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sentenza 1° aprile 1998, n. 87 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 8 aprile 1998, n. 14); Pres....

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sentenza 1° aprile 1998, n. 87 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 8 aprile 1998, n. 14); Pres. Granata, Est. Zagrebelsky; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Zotta) c. Regione Umbria (Avv. Migliorini) Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 6 (GIUGNO 1998), pp. 1739/1740-1741/1742 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192622 . Accessed: 25/06/2014 01:37 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 194.29.185.209 on Wed, 25 Jun 2014 01:37:47 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 1° aprile 1998, n. 87 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 8 aprile 1998, n. 14); Pres. Granata, Est. Zagrebelsky; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Zotta) c. Regione

sentenza 1° aprile 1998, n. 87 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 8 aprile 1998, n. 14); Pres.Granata, Est. Zagrebelsky; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Zotta) c. Regione Umbria(Avv. Migliorini)Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 6 (GIUGNO 1998), pp. 1739/1740-1741/1742Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192622 .

Accessed: 25/06/2014 01:37

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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1739 PARTE PRIMA 1740

si deve ritenere che sia abilitato ad intervenire in bonam partem senza limiti derivanti dallo specifico petitum quando sia investi

to in via diretta della competenza funzionale in materia cautela

re da una richiesta di parte. 5. - La disciplina circa la investitura del giudice e circa l'am

bito dei suoi poteri è invece diversa per ciò che attiene agli in

terventi in peius non essendo per essi previsto un potere di ini

ziativa d'ufficio: in base al 4° comma dell'art. 299 c.p.p., ove

le esigenze cautelari risultino aggravate, la sostituzione della mi

sura applicata con altra più grave, ovvero la sua applicazione con modalità più gravose, può essere disposta dal giudice solo

a seguito di richiesta del pubblico ministero.

Le differenti modalità procedurali rispettivamente previste per

gli interventi in melius o in peius riflettono la scansione genera le dei rapporti tra pubblico ministero e giudice in tema di misu

re cautelari: mentre l'applicazione di una misura cautelare (art.

291, 1° comma, c.p.p.), così come il suo aggravamento (art.

299, 4° comma, c.p.p.), sono necessariamente condizionati dal

la previa richiesta del pubblico ministero, la revoca e la sostitu

zione in melius, pur necessitando di regola della richiesta di

parte, non sono parse incompatibili, in quanto provvedimenti sorretti dal principio del favor libertatis, con un potere di ini

ziativa d'ufficio del giudice (art. 299, 3° comma, c.p.p.), senti

to comunque il pubblico ministero (art. 299, comma 3 bis,

c.p.p.). Al riguardo, è opportuno rilevare che la compatibilità tra po

teri di intervento d'ufficio del giudice in bonum partem in ma

teria di misure cautelari ed il principio generale della netta ri

partizione dei ruoli tra pubblico ministero «richiedente» e giu dice «decidente» ha trovato conferma in una significativa modifica dell'art. 291 c.p.p. Il d.leg. 14 gennaio 1991 n. 12

(disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale

penale e delle norme ad essa collegate), aveva introdotto in tale

norma il comma 1 bis ove si stabiliva che nel corso delle indagi ni preliminari «il giudice può disporre misure meno gravi solo

se il pubblico ministero non ha espressamente richiesto di prov vedere esclusivamente in ordine alle misure indicate». Tale di

sciplina, limitativa del potere del giudice di intervenire in melius

in favore dell'indagato, pur non essendo stata ritenuta incosti

tuzionale dalla sentenza n. 4 del 1992 di questa corte (Foro it.,

Rep. 1992, voce Misure cautelari personali, nn. 255-260), è sta

ta abrogata dall'art. 8 1. 8 agosto 1995 n. 332 (modifiche al

codice di procedura penale in tema di semplificazione dei pro

cedimenti, di norme cautelari e di diritto di difesa), che ha così

ampliato i poteri decisori in bonam partem del giudice in mate

ria de libertate.

6. - Così delineato il sistema disciplinato dall'art. 299 c.p.p. in tema di revoca e sostituzione delle misure cautelari, la speci fica situazione denunciata dal giudice rimettente, che lamenta

di non essere abilitato a disporre la revoca della misura quando la richiesta dell'imputato abbia per oggetto la mera modifica

in melius delle modalità di applicazione, può essere agevolmen te inquadrata nell'ambito dei principi generali che sorreggono la materia in esame.

Se il potere di intervento d'ufficio è riconosciuto nelle situa

zioni, tassativamente previste dall'art. 299, 3° comma, c.p.p.

(v. ordinanze nn. 340 del 1995, id., Rep. 1996, voce cit., n.

