtà in cui è possibile incidere ed essere efficaci. L’esperienza è la ricerca di soluzioni ai problemi; quando si cercano soluzioni è perché abbiamo già un idea che i problemi abbiano una soluzione, altrimenti ci si adatta e non ci si muove: questo è uno dei pericoli di adesso. L’ipotesi di ricerca è il pensiero che il futuro possa essere migliore. In questa fase storica c’è molta paura dell’avvenire, di ciò che può venire dopo. Questa paura crea paralisi. Non ci sono ipotesi su come cambiare le cose, su come cambiare l’economia, su come costruire una società più solidale, su come rompere lo schema della competizione a tutti costi, su come creare una collaborazione efficace. Possiamo però, immaginare che proprio l’esercizio del coraggio, in un momento in cui non riusciamo a pensare azioni globali di trasformazione, ci porti a compiere delle azioni esemplari in cui si faccia esperienza di un cambiamento possibile.

Nell’incontro con gli incaricati, si sottolinea, oltre questa esigenza di lavoro con i ragazzi in tutto il loro percorso, dalla salita al noviziato fino alla Partenza, la necessità di sostenere i capi nel diventare promotori di speranza e di coraggio.

Il lavoro si è articolato in tre fasi: - introduzione al tema del coraggio, riallacciandoci all’ultimo incontro di gennaio proposta di

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individuare nelle proprie regioni una declinazione del coraggio, attraverso l’individuazione di esperienze da poter offrire a tutti i rover e scolte (vedremo poi come utilizzarle. All’incontro si può fare l’esempio delle route regionali per far capire che cosa intendiamo e come possiamo utilizzare questo lavoro di ricognizione); lavoro da lanciare all’incontro di giugno e da riprendere all’incontro di ottobre.

- raccolta di idee nell’incontro di giugno su come declinare, attraverso esperienze concrete, il tema del coraggio per ragazzi, capi, quadri

- sistematizzazione del programma di azione da parte della pattuglia da condividere con gli incaricati ed il consiglio nazionale.

Attraverso un questionario si è voluto esaminare se la branca RS pugliese utilizza lo strumento veglia e come

QUESTIONARIO PER I CAPI AGESCI DELLA REGIONE PUGLIA

INERENTE LO STRUMENTO “VEGLIA” ROVER/SCOLTE IN BRANCA R/S durante il tuo servizio in qualità di capo i tuoi ragazzi hanno mai realizzato una veglia:

SI NO

in che occasione è stata realizzata: chiusura capitolo Conclusione di attività/servizio significativo Altro

Chi ha proposto di realizzare la veglia: ragazzi capi Altro

Il tuo ruolo durante la preparazione/realizzazione : Non partecipo Non mi intrometto vigilo Do indicazioni se richieste Indico preventivamente come deve essere Partecipo in prima persona Verifico quanto fatto e nel caso apporto modifiche

L’ultima volta quanto tempo avete impiegato per prepararla: 1 mese 2 mesi Altro

Vi è stato il coinvolgimento di tutti i componenti del clan: SI NO ALTRO

Nella vostra esperienza da capo quale tecnica di espressione viene più utilizzata : ______________________________________________________________________________

Quanto è importante la conoscenza delle tecniche espressive per la buona riuscita di una veglia: ______________________________________________________________________________

Nel preparare/realizzare la veglia è capitato di servirvi della collaborazione di persone esterne (testimoni, associazioni, esperti ecc...): SI NO

chi viene invitato in occasione della presentazione della veglia: ________________________________________________________________

Lavorare per la realizzazione di una veglia è servito a rafforzare i legami all’interno della comunità : SI NO ALTRO

Lavorare per la realizzazione di una veglia è servito a superare gli ostacoli dei ragazzi alla comprensione e all’ascolto : SI NO ALTRO

Lavorare per la realizzazione di una veglia ha migliorato le capacità dei ragazzi di lavorare di gruppo : SI NO ALTRO

La veglia è servita per lo scambio di riflessioni, esperienze e per approfondire valori vissuti o scoperti in altre attività : SI NO ALTRO

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La veglia è servita per approfondire le capacità tecniche e manuali dei ragazzi : SI NO ALTRO

SINTESI DEI QUESTIONARI SULLO STRUMENTO “VEGLIA ROVER”

In riferimento a quanto emerso dai questionari inviati, dalla Pattuglia regionale R/S, a tutti i capi R/S della regione con l'aiuto degli iabz in merito all'utilizzo ed alla conoscenza dello strumento VEGLIA in CLAN è emerso in maggioranza quanto di seguito riportiamo:

scarsa risposta da parte dei capi bisogna evidenziare che molti hanno segnato di non aver realizzato mai una veglia in quanto al primo anno di servizio in clan. Tale aspetto testimonia oltre che un enorme ricambio come capi della branca RS anche il fatto, che abbiamo più volte sottolineato, che nella branca RS con la scusa che si tratta di ragazzi grandi e autonomi vengono inseriti a rotazione i capi della Co.Ca. più giovani e comunque che per quell'anno non hanno tanto tempo a disposizione per il servizio;

La veglia viene realizzata essenzialmente a chiusura di un capitolo o di un attività significativa. La proposta parte quasi equamente dai capi e dai ragazzi. Il ruolo del capo si limita a dare indicazioni solo se richieste. mediamente il tempo impiegato per la realizzazione della veglia è un mese ma qualche burlone

ha indicato anche un giorno. Mediamente i ragazzi vengono tutti coinvolti. Vengono considerate importanti le tecniche espressive in particolare la tecnica della recitazione. Solo in pochi casi vi è il coinvolgimento di esperti o persone esterne. Per la presentazione della veglia vengono invitati solitamente il gruppo - i capi e i genitori ma in

alcuni casi viene esteso anche a tutte le altre persone del territorio in cui si opera o alle realtà a cui la veglia è rivolta.

Lavorare per la veglia è servito quasi nella totalità dei questionari a migliorare i rapporti nella comunità, a lavorare in gruppo, a superare problemi/ostacoli all'ascolto, ad uno scambio di riflessioni.

QUALCHE BREVE SUGGERIMENTO SULLA VEGLIA R/S COME SPUNTO DELLA RIFLESSIONE DA SVILUPPARE DURANTE L’INCONTRO CAPI

Come farla, perché, a chi è rivolta, quanto dura in se e nella preparazione; chi la organizza e ogni quanto bisogna organizzarla? La Veglia rover è lo strumento (e il momento) in cui il Clan/Fuoco rende partecipe la comunità a cui appartiene (il proprio gruppo scout ma spesso anche il paese ecc) del proprio cammino.

Durante l'anno scout il Clan/Fuoco si confronta su e con vari temi attinenti la quotidianità, il mondo che lo circonda, la fede o qualsiasi altro argomento i ragazzi che formano la comunità ritengano interessante e degno di attenzione.

Durante la veglia, con le tecniche tipiche dello scoutismo i ragazzi raccontano il proprio percorso e le proprie considerazioni/conclusioni.

Ogni rover e scolta attraverso lo strumento veglia deve comunicare con gli altri ed esternare le proprie riflessioni utilizzando le tecniche espressive ad loro più congeniali .

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Introduzione = “Luca: l’evangelista della strada” Luca divide il suo Vangelo in tre parti: l’attività di Gesù in Galilea (prima parte), l’attività in Giudea, a Gerusalemme (terza parte) e, tra le due, pone il viaggio dalla Galilea alla Giudea (seconda parte). Quella di Cristo è una strada che, attraversando la Samaria, porta dalla periferia della nazione verso il centro di essa, dove risiedono i poteri politici, economici e religiosi. Una strada che Cristo farà in andata (a Gerusalemme per realizzare la salvezza) e in ritorno (in Galilea per portare la salvezza a tutte le genti). L’importanza di questo viaggio per Luca si desume dal fatto che, a differenza di Matteo e Marco, egli dedica ad esso ben dieci capitoli del suo Vangelo. Che fosse una strada dura si sapeva: passare attraverso la Samaria non era facile: i samaritani non erano giudei e tra loro si odiavano da sempre. Il galileo che attraversava la Samaria per andare a Gerusalemme, veniva guardato con sospetto e, per lui, tutte le porte rimanevano chiuse. L’orgoglio ferito generava nel giudeo intolleranza e fanatismo: cose che da sempre sono fonte di disastri in tutti i settori Prima parte = “Giovanni: l’educatore della strada” Prima di presentare la strada di Cristo, Luca propone la figura dell’ “EDUCATORE DELLA STRADA”: Giovanni. --- Giovanni riceve la sua missione fin dalla nascita: “...e tu bambino, sarai profeta dell’Altissimo e andrai davanti a Signore per preparare la strada!” gli dirà suo papà ricevendolo dalla mamma. --- Giovanni sintetizza così la sua lezione sulla strada: “Raddrizzate i sentieri... riempite i burroni .... abbassate le montagne...... raddrizzate le curve ... e spianate le salite!” --- Giovanni non si limiterà alle parole ma testimonierà con la vita il suo insegnamento, tanto che di lui Gesù dirà: “Tra i nati di donna non c’è uno più grande di Giovanni!” Seconda parte = “La strada di Cristo” --- “Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme” - E’ il lungo viaggio della liberazione che si concluderà con il grido sulla croce: “Padre, tutto è compiuto, ora lascio tutto nelle tue mani” --- La direzione che prende Gesù, dalla periferia al centro, ci dice che non basta dare testimonianza nelle periferie del mondo: è necessario anche andare al centro, moralmente ogni giorno più puzzolente, e denunciare i meccanismi perversi che generano ingiustizia. Per i discepoli che lo seguono sarà il viaggio di un gran trapasso di nozioni teso a spiegare come “affrontare le difficoltà della strada” e come intendere il “camminare sulla strada dietro a Gesù”. --- Le difficoltà della strada di Cristo : “Ma essi non vollero riceverlo…” E cominciano subito le difficoltà; annunciare il Progetto del Padre avrebbe causato tutta una serie di reazioni e di dure conseguenze: Gesù lo sa e le affronta cosciente che la sua attività di liberazione lo porterà alla morte. Egli accetta la sua missione e, con fermezza, decide di andare a Gerusalemme, lì dove risiede la classe dirigente che non gli farà nessuno sconto. La prima reazione negativa gli viene dai samaritani che gli negano ospitalità per il solo fatto che è giudeo. Sulla strada di Cristo non ci sono sfilate politiche, applausi, musiche e fiori …. Su quella strada arranca gente che trascina croci e difende valori non negoziabili! Terza parte = “Le condizioni per fare strada con Cristo” --- Sono molti coloro che desiderano seguire Gesù o si autoinvitano a percorrere il suo cammino di