195, e n. 435 del 1993, id., Rep. 1994, voce cit., n. 289), in

cui il giudice per le indagini preliminari risulti investito del pro cedimento per l'esercizio di poteri attinenti alla sua competenza

funzionale, ma estranei alla materia de libertate (e cioè: proro

ga del termine per le indagini preliminari e assunzione dell'inci

dente probatorio), a maggior ragione si deve ritenere che il giu dice sia abilitato ad intervenire in bonam partem senza limiti

derivanti dallo specifico petitum quando sia comunque investito

della competenza funzionale in materia cautelare da una richie

sta dell'imputato. In definitiva il giudice, investito del procedimento dalla ri

chiesta dell'imputato di applicazione con modalità meno gravo se della misura cautelare, può adottare un provvedimento di

revoca della misura ove ritenga cessate le esigenze cautelari. Tale interpretazione non estende le ipotesi, tassativamente pre

viste dalla legge, in cui il giudice è abilitato a provvedere d'uffi

cio de libertate, ma si limita a riconoscere un potere di interven to pro libertate quando il giudice è già investito di una doman

da cautelare.

Il Foro Italiano — 1998.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda

ta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 299, 3° com

ma, c.p.p., sollevata, in riferimento agli art. 3, 24, 2° comma, e 76 Cost., dal giudice per le indagini preliminari della Pretura

di Enna, con l'ordinanza in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 1° aprile 1998, n. 87

(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 8 aprile 1998, n. 14); Pres. Granata, Est. Zagrebelsky; Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Zotta) c. Regione Umbria (Avv. Migliorini).

Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Umbria —

Consiglio regionale — Regolamento interno — Approvazione con legge — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 121, 127; 1. 22 maggio 1971 n. 344, approvazione, ai sen

si dell'art. 123, 2° comma, Cost., dello statuto della regione

Umbria, art. 44).

È inammissibile, per insufficiente indicazione del parametro co

stituzionale, la questione di legittimità costituzionale della l.

reg. Umbria riapprovata il 27 gennaio 1997 avente ad oggetto

l'approvazione del regolamento interno del consiglio regiona le, in relazione all'art. 44 statuto reg. Umbria, in riferimento

agli art. 121 e 127 Cost. (1)

(1) Il presidente del consiglio dei ministri ha impugnato la legge re

gionale umbra, rilevando come la regione aveva fatto uso di uno stru mento normativo improprio (la legge) per un oggetto (regolamento in terno del consiglio regionale) per il quale l'ordinamento prevede lo stru mento del regolamento, al quale si applica il regime giuridico dei c.d.

regolamenti degli organi supremi. Così facendo la regione avrebbe esposto il regolamento al sistema di controlli sulla legge regionale, non consono all'autonomia consiliare e violato l'interesse nazionale che impone il corretto uso degli strumenti normativi predisposti dall'ordinamento.

La Corte costituzionale non è entrata nel merito della questione, in

quanto ha rilevato come dagli art. 121 e 127 Cost., richiamati quali parametri, non può desumersi l'esistenza nell'ordinamento del principio costituzionale di autonomia del consiglio regionale che il ricorrente as sume violato ed ha negato di potersi sostituire allo stesso nella identifi cazione del parametro che eventualmente tuteli, a livello costituzionale, tale principio.

In ordine al controllo, da parte della Corte costituzionale, della legit timità di disposizioni contenute in regolamenti consiliari delle regioni, questa ha, in varie occasioni, escluso che gli stessi possano essere fatti rientrare nella categoria degli atti aventi forza di legge, ai sensi ed agli scopi di cui all'art. 134 Cost., ora ritenendo ammissibile il conflitto tra enti avente ad oggetto appunto un regolamento consiliare (Corte cost. 12 marzo 1965, n. 14, Foro it., 1965, I, 599, con nota di richia

mi), ora dichiarando inammissibile una questione di legittimità costitu zionale sollevata in ordine a disposizioni regolamentari (Corte cost. 28

luglio 1987, n. 288, id., 1987, I, 2923, con nota di richiami). In un caso il presidente del consiglio dei ministri aveva invece denun

ciato davanti alla Corte costituzionale il fatto che la regione aveva dato veste regolamentare a norme che, per il loro oggetto, avrebbero dovuto avere forma legislativa e ciò allo scopo di sottrarle al regime proprio degli atti aventi forza di legge.

La corte in quella occasione rilevò come «stante il sistema monoca merale vigente nelle regioni, le delibere che approvano i regolamenti consiliari sono analoghe, salvo che per il nome e per la maggioranza richiesta, alle delibere legislative dei consigli regionali, che formano og getto dell'impugnativa statale, preventiva rispetto alla loro promulga zione. Di guisa che, in quella ipotesi, non sarebbe esclusa la possibilità di impugnare la delibera consiliare entro i termini prescritti per ricorre re contro le leggi regionali» (sent. 18 febbraio 1970, n. 18, id., 1970, I, 694, con nota di richiami).