“La spiritualità della strada

nel Vangelo di Luca”

Riflessioni di don Salvatore Grandioso

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liberazione; a tutti Cristo chiede di fare i conti con le sue condizioni, forse dure, ma chiare: - essere disposti ad andare in libertà, senza sentirsi legati da casa, famiglia o sicurezze materiali; - essere capaci di donazione definitiva, abbracciare cioè il Progetto di Dio senza guardare indietro e senza lasciarsi intimidire dalla prima difficoltà. Essere cristiano è bello proprio perché è duro! La strada è in salita e il suo è: il Dio delle alture A parte la loro durezza, le parole di Gesù mettono in chiaro una verità fondamentale: non si può lavorare per Dio senza aver fatto l’esperienza della libertà. Solo chi ha sperimentato la durezza della schiavitù sulla propria pelle o su quella dei propri cari, può apprezzare veramente la libertà. Come solo che ha sentito i morsi della fame può apprezzare il vero sapore di un pezzo di pane! Abitualmente comprensivo con ogni uomo, Gesù si presenta molto esigente con chi sceglie di seguirlo; sembra che non abbia tempo da perdere per la formazione di chi non è disposto a sacrificare tutto per la realizzazione del sogno di Dio per i suoi figli: una società giusta. Scarta anche chi dice che vuole seguirlo ma poi nel suo interiore spera che al momento di salutarli, i suoi, lo convinceranno a desistere e così egli avrà salvato le sue buone intenzioni e scaricato sui parenti la sua vigliaccheria. Conclusione = “Sulle strade della vita” “Perché cercate tra i morti Colui che cammina tra i vivi? Andate perché Egli vi precede sulle strade della Galilea!” - “Andate per le strade del mondo e realizzate per tutti gli uomini il progetto di Dio!” - “Io sarò con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo!” --- Ogni cristiano prima o poi si pone la domanda: se Gesù è vivo, dove si trova? Certamente Egli non cammina per i viottoli dei cimiteri! --- Se Cristo è vivo, non va cercato tra i morti! Se è vivo allora dove cammina Lui deve essere morta la società ingiusta che condannò Lui e le sue idee; dove vive l’ingiustizia Lui non c’è. A chi lo cerca Luca, raccontando l’esperienza di Emmaus, mostra i luoghi dove Egli cammina : sulle strade dell’umanità dove si cerca libertà - lì dove si ascolta la sua Parola liberatrice – lì dove si condivide il pane: nell’Eucaristia. Su quella strada Cristo si avvicina e ascolta; gli scoraggiati non lo riconoscono ma raccontano la loro pena; con loro rilegge la Bibbia nei passi che parlano di Lui; lo riconoscono nello spezzare il pane, cioè nel gesto della condivisione. --- Sulla strada della vita ci incontriamo con gente abbandonata ai margini di quella strada: extracomunitari, vittime della droga, dell’alcol, del sesso sporcato, ....., del delitto, della malattia ... Che fare? I modelli non mancano: ci sono quelli negativi come il sacerdote, il levita, il coltivatore foggiano di pomodori, lo sfruttatore della badante,… e quelli positivi come il samaritano, … Madre Teresa, Luther King, … egli soleva dire: “Oltre ad aiutare i poveracci abbandonati ai margini della strada della vita, dovremmo anche fare qualcosa perchè su quella strada non continuino a camminare i banditi.” --- Come Gesù viene riconosciuto al gesto della condivisione non dovrebbe essere così anche per il cristiano? Chiaramente parliamo dei cristiani veri e non di chi chiede l’autenticità ascoltando una messa ogni tanto o partecipando a una processione!!!!!! --- E’ da questo gesto del condividere dove nasce il mondo nuovo e la nuova storia superando ogni disuguaglianza generata dal potere e dalla ricchezza accumulata. --- Il condividere non è un gesto di bontà o di generosità ma di giustizia. --- L’educare quindi non è un gesto di generosità ma di giustizia: è un condividere con i fratelli quello che si è ricevuto da altri fratelli. --- Quando penso alle liste di iscrizione agli Scouts che si allungano ogni anno perchè non ci sono capi disponibili o, peggio, ai Gruppi che chiudono i battenti per mancanza di Capi mi prende una immensa malinconia e dico: “Non siamo delle persone giuste perchè siamo tutti un esercito di egoisti che pretendiamo ricevere ma riserviamo agli altri solo qualche briciola!” --- Il branco mi ha dato tanto; il Reparto mi è stato accanto nei momenti più delicati della mia adolescenza; la Comunità R/S mi ha arricchito di valori... e poi? ho mandato tutti a quel paese perchè...debbo pensare al mio futuro!!! Alla faccia della giustizia!!!!

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SINTESI INTERVENTO DEL Prof. GERARDO MAGRO

Docente di PEDAGOGIA DELLA DEVIANZA e MARGINALITA’ Presso l’Università degli Studi di Bari - Facoltà di Scienza della formazione

Obiettivi

Riflettere sul significato del termine esperienza

Individuare il modo in cui

l’esperienza è stata interpretata nel corso del tempo

Comprendere gli effetti

dell’esperienza (e della sua mancanza) nella formazione della personalità

Riflettere sul significato di

esperienza educativa

Individuare le principali finalità che rendono l’esperienza “educativa”

Acquisire alcune strategie per

realizzare l’esperienza educativa

Contenuti:

Significato esperienza e sue diverse interpretazioni

Effetti esperienza (e mancanza) nella formazione della personalità

Quando e perché un’esperienza può considerarsi “educativa”?

Finalità esperienza educativa

Strategie esperienza educativa

Significato esperienza

“Acquisizione di conoscenze attraverso il

contatto diretto, personale con una realtà specifica o con la realtà in generale”

(Dizionario Sabatini/Coletti)

“Pratica oppure accortezza,

prudenza, saggezza come qualità che si acquisiscono

con l’esperienza”

(Dizionario Sabatini-Coletti)

Interpretazioni esperienza

Dibattito filosofico Razionalismo Empirismo (Descartes)

(Locke) Dibattito scientifico Scienza antica Scienza sperimentale (Galileo)

Dibattito Pedagogico Pedagogia metafisica Dewey (Learning by doing) Pedagogia Montessori Esperienziale Freinet Attivismo

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Dibattito psicologico Bion: apprendere

dall’esperienza

Piaget: assimilazione

accomodamento

adattamento

Dibattito scolastico Didattica teorica Didattica esperienziale

Effetti esperienza

formazione personalità

Sicurezza Contatto con la realtà Apprendimento reale Cambiamenti profondi

Effetti mancanza

esperienza formazione personalità

Astrattezza Disorientamento Sicurezza Apprendimento

teorico/virtuale Ingenuità

Esperienza educativa

Esperienza

Riflessione

Senza un’adeguata

riflessione l’esperienza scade nel Pragmatismo

Finalità educative esperienza

Autonomia Responsabilità Libertà Interiorizzazione Stile Saper prendere

decisioni Riflessività Socializzazione Saggezza (conoscenza

+ esperienza) Senso -ultimo

-unitario Identità

Strategie educative esperienza

Gradualità Progetto Mentoring Tempo Relazione Finalizzazione Riflessione individuale e di

gruppo Cogliere il senso Cooperazione Costanza

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Marilina Laforgia Incaricata nazionale al

Coordinamento Metodologico Nulla sarà più come prima, per lo scoutismo in Puglia ? Chi lo sa ? Certo, questo Convegno Metodologico è un evento storico per la nostra regione. Intendo dire che una partecipazione così è una novità, una novità che interroga, che sfida e che, se ci si ferma a pensare , come è accaduto a me, finisce quasi per preoccupare. E’ indubbio che se è il metodo che convoca, i capi rispondono ; e se è lo scouting il tema , allora si accorre. Credo che non ci sia capo ( branco, reparto, clan ) che non senta come l’uomo dei boschi, l’uomo che sceglie di vivere fuori della città e dai confini di un mondo dove tutto appare già organizzato, vale a dire il modello che ispira la nostra proposta educativa e che costituisce il nucleo della nostra identità, sia oggi un modello la cui praticabilità rischia di ridursi: basti pensare al confine sempre più sfumato fra mondo reale e mondo virtuale, alla natura sempre più addomesticata, urbanizzata, nonché fragile. Ed in fondo io, ora, non sto che accennando ad uno dei temi centrali del nostro Progetto Nazionale. Ed è bello scoprire che la fatica di progettare anche a livello nazionale ha un senso, ha valore, utilità e la forza di segnare il cammino dell’Associazione. Vuol dire che quando ci guardiamo intorno, nella prima fase del progettare, sappiamo veramente riconoscere i bisogni e, dunque, i nostri obbiettivi rappresentano davvero una possibilità di risposta ed una possibilità di crescita per l’Associazione tutta; proprio come l’obbiettivo del rilancio dello scouting, un obiettivo nazionale che sta impegnando le branche ed i settori con l’effetto di interessare regioni ( come la nostra ) e zone che ne hanno riconosciuto l’urgenza, rilevando magari bisogni specifici. Eppure, vorrei approfittare di questa occasione per raccontarvi, in breve, una storia. Ho chiesto a Marica il permesso di farlo, e se non ho capito male me lo ha accordato. Il bosco, l’acqua, la città: le sfide dello scouting. Vi dice niente questo slogan? Forse sì, ma senz’altro a pochi . Era il tema di un evento nazionale programmato per ottobre 2008. Fu chiamato Convegno, ma impropriamente. Si sarebbe dovuto trattare di una vera e propria esplorazione di questi ambienti, del bosco, dell’acqua e della città, alla ricerca del potenziale educativo, delle risorse pedagogiche, per cogliere le sfide dello scouting oggi. Si sarebbe trattato di esperienze di autentico scautismo adulto, di una ricerca metodologica sul campo. Pensate per esempio alla città: le città oggi generano disagio, marginalità, alzano barriere fra gli uomini. Per cogliere le opportunità educative dell’ambiente cittadino, occorre scoprire il volto invisibile della città, che può essere il volto di chi lavora di notte per preparare il giorno, di chi nell’ombra dell’oggi contribuisce a creare quel domani che ci viene assicurato. La nostra esplorazione doveva consistere nell’entrare in questa dimensione parallela della città, confondere il centro con la periferia, mischiare il giorno con la notte, scoprire dove la vita nasce, cresce e muore, per produrre e garantire altra vita, ecc. E analogamente nel bosco e sull’acqua. Un evento così non poteva avere grandi numeri, ma ci sarebbero stati capi da tutte le regioni che poi avrebbero potuto, anzi dovuto, aprire percorsi ulteriori di elaborazione metodologica. Il numero massimo dei partecipanti era fissato a 200, ma gli iscritti….indovinate un po’, furono 35,