In tema di sindacabilità degli interna corporis acta, con riguardo ai

regolamenti parlamentari, v. Corte cost. 2 novembre 1996, n. 379, e ord. 19 luglio 1996, n. 269, id., 1997, I, 370, con nota di richiami e osservazione di Dai Canto. In dottrina, di recente, v. Dal Canto, La più recente giurisprudenza costituzionale in tema di regolamenti par lamentari, in II contributo della giurisprudenza costituzionale alla de terminazione della forma di governo italiana a cura di Panizza, Tori no, 1997, 370 ss.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Diritto. — Col ricorso indicato in epigrafe, si richiede dal

governo ricorrente, secondo la sua stessa espressione, che da

questa corte «sia dichiarata l'illegittimità costituzionale della legge della regione Umbria» — riapprovata il 27 gennaio 1997 e con

tenente il regolamento interno del consiglio regionale — «in quan to adottata con legge regionale, anziché con regolamento inter

no al 2° comma».

Della presente questione deve preliminarmente essere esami

nata l'ammissibilità, sotto il profilo della minima sufficiente de

terminazione del parametro rispetto al quale la questione stessa

è sollevata, parametro che rappresenta uno dei «termini» che

necessariamente devono risultare precisati nelle questioni di le

gittimità costituzionale delle leggi, tanto se proposte in via inci

dentale (art. 23, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87) quanto se sollevate in via principale (art. 34, 2° comma, della medesi

ma legge). Si sostiene nel ricorso che l'approvazione per legge delle nor

me regolamentari del consiglio regionale umbro «viene a con

cretare una violazione del principio dell'autonomia consiliare».

Tale principio risulterebbe sancito dall'art. 121 Cost., e dal

l'art. 44 dello statuto della regione Umbria, nonché dall'art.

127 Cost.; parametro, quest'ultimo, invocato anche sotto il pro filo dell'esistenza di un interesse nazionale all'integrità del siste

ma delle fonti del diritto e all'autonomia regionale.

Senonché, dalle disposizioni costituzionali e statutarie richia

mate nulla può inferirsi in relazione all'esistenza, ai caratteri

e alle modalità di svolgimento del principio suddetto, sulla cui

violazione verte la doglianza del ricorrente, né tantomeno in

relazione alla forma dell'atto cui possono essere consegnate le

norme del regolamento consiliare.

Dall'art. 121 Cost, si apprende soltanto che il consiglio regio nale è organo della regione (1° comma) e che esso esercita le

potestà legislative e regolamentari alla regione stessa attribuite

(2° comma), senza alcuna indicazione circa l'ampiezza e i carat

teri della sua autonomia. Nessun argomento significativo è poi desumibile dall'art. 44 dello statuto della regione, il quale si

limita a stabilire che l'autonomia funzionale e contabile interna

necessaria al libero esercizio delle funzioni del consiglio regio nale è esercitata nel rispetto della Costituzione, dello statuto

medesimo e sulla base del regolamento interno, ma nulla dispo ne in relazione alla natura e alla forma dell'atto regolamentare

che, di tale autonomia, deve contenere la disciplina. Dall'art.

127 Cost., infine, risulta che tutte le leggi regionali sono sotto

poste a un particolare regime di controllo precedente la loro

promulgazione e che tale controllo, per iniziativa del governo,

può sfociare in una questione di legittimità di fronte alla Corte

costituzionale, o in una quesitone di merito per contrasto di

interessi davanti alle camere, ma nessun chiarimento ivi si rin

viene a proposito del diverso e logicamente precedente proble ma di quali siano le deliberazioni regionali che possono o non

possono assumere la forma della legge. Non solo inconferente, ma addirittura controproducente, dal punto di vista del ricorso

innanzi a questa corte in sede di giudizio di legittimità costitu

zionale, è inoltre il riferimento che il ricorso fa al suddetto art.

127 Cost, per affermare la violazione dell'interesse nazionale

all'autonomia regionale e al corretto uso degli strumenti nor

mativi predisposti dall'ordinamento: infatti, in tal caso il vizio

dell'atto rileverebbe di fronte alle camere e non in questa sede.