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per un evento nazionale che naturalmente non si tenne più. Le cause furono indagate e individuate in mille fattori: dalla data, alla procedura di iscrizione ad altro ancora. Forse, scrutando fra queste si può trovare la risposta alla domanda che mi pongo ora: perché oggi siamo così in tanti e ad ottobre 2008 così in pochi? E’ la possibile risposta a questa domanda che un po’ mi preoccupa, come dicevo. Cioè: convocati a fruire di riflessioni metodologiche non manchiamo, ma se siamo convocati a ricercare ed elaborare sentiamo che il compito non ci spetta, crediamo forse che a questo compito siano preposti i quadri della Associazione, mentre noi tutti siamo applicatori di un metodo che altrove si studia, si aggiorna, si sperimenta si evolve. Ebbene non è così. Ai quadri spetta il compito di sollecitare, raccogliere, far sintesi, coordinare, rilanciare. Ma è l’intuito, la competenza, la passione di quanti vivono quotidianamente il metodo educativo dello scoutismo e sono a contatto con la domanda ed i bisogni educativi posti dalla società, la risorsa più preziosa per il presente e per il futuro dell’Agesci e dello scoutismo. Se vogliamo raccogliere l’insolita sfida dell’apparente bisogno di sentir solo parlare di scouting e non voler osare la ricerca di percorsi nuovi, facciamo che questo Convegno, i contributi che ci sono stati offerti, l’intervento di Piero, rappresentino il nostro osservare e ci sfidino ad un lavoro di deduzione che deve poter condurre l’associazione ad agire nel metodo per farlo crescere come patrimonio pedagogico collettivo. Buona caccia.

Piero Gavinelli “I pionieri e i cacciatori del Nord America, i colonizzatori del Sud America, i cacciatori dell’Africa Centrale, gli esploratori e i missionari in Asia e in tutte le altre regioni selvagge del globo; i mandriani e gli abitatori delle foreste dell’Australia, la polizia del Canada Nord-Occidentale e del Sud-Africa; tutti questi sono esploratori del tempo di pace, veri uomini in ogni senso della parola e abilissimi in ogni genere di lavoro scout (…). Essi sacrificano ogni cosa, le loro comodità

personali e i propri desideri, pur di compiere il loro lavoro. E questo fanno semplicemente perché è loro dovere.” Con questa citazione, nell’introduzione di Scautismo per ragazzi, B. P. presenta l’uomo del bosco, l’uomo di frontiera come esempio di vita affascinante. E’ ancora questa la metafora intorno alla quale costruiamo la nostra proposta educativa? Quando B. P. dovette scegliere il nome per il brevetto che riconosceva i capi dello scautismo, non scelse nomi altisonanti o titoli esotici. Con semplicità ma con profondità, scelse wood badge, distintivo del bosco, di quel luogo dove si esercitano le virtù proprie dell’uomo di frontiera, dell’uomo del bosco.

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In un piccolo segno, ma di grande efficacia “educativa”, ha riassunto la pedagogia dello scautismo. Mi è stato chiesto di parlarvi di questa pedagogia, mi è stato chiesto di parlarvi dello scouting. Ma io vorrei invece parlarvi dell’uomo dello scouting. Vorrei parlarvi non della scienza del bosco, ma dell’uomo che incarna questa scienza, che la rende una proposta per lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato. Se devo essere sincero, a me pare che negli ultimi anni (forse decenni) la figura dell’uomo dello scouting sia stata, nella prassi, notevolmente sottostimata come ideale pedagogico e forse metodologico, a favore della figura del “buon cittadino”, quasi che le due figure fossero in antitesi, in opposizione. Ecco allora apparire, degrado profondo della proposta scout, i difensori di un mal interpretato civismo e, dall’altra parte, i difensori di un mal interpretato “vero scautismo”! I due tipi sono invece in relazione profonda e feconda: nello scautismo non ci può essere buon cittadino se non “uscito” dalla palestra dell’uomo del bosco! Il buon cittadino è “lo scopo” dello scautismo, l’uomo dello scouting è “il mezzo” dello scautismo. Ovviamente non si tratta quindi di alternative di tempi e di modi, ma di esercitare una “circolarità virtuosa” che appartiene in modo indissolubile all’essenza profonda della proposta scout. Non è una questione legata ad una Branca o all’altra, è la proposta complessiva dello scautismo che viene coinvolta. Del mio meglio > essere in gamba per essere pronto > essere competente a servire > essere consapevole della prospettiva E’ questo il manifesto dello scautismo, il manifesto dell’uomo che proponiamo. E’ come assaporare il Lindor … Ogni Branca propone in se questi tre elementi, con un grado ed un livello ovviamente proporzionati alla comprensione resa possibile dall’età, ma ogni volta li propone tutti, in una sorta di ciclo continuo a spirale, nella logica della molla del sentiero EG e del ciclo Martin L. Ma sul tema dello scouting vorrei cercare di essere un po’ provocatorio nei vostri confronti. La provocazione è, di per se, elemento che scalda le idee e gli spiriti e quindi mi piace utilizzarla per accelerare, in qualche modo, le reazioni e le riflessioni. Ecco perché vi porrò delle domande, ecco perché ci porremo delle domande. Non ci sono esami, non c’è chi ha risposte certe, c’è solo il dovere della responsabilità personale e collettiva nell’impegno a far sì che la verifica sia seria e quindi fatta con lo stile che ci contraddistingue. Proprio parlando di stile vorrei partire. IL SUO STILE Dal “Libro dei Capi” (e da “SpR”):

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“Con il termine scouting si intendono l’opera e le qualità dell’uomo del bosco, dell’esploratore, …

del pioniere, dell’uomo di frontiera.”

Ma possono essere definite con un unico termine opera e qualità? Penso che la più adatta sia stile. Stile non come sottolineatura di una forma, ma sottolineatura di un atteggiamento interiorizzato che si esprime nei confronti di se stessi, degli altri e di ciò che ci circonda Ha stile chi riesce a far trasparire un modo di essere, semplicemente nel proporsi in un certo modo e quel modo è interpretato non come formale o forzato ma “autentico”. Questa è l’opera e la qualità! Ai nostri ragazzi cerchiamo di chiedere questo: essere fedeli e coerenti con un modo di essere che discende dalla nostra Legge e che è incarnato non da grandi discorsi, ma da piccole e fedeli testimonianze che sanno però diventare buone abitudini e poi stile di vita. Essere fedeli alle piccole cose che sembrano banali nella loro semplicità (la puntualità, l’ordine, l’attenzione reale alle difficoltà dell’altro, il pensare le cose per tempo e prepararle con sobrietà ma cura, il portare l’uniforme con dignità, ecc.) sono la modalità attraverso cui lo scautismo passa per formare uomini e donne “di carattere”, modalità che orientano l’essere “passabili in un salotto ma indispensabili in un naufragio”. Se non si è fedeli nelle piccole cose, difficilmente si riuscirà ad esserlo nelle grandi. Lo scout e la guida non sono coloro che “si comportano bene” con un atteggiamento più di forma che di sostanza, ma ragazzi e ragazze che hanno uno “stile di sostanza” come unico modo di rapportarsi: l’essere accoglienti, il sorridere nelle situazioni difficili, il vivere in modo sobrio, il dare sempre una mano, il non accontentarsi di avvicinarsi alle situazioni da “imparaticci”, sono il nostro biglietto da visita, sono la cartina di tornasole di uno scautismo che può effettivamente “… lasciare il mondo un po’ migliore …”. Ecco che allora il nostro “avere stile” ci permette di costruire una modalità di operare che contraddistingue anche il nostro vivere “nel mondo e nella storia”. Lo stile scout è un programma d'azione.

Al bambino che vuole fare del proprio meglio, diciamo “prova”. Al ragazzo che ci guarda passare con una certa invidia, diciamo “vieni a campeggiare”. Al rover che è in età di prendere un posto nella società, diciamo: “chiedi la Partenza e va”. La Legge scout entra allora nella pelle come il mestiere nelle dita dell'apprendista. Essa è, almeno in partenza, il modo di comportarsi necessario per fare attività scout.

L’uomo dello scouting è colui che, avendo sperimentato l’essenzialità, avendo “asciugato” la propria vita sull’esperienza vissuta, è uomo di qualità e questa qualità è l’opera che esso testimonia. Ma quali sono allora le caratteristiche che possono definire lo stile dell’uomo dello scouting oggi? Queste che ho individuate non sono esaustive, ma sono certamente quelle irrinunciabili. Sottolineano un concetto fondamentale, perché non ci può essere uomo del bosco se non si fa, se non si agisce, se non si approfondisce, se non si realizza, se non si ESERCITA… … IL SACRIFICIO E LA FATICA … LO SPIRITO D’OSSERVAZIONE … IL SENSO DEL CONCRETO … IL GUSTO DELL’AVVENTURA ESERCITARE IL SACRIFICIO E LA FATICA