Né è possibile trarre indicazioni nel senso vouto dal ricorren

te da due pronunce di questa corte (sentenze n. 288 del 1987, Foro it., 1987, I, 2923, e n. 14 del 1965, id., 1965, I, 599) richiamate in apertura del ricorso. Esse hanno affermato, l'u

na, l'insindacabilità in sede di giudizio di legittimità costituzio nale del regolamento del consiglio provinciale di Trento e, l'al

tra, l'ammissibilità del conflitto di attribuzione tra lo Stato e

la regione in relazione a norme regolamentari del consiglio re

gionale del Friuli-Venezia Giulia. Da tali decisioni, oggetto di un mero richiamo, sembrerebbe che il ricorrente intenda inferi

re l'esclusione del regolamento consiliare dall'area della legisla zione regionale. Ma i casi decisi in tali occasioni avevano ri

guardo a due regolamenti approvati entrambi con deliberazione

dell'organo consiliare. L'approvazione con deliberazione (e non

con legge), insomma, era elemento della fattispecie su cui la

corte si è pronunciata, non il contenuto della sua statuizione.

Per quanto precede, risulta che dai menzionati elementi nor

mativi, oltre che da quelli giurisprudenziali — richiamati non

tanto come tali, ma soprattutto in quanto espressivi di un prin

II Foro Italiano — 1998.

cipio generale — non è possibile ricavare quel parametro costi

tuzionale necessario alla corretta configurazione della questione di costituzionalità. Né spetta a questa corte supplire alle caren ze del ricorso andando alla ricerca di altri elementi per poter eventualmente identificare il principio costituzionale di autono

mia del consiglio regionale che il ricorrente ha affermato nel

l'immotivato modo che si è detto.

In questa situazione, non si rende possibile configurare quel raffronto tra i due termini della questione dal quale, in ipotesi,

possa derivare l'incostituzionalità della legge. La questione, co

sì come nella specie prospettata, deve quindi essere dichiarata

inammissibile. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissi

bile la questione di legittimità costituzionale della legge della

regione Umbria, riapprovata il 27 gennaio 1997, recante il rego lamento interno del consiglio regionale, sollevata, in riferimen

to agli art. 121 e 127 Cost., dal presidente del consiglio dei

ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 1° aprile 1998, n. 84

('Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 8 aprile 1998, n. 14); Pres. Granata, Est. Onida; Provincia autonoma di Trento

(Avv. Falcon) c. Pres. cons, ministri (Aw. dello Stato

Fiumara).

Agricoltura — Interventi programmati per il 1996 — Program mi di rilevanza interregionale — Consenso delle regioni inte

ressate — Omessa previsione — Incostituzionalità (Statuto spe ciale della regione Trentino-Alto Adige, art. 8, 16; d.leg. 16

marzo 1992 n. 266, norme di attuazione dello statuto speciale

per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra gli atti

legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la po testà statale di indirizzo e coordinamento, art. 4; d.l. 20 set

tembre 1996 n. 489, interventi programmati in agricoltura per l'anno 1996, art. 2; 1. 5 novembre 1996 n. 578, conversione

in legge, con modificazioni, del d.l. 20 settembre 1996 n. 489, art. 1).

Agricoltura — Interventi programmati per il 1996 — Program mi di rilevanza interregionale — Consenso delle regioni inte

ressate — Omessa previsione — Finanziamento a carico delle

regioni — Questione infondata di costituzionalità (Statuto spe ciale della regione Trentino-Alto Adige, art. 8, 16; d.leg. 16

marzo 1992 n. 266, art. 4; d.l. 20 settembre 1996 n. 489, art. 2; 1. 5 novembre 1996 n. 578, art. 1).

È incostituzionale l'art. 2, 1° comma, d.l. 20 settembre 1996

n. 489, convertito, con modificazioni, in l. 5 novembre 1996

n. 578, nella parte in cui consente che i programmi interregio

nali, da chiunque proposti, possano essere approvati senza

lo specifico consenso di ciascuna delle regioni o province au

tonome nel cui territorio sono destinati ad essere attuati, se

condo le rispettive competenze, gli interventi in essi con

templati. (1) È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

2, 4° comma, d.l. 20 settembre 1996 n. 489, convertito, con

modificazioni, in l. 5 novembre 1996 n. 578, nella parte in

cui dispone il finanziamento da parte della regione o provin cia autonoma dei programmi interregionali riguardanti azioni

da realizzare nel territorio delle stesse, decisi senza il loro con

senso o comunque non realizzati nell'ambito di una loro deci

sione e responsabilità, in relazione all'art. 4 d.leg. 16 marzo

1992 n. 266, in riferimento agli art. 8, n. 21, e 16 statuto

speciale Trentino-Alto Adige. (2)

(1-2) La Corte costituzionale rileva come il necessario, specifico con senso delle regioni o province autonome direttamente interessate alla

programmazione non può essere sostituito dal consenso espresso, nel

l'ambito di procedimenti di concertazione con lo Stato, da organismi

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