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“Con che cosa si forgia un uomo, se non con il sacrificio?” Albert Camus Di una cosa dobbiamo essere convinti: non ci possono essere esplorazioni, del territorio e di se, senza coinvolgersi in modo completo, fisicamente e psicologicamente. Se non si cammina a lungo, se non ci alza all’alba, se non ci si scortica le mani, allora l’esplorazione del territorio, la gioia del sole che sorge, il piacere del costruire sono solo parole che ci diciamo, sono solo esercitazioni, alcune volte inaccettabili per la loro pochezza, di sedicenti “scout”. Non si possono costruire “qualità” (le qualità dell’uomo del bosco, dell’esploratore) senza che queste qualità siano messe alla prova, siano misurate. Riscoprire oggi il senso della fatica reale e del sacrificio conseguente per giungere ad una meta (la meta deve essere chiara e individuabile), sono proposte educative rivoluzionarie. Se ciò è vero, come è possibile allora proporre attività che non “mettano alla prova”, attività che “costino”, attività che “seducano”? Come è possibile allora fare campi dove è più importante il tema del campo che non la vita di campo, più importante la scenografia dell’avventura? Come è possibile allora proporre prede che assomigliano più ai pupazzetti del tirassegno, piuttosto che a conquiste sudate? Come è possibile allora proporre occasioni di servizio da dame di san Vincenzo (con tutto il rispetto dovuto alle dame di san Vincenzo), piuttosto che a donne e a uomini che si dicono sulla strada “a passi di vento”? ESERCITARE LO SPIRITO D’OSSERVAZIONE “Dovete avere occhi per vedere e orecchie per ascoltare”. Così, una volta, si diceva ai Campi scuola della Branca agli allievi nella chiacchierata sull’osservazione. Non guardare e sentire, ma VEDERE ed ASCOLTARE. Queste dovrebbero essere le caratteristiche di base di un buon esploratore, di un buon uomo del bosco. S.p.R consacra quasi un terzo delle sue pagine all'osservazione: giuoco di Kim o di Morgan, problemi polizieschi, tracce, segni meteorologici, specie d'animali e di vegetali, impronte, visi, ecc. Sembra che Baden-Powell faccia dell'osservazione una delle basi maggiori della formazione scout. Perché? La risposta è tutta qui: l'osservazione è la madre dell'oggettività. Scienza essenziale alla presa di possesso della personalità, all'esercizio del senso concreto, delle facoltà d'adattamento e d'immaginazione, è uno dei mezzi più attivi dell'intelligenza. E’ scienza che presiede alla lucidità. B. P. ha previsto una progressione naturale che sembra di grande efficacia. Comincia con l'osservazione della realtà della natura, degli animali, prosegue per ciò che tocca l'uomo, arriva alla deduzione, ai metodi di Sherlock Holmes, per finire con l'esame dei mestieri o qualche elemento di analisi sociale. Esercizio-gioco-riflessione è un buon ritmo per esercitare il senso dell'osservazione. Ma noi sappiamo esercitare e far esercitare lo spirito d’osservazione? Quanti di noi conoscono il gioco di Morgan e lo esercitano con i ragazzi? Nei nostri Branchi e Cerchi l’osservazione della natura è una pratica usuale di competenza o è un’esercitazione botanica da ricerca scolastica?

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Quanti dei nostri esploratori e guide sanno misurare l’altezza di un albero e la larghezza di un fiume e sanno leggere le tracce sul terreno? I nostri rovers e scolte sanno vedere ed ascoltare, perché allenati dal camminare che obbliga a guardarsi intorno? ESERCITARE IL SENSO DEL CONCRETO Lo Scautismo vuole accrescere il senso del concreto. Il senso del concreto nasce da un certo senso pratico, da una capacità a sapersi adattare, da un collegamento sicuro fra la testa e le mani. Ma ci sono alcune regole che devono essere osservate per esercitare il senso del concreto: la regola della competenza

che presuppone un atteggiamento di curiosità e di umiltà nei confronti dell’imparare e dell’approfondire;

la regola dell’essenzialità che presuppone l’avvicinarsi alle esperienze con il minor bagaglio possibile per essere leggeri: chi è leggero si muove con maggior libertà e questo vale non solo in senso fisico;

la regola della tenacia che presuppone l’applicazione costante e fedele, due doti che sempre di più oggi vengono a mancare;

la regola dell’esperienza vera che presuppone di creare occasioni che siano “palestre” e non “teatri”.

Ma abbiamo il coraggio di andare fino in fondo su queste regole? Le nostre attività sono esperienze vere o non piuttosto esperienze costruite e un po’ artificiali, dove niente si cerca di lasciare al caso? Come è possibile parlare di essenzialità e fare campi estivi dove si arriva con il camion carico di materiali (pali compresi) e la pattuglia di servizio? Come è possibile parlare di competenza se come capi non siamo veri esperti in almeno una tecnica base dello scautismo? Se non chiediamo ai nostri ragazzi, a partire dai lupetti e coccinelle, di avere, in ogni occasione, gli attrezzi adatti e a punto (essere felici è fare una buona azione al giorno ed avere un coltello che tagli bene)? Come è possibile parlare di tenacia se le nostre richieste sono spesso “medie” perché non bisogna essere troppo esigenti con i ragazzi? Come è possibile essere “passabili in un salotto e indispensabili in un naufragio” se non si sanno usare bene le mani e non si ha un cervello allenato all’imprevisto? Come è possibile avere “palestre” di scautismo, “palestre” di tecnica e di competenza se le nostre sedi sono sporche e banali? ESERCITARE IL GUSTO DELL’AVVENTURA Tenersi ritto davanti ad una carta del mondo e desiderare poi di sedersi... Marciare sulla banchina di un porto senza emozione... Guardare un piroscafo levare l'ancora, senza desiderio di partire... Sorridere vedendo un giovane che si mette lo zaino sulle spalle... Trovare la Nuova Zelanda troppo lontana, il mondo troppo complesso, il Monte Bianco troppo alto, i libri difficili... sono sintomi non ambigui di invecchiamento prematuro... e d'inattitudine adulta allo Scautismo... Lo Scautismo o è avventura, o non è.

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Il gusto dell'avventura presuppone più audacia che raziocinio, più Fede che calcolo e reclama coraggio e intuizione. Ma per esercitare il gusto dell’avventura non servono scenari da film, situazioni “esagerate”. Il gusto si costruisce su una progressione, su una scoperta di se e del mondo che deve essere sempre in prospettiva. Il gusto dell’avventura si rafforza se c’è un allenamento continuo. Ma per far vivere il senso dell’avventura, il Capo deve convivere con due sentimenti contrastanti: la fiducia e le paure. Sulla fiducia non c’è molto da dire (o moltissimo a seconda del lato dalla quale si guarda): è l’elemento senza il quale lo scautismo non può esistere. Senza la fiducia data e ricevuta la nostra proposta è vuota. Ma proprio perché non si può non passare attraverso la fiducia, dobbiamo imparare a convivere con alcune paure che sono esse stesse elemento “educativo”: la paura dell’affidare, la paura del rischio, la paura della risposta insufficiente, la paura della responsabilità non controllabile. Ma se questo è vero, come è possibile parlare di gusto dell’avventura se abbiamo la gran parte dei nostri ragazzi (e capi?) che non hanno mai goduto una notte all’addiaccio? Come è possibile parlare di gusto dell’avventura se i timori dei pericoli superano la fiducia nel senso di responsabilità dei ragazzi? Come è possibile parlare di gusto dell’avventura se non sappiamo o non vogliamo “far misurare” realmente i ragazzi con situazioni forti? Vorrei terminare leggendovi una storiella. E’ la storia dell’onesto segugio.

L’Onesto segugio

Non c’era la pace tra i popoli della foresta, i tempi erano cambiati, le abitudini di un tempo non

soddisfacevano più le varie specie di animali. Era ora di cambiare, di adeguarsi ai tempi moderni e

di organizzarsi.

I saggi della foresta chiamarono tutti i popoli a raccolta per valutare la situazione e fu istituita una

commissione. Una commissione di studio, ovviamente, per distribuire i vari incarichi.

Prima di tutto bisogna conoscere i fatti. Ci vuole una banca dati, un cervellone, un cervello da

elefante. “Io sono un elefante”, disse il cinghiale. E poiché era amico del Presidente della

commissione fu assunto.

Ma poi ci vuole un buon sistema di comunicazione, informazioni diffuse a tutti. Ci vuole un

messaggero, ci vuole un piccione viaggiatore. “Io sono un piccione” disse la gallina. E poiché era

abituata a razzolare fu assunta.

Occorrono anche nuovi lavori pubblici, dighe e canali per garantire a tutti le abbeverate, ci vuole un

castoro. “Io sono un castoro” disse la talpa. E poiché era solita alle marce sotterranee, fu assunta.

E così tutti ebbero il loro incarico e alla fine rimase solo un cane, un segugio da caccia.

“Tu cosa sai fare?” chiese la commissione. “Io so fare il cane” disse. “E va bene, vai pure in giro a

fare il cane”.

E venne la grande siccità. Per mesi la pioggia non cadde sulla foresta e sulla savana che rapidamente seccarono e intristirono. Gazzelle, antilopi, giraffe e tutta la stirpe degli erbivori si radunarono rumoreggiando davanti ai vecchi saggi. “Quante provviste abbiamo ancora, come stano le cose?”. Chiedete all’elefante. “Io non so” balbettò il cinghiale e fu smascherato. E le dighe e le cisterne … “Nulla è stato fatto” ammise la talpa. E anch’essa fu cacciata.

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Dicono che laggiù oltre la savana ci siano delle praterie fertili, mandiamo il piccione a vedere. “Io

non so volare” disse la gallina. E cadde in disgrazia.

Sulla base di una vaga speranza si mossero nella savana arroventata. Lunga fila barcollante e già

stanca. Quand’ecco sull’alto di un argine, con le orecchie dritte e la coda vibrante videro il cane.

Fiutò la pista e disse “Per di qua!”.

Correva avanti ad indicare la direzione, risaliva a ritroso la colonna per incitare i più deboli e per

non lasciare indietro nessuno. E poi ancora avanti di nuovo e così li condusse laddove il verde

sopravviveva, E c’era una nuova certezza di vita.

Si raccolsero intorno al loro salvatore. Gli chiesero che cosa volesse, ma non rispose. Gli chiesero

“ma tu chi sei?”.

“Io sono un segugio. Un onesto segugio”.

Grazie dell’occasione che mi avete data e buona strada!

Gli atti del convegno metodologico sullo Scouting sono stati impaginati grazie all’aiuto prezioso del

CENTRO STUDI SAN GIORGIO

E’ scaricabile anche dal sito www.puglia.agesci.it


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